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Re inventare la famiglia, Schemi e mappe concettuali di Pedagogia

pratiche di psicologia familiare applicate chiaro riassunto di pedagogia/psicologia della famiglia

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2015/2016
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Caricato il 10/01/2016

polposo123
polposo123 🇮🇹

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Scarica Re inventare la famiglia e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Pedagogia solo su Docsity! RE-INVENTARE LA FAMIGLIA Prima Parte CAPITOLO 1 (Laura Formenti) La famiglia, per un educatore sistemico, è come una rock band. Questa metafora è molto interessante perché ci permette di capire che all’interno di ogni sistema familiare ogni membro cerca di trovare la sua voce, ma l’insieme avrà comunque un sound inconfondibile, che noi abbiamo chiamato “senso del Noi”. Ogni familiare ha un timbro unico, personale, e il modo peculiare in cui si amalgamano e armonizzano i vari timbri ci dà il Noi. La famiglia è un sistema. Ma che cos’è tecnicamente un sistema? E’ un aggregato di parti interagenti, ciascuna delle quali può esistere in sé ma è interdipendente dalle altre e dal tutto secondo determinate leggi e regole. Un sistema è caratterizzato da totalità: è un tutto inscindibile, e questo vuol dire che se una parte cambia o viene danneggiata, tutte le parti sono coinvolte. Ogni sistema è omeostotatico: ha un equilibrio che non è fisso, ma è metastabile (si mantiene attraverso un continuo processo di retroazione negativa). Ogni sistema è caratterizzato poi da retroazione e circolarità e da equifinalità (due sistemi partiti da condizioni iniziali diverse possono raggiungere lo stesso risultato finale, e condizioni iniziali uguali possono produrre risultati diversi). Queste sono tutte caratteristiche che ritroviamo nel sistema-famiglia. Quindi un educatore, per comprendere una specifica famiglia, non potrà limitarsi a capire e studiare le intenzioni, le azioni e i valori dei singoli membri, ma dovrà cercare di farsi orecchio sulla musica suonata da tutta la famiglia, dovrà ascoltare attentamente e concentrarsi sulle relazioni familiari. E’ riduttivo spiegare i comportamenti umani attraverso i vissuti individuali, bisogna guardare quello che accade tra le persone. Bisogna capire poi che la famiglia è un’opera collettiva, incompiuta e sempre in costruzione, in cui tutti danno un contributo attivo. I ruoli possono cambiare ed esistono dei copioni familiari in ogni famiglia (un copione è un insieme di aspettative condivise dalla famiglia di come i ruoli debbano essere rispettati all’interno di contesti differenti). A volte i copioni finiscono per creare veri e propri personaggi su cui i membri familiari si sintonizzano (il pigro, il genio, la pecora nera ecc). Sono importanti anche i rituali familiari, che realizzano apprendimenti espliciti e impliciti e implicano una serie di messaggi su chi è quella famiglia e su chi sono i suoi membri (per es. cucinare tutti insieme). L’educatore per farsi orecchio sul sistema familiare deve partire da ciò che per prima cosa lo qualifica, cioè la convivenza. La casa è un simbolo molto forte del Noi e anche del sé, è il luogo dove possiamo essere noi stessi, dove sono scanditi i tempi e i ritmi condivisi della famiglia, è uno spazio di interazione che l’educatore deve imparare a osservare con curiosità e con rispetto, senza giudicarla o analizzarla . Ogni famiglia ha il suo stile di convivenza, il proprio modello. Questo però non vuol dire che l’educatore debba adottare una posizione di relativismo culturale: lo sguardo sistemico va oltre il relativismo, per adottare una postura relazionale e costruttiva, sempre attenta alle possibilità di evoluzione della famiglia in questione (quindi se in una famiglia i figli vengono picchiati perché fa parte