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RE-INVENTARE LA FAMIGLIA, Sintesi del corso di Psicologia della Famiglia

Riassunto dettagliato per capitoli di re-inventare la famiglia

Tipologia: Sintesi del corso

2017/2018

Caricato il 12/02/2018

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vale.srr 🇮🇹

3.6

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3 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica RE-INVENTARE LA FAMIGLIA e più Sintesi del corso in PDF di Psicologia della Famiglia solo su Docsity! RE-INVENTARE LA FAMIGLIA Prima Parte Introduzione Scrivere e pensare, leggere e immaginare il lavoro educativo Scrivere è un modo per pensare, questa guida è per aiutare professionisti ad orientarsi nella complessità. Ermeneutica pratica = pensiero operativo che nasce dall'azione e ritorna all'azione, costruendo il senso partendo dall'esperienza. Il senso si costruisce con un percorso dialogico, basato sulla riflessività e sullo scontro. Senso = luogo comune che diventa luogo in comune. Le condizioni dell'ermeneutica sono la scrittura (per lasciare tracce dell'esperienza) e la conversazione a più voci (per interrogarle). Forma di scrittura narrativo-riflessiva = parte dall'esperienza dello scrittore ma porta a riflettere il lettore, riconoscendosi o differenziandosi; scrittura pensosa e relazionale, necessità per chi lavora nell'educazione. Scrivere l'esperienza è importante ma quali caratteristiche deve avere la scrittura di pratiche per essere utile, per sostenere apprendimenti e trasformazioni in chi scrive e in chi legge? Necessario riconoscere nelle famiglie la totalità, la bellezza, la ridondanza (caratteristiche di sistemi complessi) e posizionarsi nei loro confronti in modo utile, sensato ed etico. Ogni educatore deve tenere sempre conto che è parte di una rete di relazioni di cura: la rete primaria coincide con la famiglia nella nostra cultura. Famiglia: fa riferimento a qualcosa di preciso e ristretto, idealizzato, in genere formato da una coppia eterosessuale con figli (definizione riduttiva) Re-inventare la famiglia: dalla pedagogia alla composizione Pedagogia della famiglia = disciplina che fatica a distinguersi dalle altre. Multidisciplinarietà intelligente: si avvale delle molteplicità di sguardi per garantire una pluralità di saperi, approcci e visioni. Necessario superare la tendenza alla teorizzazione astratta. Famiglia come soluzione specifica al bisogno umano di cura, protezione, educazione. Ha preso forme diverse, da comprendere e rispettare nella loro autonomia – non si può re-inventare la famiglia a tavolino. Re-inventare vuol dire re-inventarsi come osservatori delle famiglie, rivedere le prospettive e le pratiche che si mettono in campo. Prospettiva sistematica = obbliga ad un modo di com-porsi nella relazione con le famiglie che richiede pratica, diventando uno stile di pensiero. Partire dalla propria esperienza: tutti abbiamo esperienza di famiglia; necessità di uno sguardo aperto e curioso – mettersi nella prospettiva della ricerca che mira alla creazione, con l'idea che il mondo è il prodotto delle nostre pratiche. Problema: chi è impegnato ad inventare la famiglia, non sa come la sta inventando, non si rende conto del complesso. Compito della formazione è di costruire riflessività e consapevolezza nei modi in cui ogni famiglia viene inventata e re-inventata. Per re-inventare bisogna prima conoscere: ogni sistema ha la sua cultura e tende a confermare le regole che ne sostengono il funzionamento. Il professionista dell'educazione è portatore di uno sguardo, ma necessita di confrontarsi con altri sguardi. Lo sguardo normativo (che impone la propria visione personale) non è utile. Obiettivi del testo: – comprendere cosa può far stare tutti un po' meglio. – Smontare pregiudizi 1 – acquisire competenze e capacità per riconoscere quello che c'è (cultura famigliare, strategie per superare crisi, copioni di ciascun membro, ciò che è nascosto) – inventare nuovi pensieri, nuove visioni, nuove possibilità Come si impara tutto questo? • Necessaria una postura attiva, mettersi in gioco. • Integrando teoria e pratica • Utilizzare un approccio sistematico: epistemologicamente fondato, che unisce azione e percezione in una cornice estetica e una propensione a stare nei contesti, adattando la pratica in base alle risposte di istituzioni e utenti. Non esistono azioni buone in sé , ma azioni deliberate e contestualizzate, che hanno senso grazie alla riflessione condivisa. Le attività sono di 4 tipi: 1. esperienza autentica 2. rappresentazione estetica 3. comprensione intelligente 4. azione deliberata queste attività portano gli operatori a rinforzare: – il contatto con il presente, con le emozioni, i sentimenti e con l'altro, sviluppando attenzione – capacità di mettersi in gioco, simbolizzare pensieri – capacità di formulare ipotesi, moltiplicando gli sguardi (attività di costruzione del senso) – attitudine a scegliere, etica della ricerca LO SGUARDO DIPENDE DALL'AZIONE Percezione: nella visione siamo convinti di guardare un mondo stabile, ma la vista non ha nulla di fisso, siamo noi che disegniamo il mondo, estraendone distinzioni grazie all'apparato percettivo. Lo sguardo dipende dall'azione: se i processi di conoscenza dipendono da quello che noi facciamo nel mondo, dalle nostre azioni, non saranno le definizioni a farceli conoscere. Ogni definizione sarà legata a delle azioni che noi stessi abbiamo fatto, oppure ereditate da altri. Importanti sono i contesti e chi decifrerà il messaggio. Lavorare con la famiglia richiede una consepevolezza epistemologica, ossia un atteggiamento interrogante nei confronti dei nostri presupposti, una conoscenza del modo in cui funziona la mente umana. Modello sistematico: mette l'idea di comunicazione al centro dei processi umani, tutto è messaggio. CAPITOLO 1 (Laura Formenti) – FARSI L'ORECCHIO: LE INVISIBILI PARTITURE DELLA FAMIGLIA Metafora della musica: la più immediata e incisiva per entrare nel mondo delle relazioni familiari, per iniziare a farsi l'orecchio sulla famiglia come un tutto integrato, fatto di parole, silenzi, ritmi. La metafora musicale è utile anche per comprendere il concetto di sistema. Un'errore degli educatori è di cercare le cause dei comportamenti a partire dalle intenzioni dei singoli soggetti. Sono invece importanti anche i processi di influenzamento reciproco. L'approccio sistematico si fonda sulla curiosità e sulla ricerca di ciò che non è immediato, di ciò che si nasconde. Resta comunque importante l'approccio narrativo: il 2 modelli)e interdipendenze. La metafora del corpo familiare esprime l'idea di sistema: è nella continua interazione che si sviluppa il senso. La coerenza dell'insieme è data dalla composizione dinamica dei movimenti e delle posture dei singoli. La famiglia, più di ogni altro sistema di con-vivenza, struttura l'esperienza, dà corpo ai suoi membri; la famiglia educa al di là di finalità coscienti. La famiglia reale: una coreografia complessa Il noi nasce dalla famiglia in azione: la natura relazionale della famiglia emerge nei coordinamenti reciproci delle azioni e il senso può essere costruito a posteriori. Alcune pratiche di ricerca o di intervento educativo prevedono che la famiglia si autoosservi, con l'accompagnamento di un educatore. Pensare in termini di corpo familiare significa vedere le interconnessioni: la famiglia si mostra, come se fosse su un palcoscenico, ogni volta che agisce concretamente (ad esempio al momento del pranzo). La famiglia simbolica: il potere dell'oggetto evocativo Le immagini, le storie e i simboli che usiamo per rappresentare la famiglia non sono estranei alla famiglia reale; le rappresentazioni simboliche sono definite da Caillè e Rey “oggetti fluttuanti”: danno forma a qualcosa che trascende il singolo, cioè il sapere familiare, che è mobile, intuitivo e poco formalizzato. Gli oggetti fluttuanti rappresentano il Noi, creando uno spazio intermedio nel quale si può essere creativi e vedere le relazioni in