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Raccontare le famiglie - modelli e pratiche educative, Dispense di Modelli di progettazione pedagogica e politiche educative

riassunto libro per l'esame modelli e pratiche educative nei servizi per la prima infanzia con Fabrizio Chello.

Tipologia: Dispense

2022/2023

In vendita dal 01/07/2024

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Scarica Raccontare le famiglie - modelli e pratiche educative e più Dispense in PDF di Modelli di progettazione pedagogica e politiche educative solo su Docsity! RACCONTARE LE FAMIGLIE PRESENTAZIONE Negli ultimi decenni la famiglia è stata al centro di un sempre più crescente interesse che ha portato alla necessità di leggere i cambiamenti dei modelli relazionali familiari e della struttura stessa della famiglia, alle prese con mutamenti sociali e culturali. Dal punto di vista scientifico, la famiglia è un sistema relazionale che permette l’individuazione, la formazione e lo sviluppo personale di tutti coloro che ne fanno parte. Ma la questione della famiglia è prevalentemente pedagogia, infatti il suo valore aggiuntivo è quello di “rendere gli esseri umani, umani”, e ciò avviene grazie all’educazione. Da qui nasce anche la necessità di una nuova concezione della famiglia, per reinterpretare le figure genitoriali e le loro funzioni educative. INTRODUZIONE La società contemporanea sta dunque attraversando un evidente disorientamento e quindi anche la famiglia vive una fase di cambiamento. Esiste una distanza culturale tra il mondo presente e quello passato che porta gli educatori a dover affrontare situazioni educative sconosciute. La difficoltà sta proprio nel fatto che i genitori hanno perso il proprio potere simbolico, e questo ha forti ripercussioni sulla capacità di trasmettere nelle giovani generazioni, il senso di appartenenza, che si trasmette proprio grazie alla testimonianza dell’adulto. L’antidoto sarebbe quello di riscoprire l’educazione familiare nella sua funzione relazionale e umanizzante, nel suo ruolo di dispositivo riflessivo e capace di responsabilizzare l’intera comunità. PRIMA PARTE: IERI E OGGI 1.Reti familiari e relazioni di genere nel lungo 800: casa Ranieri. A cavallo tra il 18° e il 19° secolo mutano le strutture familiari e le relazioni interne alle famiglie stesse. In Italia il modello di famiglia patriarcale entra in crisi e si afferma il modello coniugale intimo. Per comprendere meglio questo passaggio, possiamo prendere in considerazione le tre generazioni della famiglia di Antonio Ranieri. La famiglia coniugale intima presenta alcune caratteristiche: -maggiore libertà; -matrimonio non più combinato per interessi economici ma basato sulla libera scelta del coniuge per amore; -rapporto intimo tra coniugi; -interesse dei genitori verso i figli. Il primo aspetto che può mostrare l’evoluzione da famiglia patriarcale a famiglia coniugale intima, è il matrimonio. Nella famiglia patriarcale è presente una netta differenza di età tra i coniugi, infatti di solito il marito è più grande della moglie di circa 10 anni e questo consente al marito di rieducare la moglie a suo piacimento e di ottenere rispetto. Prendendo in considerazione le 3 generazioni infatti abbiamo: -Enrichetta Ranieri (sorella di Antonio Ranieri) che si sposa a 16 anni con Giuseppe Ferrigni che ha invece 29 anni. -Caliope Ferrigni (figlia di Enrichetta e Giuseppe) che si sposa a 30 anni con Antonio Capecelatro di 34 anni. -Enrichetta Capecelatro (figlia di Caliope e Antonio) che si sposa a 22 anni con Riccardo Carafa di 26 anni. La differenza sta proprio nel fatto che nel secondo e nel terzo matrimonio, non solo si riduce la differenza d’età tra i coniugi, ma soprattutto al momento del matrimonio, la sposa ha più di 20 anni. Per verificare il passaggio alla famiglia di tipo coniugale intimo, dobbiamo però considerare anche gli altri aspetti. Enrtichetta Ranieri e Giuseppe Ferrigni si sono conosciuti nei salotti e infatti proprio in questi ambienti si formano i legami matrimoniali. A suggellare l’intreccio di parentela è poi il matrimonio tra Caliope Ferrigni e Antonio Capecelatro. A differenza della nonna (Enrichetta) e della mamma (Caliope), Enrichetta Capecelatro, mostra maggiore libertà decisionale, non solo perché è lei a stabilire quando cercare lo sposo, ma anche perché i pretendenti sono molti e infatti continua la sua ricerca fino a quando non incontra Riccardo del quale si innamora e con il quale condivide idee e interessi. Uniti in matrimonio per libera scelta e per amore, Enrichetta e Riccardo hanno un rapporto più intimo a differenza del rapporto della prima coppia (Enrichetta e Giuseppe) caratterizzato da obbedienza e rispetto della moglie verso il marito. Ed è questo il secondo elemento che caratterizza il passaggio da famiglia patriarcale a famiglia coniugale intima. Il terzo elemento è quello dell’attenzione verso i figli. Infatti il 19° secolo vede cambiare i rapporti tra genitori e figli; si ha una nuova sensibilità verso l’infanzia e il bambino diventa il centro della vita familiare. Qui Caliope mostra un costante interesse verso l’educazione e l’istruzione della figlia Enrichetta Capecelatro, che studia con numerosi maestri. La scelta di questi maestri spetta a Caliope o forse a entrambi i genitori ma l’aspetto interessante è proprio il coinvolgimento della madre e il rispetto che questa trasmette a sua figlia verso gli insegnanti. Questo caratterizza il rapporto tra madre e figlia. Anche la figura paterna di Antonio è presente che infatti nonostante i mille impegni riesce comunque ad occuparsi dell’educazione della figlia. Il rapporto tra madre e figli viene sottolineato ancor di più grazie ad Enrichetta che condanna il baliatico (tata) poiché a favore dell’allattamento. Il 21 marzo 1926, Enrichetta legge la storia della propria famiglia e negli stessi anni, attraverso la stesura dei suoi Ricordi, narra le vicende dei suoi nonni e della creazione della patria. L’opera di Enrichetta può essere interpretata come la volontà di attribuire un ruolo preciso alla sua famiglia che è borghese. Lo stesso matrimonio con Riccardo (matrimonio di due famiglie patriote) emerge come presupposto per la conservazione della nazione, dove l’amore romantico s’intreccia con quello della nazione. In questo modo la trasmissione non segue solo la linea maschile ma anche quella femminile. A Enrichetta spetta dunque il compito di trasmettere ricordi e tramandare la memoria storica della famiglia per conservarne l’onore. 