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Rapporti Venezia e Impero Ottomano, Guide, Progetti e Ricerche di Storia Moderna

Relazioni tra Serenissima e ottomani nel corso del medioevo e dell'età moderna.

Tipologia: Guide, Progetti e Ricerche

2020/2021

Caricato il 17/04/2023

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Scarica Rapporti Venezia e Impero Ottomano e più Guide, Progetti e Ricerche in PDF di Storia Moderna solo su Docsity! 1 Pace e conflitti tra Venezia e Istanbul 2 Indice Introduzione. Capitolo 1. Da Venezia alla Sublime Porta, tra mito e realtà. 1.1 Venezia tra Impero Bizantino e autonomia. 1.2 Crociate. 1.3 Venezia e Istanbul; dalla caduta di Costantinopoli alla battaglia di Lepanto. 1.4 La guerra di Candia, verso la fine di due grandi potenze. Capitolo 2. Mondo turco e veneziano si osservano. 2.1 Al-bunduqiyya e l’Historia Turchesca. 2.2 Paura del turco e riconsiderazione tra XVI e XVII secolo. Capitolo 3. Rapporti internazionali, infrastrutture, commercio e contrabbando. 3.1 Dai primi mercanti ottomani al Fondaco dei Turchi. 3.2 Diplomatici veneziani a Istanbul. 5 Egitto più precisamente ad Alessandria riuscirono a portare nella città lagunare le reliquie di San Marco che divenne poi patrono e simbolo del Doge e della città. Questo avvenimento aldilà della componente mitica che propone l’azione di due mercanti che si spingono in terra nemica per compiere un “santo furto”, permette di comprendere che già nel IX secolo Venezia fosse a conoscenza delle usanze dei musulmani e che commerciasse con loro perché secondo quanto ci viene raccontato dal doge Andrea Dandolo nel 1343 nella sua Chronica: “Mentre trasportano [il corpo] alle navi, coperto di erbe e carni porcine, a coloro che chiedono [cioè i doganieri] cosa portano, mostrano quello; ma i Saraceni, inorriditi, gridano: «Ganzir, ganzir»[in arabo “maiale”]”. Oltre ad ingannare i musulmani in questo caso i veneziani infrangono una regola che viene loro posta dall’Impero Bizantino dal quale sono dipendenti e cioè quella di non poter commerciare con i paesi musulmani. Dal momento in cui a Venezia vennero portate le reliquie di San Marco si iniziò a venerare il santo e venne conseguentemente accantonato il culto di San Teodoro, di origine Bizantina. Il processo di allontanamento dalla sede imperiale attuato dalla città lagunare culminò l’anno seguente con l’assunzione da parte del doge del titolo di «dux Veneticorum» che lo portò a riconoscersi come sovrano della città veneta. 1.2 Crociate Il 27 gennaio 1095 Papa Urbano II pronunciò a Clermont il celebre discorso che diede avvio alla prima crociata, dando inizio a una serie di scontri tra mondo Cristiano e Musulmano. Venezia fu la più cauta tra le repubbliche marinare ad appoggiare il “pellegrinaggio”, come venne chiamato uno degli scontri più sanguinosi dell’epoca medievale. Questa timidezza da parte di Venezia iniziò a scemare quando venne compreso il vantaggio economico di tale spedizione: nel 1100 partì dalla città lagunare una grande flotta carica di missionari pronti a sbarcare in Terra Santa con la scusa da parte veneziana di recuperare un’altra reliquia, questa volta del santo protettore dei navigatori, san Nicola di Mira. In questo intervento e in quelli seguenti come quello al fianco di Goffredo di Buglione e successivamente del fratello di quest’ultimo, Baldovino, possiamo rintracciare il vero motivo che spinse la Serenissima a intervenire in questo scontro, infatti Venezia al fianco di Goffredo tra i vari privilegi ottenne quello di commerciare liberamente con il regno di Gerusalemme. L’azione veneziana nel contesto delle crociate quindi non parte da concetti o credenze religiose ma solamente da motivi economici, Venezia voleva porre fine al legame di sudditanza che aveva nei confronti dell’Impero Bizantino il quale le impediva di commerciare con i popoli che si affacciavano 6 sull’Adriatico e nel Mediterraneo in generale. Il fatto che Venezia non fosse mossa da motivazioni ideologiche particolari può essere compresa dal fatto che durante le crociate, e quindi nello stesso momento in cui tutta l’Europa Cristiana considerava i popoli tranquillamente a commerciare