una luce nuova. Non hanno un significato univoco ma propongono un senso del Noi che è dinamico, sempre in movimento. La rappresentazione simbolica materializza le relazioni e convoca la capacità ricettiva dei soggetti. Perchè ci vuole orecchio Il senso del noi si apprende per via informale, quotidiana, poco o per nulla riflessiva. Una lettura individualistica dei nuovi bisogni educativi delle famiglie porta a interventi che non celebrano il senso del noi: quando una band non trova il sound, la soluzione non è dare lezione di strumrnto ai solisti. Per celebrare la dimensione sistemica e relazionale della vita familiare dobbiamo sostenere tutti i membri nelle loro capacità di suonare insieme per dare forma al noi, sul piano reale e simbolico. Il vero senso della famiglia nasce nella continua trasformazione, nella con-posizione dialogica e nel riconoscimento delle differenze. La vita familiare comprende diversi livellu, ognuno dovrebbe essere celebrato: – l'individuo come unità, come voce unica – le relazioni io-tu, come possibilità di armonizzare – il noi, come totalità che trascende i singoli – il rapporto con il contesto sociale, naturale, storico – l'importanza dei linguaggi simbolici Non bisogna pensare che il senso del Noi sia qualcosa di monolitico e compatto: esso è nella continua trasformazione, nella con-posizione dialogica e nel riconoscimento delle differenze. Approfondimenti La famiglia è un sistema. Ma che cos’è tecnicamente un sistema? E’ un aggregato di parti interagenti, ciascuna delle quali può esistere in sé ma è interdipendente dalle altre e dal tutto secondo determinate leggi e regole. Un sistema è caratterizzato da totalità: è un tutto inscindibile, e questo vuol dire 5 che se una parte cambia o viene danneggiata, tutte le parti sono coinvolte. Ogni sistema è omeostotatico: ha un equilibrio che non è fisso, ma è metastabile (si mantiene attraverso un continuo processo di retroazione negativa). Ogni sistema è caratterizzato poi da retroazione e circolarità e da equifinalità (due sistemi partiti da condizioni iniziali diverse possono raggiungere lo stesso risultato finale, e condizioni iniziali uguali possono produrre risultati diversi). Queste sono tutte caratteristiche che ritroviamo nel sistema-famiglia. Quindi un educatore, per comprendere una specifica famiglia, non potrà limitarsi a capire e studiare le intenzioni, le azioni e i valori dei singoli membri, ma dovrà cercare di farsi orecchio sulla musica suonata da tutta la famiglia, dovrà ascoltare attentamente e concentrarsi sulle relazioni familiari. E’ riduttivo spiegare i comportamenti umani attraverso i vissuti individuali, bisogna guardare quello che accade tra le persone. Bisogna capire poi che la famiglia è un’opera collettiva, incompiuta e sempre in costruzione, in cui tutti danno un contributo attivo. I ruoli possono cambiare ed esistono dei copioni familiari in ogni famiglia (un copione è un insieme di aspettative condivise dalla famiglia di come i ruoli debbano essere rispettati all’interno di contesti differenti). A volte i copioni finiscono per creare veri e propri personaggi su cui i membri familiari si sintonizzano (il pigro, il genio, la pecora nera ecc). Sono importanti anche i rituali familiari, che realizzano apprendimenti espliciti e impliciti e implicano una serie di messaggi su chi è quella famiglia e su chi sono i suoi membri (per es. cucinare tutti insieme). CAPITOLO 2 (Beppe Pasini) – FORMARE LO SGUARDO ATTRAVERSO LE PRATICHE Di quale famiglia parliamo? Oggi il termine famiglia si presta a essere declinato in molte sfumature. La visione della famiglia come qualcosa di monolitico e rigido è ormai entrata in crisi: negli ultimi 35 anni i matrimoni si sono dimezzati, le separazioni sono aumentate, esistono single, coppie omosessuali, coppie senza figli, coppie di fatto ecc.. Il problema è che queste diverse forme familiari non sono riconosciute davanti alla legge e quindi non sono tutelate dallo Stato, che è ancora fermo alla concezione di “famiglia naturale” come unione uomo-donna fondata sul matrimonio. Come fa allora un educatore a prepararsi ad affrontare uno scenario così complesso? Imparando a raccogliere le storie di relazioni familiari, che poi una volta narrate aiuteranno a capire meglio la famiglia, calibrandosi in itinere. Una storia però non vale l’altra: il modo in cui viene raccontata provoca conseguenze concrete in chi parla e in chi ascolta e conta molto il narratore che ha una sua particolare cultura e delle sue particolari abitudini. E’ necessario per l’operatore educarsi a uno sguardo sulla famiglia, cioè connettere il suo sguardo di narratore con quello che vede, restituendo alla sua visione un carattere parziale e momentaneo. Moltiplicare e comporre gli sguardi Ciò che chiamiamo famiglia non è cosa data, certa, statica: ci sono moltissimi modi per pensarla e osservarla, molti sguardi diversi, ognuno legato a una prospettiva, a una certa cultura, ad una certa esperienza. 6 L’educatore deve imparare a mantenere mobile il proprio sguardo, perché poi si troverà a dover comunicare con più soggetti diversi, a dover negoziare, inventare soluzioni impreviste. Deve imparare a dialogare con se stesso e con le sue pratiche, a educare uno sguardo composizionale che componga per es la riflessione con l’azione, l’esperienza con l’apprendimento. Bisogna ritrovare il valore dell'esperienza! Ognuno di noi si porta dietro pregiudizi, e non è sbagliato averli, anzi è inevitabile, perché essi sono tutte le idee, nozioni, teorie che costruiscono il nostro punto di vista. Ciò che è sbagliato è pretendere di non averne, cercare di reprimerli, perché essi comunque influiscono su come ci rapportiamo agli altri, e quindi vanno riconosciuti e discussi apertamente anche con gli utenti. Discuterne aiuta a capire in che modo le azioni dell’educatore sono frutto dei suoi pregiudizi (approccio auto-consapevole). In ogni caso, per apprendere l’educatore deve partire dalle pratiche: deve interrogarle e dare dei significati, dare una cornice all'azione, fare attenzione al contesto e alla situazione. Ogni incontro e ogni relazione costituiscono la materia da cui imparare. La didattica suggerita da Beppe Pasini è la seguente: 1. Domandare per accogliere e ricercare L’educatore deve imparare però a fare buone domande, cioè domande che rompano i copioni, che siano turbino, che introducano elementi di novità in rapporti che rischiano di essere scontati e prevedibili, che esaltino la complessità delle relazioni familiari. Imparare a fare buone domande vuol dire imparare a sollevare questioni su aspetti assodati, problematizzandoli. Le domande sono mezzi per indagare, descrivere e raccontare la realtà e per trasformarla. Formulare domande significa imparare l’arte della ristrutturazione e della connotazione positiva, due interventi tipici della sistemica. La ristrutturazione consiste nel cambiare punto di vista nei confronti di una situazione\comportamento a cui erano stati attribuiti determinati significati. E’ un cambiamento di cornice: l’oggetto è sempre lo stesso, ma gli si attribuisce un significato nuovo. Un modo per farlo è per es. utilizzare l’umorismo per far diventare leggera una situazione pesante e faticosa. La ristrutturazione è un’arte non facile e molto sottile, che richiede anche molta creatività. Invece la connotazione positiva è una strategia metacomunicativa che conferma e giustifica tutti i comportamenti dei membri della famiglia rispetto al problema di cui si tratta. Questo evita per es che un familiare si senta giudicato o “sbagliato” per aver tentato di combattere il problema dell’altro familiare. Sono molto importanti anche il modo in cui porgiamo la domanda, gli aspetti non verbali e paraverbali. Formulare domande non è facile, ci vuole cura, tatto e poca compiacenza. Le domande migliori sono quelle che spostano lo sguardo, che inducono al racconto. 