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Milano degli Anni '50: La Città Cantante di Jazz, Canzoni e Cabaret, Tesine universitarie di Storia Della Musica Moderna E Contemporanea

Cultura e Società Italiana negli Anni '50Storia del JazzStoria della musica italiana

Questo documento racconta la milano degli anni '50, una città in transizione tra la tradizione e la modernità, che si distingue per la sua viva voce musicale. Milano era uno dei principali poli musicali italiani, con editori, autori e cantanti che contribuivano a diversi generi musicali, tra cui jazz, canzoni popolari e musica leggera. La città era in piena espansione notturna e ospitava importanti jazzisti e cantanti. La nascita e lo sviluppo del jazz a milano, la vita notturna e i cabaret, e la relazione tra la musica e le arti.

Cosa imparerai

  • Che ruolo ha Milano giocato nella vita musicale italiana negli Anni '50?
  • Che generi musicali Milano ha contribuito a sviluppare negli Anni '50?
  • Come la scena jazzista di Milano si è evoluta negli Anni '50?

Tipologia: Tesine universitarie

2020/2021

Caricato il 07/01/2022

sabina.ganora
sabina.ganora 🇮🇹

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Scarica Milano degli Anni '50: La Città Cantante di Jazz, Canzoni e Cabaret e più Tesine universitarie in PDF di Storia Della Musica Moderna E Contemporanea solo su Docsity! La Milàn degli anni ‘50, non ancora inghiottita dall’urbanizzazione, raccontava tra nostalgia e semplicità di leggende, di quotidianità e di canzonette grazie alla parola degli anziani che popolavano le piazze e i bar. Era la voce dei milanesi, la parte impoverita della città, dei figli degli operai di Sesto San Giovanni e del Giambellino malavitoso, che si contrapponeva al Pirellone e alla nuova Metropolitana. Milano infatti stava cominciando il suo percorso verso la City Life e iniziava ad avere un ruolo fondamentale anche dal punto di vista dell’editoria musicale. Basta notare che al termine delle presentazioni di ognuna delle venti canzoni in gara al Festival di Sanremo del ‘52, annunciati i nomi degli autori e degli editori, quindici editori erano di Milano. La capitale meneghina era quindi destinata a sostenere l’editoria musicale. Per una buona parte dell’ultimo secolo infatti Milano è stata uno dei centri principali, o dei più significativi poli di attrazione, dell’intera vita musicale italiana, nei più diversi generi, non escluse anche le musiche di tradizione orale, che hanno trovato in essa uno dei luoghi più importanti per la ricerca. Ancora sotto le fatiche del dopoguerra, Milano cercò di emergere dall’ombra musicale che subiva dalla canzone popolare napoletana e romana. Nella città meneghina infatti già negli anni ‘30 emerse la coppia Bracchi- D’Anzi, il primo, sceneggiatore, regista e paroliere, e il secondo, talentuoso compositore e musicista. Insieme formarono una vincente coppia di autori musicali che tra gli anni 730 e ’50 divenne simbolo della tradizione popolare milanese. Scrissero per le radio, per alcune riviste, per il cinema e molte delle loro canzoni divennero grandi successi. Tra i titoli più famosi Nostalgia de Milan, Casetta mia, Ma le gambe, Bambina innamorata e Valzer spensierato. Il brano più famoso di questo periodo però fu composto solo da Giovanni D'Anzi: si tratta della celebre O mia bela Madonina, canzone-simbolo per i milanesi, che era impegnata ad esaltare la laboriosità e l'ospitalità dei cittadini della capitale lombarda e che voleva contrapporsi fermamente alle canzoni napoletane e romane in voga in quegli anni. Ma sull’esempio di Bracchi-D’Anzi ci furono molti altri autori, come Vittorio Mascheroni, con Stramilano e Passeggiando per Milano, e come la coppia Rastelli- Ravasini, caposcuola di un filone denominato alla milanese, con La famiglia Brambilla e I pompieri di Viggiù. La maggior parte delle melodie erano a tempo di mazurca, ma a volte si esprimevano in ritmi più modaioli per l’epoca, come il tango o lo slow, mentre i testi spesso erano in scritti in dialetto, con un tono che poteva variare dallo scherzoso all’intimistico, e avevano l’obiettivo sincero di esprimere con orgoglio l’appartenenza municipale meneghina. Gli anni ’50 segnarono un’importante svolta sia per quanto riguarda le tematiche delle canzoni sia per il taglio musicale che assunsero. Una cospicua parte dei brani cantava il mondo del lavoro, delle professioni tipiche, quasi emblematiche, di un passato nemmeno troppo lontano. Non mancavano canzoni legate a temi sociali, anche in una dimensione più intima, come i titoli di rinuncia all'amore per questioni di etica sociale. Un altro argomento spesso ricorrente era quello del cambiamento della città meneghina, nella quale tradizioni e storia stavano sempre di più scomparendo, in un triste processo di perdita d’identità. Importanti erano i brani legati alla malavita milanese, quella che un tempo, circondata da un alone quasi romantico venuto a mancare negli anni tetri del terrorismo, era soprannominata Ligera, simbolo di periodi di povertà e operosità. Gli attori, autori e cantanti milanesi erano in fermento, come gran parte della società progressista giovanile, e su quest’ondata di insofferenza e contrapposizioni cominciarono ad esibirsi nei primi cabaret davanti ad un ristretto numero di borghesi illuminati, ma anche davanti agli