Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Re - inventare la famiglia, Appunti di Pedagogia

Pedagogia della famiglia - re inventare la famiglia: schede teoriche

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 22/04/2019

mira-pochini
mira-pochini 🇮🇹

4.5

(226)

213 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Re - inventare la famiglia e più Appunti in PDF di Pedagogia solo su Docsity! Schede teoriche Sistema: da greco syn (con, insieme) e stena (stare, collocare, porre). Indica un aggregato di parti interagenti, ciascuna delle quali può esistere in sé, ma è interdipendente dalle altre e dal tutto secondo determinate leggi e regole. La teoria dei sistemi considera gli esseri viventi come sistemi aperti che non possono più essere visti come un insieme di parti analizzabili separatamente, ma come un complesso di elementi in interazione tra loro. Le proprietà dei sistemi sono: Totalità – il tutto è diverso dalla somma delle parti. Un sistema è un tutto inscindibile: se una parte cambia o viene danneggiata, tutte le parti e tutto il sistema sono coinvolti; Retroazione e circolarità – il modo in cui sono unite le parti di un sistema nega il modello del determinismo lineare, che prevede una catena di eventi dove a causa b e così via. Si ha retroazione quando b, c o d tornano su a, generando una circolarità; Omeostasi – è lo stato stazionario di un sistema, che mantiene una serie di parametri entro limiti di variabilità predeterminati. L’equilibrio raggiunto non è fisso, ma metastabile: si mantiene attraverso un continuo processo di retroazione negativa, cioè a riduzione dei valori che si discostano dalla norma interna o da un valore ottimale di una certa variabile; Equifinalità – se nei sistemi chiusi le condizioni iniziali determinano l’equilibrio, nei sistemi aperti l’equilibrio è dato dal principio di qui finalità, cioè dal fatto che il loro funzionamento è legato al processo. Questo significa che due sistemi partiti da condizioni iniziali diverse possono raggiungere lo stesso risultato finale e viceversa. Il risultato dipenderà dalla natura del processo organizzativo e dalle variazioni strutturali che in quel sistema si produrranno. Metafora: dal greco methaphora, mutamento. La metafora è una figura retorica con la quale si esprime, sulla base di una similitudine, una cosa diversa da quella nominata, trasferendo il concetto al di fuori del suo significato reale. I linguisti Lakoff e Johnson, invece, la considerano una dimensione cognitiva che sta alla base del linguaggio quotidiano e coinvolge non solo le parole, ma anche il pensiero e l’azione. La metafora consente di comprendere e vivere qualcosa di nuovo o di complesso nei termini di qualcos’altro che ci è noto e più familiare. Più di ogni altra cosa, il corpo e i sensi ci offrono metafore per comprendere il mondo: è a partire dall’esperienza del corpo, dell’azione concreta, che nascono le metafore. La metafora più interessante per il genere umano è il sé: “è il cuore della rete di metafore attraverso la quale riconosciamo il mondo e interagiamo con esso”. Copioni, riti e rituali Copioni familiari – il concetto di copione è usato dalla psicologia cognitiva e sociale per indicare un modello operativo che racchiude le aspettative su cosa si deve fare in determinate situazioni. Formenti lo definisce come un sistema di aspettative implicite che organizzano eventi ripetitivi entro un dato contesto spazio – temporale, eventi cioè che presentano caratteristiche ridondanti. Il copione è una forma di conoscenza schematica e stereotipata che tiene conto del tempo, dello spazio, degli scopi e dell’intenzionalità dell’azione umana. Molto importanti sono anche gli script familiari, ovvero l’insieme di aspettative condivise dalla famiglia di come i ruoli debbano essere rispettati all’interno di contesti differenti. Rituali e riti familiari – i rituali di interazione hanno la funzione di insegnare ai singoli membri di una società le strutture