2. Sperimentare concetti: le teorie vanno rispettate, non riverite 7 creatività, il secondo ci porta alla razionalità. Entrambe convergono in un'idea di genitorialità come esito finale. Il primo modello sottolinea la mancanza di responsabilità, il secondo modello sottolinea l'asimettria tra relazione e dipendenza. Entrambi modelli mettono la genitorialità al di fuori della relazione, del contesto e della storia. Nel nostro ricercare tracce di famiglia, si individua un terzo modello, modello evolutivo-ecologico, che può rendere conto di un processo relazionale e in continuo divenire, come è quello genitoriale. Con questo modello ci si muove verso una descrizione doppia, verso la co-costruzione di mondi possibili. Viene definito anche bricolage educativo: il bricoleur usa arte e mestiere, coordinando creatività e progettazione. Il bricolage diventa un'esperienza che mette in movimento, in relazione, connette. Descrizione doppia: è uno strumento epistemologico che dà la capacità di originare e discernere modelli di ordine diverso. Es. consideriamo l’interazione tra una coppia. Lei dice “lui brontola, quindi io mi chiudo in me stessa”; lui sostiene “lei si chiude in se stessa, dunque io brontolo”. Sono due punteggiature diverse dello stesso flusso di interazione. Ciò che bisogna fare è cercare di vederle insieme, per cogliere a un livello più elevato la struttura che connette. CAPITOLO 4 (Mara Pirotta) – INTERAZIONI: OSSERVARE LA FAMIGLIA IN AZIONE L’osservazione è un procedimento selettivo che si differenzia dal semplice guardare, per il fatto che lo sguardo dell’osservatore è intenzionalmente guidato da premesse, pregiudizi e ipotesi che sono una guida nell’ottenere le informazioni desiderate. Non si può osservare tutto: l’osservazione è sempre un processo di selezione e di scelta metodologica intenzionale; non è possibile quindi osservare in modo totale né oggettivo poiché l’osservatore è sempre inserito nel processo di osservazione, lo caratterizza e ne è a sua volta influenzato. L'oggetto di osservazione non può essere considerato indipendente da chi lo osserva. Quando l’oggetto di osservazione è la famiglia, la pratica osservativa sembra assumere una complessità ancora maggiore. L’esperienza di chi osserva, i suoi pregiudizi e preconcetti inevitabilmente vengono messi in scena, con il rischio di filtrare talmente tanto i dati da non riuscire a cogliere aspetti che potrebbero modificare le sue ipotesi di partenza. Essere consapevoli dei propri pregiudizi, interrogarli e metterli in campo può essere il primo passo per introdurre delle novità. L’osservazione è una vera e propria pratica che richiede cura, attenzione e responsabilità: se guardo in un certo modo, so che riuscirò a vedere delle cose e non altre. Ognuno di noi ha una propria e personale esperienza di famiglia; questa esperienza viene inevitabilmente evocata quando nel lavoro educativo o di consulenza si è chiamati a interagire con un genitore che chiede aiuto a vari livelli. “Come mi vedi?” questo è l’interrogativo con cui molti genitori si rivolgono a un professionista della relazione pedagogica poiché vogliono essere valutati come genitori. Quello che sembra essere un bisogno di valutazione è in primo luogo un bisogno di riconoscimento: il desiderio di essere visti e riconosciuti nel ruolo di 10 genitore. Di fronte al bisogno di essere visti e riconosciuti si può proporre un uso trasformativo e riflessivo della videocamera come strumento che crea uno sguardo possibile. Il video può mettere a fuoco pratiche quotidiane. Riflettere sul modo in cui si fanno le cose, vederle e poi pensarle, è il primo passo per consolidare la propria idea di genitorialità. Riuscire a prendersi del tempo, fermarsi e soffermarsi, osservarsi ed ascoltare sono atti di cura di sé. La richiesta avanzata dai genitori è di tipo valutativo (“ditemi che sono un bravo genitore”) ma la risposta, o meglio il percorso che viene proposto, è osservativo-riflessivo. Se esiste un dubbio o un giudizio negativo su di sé, è meglio partire da quello perché è proprio dal dubbio che nasce la domanda di consulenza. Questo primo passo porta il genitore in un circuito riflessivo armonico: da un lato lo sostiene nell’idea che qualcosa non funziona; dall’altro dà il messaggio che il genitore è competente nell’esprimere quell’idea. La metodologia proposta prevede l’osservazione delle interazioni tra i componenti della famiglia; il setting scelto è la casa, quindi un ambiente naturale dove è possibile osservare quelle attività di routine che appaiono, nei racconti dei genitori, le più cariche di ansia e timori. (la presenza dell'osservatore o della videocamera influenzano in parte i comportamenti) Il passaggio successivo alla ripresa delle immagini è quello di ritrovarsi insieme a osservarle. In questa fase il compito dell’educatore è affiancare i genitori aiutandoli soprattutto da un punto di vista tecnico; e da li partono le domande (“quali sono stati i momenti in cui ti sei sentita non competente?”…) Attraverso il processo di visione, selezione, taglio e montaggio delle scene i genitori hanno la possibilità di soffermarsi e prendersi cura di sé e della propria storia: ciò permette di attribuire nuove punteggiature possibili alla stessa scena, ri- significarla e ri-connotarla. La possibilità di confrontarsi sulle stesse immagini genera uno spazio di condivisione, evitando la solitudine e comprendendo meglio i vissuti. Il confronto di coppia permette di riflettere sull'idea di famiglia e attiva il senso del noi. Il lavoro di post-produzione può essere anche utile per identicare le modalità con cui le famiglie affrontano crisi, conflitti e problemi. Rivedere più volte le immagini può far emergere dettagli sfuggiti in una prima visione. Punteggiatura: Watzlawick definisce la punteggiatura come l’azione di un soggetto che impone un ordine in un mondo altrimenti casuale, imprevedibile e caotico. La punteggiatura organizza la sequenza e stabilisce un ordine. CAPITOLO 5 (Daniela Gini) – L'ABC DELL'OSSERVARE Questo capitolo mette a fuoco un’azione specifica, quella dell’osservare e una pratica che utilizza il mezzo audiovisivo come strumento di lettura delle interazioni umane, e dunque anche quelle familiari. Le storie raccontate attraverso immagini permettono di soffermarsi su alcune sequenze, rivederle e studiarle. L' obiettivo è imparare ad osservare. La comunicazione è il fondamento delle relazioni umane: essa diventa l’oggetto osservativo nei suoi vari livelli, nei diversi stili e nelle svariate modalità. Cosa osservare? I processi interattivi nei quali la comunicazione si sviluppa, usando il modello e i principi della Programmazione Neurolinguistica (PNL). 11 Comunicazione: è un sistema, qualcosa che è più e va oltre la somma o la sequenza dei singoli messaggi e va anche oltre il livello informativo. Comunicare è un’attività che produce effetti sulle persone che vi partecipano. Comunicare è dunque entrare in un processo nel quale interagiscono diversi fattori: l’identità dei comunicanti, il tipo di relazione che si va sviluppando tra di loro, il contenuto, i modi, il contesto… Programmazione Neurolinguistica (PNL): programmazione, in quanto è possibile scoprire i programmi comunicativi che usiamo per raggiungere obiettivi specifici; neuro, in quanto l’esperienza è filtrata ed elaborata dal sistema nervoso attraverso i sensi; linguistica, poiché le rappresentazioni sono codificate e fornite di significato attraverso il linguaggio. La PNL si fonda su feedback forniti dall’ascoltatore o osservatore, che possono essere intenzionali o spontanei. Il film è uno strumento privilegiato per l’addestramento all’osservazione, in quanto:  racconta una storia o più storie, in maniera efficace e in un tempo definito  permette di esaminare uno “spaccato di vita” a più livelli  consente, ogni volta che serve, di rivedere le sequenze dove le interazioni sono più complesse o più significative e ne permette lo studio Nella letteratura sistemica, la famiglia viene definita come “gruppo di individui con storia”; un gruppo di individui con storia che mentre si fa si disfa, per permettere a ciascuno