con i Saraceni a discapito poi della piazza di Bisanzio, creando non pochi problemi ai commerci dell’Impero. Venezia quindi già prima dell’età moderna inizia a notare nel mondo musulmano una zona commerciale molto solida nella quale vuole inserirsi in risposta anche a quanto stava succedendo in Europa e dalle pressioni a cui viene sottoposta prima da Bisanzio e dal papato nel corso del Cinquecento e Seicento. I regni Crociati che si erano venuti a formare durante gli scontri in Terra Santa si sgretolarono dopo la caduta di Acri nel 1291, ma questo non accadde per i le reti commerciali che i mercanti veneti avevano instaurato con gli stati islamici, queste venivano ostacolate solamente da decreti papali che proibivano il commercio con gli infedeli, ma Venezia riuscì sempre a “comprare” il permesso di continuare a commerciare. 1.3 Venezia e Istanbul; dalla caduta di Costantinopoli alla battaglia di Lepanto Un avvenimento molto importante cambiò nel corso del XV secolo l’assetto geopolitico se così possiamo dire dell’Europa e anche del mondo fino ad allora conosciuto: la conquista di Costantinopoli da parte degli Ottomani guidati da Mehmed II, passato alla storia come “Il Conquistatore”. Il 29 maggio 1453 venne sferrato l’attacco finale e la città venne conquistata e cambiò nome in Istanbul. La cosa interessante da notare è che in questo scontro Venezia era al fianco dell’imperatore Bizantino, ma nonostante la sconfitta l’anno successivo allo scontro la Repubblica aveva già siglato un nuovo accordo con il sovrano ottomano per mantenere la sua posizione in quella piazza commerciale, proprio come era successo quasi due secoli prima con la caduta dei regni crociati. Iniziò in questo momento un rapporto sempre in bilico tra la pace e il conflitto tra quelle che si confermeranno fino alla fine del ‘700 come le maggiori potenze del Mediterraneo. Il primo scontro degno di nota è quello che scoppiò nel 1463 e si concluse nel 1479, scatenato dalla Serenissima contro gli ottomani che portò le truppe turche a spingersi fino in Friuli, fatto che generò la cosiddetta “paura del turco”. In queste incursioni sappiamo che gli ottomani non usarono forze armate regolari, ma vennero inviati gli akinci, dei razziatori che avevano il compito di distrarre il nemico (spesso e volentieri nemmeno musulmani). Questi raggiunsero i territori della Serenissima varie volte fino al 1499. I veneziani in questi scontri si trovarono in difficoltà perché, da sempre abituati a combattere per mare, dovettero fronteggiare forze di terra oltretutto organizzate in maniera insolita: infatti 7 questi akinci seguivano l’antica organizzazione gengiskhanide2, che consisteva in unità di pochi uomini che raggiunto il luogo stabilito si disperdevano cercando di razziare quanto più bottino possibile. Venezia si vide costretta ad assoldare dei mercenari per fronteggiare questa minaccia: tra i più celebri gli Stradioti (di origine albanese) i quali ottennero buoni risultati. Questi scontri si conclusero nel 1502, anno in cui si arrivò alla pace con Bayezid II, sultano ottomano, dopo l’intervento di Francia e Spagna al fianco della Repubblica. Oltre al 1453, data in cui come abbiamo già detto gli ottomani riuscirono a prendere Costantinopoli, un’altra data è molto significativa per quanto riguarda i rapporti tra la Serenissima e la capitale ottomana: si tratta del 1571, anno in cui le due potenze si scontrarono nella celebre battaglia di Lepanto. Ma durante l’età moderna, subito dopo le incursioni turche nel Friuli, veneziani e turchi si trovarono a dover collaborare contro un problema comune, che per Venezia consisteva nelle pressioni degli europei con i quali confinava nell’entroterra e per gli ottomani nella persistente cultura dell’Europa Cristiana. La decisione partì dalla laguna dopo il 1509, anno in cui Venezia venne sconfitta duramente nella battaglia di Agnadello dalla lega di Cambrai formata tra le altre da Regno di Francia, di Aragona e Stato Pontificio, lo scontro pose fine alla politica di espansione della Serenissima verso ovest messa in atto in quegli anni. In questa occasione si può notare nuovamente che era negli interessi degli ottomani che la Repubblica continuasse ad esistere, infatti Bayezid II si mise subito a disposizione per eventuali aiuti. Il sostegno dalla Porta arrivò solamente nel 1513 quando salì al potere Selim I che inviò a Venezia l’interprete imperiale, Ali Bey. Alla fine l’alleanza non si concretizzò ma da parte turca vennero concesse forze militari ben organizzate, diverse da quelle che pochi anni prima avevano razziato il Friuli. I rapporti tra le due potenze si guastarono subito dopo la morte di Selim I, quando iniziò a farsi spazio la figura di Hayreddin detto “Barbarossa”, il quale contrastava sul mare l’egemonia della Repubblica. In questa situazione, con le tratte commerciali del Mediterraneo in pericolo la Serenissima si vide costretta a cambiare fronte allontanandosi dall’Impero Ottomano, affiancandosi agli Asburgo che nei secoli a seguire contrasteranno sia Venezia che gli Ottomani. Venezia allora entrò a far parte della Lega Santa al fianco dello stato pontificio, Spagna e Malta, la lega subì però una dolorosa sconfitta da parte Ottomana che portò i veneziani a stringere un nuovo accordo di page nel 1540 con i Turchi, questa volta molto svantaggioso per i primi. A questo punto siamo molto vicini alla battaglia di Lepanto, infatti nel 1566 salì al potere per gli ottomani Selim II che inizialmente rinnovò la pace con la Repubblica ma da subito rese 2 Maria Pia Pedani, Venezia porta d’Oriente, Bologna, il Mulino, 2010, p. 59 10 altre città molto influenti in quel periodo come Genova e Pisa e infine molto importante per ricostruire i rapporti tra veneziani e arabi abbiamo al-Maqrīzī, il quale visse durante il periodo mamelucco e fu quindi testimone diretto dei rapporti commerciali tra Venezia e Alessandria d’Egitto. Negli stati europei le notizie sul mondo arabo e turco sono invece molto lacunose, soprattutto a proposito dell’organizzazione politico-militare dello stato. Solo con le conquiste riportate dagli ottomani nel corso del ‘500 l’interesse degli europei verso questo impero aumenta, infatti divenne celebre nella seconda metà del XVI secolo l’Historia turchesca di Giovanni Maria Angiolello, che durante la prigionia a Costantinopoli descrive in maniera molto più articolata rispetto agli autori precedenti la struttura politica dell’Impero Ottomano. E’ noto però che nonostante l’attenzione verso gli ottomani aumenti durante il XV secolo grazie ad avvenimenti importanti come la caduta di Costantinopoli e le incursioni in Friuli di cui abbiamo già parlato, gli stati europei e in particolare Venezia non avevano ancora a loro disposizione un’immagine chiara di questo popolo. 2.2 Paura del turco e riconsiderazione tra XVI e XVII secolo. L’espressione “paura del turco” è molto semplice da interpretare: infatti subito dopo la conquista di Costantinopoli, avvenuta nel 1453 la Serenissima come abbiamo già visto si scontrò con l’Impero Ottomano e questo generò una vera e propria paura dei turchi: che si spinsero nel corso del XV secolo fino in Friuli. Questo sentimento all’interno della città lagunare è alimentato dalla consapevolezza di trovarsi difronte a un avversario nettamente superiore, specialmente in campo militare: per questo motivo e per salvaguardare i commerci, ritenuti di vitale importanza per la sua sopravvivenza, Venezia si schierò al fianco dei turchi e venne accusata dagli altri stati europei di tradimento, per aver messo da parte valori che univano il resto dell’Europa, come ad esempio la difesa della Cristianità. I veneziani consideravano la lingua turca inutile in Europa, considerazione che era il frutto della cattiva visione che il mondo veneziano aveva dei turchi in generale: infatti, solamente alcuni uomini politici sapevano parlare e scrivere in turco come, ad esempio, il sopracitato Giovanni Maria degli Angiolelli. Solamente con il finire del ‘500 si verificò un cambiamento a Venezia per quanto riguarda questo aspetto: venne infatti pubblicato nel 1580 un manuale per tradurre termini italiani in turco utile ai mercanti. Nel ‘500 quindi cambiò la considerazione degli ottomani da parte di Venezia, con Francesco Sansovino scrisse infatti la Historia universale dell’origine ed impero dei Turchi del 