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Re-inventare la famiglia., Sintesi del corso di Pedagogia

Re-inventare significa re-inventarci come osservatori delle famiglie, rivedere le prospettive e le pratiche che mettiamo in campo. La nostra prospettiva è sistemica, tutto è interrelato, complesso, un flusso.

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 03/02/2020

marta-pasotti
marta-pasotti 🇮🇹

4.5

(11)

8 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Re-inventare la famiglia. e più Sintesi del corso in PDF di Pedagogia solo su Docsity! [Data] 1 RE-INVENTARE LA FAMIGLIA INTRO Re-inventare significa re-inventarci come osservatori delle famiglie, rivedere le prospettive e le pratiche che mettiamo in campo. La nostra prospettiva è sistemica, tutto è interrelato, complesso, un flusso; la sistemica obbliga ad un altro modo di guardare, sentire, concepire le relazioni. Ogni famiglia tende ad essere coerente con se stessa, magari diventando incoerente con la società, infatti non si intende cambiare le famiglie, ma l’obiettivo è comprendere che cosa può “far stare tutti un po' meglio”. Bisogna smontare i pregiudizi, riconoscere quello che c’è, anche ciò che è nascosto e infine inventare nuovi pensieri, visioni e possibilità. PARTE PRIMA “LO SGUARDO DIPENDE DALL’AZIONE” Capitolo 1: Farsi l’orecchio: le invisibili partiture della famiglia. Albert Scheflen paragonò la comunicazione ad una composizione musicale poiché:  Entrambe realizzano strutture con stile e specificità proprie.  Realizzano una configurazione complessiva precisa.  Messa in comune, partecipazione. La partitura della comunicazione però non è formulata per iscritto ma è appresa inconsapevolmente. Concetto di sistema: processi che si influenzano reciprocamente (oggi c’è il mito dell’individuo, una rappresentazione sociale diffusa dell’individuo egoistico che ha come scopo realizzarsi, avere successo, celebrare la sua unicità.) SISTEMA= aggregato di parti interagenti, ciascuna delle quali può esistere in sé, ma è interdipendente dalle altre e dal tutto secondo determinate leggi e regole. La teoria dei sistemi, considera gli esseri viventi sistemi aperti, non può essere analizzata separatamente ma come un complesso di elementi in relazione tra loro, interessano le relazioni e il contesto in cui avvengono. Il sistema può evolvere verso forme più complesse ma mantiene allo stesso tempo la sua identità. Le proprietà dei sistemi sono:  Totalità,” il tutto è diverso dalla somma delle parti”, se una parte cambia o viene danneggiata ne sono coinvolte tutte le parti e tutto il sistema. [Data] 2  Retroazione e circolarità, il modo in cui sono unite le parti del sistema nega un modello di determinismo lineare che prevede elementi in linea di causa, si ha retroazione quando gli elementi hanno circolarità.  Omeostasi, stato stazionario di un sistema, l’equilibrio raggiunto non è fisso ma metastabile, si mantiene attraverso un processo di retroazione negativa, ovvero con la riduzione dei valori che si discostano dalla norma interna.  Equi finalità, il funzionamento dei sistemi è legato al processo. Per es. due sistemi che partono da condizioni diverse possono arrivare allo stesso risultato, il quale dipenderà dal processo organizzativo e strutturale e dalle perturbazioni ambientali. L’educatore sistemico deve assumere una postura come se fosse lui stesso lo strumento del suo agire. Metafora della band: la creazione di una band è coerente con il tipo di musica che si vuole creare, c’è una connessione tra ciò che la famiglia crea e com’è composta. Caratteristiche della famiglia sono la ripetitività, la consuetudine. Ognuno deve cercare di trovare la propria voce ma insieme si arriverà ad un suono inconfondibile, il senso del noi. per fare ciò però deve esserci un sistema prossimale di cura. Lavorare in modo sistemico vuol dire “apprendere i contesti”, ovvero mettersi in relazione e in interazione con i sistemi comunicativi, usando la comunicazione stessa come veicolo; deve essere un lavoro attivo, sempre in costruzione. METAFORA= una figura retorica con la quale si esprime, sulla base di una similitudine, una cosa diversa da quella nominata, trasferendo il concetto al di fuori del significato reale. Lakoff e Jhonson la considerano una dimensione cognitiva che sta alla base del linguaggio quotidiano e che coinvolge parole, pensiero e azione. Consente di vivere e comprendere qualcosa di nuovo o complesso in termini di qualcos’altro di più famigliare. Le metafore nascono dall’esperienza con il corpo e dall’azione concreta. COPIONE= modello operativo che racchiude le aspettative su cosa si deve fare in determinate situazioni; è una forma di conoscenza schematica che tiene conto di spazi, tempi, scopi, intenzionalità. Byng-Hall chiama SCRIPT FAMILIARI l’insieme delle aspettative condivise dalla famiglia di come i ruoli debbano essere rispettati all’interno di contesti differenti. La vita quotidiana famigliare viene assimilata ad una rappresentazione scenica. Il copione può creare veri e propri personaggi, infatti gli attori si possono identificare in un ruolo e/o gli altri glielo attribuiscono. Il bambino è inizialmente collaborativo e cerca di sintonizzarsi alle aspettative degli adulti, ma se queste sono troppo rigide, rimane schiavo della sua proiezione. I bambini all’inizio imparano i copioni da spettatori e poi con un ruolo sempre più attivo. RITUALI E RITI FAMIGLIARI= hanno la funzione di insegnare ai singoli membri di una società le strutture della società come entità più ampia. Sono dei copioni in quanto costituiscono delle rappresentazioni condivise delle azioni. Hanno la caratteristica della ripetitività e ciclicità, sono codificati e standardizzati secondo schemi precisi e rigidi, hanno una natura simbolica. La con-vivenza qualifica il sistema famigliare, CON-VIVENZA vuol dire abitare concretamente uno spazio condiviso nel quale sono date alcune possibilità di interagire mentre altre sono precluse. Ci interessano all’interno il come dei processi relazionali. Vuol dire anche tempi e ritmi condivisi, il tempo famigliare si impone su quello personale, infatti quando un membro della famiglia cambia la sua posizione rispetto agli altri o il suo ritmo di vita, questo incide sulla vita di tutti i membri. [Data] 5 La genitorialità fa parte della nostra animalità umana, in questi ultimi tempi ha perso quel carattere universale per assumerne uno più unico ed individuale. La prima traccia di genitorialità la possiamo vedere nel paleolitico, in una grotta francese infatti possiamo notare due impronte di mano, una di un adulto e una di un bambino, (non si è più un io ma un noi), la genitorialità ha avuto e ha ancora il suo significato simbolico che la determina. La genitorialità è universale, qualsiasi società ne ha elaborato pratiche, teorie e rappresentazioni al riguardo. È bio-culturale, ha le sue radici nella natura, nella riproduzione, ma si sviluppa nella dimensione culturale e sociale. Per riconoscere tracce di famiglia bisogna stare attenti al particolare senza tralasciare il contesto. CONTESTO= “tessuto insieme”, Bateson dice che nessuna informazione può essere compresa al di fuori di un contesto; Telfener dice “il contesto è una cornice di percorso, evolve”. Per trovare tracce di genitorialità dobbiamo rimanere legati a tutto ciò che la comprende e la circonda, il biologico, il culturale, lo storico, il sociale e l’individuale; l’educatore è sempre mediato da proprie teorie, pregiudizi, storie familiari, è sempre situato in un orizzonte culturale, in un momento storico e in un contesto sociale; è sempre costruito nel linguaggio e nella comunità dell’osservatore. L’uso del verbo essere restituisce un solo fotogramma della famiglia portandola fuori dal suo contesto, l’uso del verbo presente, invece, non mette in luce il legame con il passato e i progetti futuri, costringendo la famiglia a quell’”eterno presente”. La genitorialità viene indicata come arte o come mestiere, modello istintivo e modello istruttivo:  Arte: creatività, un dono di natura, associata alla sregolatezza, è creazione, libera espressività. Meno responsabilità personale.  