di sviluppare la propria individualità e quindi realizzare la propria vita: Il film mette in scena proprio questi processi costruttivi e trasformativi. La scelta dei film o sequenze da proiettare dipende dall’obiettivo. Ci sono due criteri:  il primo basato sul contenuto (trama, temi trattati…);  il secondo legato a situazioni comunicative specifiche che mostrano come si costruiscono e si trasformano le relazioni umane. Le sequenze si possono far rivedere più volte, tutte quelle necessarie perché ciascuno possa attrezzarsi e affinare i propri canali percettivi sulle interazioni comunicative. Per permettere ai futuri operatori di attivare i loro strumenti osservativi, si può chiedere di individuare delle sequenze, studiarne il processo, analizzare le azioni e retroazioni dei singoli personaggi oppure si può proporre una sequenza uguale per tutti: tutti vedono le stesse azioni, ma ognuno le racconterà e commenterà in modo diverso. La visione del film è un modo per chiedere agli studenti di mettersi in gioco. È molto utile per lavorare sui pregiudizi: il pregiudizio è una lente colorata che impedisce la visione della realtà al naturale. I film sono storie, proprio come quelle che le persone portano nei contesti educativi e di cura: sono narrazioni di situazioni vissute. Il film diventa uno strumento di formazione e di addestramento dello sguardo sui processi relazionali: si può interrompere e riprendere, tornare indietro, condividere e discuterne. Molto importante è rendersi conto che ciascuno vede e impara in base a quello che già conosce. Grazie alla visione di film posso ampliare la mia visuale di osservazione sul mondo e il mio repertorio di azioni, purchè questa visione sia attiva e riflessiva. L'osservazione può inoltre offrire strumenti all'operatore per entrare in relazione con persone o famiglie: l'intervento di cura dipende principalmente 12 – il ricordo personale – la riflessività I ricordi condivisi portano ad un senso del noi. Le storie che si raccontano aiutano a ricordare come cambia lo scenario e le soluzioni che trova la famiglia. La tecnologia è una delle dimensioni dei cambiamenti sociali e culturali. Un altro è l'emergere di famiglie nuove o diversamente normali (fenomeni da comprendere e conoscere). La vera urgenza attuale è quella educativa: mettere l'accento sulla cultura familiare significa affrontare il tema dell'educazione come processo che avviene continuamente nella famiglia, per lo più inconsapevolmente. Disordine e incertezza: quale idea di apprendimento per la famiglia? La discontinuità è ciò che più caratterizza la cultura familiare dei nostri tempi; il disordine e l’incertezza sono oggi sinonimo di famiglia poiché la regolarità e la sequenzialità, caratteristiche del ciclo di vita familiare di un tempo, non esistono più. Il cambiamento non è omogeneo, dipende da molti fattori ed è l'educazione che può fare la differenza. La famiglia “in disordine”, fondata su sentimenti e sulla libertà individuale, richiede più negoziazione, più bisogno di parlare per costruire significati coordinati. Il genitore in una società dell'incertezza viene definito “diveniente genitore” ossia qualcuno che impara sempre, da qualsiasi evento e anche dallo stesso figlio; la complessità è una caratteristica costitutiva del vivere ed è necessario riconoscerla e conoscerla. L'invenzione del privato la privatezza della casa, della vita intima, ha portato al cambiamento dei ruoli dei membri della famiglia e cambia anche l'uso e il significato simbolico della stanze e degli oggetti. Doppi legami istituzionali Con la privatizzazione sembra che la famiglia abbia acquisito maggiore libertà interne, in realtà non è libera di definire il proprio spazio d'azione: lo Stato esercita un controllo sulla famiglia, potendo dare un giudizio sulla competenza genitoriale. Gli scienziati dell'umano monitorano, osservano, valutano e fissano criteri di qualità della vita privata e da qui nasce il concetto di genitorialità. La cura dei bambuni comincia ad essere concepita come un lavoro effettivo e la diade mamma-bambino inizia ad essere sotto indagine. Grazie alle leggi si è riposta maggiore attenzione ai diritti dei bambini, ma questo ha portato all'aumento del controllo sociale sulla famiglia. Questo può però diventare un rischio: sono necessari tempo e attenzione, formazione degli operatori, cura dei servizi per distinguere se il comportamento di una famiglia è controcultura oppure disattenzione/maltrattamento. Gli educatori devono essere preparati nella gestione dei propri pregiudizi, altrimenti si rischia di confondere una richiesta di aiuto come un'imposizione di cambiamenti secondo il modello che appare più sano a se stessi e non si celebra l'unicità di quella famiglia. Come si impara in famiglia? In famiglia si impara vivendo: l'apprendere è al centro della vita familiare; siamo immersi nelle interazioni e conversazioni che ci cambiano la vita anche quando non ce ne accorgiamo. In famiglia tutti imparano da tutti: è un insieme di relazioni circolari e interdipendenti. La famiglia è in continuo cambiamento: solo il “pensare per storie” riesce a restituire fluidità e dinamicità. I processi 15 narrativi sono educativi ma non intenzionali: il modo migliore per apprendere è l'educazione informale, implicita, inconscia. L’educatore per conoscere e comprendere appieno la famiglia con cui sta lavorando, deve indossare i panni dell’etnografo in quanto si deve basare su 3 tipi di dati:  l’osservazione della famiglia in azione per scoprire le ridondanze nelle interazioni  la raccolta delle storie per svelare il mondo dei significati e la raccolta di artefatti ( oggetti, disegni)  esplorare l’immaginario di quel sistema, ovvero il mondo delle possibilità ancora da sognare. Verso la biograficità: l'esempio della nascita Una famiglia è un insieme di individui che stanno insieme grazie al linguaggio che condividono, utile per poter convivere e costruire la realtà. Far parte di una famiglia significa sviluppare un insieme di storie, condividere parte dell'epistemologia, poiché le storie si interconnettono. Come educatori si ha la responsabilità di creare contesti relazionali in cui sia possibile narrare storie più ricche: lo stesso soggetto può raccontare o sviluppare storie diverse in momenti diversi. L'approccio sistemico cerca di generare versioni diverse della stessa storia, differenze che fanno la differenza, così da celebrare la complessità e la dinamicità. Molti disagi e storie difficili si potrebbero prevenire curando, attraverso la proposta narrative, le relazioni che un soggetto ha e non solo il soggetto in sé. Nell'approccio sistemico la biograficità è sempre inter-soggettiva e non soggettiva. Attraverso il racconto si gioca un ruolo attivo, ma ciò che è determinante è la retroattività del narrare ossia le altre storie che suscita. Tra micro e macro, la famiglia livello macro: sul piano sociale, le storie mettono in luce i cambiamenti dei sistemi organizzativi, istituzionali (di competenza degli assistenzi sociali - sociologia) Livello micro: le storie raccontano le trasformazioni di un sapere biografico (di competenza degli psicologi – psicologia Le interazioni che accompagnano ogni apprendimento individuale avvengono a livelli meso: la vita familiare a luogo in questo livello, che è connesso sia al macro che al micro. La famiglia in conclusione, non è solo un contesto e un ambiente per l’apprendimento, ma è un sistema evolutivo in cui i componenti co- evolvono insieme e cambiano cornici in connessione sia all’influenza micro ( familiare intera) sia macro( esterna) , mantenendo sempre però l’Assoluto familiare cioè il NOI. Seconda Parte Azioni cruciali nei servizi: verso un sapere incarnato, dinamico e riflessivo Servizi: ciò che fa un servizio non è nel suo nome ma nelle pratiche, nelle azioni e interazioni, nei processi che realizza, processi trasformativi (apprendimento, cambiamento, scelta..). È necessario celebrare la complessità dell'intervento educativo e valorizzare le