1560, in cui l’autore elogiò le capacità militari dei turchi, paragonandole addirittura a quelle dei Romani: sempre del Sansovino sono gli Annali turcheschi editi nel 1571 all’indomani della formazione della Santa Lega. Nonostante le 11 produzioni notevoli però nel Sansovino manca autonomia nella descrizione dello stato ottomano. Fu un testo della fine del secolo a riaccendere la propaganda anti-turca, l’Ottomanno del Soranzo, il quale diede spazio alla possibilità di una guerra tra Cristiani e turchi: qui è importante notare che Venezia ostacolò le idee di questo autore, ma non tanto perché sia effettivamente vicina ideologicamente all’Impero Ottomano. per capire il perché bisogna tenere conto del conteso in cui questo testo venne pubblicato: il testo del Soranzo venne pubblicato nel 1595 e finanziato da Papa Clemente VIII, la battaglia di Lepanto venne combattuta ventiquattro anni prima e Venezia, nonostante la vittoria, ne uscì mutilata di una posizione di dominio nei commerci del Mediterraneo, l’isola di Cipro. Questi elementi mettono in evidenza che Venezia ostacolò una propaganda anti-turca perché un eventuale appoggio a questa corrente avrebbe potuto creare un pretesto per un nuovo scontro con gli ottomani, che evidentemente la Serenissima non poteva sopportare, soprattutto perché l’aiuto spagnolo ricevuto a Lepanto non era così scontato in questa occasione. All’inizio del XVII secolo peggiorarono i rapporti tra Repubblica di Venezia e stato pontificio: infatti nel 1605 scoppiò la cosiddetta guerra dell’Interdetto, di cui il protagonista veneziano di questa vicenda fu Paolo Sarpi, teologo cittadino della Serenissima, grande sostenitore della supremazia veneta nel Mediterraneo, parlò dei turchi nei suoi scritti descrivendoli più leali e giusti degli spagnoli. Sarpi si schierò fortemente contro i gesuiti, Spagna e curia romana, sostenendo che le mire espansionistiche dell’Impero Ottomano erano note a tutta Europa, invece papisti e spagnoli agirono tramite l’inganno e cercarono di creare disordini negli stati con cui erano in competizione. Continuando con autori che hanno scritto dell’organizzazione ottomana tra ‘500 e ‘600 possiamo trovare Niccolò Contarini e Leonardo Donà, i quali furono molto colpiti dalla liberà di pensiero che ogni individuò poteva esercitare nello stato turco, in particolare il Contarini nelle sue Historie Venetiane sottolineò l’ «apparato dogmatico della religione»4, il giudizio positivo di questo autore però non ci deve indurre a pensare che le opinioni negative verso i turchi non esistessero più a Venezia in questi anni, anzi sempre in Contarini si ritrovano i tipici commenti negativi verso questo Impero, come ad esempio l’ozio dilagante, la scarsa educazione e la decadenza dell’organizzazione dello stato. Anche Leonardo Donà che si trovò a Istanbul nel 1585 come ambasciatore straordinario fu colpito dalla libertà di coscienza che si poteva trovare in Turchia. È interessante notare che per queste due personalità molto influenti all’interno della Serenissima fosse importante capire come interagiscono fede religiosa e potere politico 4 Paolo Preto, Venezia e i Turchi, Roma, Viella, 2013, p.190 12 nell’Impero Ottomano. Aumentò quindi alla fine di questo secolo l’interesse da parte dell’opinione pubblica veneziana per quanto riguarda l’organizzazione dello stato ottomano, molto importante è l’opera di Pietro Bertelli del 1599 dal titolo Vite de gl’imperatori de Turchi, in questo testo l’autore racconta la vita dei sultani che si sono susseguiti da Osman I a Maometto II. In questo caso si può notare che la qualità delle fonti utilizzate è molto buona, perché la descrizione degli usi e costumi, anche religiosi dei turchi è molto chiara. Nel corso del ‘600 un altro autore, Giovanni Sagredo tentò di descrivere la creazione del dominio ottomano, influenzato però dalla guerra di Candia. Le sue Memorie istoriche de’ monarchi ottomani seguono una prospettiva venetocentrica e risentono molto del fatto che Sagredo non fosse mai stato a Istanbul a conoscere il popolo turco direttamente. Anche in questo caso quindi manca un’immagine corretta dell’organigramma socio-politico dell’Impero