2.Una famiglia speciale. Casa Freud. Freud era un medico, uomo di cultura, marito di Martha e padre di sei figli (3 maschi e 3 femmine). Nonostante i numerosi impegni professionali, egli si dimostrò sempre un genitore attento e premuroso, mostrando una profonda curiosità nei confronti della crescita dei figli. Fu un padre amoroso che nel tempo libero condivideva con i figli interessi e divertimenti. Nella pratica promuoveva un’educazione finalizzata all’emancipazione dei suoi ragazzi, allo sviluppo di personalità indipendenti rispetto alla famiglia che in ogni caso resta un luogo di confronto e fonte d’amore. La libertà è per lui “vivere e crescere senza essere condizionato” , perciò il suo atteggiamento rispecchia la natura, la sensibilità, ma era anche dotato di una franchezza e un’ironia che lo aiutavano a rendere i figli meno vulnerabili nei confronti di un futuro incerto. Martha si occupava della casa mentre Sigmund era il centro che stabiliva l’adattamento della famiglia. L’atmosfera familiare era serena, i rapporti con i genitori e i fratelli amichevoli. Sigmund era una pater familias responsabile, disponibile nei confronti dei figli, generoso verso tutti i suoi familiari. Ma come tutti i genitori non era immune dalle preoccupazioni e dalle ansia. In primo luogo per la salute dei propri figli, poi per la situazione economica e poi per le scelte formative dei figli (studi borghesi per il desiderio paterno) e delle figlie. In ogni caso, il peso dell’andamento domestico era nelle mani di Martha, una casalinga esemplare, che amministra, cura i pasti, sovraintende alla servitù e alleva i figli. Era lei a mettere al centro della famiglia il marito e a trasmettere nei figli l’amore e il rispetto nei suoi confronti. Freud riteneva che nella vita ci sono tre cose a cui non bisogna rinunciare: salute, educazione e viaggi. Riguardo i viaggi coltivò nei suoi figli la curiosità e lo spirito di avventura. Il periodo maggiormente dedicato alla famiglia era proprio quello della villeggiatura, in cui i ragazzi erano esposti a nuove emozioni ed esperienze. Tra la fine dell’800 e l’inizio del 900 al piano normativo e delle professioni, non fa altro che tramandare e rendere estremo il conflitto. 4. Genitorialità possibile. Una prospettiva pedagogica. Raccontare le famiglie nei legami, nella società e in educazione attraverso la genitorialità possibile, richiede una prima ma necessaria riflessione sulla separazione famiglia/famiglie. Una separazione che struttura una prospettiva pedagogica che si colloca in una dimensione specifica: dalla pedagogia della famiglia alla pedagogia delle relazioni educative familiari. Questa prospettiva ci consente, ancora una volta di riflettere, infatti la pedagogia delle relazioni educative familiari identifica nelle relazioni educative la particolarità della famiglia. A partire dalla fine degli anni 60 agli inizi degli anni 70 si ha un interesse specifico per la pedagogia familiare, grazie soprattutto all’opera del pedagogista Galli che, con il suo saggio Educazione familiare e società, segna la nascita della pedagogia familiare. Iniziano così a delinearsi studi e ricerche sulla genitorialità legata alla categoria della complessità, legate a loro volta alle influenze della pedagogia delle relazioni educative familiari. Viene sottolineato che la famiglia, non essendo la somma degli elementi che la compongono, è un sistema relazionale costituito da rapporti di interdipendenza nei quali i legami tra i membri danno vita a diversi sottoinsiemi (coniugale, fraterno) ognuno dei quali ha compiti relazionali-evolutivi specifici. Nel caso in cui, uno dei sottoinsiemi non è in grado di tenere insieme tutti il sistema relazionale, partono una serie di riflessioni intorno alla genitorialità possibile. Tenendo in considerazione che la relazione è analizzata come radice dell’educativo e origine dell’educabilità, prima di analizzare e descrivere la genitorialità possibile, è importante partire appunto dai due concetti: educativo indica la qualità che devono possedere le azioni inerenti al processo educazionale; educabilità indica la capacità, la possibilità di un soggetto ad essere educato e i limiti di questa possibilità. Perciò nella relazione educativa la qualità della relazione e i limiti di tale possibilità sono le basi, le fondamenta della genitorialità possibile. Il ciclo della vita familiare è un concetto che stando al centro di diversi approcci interdisciplinari, ha dato origine ad un modello. Questo modello mette in evidenzia come il passaggio da uno stadio a quello successivo sia caratterizzato da una serie di eventi critici, normativi o non normativi, scelti o inaspettati, che interrompendo l’equilibrio, richiedono ai membri della famiglia di attivare una nuova modalità di funzionamento, per generare un nuovo equilibrio familiare. Il ciclo della vita familiare diventa la struttura con cui si confronta la famiglia nel suo equilibrio relazionale espresso dalla coppia adulta: coniugale e genitoriale. Coniugalità e genitorialità sono l’essenza strutturale della famiglia e spesso vengono confusi, ma nello specifico, nella coniugalità, alla base del rapporto c’è il patto fiduciario dove il versante etico è la reciprocità e il versante affettivo è la fiducia. Mentre nella genitorialità alla base del rapporto troviamo la cura responsabile dove il versante etico è la cura mentre quello affettivo la responsabilità. Nel caso in cui la coniugalità viene compromessa, da questa può discendere una buona genitorialità? La risposta la troviamo nella genitorialità possibile che in questo senso è una prospettiva pedagogica poiché, mettendo al centro la genitorialità come categoria educante, viene messo in luce che anche in momenti di crisi o cambiamenti improvvisi, è possibile recuperare la responsabilità relazionale ovvero la cura responsabile. Quindi, nonostante la coniugalità indebolita, se nella genitorialità i due poli (cura e responsabilità) continuano ad intrecciarsi, la genitorialità resta costante e la famiglia continua ad essere un valore per i giovani poiché garantisce il bisogno naturale di legami affettivi. 5. Da una generazione all’altra. Il nesso tempo, formazione ed educazione familiare in prospettiva critica. Prendendo in considerazione la storia della pedagogia occidentale, possiamo affermare che questa ha attribuito al tempo, il ruolo centrale di analizzatore dei processi formativi- educativi, proprio perché le pratiche pedagogiche di questa parte del mondo hanno pensato e agito sia la formazione che l’educazione come un fascio di eventi che si muovono nel tempo. Tuttavia, questo legame tra tempo, formazione ed educazione non è mai stato messo in discussione. L’Occidente ha pensato la temporalità come uno scorrere di fasi o segmenti uguali tra loro riducendo così il cambiamento a una trasformazione tra due fasi o segmenti dello stesso processo, portando ad una duplice conseguenza. Infatti da un lato, la formazione non ha potuto essere intesa come processo armonico e ordinato, e l’educazione è stata agita come mezzo di conformazione ad un modello formativo già previsto. Questo ha spinto la pedagogia a muovere la sua indagine intorno all’individuazione di modelli di comunicazione unidirezionali, che seguono una sola direzione, capaci di riprodurre con forza, regole, valori e modi di pensare da una generazione all’altra. In questo modo l’educazione è stata spesso confusa con la categoria della trasmissione, che indica ciò che può essere trasferito da una persona ad un’altra. Questa concezione dell’educazione come pratica di trasmissione si è imposta rapidamente come modello in tutti i contesti e la famiglia è diventata la realtà che più ha incarnato questo modello educativo poiché in essa si sono intrecciate le pratiche di riproduzione biologica e quelle di riproduzione culturale. Il legame tra vita biologica e vita culturale può essere rintracciato sia nell’antica Grecia ma soprattutto nel mondo romano. Infatti nella paidea greca, l’educazione del cittadino era uno dei compiti che spettava alla polis. Nella humanitas latina invece l’educazione era una pratica gestita dalla famiglia intesa come cellula originaria della società. Questo perché, la famiglia romana assorbiva totalmente il singolo da far dipendere la sua soggettività dal pater, cioè il sovrano dello sviluppo di tutti i membri della domus (casa), che educava i membri tramandando le usanze (mores) attraverso le esperienze di vita (exempla), da tramandare alle generazioni successive. Ancor di più, la centralità della famiglia diventa evidente con la cultura cristiana. Nella Paideia Cluristi l’esempio del Messia, ovvero l’esperienza da tramandare, aveva l’obiettivo di permettere al singolo di accedere alla realtà futura che è la resurrezione o la vita ultra-terrena. La famiglia e la comunità cristiana, erano considerate le uniche forme di vita collettiva che potevano dare all’individuo la possibilità di partecipare a questa anticipazione della vita nella quotidianità terrena. Il passaggio dal futuro come destino divino al futuro come progresso razionale, ha consentito di approfondire la distanza tra vita privata e pubblica andando a costruire le società, ovvero l’insieme delle famiglie borghesi. Con questa tipologia di famiglia, il concetto di trasmissione assume la sua veste più esplicita. Ciò che la generazione attuale doveva trasmettere a quella futura era la capacità di dominare l’irrazionale, l’incerto. Tutto ciò consente di comprendere il travaglio che la pedagogia contemporanea ha attraversato per sottoporre a critica l’apparente naturalezza del nesso tempo, formazione, educazione. Infatti il discorso pedagogico dell’epoca presente, in un primo momento, ha richiamato il discorso moderno per proseguirne la visione graduale del tempo e dello sviluppo umano; in un secondo momento invece, ha messo in discussione la tradizione occidentale, giungendo ad una ridefinizione dei concetti di formazione e educazione. Se prendiamo in considerazione la concezione temporale, possiamo individuare sia la struttura generale della temporalità occidentale (dove lo sviluppo è un processo continuo) sia la sua declinazione moderna (la storia è il passaggio graduale dal passato dalla quale proveniamo ma dalla quale dobbiamo emanciparci al futuro). Questa concezione sulla rappresentazione tradizionale dell’educazione familiare che si fonda un duplice ordine: da una parte l’educazione trasmessa comprende un messaggio di emancipazione (sii differente da noi) dall’altro trasmette al bambino un modello da riprodurre (sii come noi). Questo doppio ordine mostra il carattere moderno della concezione contemporanea della cura educativa familiare dove, la formazione della generazione futura può avvenire solo se il sentimento di protezione che l’adulto prova verso il bambino derivi da una distanza che include un rapporto tra sapere e potere tutto a favore dell’adulto. La consapevolezza di tale rapporto ha permesso alla pedagogia contemporanea di ricostruire la storia della famiglia occidentale individuando la storia di una pedagogia nera, di violenza. In questo modo la pedagogia contemporanea è stata l’accumulo di teorie e pratiche educative. Tale cambiamento ha condotto la pedagogia contemporanea a riarticolare le strategia di cura educativa familiare e di trasmissione intergenerazionale (collega o contrappone generazioni diverse) ridisegnando la temporalità educativa che non è più lineare ma ricorsiva che intreccia passato, presente e futuro. Tornando alla trasmissione intergenerazionale, le pedagogie critiche, hanno l’obiettivo di individuare la reale posta in giorno dell’attuale ridefinizione del concetto di trasmissione, e cioè la possibilità di uscire dalla concezione di una temporalità uguale, in modo che la natura del tempo possa essere pensata come uno scorrere fatto di avanzamenti, ritorni e imprevisti che assumono una significato in relazione alle traiettorie personali e familiari. SECONDA PARTE: FUNZIONI GENITORIALI E TRANSAZIONI FAMILIARI 1.La genitorialità in contesti interculturali e interreligiosi: un’esperienza di formazione con madri immigrate a Napoli. In Italia è aumentata la presenza della popolazione straniera. L’immigrazione, fino a 20-30 anni fa, si è caratterizzata per la presenza si un gran numero di immigrati nord-africani uomini. Tra le regioni meridionali, la Campania è quella che registra il maggior numero di stranieri residenti, infatti le principali destinazioni sono le grandi città del sud Italia e in particolare Napoli. Diversi studi hanno evidenziato attraverso alcuni indicatori (l’aumento delle iscrizioni scolastiche da parte di alunni stranieri) come in quest’ultimo decennio, la Campania si sia trasformata da area di soggiorno temporaneo a regione con capacità di inserimenti più o meno stabili. Gli ultimi 15-20 anni hanno registrato un altro fenomeno immigrativo, caratterizzato dall’arrivo di uno straordinario numero di donne provenienti dall’est-europeo (Russia, Romania). Nel tempo, questi gruppi di immigrati, così diversi per usi, costumi, religioni, ma accomunati dal desiderio e dal bisogno di trovare lavoro e migliori condizioni di vita, si sono conosciuti, sostenuti e queste relazioni hanno talvolta, dato luogo a unioni che hanno generato figli. A Napoli è frequente incontrare famiglie di questo tipo, con uno, due, tre figli nati in Italia e che parlano italiano a scuola ma anche a casa. La centralità della famiglia è riconosciuta in ambito psico-pedagogico, infatti, è in essa che si sviluppa la dinamica appartenenza-identità, su cui si gioca il processo di individuazione del soggetto. Il termine famiglia rimanda ad un luogo fisico, un posto dove stare insieme, uno spazio protettivo in cui vengono soddisfatti i bisogni primari; la prima funzione importante è la funzione di cura e di protezione. Nello svolgimento di tale funzione, l’elemento critico sorge quando la relazione tra le sfide che la famiglia deve affrontare e le risorse che la famiglia possiede è inadeguata. Spesso questa inadeguatezza è invisibile agli occhi della famiglia poiché, dal loro punto di vista, queste coincidono con le pratiche condivise dalla loro comunità di appartenenza. In particolare, nelle famiglie immigrate, il terreno dello scontro tra valori, ideologie e regole è l’esperienza dei figli. La priorità allora diventa quella di creare ambienti educativi in cui le relazioni, puntino ad un legame costruttivo con l’altro allo scopo di un contesto sociale armonioso. Come sottolinea Bruner, l’appartenenza culturale offre una cassetta degli attrezzi, ossia un insieme di credenze, regole, valori e visioni del mondo su cui si fondano il conoscere e il fare esperienza. Importante non è dare al bambino o all’adolescente una cassetta degli attrezzi ma comprendere cosa contiene quella che il bambino sta utilizzando. Compito dell’educatore, insegnante e del genitore è quindi quello di partire dall’educare il bambino ad utilizzare in modo opportuno quegli attrezzi aggiungendone nuovi con l’esperienza. Questo processo già difficile, lo diventa ancor di più se i genitori del bambino sono portatori di ideologie e appartenenze diverse, e quando vivono in un Paese non loro, un Paese però che rappresenta il luogo a cui appartengono i figli. L’appartenenza rappresenta perciò i vincoli e la possibilità attraverso cui i soggetti affermano se stessi dell’art.8 della CEDU ha permesso alla Corte di Strasburgo di inserire all’interno del concetto di vita familiare anche le relazioni stabili e durature tra persone dello stesso sesso. Il Parlamento europeo, in diverse soluzioni, ha raccomandato agli Stati membri di non ostacolare il matrimonio di coppie omosessuali, garantendo loro genitorialità attraverso la possibilità di adottare e dando loro gli stessi diritti che spettano alle tradizionali famiglie eterosessuali fondate sul matrimonio. In Italia, il dibattito sulla regolazione delle coppie omosessuali, diventata legge nel maggio del 2006, accanto alla famiglia legittima basata sul matrimonio tra due persone di sesso opposto, ha introdotto le formazioni sociali ovvero unioni civili tra due