relazioni. Ogni tipo di intervento presenta dei vincoli: queste particolarità rendono possibili alcune azioni e difficili altre. Il pensiero sistemico approfondito nella prima parte, verrà ora 16 esplicitato nella pratica; pensiero operativo: che si manifesta dentro un'azione, attraverso i processi. Necessario domandarsi: quali azioni cruciali caratterizzano l'operatività di un educatore che incontra una famiglia e desidera onorare la sua complessità? Verranno raccontate esperienze/pratiche dove al centro ci sarà l'azione. Il raccontare richiede di scegliere una punteggiatura: necessario pensare, avere una direzione, un senso. Si sceglie di partire dai racconti per veri motivi: 1. il sapere educativo è relazionale: fatto di persone, di interazioni concrete, di scambi comunicativi; il racconto è la via più immediata per accedere ai saperi dell'educatore, poiché offre un piccolo mondo che si è costruito con la pratica. Il racconto è il modo per comprendere e ricostruire a posteriori la teoria. La teoria è provvisoria e parziale, ma non significa meno soddisfacente. La dinamicità è ciò che caratterizza l'approccio sistemico 2. nelle storie c'è un prologo, uno svolgimento e un epilogo. Pensare per storie inserisce il tempo nelle nostre vite. Il lavoro educativo è muoversi per mettere in movimento. Anche il raccontare è un movimento: è pensiero che muove l'azione. Gli educatori sono presenze attive 3. riflessività come postura abituale del professionista: riflessione come pratica di cura di se e dell'altro. La riflessività sistemica è circolare e relazionale è importante avere sempre delle teorie di riferimento, di sviluppare un pensiero sempre più articolato grazie alla ricerca, alla lettura scientifica. Quando le relazioni professionali incontrano momenti critici, avere una buona teoria serve, suggerisce nuove piste di lavoro. CAPITOLO 1 – MOVIMENTI: IL LAVORO EDUCATIVO CON LA FAMIGLIA (Laura Formenti) Cronen e Pearce con altri studiosi della comunicazione propongono una revisione del doppio legame alla luce del concetto di circuito riflessivo già studiato qualche decennio prima da Bateson. Secondo gli autori però, solo alcuni circuiti riflessivi, che chiamano bizzarri, possono essere identificati come doppi legami, responsabili di disagio fino a sfociare nella psicopatologia; quelli che non creano disagio vengono chiamati riflessivi armonici. Bateson distingueva in ogni messaggio due livelli di significato, organizzati gerarchicamente: il livello di contenuto (esempio: parole) e quello di relazione (esempio: modo in cui viene pronunciata la parola), che serve a identificare il contesto nel quale il contenuto deve essere interpretato. Circuiti riflessivi: nascono quando, all'interno del messaggio, è possibile distinguere due livelli di significato, ossia una differenza tra contenuto e relazione che identifica il contesto nel quale il contenuto deve essere interpretato. Ogni azione è un fatto mentale che convoca diverse forme di pensiero, tra cui quello intuitivo e immaginativo. È importante saper uscire in modo creativo dai circuiti riflessivi bizzarri, ossia quelli che creano disagio e qualche difficoltà. Ogni educatore lavora su situazioni che sono “naturali” fino a quando non interviene un ostacolo: è nel momento della crisi, dell'errore, che si rende necessario l’apprendimento, il cambiamento e in alcuni casi, un intervento esterno utile. 17 L’approccio sistemico è tendenzialmente breve, mira alla perturbazione, non alla presa in carico, attribuisce al sistema una capacità di autocura che va rivitalizzata. È necessario chiedersi in base a quali criteri verrà valutato l'intervento educativo per capire a cosa dare valore. I criteri di valutazione dovrebbero essere fissati insieme alle famiglie, ma nella maggior parte dei casi le famiglie firmano un contratto senza negoziare, chiedere, ridefinire o comprenderne le clausole. Il processo educativo deve essere constantemente monitorato attraverso strumenti di osservazione o autosservazione gestiti da famiglia e operatori (es. tabelle, momenti più narrativi..). Il monitoraggio in itinere mostra i progressi, riconosce le competenze, consente di operare adattamenti se emergono novità. La circolarità tradotta in comunicazione Il lavoro educativo avviene in un flusso comunicativo incessante al quale le persone partecipano; tutto (parole, silenzi, gesti, interazioni, presenze, assenze..) ha valore di messaggio. I metodi della sistemica nascono da questa consapevolezza: l’operatore sistemico partecipa alla comunicazione in modo attivo, tiene conto del processo comunicativo in atto e prova a perturbarlo alla ricerca di nuove possibilità. Usa se stesso come messaggio, usa la proprio posizione nel sistema per introdurre differenze che diventino informazioni. E’ responsivo, cioè adotta una postura di grande attenzione per i feed-back, quelli da dare e quelli da ricevere. Il suo modo di comunicare non è centrato sull’intenzionalità del messaggio ma sugli effetti pragmatici. Questa postura epistemologica, molto lontana dal pensiero comune, è evidente nelle procedure inventate dai terapeuti della famiglia per condurre colloqui familiari congiunti. Ipotizzazione, circolarità e neutralità sono le linee guida che portano la conversazione da una concezione di “raccolta di informazioni sulla famiglia” a una conversazione a più voci nella quale si generano informazioni attraverso il gioco delle differenze, ossia le domande vengono formulate in modo da introdurre differenze spiazzanti per la famiglia che ne riorientino il movimento in direzioni impreviste. Domande che mettono in luce le relazioni, rendendole visibili e dunque trasformabili:  L’ipotizzazione consisteva nella capacità dell’équipe di formulare un’ipotesi sistemica fondata sulle informazioni in suo possesso, e funzionale a garantire l’attività dei conduttori nel ricostruire i giochi relazioni della famiglia. Fin dalla prima seduta, serve a iniziare e organizzare il processo di indagine, come una struttura che connette tutti i comportamenti dei diversi componenti del sistema dato che l’ipotesi non è vera né falsa ma solo più o meno utile.  La circolarità, era una conduzione basata sulle retroazioni della famiglia, sollecitate da domande che venivano poste in termine di rapporti, cioè di differenze e mutamenti. Le domande circolari vengono poste a tutti i membri della famiglia, perché quello che interessa sono le differenze.  La neutralità si concentrava sulle differenze e sui giochi, l’équipe neutralizzava ogni tentativo di coalizione, seduzione o relazione privilegiata, poiché era interessata a provocare retroazioni o ad accogliere informazioni e non a pronunciare giudizi moralisti di qualsiasi tipo. 20 La linea guida della neutralità costituiva un doppio vincolo terapeutico: i terapeuti riconoscevano le soluzioni adottate dalla famiglia come sensate e allo stesso tempo creavamo un contesto che offriva alternative possibili, ma senza imporle. L’équipe sistemica, adottando la postura dell’ipotizzazione, riconosce il valore parziale e temporaneo delle proprie idee sulla famiglia, che saranno coltivate e arricchite continuamente, per garantire una visione circolare e utile al cambiamento. L’ipotesi sistemica è il prodotto di una conversazione generativa nella quale gli operatori appaiono inizialmente lineari e ingenui, e solo discutendo riescono a prendere le distanze dai propri pregiudizi, grazie all’ascolto reciproco. Quando un’équipe diventa una “mente sistemica” riesce a sintonizzarsi sulla complessità della famiglia, a rispecchiarne la circolarità. Il lavoro d’équipe è dunque una condizione per poter lavorare in modo sistemico, per cogliere e onorare la complessa circolarità delle relazioni familiare e immaginare quello che potrebbero diventare. Differenza tra lavoro terapeutico e quello educativo: i terapeuti sistemici incontrano la famiglia in una stanza, usano prevalentemente il linguaggio verbale e sono vincolati da una richiesta di cambiamento propria della domanda di