Ottomano. Questo è il frutto di una conoscenza indiretta delle vicende e della popolazione, ma soprattutto del pregiudizio religioso che Venezia questa popolazione considerata barbara. Per continuare a parlare della letteratura veneta sui turchi della fine del XVII secolo possiamo partire da una data, il 27 Dicembre 1684, anno in cui venne fondata a Venezia l’Accademia degli Argonauti, fondata da Gian Battista Donà, bailo di ritorno da Istanbul in quell’anno e dal cosmografo Vincenzo Coronelli. Durante questa esperienza nacque nel Donà la voglia di iniziare a scrivere una letteratura sui turchi. In quest’opera vediamo come l’esperienza diretta giochi un ruolo importantissimo nella percezione di un popolo che si sente così lontano: infatti, se con il Sagredo abbiamo una descrizione poco precisa a causa delle testimonianze indirette, qui si trova un testo che viene scritto da un esponente politico che per quattro anni ha vissuto a contatto con il popolo turco. Il Donà ammette che inizialmente questo popolo fosse senza istruzione perché i primi sovrani impedivano al popolo la lettura del Corano, in quanto erano spaventati dal fatto che la popolazione potesse rendersi conto degli errori contenuti nella loro religione, ma con il passare dei secoli e con i mutamenti avvenuti all’interno dell’Impero le cose cambiarono. Donà sosteneva infatti che il popolo turco avesse una propria cultura, durante il sui bailaggio entrò in confidenza con molti uomini di legge ottomani scoprendo che anche loro possedevano una loro cultura. Nonostante questo iniziale cambiamento di rotta il Donà rimase comunque molto patriottico per così dire, affermando che gli Europei possedevano molta più cultura dei turchi, descrivendo il grado di istruzione dei turchi in questi termini; «mezzana coltura d’animo». Il lavoro del Donà risultò decisivo per quanto riguarda il cambiamento di opinione di Venezia nei confronti degli ottomani; si trattò però solamente dell’inizio di un processo che si svilupperà in maniera più articolata nel corso del XVIII secolo anche nel resto dell’Europa, che porterà ad uno studio più approfondito del 15 in città durante le ore notturne, che venne spesso aggirato tramite permessi speciali e che cessò praticamente di esistere con il passare degli anni, soprattutto nel Settecento. Con la creazione del fondaco le merci portate dai turchi dovevano essere subito sdoganate al fondaco, soprattutto per evitare azioni di contrabbando, molto frequente nel corso del XVII secolo. Si possono distinguere sostanzialmente due tipi di contrabbando tra veneziani e ottomani: il primo tipo prevedeva il mancato pagamento dei dazi previsti per l’esportazione e l’importazione, mentre il secondo riguardava il commercio di beni proibiti; infatti esisteva una lista di merci che non erano consentite, tra cui armi di vario genere come nel caso avvenuto nel 1739, in cui il sultano proibì l’esportazione di cavalli, palle di piombo e armi. 6. Molto spesso il divieto di esportare merci era solamente in una direzione, quella Venezia- Istanbul e non il contrario perchè i veneziani erano più abili nel fabbricare armi: il sultano proibì più volte l’esportazione di cavalli arabi, molto utili per i combattimenti in luoghi caldi. Altra merce che fece la sua comparsa nel Cinquecento fu il tabacco, produzione a lungo contrastata da Mehmed IV: dopo la sua morte la produzione del tabacco divenne centrale nell’Impero Ottomano, tanto che si diffuse l’espressione «fumare come un turco». Momento cruciale per i commerci e le relazioni umane collegate ad essi tra Serenissima e Porta fu la pace di Passarowitz del 1718, in virtù della quale Venezia perse il controllo sul golfo e le relazioni tra le due classi dirigenti cessarono, limitandosi ad interventi sporadici in caso di situazioni molto gravi. Gli equilibri geopolitici prendevano ormai una direzione differente rispetto ai secoli precedenti, con l’ingresso nella scena di uno stato che divenne poi protagonista, la Russia. 3.2 Diplomatici veneziani a Istanbul Come si è già visto i mercanti veneziani crearono contatti stabili in Oriente già nei primi secoli del Medioevo, molto prima quindi della conquista di Costantinopoli da parte degli ottomani avvenuta nel 1453. In determinate situazioni, soprattutto in città cristiane vediamo durante il medioevo la formazione di quartieri veneziani, come accadde ad esempio a Trebisonda . La caduta di Costantinopoli rappresentò un momento decisivo per i rapporti tra veneziani e ottomani, i mercanti veneti strinsero subito alleanze con i nuovi dominatori della città, che iniziarono a dare nuova forma alla loro capitale. All’inzio del Cinquecento i baili veneziani iniziarono a soggiornare nella periferia di Galata , successivamente il loro edificio prediletto diventò quello situato nelle «Vigne di Pera», dal momento che si trovava in una 6 Maria Pia Pedani, Venezia porta d’Oriente, Bologna, il Mulino, 2010,p.238 16 zona isolata e al sicuro dalle epidemie di peste che spesso e volentieri colpivano la città turca. L’immobile venne acquistato solamente del 1672 dal bailo veneziano Giacomo Querini che intendeva evitare le contestazioni di vario tipo verificatesi negli anni precedenti, quando l’edificio era di proprietà della famiglia dei Salvago. Al seguito dei baili in queste missioni diplomatiche troviamo varie figure che svolgevano precisi compiti, tra questi troviamo gli interpreti, figura fondamentale in quanto il bailo non conosceva il turco. La figura del dragomanno era quella utilizzata durante gli incontri ufficiali, spesso rappresentata da una persona che, originaria di quei territori, conosceva molto bene la lingua e le usanze del posto. Il problema linguistico è molto importante: collegato direttamente al disprezzo del mondo turco, è la causa della mancanza di notizie sulla cultura ottomana da parte di mercanti e viaggiatori in genere. La figura del dragomanno trovò fortuna proprio nel pregiudizio anti-ottomano esistente a nella città lagunare. Venezia, infatti si vide costretta ad assume ebrei e cittadini di Ragusa, l’attuale Dubrovnik 7. La carriera da dragomanno oltretutto non era ben vista tra i giovani veneziani, i quali erano costretti al trasferimento nella capitale ottomana per apprendere la loro lingua, lontani da casa e inseriti in una società in cui sentivano mal voluti, dal momento che la situazione diplomatica poteva cambiare repentinamente in base ai conflitti che si generavano tra Venezia e Impero. Per tutto il Cinquecento e il Seicento quindi i baili veneziani continuarono a lamentare la precaria preparazione dei pochi dragomanni che avevano a disposizione e l’idea di una scuola di lingua turca a Istanbul non riscosse mai tanto successo perché considerata una condanna per i giovani che venivano mandati li a studiare. Il già citato Giambattista Donà durante la sua carica di bailo pensa di affidare ad Ibrahim Achmet, un albanese che aveva servito per anni la Porta, il compito di indirizzare i giovani cittadini della Serenissima allo studio della lingua turca , è tuttavia necessario attendere il 2 ottobre 1706 per vedere questa scuola in attività. Per quanto riguarda l’attività del dragomanno sappiamo che non ne esisteva solamente uno, ma ne coesistevano vari, dipendenti dal dragomanno a capo dell’ufficio interpretativo 8. Per quanto riguarda invece la scuola per dragomanni è importante dire che Venezia ne istituì una a Costantinopoli nel 1551: i ragazzi all’interno di questo istituto erano seguiti da un maestro chiamato cozzà e rimanevano in città per sette anni. Il problema della lontananza da casa per i giovani provenienti da lontano favorì quelli provenienti dalle famiglie greche che andarono a formare, nel corso del tempo una vera e propria casta e iniziarono a trasmettere il titolo ai 7 Ragusa svolse il ruolo di scalo commerciale in Età Moderna tra territori veneti e ottomani. 8 Maria Pia Pedani, Venezia porta d’Oriente, Bologna, il Mulino, 2010, p.162 17 parenti. La vita del dragomanno rimase sempre molto difficile, dal momento che per gli ottomani la casa bailaggia rappresentava il centro principale dello spionaggio veneziano in terra ottomana: possiamo ricordare il caso di Matheca Salvago, dragomanno avvelenato tra il 1592-93 dalla Repubblica per averla tradita ed essere passato dalla parte del nemico.
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