Mestiere: razionalità, si pratica con fatica e sacrificio, regole e tecniche, necessita di addestramento e apprendistato. Premia l’asimmetria relazionale e la dipendenza. Il processo genitoriale è come un bricolage, poiché usa flessibilità, creatività, segue un programma predeterminato basato su strumenti, materie prime e tecniche ingegneristiche. Il genitore si dovrà confrontare con il cambiamento continuo, con l’imprevisto quindi dovrà avere molta flessibilità. Entrambe le visioni vogliono rappresentare la genitorialità, come il raggiungimento di uno stato in cui l’adulto può esercitare la propria funzione e può interpretare il proprio ruolo, il figlio sarà il prodotto o l’opera. Entrambi i modelli non sono sistemici, non vedono la relazione nel contesto. Ma una terza via, il modello evolutivo-ecologico può rendere conto del processo relazionale e in continuo divenire; evolutivo perché si opera per interdipendenza tra universale e locale, per cooperazione e conflittualità, muovendosi verso una descrizione doppia. DESCRIZIONE DOPPIA= strumento epistemologico che dà la capacità di originare e discernere modelli di ordine diverso; CAPITOLO 4: INTERAZIONI: OSSERVARE LA FAMIGLIA IN AZIONE. L’interazione umana non si ferma al livello puramente verbale, ma una grandissima parte ha luogo attraverso mimiche, gesticolazioni, posture e comportamento. L’osservazione è un procedimento selettivo, non è solo guardare o vedere, ma lo sguardo dell’osservatore è intenzionalmente [Data] 6 guidato da premesse, pregiudizi e ipotesi, che sono una guida nell’ottenere le info che desideriamo; l’osservazione è un processo di selezione e di scelta metodologica intenzionale, soggettiva e coordinata con una comunità di osservatori; è impossibile osservare in modo totale o oggettivo, l’obiettività infatti dovrebbe definire confini netti da chi osserva a chi è osservato, infatti l’oggetto di osservazione non può essere considerato indipendente da chi lo osserva, poiché l’atto di osservare modifica o altera in modo non controllabile il comportamento dell’osservato. L’esperienza pregressa di chi osserva, i suoi pregiudizi ecc, vengono messi in scena inevitabilmente, con il rischio di filtrare troppo i dati e così non riuscire a cogliere alcuni aspetti importanti. Una strategia a questo limite potrebbe essere quella di prendere consapevolezza dei propri pregiudizi, delle proprie idee, interrogarli e metterli in campo in maniera esplicita, questo può introdurre delle novità, nuovi posizionamenti. OSSERVARE LA FAMIGLIA= due correnti di pensiero a riguardo: 1- la metodologia che, partendo dall’osservazione dei modelli interattivi, cercano di individuare i processi familiari di regolazione delle relazioni; 2- metodologie che ricercano i processi di interiorizzazione delle relazioni. Queste distinguono la famiglia praticante da quella rappresentata: la famiglia praticante indica i processi di relazione valutati solo con l’osservazione diretta; la famiglia rappresentata individua i processi di costruzione di rappresentazioni dell’esperienza relazionale, che possono o non possono essere condivise dagli altri componenti della famiglia, si possono indagare tramite le loro narrazioni. Nel lavoro pedagogico l’osservazione è una vera e propria pratica che richiede e produce cura, attenzione e responsabilità. Quando dobbiamo svolgere il nostro lavoro educativo e dobbiamo entrare in relazione e interagire con un genitore, per esempio, la nostra esperienza personale, di famiglia, di genitorialità, di cura e di essere figli, viene inevitabilmente evocata. Uno degli scopi dell’azione educativa dei genitori è quello di riconoscersi nei pregi e nei difetti, nei vincoli e nelle possibilità, devono essere consapevoli di se stessi e di come entrano in relazione con gli altri, e per fare ciò devono mettersi in gioco, osservarsi, cambiare posizione e punto di vista e questa possibilità la offre l’educatore. I genitori solitamente, durante il supporto dell’educatore, pongono una domanda precisa e vogliono una risposta, sembra che ne abbiano bisogno per calmare la propria paura di non essere all’altezza di crescere un individuo che ha delle necessità e una personalità unica; quello che pare essere un bisogno di valutazione è un bisogno di riconoscimento, ovvero il desiderio di essere riconosciuti e visti nel ruolo di genitore. Il primo passo per consolidare, esplicitandola, la propria idea di genitorialità e di competenza, potrebbe essere quello di avere la possibilità di fermarsi a riflettere sul modo in cui fanno le cose, non solo agendo la cura, ma pensandola e vedendola. Quindi i genitori pongono una domanda per essere valutati “ditemi che sono un baravo genitore” ma la risposta non è data e preconfezionata dall’educatore, al contrario è di tipo osservativo- riflessivo (un percorso). Se esistono dubbi o interrogativi su di sé bisogna partire da quelli, da quel dubbio infatti nasce la domanda e la richiesta di consulenza, questo primo passo invita il genitore ad un circuito riflessivo-armonico. L’osservazione qui si sposta sulla relazione tra i membri della famiglia, prestando attenzione alle modalità attraverso cui gli errori relazionali vengono riparati dagli stessi membri. Il setting scelto non è un ambiente strutturale, ma la casa, un’ambiente naturale dove si possono osservare le attività di routine che mettono ansia e timore ai genitori. Per permettere anche ai genitori stessi di osservarsi, l’autrice, Mara Pirotta, predispone un’attività: utilizzare la videocamera per fissare le immagini e le interazioni in movimento, con la possibilità di [Data] 7 rivederle più volte e giocarci, rifletterci sopra; ovviamente sia la presenza dell’educatore che quella della videocamera influenzano il comportamento inevitabilmente, ma successivamente si diventa parte integrante del setting relazionale e del sistema familiare osservato e quindi avviene l’inclusione dell’osservatore nel sistema osservato. Dopo aver filmato, bisogna trovarsi insieme per osservarsi, si co-costruisce insieme per costruire nuove possibilità di vedere e strategie percorribili, nuove PUNTEGGIATURE. In questo modo la famiglia prende più consapevolezza dei propri sentimenti, aumentando la capacità di riconoscere uno schema utile o non utile di comunicazione. Guardarsi dal punto di vista simbolico permette di prendere in mano la propria storia, le proprie azioni e immagini e puntare l’attenzione su ciò che si trova difficoltoso, il filmato permette anche di contestualizzarlo e legittimarlo, permettendo al genitore di sentirsi riconosciuto nel proprio stare male ma anche di cercare altre strade per trasformare la situazione. La post-produzione e la possibilità di confrontarsi sulle stesse immagini genera uno spazio di condivisione tra il genitore che si sente in difficoltà e quello che non occupandosi in prima persona della situazione la vive con distacco; inoltre ciò permette una riflessione sull’idea di famiglia che ognuno ha, attiva il senso del noi. attuando la “visione” dall’alto di se stessi viene man mano costruita una nuova micro-teoria de sé e della propria famiglia in modo più chiaro e condiviso. Questa attività permette di mescolare le punteggiature fino a crearne di nuove, si cerca di cambiare le lenti con cui si osserva. PUNTEGGIATURA= organizza la sequenza e stabilisce un ordine, una relazione può essere letta in molti modi, dipende da quali punteggiature le si attribuisce; molti conflitti relazionali si verificano proprio a causa di un disaccordo sulle punteggiature. Uno stesso evento può assumere significati completamente diversi, quindi non bisogna considerare solo la propria punteggiatura, ma aprirsi alla visione dell’altro. CAPITOLO 5: L’ABC DELL’OSSERVARE. Gianni Di Gregorio afferma che il film poteva raccontare la realtà e avvicinarsi alla realtà della vita. Le storie raccontate attraverso immagini ci permettono di soffermarci su alcune sequenze; l’obiettivo è imparare ad osservare, soffermandosi su quelle interazioni che inizialmente risultano difficili da leggere. La comunicazione è il fondamento delle relazioni umane. Cosa dobbiamo osservare: i processi interattivi nei quali la comunicazione si sviluppa usando come lente il modello e i principi della PROGRAMMAZIONE NEUROLINGUISTICA (PNL), che è un approccio che nasce dall’esigenza di dare origine ad una base teorica appropriata per la descrizione dell’interazione. Il film è uno strumento privilegiato per l’osservazione poiché: racconta storie in un tempo definito, permette di analizzare uno spaccato di vita a più livelli, da tanti punti di vista, consente di poter essere riguardato dove le interazioni sono più complesse e ne permette lo studio. La famiglia viene definita da Daniela Gini come un “gruppo di individui con storia che mentre si fa si disfa”, per permettere a ciascuno di sviluppare la propria individualità e quindi di realizzarsi. La sequenza del film è oggettiva perché la stanno vedendo tutti contemporaneamente. Spesso lei mostra inizialmente la scena senza audio, in questo modo ognuno pesca nella sua storia passata e svela i propri pregiudizi. COMUNICAZIONE= Jay Birdwhistell, uno studioso della comunicazione, sosteneva che l’uomo non comunica, ma partecipa ad una comunicazione, ne diventa parte; la comunicazione è quindi un [Data] 10 agente patogeno e sintomo; una sorta di determinismo tra problema e malattia, dove esiste il problema, nella famiglia, allora la persona o il contesto sono malati. L’orientamento della salutogenesi, invece, non nega i problemi, ma fa più riferimento ai punti di forza sulle risorse delle famiglie, privilegia la ricerca degli aspetti e dei temi funzionali, sani, riconducibili alle potenzialità e alle risorse; l’intento è generare delle narrazioni che raccontino e descrivano qualcosa di diverso e più sano rispetto alle solite critiche o categorizzazioni. Heinz Von Forester: “Agisci sempre per aumentare il numero delle possibilità”. Non bisogna perseguire il cambiamento delle famiglie e delle storie famigliari, ma l’apertura a nuove visioni del mondo, più belle; questa apertura potrebbe dare origine eventualmente a cambiamenti nuovi e più utili. Non bisogna influenzare l’altro in modo istruttivo verso un cambiamento predefinito poiché questo riduce le possibilità e quindi è anti-ecologico; bisogna moltiplicare le storie per proporre nuove punteggiature e versioni della realtà. Quindi il lavoro di cura consiste nell’introdurre variazioni, proporre sguardi differenti, che i protagonisti posseggono già, seppur non proprio consapevoli delle relazioni famigliari, bisogna cercare le cose piccole e belle, lavorando nella convinzione che esistono sempre tracce anche minime di bellezza. Un posizionamento di cura che privilegia la ricerca della bellezza. La proposta di Andrea Prandin è quella di ascoltare il tipo di storia raccontata e poi di andare a cercare/attivare, a partire da essa, escludendo le interpretazioni che chiudono, elementi di narrazione ulteriori, molto concreti, che rimettono in connessione la storia raccontata con le dimensioni della possibilità e della bellezza. CORNICI= qualcosa che inquadra, separa il contenuto dallo sfondo, gli dà senso e lo valorizza; le cornici politiche riguardano le interazioni, le strategie relazionali tra le persone, mentre le cornici semantiche riguardano lo sviluppo dei significati attraverso la comunicazione; i due modi non sono contrapposti ma intrecciati in una relazione dialettica. Ogni essere umano senza saperlo è immerso in cornici, ovvero sistemi di premesse implicite, schemi abituali di interpretazione del mondo, dentro cui si sviluppa il proprio punto di vista sulle cose; per vedere il proprio punto di vista è necessario cambiarlo, uscire dalla cornice di lettura abituale. È una postura mentale nel lavoro con la famiglia, che si propone come estetica, ovvero sensibile alla bellezza delle relazioni tra le persone o tra le persone e cose, questa bellezza è da cercare nella normalissima quotidianità. La parola e il pensiero strutturati nel lavoro di cura hanno dei limiti, poiché hanno una forma fin troppo definita e convenzionata che non riesce ad intercettare in modo esaustivo dimensioni come la bellezza, la complessità, l’autenticità; per questo si usano spesso, nel lavoro educativo e pedagogico, linguaggi e grammatiche capaci di dare voce ad aspetti della vita umana che non sono totalmente verbalizzabili, per esempio si utilizza: il racconto, la metafora, la poesia, i segni pre-verbali, il disegno e il suono della voce. Fare ricorso all’immaginazione significa utilizzare linguaggi simbolici. È possibile trafficare tra reale ed immaginario per non estraniarsi troppo dal reale o al contrario per rimodellarlo. Gianni Rodari afferma che “Il discorso materno è spesso immaginoso, poetico, trasforma in un gioco a due il rituale del bagno, del cambio, della pappa, accompagnando i gesti con continue invenzioni. La vita e l’organizzazione familiare sono intrise di atti immaginativi, momenti simbolici, riti e copioni che assolvono importanti compiti per un sano funzionamento delle relazioni. In questa [Data] 11 cornice di lavoro, l’operatore assiste e aiuta la nascita dei simboli e delle connessioni che suscitano la famiglia. CAPITOLO 7: TRA MICRO E MACROSTORIA: LO SGUARDO BIOGRAFICO PER COMPRENDERE LA VITA FAMILIARE. L’approccio biografico e autobiografico è una via per comprendere l’unicità di ogni famiglia e le connessioni tra il singolo sistema famigliare e il contesto più ampio. Le narrazioni familiari ci aiutano a comprendere come cambia la vita quotidiana e le relazioni anche per l’influenza delle determinanti sociali. NARRATIVA FAMILIARE= insieme ampio e articolato di processi di creazione di storie che vengono condivise e modificate e poi riconsegnate agli interlocutori interni ed esterni alla famiglia. Dei fatti del passato che vengono ripetuti non rimangono le storie, ma i presupposti impliciti. I membri della famiglia tenderanno ad identificarsi con alcuni ruoli e personaggi e ad adottare schemi d’azione e soluzioni offerte dalla narrazione ricevuta. MITO= l’adesione al mito famigliare impedisce l’innesco di processi di trasformazione riducendo al minimo i cambiamenti. Il mito appare inattaccabile, non dà il modo di subire critiche o discussioni al riguardo; è totale e inattaccabile, statico, quindi ha una visione negativa in questo contesto, ma Formenti ne recupera il valore positivo e generativo laddove il processo di mitizzazione favorisce la creazione di momenti di transizione, è più facile allearsi con il mito che combatterlo. In una famiglia, Formenti vede interagire tra loro i miti individuali e quelli famigliari e quando ci sono discontinuità tra i due, le discussioni possono essere occasioni di apprendimento. SPIEGA E Dà SENSO ALLA VITA FAMILIARE. LEGGENDE FAMILIARI= racconti di eventi e situazioni specifiche che, mescolando realtà e immaginazione, vengono tramandati nelle generazioni attraverso la parola. La leggenda contiene istruzioni implicite sull’attraversamento delle situazioni difficili e sulla soluzione di problemi, offre modelli, significati, copioni. PRESCRIVE, si avvicina al copione. Le pratiche biografiche e autobiografiche ci possono illuminare lo sguardo sulle famiglie, infatti sono molto usate in educazione, in particolare con gli adulti. Solo le storie che raccontiamo ci aiutano a costruire e a riflettere su ciò che stiamo raccontando, poiché la vita è vissuta in presa diretta e per poterle dare senso la dobbiamo guardare in modo retrospettivo. Biograficità, ovvero che noi possiamo riprogettare continuamente i contorni della nostra vita dentro i contesti specifici nei quali la viviamo e che sperimentiamo questi contesti come plasmabili e progettabili. Per comprendere l’impatto della dimensione biografica sulla vita familiare e viceversa, è importante l’immaginazione auto-biografica, ovvero la capacità di comporre sguardi multipli, andando oltre le nostre cornici. È impossibile essere neutrali e distaccati quando si lavora con le storie, questo aiuta alla reciprocità della costruzione di sé e dell’altro. Il mondo esterno entra continuamente nel microcosmo familiare. PARADIGMA FAMILIARE= complesso di presupposti, immagini reali e ideali, rappresentazioni e concetti che costruiscono un modello cognitivo, emotivo, valoriale ed etico con cui la famiglia sceglie di dare forma alle sue azioni. È una variabile sistemica poiché esprime caratteristiche che appartengono alla famiglia nel suo insieme. L’analisi di esso serve per capire la molteplicità [Data] 12 e l’unicità del modo della famiglia di dare senso. Reiss individua 3 parametri in cui è possibile collocare ogni famiglia: 1- analizza la visione del mondo in termini di configurazione, alta se ha una visione ordinata e controllabile, bassa se ha una visione del mondo come caotico e incontrollabile. 2- coordinazione, alta se è molto coesa e si aspetta di essere trattata come gruppo, bassa se è come un’aggregazione di individui separati che richiedono un riconoscimento della loro individualità. 3- Informazione, aperta se riconosce e accoglie i messaggi, le differenze, le novità, modificandosi di conseguenza, chiusa se riconosce solo ciò che è già noto e tende alla conferma. Dalla combinazione di questi 3 livelli di analisi si compongono i diversi paradigmi familiari. Reiss individua i seguenti paradigmi familiari: (non va utilizzato in modo rigido)  Famiglie orientate al consenso, bassa, alta, chiusa.  Famiglie orientate alla distanza, bassa, bassa, informazione non scambiata.  Famiglie orientate all’ambiente, alta, alta, aperto, molto scambio comunicativo sia all’interno che all’esterno.  Famiglie orientate al risultato, alta, bassa, valorizzate indipendenza e creatività dei singoli. Nel ciclo di vita della famiglia possono esserci dei momenti di stabilità in cui il paradigma rimane stabile e momenti di crisi che portano ad un cambiamento del paradigma. Se in una famiglia non ci sono processi narrativi collettivi o memoria famigliare condivisa, ci sarà una sofferenza per la percezione del vuoto nelle relazioni, un’assenza di legami chiari e accessibili. La discontinuità dilaga nella cultura familiare dei nostri tempi, è andata in frantumi la regolarità e la sequenzialità delle tappe, la loro durata e soprattutto i significati che si attribuiscono ai movimenti. È diventata rara la sequenza lineare, (fidanzamento, matrimonio, figli, nido vuoto), al suo posto ci sono andamenti imprevedibili poiché imprevedibili sono le carriere lavorative e biografiche. APPRENDIMENTO= fenomeno connesso al vivere, ci sono più livelli di apprendimento e ognuno può cambiare e quindi generare un nuovo livello superiore. 1- Apprendimento 0, è la risposta specifica che segue uno stimolo sensoriale; l’individuo riceve l’info e risponde con la stessa reazione se lo stimolo viene riproposto. 2- Apprendimento 1, l’errore è vantaggioso, fornisce all’organismo info capaci di generare un cambiamento nella risposta. Avviene per tentativi ed errori, può essere osservato in laboratorio. Si produce assuefazione. 3- Apprendimento 2, importante nelle relazioni educative e di cura, è un cambiamento nel processo 1. È adattivo, l’individuo vista l’esperienza 1, si aspetta certi contesti con certi stimoli e risposte a lui note, così avviene un processo di generalizzazione del contesto. È il livello che incide in maniera maggiore. 4- Apprendimento 3, cambiamento nel processo del 2, riguarda solo l’uomo e quei casi rari in cui una persona vive una profonda riorganizzazione del proprio carattere es. durante terapia. Se questo livello fallisce, l’individuo si libera dell’obbligo di dover scegliere. [Data] 15 ovvero dà senso a ciò che accade tra le persone. L’educatore deve sapere come muoversi tra queste relazioni, sa valorizzarle per sfruttarne la potenzialità, e per farlo deve fare l’analisi del contesto, ovvero una riflessione che risponde alla domanda: “dove siamo?” per definire i significati che emergono è necessario identificare anche un luogo. Il contesto istituzionale definisce ciò che può o ciò che non può accadere in determinate situazioni. Non si può lavorare fuori contesto; la caratteristica di base della comunicazione umana è la ripetitività che rende prevedile ciò che accadrà in un certo scambio. I contesti si fondano poiché c’è il bisogno di prevedere che cosa farà l’altro. Gli ingredienti base di ogni intervento educativo: 1. LA DOMANDA: il bisogno e la domanda sono da costruire e da interpretare, una possibilità potrebbe essere sostituire al bisogno il desiderio, in questo modo la domanda sarà una co-costruzione in continua ridefinizione. Bisogna generare domande multiple, capaci di dare senso alla relazione e alle sue continue trasformazioni. Heinz Von Forester definisce “domande legittime” quelle che non contengono già in sé la risposta, ma ci invitano al viaggio. 2. L’INVIO: chi è l’inviante della famiglia che ritiene che si debba fare l’intervento? I terapeuti si sono accorti che l’inviante che è solitamente assente dalla seduta, è a tutti gli effetti un membro del sistema di comunicazioni attorno al problema; spesso si rivela determinante per la presenza della famiglia o per il significato dell’intervento. La relazione con l’inviante resta sempre attiva. 3. IL MANDATO: interrogarsi e interpretare il mandato rende l’operatore protagonista del suo lavoro; porsi domande sul proprio mandato aiuta a definire meglio le finalità e gli obiettivi chiedendosi se sono coerenti con le aspettative della famiglia. È l’operatore che compone la domanda e il mandato in un’azione sensata. In alcuni servizi la rigidità del mandato è tale che questo tipo di operatore non riesce ad adattarsi, un operatore che si interroga, che si mette in gioco, che analizza le posture e i pregiudizi e che è disposto ad imparare e trasformarsi. 4. LA CONVOCAZIONE DI TUTTO IL SISTEMA: nell’approccio sistemico la convocazione è l’invito a tutta la famiglia a presentarsi al servizio; infatti non si deve risolvere il problema di uno ma bisogna mettersi in gioco insieme. Ognuno porta il suo significato alla convocazione e si cerca di creare una storia condivisa. La convocazione contiene in sé i presupposti dello stigma. Convocare significa definire chi fa parte di quella famiglia; il mandato educativo spesso si limita al nucleo familiare composto da genitori e figli, ma in un’ottica sistemica è famiglia l’insieme delle persone coinvolte nella cura, nel problema, quelle che vedono il bambino e che danno un contributo per cercare soluzioni al problema. Per molti usando questa definizione bisognerebbe allargare l’intervento. 5. LA COSTRUZIONE DEL SETTING: il setting è utile se policentrico e flessibile. L’educatore però lavora in luoghi destrutturati o si introduce in strutture preesistenti. È la dimensione simbolica delle pratiche e il senso che assumono che vanno a definire il setting. Alcune regole del setting sono stabilite prima dell’intervento ma poi c’è la possibilità di riflettere e verificarne la funzionalità insieme agli utenti. Al suo interno l’educatore propone delle azioni specifiche che non sono quotidiane per la famiglia, attua un’offerta di esperienze potenzialmente trasformative. Prendendosi cura del [Data] 16 setting bisogna continuamente chiedersi quali messaggi si vogliono dare e ricevere per sostenere le trasformazioni familiari. 6. IL PROCESSO: CONTRATTO, INTERVENTO, VALUTAZIONE, CHIUSURA: avremo bisogno di concetti e pratiche che consentono di leggere e accompagnare le situazioni in termini di processi. Prima bisogna mettere in discussione la successione lineare delle operazioni nel titolo proposto, è arbitrario, chi lo ha detto che il contratto si fa all’inizio? Nel contratto sono definiti gli obiettivi ma l’intervento non può solo avere esiti attesi. L’intervento ha una durata, è bene definire esplicitamente inizio e fine anche per far capire che la vita della famiglia va oltre il tempo dell’intervento; l’approccio sistemico è tendenzialmente breve poiché mira alla perturbazione e non alla presa in carico, deve avere una capacità di autocura. Bisogna chiedersi quali criteri si utilizzeranno per valutare gli esiti dell’intervento, sarebbe utile partire da quest’ ultimo passaggio per farci capire a cosa diamo valore; i criteri di valutazione dovrebbero essere fissati insieme alle famiglie, tenendo conto dei bisogni e punti di vista di tutti. Il processo è costantemente monitorato attraverso strumenti di auto-osservazione gestiti dalla famiglia insieme agli operatori, il monitoraggio mostra i progressi e riconosce le competenze e consente di operare adattamenti se ci sono novità. Il momento del contratto è uno dei momenti più formativi poiché le famiglie si prendono un impegno di responsabilità, di essere attivi. Tutto nel sistema familiare e sistema famiglie-servizi ha valore di messaggio, non si esce mai del significato e dal linguaggio. L’operatore sistemico partecipa alla comunicazione in modo attivo, tiene conto del processo comunicativo in atto e prova a perturbarlo alla ricerca di nuove possibilità; è responsivo, ovvero adotta una postura di grande attenzione per i feed-back da dare e da ricevere, e il suo modo di comunicare è incentrato sugli effetti pragmatici del messaggio non sull’intenzionalità. Le linee guida per arrivare ad una concezione della conversazione come raccolta di info sulla famiglia sono: ipotizzazione, circolarità, neutralità; le domande che sono proposte hanno la funzione di introdurre differenze che sono spiazzanti per la famiglia e ne ri- orientano il movimento in direzioni impreviste. (domande legittime= domande che mettono in luce le relazioni rendendole visibili e quindi trasformabili). IPOTIZZAZIONE, CIRCOLARITA’, NEUTRALITA’, CREATIVITA’: l’intervento nasce da una particolare conduzione del colloquio. IPOTIZZAZIONE, capacità dell’equipe di formulare ipotesi sistemiche fondate sulle info in suo possesso e che sia funzionale agli educatori per ricostruire i giochi e le relazionali della famiglia, non è vera né falsa ma solo più o meno utile; serve ad iniziare e organizzare il processo di indagine. CIRCOLARITA’, conduzione basata sulle retroazioni della famiglia, sollecitate da domande che venivano poste in termini di rapporti, di differenze e di mutamenti. Perturbando le relazioni tra i componenti sin apre la strada al cambiamento. NEUTRALITA’, l’equipe neutralizza ogni tentativo di coalizione, seduzione o relazione privilegiata poiché non vuole pronunciare giudizi moralistici. CREATIVITA’ o immaginazione. 4 dimensioni della cura fortemente intrecciate: la fedeltà del soggetto a se stesso, la cura dei legami, la cura del “noi”, l’apertura al sistema più ampio sociale e naturale. La fedeltà del soggetto sembra riguardi il singolo ma definisce la qualità delle relazioni, bisogna imparare a dire di sì a quello che ci rende felici e di no al contrario. La cura dei legami riguarda le relazioni, bisogna prendersi cura di tutti i legami che connotano la famiglia, ciò richiede attenzione per le piccole [Data] 17 cose che tengono insieme il tessuto delle relazioni familiari, bisogna quindi recuperare la capacità simbolica poiché il simbolo crea in sé una ricomposizione educativa. Anche il senso del noi fa stare tutti un po' meglio a patto che non richieda un’infedeltà per se stessi. Il rapporto tra la famiglia e il mondo più ampio ha una dimensione di cura indispensabile, ma le persone hanno poca occasione di prendersi cura del mondo e inoltre sono spesso disconnesse dal mondo naturale e dal territorio fisico in cui vivono. CAPITOLO 2: PREVEDERE L’IMPREVISTO NELLA TUTELA DEI MINORI. Con tutela minori si intende in modo generale quelle funzioni pubbliche e quei servizi che hanno il compito di affiancare bambini e ragazzi in favore dei quali è richiesto un controllo. Le decisioni a riguardo sono prese da un’autorità giudiziaria. Possiamo comprendere la categoria di imprevisto solo ponendola in relazione con quanto si era previsto; gli imprevisti del lavoro educativo costituiscono una differenza, ovvero un’informazione che può essere percepita e che rappresenta l’elemento fondamentale del processo di conoscenza. Non ci è possibile avere a che fare con un imprevisto senza attribuirgli un significato valoriale, positivo o negativo. Gli occidentali per dare senso all’imprevisto lo mettono in relazione ai risultati, al finale, poiché cerchiamo il lieto fine. DIFFERENZA= l’atto di tracciare una distinzione che implica creare un ordine e generare identità a partire da ciò che si percepisce attraverso i sensi; Bateson la definisce un’identità astratta, un’idea. INFORMAZIONE= rimanda alla trasmissione del contenuto del messaggio; nel termine è contenuta la parola “forma” quindi qualcosa che va oltre i contenuti e l’idea di trasmissione lineare ma implica una trasformazione. Il contenuto del finale ci guida anche nel modo in cui conosciamo e agiamo durante l’intervento. Il rischio al quale siamo esposti è di operare come se avessimo di fronte delle macchine, dove le relazioni sono prevedibili e misurabili. Nell’ambito educativo delle comunità minori la relazione è essenziale, anche quando l’intervento è fatto separazioni, poiché non c’è la causalità causa-effetto come con gli oggetti. Legge 149 del 2001 sancisce il diritto del minore ad una famiglia, così sono stati chiusi gli istituti per minori entro il 2006 (deistituzionalizzazione). Questo portò anche alla chiusura degli istituti minorili per le conseguenze nefaste sull’ospedalizzazione dei bambini. Quindi la chiusura di orfanotrofi e brefotrofi portò alla nascita delle comunità per i bambini e di quelle per mamme e bambini, realtà più piccole, meno rigide, più aperte alla trasformazione; nonostante questo non sono prive di elementi istituzionali, infatti molti ci vanno per obbligo. Hanno degli elementi delle istituzioni totali come: gestire il potere, regolare la vita dei singoli e dei gruppi, assicurare equità di trattamento, mantenere distacco dalle vite degli utenti e degli operatori, segnare la differenza tra dentro e fuori, tra prima e dopo il servizio, autorità giudiziaria come riferimento imprescindibile. Quindi c’è sempre il rischio di proporsi con un’ottica istituzionalizzante, per questo occorre che il processo riflessivo e auto-osservativo nei nostri servizi tenga sempre in mente due domande di fondo: possiamo immaginare che la genitorialità venga esercitata in piena coazione? Come [Data] 20 chiave per lo scambio relazionale con i genitori detenuti e i loro cari è la mediazione, che consente di affrontare le specificità della comunicazione che si attiva in questo contesto. Quando si è lì dentro, anche per chi è libero di uscire, i corpi sono sottoposti a un contenimento sul piano reale e simbolico. L’attenzione principale va al bambino, che ha subito il trauma della separazione. L’educatore agisce su più livelli: attività di carattere psico-pedagogico in carcere, e azioni di rete a livello sociale, nazionale, internazionale. La tutela della relazione consente al genitore di recuperare un’identità genitoriale a rischio o persa, che cerchiamo di rendere visibile e valorizzare. Questo lavoro è un fatto anche di protezione sociale, poiché da alcune ricerche si sa che il figlio di un genitore detenuto ha maggiori probabilità di trovarsi in conflitto con la legge e di ripetere le esperienze del genitore. Si privilegia il diritto del figlio nell’azione educativa, favorendone il mantenimento alla relazione con il genitore e della relazione nel tessuto sociale; con il genitore si realizza un lavoro di mediazione che gli consente di riconnettersi con la rete di relazioni da cui si è separato e con le istituzioni. La questione femminile in carcere è stata presa in considerazione dopo molte lotte, che permisero di creare delle leggi penitenziarie in tema di figli; non risolvono il problema della separazione forzata iniziale dell’arresto, la fase più delicata, nella quale il bambino non ha contatti con la madre e viceversa. LA PERSONA NON è IL REATO. Il compito dell’educatore è quello di sostenere il processo di consapevolezza della verità raccontabile, da parte dei genitori in carcere e della famiglia fuori. Marie France Blanco, fondatrice di una rete di associazioni che si prende cura della relazione genitori-figli in carcere, sostiene che il primo passo è dire ai bambini la verità sui loro genitori con parole a loro accessibili, i bambini possono capire che cos’è la legge e che anche gli adulti se non la rispettano vengono puniti, poi bisogna spiegargli che la prigione mette dei limiti alla libertà di movimento ma non all’affetto, i bambini devono raggiungere e mantenere la consapevolezza che i loro genitori li continuino ad amare. Il silenzio o le bugie vincolano, non possono far crescere liberi. La separazione psicologica è molto importante perché consente al bambino l’individuazione e la capacità di intraprendere nuovi legami affettivi pur mantenendo quelli originali, quindi è importante che sappiano la verità anche per avere una libertà di scelta e per progettare il proprio futuro. Questa separazione psicologica è possibile quando il bambino ha imparato a simbolizzare la relazione con il genitore e che quindi ha sperimentato qualche distacco. La separazione fisica crea sentimenti di abbandono e rifiuto e fantasia nella quale i genitori sono demonizzati o idealizzati, e il bambino che si sente abbandonato percepisce se stesso come non meritevole d’amore. Aiutare a comprendere il comportamento dei figli potrebbe rappresentare l’intervento primario per salvaguardare la relazione, ma per farlo bisogna coinvolgere tutto il nucleo famigliare. Quando il genitore si separa dal figlio perde la prerogativa di genitore, ovvero di adulto riconosciuto nel suo potere di azione e di influenza sulla vita del figlio. Bisogna relazionarsi alla persona e non al detenuto, questo rende possibile lo scambio relazionale in un clima di rispetto reciproco; il genitore è considerato capace di assumere delle responsabilità per mantenere una relazione significativa con i figli. Il processo d’intervento realizza:  Un percorso di informazione, formazione, sensibilizzazione;  Prevenzione sociale per minori e famiglie;  Un coinvolgimento con la rete interna al carcere e quella esterna sul territorio; [Data] 21  Una presa in carico;  Un’ottica di cura; azioni di cura dei legami:  Accoglienza dei bambini e degli accompagnatori nello spazio giallo;  Intercettazioni delle situazioni e presa in carico dell’intero nucleo familiare;  Accompagnamento dei figli al colloquio;  Gruppi di parola, per progetto di re-inserimento;  Punti di ascolto, colloqui individuali di sostegno al genitore da cui parte la presa in carico della singola storia;  Attivazione della rete interna all’istruzione;  Interventi di scambio informativo tra gli operatori e di sensibilizzazione per gli agenti di polizia penitenziaria.  Attivazione dei rapporti con rete esterna al carcere;  Sensibilizzazione e informazione nella società civile;  Ricerca a livello nazionale e europeo. Lo spazio giallo è un luogo, uno spazio fisico creato appositamente per l’accoglienza dei bambini che si preparano al colloquio. È uno spazio integrato socioeducativo, di gioco e di relazione per far uscire il carcere dal suo senso dell’anonimato. Gli educatori ne curano il senso in modo da consentire il più possibile la condivisione e la socialità. Gli educatori prestano attenzione al processo più che al prodotto. L’incontro al suo interno permette di avviare il processo di intervento e quindi l’attenzione è sia sui bambini che sui loro accompagnatori. L’attività è documentata attraverso un diario. È uno spazio “intermedio” che connette interno ed esterno in una sorta di terra di mezzo tra l’istituzione totale e la vita reale. È un intervento educativo non propriamente ludico. Ci sono alcune regole: tutti i bambini possono giocare, evitare l’assistenzialismo, favorire il gioco di gruppo e giocare rispettando le regole, nessun dialogo imposto, nessun tabù nei confronti del parente detenuto, non assecondare bugie né grosse né piccole, attenzione al bambino, attenzione al genitore con un’alleanza e offerta di modelli positivi, scambio e condivisione delle storie, ascolto e sostegno nei confronti della madre. Dagli studi abbiamo rilevato che i bambini vivono questo spazio come un luogo dove sono pensati e protetti, i bambini possono parlare dando forma alle loro emozioni e sanno che qualsiasi cosa dicono potrà essere accolta, per le famiglie questo spazio è una risorsa quasi come uno spazio di consulenza, la detenzione può essere accettata innescando un processo di integrazione in una nuova quotidianità. I gruppi di parola e i punti di ascolto riassumono e strutturano l’impianto complessivo dell’intervento. Da queste attività nasce il lavoro di sostegno, mediazione e presa in carico con l’obiettivo di innescare più aiuti possibili nella prospettiva di una ricomposizione dei legami affettivi e sociali. I GRUPPI DI PAROLA sono incontri collettivi di discussione e confronto; le variabili e le difficoltà sono quelle della gestione dei gruppi; i temi di queste lezioni sono principalmente l’esplorazione dei bisogni dei figli, il tema della sofferenza, il tema interculturale; il gruppo di parola permette il confronto, lo scambio di info e il racconto autobiografico. Un tema centrale è quello dello svelamento della condizione detentiva, ovvero un processo che comporta un lavoro di auto-svelamento, dove il primo a doversi misurare con la propria storia e con la detenzione è il genitore, quindi si opera un ascolto attivo. I PUNTI DI ASCOLTO, punti perché individuano un [Data] 22 tempo e uno spazio per il colloquio individuale con il genitore, e d’ascolto perché la modalità con cui si svolgono prevede una reciprocità. Tempo spazio e modalità sono determinanti. CAPITOLO 5: POSIZIONARSI NEL CONFLITTO: L’EDUCATORE A SPAZIO NEUTRO. Dal conflitto possono nascere conseguenze positive e possono derivare effetti negativi. SPAZIO NEUTRO è nato per sostenere e favorire il mantenimento della relazione tra il bambino e il genitore o adulto di riferimento per lui significativo, nelle vicende famigliari in cui il bisogno non è rispettato a causa di conflitti intrafamiliari o situazioni di malattia e disagio. Le famiglie che giungono al servizio sono inviate dal tribunale per i minorenni o dal tribunale ordinario, in modo coatto, attraverso dei provvedimenti nei quali l’autorità giudiziaria deve sostenere o controllare la relazione tra adulto e bambino in un luogo protetto. Il conflitto famigliare arriva a spazio neutro poiché è valutato potenzialmente dannoso per una buona evoluzione del bambino coinvolto. Un luogo neutro non appartiene a nessuno dei “contendenti” e così può facilitare i genitori a riconoscere il bisogno/diritto dei bambini o a vedere rispettati i suoi affetti. L’obiettivo a lungo termine è quello di lavorare per mantenere i contatti con entrambi i genitori in un clima che non sia pregiudizievole per la sua crescita. Spazio neutro deve tenere conto delle relazioni scritte del tribunale che emette il decreto. La sfida è quella di innescare processi di apprendimento a partire dalla crisi che ha portato ad arrivare al servizio. Collaborazione attiva di tutti i protagonisti. Prevede diversi tipi di interventi: colloqui individuali con i genitori, colloqui con i minori, incontri protetti tra il bambino e i genitori esclusi. La relazione conflittuale spesso ha come sintomo le storie raccontate dai protagonisti, che sono raccontate attraverso lenti di ostilità. Spiazzare la conversazione attraverso l’utilizzo di linguaggi e richieste a tema, può permettere all’altro di diventare osservatore della propria storia assumendo una posizione differente rispetto a quella sostenuta. (si può utilizzare anche il disegno). La mappa del conflitto offerta dalla tutela minori è una diagnosi di “SINDROME DA ALIENZAZIONE GENITORIALE” (PAS), Gardner propone alcune soluzioni al problema, quali l’allontanamento del bambino dal genitore alienante e un collocamento forzato presso il genitore alienato; questa mappa ha anche i suoi limiti, ovvero porta a trascurare le attribuzioni di significato, le storie che i protagonisti della vicenda incarnano, porta a chiudere la curiosità, l’immaginazione e la fantasia dell’operatore. Questi sono i problemi di ogni diagnosi. Per favorire il cambiamento dobbiamo creare un contesto e introdurre azioni che producono nuove possibilità di “vedere”. Caruso propone la pratica dell’altravisione come possibilità di mettere le persone in nuove posizioni rispetto a sé, alla propria storia ed emozioni. Lo scopo non è cambiare la persona ma costruire insieme possibilità concrete di assumere novità che si affianchino al noto, quindi assumere una nuova prospettiva. ALTRAVISIONE/SUPERVISIONE= parola usata da Caruso per proporre un cambiamento di cornice nel modo comune di vedere la supervisione; dal punto di vista sistemico non esistono sguardi o prospettive che stanno “sopra”, ma solo sguardi e prospettive diversi o parziali; perciò preferiamo [Data] 25 CAPITOLO 7: FARE SPAZIO E DARE VOCE: L’INCONTRO CON I FAMILIARI IN UN SERVIZIO PSICHIATRICO TERRITORIALE. Si pensa di creare uno spazio dove un famigliare possa dare voce alle emozioni, ai desideri, alla propria storia che non necessariamente coincidono con quella del paziente. Si crea uno spazio di ascolto in cui l’attenzione non sia posta alla diagnosi, sulla malattia ma sul vissuto che di essa hanno i familiari e sulla possibilità di trovare una prospettiva che renda l’esistenza sostenibile. Parte così il progetto famiglie; è a partire dalla propria storia famigliare che si attribuiscono significati alle cose, agli eventi e alle persone. DIAGNOSI= “conoscere attraverso” indica il processo di identificazione di una malattia in base a sintomi o segni; Diventa una descrizione a cui l’osservatore attribuisce valore di verità dimenticandosi del carattere pragmatico e sociale. In ambito medico e psichiatrico tende a diventare un concetto senza tempo, totalizzante, che porta con sé un significato di irreversibilità nella storia della persona. Inizialmente può orientare il progetto di cura ma poi la categorizzazione deve essere superata in favore di una o più ipotesi. Un operatore sistemico deve analizzare il contesto rispettandone i livelli. Il progetto famiglie, si è arricchito sempre più dagli stimoli e dalle richieste delle famiglie, non avendo un mandato istituzionale esplicito bisogna rendere credibile il progetto proponendo obiettivi funzionali alla cura del paziente. L’intervento è pensato come uno spazio di ascolto in cui sia possibile definire l’attuale situazione familiare, attribuire senso e significato agli eventi in corso cercando insieme un nuovo punto di vista che apra a nuovi orizzonti. Si cerca di favorire il più possibile la comunicazione come possibilità di elaborare significati, uno spazio dove la sofferenza può essere legittimata e riconosciuta; l’intento è quello di curare la narrazione e interrogare l’esperienza per aprire nuove possibilità. Bisogna allargare il campo del paziente al contesto sociale e relazionale per potere riconoscere l’ambiente in cui vive come risorsa. L’obiettivo è far esplorare a fondo alle famiglie il proprio disagio e di riuscire a condividere la propria esperienza. Bisogna costruire una relazione a partire dall’accoglienza come gesto di cura capace di trasformare l’estraneità in familiarità. Il contratto permette di co-creare un significato condiviso su ciò che si fa insieme. L’intervento parte dunque da aspettative e richieste ogni volta diverse e può evolvere in situazioni impensate, per questo domande, priorità e obiettivi possono essere ridefiniti nel tempo. Facilitare l’espressione libera e autentica delle risonanze di tutti permette di condividere, pensare e dare un nome alla propria esperienza o di raccontare desideri inconfessabili perché poco adeguati al ruolo di genitore. La narrazione biografica può rimettere in moto storie da condividere, diventa una pratica di pensabilità, confronto e riflessione. Nella narrazione i soggetti compiono un atto di visibilità verso loro stessi, di riconoscimento e di identificazione della loro posizione rispetto agli altri membri della famiglia; ognuno sceglie quale storia raccontare, e non è solo una descrizione della storia, ma una rivisitazione. Chi narra ci diventa meno estraneo perché ci ha trasmesso una parte di sé. Questa familiarità ci permette di adottare come stile narrativo una curiosità irriverente che ci consente di rendere elastico e flessibile il nostro modo di comunicare. L’intervento con i famigliari va sempre più [Data] 26 caratterizzandosi come un accompagnamento al becoming parent. Il fine è mobilitare le risorse per dare forma a mondi possibili. Manca uno spazio fisico e ben riconoscibile da tutti come il luogo dedicato all’incontro con le famiglie. CAPITOLO 8: APPARECCHIARE CONTESTI DI APPRENDIMENTO PER PROMUOVERE COMPETENZE. STIGMA= è un marchio, un segno sul corpo di una persona che la definisce diversa, non-normale. Lo stigma porta alienazione e isolamento sociale, ma anche l’alienazione porta allo stigma. Lo stigma può essere dato da chi osserva, ma il soggetto interessato può crearsi una cornice e una visione come se fosse realmente portatore di ciò per cui è stigmatizzato. Lo stigma si può misurare con l’umorismo, con l’aiuto e l’appoggio di altri che hanno lo stesso stigma e in questo modo avrà la sensazione di essere accettato; il soggetto deve amministrare lo stigma nel rapporto con gli altri e non avrà bisogno di nascondere il suo stigma se accetta se stesso e si rispetta. Si è cercato di creare un luogo dove sperimentare e provare ad agire in diretta le relazioni educative e il confronto tra genitori e figli; un laboratorio rivolto alle famiglie già in carico ai servizi sociali del territorio e alla Tutela Minori. Chiamano le famiglie a partire dalle loro risorse, a trovare le cose buone e funzionanti e sostenerle o farle venire fuori. Il fare e l’essere famiglia deve essere sperimentato attivamente e direttamente e condiviso con altri. Questo luogo è un laboratorio dove si esibiscono gli stili educativi e relazionali senza necessariamente ripetere i copioni che caratterizzano ogni famiglia, per fare ciò si richiede la presenza attiva di genitori e figli insieme. La finalità è di rendere un po' più dinamica e gradevole l’idea di famiglia che si ipotizza statica e disarmonica. Non ci si aspetta un cambiamento della famiglia o la risoluzione di problemi, ma si vuole offrire la possibilità di sperimentare forme di comunicazione inedite e condivisione tra genitori e figli. Le regole sono costruite collettivamente e la programmazione viene stabilita ogni volta in base a quanto emerso nell’incontro precedente. La varietà dei vissuti mostra la difficoltà ad aprirsi allo sconosciuto, ma ci rendiamo conto che le persone sono orgogliose del lavoro svolto. C’è il bisogno di conferire una certa ritualità e familiarità agli incontri e per questo sono da strutturare in maniera precisa e costante: 1. L’apertura della serata, seduti in cerchio ci si saluta e tutti firmano il registro presenze, questo per dargli importanza al contributo che danno all’incontro. 2. La memoria degli incontri, chi se la sente può raccontare cosa ricorda dell’incontro precedente e la coordinatrice scrive quanto sta emergendo. Si cerca di costruire una storia condivisa, in questo modo si crea continuità e appartenenza e aggiorna gli assenti. Di volta in volta le memorie scritte vengono riportate in un diario che può essere consultato da chiunque in qualsiasi momento, creando una prova tangibile del percorso. 3. La presentazione dell’attività, offrire gli elementi e i nessi necessari per collocare l’attività dentro le finalità del gruppo. 4. Svolgimento dell’attività formativa, nella quale sono tutti impegnati e coinvolti. [Data] 27 5. La cena, offerta dal progetto e con l’invito non vincolante di portare qualcosa da casa, momento conviviale del farsi e sentirsi gruppo; inizialmente era richiesta la presenza dell’educatrici/tori come punto di riferimento, poi gli hanno cercati meno fino a tollerare che rimanessero in un’altra stanza. 6. La conclusione dell’attività e i saluti, anch’essi ritualizzati con un bigliettino contenente la data dell’incontro successivo, un’immagine e un aforisma/frase/poesia riguardanti il tema dell’incontro. Il divenire del gruppo:  Prima fase: la nascita del gruppo, le regole sono il primo terreno comune, ognuno riceve una domanda a cui dare risposta e poi avviene una condivisione e uno scambio di opinioni. Con le prime attività si è favorita la conoscenza reciproca; il sentimento diffuso del timore dell’abbandono ha reso molto delicato il trattamento delle assenze, dei ritardi e delle violazioni del setting; sono state gestite con elasticità a patto che ci fosse sempre una motivazione per il gruppo.  Seconda fase: ampliare lo sguardo, dopo aver costituito il gruppo abbiamo cercato di portare lo sguardo fuori di esso. Prima si devono confrontare con la storia di ciascuno per come la si voleva raccontare. I genitori hanno ragionato su alcuni loro atteggiamenti e limiti mentre i bambini su come i limiti dei genitori si associano all’assenza di alternative nei loro percorsi di vita. Questo attraverso attività.  Terza fase, verso la conclusione: gli ultimi incontri sono stati condotti con l’intenzione di indirizzare lo sguardo dei partecipanti un po' più all’esterno. La chiusura degli incontri risulta faticosa per i partecipanti che vogliono continuare. Gli indicatori per fare un bilancio di questa esperienza sono: le presenze e le assenze, il livello di partecipazione, di scambio, il clima emotivo e la capacità di elaborazione. Il laboratorio non è un luogo terapeutico ma si avvicina molto alla normalità, mette in luce i ruoli e le competenze di ciascuno. Riconoscimento, rispetto e dignità sono i presupposti della relazione con l’altro. CAPITOLO 9: INTERROGARE LE RAPPRESENTAZIONI RECIPROCHE, TRA RICERCA E FORMAZIONE. La domanda che ci dobbiamo porre ogni volta che ci incamminiamo verso la ricerca è: “con quale res stai entrando in ricerca?” qual è la tua domanda? Cosa ti muove? La res è la storia condivisa e provvisoria del perché siamo qui, è una narrazione, una direzione di senso. Bisogna pensare a ciò che si osserva come una relazione in continua trasformazione. Ogni persona è inserita in una storia individuale e in un contesto in continua trasformazione. Formenti distingue tra “sguardo ingenuo e sguardo scientifico” dell’educatore, il primo è ideologicamente centrato, carico di pregiudizi vissuti come verità; il secondo è attento a sé e agli altri, continuamente disposto ad interrogarsi sui propri pregiudizi. Non è solo la domanda a fare la differenza ma anche come la si pone e a chi. Il ricercatore è qualcuno che si prende cura del punto di vista, non lo trascura e se ne interroga, sia suo che degli altri. Un buon educatore è anche quindi un ricercatore, soprattutto quando si rende conto di essere implicato in prima persona nella
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