psicoterapia; l'educatore sistemico invece può allestire il setting , lavorare in situazioni di vita quotidiana ed ha maggiori possibilità di utilizzare canali non verbali (usare le parole è più difficile e delicato). Riuscire a ristabilire una comunicazione autentica tra i membri della famiglia è uno degli obiettivi dell'azione educativa. Un'altra linea guida della conduzione sistemica è la creatività o immaginazione: giocare ruoli diversi, immaginare, sognare, sono azioni cruciali per la trasformazione educativa. La famiglia non va mai a dormire Ogni azione educativa deve essere comprensibile ed è inserita in un sistema dinamico in continua trasformazione. Alla base c'è sempre movimento. L’azione educativa, secondo i sistemici, basata sull’idea di perturbazione ha qualche chance di essere ecologica se sviluppa una grande sensibilità verso il contesto e verso i processi comunicativi che lo costruiscono e commentano continuamente. La metafora del movimento riconosce forme, un tutto organizzato; vedere l'azione educativa come sistema sfida la classica idea di intervento che parte da zero. A volte sembra che le situazioni siano statiche, ferme e ripetitive ma non è così: i processi vitali non sono mai femi. Come la notte o il bosco in inverno, a noi sembrano statici ma perchè, nella posizione in cui siamo, non possiamo vedere che quello. Anche ciò che viene spesso definito peggioramento in realtà è un messaggio nella relazione, può assumere significati diversi: sono anche quelli apprendimenti, frutto di strategie. Non si può non apprendere: vivere è conoscere. Quali movimenti per stare tutti un po' meglio? Quattro dimesioni della cura, fortemente intrecciate: 1. la fedeltà del soggetto a se stesso: sembra riguardi il singolo soggetto, in realtà definisce la qualità delle relazioni: l'aspettativa biologica si incontra con il dato culturale, che porta discontinuità. Nella discontinuità però c'è spazio per la creatività e l'invenzione proria. Ogni cultura, ogni famiglia ha le sue discontinuità, ma è attraverso le relazioni che ci si struttura, si cresce per adattarsi al mondo 21 2. la cura dei legami: prendersi cura dei legami significa mettere lo sguardo su qualcosa che già c'è, ma che è stato trascurato, dimenticato o negato; significa ricreare le condizioni materiali, psicologiche, organizzative, a volte anche economiche e strutturali. Non significa negare i problemi o far finta di niente. La cura dei legami è uno degli obiettivi degli interventi educativi. Significa recuperare la capacità simbolica che crea una ricomposizione che è già in sé curativa. 3. la cura del noi: il senso del noi fa stare tutti un po' meglio a patto che non richieda l'infedeltà a sé stessi. È necessario quindi coltivare insieme i due livelli, quello del singolo e quello del gruppo. 4. l'apertura al sistema più ampio: cura è costruire proposte educative che creino occasioni naturali di partecipazione perchè il desiderio dell'altro, la voglia di esserci, di confrontarsi, nascono solo se c'è il contesto giusto. Due dei problemi più attuali sono l'isolamento sociale e la disconnessione dal mondo reale e dal territorio fisico in cui si vive. Le famiglie rimangono sempre più tempo in casa, hanno poche occasioni di prendersi cura del mondo. CAPITOLO 2 – PREVEDERE L'IMPREVISTO NELLA TUTELA DEI MINORI (Luca Massari) Con tutela dei minori generalmente si definiscono quelle funzioni pubbliche e quei servizi che hanno il compito di affiancare le bambine, i bambini, le ragazze e i ragazzi in favore dei quali è richiesto un controllo. Questo controllo può divenire penalizzante dei diritti di qualcuno della famiglia, pertanto è richiesto che le decisioni in proposito siano assunte da un’autorità giudiziaria. Intervenire in una famiglia quindi richiede oggettività ed è quindi necessario conoscere per poi decidere e agire con garazia. Previsto/imprevisto La categoria dell'imprevisto è capibile sono in relazione a ciò che è stato previsto: sono gli episodi imprevisti che aprono la visione su ciò che viene definito ordinario. Sono la differenza, ma danno un'informazione importante. È in base alle previsioni che si costruiscono i progetti di sostegno e controllo. All'imprevisto viene sempre data una connotazione o positiva o negativa, a seconda dell'esito previsto. Tipico della nostra cultura è di mettere l'imprevisto in relazione al risultato, si cerca sempre il lieto fine. Il lieto fine E vissero felici e contenti per tutta la vita è il filtro attraverso il quale noi conosciamo/agiamo anche in relazione con le famiglie, in modo inconsapevole. Può essere utile per andare oltre alle previsioni personali. Dal finale al percorrere il finale, il lieto fine, ci guida nel contenuto dell'intervento. Il lavoro educativo che si compie nell’ambito della tutela dei minori non può rinunciare alla dimensione relazionale che è essenziale. È importante ricordarsi che quando si lavora con le persone non vige sempre la legge di causa-effetto come nei rapporti tra oggetti. Il paradosso dell'istituzzionalizzazione nei servizi de-istituzionalizzati 2001 – legge che sancisce il diritto del minore ad una famiglia 2006 – chiusura degli istituti per minori processo di de-istituzionalizzazione anni 70 – critica alle istituzioni totali e ai loro effetti sugli esseri umani – processo in Italia avviato da Franco Basaglia 22 un nuovo equilibrio che permetta a tutti di stare bene. Ma questo non è possibile senza il contributo e la partecipazione attiva della famiglia con cui ci si relaziona. Quello che l’educatrice auspica, nel lavoro educativo, è una pedagogia della famiglia capace di tenere sempre presenti e valorizzare le risorse dei membri di quella famiglia, la loro storia e le loro evoluzioni. Compito difficile per l'educatore perchè deve essere sempre in relazione e creare un'alleanza, è chiamato quindi a mettersi in discussione. Una famiglia che si sente conosciuta e riconosciuta, si sentirà legittimata a chiedere aiuto, sapendo che non verrà giudicata. CAPITOLO 4 (Lia Sacerdote) – COMPORRE I LEGAMI MESSI ALLA PROVA DAL CARCERE L’arresto del genitore, è un momento topico che spezza i rapporti e mette in pericolo i legami. I primi ad essere vittima sono i figli e il nucleo familiare violato nella sua interezza e organizzazione. Il carcere è il luogo dove i legami si interrompono per legge, ma, è anche quel luogo in cui è fortemente necessario e vitale l’intervento di cura mirato al ricongiungimento con la famiglia. La carcerazione, determina una catena di eventi che la famiglia subisce e vive per lo più in solitudine, essa sperimenta ostacoli e barriere di distanza con i propri cari, quasi come se questi modi siano gli unici per offrire sicurezza, ma non è così, in quanto questi, portano solo a rinforzare e amplificare le debolezze e gli squilibri. Fondazione “Bambini senza sbarre” : impresa sociale e testimone delle trasformazioni dell'ambiente penitenziario. Il mantenimento dei legami con i genitori è primario ed è un diritto sancito dalla Carta internazionale dei Diritti dell'Infanzia e dell'Adolescenza, ma non viene sempre rispettato dal carcere. Il contesto istituzionale: il carcere e le sue leggi La famiglia, rappresenta non solo un sostegno affettivo importante durante la detenzione , ma è anche l’ambito in cui la persona detenuta può trascorrere parte della pena (quando vengono adottate misure alternative al carcere), per questo è importante rafforzare i legami. Si è osservato con numerose ricerche, che, il recupero della relazione con i figli, porta la persona detenuta a ritrovare una motivazione al cambiamento e a un recupero della responsabilità genitoriale. Il colloquio è un momento prezioso, cruciale per la cura di questo legame e perciò le istituzioni devono fare in modo che avvenga nelle condizioni migliori. Sono state emesse una serie di norme a sostegno della genitorialità; nel 1975 c'è stato il passaggio da un sistema repressivo al riconoscimento del valore rieducativo del carcere. Le norme successive segnano un'attenzione per le misure alternative alla detenzione, che prevedono per le madri la detenzione domiciliare speciale, l'uscita diurna dal carcere per lavorare o prendersi cura dei figli. Nonostante i grandi sforzi di umanizzazione delle relazioni nel carcere e di adeguamento degli ambienti e dei comportamenti, la cultura carceraria, le strutture incidono ancora in modo determinante sulle possibilità di prendersi cura dei legami e dei bisogni di figli e famiglie. Un intervento a più livelli La mediazione è lo strumento chiave da mettere in campo con i detenuti e i loro cari, con il personale penitenziario e con gli altri operatori. L'esperienza del carcere è l'esperienza della separazione. Il carcere è il racconto della separazione. 25 Chi necessita di più attenzione è il bambino, poiché interrompere rapporti affettivi è per lui un fatto traumatico. Il benessere del figlio è al centro. Il mantenimento della relazione durante il periodo di carcerazione è riconosciuto come diritto del bambino al legame fondamentale per crescere e come diritto- dovere del genitore ad assumersi la responsabilità e continuità del suo ruolo (recupero di un'identità genitoriale persa). Significa riconoscere il bisogno di continuità del legame affettivo. Questo aiuto è anche un intervento di prevenzione sociale: i figli con un genitore detenuto hanno maggiori possibilità di trovarsi in futuro in conflitto con la legge. La cura dei legami in carcere: temi emergenti. È importante distinguere per un intervento educativo in carcere che la persona non è il reato. Un'altra difficoltà è spiegare ai bambini la condizione del genitore: è possibile dir loro la verità con parole a loro accessibili ed è importante far capire loro che la prigione pone limiti alla libertà, non all'affetto. Il silenzio e le bugie al contrario danno modo al bambino di immaginare e può essere peggio che la verità. La separazione dal genitore è sia psicologica che fisica; la separazione psicologica è possibile quando il bambino ha imparato a simbolizzare la relazione con il genitore. Se la separazione fisica avviene in modo brusco e improvviso, sarà difficile per il bambino trovare una posizione all'interno della famiglia (sentimento di disorientamento, angoscia, abbandono o rifiuto). Il bambino che si sente abbandonato percepisce se stesso come non meritevole d'amore e sono spesso bambini arrabbiati ma che faticano ad esprimerlo. Prendersi cura del legame genitoriale: il processo d'intervento Un costume culturale diffuso, ritiene che una persona in carcere non sia in grado di essere un buon padre o una buona madre, il genitore in carcere ha bisogno di essere aiutato a ritrovare il proprio ruolo genitoriale. Separarsi dai figli significa sparire dal rapporto quotidiano ma ancbe dalla rete sociale di riferimento. Per iniziare un buon intervento, è fondamentale scegliere di relazionarsi con la persona e non al detenuto in quanto solo in questo modo è possibile lo scambio relazionale in un clima di rispetto reciproco. Dobbiamo considerare la persona-genitore capace di assumersi delle responsabilità anche se detenuta, in quanto esso ha il diritto e il dovere di salvaguardare il proprio ruolo e di mantenere un rapporto significativo con il figlio. Il processo d'intervento Possiamo definire il processo di intervento come la realizzazione di : – un percorso di informazione, formazione e sensibilizzazione – un intervento di prevenzione sociale – un coinvolgimento della rete interna ed esterna al carcere – una presa in carico – un'ottica di cura dei legami relazionali ed affettivi Le definizioni mettono in luce la complessità dell'intervento. Gli interventi principali pensati per i genitori in carcere sono:  Spazio Giallo  Colloqui  Incontri di gruppo con i genitori ( gruppi di parola e punti di ascolto) Lo Spazio Giallo, è un luogo, uno spazio fisico creato appositamente per l’ accoglienza dei bambini e delle famiglie che si preparano al colloquio. E’ uno spazio integrato socioeducativo, di gioco e di relazione, pensato e preparato 26 dagli educatori per le esigenze dei bambini. È l'occasione per avviare il processo di intervento e quindi l'attenzione, oltre che sui bambini, è per gli accompagnatori. L'attività è documentata da un diario che riporta le osservazioni, le attività svolte ed eventuali valutazioni. I bambini vivono questo spazio come un luogo in cui si sentono pensati e protetti; possono “dare voce”, parlare e dare forma alle loro emozioni poiché sanno che li sono ascoltati; per le famiglie lo Spazio è risorsa, scambio, consulenza e gli operatori vengono a conoscenza di come le famiglie affrontano l’esperienza detentiva. I gruppi di parola sono incontri collettivi di discussione e confronto. Funziona meglio con gruppi di donne. I temi che occupano queste riunioni sono principalmente : 1. l’esplorazione dei bisogni dei figli: come comprenderli, come leggere certi comportamenti, come comunicare con loro, come utilizzare il tempo del colloquio 2. il tema della sofferenza: dei figli e propria , in cui il gruppo aiuta a superare le paure . 3. Il tema interculturale: il gruppo di parola permette lo scambio di informazione e il confronto 4. il tema della comunicazione: mettere in discussione le proprie modalità di comunicare, accettando l'altro è un valore non scontato in carcere. 5. Tema dello svelamento della condizione detentiva: processo di accettazione della propria storia I punti di ascolto sono punti che individuano un tempo e uno spazio per i colloquio individuiale con i genitori, nel quale è previsto un ascolto reciproco. CAPITOLO 5 (Andrea Galimberti) – POSIZIONARSI NEL CONFLITTO: L'EDUCATORE A SPAZIO NEUTRO La parola conflitto richiama l’idea di opposizione di due o più punti di vista che non riescono a trovare una forma di convivenza , di complementarietà. Dall’”urto”, dal conflitto, possono nascere conseguenze positive (emancipazione dall'altro) e conseguenze/effetti negativi per esempio sofferenze, violenze. Ogni famiglia ha un rapporto diverso con il conflitto, in alcune genera sofferenza, alcune lo vedono come un tabù da evitare, altre come un fatto normale della vita. Spazio Neutro Spazio Neutro è nato per sostenere e favorire il mantenimento della relazione tra bambino e genitore adulto significativo. Nasce a seguito di una sensibilizzazione recente che riguarda le relazioni genitori-figli e l'idea stessa di infanzia (diritto di visita e di relazione). Questo mutamento ha permesso l'avvio di un graduale processo di intervento pubblico e privato di mantenimento delle relazioni. Le famiglie che usufruiscono di questo servizio sono inviate dal Tribunale dei Minori o dal Tribunale Ordinario in modo coatto, quindi arriva all'interno di queste famiglie un servizio non richiesto direttamente da loro. 27 ogni episodio raccontato viene anche riletto dagli intervistati nelle sue implicazioni di senso. L'educatore è parte di un ampio sistema di relazioni entro il quale interviene e l'intervento da lui condotto può avere effetti che vanno oltre il bambino. Tre approcci che l’operatore ha nei confronti della famiglia:  Famiglia Assente: non è in alcun modo considerata nella cornice di riferimento con cui si guarda il minore (la capacità di includere la famiglia originaria nel percorso educativo all'interno di un servizio è un nodo cruciale)  Famiglia Distante o Potenzialmente Problematica: si guarda la famiglia del minore in modo diffidente.  Famiglia Sbagliata: quando l’educatore etichetta la famiglia come sbagliata (carente, deviante, patologica) Le cornici di senso di genitori ed educatori non sempre coincidono e spesso diverse interpretazioni portano ad un conflitto. Spesso l'educatore non sente apprezzamento per il lavoro svolto. Se il genitore contiene il passato del ragazzo, l'educatore punta al futuro: queste due dimensioni di vita devono integrarsi in uno sguardo comune, condiviso. Nell'interazione educativa accade di fare troppo o troppo poco: l'atto educativo è frutto di una posizione, è fisico e mentale, fatto di emozioni e pensieri. Gli educatori a volte riconoscono di non avere avuto la corretta posizione, che invece va ricercata attraverso un percorso studiato e condiviso. In primo luogo l’educatore ha una visione pregiudiziale ma, approfondendo il rapporto con la famiglia, il pregiudizio si scioglie e si scopre il desiderio dei genitori di fare il meglio per i propri figli. Cruciale per questo passaggio è il lavoro di gruppo con i colleghi in equipe e nella supervisione. Senza il confronto è molto difficile riconoscere i propri pregiudizi e schematismi. “non ho mai incontrato genitori che non amassero i propri figli, né figli che non amassero i genitori, ma ho incontrato genitori e figli incapaci di trasformare i loro sentimenti di amore in un comportamento che esprima altrettanto amore”. Speranza: capacità di rinnovare la propria fiducia nella possibilità di miglioramento delle persone. Tema dei confini: la famiglia nel nostro modello culturale è uno spazio privato, chiuso, dove avvengono rapporti intimi, personali, connotati dalla dimensione affettiva e le mura di casa sono quelle entro le quali gestire i problemi. Entrare nelle case, nelle famiglie per svolgere interventi di mediazione è vissuto spesso con timore. Gli educatori riconoscono di essere parte di un sistema complesso di relazioni, che influenzano. Cosa accade dentro l'educatore mentre avvengono le varie fasi dell'intervento? Paura – timore – consapevolezza di muoversi in un territorio delicato – discrezione – obiettivi chiari – emozioni. Le emozioni devono essere per prima cosa riconosciute, poi utilizzate, cioè messe a disposizione dell'intenzionalità educativa. Il contatto con le famiglie sollecita il ricordo o la riflessione sulle proprie esperienze famigliari. Questo può dare origine a percorsi auto educativi in due direzioni:  nella prima l'esperienza positiva di comunicazione con le famiglie del Centro porta nuovo valore e spessore alle proprie relazioni famigliari; 30  nella seconda il contatto con situazioni di conflitto riporta alla memoria i conflitti della propria storia famigliare, producendo empatia. L'atto educativo consiste nell'offrire ai ragazzi e alle famiglie un punto di vista diverso. Quest'atto è anche auto educativo per l'educatrice. Nella mente dell'educatore Indagine sui percorsi di consapevolezza dell'educatore: partendo dagli studi di Pavlov e la scoperta dei riflessi condizionati, ci si domanda: per quanto concerne il lavoro educativo, se l'educatore reagisce in maniera automatica a una serie di stimoli, come può l'interazione educativa avere un carattere intenzionale? È necessario un costante lavoro di auto-addestramento che sveli queste risposte automatiche e introduca una pausa ossia la comprensione dello stimolo. L’educatore non deve rispondere in modo automatico allo stimolo ma deve ampliare le proprie possibilità di scelta e offrire una risposta di volta in volta specifica. Comprendere lo stimolo significa riflettere sull'intervento educativo, ricercare e allenarsi. Una pratica di consapevolezza nella relazione Gli strumenti che ci permettono di fornire una posizione nelle relazioni educative con sé stessi, con gli altri e con la vita sono:  L’osservazione di sè consiste nella ricerca continua di uno stato di attenzione verso sé (mentre osservo me stesso, osservo e porto attenzione anche all'altro). La caratteristica fondamentale dell'osservazione è la neutralità, ovvero la distinzione tra dati e informazioni.  La mediazione è l'azione che permette l'incontro dei saperi tra educatore e educando affinché si verifichi un effettivo apprendimento da parte di quest'ultimo. Il processo di mediazione implica una componente emotiva: l'educando è attratto dalla posizione proposta perché l'educatore è un modello con cui c'è un'intesa relazione affettiva. CAPITOLO 7 (Luraschi, Mosconi e Rivetti) – FARE SPAZIO E DARE VOCE: L'INCONTRO CON I FAMILIARI IN UN SERVIZIO PSICHIATRICO TERRITORIALE Progetto famiglie: Spazio di ascolto in cui l’attenzione non è posta sulla diagnosi e sulla malattia ma sul vissuto che di essa hanno i familiari e sul significato che la famiglia gli attribuisce in modo da rendere l’esistenza della persona malata di nuovo sostenibile. Progettare un intervento educativo-pedagogico che offra ai familiari un luogo in cui sia possibile narrare il dolore. La famiglia è il luogo in cui il paziente vive e del quale condivide le dinamiche relazionali. La famiglia è perciò una presenza irrinunciabile; tutto ciò che accade in tale gruppo influenza e determia le vicende individuali. Il Progetto L’intervento è pensato come uno spazio di ascolto, in cui sia possibile, in un clima di accoglienza, definire l'attuale situazione familiare, attribuire senso e significato agli eventi e alle relazioni, per cercare un nuovo punto di vista che apra orizzonti nuovi in maniera dignitosa, uno spazio dove raccontare la propria 31 storia in un contesto dove è favorita la comunicazione e la sofferenza viene legittimata e riconosciuta. I famigliari delle persone con disagio psichico fanno fatica a staccarsi dal copione costruito negli anni per sopravvivere: coinvolgere la famiglia per ricostruire le modalità relazionali, in modo da portare alla luce risorse dimenticate o nuove. Attenzione posta sulle relazioni! Senza avere fretta di arrivare a delle conclusioni. Intervento che sostiene ma soprattutto che cerca di far esplorare il disagio, di nominarlo e riconoscerlo, di condividere l'esperienza e le emozioni. Prendersi cura dei legami Accogliere: gesto di cura, autentico interesse per l'altro, costruzione del luogo ideale, uso di parole giuste, riconoscere le differenze e l'unicità, non categorizzare, essere curiosi, saper cogliere la bellezza. L'importanza del contratto il contratto permette di co-creare un significato condiviso su ciò che si fa insieme. Può evolvere in direzioni impensate. Domande, priorità e obiettivi possono essere ridefiniti nel tempo. Spesso gli incontri vengono allargati a tutti i componenti della famiglia. Le storie Per i familiari è doloroso dare un nome alle cose, alle emozioni. Si propone un nuovo modo di parlare e pensare alla situazioni, ad esempio l'utilizzo della narrazione biografica (che diventa una pratica di pensabilità, confronto e riflessione). Narrando i soggetti si riconoscono, si identificano. Un accompagnamento irriverente chi racconta diventa meno estraneo perchè trasmette una parte di se: questo attiva una curiosità irriverente. Questo atteggiamento esplorativo ci ha spinto a caratterizzare l'intervento come educativo, proponendo una pratica riflessiva, di auto-formazione, di apprendimento. L'intervento con i familiare viene definito come un accompagnamento al becoming parent, concentrato sull'unicità della storia e sulle risorse di ognuno. Un bilancio provvisorio alcune famiglie hanno abbandonato il percorso prima della sua conclusione, forse anche perchè il progetto non è ancora stato riconosciuto in modo istituzionale, ne conseguono difficoltà nel confronto con i referenti del caso. Difficile togliere lo sguardo dal paziente per allargarlo alla famiglia. Raccontare la propria storia ha permesso ad alcuni familiari di rivedere i propri modelli relazionali riuscendo ad adattarsi in maniera nuova non alla malattia ma alle storie individuali e familiari; alcuni familiari hanno usato lo spazio per essere ascoltati, altri per prendere le distanze dal disagio mentale e dallo stigma che lo accompagna riuscendo a uscire da un isolamento sociale nel quale si erano confinati. CAPITOLO 8 – APPARECCHIARE CONTESTI DI APPRENDIMENTO PER PROMUOVERE COMPETENZE (Bettinaglio, Loverso e Rosti) Degli educatori hanno organizzato dei laboratori, pensati per famiglie prese in carico dai servizi sociali, con genitori già dichiarati in gravi difficoltà rispetto ai compiti educativi e di cura, seguiti dal servizio di Tutela Minori, nei quali si sperimentava attraverso attività formative le relazioni educative e il rapporto genitori-figli. 32
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