persone dello stesso sesso unite però, tra loro, solo civilmente, nonché la normale regola di tutte le coppie di fatto. Eppure da noi, la piena accettazione delle famiglie diverse non è ancora compiuta, anzi incontra numerosi ostacoli. Tutto ciò investe la questione della genitorialità delle coppie omosessuali. Il tema dell’idoneità di un soggetto omosessuale ad adottare un figlio ha riguardato soprattutto la Corte europea dei diritti dell’uomo (Corte EDU),che ha escluso che l’orientamento sessuale dei soggetti omosessuali interessati all’adozione, possa essere vista come un impedimento. La Corte Costituzionale italiana si è pronunciata per la prima volta sulle unioni omosessuali, nel 2010, attraverso una serie di articoli che non consentono alle persone omosessuali di sposarsi con persone dello stesso sesso, ed ha ribadito inoltre l’unicità del modello familiare eterosessuale fondata sul matrimonio, precisando che, anche se il concetto di famiglia e di matrimonio non sono immobili, ma vanno interpretati tenendo conto anche dell’evoluzione della società, questa interpretazione non può arrivare al punto di modificare la norma. Quindi, compito di individuare forme di garanzia e riconoscimento per le unioni omosessuali, spetta al Parlamento. A distanza di due anni, quindi nel 2012 è intervenuta la Corte di Cassazione che nega alla coppia omosessuale il diritto di essere inserita all’interno dei registri della stato civile italiano. Per quanto riguarda il tema relativo alla possibilità per una coppia omosessuale di crescere ed educare un bambino fu importante la decisione presa dalla Corte di Cassazione nel 2013 sull’affidamento esclusivo del figlio minore alla madre convivente con un’altra donna. I Supremi Giudici non accogliendo la lamentela del padre secondo il quale era dannoso per il figlio essere educato da una coppia omosessuale, stabiliscono la validità dell’affidamento ritenendo che, crescere in una famiglia omosessuale non può avere ripercussioni negative sullo sviluppo del minore se questo non viene provato da dati scientifici. Nel 2008, il Tribunale di Bologna ha deciso che la condizione omosessuale di uno dei genitori non può essere uno dei motivi per la scelta restrittiva dell’affidamento esclusivo all’altro. Facendo riferimento alle norme sull’affidamento condiviso, i giudici bolognesi hanno evidenziato come l’omosessualità del genitore non sia un elemento che compromette il raggiungimento dell’affidamento condiviso. Infatti, per modificare la regola dell’affidamento condiviso, occorre che uno dei genitori risulti non idoneo all’educazione del figlio. Un esempio è quello del Tribunale per i minorenni di Catanzaro dove il minore è stato affidato esclusivamente alla madre poiché il padre, oltre ad essere alcolista e quindi non sarebbe stato un modello per il figlio, aveva più volte dimostrato di discriminare gli omosessuali. Perciò il rifiuto dell’affidamento condiviso è stato motivato dall’omofobia del padre. Dottrina e giurisprudenza sono d’accordo sul fatto che non sono le tendenze omosessuali a dire se una persona è capace o no di essere genitore. Non ci sono dunque ricerche scientifiche e dati di esperienza che affermano che vivere in una famiglia omosessuale sia dannoso per lo sviluppo del bambino. La democrazia consiste nel saper includere nella sfera del noi, persone diverse sa se stessi. Ogni legge quindi, deve inserirsi nei principi della democrazia e del pluralismo, per i quali la tolleranza e l’apertura verso la diversità sono elementi fondamentali alla base della convivenza civile. Il dibattito odierno si concentra proprio sulla possibilità per le coppie omosessuali di ottenere l’adozione, cosa che, il nostro ordinamento giuridico riserva solo alle coppie sposate. Il problema è che sono già molte le situazioni in cui gli omosessuale, senza ricorrere all’adozione, accolgono bambini. Infatti, come abbiamo visto prima, nel caso di un matrimonio fallito, nulla vieta alla persona che si è ricostruita una vita con una persona dello stesso sesso, di avere in affidamento un minore. Secondo la Corte EDU, deve sempre prevalere “il miglior interesse del bambino”. Infatti, l’interesse del minore deve sempre prevalere su quello del genitore e si sostanzia nel garantire al minore uno sviluppo in un ambiente sano. Quindi, come abbiamo visto, l’omosessualità non è una patologia ma una condizione personale. Tuttavia, la ricerca e la clinica non hanno evidenziato elementi preoccupanti per la crescita dei bambini allevati da genitori omosessuali. Il benessere del minore non dipende dall’orientamento sessuale del genitore, e anche se da un punto di visa l’orientamento sessuale del genitore non riguarda la sua competenza di essere genitore, da un altro punto di vista, si ritiene che per una corretta evoluzione, il minore ha bisogno sia della figura materna che paterna, in quando l’assenza di una delle due figure può generare profondi traumi. Il figlio ha diritto a godere della presenza di entrambi i genitori, di un rapporto stabile con entrambi anche in casi di crisi di coppia. È proprio la frammentazione dell’unità familiare che spesso lascia profonde ferite emotive nei figli. Ciò che segna il soggetto infatti sono gli atteggiamenti quotidiani e il clima che caratterizza la famiglia. Al bambino va riconosciuta la possibilità di sviluppare la propria personalità in un ambiente sano, in un’atmosfera di felicità, amore, comprensione, e deve essere preparato a vivere una vita nella società in spirito di pace, tolleranza, solidarietà, eguaglianza. I genitori, quando il figlio avverte il bisogno, la necessità del confronto, dell’ascolto, devono esserci, disponibili e presenti. Sicuramente, un bambino che convive in una famiglia omosessuale, trova più difficoltà di inserimento nei rapporti sociali, ma è anche vero che i bambini si adattano più facilmente a ciò che persone esterne ritengono condizioni dannose. Perciò la pedagogia deve iniziare ad occuparsi delle famiglie omogenitoriali, lasciando alle spalle un sapere educativo ricco di pregiudizi e credenze. 4.Le relazioni familiari degli adolescenti omosessuali nell’ottica della pedagogia dell’inclusione. Poiché fino ad ora abbiamo parlato dell’omosessualità, è importante adesso parlare delle relazioni familiari degli adolescenti omosessuali. Le specificità dell’orientamento sessuale ci permette di mettere a fuoco il tema scomodo della sessualità adolescenziale, infatti costruire la propria identità sessuale è un compito molto complesso e delicato per tutti gli adolescenti. La pedagogia dell’inclusione, che mira alla creazione di società più giuste e accoglienti per tutti, ci permette di affrontare il tema dell’identità sessuale, che apre la strada alla riflessione pedagogica proprio sul tema della sessualità giovanile. Per affrontare il tema delle relazioni genitori-figli nella fase adolescenziale, è importante considerare la famiglia come un luogo privilegiato della relazioni educative. Uno spazio diventa luogo quando viene segnato da alcuni confini, che nel caso della famiglia, non devono rappresentare delle barriere ma piuttosto essere considerati frontiere aperte, continuamente attraversabili. In questa direzione le relazioni familiari sono i ponti grazie ai quali è più facile attraversare questi confini. I confini/frontiere che caratterizzano le relazioni familiari adolescenziali sono: -Il Coming out: gli adolescenti che scoprono un orientamento sessuale differente dalla norma socialmente condivisa, mostrano un particolare interesse verso il riconoscimento da parte dei genitori. Il primo punto di partenza è il fatto che, sia in relazioni familiari facilitanti che ostacolanti, i ragazzi vorrebbero un diritto/dovere di condividere in famiglia questa fase di vita che nella maggior parte dei casi, gestiscono da soli. Questo dipende dal clima educativo familiare, infatti anche nei casi dove le figure adulte non ostacolano apertamente la formazione dell’identità omosessuale, nemmeno l’agevolano, anzi impediscono all’adolescente di aprirsi che, non riscontrando interesse da parte dei genitori, preferisce non parlarne. Il coming out è perciò il diritto e dovere di dire di sé: è il diritto di sentirsi accettati e riconosciuti, che si lega ad una sorta di dovere morale alla sincerità nei confronti della famiglia. È un bisogno dei ragazzi, alla quale spesso i genitori rispondono con un percorso terapeutico per tornare alla “normalità”. Questo tipo di risposta genera nei ragazzi la consapevolezza di quanta scarsa conoscenza ci sia sull’argomento. Perciò per poter definire educativo questo tipo di aiuto è importante la ricerca. Ciò che cambia in seguito all’evento biografico del coming out è l’intero sistema: non solo i genitori dovranno costruire nuove immagini di sé, del proprio ruolo educativo e del proprio figlio/figlia ma anche i ragazzi stessi saranno impegnati nello stesso processo e insieme, saranno coinvolti nella ristrutturazione della relazione. -La quotidianità: è una risorsa importante se si traducesse in vicinanza, possibilità di accompagnamento e attenzione. Viceversa, se vissuta come scontro e rifiuto si trasforma in un fattore ostacolante che spesso i ragazzi devono ingannare con le bugie, con il silenzio o spesso costruendosi una “doppia vita”, fatta di scuse da inventare per uscire con altri ragazzi o per fare esperienza del mondo gay. Un contesto familiare che vive con sofferenza l’omosessualità dei propri membri, ripercuote le sue difficoltà sul modo di vivere il presente, molto spesso infatti, in base ai meccanismi di colpevolizzazione, i genitori si concentrano più sul passato, cercando di capire cosa possa essere successo, nella speranza di fare qualcosa per evitare che il figlio diventi omosessuale. Questo, spinge gli adolescenti a desiderare di annullare il proprio presente, vivendo proiettati verso un futuro liberatorio. Il presente degli adolescenti alla prova con la propria identità sessuale può essere difficile da tollerare in alcuni contesti proprio perché quotidiani. Allo stesso modo anche per i genitori vivere l’omosessualità dei figli corrisponde ad un proprio fallimento educativo. Questa errata colpevolizzazione assieme alla scarsa conoscenza dell’omosessualità, portano i genitori a immaginare il futuro di questi ragazzi disastroso. -La trasmissione di valori e credenze: sulla formazione degli adolescenti incidono molto i valori e le credenze trasmessi dalla famiglia che infatti rappresentano uno dei motivi principali del conflitto. L’idea che l’omosessualità sia una componente privativa dell’identità, e che quindi gli adolescenti omosessuali siano destinati ad un futuro triste e di solitudine, non potendosi sposare e avere figli, condiziona molte delle rappresentazioni che i genitori hanno e trasmettono ai ragazzi. In questo modo la dinamica educativa in famiglia si interrompe nell’incapacità dei genitori di sostenere il cambiamento dei ragazzi, aprendo spazi distonici tra, ciò che i ragazzi apprendono attraverso le esperienze, e le rappresentazioni secondo stereotipi che hanno i genitori. Se alcuni rapporti restano fermi su questo divario, altri invece si modificano in quanto i ragazzi si sentono responsabili di educare i loro genitori, cercando di uscire dal conflitto. Per la pedagogia è dunque importante avviare una riflessione sulle identificazioni dell’omosessualità, in modo tale da cambiare il punto di vista dei genitori e renderli più consapevoli, così da permettere a genitori e figli di vivere in un futuro affettivo e libero da pregiudizi. Questi elementi considerati rappresentano opportunità educative per gli adolescenti rispetto ai temi legati alla sessualità a patto però, che vengano sostenute da un disegno pedagogico. Un primo dato pedagogico potrebbe essere la lacuna formativa dei genitori, che si trovano spiazzati di fronte a una realtà che non conoscono bene e soprattutto che non si aspettano. Un secondo aspetto pedagogico, di conseguenza al primo, è il modo di reagire della famiglia di fronte a questa situazione che non è in grado di gestire. La dimensione affettiva della vita familiare, rende la famiglia il primo luogo dove ogni ragazzo apprende e sperimenta le relazioni affettive e dove si assimila il modello di coppia dei genitori. Se le dinamiche educative presenti nella famiglia sono falsate, poiché caratterizzate dal non detto, le operazioni narrative e auto-narrative rischiano di compromettere la co-evoluzione della famiglia. Perciò la narrazione informale di sé e l’ascolto di quella altrui può rappresentare un punto di svolta per aiutare le relazioni familiare a diventare educazione globale degli e per gli adolescenti. TERZA PARTE: FAMIGLIE,CULTURE E SOCIETA’. dove il bambino si trova a vivere con il compagno della madre o viceversa e in questo caso non può attribuirgli il nome di matrigna/patrigno ma neanche quello di madre/padre. Come abbiamo già detto, le famiglie sono cambiate nella loro formazione, struttura e nel benessere dei figli. Infatti oltre ai tassi di fertilità diminuiti, a causa di percorsi di studi prolungati, l’incontro con la persona giusta, o il non sentirsi ancora pronti per questo passo, è importante sottolineare che sia uomini che donne prima di creare una famiglia vogliono stabilirsi nel mercato di lavoro, proprio perché vogliono garantire ai propri figli il meglio possibile. I figli però, rappresentano oggi un grande costo che molte coppie faticano a sostenere, poiché non sono supportate neanche dalla società che offre asili nido troppo costosi, e rimprovera alla donna l’assenza lavorativa per maternità nonostante siano riconosciute e tutelate dalla legge. Proprio per questo il problema sembra essere quello di non riuscire a conciliare l’aspirazione di vita lavorativa con l’aspirazione a formare una famiglia. Un altro problema riguarda poi le famiglia con una sostenibilità finanziaria precaria, poiché i redditi sono destinati, oltre che per la routine, gestione della casa e pagamento delle tasse, anche per le spese socio-sanitarie. A soffrire maggiormente sono le famiglie che hanno subito tagli al welfare, che hanno causato costi eccessivi per famiglie con redditi bassi o con figli disabili. Tale fenomeno ha contribuito anche ad aumentare le disuguaglianze e infatti è necessario ridefinire un sistema di welfare, possibile e sostenibile, e che abbia come obiettivo il ristabilire la questione sociale. Facendo riferimento a tutto ciò possiamo dire che la famiglia è un istituzione educativa che va riconosciuta, promossa e tutelata. Ci troviamo però di fronte ad una consistente carenza riflessiva della pedagogia per quanto riguarda le famiglie. Per rinnovare la prospettiva pedagogica sulla famiglia, possiamo partite dalla Teoria Generale dei Sistemi. La famiglia può essere studiata come sistema relazionale aperto e integrato, orientato verso traguardi di crescita e conforme a un prescelto stile di convivenza. Tutti questi mutamenti che hanno interessato la famiglia sono aspetti che possono essere investiti dal discorso pedagogico. È dunque importante tornare a sottolineare e affermare l’essenziale contributo offerto dalla pedagogia, sull’affermazione di valori rispettosi della persona e della sua relazione, sulla formazione delle nuove generazioni, sulla costruzione della società democratica, tutti elementi su cui incide la famiglia. 3. La famiglia tradizionale nella pubblicità: l’esempio Ikea. Oggi giorno, l’apprendimento, la formazione e anche la famiglia sono influenzati dai media, internet, la televisione e la pubblicità. Infatti la pubblicità utilizza delle strategie di comunicazione persuasiva finalizzata a raggiungere degli obiettivi. La famiglia nella pubblicità viene vista in un certo modo. Per capire meglio è stata svolta un’analisi sulla pubblicità dell’Ikea, dove troviamo una coppia eterosessuale alle prese con la scelta di una cucina. Vengono messe in risalto le caratteristiche della donna, impegnata con la cucina e la cura della casa, e dell’uomo, impegnato con il lavoro e portatore di caos. Viene messo in risalto l’importanza della condivisione dello spazio domestico, che struttura il rapporto di coppia. E alla fine emerge che nelle pubblicità, la famiglia tradizionale composta cioè da madre, padre e figli, ognuno dei quali ha specifici compiti, viene idealizzata e valorizzata. 4. Le famiglie omogenitoriali: opinioni e linguaggi a confronto. Per famiglie omogenitoriali si intendono quei nuclei affettivi composti da uno o più genitori omosessuali. Le famiglie omogenitoriali possono essere: di prima costituzione, ovvero quelle dove i figli nascono dal progetto di coppia omosessuale; ricostruite, quando la genitorialità nasce da una precedente relazione eterosessuale, a seguito di separazioni o divorzi. La parola genitore è caratterizzata da reciprocità, amore, accoglienza, risposta ai bisogni e capacità di ascolto. Le famiglie omogenitoriali sono oggetto di opinioni polarizzate, in quanto mettono in discussione l’unicità della famiglia tradizionale, composta da un genitore maschio e uno femmina. Ricerche scientifiche hanno dimostrato come non esiste nessuna differenza tra genitori omosessuali e genitori eterosessuali, in riferimento alla salute mentale e alla crescita dei figli. Non è quindi l’orientamento sessuale ad alterare lo sviluppo psico-affettivo dei figli. L’APA genera una serie di ricerche che servono a smentire una serie di preoccupazioni inerenti lo sviluppo della personalità dei figli di genitori omosessuali, facendo riferimento soprattutto alle madri omosessuali ed eterosessuali. Dalle ricerche è emerso che le madri lesbiche sono più orientate verso il bambino rispetto a quelle eterosessuali. Che, per una buona crescita, buona salute mentale e benessere, sono necessari figure di riferimento maschili, infatti le madri omosessuali divorziate consentono di più il contatto con il padre ai figli, piuttosto delle madri eterosessuali. È emerso anche che i figli di genitori omosessuali sono in grado di stabilire relazioni soddisfacenti con i pari e con gli adulti, tanto quando lo sono i figli di genitori eterosessuali. L’unica differenza è che, purtroppo i figli di coppie omosessuali sono soggetti ad atti di bullismo e a discriminazioni. In età infantile però, la derisione avviene per molti aspetti, come l’altezza, l’aspetto fisico e la disabilità, perciò l’orientamento sessuale è solo un motivo tra tanti. Il bullismo è subito da tutti i bambini che provengono da situazioni familiari diverse o sono portatori di diversità, perciò le difficoltà sociali dei figli di omosessuali, sono simili alle difficoltà dei figli di eterosessuali. Il problema dunque, sta nel modificare il contesto sociale. Il risultato che è emerso da un’altra ricerca è che ciò che accomuna una madre omosessuale single e una madre eterosessuale single, è la mancanza del padre e ciò che le differenzia è il diverso orientamento sessuale. Con queste ricerche si cerca anche di sfatare alcuni stereotipi, che si basano sull’idea che gli omosessuali seducano sessualmente i bambini e che l’omosessualità favorisca il contagio omosessuale. Ma il processo di costruzione dell’identità sessuale è così complesso e ricco di variabili da non poter essere ritenuto come una semplice imitazione. Da altre ricerche dell’APA è emerso anche che i bambini preferiscono i giochi in base al loro sesso, sia che abbiano la madre omosessuale che eterosessuale. Alla fine da queste ricerche è emerso che non è la madre ad influenzare il comportamento sessuale dei figli, ma piuttosto la società e la generazione in cui crescono. Infine, non è l’orientamento sessuale dei figli ad essere influenzato, ma un atteggiamento laico e più aperto verso la possibilità di orientamenti non tradizionali. Infatti in una ricerca è emersa la differenza che i giovani cresciuti con coppie omosessuali sono più propensi a sperimentare rapporti con persone dello stesso sesso. Come abbiamo già detto, le famiglie composte da genitori omosessuali subiscono una connotazione negativa, discriminazione causata da pregiudizi e stereotipi. Tali atteggiamenti influenzano anche il linguaggio, utilizzato per rappresentare socialmente l’omogenitorialità. Alla luce di ciò è stato fatto uno studio su come viene vista la famiglia omogenitoriale dai media e dalla famiglia. All’interno del web troviamo risultati differenti tra loro. Infatti dalle piattaforme web che non risultano a favore delle famiglie omogenitoriali, emergono stereotipi e pregiudizi. Invece i siti a favore, rappresentano veri e propri motori per la lotta dei diritti umani e la creazione di una democrazia che elimina le differenze. Per quanto riguarda i risultati emersi dalle famiglie tradizionali, anche qui troviamo stereotipi e pregiudizi. Infatti le forme familiari alternative al modello tradizionale vengono ritenute indesiderate. Lo studio ha evidenziato come il linguaggio rappresenta un insieme di atteggiamenti, pregiudizi, stereotipi e opinioni che se sono socialmente condivisi possono arrecare danno e violenze. Perciò studi e ricerche come questo, servono a favorire la prevenzione di bullismo e discriminazioni. La conoscenza di tali atteggiamenti nei confronti della diversità, potrebbe rappresentare il punto di partenza per un cambiamento, in modo da sostenere una consapevole cultura delle differenze che mira a considerare la diversità come ricchezza. La sensibilizzazione in riferimento agli orientamenti sessuali possono sostenere i gay, lesbiche, transgender ecc, in modo tale che non siano più vittime. Diventa dunque importante educare alla differenza già nelle scuole primarie, essendo luogo di inclusione. La presenza nelle classi di bambini e ragazzi che vivono in famiglie omogenitoriali può contribuire alla sensibilizzazione, ma può comunque creare difficoltà relazionali con dei commenti tipo: Allora sei una femminuccia”. In questo caso è importante l’intervento degli insegnanti per sostenere il bambino o la bambina. QUARTA PARTE: LA MALATTIA, IL DISAGIO: LA CURA DEL FAMILIARE 1. La famiglia di fronte alla malattia oncologica di un figlio. La famiglia fin dalla sua nascita si è’ caratterizzata come luogo garante di accoglienza, sostegno, cura, affetto, protezione, caratterizzato da solidarietà, reciprocità, e tra le caratteristiche fondamentali abbiamo quella che la famiglia è un qualcosa in continua trasformazione. L’esistenza e la sopravvivenza stessa della famiglia possono essere sconvolte da un evento terribile come la malattia. Una malattia come il cancro genera ansia e irreparabilità, accompagnato da dolore e sofferenza. Quando poi un tumore colpisce un bambino l’intero nucleo familiare subisce un attacco violento. Una diagnosi di cancro, comporta, non solo uno stravolgimento e un coinvolgimento della persona ammalata, ma anche di tutti i familiari, compresi fratelli, sorelle, nonni e così via, che possono rappresentare una risorsa quando i genitori devono supportare costantemente il figlio malato. La drammaticità di questo evento non riguarda solo la possibilità di una prognosi negativa, ma riguarda anche la difficoltà di accettare l’idea della morte di un bambino ed in particolare del proprio figlio. Il momento della comunicazione di diagnosi ai genitori avviene di solito dopo circa 48 ore dal ricovero. Fino al momento del colloquio i genitori sono sopraffatti da ansie, paura, angoscia, incertezza ma anche speranza che tutto ciò sia solo un brutto sogno. Anche per il medico è difficile comunicare la malattia ai genitori, poiché non è sempre facile gestire la reazione della famiglia e assicurarsi che tutto venga capito. Per questo motivo, il colloqui tra il medico e i genitori è spesso accompagnato da uno psicologo. In alcuni ospedali pediatrici, la comunicazione al bambino avviene senza la presenza di genitori, aiutandosi con diapositive e semplici domande e risposta. Si chiede poi al piccolo paziente di essere lui a spiegare ai genitori, con parole sue, quello che gli sta accadendo e cosa lo aspetta. Appena 7/10 giorni dalla comunicazione inizia il percorso di cura e si chiede ai genitori di collaborare, sostenendo il figlio. In questa fase, non è raro che i fratelli e le sorelle vengano in un certo senso abbandonati o esclusi, un po’ per la loro salvaguardia, un po’ perché i genitori sono troppo impegnati. È importante invece coinvolgere fin da subito fratelli e sorelle che devono partecipare al percorso di cura, poiché rappresentano la parte sana della famiglia. Da parte sua, il bambino/adolescente malato può facilmente accorgersi della situazione di confusione e incertezza e cadere anche lui nella disperazione e nella paura, soprattutto se genitori, medici e il personale sanitario non riescono a creare intorno a lui un ambiente sereno. È difficile immaginare come si svolge la vita di una famiglia all’interno di un reparto di oncologia pediatrica. La sensazione di essere stati catapultati quasi in un’altra dimensione è quella che più si avvicina a ciò che provano i genitori e i bambini ricoverati. I sogni, le abitudini, la quotidianità, subiscono un improvviso arresto e la cosa più avvilente è che non si sa se, come e quando si potrà tornare alla normalità. Nonostante ciò nella sofferenza si riesce a trovare uno spiraglio di luce. Sembra impossibile ma una volta accettata la situazione sia i genitori che i bambini riescono ad adeguarsi alla situazione. I genitori accettano di affidare il figlio nelle mani del medico che dimostra di poterlo proteggere e guarire. Intanto, un’équipe curante saprà coinvolgere comunque la famiglia nella gestione e nella cura del bambino. Durante i lunghi ricoveri, si socializza con le altre famiglie, con le quali si condividono pensieri positivi e negativi, cercando di alleggerire in qualche modo il peso del proprio problema. Ammalarsi di cancro però non significa perdere tutte le altre capacità fisiche, intellettive e psicosociali. Infatti tutti i bambini delle diverse fasce d’età hanno la possibilità di continuare la scuola, grazie all’istituzione della Scuola in Ospedale. In ospedale l’istruzione e la formazione devono tener conto del counseling con la famiglia è uno spazio di libertà che può permettere alle persone, di uscire dalla modalità di routine e abbiamo una triplice attenzione: verso se stessi, verso l’altro e verso le relazioni. Si parla quindi di una dimensione dell’ascolto e della cura verso l’altro e questo è appunto un approccio sistemico-relazionale quindi si tiene molto in considerazione la qualità delle interazioni e delle relazioni. Le nostre azioni inoltre, sono in relazione con quello con cui facciamo esperienza quindi è molto importante tener presente il contesto. Il counseling genitoriale può avvenire anche in contesti di gruppo in quanto le madri cercano il conforto con altre donne che vivono le stesse condizioni e sono presenti teorie implicite e teorie manifeste. Le teorie implicite, in particolare, danno luogo a saperi genitoriali che vengono trasmessi e acquisiti non intenzionalmente attraverso i gesti quotidiani, riti, e vi è un’assimilazione immediata. Il counselor, ovvero l’operatore che si occupa dei processi del consueling, deve avere cura della relazione e deve far si di avere la possibilità di guardare alla propria vita con nuovi occhi. La verbalizzazione è una pratica di riappropriazione del sé e delle proprie esperienze attraverso la conversazione e il confronto, che si conquista con l’equilibrio delle diverse dimensioni del sé e del rapporto con gli altri. I passaggi riflessivi si dividono in: un’individuazione di un evento specifico (scelta di un episodio); una descrizione di quella situazione (il contesto e il comportamento dei soggetti) e i comportamenti genitoriali e le motivazioni di quella situazione (la capacità di guardarsi agire e pensare). 2. Il paternage e le memorie familiari. Gli studi antropologici riconoscono la centralità della famiglia nella vita sociale, culturale ed economica delle diverse popolazioni umane e ne ricostruiscono la storia in sequenze evolutive. La famiglia infatti presenta diverse forme: -originarie e antiche: la famiglia patriarcale e quella matriarcale; -fondate sulla promiscuità originaria (poliandria; poliginia; monogamia); -primordiale promiscua cui seguono la famiglia consanguinea (matrimonio tra fratelli e sorelle), quella punalua (divieto di matrimonio tra fratelli e sorelle), quella sindiasmiana (nascita e fine spontanea delle coppie), quella patriarcale e, infine, quella monogamica. Con la svolta etnografica del XX secolo si rileva la pluralità familiare in tutta la sua multidimensionalità e complessità. Gli studi etnografici, infatti, hanno contribuito a far luce sulle famiglie. La “teoria dell’alleanza” e la visione incentrata sul matrimonio di Lévi- Strauss che riconosce il tabù dell’incesto (proibizione dell’endogamia, unioni fra persone appartenenti allo stesso gruppo sociale, e incoraggiamento dell’esogamia, l’usanza, o l’obbligo, di scegliere la moglie fuori dal proprio gruppo sociale) quale fondamentale premessa culturale degli scambi matrimoniali, della stabilità e dell’esistenza stessa della società. La famiglia italiana del primo 900 si basa sulla nuclearizzazione, quindi su una famiglia fascista che si basa sulla divisione dei ruoli, su una famiglia che è influenzata dall’industrializzazione e dall’urbanizzazione. Inizia poi a trasformarsi con la crisi dei costumi sociali e con i movimenti femministi degli anni 70 e con la riforma del diritto di famiglia del 1975. La famiglia quindi è in continua apertura e deve avere la capacità di gestire i cambiamenti. Oggi ci troviamo nella società dell’incertezza quindi c’è una frammentazione identitaria e bisogna quindi destrutturare l’essere per poi ristrutturarlo. Il parenting è l’etica dell’aver cura, ovvero una condivisione educativa tra i due genitori. La genitorialità si apprende per partecipare alla vita quotidiana , si apprende anche dai propri genitori e quindi non nasce all’interno dell’individuo. L’apprendistato genitoriale può però essere causa di conflitti, cioè l’idea di maternità e paternità ereditata dai propri genitori più quella quotidianamente agita in quanto madri o padri. Per quanto riguarda soprattutto il padre, questi sono preoccupati