della società in quanto entità più ampia o anche di offrire ai soggetti comunicanti un sistema di prassi, convenzioni e regole procedurali che funziona come strumento di guida e di organizzazione del flusso dei messaggi e come messo per le persone interessate di accreditarsi reciprocamente come partecipanti legittimi. Partecipando ai riti familiari codificati si realizzano apprendimenti espliciti e impliciti. Ridondanza – “essere ridonante, sovrabbondante, eccessivamente ricco, gonfio”. La connotazione di questa parola è, nell’eccezione comune, spesso negativa: è ridondante ciò che si ripete, in modo fastidioso. Il concetto più specifico e tecnico di ridondanza ha una connotazione invece di funzionalità e necessità: tutta la comunicazione è basata sulla ridondanza, cioè sulla presenza di processi di codificazione, organizzati secondo regole, vincoli e modelli ripetuti. La ridondanza può riguardare, a un primo livello, la struttura del materiale che costituisce il supporto dei messaggi, che permette a chi riceve il messaggio di comprenderlo anche quando dovesse perdersi qualche elemento. La ridondanza aiuta a distinguere tra segnale e rumore. Un secondo livello di ridondanza è riscontrabile nel mondo dei fenomeni naturali: un osservatore percepisce solo certe parti di una sequenza o configurazione di fenomeni, ma grazie alla loro ridondanza riesce a risalire alle parti che non può direttamente percepire. Il terzo livello di ridondanza mette insieme i fenomeni e i messaggi: la capacità dell’osservatore di predire fenomeni esterni è assai accresciuta se egli riceve materiale di messaggi. Un osservatore esterno che non conosca il gioco, per comprenderne le regole ha due possibilità: chiederle ai giocatori oppure osservare le sequenze di azioni e cercare ridondanze, ovvero le ripetizioni di mosse, schemi e modelli. Pregiudizio Indica un’opinione errata dovuta a scarsa conoscenza dei fatti o all’accettazione acritica di errate opinioni altrui. I pregiudizi non sono necessariamente ingiustificati ed erronei così da distorcere il vero in maniera inevitabile. Per chi educa o si prende cura delle famiglie, non è sbagliato avere dei pregiudizi, quanto pretendere di non averne, cercare di reprimerli o di ignorarli. Infatti qualsiasi idea, fantasia o emozione influirà sulla relazione. L’indicazione è riconoscere i propri pregiudizi, discuterne apertamente, chiedersi in che modo le azioni dell’operatore sono il frutto dei suoi pregiudizi. In ambito educativo, essi guidano le azioni dell’educatore nell’incontro con l’altro, dando luogo a uno scambio continuo di pregiudizi reciproci. La riflessione sull’azione educativo è il primo passo per sviluppare un approccio auto – consapevole. Ristrutturazione La ristrutturazione è un classico intervento della prima terapia familiare sistematica. Quando si produce uno squilibrio o un disagio in un sistema comunicativo, il problema si dissolve nel momento in cui le persone si accordano per cambiare le loro cornici. Per ristrutturazione si intende quindi l’adozione di un punto di vista nuovo rispetto ai precedenti significati attribuiti a una determinata situazione. È un cambiamento di cornice. Come intervento intenzionale, la ristrutturazione è volta a modificare gli schemi relazionali abituali della famiglia utilizzando energie ed elementi già presenti nel sistema. L’edificio assume nuove prospettive, ma i mattoni che lo formano sono sempre gli stessi. Agisce a livello meta: non sull’oggetto, ma sul significato attribuito alla situazione: fa leva sulla possibilità di affrontare diversamente la situazione. Connotazione positiva Consiste in una meta – comunicazione che conferma e giustifica tutti i comportamenti dei membri della famiglia rispetto al problema portato; tecnicamente è una ristrutturazione che nasce dall’attenzione dei sistemici per il contesto. Se la valutazione negativa comporta un giudizio morale (state sbagliando, dovete correggere l’errore), la connotazione positiva