della cultura familiare, l’educatore sistemico non può accettarlo sulla base del relativismo, perché non sono rispettate le possibilità evolutive della famiglia.) Ma cos’è il Noi familiare? Ogni famiglia è portatrice di una sua logica, di un’identità, di una cultura. Ma chi decide che una famiglia è un Noi? Per comprendere il senso del Noi bisogna osservare con occhi curiosi ciò che accade nella famiglia stessa, e in particolare quale rapporto sussiste tra la famiglia praticata e la famiglia rappresentata, cioè tra come la famiglia è quotidianamente nel suo habitat naturale e come noi osserviamo e raccontiamo la famiglia. Quindi 1 se vogliamo comprendere il senso del Noi il primo quesito da sciogliere è: chi è l’osservatore della famiglia e quale idea di famiglia sostiene il suo sguardo? Nessuna osservazione può prescindere dalla soggettività di chi osserva, e quindi l’educatore deve diventare consapevole del suo sguardo e bravo a mettere in parole ciò che si presenta ai suoi sensi. Deve diventare in grado di riprodurre la scena osservata cogliendo il senso della “danza familiare” a cui assiste. Il senso del noi si appoggia quindi su uno sguardo che abbraccia, celebra, conpartecipa e soprattutto com-pone, cogliendo la danza interattiva dei membri della famiglia e non solo i singoli comportamenti. La famiglia in quanto sistema è caratterizzata da coerenze, ridondanze (cioè ripetizioni di mosse, schemi e modelli)e interdipendenze. Ognuno dei componenti della famiglia si muove e si trasforma in relazione agli altri, e questo rende la famiglia un corpo, in cui sono visibili le interconnessioni. La famiglia reale si mostra, come se fosse su un palcoscenico, ogni volta che agisce concretamente (ad esempio al momento del pranzo). Altrettanto importante è la famiglia simbolica, cioè le immagini, le storie e i simboli che usiamo per rappresentare la famiglia reale. Le rappresentazioni simboliche sono definite da Caillè e Rey “oggetti fluttuanti”: danno forma a qualcosa che trascende il singolo, cioè il sapere familiare, che è mobile, intuitivo e poco formalizzato. Gli oggetti fluttuanti rappresentano il Noi, creando uno spazio intermedio nel quale si può essere creativi e vedere le relazioni in una luce nuova. Non hanno un significato univoco ma propongono un senso del Noi che è dinamico, sempre in movimento. Non bisogna pensare che il senso del Noi sia qualcosa di monolitico e compatto: esso è nella continua trasformazione, nella con-posizione dialogica e nel riconoscimento delle differenze. CAPITOLO 2 (Beppe Pasini) Oggi il termine famiglia si presta a essere declinato in molte sfumature. La visione della famiglia come qualcosa di monolitico e rigido è ormai entrata in crisi: negli ultimi 35 anni i matrimoni si sono dimezzati, le separazioni sono aumentate, esistono single, coppie omosessuali, coppie senza figli, coppie di fatto ecc.. Il problema è che queste diverse forme familiari non sono riconosciute davanti alla legge e quindi non sono tutelate dallo Stato, che è ancora fermo alla concezione di “famiglia naturale” come unione uomo-donna fondata sul matrimonio. Come fa allora un educatore a prepararsi ad affrontare uno scenario così complesso? Imparando a raccogliere le storie di relazioni familiari, che poi una volta narrate aiuteranno a capire meglio la famiglia. Una storia però non vale l’altra: il modo in cui viene raccontata provoca conseguenze concrete in chi parla e in chi ascolta e conta molto il narratore che ha una sua particolare cultura e delle sue particolari abitudini. E’ necessario per l’operatore educarsi a uno sguardo sulla famiglia, cioè connettere il suo sguardo di narratore con quello che vede. Ciò che chiamiamo famiglia non è cosa data, certa, statica: ci sono moltissimi modi per pensarla e osservarla, molti sguardi diversi, ognuno legato a una prospettiva, a una certa cultura. L’educatore deve imparare a mantenere mobile il proprio sguardo ,perché poi si troverà a dover comunicare con più soggetti diversi, a dover negoziare, inventare soluzioni impreviste. Deve imparare a dialogare con se stesso e con le sue pratiche, a educare uno sguardo composizionale che componga per es la riflessione con l’azione, l’esperienza con l’apprendimento. Ognuno di noi si porta dietro pregiudizi, e non è sbagliato averli, anzi è inevitabile, perché essi sono tutte le idee, nozioni, teorie che costruiscono il nostro punto di vista. 2 L’osservazione è un procedimento selettivo che si differenzia dal semplice guardare, per il fatto che lo sguardo dell’osservatore è intenzionalmente guidato da premesse, pregiudizi e ipotesi che sono una guida nell’ottenere le informazioni desiderate. Non si può osservare tutto: l’osservazione è sempre un processo di selezione e di scelta metodologica intenzionale; non è possibile quindi osservare in modo totale né oggettivo poiché l’osservatore è sempre inserito nel processo di osservazione, lo caratterizza e ne è a sua volta influenzato. Quando l’oggetto di osservazione è la famiglia, la pratica osservativa sembra assumere una complessità ancora maggiore. L’esperienza di chi osserva, i suoi pregiudizi e preconcetti inevitabilmente vengono messi in scena, con il rischio di filtrare talmente tanto i dati da non riuscire a cogliere aspetti che potrebbero modificare le sue ipotesi di partenza. L’osservazione è una vera e propria pratica che richiede cura, attenzione e responsabilità: se guardo in un certo modo, so che riuscirò a vedere delle cose e non altre. Ognuno di noi ha una propria e personale esperienza di famiglia; questa esperienza viene inevitabilmente evocata quando nel lavoro educativo o di consulenza si è chiamati a interagire con un genitore che chiede aiuto a vari livelli. “Come mi vedi?” questo è l’interrogativo con cui molti genitori si rivolgono a un professionista della relazione pedagogica poiché vogliono essere valutati come genitori. Quello che sembra essere un bisogno di valutazione è in primo luogo un bisogno di riconoscimento: il desiderio di essere visti e riconosciuti nel ruolo di genitore. Di fronte al bisogno di essere visti e riconosciuti si può proporre un uso trasformativo e riflessivo della videocamera come strumento che crea uno sguardo possibile. La richiesta avanzata dai genitori è di tipo valutativo (“ditemi che sono un bravo genitore”) ma la risposta, o meglio il percorso che viene proposto, è osservativo-riflessivo. Se esiste un dubbio o un giudizio negativo su di sé, è meglio partire da quello perché è proprio dal dubbio che nasce la domanda di consulenza. Questo primo passo porta il genitori in un circuito riflessivo armonico: da un lato lo sostiene nell’idea che qualcosa non funziona; dall’altro dà il messaggio che il genitore è competente nell’esprimere quell’idea. La metodologia proposta prevede l’osservazione delle interazioni tra i componenti della famiglia; il setting scelto è la casa, quindi un ambiente naturale dove è possibile osservare quelle attività di routine che appaiono, nei racconti dei genitori, le più cariche di ansia e timori. Il passaggio successivo alla ripresa delle immagini è quello di ritrovarsi insieme a osservarle. In questa fase il compito dell’educatore è affiancare i genitori aiutandoli soprattutto da un punto di vista tecnico; e da li partono le domande (“quali sono stati i momenti in cui ti sei sentita non competente?”…) Attraverso il processo di visione, selezione, taglio e montaggio delle scene i genitori hanno la possibilità di soffermarsi e prendersi cura di sé e della propria storia: ciò permette di attribuire nuove punteggiature possibili alla stessa scena, ri-significarla e ri-connotarla. Punteggiatura: Watzlawick definisce la punteggiatura come l’azione di un soggetto che impone un ordine in un mondo altrimenti casuale, imprevedibile e caotico. La punteggiatura organizza la sequenza e stabilisce un ordine. CAPITOLO 5 (Daniela Gini) Questo capitolo mette a fuoco un’azione specifica, quella dell’osservare e una pratica che utilizza il mezzo audiovisivo come strumento di lettura delle interazioni umane, e dunque anche quelle familiari. La comunicazione è il fondamento delle relazioni umane: essa diventa l’oggetto osservativo nei suoi vari livelli, nei diversi stili e nelle svariate modalità. Cosa osservare? I processi interattivi nei quali la comunicazione si sviluppa, usando il modello e i principi della Programmazione Neurolinguistica (PNL). 5 Comunicazione: è un sistema, qualcosa che è più e va oltre la somma o la sequenza dei singoli messaggi e va anche oltre il livello informativo. Comunicare è un’attività che produce effetti sulle persone che vi partecipano. Comunicare è dunque entrare in un processo nel quale interagiscono diversi fattori: l’identità dei comunicanti, il tipo di relazione che si va sviluppando tra di loro, il contenuto, i modi, il contesto… Programmazione Neurolinguistica (PNL): programmazione, in quanto è possibile scoprire i programmi comunicativi che usiamo per raggiungere obiettivi specifici; neuro, in quanto l’esperienza è filtrata ed elaborata dal sistema nervoso attraverso i sensi; linguistica, poiché le rappresentazioni sono codificate e fornite di significato attraverso il linguaggio. La PNL si fonda su feedback forniti dall’ascoltatore o osservatore, che possono essere intenzionali o spontanei. Il film è uno strumento privilegiato per l’addestramento all’osservazione, in quanto: • racconta una storia o più storie, in maniera efficace e in un tempo definito • permette di esaminare uno “spaccato di vita” • consente, ogni volta che serve, di rivedere le sequenze dove le interazioni sono più complesse o più significative e ne permette lo studio Nella letteratura sistemica, la famiglia viene definita come “gruppo di individui con storia”; un gruppo di individui con storia che mentre si fa si disfa, per permettere a ciascuno di sviluppare la propria individualità e quindi realizzare la propria vita: Il film mette in scena proprio questi processi costruttivi e trasformativi. La scelta dei film o sequenze da proiettare dipende dall’obiettivo. Ci sono due criteri: • il primo basato sul contenuto (trama, temi trattati…); • il secondo legato a situazioni comunicative specifiche che mostrano come si costruiscono e si trasformano le relazioni umane. Le sequenze si possono far rivedere più volte, tutte quelle necessarie perché ciascuno possa attrezzarsi e affinare i propri canali percettivi sulle interazioni comunicative. Per permettere ai futuri operatori di attivare i loro strumenti osservativi, si può chiedere di individuare delle sequenze, studiarne il processo, analizzare le azioni e retroazioni dei singoli personaggi oppure si può proporre una sequenza uguale per tutti: tutti vedono le stesse azioni, ma ognuno le racconterà e commenterà in modo diverso. La visione del film è un modo per chiedere agli studenti di mettersi in gioco. Il film diventa uno strumento di addestramento dello sguardo: si può interrompere e riprendere, tornare indietro, condividere e discuterne. Grazie alla visione di film posso ampliare la mia visuale di osservazione sul mondo e il mio repertorio di azioni, purchè questa visione sia attiva e riflessiva. CAPITOLO 6 (Andrea Prandini) Lavorare con le famiglie significa portare l’attenzione sugli aspetti di narrazione e sul tipo di storie che i vari membri raccontano per definire se stessi. Nel lavoro con le famiglie bisogna partire dalle storie che si raccontano in modo da avviare un percorso aperto di ricerca volto a rintracciare le linee , le immagini, il linguaggio , i significati di ogni storia raccontata. La narrazione e le storie sono uno strumento fondamentale di autoformazione e autoconoscenza, in cui si prende atto che ciò che ci fa soffrire e gioire non sono le cose in sé (azioni, fatti, eventi) ma come questi vengono percepiti e raccontati da noi o dagli altri. Sono i racconti e le storie generati nelle e dalle pratiche comunicative che definiscono le appartenenze, i significati, l’identità di ciascuno , l’identità di famiglia. Pensare e ripensare alla propria storia , narrarla riflessivamente e creativamente è una pratica utile per mantenere vivo il senso di ciò che avviene. Un rischio educativo però è che la famiglia sia narrata e si narri in modo fisso e uguale rischiando di non dare la giusta attenzione. E’ importante la riflessività, riflettere su ciò che accade nella quotidianità, in quanto il processo di autoformazione prende avvio proprio quando ci si distacca dalla solita riproduzione automatica della famiglia fissa. 6 Nel lavoro di cura, si possono individuare 2 teorie o posizionamenti: • patogenico : attenzione sulla malattia e ciò che l’ha scatenata ( causa-effetto); • saluto genico : attenzione su ciò che c’è, sulla salute. L’orientamento migliore è quello Salutogenesi in cui l’educatore, senza negare i problemi, si concentra sui punti di forza, sulle risorse della famiglia e sulle persone che la compongono per raggiungere la normalità. L’idea di cura educativa orientata alla ricerca della bellezza presente nella famiglia, è proprio nata grazie al lavoro con delle famiglie “multiproblematiche” all’interno di contesti di cura come i servizi sociali e i servizi per il diritto di visita che davanti a numerosi problemi, si è posta l’attenzione a valorizzare ciò che c’era piuttosto che le problematiche esistenti. E’ importante quindi iniziare l’intervento educativo dalla ricerca di momenti positivi, dalle emozioni e dagli elementi di funzionamento e di salute, in quanto ciò aumenta in una prospettiva dinamica la possibilità di cambiamento, facendo sempre attenzione però a non ricadere in un atteggiamento positivistico. CAPITOLO 7 (Laura Formenti) L’approccio biografico e autobiografico, è una via per comprendere l’unicità della cultura di ogni famiglia, e allo stesso tempo, ci permette di vedere le connessioni tra il singolo sistema familiare e il contesto più ampio. Un tipo di lavoro educativo è appunto quello della narrazione familiare in cui ogni componente narra e si narra; la narrazione ci aiuta a comprendere come cambia la vita quotidiana all’interno della famiglia stessa e come cambiano le relazioni, non solo per fattori interni ma anche per influenza di determinanti sociali, (appartenenze di classe/territoriali e di genere). Per comprendere appieno la complessità, è necessario però l’Immaginazione autobiografica cioè la capacità di comporre sguardi multipli andando oltre le nostre cornici disciplinari e professionali. Il disordine e l’incertezza sono oggi sinonimo di famiglia poiché la regolarità e la sequenzialità, caratteristiche di un tempo, non esistono più. L’educatore per conoscere e comprendere appieno la famiglia con cui sta lavorando, deve indossare i panni dell’etnografo in quanto si deve basare su 3 tipi di dati: • l’osservazione della famiglia in azione per scoprire le ridondanze nelle interazioni • la raccolta delle storie per svelare il mondo dei significati e la raccolta di artefatti ( oggetti, disegni) • esplorare l’immaginario di quel sistema, ovvero il mondo delle possibilità ancora da sognare. La famiglia in conclusione, non è solo un contesto e un ambiente per l’apprendimento, ma è un sistema evolutivo in cui i componenti co- evolvono insieme e cambiano cornici in connessione sia all’influenza micro ( familiare intera) sia macro( esterna) , mantenendo sempre però l’Assoluto familiare cioè il NOI. Seconda Parte CAPITOLO 1 (Laura Formenti) Cronen e Pearce con altri studiosi della comunicazione propongono una revisione del doppio legame alla luce del concetto di circuito riflessivo già studiato qualche decennio prima da Bateson. Secondo gli autori però, solo alcuni circuiti riflessivi, che chiamano bizzarri, possono essere identificati come doppi legami, responsabili di disagio fino a sfociare nella psicopatologia; quelli che non creano disagio vengono chiamati riflessivi armonici. Bateson distingueva in ogni messaggio due livelli di significato, organizzati gerarchicamente: il livello di contenuto (esempio: parole) e quello di relazione (esempio: modo in cui viene pronunciata la parola), che serve a identificare il contesto nel quale il contenuto deve essere interpretato. Quando non si capisce quale dei due sia superiore in termine gerarchici si crea confusione tra i due livelli. 7 Il lavoro d’équipe è dunque una condizione per poter lavorare in modo sistemico, per cogliere e onorare la complessa circolarità delle relazioni familiare e immaginare quello che potrebbero diventare. L’azione educativa basata sull’idea di perturbazione ha qualche chance di essere ecologica se sviluppa una grande sensibilità verso il contesto e verso i processi comunicativi che lo costruiscono e commentano continuamente. CAPITOLO 2 (Luca Massari) Con tutela dei minori generalmente si definiscono quelle funzioni pubbliche e quei servizi che hanno il compito di affiancare le bambine, i bambini, le ragazze e i ragazzi in favore dei quali è richiesto un controllo. Questo controllo può divenire penalizzante dei diritti di qualcuno della famiglia, pertanto è richiesto che le decisioni in proposito siano assunte da un’autorità giudiziaria. Intervenire in una famiglia quindi richiede oggettività. Il lavoro educativo che si compie nell’ambito della tutela dei minori non può rinunciare alla dimensione relazionale che è essenziale. La vita in comunità ha elementi molto istituzionalizzati e quindi c’è il rischio di proporsi con un’ottica istituzionalizzante. Ottica che può presentarsi sulla scena in ogni momento, e non solo da parte degli operatori, ma che gli operatori devono essere in grado di riconoscere. CAPITOLO 3 (Mara Pirotta) Cosa fa un educatore di ADM (assistenza domiciliare minori)? L’educatore nell’ADM si mette in gioco a livello professionale e personale e agisce partendo dalla relazione e dall’alleanza con la famiglia. Questo intervento avviene in casa: nella maggior parte dei casi l’intervento dell’educatore è stato imposto dal giudice, per questa ragione l’operatore non può essere percepito da subito come una potenziale risorsa, anzi a volte potrebbe essere visto come un nemico. Il compito dell’educatore è quello, quindi, di guadagnarsi quella fiducia che permetta alla famiglia di aprirsi e raccontare la propria storia, così da poter iniziare un percorso di co-costruzione di possibilità nuove. E’ necessario che l’educatore entri in punta di piedi, con delicatezza ed è necessario che sappia leggere ciò che la casa esprime :abitudini, vissuti, relazioni, così da farla diventare il setting educativo per eccellenza. Per la famiglia l’educatore è un estraneo che è stato assegnato per mostrare loro dove sbagliano. Con la sua presenza l’educatore modifica gli equilibri che la famiglia si è creata. Non stupisce, quindi, che la famiglia opponga resistenze all’ingresso dell’operatore. Molti interventi domiciliari si trasformano in una sorta di sostituzione del genitore da parte dell’educatore nella funzione di sostegno e supporto ai figli. Questo genera una conseguenza: porta sullo sfondo le figure genitoriali: svalorizzandole ulteriormente. Il rischio del sostituirsi ai genitori può portare a una sorta di deresponsabilizzazione progressiva degli stessi rispetto al loro ruolo educativo. E’ utile lavorare non tanto sulle mancanze, quanto sulle risorse; bisogna trovare le strategie per potenziare queste risorse e co-costruire insieme alla famiglia delle risorse nuove, dei percorsi percorribili che la famiglia possa sentire come propri e portare avanti anche quando l’intervento educativo terminerà. Tendiamo a definire educativi tutti i contesti in cui la famiglia entra in contatto con servizi e operatori le cui professionalità hanno come obiettivo il cambiamento. Tuttavia, il contatto tra le famiglie e i servizi non si dimostra educativo, ma anti-ecologico e dis-educativo, quando la famiglia viene svalutata,inascoltata,etichettata. Il compito dell’educatore è quello di sostenere l’autonomia nel trovare di volta in volta, nei momenti di crisi, le strategie più funzionali al superamento della crisi stessa e alla ricerca di un nuovo equilibrio che permetta a tutti di stare bene. Ma questo non è 10 possibile senza il contributo e la partecipazione attiva della famiglia con cui ci si relaziona. Quello che l’educatrice auspica, nel lavoro educativo, è una pedagogia della famiglia capace di tenere sempre presenti e valorizzare le risorse dei membri di quella famiglia, la loro storia e le loro evoluzioni. CAPITOLO 4 (Lia Sacerdote) L’arresto del genitore, è un momento topico che spezza i rapporti e mette in pericolo i legami. I primi ad essere vittima sono i figli e il nucleo familiare violato nella sua interezza e organizzazione. Il carcere è il luogo dove i legami si interrompono per legge, ma, è anche quel luogo in cui è fortemente necessario e vitale l’intervento di cura mirato al ricongiungimento con la famiglia. La carcerazione, determina una catena di eventi che la famiglia subisce e vive per lo più in solitudine, essa sperimenta ostacoli e barriere di distanza con i propri cari, quasi come se questi modi siano gli unici per offrire sicurezza, ma non è così, in quanto questi, portano solo a rinforzare e amplificare le debolezze e gli squilibri. La famiglia, rappresenta non solo un sostegno affettivo importante durante la detenzione , ma è anche l’ambito in cui la persona detenuta può trascorrere parte della pena (quando vengono adottate misure alternative al carcere), per questo è importante rafforzare i legami. Si è osservato con numerose ricerche, che, il recupero della relazione con i figli, porta la persona detenuta a ritrovare una motivazione al cambiamento e a un recupero della responsabilità genitoriale. Il colloquio è un momento prezioso, cruciale per la cura di questo legame e perciò le istituzioni devono fare in modo che avvenga nelle condizioni migliori. Un costume culturale diffuso, ritiene che una persona in carcere non sia in grado di essere un buon padre o una buona madre, il genitore in carcere ha bisogno di essere aiutato a ritrovare il proprio ruolo genitoriale. Il processo di intervento: innanzitutto per iniziare un buon intervento, è fondamentale scegliere di relazionarsi con la persona e non al detenuto in quanto solo in questo modo è possibile lo scambio relazionale in un clima di rispetto reciproco. Dobbiamo considerare la persona-genitore capace di assumersi delle responsabilità anche se detenuta, in quanto esso ha il diritto e il dovere di salvaguardare il proprio ruolo e di mantenere un rapporto significativo con il figlio. Gli interventi principali pensati per i genitori in carcere sono: • Spazio Giallo • Colloqui • Incontri di gruppo con i genitori ( gruppi di parola e punti di ascolto) Lo Spazio Giallo, è un luogo, uno spazio fisico creato appositamente per l’ accoglienza dei bambini e delle famiglie che si preparano al colloquio. E’ uno spazio integrato socioeducativo pensato per le esigenze dei bambini. I bambini vivono questo spazio come un luogo in cui si sentono pensati e protetti, possono “dare voce”, parlare e dare forma alle loro emozioni, per le famiglie lo Spazio è una risorsa di conforto, scambio, consulenza e gli operatori vengono a conoscenza di come le famiglie affrontano l’esperienza detentiva. I gruppi di parola sono incontri collettivi di discussione e confronto. I temi che occupano queste riunioni sono principalmente due: 1. l’esplorazione dei bisogni dei figli: come comprenderli, come leggere certi comportamenti, come comunicare con loro, come utilizzare il tempo del colloquio 2. il tema della sofferenza: dei figli e propria , in cui il gruppo aiuta a superare le paure . CAPITOLO 5 (Andrea Galimberti) 11 La parola conflitto richiama l’idea di opposizione di due o più punti di vista che non riescono a trovare una forma di convivenza , di complementarietà. Dall’”urto”, dal conflitto, possono nascere conseguenze positive e conseguenze/effetti negativi per esempio sofferenze, violenze. Ogni famiglia ha un rapporto diverso con il conflitto, alcune lo vedono come un tabù da evitare, altre lo amano. La famiglia in relazione al conflitto familiare: Un modo utile per far dialogare il conflitto tra i membri della famiglia è lo Spazio Neutro che è nato per sostenere e favorire il mantenimento della relazione tra bambino e genitore adulto significativo. Nello spazio neutro è richiesto di costruire con la famiglia un progetto con l’obbiettivo di lavorare insieme affinché il figlio possa mantenere i contatti con entrambi i genitori. Tale progetto è svolto in stretta connessione con gli operatori del servizio “tutela minori” e con il tribunale. Il percorso Spazio Neutro prevede 3 tipi di intervento: • Colloqui individuali con i genitori • Colloqui con i minori • Incontri “protetti” tra bimbo/ genitore con un operatore Nelle situazioni complesse, o di stallo in cui gli operatori non si sentono tranquilli, possono richiedere l’aiuto dell’Altravisione/Supervisore. L’altra visione è una figura pedagogica che sta sullo stesso piano ma che, attraverso uno sguardo esterno, permette di introdurre differenti punti di vista, di offrire nuove storie, nuove punteggiature al fine di mettere in movimento quelle bloccate. L’operatore può utilizzare numerose metodologie e strumenti per fronteggiare tali situazioni: • Il primo è cambiare linguaggio: ovvero cambiare metodo per far spiegare alla famiglia il proprio problema come per esempio usando metafore o disegni; • Il secondo metodo utile per allargare il contesto d’ azione dell’intervento e comprendere maggiormente le problematiche, è ampliare lo sguardo: ampliare lo sguardo verso la famiglia di origine attraverso il “ Genogramma familiare”, in questo caso, l’attenzione non è solo posta sugli utenti presi in carico ma anche sulla parentela. CAPITOLO 6 (Flavio Bacci) L'educatore entra sempre in interazione con i sistemi anche se non sempre ne è consapevole. Diventa parte di un sistema in cui cerca di conoscere la complessità e all'interno del quale promuove azioni rivolte a una qualche forma di cambiamento. La metodologia dell'intervista narrativa permette di dare voce all'esperienza degli operatori: sono loro a decidere quali sono i temi e i ricordi pertinenti. Nelle interviste c'è un invito alla riflessività: ogni episodio raccontato viene anche riletto dagli intervistati nelle sue implicazioni di senso. L'educatore è parte di un ampio sistema di relazioni entro il quale interviene e l'intervento da lui condotto può avere effetti che vanno oltre il bambino. Tre approcci che l’operatore ha nei confronti della famiglia: • Famiglia Assente: non è in alcun modo considerata nella cornice di riferimento con cui si guarda il minore. • Famiglia Distante o Potenzialmente Problematica: si guarda la famiglia del minore in modo diffidente. • Famiglia Sbagliata: quando l’educatore etichetta la famiglia come sbagliata. In primo luogo l’educatore ha una visione pregiudiziale ma approfondendo il rapporto il pregiudizio si scioglie e si scopre il desiderio dei genitori di fare il meglio per i propri figli Il contatto con le famiglie sollecita il ricordo o la riflessione sulle proprie esperienze famigliari. 12
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