di non far si che i propri figli possano avere delle frustrazioni o fatiche. In passato il padre veniva vista come figura autoritaria, con la post modernità invece, si rimuove l’autorità e si parla di modelli di autorevolezza, cioè figure di riferimento che sappiano rispondere ai bisogni del figlio. La consulenza pedagogica è un intervento in famiglia che si deve consolidare dai saperi disciplinari, si deve tenere in considerazione la multidimensionalità dei problemi e bisogna lavorare con teorie implicite per poi esplicitarle e renderle consapevoli. Quindi il lavoro educativo è un processo di coscientizzazione alla genitorialità, dove lo scopo è quello realizzare una razionalità riflessiva. L’approccio riflessivo rende quindi i genitori attivi e consapevoli del proprio ruolo. Nel caso della paternità, per l’educazione dei figli, c’è la partecipazione dei padri alla vita familiare che chiedono permessi di lavoro o ferie. Si ha poi la riflessione, sempre come pratica dell’aver cura. Qui troviamo il paternage, è l’affermarsi di un bisogno di riflessione, quindi al padre viene chiesto di ridefinire il proprio ruolo nell’ottica di un recupero dell’affettività, della cura e della tenerezza. La consulenza pedagogica al paternage si riferisce ad un consulente pedagogico che deve facilitare l’ottica del recupero dell’affettività, cura e tenerezza. Deve facilitare la gestione di situazioni difficile, attraverso le relazioni, e che trasformi le rappresentazioni che il padre ha di sé e del suo ambiente. Quindi, questo consulente pedagogico deve far si che il padre conosca il proprio sé genitoriale, attraverso il dialogo. 3. L’educazione tacita ai sentimenti. L’esperienza permette una conoscenza del se e del mondo. L’esperienza si realizza in famiglia attraverso le pratiche affettive e di interazione. In particolar modo vediamo che i genitori attraverso il linguaggio e i loro comportamenti, fanno si che i figli interiorizzano quei simboli e quei significati, che poi faranno si che attraverso questi simboli potranno leggere la realtà. Quindi i figli interiorizzano i modelli e imparano a relazionarsi con l’esterno. La costruzione di sé avviene quindi all’interno del contesto familiare. I bambini esprimono continuamente i bisogni, facilmente collegabile alla fiducia poiché se si ha fiducia nel genitore è grazie alla qualità delle azioni che il genitore ha avuto nei confronti del bambino per far si che il bambino abbia fiducia in lui. La fiducia si basa anche sul rapporto fiducia/assenza dove l’assenza non è una sottrazione di attenzione ma serve per costruire l’affidabilità. Anche dal bambino quindi ci si aspetta fiducia e affidabilità. La fiducia quindi si sviluppa dal soddifacimento del bisogno del bambino. Quindi se il bambino esprime un bisogno e la famiglia lo soddisfa, nasce la fiducia. L’implicito è una forma di sapere in cui inconsapevolmente si regge la vita degli uomini. La funzione genitoriale è quella di interpretare i bisogni dei figli e quindi la capacità di essere in relazione. L’implicito non fa altro che condizionare il modo con cui si entra in relazione con altri. Per quanto riguarda le emozioni, possiamo far riferimento a Goleman, secondo il quale le emozioni, sono impulsi e non possono essere controllati. Riguardano sia l’organismo biologico, sia la conoscenza, sia le relazioni, e bisogna imparare a conoscerle tramite la mediazione della coscienza che dà loro significati. Dobbiamo distinguere poi le emozioni dalla coscienza, poiché le emozioni vengono viste come ambito della fragilità e incapacità di controllo, mentre la coscienza viene vista come ambito della razionalità e del controllo. Quindi è necessario che il genitore abbia un’attitudine alla riflessività e soprattutto una riflessività sulle proprie emozioni cioè tra la relazione tra il proprio pensare e il proprio sentire. Se manca questa connessione i gesti attuati non vengono sentiti come propri. Oggi la relazione tra genitori e figli si basa sulla necessità di riconoscere le proprie emozioni. Quindi la sfida è quella di saper utilizzare le proprie emozioni per costruire comportamenti validi. Le emozioni quindi sono viste come risorsa educativa. 4. La famiglia spezzata e le strategie di carning a distanza. genitorialità transazionale: Nel caso di bambini separati dai genitori, emerge l’importanza della storia, in quanto una discontinuità nella storia individuale e familiare provoca rottura e disorientamento. Questo avviene proprio nelle famiglie migranti che possono essere chiamate anche transazionali che hanno con sé la dinamicità, la flessibilità e la famiglia spezzata. --(Mentre in passato vi era una forma familiare omogenea attualmente si assiste ad una pluralizzazione delle famiglie. Nell’era della globalizzazione e con il fenomeno migratorio, il transazionalismo caratterizza la storia di molte famiglie in cui i genitori e figli sono costretti a vivere separati. Tale tipologia di famiglia viene definita famiglia transazionale o multi locale, dinamica e flessibile, è soprattutto una famiglia spezzata nello spazio fisico e nel tempo dei suoi componenti, ma impegnata a conservare un sentimento d’unione e mantenere vivi i propri legami.)-- La famiglia transgenerazionale si divide in: -famiglia puerocentrica, con figli ancora piccoli e madri lontane impegnate a mantenere un legame affettive e preparare un ricongiungimento nel nuovo Paese. e qui la figura genitoriale viene meno; -famiglia circolante impegnata in spostamenti frequenti tra i due Paesi tanto da escludere un ricongiungimento in quello d’accoglienza; -famiglia intergenerazionale : costituita da madri mature e figli più grandi con un progetto migratorio breve o finalizzato per un guadagno economico e ritornare poi nel paese d’origine. Viene fatta una ricerca condotta in Messico dove viene dato un significato diverso tra l’emigrazione materna e l’emigrazione paterna. A quella materna viene dato un significato di sacrificio e dolore. A quella paterna di legittimità per assicurare maggior benessere alla famiglia. Abbiamo due tipi di strategie: -la strategia di frontiering, forme alternative di accudimento di figli; -la strategia di relativizing, sostenere e alimentare i rapporti oltre i confini. A queste Ambrosini aggiunge la caring a distanza cioè il genitore cerca di assicurare ai figli rimasti in patria, cure materiali e protezione affettiva. Solo che il genitore non riesci più a dare protezione affettiva e quindi si parla di mercificazione dell’amore cioè la sostituzione degli atti di cura quotidiana con i beni quotidiani. Quando poi ci sarà un ricongiungimento, emergono anche dubbi, timori e speranze poiché la famiglia viene vista come mondo in crisi e non è più in grado di prendersi cura dello spaesamento del figlio. Tuttavia secondo alcuni studiosi si considera anomalo il funzionamento di queste famiglie poiché sono attraversate da uno sconvolgimento delle pratiche di cura che porta un senso di vuoto lasciato dalla caraviger riempito in parte dalla scelta di un caretaker cioè un parente vicino a cui viene affidata la separazione. In maniera particolare il ruolo genitoriale viene ricoperto dai nonni che a seguito della partenza della madre cercano di rimediare a questa assenza riorganizzando le loro vite per i nipoti. Questa pratica viene definita genitorialità distribuita. Con la madre allora viene a mancare il vero senso di famiglia. Si cerca di mettere in atto forme alternative di accudimento dei figli; quella che attualmente
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