Scarica RECENSIONE Se questo è un uomo, PRIMO LEVI e più Appunti in PDF di Italiano solo su Docsity! Alice Lipparini Recensione “Se questo è un uomo” di Primo Levi Meditate che questo è stato: vi comando queste parole. Tante riflessioni, tante parole sono state scritte riguardo a Se questo è un uomo, sull’importanza che ha tramandare tutto questo e sulle atrocità che vengono raccontate, ma non saranno mai abbastanza. Primo Levi, insieme a tanti altri scrittori, ha contribuito ampiamente al ricordo, ma non solo, dell’inferno dei Lager, in tutte le sue opere, fino alla sua morte. Nemmeno lui era riuscito a trovare una spiegazione a tutto quell’orrore e il rimorso di essere sopravvissuto non lo ha mai abbandonato. Il romanzo è autobiografico e racconta il periodo vissuto da Levi nel campo di Auschwitz, a partire dalla deportazione, avvenuta il 13 dicembre del 1943, fino all’arrivo dei sovietici, il 27 gennaio 1945. Il lavoro è duro non soltanto per le operazioni da svolgere ma piuttosto per le condizioni in cui si è posti, anche psicologicamente: normalmente i detenuti vivono per pochi mesi e muoiono di fame, di sete, di freddo o di malattie. Si esita a chiamarli vivi: si esita a chiamar morte la loro morte, davanti a cui essi non temono perché sono troppo stanchi per comprenderla. Levi è un chimico e riesce a farsi accettare nel laboratorio del campo; riuscirà a sopravvivere anche grazie a questo incarico. Vengono raccontati episodi quotidiani, storie di altri detenuti, dettagli apparentemente insignificanti che però ci trasportano nel Lager, nelle baracche sovraffollate, nel fango e nella neve delle strade. Uno dei capitoli più noti è l’undicesimo, Il canto di Ulisse, in cui le dure mansioni di Levi e del suo compagno Pikolo si intrecciano col ricordo dei meravigliosi versi di Dante, nel canto XXVI, sul naufragio dell’eroe omerico. Quello che tanto colpisce è la contrapposizione tra l’Inferno di Dante e l’Inferno del Lager, tra la poesia di quei versi e la desolazione assoluta dei detenuti. Come può esserci poesia ad Auschwitz? Come può esserci umanità? Levi all’inizio del capitolo Sul fondo scrive: Questo è l’inferno. […] Come pensare? Non si può più pensare, è come essere già morti. In fondo, i campi di filo spinato non sono poi tanto diversi dai fossati del Malebolge. Per questo, i detenuti fanno di tutto per non perdere l’ultimo lume di umanità, l’ultimo ricordo delle persone che sono state, della vita che facevano, della loro identità. Più giù di così non si può andare: condizione umana più misera non c'è, e non è pensabile. Nulla più è nostro: ci hanno tolto gli abiti, le scarpe, anche i capelli; se parleremo, non ci ascolteranno, e se ci ascoltassero, non ci capirebbero. Ci toglieranno anche il nome: e se vorremo conservarlo, dovremo trovare in noi la forza di farlo, di fare sì che dietro al nome, qualcosa ancora di noi, di noi quali eravamo, rimanga. Se questo è un uomo è diventato il simbolo di una tragedia che coinvolge il mondo intero e monumento per la sua memoria. Per la scrittura lucida e diretta di Levi, in prima persona, questo è uno dei romanzi sulla Shoah che colpisce di più, nonostante ci sia forse meno pathos emotivo. Ogni volta che leggo questo romanzo mi stupisco di come questi autori riescano a raccontare le esperienze dei Lager, a rivivere il dolore attraverso le parole. Distruggere l'uomo è difficile, quasi quanto crearlo: non è stato agevole, non è stato breve, ma ci siete riusciti, tedeschi.