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Recensione critica dello scritto per il teatro Leben des Galilei (Vita di Galileo), Temi di Filosofia

Recensione che si concentra sulle parole del testo, il personaggio di Galilei e l'accuratezza dei riferimenti.

Tipologia: Temi

2021/2022

In vendita dal 15/08/2022

Luvetti
Luvetti 🇮🇹

4.5

(4)

19 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Recensione critica dello scritto per il teatro Leben des Galilei (Vita di Galileo) e più Temi in PDF di Filosofia solo su Docsity! Recensione critica dello scritto per il teatro Leben des Galilei L’autore del libro Leben des Galilei (in italiano Vita di Galileo), Bertolt Brecht, fu uno scrittore e drammaturgo tedesco del Novecento. Scrisse diverse versioni di quest’opera, la sottopose a numerose revisioni e modifiche, variando soprattutto il suo giudizio riguardo all’abiura. L’autore visse durante un periodo complesso e fu costretto all’esilio a causa del regime nazista. E fu proprio in questo periodo che scrisse quest’opera, perciò alcuni hanno interpretato l’azione repressiva dell’Inquisizione nei confronti di Galileo come metafora per il controllo della dittatura nazista. Il testo di Brecht, come spiegato da lui stesso, non intende fornire un resoconto della vita dello scienziato, ma vuole concentrarsi soprattutto sul complesso aspetto che è quello del legame tra scienza copernicana e fede. Il dubbio e la fede La parola “dubbio”, che appare solo verso la fine del testo, è usata da Brecht in modo coscienzioso e moderato, ma accurato. Compare, infatti, una volta in bocca all’inquisitore e una in bocca a Galilei che, anche se a distanza di alcuni capitoli, risponde in un certo modo al primo personaggio. Questo esprime l’inquietudine della Chiesa, che si vede minacciata dall’atteggiamento del dubbio, perché percepisce la fede in pericolo. Le parole dell’inquisitore sono le seguenti: “questi uomini mettono in dubbio ogni cosa. Ma possiamo noi fondare la compagine umana sul dubbio anziché sulla fede?” e “che succederebbe se tutti costoro, deboli nella carne, inclini a ogni eccesso, credessero soltanto alla loro ragione, che quel forsennato dichiara essere l’unica valida istanza?”. Le frasi si accavallano in modo incessante e lo scrosciare delle domande è incessante: esprimono chiaramente le preoccupazioni della Chiesa. Galilei, invece, parla del dubbio in questi termini: “mi pare che la pratica della scienza richieda particolare coraggio. Essa tratta il sapere, che è un prodotto del dubbio; e col procacciare sapere a tutti su ogni cosa, tende a destare il dubbio in tutti”. Il protagonista dell’opera reputa il dubbio un elemento essenziale per la scienza, che ha le sue radici proprio in esso. Secondo gli uomini della Chiesa, però, dal dubbio nasce un problema fondamentale, perché, se si inizia a dubitare della nostra realtà e delle nostre certezze, si può arrivare a conclusioni inaspettate, che potrebbero scontrarsi con quelle conoscenze tradizionali su cui si basa la fede. La Chiesa teme quindi l’ignoto, o meglio, la sua meta. Ha paura del fine della ragione, che, se usata in modo “sbagliato”, può far errare anche i credenti più fedeli. E Galilei tutto ciò lo sa. Per questo parla di coraggio, perché sa che si incammina per una via tortuosa. La stessa che percorse pochi anni prima Giordano Bruno, riferimento che ricorre un paio di volte nel libro. Il discorso che ho riportato poco sopra di Galileo non si ferma dove ho chiuso le virgolette, ma va più a fondo, alla ricerca di una spiegazione finale dell’opera teatrale di Brecht. “Ora, la gran parte della popolazione è tenuta dai suoi sovrani, dai suoi proprietari di terra e dai suoi preti, in una nebbia madreperlacea di superstizioni e di antiche sentenze, una nebbia che occulta gli intrighi di costoro. […] La nostra nuova arte del dubbio appassionò il gran pubblico, che corse a strapparci di mano il telescopio per puntarlo sui suoi aguzzini. Questi uomini egoisti e prepotenti, avidi predatori a proprio vantaggio dei frutti della scienza, si avvidero subito che il freddo occhio scientifico si era posato su una miseria millenaria quanto artificiale, una miseria che chiaramente poteva essere eliminata con l'eliminare loro stessi. Allora sommersero noi sotto un profluvio di minacce e corruzioni, tali da travolgere gli spiriti deboli. Ma possiamo noi ripudiare la massa e conservarci ugualmente uomini di scienza?” In questo discorso ritroviamo diversi punti cardine dell’ideologia di Galilei e dell’opera. Prima fra tutti la nebbia madreperlacea di superstizioni e di antiche sentenze, che è data indubbiamente dall’imposizione della Chiesa e non permette alla scienza di svilupparsi. Gli uomini e gli scienziati della Chiesa preferiscono rifarsi all’auctoritas intoccabile di Aristotele piuttosto che analizzare dal vivo i fenomeni naturali, come fa Galileo. Il suo grido di battaglia è infatti “prestate fede ai vostri occhi!”, “una cosa è credere all’autorità di Aristotele, e un’altra cosa sono i fatti che si possono toccar con mano”. Il periodo in cui visse Galilei era ancora imbevuto di ferme credenze antiche e tradizionali, e non era forse ancora pronto alle innovazioni a cui tendeva lo scienziato, che preferiva l’evidenza e l’uso spregiudicato della ragione rispetto alla cieca fiducia in una fede o in un’auctoritas. “io credo nell’uomo, e questo vuol dire che credo alla sua ragione!”, diceva. Gli uomini di Chiesa, qui caratterizzati come egoisti e prepotenti, avidi predatori, hanno capito la minaccia che le teorie copernicane possono costituire per loro e i loro fedeli e, per questo, tendono ad insabbiarle e a minacciare gli scienziati. In questo senso il cristianesimo costituisce uno strumento per la sottomissione del popolo, che non deve fare uso della ragione oltre certi confini, prestabiliti da Aristotele, o meglio, dagli Aristotelici. A Galileo, infatti, non preme tanto dimostrare l’inesattezza delle teorie cosmologiche del filosofo, quanto attaccare la cieca “fede” nei suoi precetti, che ben si amalgamano con quelli della Chiesa. La battaglia dello scienziato non sta tanto nell’affermazione di una nuova teoria dell’Universo, ma nel rapporto tra fede (cristiana e nell’auctoritas aristotelica) e scienza intesa come sperimentazione sensibile ed evidenza. Questa, se potesse essere perseguita senza limiti, sarebbe una liberazione per il popolo rispetto all’oppressione che viene esercitata dai potenti nei suoi confronti. I protagonisti I personaggi della storia sono tanti. Ma, di fatto, sono solo due: Scienza e Fede. Queste sono le due parti che si avvicendano e si combattono lungo tutta la storia di Galilei. E, mentre penso che il suo pensiero sia ormai chiaro, ritengo sia doveroso riportare anche una frase che mi ha chiarito l’importanza che la teoria dell’immobilità e della centralità della Terra aveva per la Chiesa: “L’uomo, lo sanno anche i bambini, è la gemma del creato, la suprema e prediletta creatura di Dio. Ed è concepibile che Dio abbia voluto affidare un simile capolavoro, una simile fatica, a una piccola stella fuori di mano e in perpetua corsa? Che abbia inviato in simile luogo il suo Figliolo? […] Quale creatura di Dio può tollerare tanto affronto?”. L’idea cattolica è chiara: come potrebbe Dio ripudiare la sua creatura prediletta in un luogo tanto insignificante? Ma se noi ammettessimo che Dio è un’invenzione umana, potremmo comprendere come l’Uomo ha da sempre
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