esponenti della "mala". Durante gli anni ‘50 a Milano cominciò ad espandersi la mondana vita nottuma. Nacquero locali nuovi, mentre alcuni di quelli che in passato avevano ospitato le prime jazz band italiane lasciavano il posto ai nuovi simili night club angloamericani, altri diventarono discoteche e i più dediti alla musica dal vivo si impegnarono a mantenerla viva. Il capoluogo lombardo in quegli anni si impegnava ad ospitare grandi protagonisti della musica jazz, come Chet Baker o Jerry Mulligan, che spesso collaborarono con musicisti di origine milanese. L’elenco dei jazzisti milanesi di nascita o di adozione era numeroso: tra i nomi più importanti c'erano certamente Franco Cerri, Enrico Intra, Gianfranco Intra, Glauco Masetti, Gianni Basso, Dino Piana e Giorgio Gaslini. La scena del jazz però, per molto tempo considerato popolar music, e quella della “musica leggera”, che comprendeva i più vari generi, dal rock and roll alla canzone tradizionale, sembravano essere in continua osmosi. Tant'è che negli stessi locali nottumi e negli stessi complessi potevano trovarsi personaggi esponenti del jazz e nomi di cantanti e strumentisti facenti parte dei nuovi generi. La Milano che di giorno correva, la notte si fermava, attenta ad accogliere nuove proposte artistiche di ‘una città che si rinnovava nella sua capacità creativa e nei modi di esprimerla, e quella borghesia illuminata che amava divertirsi nei locali della moda sembrava felice di essere satireggiata. Gli spettacoli duravano fino all’alba e fino ad allora gran parte degli artisti, degli scrittori, dei giornalisti e di tutti i professionisti che potevano tomare in studio in tarda mattinata, rimanevano lì. Sulle pedane di questi nuovi locali si mescolavano canzoni popolari e in lingua dialettale, canzoni nuove, d’espressione, di satira e dal contenuto umoristico a volte surreale, ma anche monologhi, sketches e le nuove proposte di comicità di Paolo Villaggio, Cochi e Renato, Franco Nebbia, dei Gufi e di tanti altri. Era il “fenomeno Cabaret”. Cochi e Renato iniziarono nel ' 58, quando Mantegazza senti delle importanti risate del pubblico nell'osteria di fianco alla sua galleria d'arte per un gruppo di amici che si esibivano tra gag e chitarre e decise di aprire il Club 64, in via Santa Sofia. Le stelle nascenti del cabaret milanese si distribuirono tra il Club 64, il Santa Tecla, il “Lanternin” che fu la prima sede dei Gufi, il Nebbia Club e il nuovo Derby. A Cochi e Renato si affiancarono presto i Rocky Mountains, con Enzo Jannacci, Giorgio Gaber, Tony Dallara e Ghigo Agosti, che si esibivano già da tempo al Santa Tecla, e appena dopo Felice Andreasi, Lino Toffolo e Bruno Lauzi. Insieme questi nomi formavano il “Gruppo Motore”7. Enzo Jannacci, il giovane dottore e poi cabarettista di Milano, che si esibiva già occasionalmente al Derby club, lì trascinò tutti in quel teatrino di viale Monterosa. Il Derby era stato aperto nel ‘59 da Gianni Bongiovanni e sua moglie, che accoglievano tutti con uno spirito caldo e sincero e che avevano a disposizione un insolito tecnico delle luci, il figlio della cognata del “Bongio”, Diego Abatantuono. Al primo piano c’erano i tavoli apparecchiati della zona ristorante ad accogliere i clienti, mentre nei quarantacinque metri quadrati che costituiscono lo scantinato, spuntavano divanetti e puff neri. In fondo alla sala, una pedana sorreggeva un pianoforte e una batteria. Una sera quel pianoforte nero lo suonò Enrico Intra, uno dei maggiori jazzisti italiani, a cui i gestori dedicarono il nome del locale: Intra Derby Club. Il nuovo locale prima di chiamarsi Derby infatti (in riferimento all’ippodromo di San Siro che lo affiancava) aveva cambiato diversi nomi: prima Gi-Go, poi Whisky a gogò e dopo Intra Derby Club. La presenza di Intra nel locale aveva attirato “pezzi grossi” come Charles Aznavour, John Coltrane e Quincy Jones, solo per citarne alcuni. Il jazz quindi è stato senza alcun dubbio uno dei generi musicali più iconici del novecento. La carica rivoluzionaria e sperimentale di questo tipo di musica ha portato e promosso nel mondo alcune tra le maggiori innovazioni musicali che caratterizzano tuttora la nostra quotidianità. Basti pensare che molti degli strumenti musicali, che sono diventati poi vitali per le sonorità dei nostri tempi, sono nati, si sono sviluppati e si sono primariamente affacciati al grande pubblico grazie al jazz, quali ad esempio la chitarra elettrica e la batteria. La storia di questo genere musicale tuttavia non è tra le più felici in quanto nel paradosso delle sue radici, essendo nata e sviluppatasi attraverso una stretta relazione ed influenza reciproca tra la musica popolare afroamericana e quella della tradizione eurocolta, si trova ad essere contemporaneamente tanto amata quanto odiata ovunque nel mondo. Indubbiamente è un genere musicale che appartiene, se non addirittura fonda, alla tradizione americana, pur tuttavia evolvendosi grazie alla sua carica volta ad una continua ricerca e sperimentazione di nuove influenze e relazioni con le più disparate culture in giro per il mondo. È motivo di orgoglio per me sapere che gli italiani sono stati uno dei popoli chiave nello sviluppo del jazz lungo il suo intero sviluppo. È infatti a Nick La Rocca, un italo americano di origini
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