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Recycled cinema. Immagini perdute, visioni ritrovate , Sintesi del corso di Storia Del Cinema

riassunto del libro di Marco Bertozzi per l'esame di teoria e tecnica del montaggio cienmatografico

Tipologia: Sintesi del corso

2014/2015

Caricato il 26/11/2015

elena.chee
elena.chee 🇮🇹

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Scarica Recycled cinema. Immagini perdute, visioni ritrovate e più Sintesi del corso in PDF di Storia Del Cinema solo su Docsity! RECYCLED CINEMA Immagini perdute, visioni ritrovate Capitolo 1: Ombre mosse Cos'è il found footage film? Letteralmente significa “metraggio trovato”, dove metraggio sta per pellicola cinematografica, o parte di essa, e “trovato” indica una vasta gamma di occasioni di recupero, da film emersi per caso a film volutamente cercati per essere manipolati. Il montaggio di frammenti provenienti da opere diverse esalta la ridefinizione del senso e i processi di messa in forma simbolica. I surrealisti adoravano certe immagini “documentarie” ma non per il loro contenuto informativo. Ancora prima delle avanguardie, il riciclo filmico apparteneva già agli albori del cinema: riciclo di temi, ma anche di opere e di serie culturali, di supporti e di dispositivi. Come ricorda Salvatore Settis è utile distinguere tra riuso in re (in spirito) intertestuale e riuso in se (materiale). Il primo attiene a un riciclo di temi e di motivi che, per certi versi, potremmo associare all'adattamento e al remake cinematografico; il secondo – quello che ci interessa – attiene invece al riciclo materiale della cosa stessa o della stessa tipologie di cose. Dai riusi dei primi tempi del cinema e dagli assemblages d'avanguardia, il montaggio è al centro delle pratiche discorsive più interessanti. Ciò che, in realtà, affonda le proprie radici nelle culture popolari del passato, oggi si materializza in un upcycling che va dall'architettura alla moda, dal design al teatro. Godard avvia un progetto specifico, originato dalle lezioni canadesi tenuti nel 1978 e poi pubblicate in “Introduction à une veritable histoire du cinema”. In quel ciclo di conferenze il regista parte dal confronto tra un suo film e quelli di altri autori. Il legame può essere estetico, storico, narrativo, ma la limitata possibilità di gestire i materiali citati costituisce un ostacolo al pieno dispiegamento del progetto godardiao. Il desiderio di superarlo si realizza negli anni Novanta, grazie allo sviluppo delle tecnologie video e alla facilità nel gestire una imponente quantità di dati audiovisivi. Nel 1998 Godard porta a termine l'impresa di un gigantesco film – saggio: “Histoire(s) du cinéma”. Considerata una delle opere più complesse e di difficile interpretazione dell'intera filmografia di Jean-Luc Godard, Historie(s) du cinéma spazia dal cinema alla letteratura, dalla pittura alla scienza. Godard cerca di comporre una sua personale visione della storia del cinema usando immagini di film istituzionali, ne modifica il senso e cambia il contesto del film originario, non cerca di narrare una storia che si presenti come oggettiva, ma costruisce una genealogia inventando nuove relazioni tra suono, immagini, testi e nomi per parlare di una sua storia del cinema e per stimolare il fruitore a crearne una propria. Il tema centrale dell'opera è quello di capire come il Cinema si sia intrecciato alla Storia anzi alle Storie. L'impresa è composta da otto episodi, trasmessi nel 1999 dalla rete franco – tedesca Arte. Il montaggio è evocativo, una stratificazione di senso e di emozioni, di citazioni e di memorie. La traccia di una storia e di tutte le storie possibili. Forse, senza il suo contributo, l'interesse teorico per il riuso delle immagini e degli immaginar cinematografici avrebbe seguito altre strade, altre urgenze e altre scansioni temporali. Capitolo 2: Una forma che pensa La verifica incerta (1964) di Alberto Grifi e Gianfranco Baruchello – il film nasce come rivisitazione del cinema di genere americano, un documentario metafilmico dedicato a Marcel Duchamp che utilizza 150.000 metri di pellicola hollywoodiana sottratta alla distruzione programmata. Fast Film (2003) di Virgil Widrich – un dissacrante collage – omaggio al cinema di genere, un lavoro d'archivio che l'animazione rende favolisticamente giocoso. Si tratta del secondo di una serie di dodici capitoli (Tableau film) composta da Widrich grazie alla collaborazione di cinque archivi filmici internazionali. In Fast Film lo spazio scenico allude a mondi in stile videogame. Jacopo Quadri : il suo progetto parte da metà degli anni Novanta e porta alla realizzazione di diversi Statici, una serie di found footage film che ci immettono nel corpo vivo del cinema. Ricordiamo Marisa (2000) elegia in tre atti dedicata alla madre scomparsa del regista. FORMA SONORA In Grizzly man (2005), Herzog parte da una voice over classica, al referenziale servizio delle immagini e via via che il film avanza, la voce di Herzog diviene dubitativa e si rapporta filosoficamente alle immagini riprese dal protagonista. La voce narrante sembra ancora onnisciente ma il suo ruolo intraprende una deriva filosofico – emozionale che spesso troviamo nelle autobiografie e nel cinema saggistico. Ciò è ben evidente in Il mare d'inverno di Ermanno Cavazzoni (nel film se Cavazzoni sbaglia a leggere il testo questo non viene cancellato in montaggio). Un altro caso particolare è Angeli su due ruote (1993) della serie Plagium in cui gli speaker leggono definizioni di patologie veneree sulle immagini di sexy B – movie con motocicliste tettone. Forma narrata → Con il tempo ci si allontana da film che raccontano storie. Per Shields, nel recente Fame di realtà ormai “le trame sono per gente morta” perché ci fanno credere ancora, fuori tempo massimo, “che la vita sia ancora coerente”. Forma ritrovata → Perfect film (1986) di Jacobs – un film che definisce uno dei poli radicali del found footage, quello del mostrare, senza elaborare, un oggetto rinvenuto più o meno fortuitamente. In Perfect film osserviamo segmenti di interviste a funzionari della polizia, a cittadini afro- americani, a esponenti del movimento: la dinamica interna al quadro è quella dell'intervista con microfono, in cui le domande del giornalista di incuneano fra la cortina di corpi – sguardo ai bordi dell'inquadratura. Un coro difficilmente arginabile che improvvisamente lascia il passo a immagini mute o a sequenze bianche, con l'audio costipato di voci sull'omicidio avvenuto durante la Settimana della fratellanza. Capitolo 3: La scena degli affetti FORMA AMATORIALE Private Hungary, serie di Forgàcs, è un cineviaggio nell'Ungheria vista dal “basso”. Si tratta di una storia audiovisiva basata sulla rielaborazione di home movies recuperati in archivi non tradizionali e compulsati in maniera originale. L'opera di Forgàcs svela il processo di purificazione di immagini apparentemente felice, evidenziando un sentimento di dolore laddove sembrerebbe esserci solo spensieratezza. Nel film Meanwhile Somewhere (1940 – 43) (1994) Forgàcs seleziona frammenti di diversa provenienza nazionale (Polonia, Belgio, Cecoslovacchia, Francia) che fanno riemergere la vita quotidiana negli anni dal 1940 al 1943. E' un dramma su una giovane coppia: lei polacca e lui tedesco, vengono rasati a zero solo perché amanti di nazionalità diversa. Questo film esalta la possibilità del cinema di famiglia di essere testimonianza e, al tempo stesso, mistificazione, documentazione e contraffazione. Un'ora sola ti vorrei (2002) di Alina Marazzi costruisce la memoria della madre, suicida quando la regista aveva sei anni, portando alle estreme conseguenze l'accostamento tra scarti della materia cinematografica – i film di famiglia, mai entrati nelle storie del cinema – e gli scarti di supposte “normalità” psico – sociali. Ricomponendo i film famigliari girati dal nonno, Alina Marazzi porta a termine un'opera di alto profilo stilistico. Il tentativo di usare il cinema come “prova” è una trappola che appare evidente e che, se non suffragata da ciò che in quelle immagini manca (altre fonti), viene sempre ricondotta alla oftalmica precarietà di un unico punto di vista. Per questo Genova 2011 ci pone il problema del realismo delle immagini e di quanto sia difficile, in ultima analisi, fare found footage film. Quelle immagini, allo stesso tempo, sono servite: ad esempio Alessandro Perugini, vicecapo della Digos, che sferra un calcio potente in faccia a un ragazzo già a terra, disarmato e circondato da agenti viene smascherato grazie alle riprese video. Quelle immagini viste e riviste, spezzettate e rimontate sono servite a molti per svegliarsi dal sonno profondo dei grandi media. Sia grazie all'importante ricostruzione attuata in un film di finzione come Diaz (2011) di Vicari sia nel gigantesco e semi sotterraneo Blob (autoprodotto). Genova 2011 è stato comunque un momento di grande dinamizzazione del nuovo sguardo documentario. Détournement des images Da alcuni anni una marea di immagini girate con videocamere e telefonini diventa immediatamente found footage per operazioni cinematografiche o televisive successive più o meno raffinate. Come ci ha insegnato Guy Debord, con i suoi film che ribaltano la logica delle immagini dominanti, più che produrre nuovi oggetti audiovisivi è necessario svelarne il contesto illusorio, normificato, mercificato. La sociétè du spectacle (1973) è un film – saggio della storia del cinema. Debord rinuncia al diritto d'autore e colloca l'opera nell'orizzonte del pubblico dominio. Una riconversione che nega la proprietà privata delle immagini, a favore della libera riappropriazione di opere esistenti. L'operazione di Debord tende all'esproprio del senso, alla reinvenzione del pubblico – classe operaia, secondo una modalità confluita, in termini post-moderni, in operazioni tipo Blob. Capitolo 5: Fra la storia e le città Festival del muto: “Le giornate del cinema muto”, a Pordenone (1982) e “Il cinema ritrovato” a Bologna (1986). Passato/presente una dialettica materica Yervant Gianikian e Angela Ricci Lucchi Le loro opere non hanno nulla a che vedere con il tradizionale documentario a base d'archivio. Attratti dal cinema di famiglia o da dimenticati archivi del muto, da documentari istituzionali o da mai visti film sperimentali, Gianikian e Ricci Lucchi lavorano su film abbandonati accompagnandoli con una scrittura parallela. Utilizzano la camera analitica, che permette di riagire il fotogramma con una artigianalità che, al tempo stesso, richiama il lavoro delle botteghe rinascimentali e gli esperimenti scientifici alle origini del cinema. La camera analitica consente dunque di rifotografare le immagini originali, per poi avviarle a una serie di interventi plastici, cromatici, di rimessa in quadro... I due registi hanno avviato un importante lavoro sugli archivi storici: Karagoez – Catalogo 9,5 (1981), Das Lied von der Erde (1982) e nel 1986 Dal polo all'Equatore, con il quale portano a nuova luce il ritrovamento degli archivi personali di Luca Comerio. Ricordiamo altri loro film come Uomini,anni, vita (1991), sul genocidio degli armeni di Turchia, avvenuto tra il 1915 e il 1918. Oppure, ancora Oh! Uomo (2004), è una delle più pregnanti opere italiane degli ultimi anni. Il film svincola sequenze militari della grande guerra, allora vietate alla visione pubblica, per affrancarle dall'orizzonte scientifico – medicale e consegnarle alla loro tragica potenza mistificatoria. Qual è il ruolo delle istituzioni pubbliche, in primis Rai e Istituto Luce/Cinecittà, nel costruire originali sguardi d'archivio? L'impressione è che i tentativi attuati in questo senso vengano poi scarsamente promossi: come se le istituzioni producessero alcuni programmi “sperimentali”, o “d'autore”, ma già nella consapevolezza di una futura, scarsa diffusione. Quasi si aspettassero il fallimento di questi film, in un mercato del vedere dominato dagli indici d'ascolto. Il problema è di politica culturale, di scelte strategiche che privilegiano la più vendibile linea storico-contenutista. Alcuni tentativi attuati dalla Rai attraverso Alfabeto italiano (1998), oppure recentemente opere quali Come mio Padre (di Mordini, 2009) e 1960 (di Salvatore, 2011). Il film di Salvatores utilizza materiali d'archivio Rai per “ospitare” una storia ambientata nel 1960. Inoltre grazie alla recente moltiplicazione dei canali digitali, molto interessanti sono anche i tentativi attuati in Rai di riciclare materiali televisivi del passato. Recentemente anche il Luce ha cercato di offrire uno sguardo diverso verso l'archivio, opere come Ma che storia!, Inconscio Italiano e Terramatta. Negli orizzonti del cinema d'archivio pulsano anche rivisitazioni storiografiche su autori faro del nostro cinema. È il caso di Vittorio De Seta e delle opere realizzate sul suo lavoro da Paolo Isaja e Maria Pia Meandri. Un'opera che recentemente è riuscita a lavorare l'archivio inserendo una molteplicità di fonti in un compiuto afflato drammaturgico è anche La bocca del lupo (di Marcello, 2009). Qui il rapporto tra il racconto di una vita sbandata – Enzo, il protagonista – e i paesaggi di una città Genova, divorata dai cambiamenti del secolo breve. Poi ricordiamo Appunti romani (2004), un found footage film realizzato con materiali di diverse cineteche. La mancanza di una voce narrante, di una spiegazione oggettiva, inficia la presunta utilità didattica del film che non servirebbe affatto a un turista desideroso di conoscere la città. Il film sceglie di avanzare per frammenti, sequenze composte seguendo tracce labili, anamnesi legate a fotogrammi emersi a nuova luce. Per alcuni “più che la memoria di una città, Appunti romani ripercorre soprattutto le molte memorie visive che l'hanno raccontata”. Capitolo 6: Il circuito dell'arte Al found footage film la sala cinematografica non basta più e si inventa spazi, modi, tempi di visione sganciati dai luoghi tradizionali della visione. Film d'arte d'archivio → lavori capaci di irrorare il campo di nuove significazioni, e proprio per questo apprezzati al di là degli orizzonti cinematografici. Ormai è evidente che produrre da found footage non significa realizzare un tipo preciso di film, bensì ampliarne i modi di lettura e gli orizzonti semantici. Non esiste un'unica estetica del riuso filmico, ma esiste un comune orizzonte cinematografico di immagini girate da altri. The Clock è una gigantesca messa in serie di sequenze tratte da centinaia di film classici. The Clock è un'opera di Marclay (vince il Leone d'oro alla Biennale d'arte di Venezia nel 2011). La sua peculiarità sta proprio nel fatto che ogni frammento filmico riutilizzato contiene un orologio – che si da polso, sveglia, pendolo, orologio pubblico... - e che la temporalità del film segue esattamente quella della vita. Il film dura 24 ore ed è contrassegnato dalla presenza continua di orologi che indicano, minuto dopo minuto, lo scorrere del tempo (quello ritenuto “vero” e convenzionalmente misurato). Per certi versi potremmo definirlo un compilation film – in quanto risulta debole il processo di risemantizzazione delle immagini originali e bassa è la tensione sperimentale dell'opera. L'opera di Marclay suggerisce un cinema senza ellissi, un mondo fittizio che ricalca-diviene mondo quotidiano. Col tempo è un'installazione di Péter Forgàcs, presentata al padiglione ungherese della Biennale d'arte del 2009. “Anonimatografo” o del dispositivo alchemico Anonimatografo (1972) è un lavoro di Paolo Gioli (dedicato ad Alberto Farassino) e nasce da un rullo di pellicola comprato per poche lire, girato da un cineasta amatoriale a inizio Novecento. Le immagini vengono riassemblate in una specie di diario magico attraverso procedimenti di sovrimpressione, raddoppio, inversione di fotogrammi positivi e negativi. La visione è perturbante e ricca di apparenti imprecisioni tecniche e libere associazioni figurative. Autore di oltre trenta film dialoganti con la pittura e la fotografia, Paolo Gioli prende le distanze dall'idea di cinema sperimentale. Ricordiamo alcuni suoi film: L'assassino nudo, Piccolo film decomposto, Finestra davanti a un albero. Se Forgàcs procede al recupero di frammenti narrativi scavando nel cinema di famiglia – per restituire voce e dignità a figure anonime -, Gioli mantiene viva l'ambiguità delle immagini per alludere allo stupore della loro forza mutevole e alla comprensione di come nascano e si sviluppino all'interno dei dispositivi di riproduione. “Decasia” o dell'abbandono della materia Nel 2002 Bill Morrison lavora con immagini che palesano il loro “male”. Il found footage film in questione si chiama Decasia (decadenza-fantasia-nostalgia). Morrison visita alcuni archivi statunitensi e recupera sequenze filmiche in avanzato stato di decomposizione. L'idea è quella di associare a materiale in grave stato di deterioramento la perenne lotta dell'uomo contro la morte. Il ritmo allucinatorio della colonna sonora di Michael Gordon accompagna il supporto degradato del film. Vediamo disgregarsi la tela di un pittore in atto di dipingere la sua modella; un'automobile, sulla quale saltano alcuni ragazzi, si dilata fino a farsi nuvola; un pugile si ritrova invece a boxare contro una languida sequela di fotogrammi rigati. La forza dell'imperfezione sottrae queste immagini a una semplice prospettiva documentale. “24 hours psyco” o dell'alterazione programmata Il ralenti, da un lato esalta l'artificialità del processo, la sua appartenenza al dispositivo cinema e dall'altro evidenzia il valore delle immagini che stiamo trattando, consegnandole a un supplemento di sguardi. Il montaggio che si presentava quale costruzione di un senso unico, unito, lineare lavora qui sulla sparizione di quel senso, sulla incerta sopravvivenza della immagine alla collisione fra tempi diversi, non visibili nella percezione ordinaria. In prospettiva contemporanea, uno dei primi lavori di cineralenti a meritare attenzione internazionale è 24 hours Psyco (1993) di Douglas Gordon. Si tratta di una installazione ormai celebre, anche per il romanzo di Don De Lillo, Punto omega, il cui protagonista è talmente toccato dall'opera di Gordon da non voler uscire dal Museo che la ospita. Eureka (1974) di Gehr – rallenta un travelogue dei fratelli Miles girato a San Francisco nel 1906. Siamo sulla Street Market, nella cabina di testa di un tram, alcuni giorni prima del terremoto e dei successivi incendi che distrussero la città. Avanziamo lentamente verso il punto di fuga centrale. Il nostro sguardo incrocia passanti, biciclette, filobus, insegne pubblicitarie e la folla in strada. In virtù dell'intervento di ralenti, l'autore moltiplica il valore delle immagini quali fonti per lo studio della città perduta e per un confronto con quella ricostruita (a causa del sisma vennero distrutti 28.188 edifici e morirono circa tremila persone). Capitolo 7: Dalla sorveglianza alla transizione mediale Sorvegliare e punire – il Panopticon di Jeremy Bentham è composto da quattro parti (supplizio, punizione, disciplina, prigione), era un'architettura concepita per assicurare al sorvegliante il controllo dei prigionieri, mentre nessuno di questi poteva osservare il suo controllore. Una istituzione caratterizzata da quella “veduta diseguale” che oggi sembra essere condizione di molti, allevati a merendine visive, monitorati dall'auditel, venduti con lo share ai mercanti del capitalismo massmediale. Condizione evidente di chi è soggetto a immagini di controllo diretto, come mostra Gefangnisbilder (Prison Images) (2000) di Farocki – un film di immagini di prigioni, tratte da film
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