consente di definire la relazione di cura senza introdurre squalifiche. Apre la via al paradosso: come mai la coesione del gruppo, che i terapeuti definiscono tanto buona e desiderabile, richiede la presenza di un paziente? Le tipologie di approccio relazionale che usiamo sono principalmente due: quella sintonica che tende a valorizzare i punti in comune tra i parlanti e quella distonica in cui la comunicazione mostra un bassissimo livello di efficacia, le posture, le prole sono di chiusa e di allontanamento. Secondo la PNL, ai cinque sensi corrispondono tre canali d’ingresso: visivo, uditivo, cenestesico (comprende tatto, gusto e l’insieme delle sensazioni corporee). Ogni stimolo sensoriale è tradotto in termini comunicativi, che presuppongono la possibilità di accedere a un insieme di immagini, sensazioni o suoni che è per ciascuno di noi, in quel momento, il significato di quello stimolo. I nostri sistemi sensoriali raccolgono dall’ambiente informazioni filtrate dal sistema nervoso centrale in base alla loro rilevanza ed effettua su queste informazioni delle operazioni di cancellazione, distorsione, generalizzazione. Le informazioni sono codificate e organizzate in modo da essere tradotte in esperienze soggettive che acquistano per l’individuo un preciso significato, il quale determinerà un comportamento. Se si vuole entrare in rapporto con le persone è utile sintonizzarsi con il proprio sistema rappresentativo. Nel linguaggio della PNL, rapport è il processo attraverso il quale si stabilisce e si mantiene un buon rapporto interpersonale, di fiducia reciproca. Nel momento in cui si crea intesa tra due persone, uno sarà inconsciamente portato a rispondere in modo positivo agli stimoli dell’altro e alla sua persona in generale. Empatia è partecipazione, rispettosa vicinanza, tentativo di comprendere e di vedere le cose dal punto di vista altrui. Rispecchiamento e armonizzazione rappresentano il punto di partenza per mettersi sulla stessa lunghezza d’onda dell’interlocutore. Rispecchiare significa riprodurre le modalità del nostro interlocutore. Il rispecchiamento è l’essenza di ciò che molti chiamano rapporto. Calibrazione è quando ci sintonizziamo con una persona utilizzando il suo stesso vocabolario verbale, ci sincronizziamo con i suoi processi interni ottenendo una riduzione dei tempi d’accettazione e creazione della fiducia. Mettersi al passo significa riuscire a essere in sintonia col comportamento altrui, sia a livello verbale che extraverbale. Bellezza È una categoria immanente del processo mentale, non proviene da unità trascendenti, ma dall’incontro tra un organismo e il suo mondo. Rosalba Conserva afferma che potremmo giungere alla conclusione che la bellezza è uno dei criteri esplicativi della vita: apprezzando la bellezza di un fiore, delle piume di un uccello noi impariamo a ri – conoscere la nostra appartenenza alla natura. È bello non un certo oggetto, ma la nostra relazione con quell’oggetto. Nell’apprezzare la bellezza noi ri – conosciamo una somiglianza, la struttura che ci connette a ciò che osserviamo. Siamo esseri sensibili: tutti i nostri sensi sono sintonizzati sul mondo ed è l’attenzione per ciò che accade a rendere possibile la risonanza. Le persone anestetizzate – i cui sensi sono messi a tacere – faticano a godere della bellezza. Certe storie, persone o situazioni nelle quali percepiamo asimmetria, dolore o confusione riescono ad apparirci belle quando le vediamo davvero. Anche la bruttezza, perciò, quando è riconosciuta nostra appartiene alla categoria del bello. Cornici Cornici politiche e semantiche – Una cornice è qualcosa che inquadra, separa il contenuto dallo sfondo, gli dà senso e lo valorizza. Sul piano cognitivo, struttura e definisce; sul piano simbolico, contiene e crea attenzione. Le cornici politiche riguardano le interazioni, l’organizzazione dei comportamenti, le strategie relazionali tra le persone; le cornici semantiche riguardano lo sviluppo dei significati attraverso la comunicazione. I due modi sono intrecciati in una relazione dialettica. Il primo, però, è quello che più qualifica e distingue l’approccio sistemico. Quando le persone sono impegnate a raccontare le loro esperienze tendono spesso a usare le cornici di riferimento semantiche. La cornice politica è più immediatamente disponibile quando si incontra la famiglia tutta insieme, in presenza, momento in cui sono più visibili le azioni e reazioni reciproche. Rispetto alla definizione di un problema, ad esempio, al cornice politica definisce tutte le soluzioni tentate, mentre quella semantica definisce il modo di dare senso e significato alla situazione. Cornici e mondi possibili – Un buon osservatore deve saper riconoscere la differenza tra cambiare punto di vista entro un contesto dato per scontato, e cambiare quel contesto. Per riuscirci bisogna fare esercizio: sperimentare diverse azioni di osservazione e ascolto. Ogni essere umano è immerso, senza saperlo, in cornici, cioè sistemi di premesse implicite, schemi abituali di interpretazione de mondo. Ciò che ognuno vede dipende dal proprio punto di vista sul mondo. Risalire alle cornici richiede spesso il conflitto: per vedere il proprio punto di vista è necessario cambiarlo, uscire dalla cornice di lettura abituale. Passare da una mono – cultura a una cultura plurale richiede nuove competenze rispetto al modo di usare le cornici. Un buon osservatore è un buon esploratore di altri mondi possibili, uno che sa come ci si connette ad essi e al mondo quando ci si predispone a vedere e valutare le stesse cose in modi che prima ci erano preclusi, perché non previsti dalle cornici che davamo per scontate. Questo saper accogliere altre cornici che prima escludevamo è chiamato apprendimento dell’apprendimento o deuteroapprendimento. Tutto ciò avviene perché il pensiero sistematico ci ha insegnato a rispettare la molteplicità e a ragionare in termini di pluri – verso, di una molteplicità di mondi culturali. Narrativa familiare, miti e leggende La narrativa familiare è un insieme ampio e articolato di processi – individuali e collettivi – di creazione di storie che vengono condivise, modificate, arricchite, ri – significate a ogni passaggi. I fatti del passato vengono raccontati ripetutamente, di generazione in generazione. Quello che resta, però, sono i presupposti impliciti delle storie: i racconti si trasformano in insegnamenti generalizzati, ormai slegati dagli eventi originari. Il valore e la funzione apprenditiva della nuova storia agisce sempre nel presente. Gli attori della famiglia imparano tramite processi di deuteroapprendimento. Miti Tre significati della parola mito: • Narrazione favolosa delle gesta di dei e eroi • Fatto o personaggio storico divenuto leggendario • Ogni convenzione di una collettività e che è di stimolo all’azione Il mito familiare viene definito un certo numero di opinioni ben sistematizzate, condivise da tutti i membri della famiglia. I miti familiari comprendono molte regole nascoste della relazione, regole che sono tenute celate, sepolte nella banalità delle abitudini familiari. Il mito si attualizza nella comunicazione, ma non può essere esso stesso oggetto di comunicazione. Fruggeri descrive alcuni miti familiari comuni: mito della famiglia felice e priva di problemi, del capro espiatorio, della sfortuna, dell’unità, della trasparenza e dell’incomunicabilità. Leggende Leggenda è il racconto di un avvenimento, di un fatto, generalmente a carattere religioso, cavalleresco o eroico, ricco di particolari favolosi e fantastici, ma anche un evento realmente accaduto che la fantasia popolare ha arricchito di elementi fantastici. Quindi possiamo chiamare leggende familiari quei racconti di eventi e situazioni specifiche che, mescolando realtà e immaginazione, vengono tramandati di generazione in generazione attraverso la parola. La leggende narra sempre eventi significativi che implicano una messa alla prova per singoli membri della famiglia o per le loro relazioni. La leggenda continue dunque istruzioni implicite sull’attraversamento delle situazioni difficili, sulla soluzione dei problemi: offre modelli, copioni, significati. In questo senso possiamo affermare che il mito spiega, d senso alla vita familiare, mentre la leggenda prescrive. Paradigma familiare È il complesso di presupposti, immagini reali e ideali, rappresentazioni e concetti che costruiscono un modello cognitivo, valoriale, emotivo ed etico con cui la famiglia sceglie di dare forma alle sue azioni. Il paradigma è una variabile sistematica in quanto esprime caratteristiche che appartengono alla famiglia nel suo insieme. L’analisi del paradigma familiare non serve a connotare le famiglie come patologiche o sane, ma a comprendere la molteplicità e l’unicità del loro modo di dare senso. Reiss individua tre parametri che pone agli estremi di un continuum entro cui è possibile collocare ogni famiglia. Il primo analizza la visione del mondo in termini di configurazione. Una configurazione alta è propria di una famiglia con una visione del mondo ordinata e controllabile. La famiglia, quindi, riconoscere di possedere le competenze di controllo e gestione degli eventi. All’estremo opposto si trova una famiglia con una configurazione bassa, che vede il mondo caotico e incontrollabile, che si sentirà minacciata e impotente. Il secondo parametro è la coordinazione: a un estremo troviamo la coordinazione alta di una famiglia che si presenta altamente coesa e si aspetta di essere trattata come un gruppo. All’estremo opposto una famiglia con coordinazione bassa appare come un aggregato di individui separati che richiedono un riconoscimento della loro individualità. Il terzo parametro si concentra sull’atteggiamento rispetto all’informazione: una famiglia si mostra aperta se mostra di riconoscere e accogliere i messaggi, le differenze, le novità, modificandosi di conseguenza; all’opposto appare chiusa se riconosce solo ciò che già è noto e tende alla conferma. Ad un polo vediamo una famiglia che privilegia la discontinuità con il passato, mentre al polo possono c’è una famiglia che privilegia la continuità. A fronte della varietà delle famiglie corrispondono infatti modi diversi di reagire di fronte a situazioni problematiche. Reiss individua i seguenti paradigmi familiari: • Famiglie orientate al consenso: conf bassa, coor alta, chiusura • Famiglie orientate alla distanza: conf bassa, coor bassa, apertura o chiusura • Famiglie orientate al’ambiente: conf alta, coor alta, apertura • Famiglie orientate al risultato: conf alta, coor bassa, apertura Apprendimento È un concetto di ampio rilievo se si considera che ogni singolo organismo finché è vivo e apprende attraverso cicli multipli di correzioni per sopravvivere in funzione del suo adattamento. L’apprendimento è dunque un fenomeno creaturale, connesso al vivere. Bateson ne sviluppa una teoria organica, definendolo come un fenomeno gerarchicamente organizzato nel quale sono coinvolti diversi ordini di cambiamento. Il livello più semplice, l’apprendimento 0, corrisponde alla risposta specifica che segue uno stimolo sensoriale. Il cambiamento in questo caso è minimo. Nell’apprendimento 1 l’errore è vantaggioso perché fornisce all’organismo informazioni capaci di generare un cambiamento nella risposta. Questo è il processo che avviene per tentativi ed errori. L’apprendimento 2 è particolarmente importante nell’ambito delle relazioni educative e di cura. Chiamato anche deuteroapprendimento è un cambiamento nel processo dell’apprendimento 1. L’apprendimento 2 è adattivo. Avviene un processo di generalizzazione del contesto basato sulle L’atto di tracciare una distinzione implica creare un ordine, far emergere opposizioni, generare identità a partire da ciò che si percepisce attraverso i sensi. Dietro ogni distinzione c’è un organismo che conosce. Informazione Già in latino, il verbo informare significava dare forma alla mente, disciplinare, istruire e insegnare; la parola informatione veniva usata per indicare un concetto o un’idea, ma sei suoi usi più comuni il significato prevalentemente tecnico: rimanda alla trasmissione del contenuto di un messaggio o notizia. Nel termine è contenuta la radice “forma” e dunque qualcosa che va oltre i contenuti e oltre l’idea di una trasmissione / ricezione di carattere lineare, ma implica una vera e propria trasformazione. Nella logica comune si pensa che il linguaggio serva a trasmettere informazioni: quando comunichiamo, puntiamo soprattutto alla chiarezza del contenuto. Per gli esponenti del pensiero sistemico, invece, le interazioni comunicative sono intrinsecamente non trasmissive. Il linguaggio non denota nulla, ma connota. L’informazione costituisce un concetto ingannevole se si pensa che la comunicazione tra A e B possa determinare e specificare come si comporterà B: il messaggio di A non determina in alcun modo la condotta di B, in quanto l’informazione sarà costruita dal modo specifico con cui B registra e seleziona i dati in quanto organizzazione autopoietica. Curiosità e irriverenza Curiosità è la qualità, o difetto, di chi manifesta un acuto desiderio di sapere qualche cosa. È il desiderio di sapere, di imparare; è anche una cosa rara, strana. In questa definizione si riconosco due pregiudizi condivisi dalla cultura popolare: l’idea di una curiosità buona che anima il desiderio di conoscenza e l’idea di una curiosità inopportuna che reca fastidio e manca di rispetto. In ambito sistemico, Cecchin elabora un concetto di curiosità che scavalca entrambi i pregiudizi e regala a chi accoglie il suo invito la possibilità di percepite l’armonia dei sistemi in modo nuovo. La cura degli altri parte dalla cura di sé: la felicità del terapeuta è quella che conta di più. Il terapeuta deve sentirsi bene per essere curioso. Questo concetto nasceva per chiarire il controverso principio della neutralità. L’dea di rimanere neutrali durante la seduta per evitare di condizionare i comportamenti dei membri di una famiglia era impraticabile; l’esperto che pensa di sapere e classifica la patologia osservata, smette di ascoltare ed essere curioso, perché non gli serve cercare altre spiegazioni. In questo lavoro vi è un primo livello di curiosità: una curiosità fastidiosa volta a cambiare qualcosa che non ci piace, insegnando alla famiglia un copione diverso. Ma vi è un secondo livello: una curiosità non lineare, sensibile alla complessità e alla molteplicità dei modelli. Finché esiste una molteplicità di alternative, siamo in grado di conservare uno stato di curiosità. In alcuni contesti è l’istituzione a chiedere di agire in modo lineare, ad esempio come controllore sociale. Una strategia per affrontare il sintomo di non – neutralità è quella di agire come controllori sociali, ma simultaneamente evitare di prendersi tutta la responsabilità di controllare il problema della famiglia. La curiosità sistemica ci invita a fare un salto: anche nei casi più disperati riconosciamo che il sistema funziona, è vivo. Essere curiosi non vuol dire che si approva: invece che dire che quel comportamento è sbagliato, va a cercare come mai uno vuole comportarsi così. Si tratta di comporre due posizioni: quella di aiutare l’istituzione a svolgere la funzione di controllo e contenere la sofferenza del sistema, insieme a quella che accetta il sistema per quello che è. Invece di dare consigli, come farebbe un moralista, l’operatore curioso cerca di capire il messaggio, seguendo l’idea basilare che tutti i comportamenti sono messaggi. Il “pregiudizio sistemico” è che se un sistema esiste vuol dire che qualcosa funziona. La curiosità ci fa cercare ciò che tiene insieme questo sistema. Inoltre, quando ci sentiamo incapaci di sviluppare ipotesi, allora sappiamo che abbiamo accettato il copione della famiglia e quindi abbiamo perso il nostro senso di curiosità. Altra visione / supervisione Altravisione è la parola usata da Caruso per proporre un cambiamento di cornice nel comune modo di intendere la supervisione. Nei contesti sanitari e sociali si verificano incontri di supervisione individuali oppure d’equipe, programmati sistematicamente dall’istituzione o richiesti dai singoli professionisti. La supervisione è effettuata da psicologi o psichiatri, anche quando i supervisionati sono educatori o infermieri, come a confermare la premessa che il sapere psicologico sia superiore o più utile. Un errore epistemologico dal punto di vista sistemico, secondo il quale non esistono sguardi o prospettive che stanno sopra, ma solo sguardi e prospettive diversi, parziali e di per sé incompleti. Supervisione è dunque parola connotata, che stabilisce una gerarchia e rischia di fomentare rivalità e conflitto nei colleghi supervisionati. La relazione asimmetrica sembra alimentare l’atteggiamento passivo dell’operatore che cerca risposte e dà potere al supervisore, legato alla sua presunta capacità di vedere meglio, di saperne di più. Da queste considerazione nasce la scelta di usare una parola diversa: altravisione. Se non sembra corretto parlare di uno sguardo superiore, può essere utile evocare una complementarietà di aree dove sono in gioco professioni, discipline e modelli differenti, cioè altri. Il lavoro di altravisione è utile perché permette di introdurre differenti punti di vista che arricchiscono il gruppo di lavoro e favoriscono il processo di sviluppo della creatività, senza pretendere di dare risposte, valutazioni o suggerimenti su come il professionista dovrebbe lavorare. La curiosità è la postura che guida nella ricerca delle molteplici versioni di un evento. L’altravisione è un’esperienza comunicativa, di incontro e di relazione, il cui scopo è il cambiamento di prospettiva, cioè una differente visione o anche una differente posizione, nel senso della modalità relazionale. Tra i motivi che spingono gli educatori a chiedere una supervisione possono esserci sofferenze o insoddisfazioni dovute a stasi, cronicità o a un eccesso di cambiamenti e novità. In tutti questi casi, l’altravisione è utile per riconoscere la propria posizione e assumere un ruolo attivo rispetto al problema portato, cercare le soluzioni possibili, decentrarsi e immaginare altrimenti. Emozioni Perché l’approccio sistematico dovrebbe occuparsi delle emozioni? Siamo così abituati a connotarle come sentimenti, come fenomeni intrapsichici, qualcosa che riguarda l’intimità e la sensibilità del singolo individuo, che potrebbe sembrare legittimo lasciarle fuori dal nostro discorso. Oggi, le emozioni sono un fenomeno complesso, razionale, cognitivo, corporeo ed etico. Nella costruzione di una teoria sistemica delle emozioni può essere utile ricostruire la storia di questo concetto nel mondo occidentale. Fino all’800, il termine emozione indicava genericamente un movimento anche nel senso di tumulti, mentre oggi per emozione intendiamo una passione. La parola passione evoca la passività di una persona che si comporta come vittima degli eventi. L’emozione, molto spesso, compromette le capacità intellettive e rende l’uomo debole. Il punto di vista medico l’emozione come un fenomeno che altera certi parametri fisiologici, una risposta disorganizzata che interferisce con il buon funzionamento della ragione e dell’azione. Due miti alimentano l’idea dominante delle emozioni. Il più antico è il mito delle passioni interne, legato alla metafora del corpo come contenitore. Il secondo mito è quello che considera il soggetto un’entità autonoma, composta da una parte emozionale e una razionale. Per Bateson, separare l’intelletto dall’emozione è una cosa mostruosa: le emozioni sono pensiero. Oggi pensiamo di dover spiegare le emozioni: quando siamo perturbati diamo un nome a qualcosa che presumiamo essere dentro di noi e ne costruiamo teorie attraverso la narrazione. Ma le emozioni narrate differiscono dalle emozioni narranti, che rimangono inconsapevoli e definiscono la natura e il significato delle emozioni narrate. È interessante notare che certi tipi di narrazioni trasformano l’emozione stessa. Se il vocabolario definisce l’emozione uno stato psichico affettivo e momentaneo, che consiste nella reazione dell’organismo a percezioni o rappresentazioni che ne turbano l’equilibrio, la teoria relazionale delle emozioni implica invece prima di tutto la considerazione che le emozioni non sono mai solo interne, ma sempre interne – esterne. Non reazioni a stimoli esterni, ma azioni affettive volte al mantenimento di cornici di significato che danno forma ai processi comunicativi entro i quali esse emergono. Infine, le emozioni hanno natura biologica, sono disposizioni corporee dinamiche che definiscono i distinti ambiti di azione all’interno dei quali ci muoviamo. Quando cambiamo emozione, cambiamo ambito d’azione. Diagnosi Il termine diagnosi è conoscere attraverso: indica il processo di identificazione di una malattia in base a sintomi o segni. Implica una serie di mosse cognitive: la descrizione dei sintomi finalizzata a dare un nome, quindi la classificazione della malattia secondo schemi di categorizzazione convenzionali. Nella cultura medica, la diagnosi è un atto di giudizio, in molti casi anche una spiegazione, considerata passaggio obbligato perché il medico possa arrivare a stabilire una cura e dunque ristabilire l’equilibrio perturbato dalla malattia. Tuttavia nel processo diagnostico il nesso tra descrizione e realtà, non è affatto scontato. Cecchin ricorda la premessa alla base dell’educazione medica: prima di esprimere un’opinione su quello che si osserva bisogna essere sicuri. La diagnosi diventa così una descrizione a cui l’osservatore attribuisce valore di verità. È considerata scientifica in quanto pretende di essere obiettiva e ci si dimentica del suo carattere pragmatico e sociale. Boscolo e Cecchin, allargando lo sguardo a una dimensione culturale più ampia, considerano la diagnosi come il modello di ogni spiegazione lineare – causale: l’uomo in quanto animale semantico ha bisogni di costruire definizioni di cos’è e cosa non è. Le persone si definiscono reciprocamente attraverso un processo analogo; definiscono anche la realtà esterna in questo modo: è una necessità di sopravvivenza il conoscere, il credere di conoscere il nostro ambiente. A un primo livello, la postura della diagnosi può avere il senso di garantire l’attività del curante e orientarne il progetto di cura. A un secondo livello, però, la categorizzazione può e deve essere superata in favore di una o più ipotesi. Stigma Lo stigma è un marchio, un segno sul corpo di una persona che la definisce diversa, non – normale. La parola stigma oggi denota disapprovazione sociale legata a caratteristiche della persona, fisiche o morali. Lo stigma porta alienazione e isolamento sociale; ma potremmo anche dire che è l’alienazione a creare lo stigma: isolati dagli altri, questi soggetti potranno contare solo sul supporto di altri che si trovano nella stessa condizione. Lo stigma opera per differenze. Nello studio di questo fenomeno c’è, d un lato, chi si sofferma sulla discriminazione e pensa che lo stigma sia nell’occhio di chi guarda. Dall’altro, c’è chi osserva l’atteggiamento e le strategie dello stigmatizzato, che a volte non si considera tale, altre volte adotta lo stigma come una cornice che dà senso ai suoi comportamenti e un’identità sociale riconosciuta, per quanto negativa. Goffman fece un’analisi del fenomeno in una prospettiva interattiva, che mette insieme i due punti di vista e ricostruisce il processo di stigmatizzazione. Il soggetto è attivo nell’amministrare lo stigma e usa la funzione riflessiva e soggettiva per diventare consapevole dello stigma e posizionarsi. Lo stigma è un attributo profondamente dispregiativo: ai nostri occhi, l’estraneo viene declassato. Lo stigma si può superare con l’umorismo, con l’aiuto e l’appoggio di altri che hanno lo stesso stigma.
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved