Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Realismo, Verismo e Verga, Appunti di Italiano

Riassunti per esame di maturità, passato con 100. Comprende l’analisi di: prefazione ai malavoglia e ciclo dei vinti, padron ‘ntoni e il giovane ‘ntoni, il ritorno di ‘ntoni alla casa del nespolo, la morte di Gesualdo, Rosso Malpelo.

Tipologia: Appunti

2021/2022

Caricato il 31/01/2023

marteeeena
marteeeena 🇮🇹

3

(1)

12 documenti

1 / 15

Toggle sidebar

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Realismo, Verismo e Verga e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! R E A L I S M O E N A T U R A L I S M O Dagli anni ‘30 dell’800 si diffonde in letteratura la tendenza all’abbandono dell’irrazionalità e il recupero dell’oggettività, cambiamento che avviene principalmente per opera di Marie-Henri Beyle detto “Stendhal” e Honoré de Balzac. Il primo indaga nei suoi romanzi la psicologia dei personaggi, i quali sono inseriti in vicende negative e torbide; il secondo è autore di una serie di romanzi di impianto realista in cui appaiono personaggi appartenenti ad ogni classe sociale. Una tendenza analoga a quella del loro realismo, è quella che si ritrova intorno al 1850 in Gustave Flaubert, il quale scrive di personaggi ordinari fortemente condizionati dall’ambiente e dalla società in cui vivono: gli esempi più eclatanti sono Madame Bovary, in cui è descritto il carattere, gli adulteri e i desideri di una donna della borghesia di campagna, ed Educazione sentimentale, nel cui il tema amoroso si sviluppa in dettagli realistici e frammentati senza l’aiuto del narratore, che appare invisibile. Il Naturalismo è una corrente letteraria che si sviluppa tra gli anni Sessanta e Novanta dell’Ottocento avente Emile Zola come suo teorico principale. Le opere naturalistiche si basano sul metodo sperimentale delle scienze esatte applicato alla scrittura letteraria e si prospettano di condurre al progresso sociale chi le legge. Questo proposito è alimentato dallo spirito scientista e razionale che domina in Francia nella seconda metà del secolo, conseguenza di un periodo di grande prosperità ed espansione economica. In questa condizione di benessere la borghesia si arricchisce e gli operai iniziano ad organizzarsi in partiti e sindacati per rivendicare i propri diritti. La lettura risponde allo sviluppo del paese con una medesima esigenza di rinnovamento: i romanzi abbandonano la loro funzione di svago e iniziano a documentare e modificare la realtà, assumendo un ruolo sociale di divulgazione della conoscenza e di miglioramento della società. V E R I S M O Furono alcuni letterati siciliani, Luigi Capuana, Giovanni Verga e Federico De Roberto, a diffondere il Naturalismo francese in Italia; restando particolarmente affascinati dall’esigenza di verità e dall’intenzione di imitarne in vario modo le forme. Essi operano come letterati in particolar modo a Firenze e a Milano, intrattenendo rapporti di amicizia e stima reciproca. Nonostante loro utilizzassero indifferentemente le parole “Naturalismo” e “Verismo” per descrivere la loro tendenza letteraria, essi sono considerati con il nome di “veristi” in Italia, in quanto presentano alcune particolarità che li distinguono dagli autori francesi. Condividono con il Naturalismo la scelta tematica di rappresentare la condizione di tutte le classi sociali, anche le più degradate, e l’innovazione stilistica della narrazione impersonale; tuttavia rifiutano sia l’ottimistica fiducia nella scienza sia l’idea che la letteratura possa essere, oltre ad uno strumento di osservazione, un’occasione di intervento attivo sulla realtà con lo scopo di migliorarla. LUIGI CAPUANA Il primo a cogliere la novità radicale dei romanzieri francesi è Luigi Capuana, che presta a Verga i libri di Zola e ne esprime un grande apprezzamento, anche quelli apertamente respinti dalla critica. Egli nasce nel 1839 a Mineo, in provincia di Catania, da una famiglia agiata, e mostra fin dalla giovinezza una grande curiosità che lo conduce a vari interessi: la letteratura, il teatro, le scienze naturali e occulte e la magia. Dopo due anni di Giurisprudenza si trasferisce a Firenze, dove conosce Verga e stringe con lui una duratura amicizia; si dedica a vari passatempi, in particolar modo alla fotografia, caratterizzata da soggetti bizzarri, pose di sé stesso cara da morto e tentativi di fotografare il pensiero delle persone. A Milano diventa critico letterario e teatrale per il Corriere della Sera e pubblica il romanzo Giacinta, considerato il manifesto del Verismo italiano. Di particolare importanza è la sua recensione ai Malavoglia dell’amico Verga, espressa in una lettera nel tentativo di rassicurarlo dopo l’insuccesso dell’opera, affermando che “Il fiasco in questo caso lo fa il pubblico e la critica che si ricrederanno presto come accade coi valori che escono dalla solita carreggiata e che hanno elementi di grandissima vitalità. Per me I Malavoglia sono la più completa opera che si sia pubblicata in Italia dai Promessi sposi in poi”. Capuana si dedica inoltre al genere fantastico e al folclore, scrivendo fiabe e novelle per ragazzi. Le difficoltà economiche lo costringono ad un’attività letteraria incessante che lo costringe a pubblicare con un ritmo continuo. Negli ultimi anni insegna all’Università di Catania, dove muore nel novembre 1915. FEDERICO DE ROBERTO Federico De Roberto è di circa vent’anni più giovane di Verga e Capuana, considerati da lui come maestri, e ne condivide l’origine siciliana, nonostante sia nato a Napoli. Trascorre la giovinezza a Catania e abbandona la facoltà di scienze fisiche e matematiche per recarsi prima a Firenze e poi a Milano. Verga lo introduce ai salotti letterari e inizia a svolgere attività di critico e saggista su alcuni giornali, tra cui il Corriere della Sera. Egli prova un affetto e una devozione particolari per Verga, che frequenta assiduamente nei suoi ultimi anni, e aderisce alla poetica verista negli anni Ottanta, da cui trae il criterio del determinismo familiare e sociale, l'impersonalità narrativa e il discorso indiretto libero. Il suo romanzo principale, I Viceré, non ottiene il successo sperato perché quando esce il rigore e l’oggettività del Verismo appaiono superati dal gusto del pubblico, che predilige lo stile più enfatico delle opere di d’Annunzio. Trascorsi gli ultimi anni nello sconforto, muore a Catania nel 1927. cara A G I O V A N N I V E R G A Di fondamentale importanza nella vita e nelle opere di Verga è la Sicilia, considerata dall’autore una terra interiore che rappresenta sia un fondamento della sua formazione intellettuale e umana ma anche un freno alle sue alte ambizioni. Trascorre lì l’infanzia e la giovinezza, ricevendone una forte impronta culturale, ma la lascia a nemmeno trent’anni per Milano e Firenze in quanto la vita intellettuale dell’Italia si svolge lì. All’inizio della sua produzione letteraria la Sicilia è assente e sostituita dall’ambiente borghese dei salotti del Nord; ma ad un tratto la sua terra riemergerà con i suoi aspri paesaggi e la sua realtà umana, ritorno che non rappresenta una sconfitta, ma un naturale ricongiungimento alle fonti della sua formazione. Nonostante sia diventato un affermato scrittore a Milano, è stata la Sicilia a formarlo come uomo. Giovanni Verga nasce nel 1840 a Catania in una famiglia da remote origini nobiliari: il padre Giovanni Battista Catalano Verga è di provenienza baronale e la madre Caterina Di Mauro Barbagallo è una borghese che ha ricevuto una formazione intellettuale. Nonostante ciò, le condizioni della famiglia vero”. I critici daranno in seguito al termine una connotazione riguardante le caratteristiche specifiche di Capuana e Verga. Per rappresentare la realtà in modo obiettivo Verga adotta delle modalità narrative e stilistiche che costituiscono una svolta rispetto a quelle tradizionali: L'intreccio di suoi romanzi è costituito da fatti ordinari, evitando effetti romanzeschi, persino le sciagure le catastrofi sono descritte senza enfasi. L'obiettivo fondamentale delle opere veriste di documentari fatti così come sono che ha tenuto attraverso la tecnica dell' impersonalità: tende cioè a scomparire la figura del narratore tradizionale onnisciente che offre al lettore un interpretazione si fatti e sui personaggi, al suo posto la narrazione viene affidata a diverse voci che si alternano e si sovrappongono, con una focalizzazione variabile. Questo procedimento narrativo viene definito" artificio della regressione". L'effetto ottenuto è quello di straniamento e di disorientamento da parte del lettore, che non tipo affidare ad un punto di vista prevalente che lo orienti. Meglio avere Verissimo i personaggi entrano in scena direttamente con pochissime parole di introduzione da parte del narratore, lingue aderente all'ambiente e ai personaggi come si può vedere nei Malavoglia, ambientato tra i pescatori di un piccolo paese della provincia di Catania e narrata con caratteri del parlato siciliano. Non potendo lasciare esprimere i suoi personaggi in dialetto perché I lettori non lo capirebbero, Verga sceglie di intervenire sulla sintassi e sul lessico in modo da attribuire alla frase la stessa cadenza della lingua d'uso. Viene utilizzata la tecnica del discorso indiretto libero, attraverso il quale sono espressi pensieri e giudizi che il lettore fatica spesso Ad attribuire; l'effetto di insieme quello di una lingua uniforme senza scarti di registro culturale e condivisa Chi era chi vive gli eventi sia da chi le racconta. Alcune caratteristiche di questa lingua sono: - uso del "ci" rafforzativo con il verbo "avere" - uso del "che" generico per introdurre le frasi - Presenza di pronomi rafforzativi - Mancata concordanza grammaticale tra gli elementi della frase e uso dell'indicativo al posto del congiuntivo. Vega affida alle sue dichiarazioni di poetica a pochi iscritti che si trovano a metà tra riflessione teorica e letteratura, la sua stagione verista dura Infatti poco più di 10 anni e comunque in quello stesso periodo continua a scrivere romanzi e novelle tradizionali. La soluzione letteraria non segue pertanto un percorso lineare, ma è fatta di sperimentazione e ritorni indietro. I testi in cui l'autore rinuncia la propria visione del mondo Sono principalmente tre: - La novella Fantasticheria - La lettera a Salvatore Farina, premessa alla novella "L'amante di Gramigna" - La prefazione de "I Malavoglia". L A P R E F A Z I O N E A I M A L A V O G L I A E I L C I C L O D E I V I N T I Il terzo testo in cui Verga enuncia la sua visione del mondo e le sue intenzioni di poetica è la Prefazione al romanzo “I Malavoglia”, nel quale espresse il suo progetto di scrivere cinque romanzi per rappresentare i diversi tipi umani della società italiana, le loro ambizioni e i loro fallimenti. Inizialmente egli pensa di attribuire alla serie di romanzi il titolo “La marea”, che in seguito sostituisce con “I vinti”. La Prefazione inizia con un discorso sulla smania che spinge gli individui a cercare di migliorare la propria condizione di vita, e a slanciarsi in quel processo inarrestabile che Verga definisce “la fiumana del progresso”. Nel primo romanzo della serie (i Malavoglia), questa spinta verso il benessere si manifesta come soddisfazione dei bisogni primari, mentre nelle classi superiori diventa avidità di ricchezza (Mastro-don Gesualdo), vanità aristocratica (La duchessa di Leyra), ambizione politica (L’onorevole Scipioni) e aspirazione artistica (L’uomo di lusso). Per riprodurre le passioni dei tipi umani che appartengono alle diverse classi sociali, Verga afferma che occorre adeguare l’espressione alla materia trattata; la lingua semplice e diretta che è adatta a rappresentare le classi inferiori deve diventare più complessa e sfumata quando si tratta di riprodurre le idee e i sentimenti delle classi superiori. La volontà di esattezza e la scrupolosità scientifica con cui Verga si propone di “dimostrare la verità” si evidenzia anche nella scelta lessicale. L’autore prosegue il suo discorso considerando il tema del progresso. Egli mostra nei confronti di questo mito dominante nella sua epoca un atteggiamento al tempo stessi di ammirazione e scetticismo: il moto del progresso è certamente “grandioso” se lo si osserva da lontano, ma quando si punta lo sguardo sul particolare si può vedere come la sua ondata innalzi i forti e travolga i deboli, lasciandoli lungo la via. Tra queste vittime lo scrittore include sé stesso. Il discorso prosegue con una rapida rassegna dei protagonisti dei cinque romanzi; benché appartengano a classi sociali diverse, essi sono tutti “vinti, ciascuno per avere aspirato a cambiare in meglio il proprio stato. La conclusione afferma ancora una volta la necessità per lo scrittore di fare un passo indietro e rinunciare a giudicare ciò che osserva. La rappresentazione - aggiunge Verga - deve essere compiuta “coi colori adatti”, cioè con una lingua adeguata a riprodurre la realtà vera. Il pessimismo assoluto della concezione del mondo impedisce a Verga di scorgere qualsiasi prospettiva di miglioramento: poiché non è possibile individuare significati positivi nella realtà e nella storia, è inutile che lo scrittore intervenga direttamente con i suoi giudizi: il suo compito è di lasciar parlare da sé la realtà, ponendola davanti agli occhi di chi legge nella sua effettiva spietatezza e nelle sue contraddizioni. I MALAVOGLIA DI VERGA E L'ASSOMMOIR DI ZOLA Verga diventa verista dopo la lettura di Zola, considerandolo un maestro di imitazione delle tecniche narrative naturaliste. I due scrittori appaiono però molto distanti nelle rispettive visioni del mondo: Verga ereditano naturalismo francese l'attenzione per i dati reali e la concezione della vita come una lotta per l'esistenza, ma non ne condivide la visione fiduciosa, in quanto si sente estraneo dalle idee democratiche e Socialiste l'isola e al suo impegno a migliorare la condizione sociale delle classi popolari. Poiché la Francia è un paese in cui si è fermata la moderna economia industriale, i protagonisti sono gli operai, i minatori e le masse cittadine. I protagonisti di Verga sono invece pescatori e contadini della provincia meridionale. Angela racconta la storia di una famiglia Nel corso delle successive generazioni e ogni romanzo segue uno più personaggi della famiglia in diversi ambienti sociali, Verga si propone invece una scala ascensionale dove sei personaggi appartengono a classi sociali via via più elevate. In entrambi i casi è corretto parlare di "serie di virgolette e non di " ciclo ", perché si tratta di una succedersi di romanzi autonomi. Gli Intrecci dei romanzi di entrambi gli autori sono costituiti da fatti che appartengono alla vita di tutti i giorni e che non adottano Toni enfatici nemmeno quando descrivono eventi tragici. La narrazione avviene attraverso il discorso indiretto libero, tanto che diventa difficile per il lettore stabilire chi sia davvero pensando o parlando. Mentre le descrizioni di Zola sono ricche e dettagliate, nei Malavoglia sono ridotte al minimo; nelle opere del primo i personaggi vengono introdotti dalla voce narrante mentre in quelle del secondo compaiono insieme direttamente o con minimi segni di presentazione. V I T A D E I C A M P I Vita dei campi è una raccolta di Orazio Novelli ambientate in Sicilia, pubblicata nel 1880 e di tema Campagnolo punto La novità che presenta consiste nella tecnica narrativa, in quanto l'autore adotta il metodo dell'impersonalità, che imita il parlato popolare nella forma di discorso indiretto libero. Nelle novelle di "Vita dei campi" il narratore borghese si eclissa è la voce narrante proviene dal mondo rappresentato, di cui condivide i pregiudizi, le superstizioni e il linguaggio. Queste scelte formali convivono con la persistenza di contenuti passionali di Antica Tradizione romantica che spesso culminano in un finale tragico. La struttura narrativa è costituita da scene staccate da Bruschi salti logici e temporali, i protagonisti hanno caratteristiche e comportamenti anomali e sono spesso già sul disprezzo della comunità; pizzeria non sono privi di una struttura Eroica. L'assenza di una voce narrante che esprima pietà nei confronti delle vittime non impedisce l'identificazione delle letture di fronte alle condizioni misere all'isolamento crudele cui sono soggetti i protagonisti "maledetti". ROSSO MALPELO Rosso Malpelo è un ragazzo che lavora in una cava di sabbia, disprezzato da tutti, anche dalla madre e dalla sorella. Il padre, Mastro Misciu, muore nella miniera per un crollo e ranocchio, un ragazzo zoppo che lavora con Malpelo, muore di Tisi. rimasto completamente solo, malpelo Non si oppone quando il padrone lo manda ad esplorare un cunicolo sconosciuto, Vi si perde e non fa più ritorno. La presentazione di Malpelo è fin dall'inizio ostile e già dalla prima frase Il lettore resta spiazzato; il rapporto di causa effetto" aveva i capelli rossi perché era cattivo" Era assurdo per chi legge nonostante la voce narrante sembra crederci fermamente. l'autore ha scelto di rimanere Invisibile e di lasciare la parola ad una voce Popolare costituita da coloro che conoscono Malpelo ed esprimono su di lui un giudizio integralmente negativo. Nel corso di tutta la novella il suo giudizio denigratorio non cambierà mai: numerosissimi sono gli esempi del pregiudizio collettivo contro di lui, egli viene preso in giro, picchiato, sospettato di ogni cattiva azione, privato perfino del suo vero nome. Il rosso dei suoi capelli nell'immaginario Popolare evoca al fuoco dell'inferno e Tutti sono convinti che le azioni di Malpelo siano ispirate proprio dal diavolo. il lettore è costretto a giudicare Malpelo direttamente dalle sue azioni che deve interpretare oltre la maldicenza e l'avversione della voce che le descrive e le deforma. Si viene a sapere che Malpelo vive una condizione di sfruttamento e abbandono: lavora Tutta la settimana in una cava di sabbia e torno a casa soltanto il sabato, la madre e la sorella credono che rubi il denaro della paga e per questo lo picchiano, alla cava Malpelo mangia un pane scadente è stata solo perché i compagni lo deridono e lo maltrattano, porta carichi pesantissimi e Non osa lamentarsi. Il lettore, dopo poche righe, prende le distanze del giudizio avverso della voce narrante e osserva con benevolenza e apprensione il destino del ragazzo, si pone in mezzo all’ offesa in cui egli vive e la sente dall'interno, denunciandola con una forza ben più traumatica di qualsiasi esplicita condanna. Malpelo non si ribella e spesso è paragonato ad un asino e bastonato come si bastonano gli asini, in particolare Egli si identifica con il grigio e ne ripete il destino: è l'ultimo della tramandano il mestiere di pescatori e vivono ad Aci Trezza, nella casa del nespolo. Il capofamiglia è Padron ‘Ntoni; suo figlio, Bastianazzo, ha sposato Maruzza e dalla loro unione sono nati cinque figli: ‘Ntoni, Mena, Luca, Alessi, Lia. La situazione di equilibrio iniziale viene modificata da due eventi: la partenza del giovane ‘Ntoni per la leva di mare imposta dalla recente Unità d’Italia, e, due anni dopo, il naufragio della barca dei Malavoglia, la Provvidenza, con la morte di Bastianazzo. La scarsità della pesca aveva infatti indotto Padron ‘Ntoni a tentare la via del commercio, prendendo a credito un carico di lupini. Il naufragio della barca, la morte di Bastianazzo e la perdita del carico sono dunque l’inizio della rovina della famiglia Malavoglia, che per restituire il denaro all’usuraio del paese è costretta a vendere la casa del nespolo. All’impoverimento dei Malavoglia si accompagnano altri guai: ‘Ntoni non riesce più ad ambientarsi nè a casa nè nel paese e media di ripartire, mentre suo fratello Luca è chiamato alla leva e muore. Il declassamento sociale della famiglia fa saltare sia il fidanzamento di Mena con l’uomo scelto dal nonno per lei, sia la relazione tra ‘Ntoni e una ragazza del paese; dopo la morte per colera di sua madre Maruzza, ‘Ntoni decide di abbandonare il paese per cercare fortuna in città, al Nord. A causa della sua partenza i Malavoglia sono costretti a vendere anche la barca e diventano sempre più poveri ed emarginati. Quando ‘Ntoni fa ritorno in miseria ad Aci Trezza si ubriaca e si dà al contrabbando, finché una notte, sorpreso in un’imboscata, ferisce don Michele, il brigadiere delle guardie doganali, e viene condotto in carcere. La sorella più giovane, Lia, si è intanto lasciata trascinare in una relazione proprio con Don Michele; quando la notizia si diffonde, la ragazza abbandona di nascosto la casa e finisce a fare la prostituta in città. Padron ‘Ntoni viene portato all'ospedale di Catania, dove muore prima che Alessi riesca a ricomprare la casa del nespolo e a ricondurre il nonno. Alessi ricostituisce una famiglia, sposando una ragazza del paese; Mena rinuncia a sposarsi con l’uomo che ha sempre amato e vive con il fratello e la cognata badando ai loro bambini. Quando ‘Ntoni, scontati i cinque anni di carcere, torna ad Aci Trezza, viene accolto benevolmente da Alessi nella casa del nespolo, ma comprende che a quel mondo non può più appartenere e se ne allontana definitivamente. Intorno ai Malavoglia si muovono moltissimi altri personaggi, che rappresentano i principali mestieri e ruoli sociali del paese. Ciascuno è identificato da un nomignolo che ne fissa ironicamente una caratteristica principale, per somiglianza o per opposizione, come è d’uso nella tradizione popolare siciliana. L’ambiente del paese è ristretto: poiché tutti si conoscono, nessuno è al riparo da pettegolezzi e maldicenze e in quello spazio chiuso il giudizio popolare è talmente importante da condizionare i destini individuali. Gran parte del romanzo è occupata dal disordinato chiacchiericcio del paese: l’insieme dei personaggi minori ha la funzione di rappresentare la società in cui vivono i protagonisti, dominata dalla legge dell’utile economico e dalla “lotta per la vita”. I Malavoglia sono portatori di un sistema di valori autentico e disinteressato (l’onestà, la laboriosità…) e rappresentano nel romanzo, soprattutto attraverso la figura di Padron ‘Ntoni, il tenace attaccamento ai valori del lavoro e della tradizione, insidiati dai cambiamenti della modernità. Eppure l’abbaglio del progresso minaccia anche loro, come testimonia la scelta del commercio del mare. Nella prospettiva conservatrice di Verga, la “colpa” di padron ‘Ntoni è dunque di aver cercato un utile economico fuori dal suo ambiente, di aver tradito il mestiere di pescatore tramandato di padre in figlio. L’uno e l’altro falliscono: il desiderio di cambiamento e miglioramento appare nel romanzo la causa principale della rovina dei protagonisti. Nella figura del giovane ‘Ntoni vengono rappresentate le stesse inquietudini, quando da giovane egli aveva lasciato la Sicilia Per cercare fortuna in una grande città del Nord Italia. Benché Verga conservi un forte attaccamento all’etica tradizionale del lavoro e della famiglia rappresentata nel romanzo da padron ‘Ntoni, egli sa che la sua nostalgia del passato è del tutto anacronistica e che quei valori sono destinati ad essere travolti. Aci Trezza è un universo ristretto nei suoi confini, su cui però premono l’attrattività dello spazio esterno e la sua minaccia. Tutto ciò che avviene fuori è soltanto oggetti di allusioni vaghe, oppure è taciuto. La raffigurazione dello spazio è sia realistica, cioè corrispondente alla realtà geografica di un paese che esiste davvero, sia affettiva, in quanto gli elementi del paesaggio sono spesso trasfigurati dai sentimenti provati dai protagonisti. Anche ‘Ntoni dovrà fare esperienza dello sradicamento e della nostalgia che già altri paesani, costretti a emigrare, hanno dovuto conoscere: lasciare lo spazio domestico in cui si è nati corrisponde a una contaminazione, e si sconta con l’impossibilità di reinserirsi davvero. I fatti raccontati nel romanzo occupano circa quindici anni, da quando ‘Ntoni parte per la leva, nel 1863, al 1878 circa. Ai fatti “Interni” si affiancano quelli “esterni”, i grandi episodi e cambiamenti politici ed economici del tempo storico che si intrecciano con la vita locale e la condizionano: la leva militare obbligatoria del nuovo Stato unitario, l’epidemia di colera, la costruzione della ferrovia a sud di Catania, la partenza dei treni a vapore che portano in città i richiamati alla leva. La storia e la modernità sono percepiti come qualcosa di lontano, minaccioso ed estraneo alla successione monotona degli eventi paesani. La voce narrante scandisce il tempo secondo il ritmo ripetitivo della natura e delle usanze locali; nella circolarità del tempo del paese coloro che vivono come i Malavoglia avvertono una specie di riparo dai cambiamenti esterni, governati da forze ignote che non saprebbero come affrontare. Contro questo attaccamento al tempo circolare della tradizione che scorre con mutamenti minimi e garantisce la continuità delle famiglie, si leva la voce di chi come il giovane ‘Ntoni ha conosciuto il tempo rapido e rettilineo dell modernità, e pensa che il ripetersi dell’identico non sia una difesa, ma una condanna. Verga scrive I Malavoglia a Milano. Egli intende infatti compiere una “ricostruzione intellettuale” della realtà, osservandola da una certa distanza, come dichiara in una lettera a Capuana. Per rappresentare l’ambiente di Aci Trezza si serve della sua conoscenza personale della provincia siciliana e di due stratagemmi principali: la modalità narrativa “dal basso” e la lingua mimetica, che riproduce il parlato e le cadenze dialettali siciliane. La voce narrante dei Malavoglia è anonima, non corrisponde a quella di un personaggio riconoscibile, e parla dall’interno, come se appartenesse a una persona del villaggio. Ad essa si mescola e sovrappone quella dei paesani, maligna e pettegola, ispirata a una logica utilitaristica e cinica. Questa mescolanza di voci e di prospettive genera l’effetto di un coro popolare, il quale, pur caratterizzato da toni diversi, giudica la realtà invariabilmente dall’interno e in modo parziale. E’ il lettore a doversi districare tra la molteplicità e la contraddittorietà dei giudizi espressi. Verga rinuncia ad usare il dialetto e inventa un italiano dialettale in cui la cadenza delle frasi e le improprietà grammaticali imitino il modo di parlare del popolo siciliano. Per restituire il “colore” locale, Verga attribuisce grande importanza ai proverbi; essi hanno anche la funzione di rappresentare il modo di pensare semplice della gente del popolo. PADRON ‘NTONI E IL GIOVANE ‘NTONI: DUE VISIONI DEL MONDO A CONFRONTO Padron ‘Ntoni affronta il nipote affinché smetta di ubriacarsi e torni a lavorare, ma il giovane dichiara che il lavoro sostenuto dai suoi famigliari è massacrante e inutile e che non vuole sottoporsi a quella vita logorante. Le sue parole addolorano padron ‘Ntoni, che resta senza forze, oppresso dallo sconforto. Quello tra nonno e nipote è un duello tra due sconfitti. Padron ‘Ntoni arriva all’osteria curvo, con la testa bassa, abbattuto dalla vergogna. Davanti al nipote si presenta in lacrime e gli rivolge un rimprovero carico di dolore. Il richiamo affannato con cui il vecchio cerca di scuotere il ragazzo suona come una vera e propria supplica. Il cuore di ‘Ntoni però è lontano. Amareggiato e deluso dal mondo che ha conosciuto il ragazzo non può più credere ai valori dei Malavoglia. Davanti ai suoi occhi, del nonno di cui porta il nome, egli ha il riflesso del destino che lo aspetta: un corpo incurvato dagli anni e dalla stanchezza. ‘Ntoni prova sdegno e rancore per le differenze sociali, per i ricchi che vivono di rendita e sfruttano i poveri. L’unica prospettiva che gli pare praticabile per chi non vuole accettare la propria sorte è una fuga individuale che si riduce a un godimento precario e avvilente. E’ evidente che il nonno e il nipote, benché così lontani nelle conclusioni, condividono la medesima visione del mondo, fatalistica e passiva. Il dialogo tra il vecchio e il ragazzo ha un ritmo rapido e toni accesi: come in una scena di teatro, la drammaticità è affidata non soltanto alle parole ma alle azioni; l’amore che padron ‘Ntoni prova per il nipote è accompagnato infatti da gesti carichi di intensità. IL RITORNO DI ‘NTONI ALLA CASA DEL NESPOLO ‘Ntoni torna alla casa del nespolo di sera, dove viene accolto da Alessi e Mena che gli offrono da mangiare; poco dopo però si alza per andarsene. Chiede ancora notizie del nonno e di Lia, poi il fratello gli mostra le stanze della casa e gli offre di fermarsi a vivere con loro. Ma ‘Ntoni se ne va, e quando è ormai lontano si ferma sulla strada, seduto su un muretto; lì trascorre la notte a guardare il paese, finché le case e gli abitanti si risvegliano all’alba. Il ritorno di ‘Ntoni è l’arrivo di uno sconfitto. Di fronte al suo aspetto miserevole i fratelli non osano accoglierlo con gioia: gli danno da mangiare e se ne stanno zitti a guardarlo. In tutto il dialogo dominano la reticenza, l’imbarazzo e la resa di fronte al destino: la decisione di ‘Ntoni è accettata silenziosamente da tutti come l’unica possibile. ‘Ntoni in verità offre una spiegazione della sua volontà di ripartire: in paese tutti sanno che egli ha compiuto azioni indegne; dunque non può tornare a vivere lì. Persino i fratelli condividono questa opinione: il peso dell’infamia graverebbe su tutta la famiglia ed è comprensibile che ‘Ntoni non voglia far loro altro male. Egli sa che per la sua colpa non esiste una redenzione possibile. ‘Ntoni non può tornare indietro non soltanto perché la gente sparlerebbe di lui, ma anche perché non può offrire ai fratelli alcun risarcimento per il dolore che le sue scelte hanno provocato. Per questo nella casa del nespolo ora ‘Ntoni si sente un estraneo. Piegato dal rimorso, egli si guarda intorno come per fissare nei propri occhi l’immagine di ciò che ha perduto per sempre. ‘Ntoni ora sa che andare via significa rinunciare ai valori condivisi dalla comunità, subire una specie di marchio di emarginazione che impedisce di inserirsi di nuovo tra gli altri. Così, ciò che prima egli disprezzava, ora diventa oggetto della sua nostalgia. La consapevolezza di ‘Ntoni si è infine rovesciata: lo spazio ristretto del paese, rifiutato per le attrazioni della città moderna, gli appare ora un perimetro domestico e sicuro, ma egli sa che non può più esservi ammesso. La sua esclusione gli appare senza rimedio ed egli può ormai sentirsi simile soltanto al mare, che “non ha un paese nemmeno lui”. Il tono lirico di questo finale è certo un segno dell’identificazione dell’autore con il suo personaggio: egli infatti conosceva bene la sensazione di estraneità che prova chi va via, sia all’arrivo nella nuova città sia al ritorno nel paese. La spia della presa di distanza dell’autore dal suo personaggio e del suo rifiuto di esaltare la presunta
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved