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Recycled Cinema - Marco Bertozzi, Sintesi del corso di Estetica

Riassunto di "Recycled Cinema - Immagini Perdute, Visioni Ritrovate" di Marco Bertozzi per l'esame di Laboratorio di Montaggio Digitale (Laurea Magistrale in Televisione, Cinema e New Media)

Tipologia: Sintesi del corso

2021/2022
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Scarica Recycled Cinema - Marco Bertozzi e più Sintesi del corso in PDF di Estetica solo su Docsity! RECYCLED CINEMA Immagini perdute, visioni ritrovate di Marco Bertozzi 1. OMBRE MOSSE 1.1. L’IMMAGINE RITROVATA Found footage = metraggio ritrovato, pellicola cinematografica, o parte di essa, che viene recuperata da film emersi a caso a film volutamente cercati per essere manipolati   Da un lato, ci sono immagini provenienti da disparate pratiche audiovisive (cinegiornali, film d’animazione, pubblicità televisive…).  Dall’altro, ci sono le principali modalità con si rivisitano, sovrappongono e stratificano le immagini. N.B. tutto il cinema prodotto sinora è manipolabile. William C. Wees sottolinea la capacità dell’autore nell’utilizzare immagini ritrovate, che si compie tramite una serie di interventi che forzano i materiali primigeni verso nuovi valori estetici  l’utilizzo di frammenti filmici in un nuovo contesto genera nuovi significati, è inevitabile produrre un’opera diversa. Riciclare materiali del passato = moltiplicare la dialettica fra immagine di partenza e possibili riutilizzi. 1.2. CULTURE DEL MONTAGGIO Il saccheggio di forme preesistenti smantella l’idea di opera immutabile  i documenti fotografici stimolanti sono quelli in grado di generare enigmi visivi e suscitare interrogazioni inusuali attraverso nuovi regimi “visionari”. Salvatore Settis distingue tra:  Riuso in re, in spirito: riciclo di temi e motivi associabili ad adattamenti e remake cinematografici.  Riuso in se, materiale: riciclo di materiale della cosa stessa o della stessa tipologia di cose. 1.3. FOUND FOOTAGE WAVE Montaggio = è centrale nelle pratiche discorsive più interessanti ed è in grado di avviare percorsi di senso “senza mai soluzione di chiusura”  vera e propria forma di spoliazione e di nuova vestizione dello sguardo. N.B. offrire una seconda vita agli oggetti è diventata, per molti, una pratica necessaria, tant’è che le pratiche del riuso si estendono alle forme comuni di vita quotidiana, e.g. architettura, moda, design, teatro… William C. Wees definisce tre domini del montaggio tipici del found footage:  Compilation: non sfida la natura realista delle immagini riutilizzate  è fortemente vincolato ad un’aurea di realtà, tipica del sistema mediale e dei suoi prodotti che William C. Wees vorrebbe tanto decostruire.  Appropriation: produce accomodanti simulacri figli della cultura postmodernista.  Collage: illumina un’attitudine critica, fortemente in contrasto con l’istituzione cinetelevisiva. William C. Wees è convinto che gli eventi possano raccontarsi da soli, semplicemente elencandoli in una compilazione di sequenze. Il riuso d’archivio è un interesse in piena espansione, esaltato dai procedimenti postmoderni della citazione del riutilizzo, tra strategie di re-enactment e orizzonti di post-riappropriazione. In Kino aus zweiter Hand (Cinema di seconda mano, 2009), Christa Blümlinger si focalizza su vari procedimenti di ripetizione e rivalutazione, su repertori di gesti e immagini dimenticati e su procedimenti mnemonici consentiti dal cinematografo  analizza le modalità che costituiscono il found footage. In Metraje encontrado (2009) di Antonio Weinrichter, il found footage è una categoria estetica capace di lavorare in trasferta fra cinema documentario e cinema sperimentale. In un saggio del 2009, François Niney colloca il found footage all’incrocio di quattro paradigmi teorici:  La messa in questione del mito del “progresso storiografico”  La riconsiderazione del cinema “primitivo”  La consapevolezza di un valore non solo contenutistico, ideologico o stilistico delle immagini  L’interesse di cineasti sperimentatori per le possibilità estetiche, antropologiche e politiche del riciclo d’archivio I teorici del cinema e delle immagini rivisitano i film antichi per muoversi verso i paradigmi a venire, attratti dalla ridefinizione dei processi narrativi, dalla capitolazione di alcuni modelli semiotici e dall’allargamento dei territori estetici consentito dalla messa in crisi del vecchio “cinema a base d’archivio”. I filmmaker sono attratti dalla riconfigurabilità dell’immagine in termini estetico-politici: il loro lavoro è segnato da un’operatività che rischia raccordi non frequenti, decomposizioni e ricomposizioni del quadro, ralenti o accelerazioni del flusso filmico, reiterazioni, sottrazioni, abrasioni, colorazioni delle immagini…  superamento di paradigmi monoteistici. 1.4. HISTOIRE(S) DU RÉEMPLOI Siamo nel caso del trovato perché cercato: un progetto specifico, originato dalle lezioni canadesi di Jean- Luc Godard nel 1978, pubblicate poi in Introduction à une véritable historie du cinéma  il regista confronta un suo film con quelli di altri autori: il legame può essere estetico, storico, narrativo…, ma la limitata possibilità di gestire i materiali è un ostacolo. Il progetto si realizza negli anni Novanta grazie allo sviluppo di tecnologie video e alla facilità nel gestire un’imponente quantità di dati audiovisivi. Nel 1998, Jean-Luc Godard termina l’impresa di un gigantesco film-saggio: Histoire(s) du cinéma  corpo di immagini, pensiero di immagini, mondo di immagini. Si tratta di un essere-immagine di ogni cosa. Nel 1999, la rete franco-tedesca Arte trasmette l’impresa del regista in otto episodi e in quattro volumi illustrati. Il montaggio delle Histoire(s) è fortemente evocativo, una stratificazione di senso e di emozioni, di citazioni e di memorie. L’analisi di Jean-Luc Godard evoca aperture e riscritture, critiche lancinanti e amori primigeni  intreccio di immagini che smontiamo e rimontiamo, laddove “il passato è un fantasma che minaccia il presente e gli offre il proprio corpo, di cui il cinema ha sistematicamente organizzato la scomparsa”. 3. LA SCENA DEGLI AFFETTI 3.1. DELLA FORMA AMATORIALE Negli anni Venti, grazie alla propagazione di dispositivi casalinghi, si diventa attivi cittadini del cinematografo: tutto è da filmare  l’album privato di fotografie esplode in film girati in normali contesti familiari, e.g. rituali laici e religiosi, vita di casa, vacanze… sogni autoriali dei padri di famiglia. Nella serie di film Private Hungary, Péter Forgàcs riprende un cineviaggio nell’Ungheria vista “dal basso”  storia audiovisiva basata sulla rielaborazione di home movies recuperati in archivi non tradizionali. L’opera di Péter Forgàcs svela il processo di purificazione di immagini apparentemente felici, evidenziando un sentimento di dolore, laddove sembrerebbe esserci spensieratezza. In Meanwhile Somewhere… (1940-1943) del 1994, Péter Forgàcs seleziona frammenti di diversa provenienza nazionale, facendo riemergere la vita quotidiana dal 1940 al 1943  scissione tra:  (Dare) a vedere  (Volere) sapere Oltre alle immagini di “normalità” familiare, nel film si evidenzia un dramma più vasto, e.g. umiliazione subita da una giovane coppia: lei polacca, lui tedesco  rasati a zero perché amanti di diverse Nazioni. Il film esalta la possibilità del cinema di essere testimonianza e, allo stesso tempo, mistificazione, documentazione e contraffazione. In Un’ora sola ti vorrei (2002), Alina Marazzi ricostruisce la memoria della madre, suicida quando lei aveva sei anni, portando alle estreme conseguenze l’accostamento fra scarti della materia cinematografica (film di famiglia) e gli scarti di supposte “normalità” psico-sociali  attesta il valore realistico dell’interiorità, dei suoi sbandamenti e dei suoi miraggi. 3.2. TENERE FRIZIONI, SONTUOSE AGGRESSIONI Gli sguardi rivisitati dal cinema delle donne investono il found footage con una carica rirompente e il desiderio di sottrarsi alla costrizione sociale delle immagini felici. In Daughter Rite (1980) di Michelle Citron, la regista esplora ritualità familiari e teatrini della genitorialità, alternando film di famiglia, sequenze documentarie in stile cinéma-verité e considerazioni intime attraverso il voice over. Voce narrante e immagini scatenano dubbi sui processi di focalizzazione del film: chi parla è rappresentata nelle foto? Le sorelle adulte che vediamo discutere nelle sequenze documentarie sono le stesse degli home movies? Che relazione hanno con il voice over?  associare il crollo dell’ideologia familiare al crollo delle categorie del cinema classico. Si sviluppa una nuova estetica del cinema Queer: Barbara Hammer realizza puzzle visuali, collage cromatici e alterazioni delle immagini per rendere pubbliche storie molto personali, e.g. Nitrate Kisses (1992), Tender fiction (1995) e History Lessons (2000). In Nitrate Kisses, Barbara Hammer riutilizza sequenze marginalizzate della cultura omosessuale, obbligando le nuove generazioni a pensare al mondo queer prima che le immagini avessero potuto raccontarlo. Nel 2007, Alina Marazzi realizza Vogliamo anche le rose, un film sulla liberazione sessuale delle donne italiane negli anni Settanta  tre vicende differenti raccontano il cambiamento della società italiana:  Sfera sessuale  Rapporto uomo-donna  Rapporto con il proprio corpo  radicale messa in discussione di valori consolidati, a cui corrisponde la libertà espressiva della regista nel manipolare materiali diversi tra loro. 3.3. DAL FAMILIARE AL PUBBLICO Tra gli archivi storicamente sensibili al coinvolgimento del pubblico, vi sono quelli preposti a salvare le memorie filmiche amatoriali, e.g. Cinémathèque de Bretagne a Brest (Francia) o l’East Anglian Film Archive di Norwich (Gran Bretagna)  luoghi in cui memorie private diventano pubbliche, anche grazie al riuso di materiali d’archivio. Volontà di superare l’idea di semplice sito di conservazione per innescare un confronto con i territori e gli attori sociali coinvolti. Alcune cineteche privilegiano la semplice conservazione, mentre altre, oltre ai tradizionali progetti di raccolta di fonti filmiche e non, avviano progettualità più ampie, e.g. seminari sulle città e sui paesaggi rappresentati, esposizioni multimediali in musei e gallerie d’arte, proiezioni con i cineamatori…, sino alla realizzazione di documentari o serie filmiche a base d’archivio. N.B. home movies e film amatoriali sono fondamentali per il cinema di ricerca contemporaneo  sono “film ingenui” che invitano a ripensare i processi della percezione, la supposta naturalità del visivo e la possibilità di narrare altre storie  un paesaggio di apparente cinespazzatura diventa occasione per fare altro. 3.4. IMMAGINI CAVERNA E ASEITÀ Self Portrait Post Mortem (2005) di Louise Borque nasce dal processo di decomposizione della pellicola sotterrata dall’autrice per cinque anni. È una pellicola in lento scorrimento fra flussi d’onda e bolle di emulsione degradata  i fotogrammi scorrono piano, come ostacolate eruzioni vulcaniche, da cui emerge il volto di una giovane donna, la regista, accompagnata dal rumore del vento. 3.5. L’INOPEROSO OZIO DELLA DECRESCITA ICONICA I territori più inquieti del riuso filmico affondano lo sguardo sul détournement dei significati chiari. Tuttavia, lavorare sui resti significa anche prestarsi ad una “inoperosità filmica”  le tecnologie digitali, la moltiplicazione dei canali e il trionfo dell’alta definizione spingono a produrre sempre nuove immagini. Al contrario, il recupero d’archivio si gode una latenza che richiama esperienze della lentezza: non è un caso che il found footage esiga tempi lunghi e spazi di osservazione dilatati  riflessione > azione. In Il nostro secolo (1982), Artevazd Peleshian racconta la tentata conquista dello spazio, focalizzandosi sulla disfida sovietico-americana per il controllo dei cieli  le immagini risultato spettacolari: incendi di missili, deflagrazioni aerospaziali, volti di occhialuti aeronauti… Il regista illumina nuovi spazi filmici e tragiche riflessioni sul destino degli uomini e sulla loro “visione” storica. Artevazd Peleshian riflette sul “montaggio a distanza”, mettendo in discussione i principi del “montaggio sovrano” (o “delle attrazioni”) attraverso un allontanamento, piuttosto che una collisione, dei piani scatenati a livello simbolico. 4. MEMORIE PRIVATE E TEMPI STORICI 4.1. DEL TEMPO AUTOBIOGRAFICO L’autobiografia diventa un campo fecondo per esaminare come realtà e finzione si confrontino sul terreno delle immagini e determinino orizzonti con vaste aree di sovrapposizione, senza confini rigidi. In Les plages d’Agnes (2008) di Agnes Varda, il cinema rivisitato dall’esperienza autobiografica diventa un ludico viaggio alla frontiera di ricordi personali ed appartenenze collettive  filmini di famiglia, documentari, film di finzione… cuciono un tappeto iconografico su cui la regista francese traccia geografie sentimentali d’intenso spessore emotivo. N.B. quando si parte dal riutilizzo di frammenti personali, si evidenzia spesso l’aspetto meta-filmico: non si tratta solo di riproporre ciò che le immagini di una vita mostrano, quanto di auto-indagare il modo in cui queste funzionano. Santiago (2007) di João Moreira Salles recupera immagini girate nel 1992 e mai montate, raffiguranti Santiago, il maggiordomo nella casa natale del regista, che si rivela essere un uomo dai mille interessi: canta, narra, è appassionato di storia… Riflettendo sulle immagini del suo primo documentario, João Moreira Salles offre una lezione di cinema: “In uno dei suoi film, il cineasta Werner Herzog dice che la bellezza dell’inquadratura sta spesso in ciò che non è previsto e che appare fortuitamente prima o dopo l’azione. L’attesa, i tempi morti, i momenti in cui quasi nulla succede”  mentre ascoltiamo queste parole, osserviamo il maggiordomo in silenzio, imbarazzato, mentre segue a testa bassa le indicazioni offerte da João Moreira Salles. Una scena viene ripetuta svariate volte, perché il regista non è soddisfatto  è un making fantastico per comprendere i processi di messa in forma pseudo-realistica, gli imbarazzi prossemici, le volontà registiche e le difficoltà dei non-attori a “fare come se niente fosse”. N.B. questo documentario si rivela un fallimento cinematografico riscattato dalla lucidità del regista nel rivisitare il footage personale  guardare e comporre found footage = immergersi nel proprio mutare. 4.2. CONFIGURAZIONI DEL FILM-SAGGIO In Le fond de l’air est rouge (1978) di Chris Marker, la scalinata di Odessa viene alternata a immagini di repressioni poliziesche in varie parti del mondo  confronto tra le sequenze di un classico del cinema e le attualità e i cinegiornali degli anni Sessanta e Settanta. Il regista esalta le invarianti della sofferenza, nell’immutabile prossimità tra finzione e documentario, contribuendo a definire il genere del film-saggio, segnato dall’intenzionalità della riflessione in atto. 4.3. IL FOOTAGE IDEOLOGICO La molteplicità delle fonti resta il miglior tentativo per ridurre la mistificazione della storia  chi fa cinema, chi lavora sulle memorie, impara a diffidare della supposta trasparenza delle immagini, poiché, di per sé, l’immagine realistica non “garantisce” nulla, e.g. durante l’attentato delle Torri Gemelle, alcuni amici di François Jost pensavano che si trattasse di un qualsiasi telefilm americano. Tuttavia, il pensiero analitico del mondo moderno continua a distinguere fiction e documentario, lasciando il mondo della seduzione al primo e quello della conoscenza al secondo. Padenje Dinastij Romanovych (La caduta della dinastia dei Romanov, 1927) di Esfir’ Šub è un lavoro realizzato per il decennale della Rivoluzione d’Ottobre, utilizzando fondi filmici degli anni 1913-1917, originariamente appartenuti allo zar Nicola II. Il film è il primo episodio di una trilogia sull’affermazione del proletariato  le immagini devono insegnare ed essere prova scottante del passato. N.B. nel found footage a carattere ideologico, le immagini fanno resistenza, nonostante i tentativi di bloccarle, e.g. in Gloria (1934) dell’Istituto Luce: le sequenze, girate da vari operatori durante la Prima guerra mondiale, evidenziano il tentativo di riscrivere il conflitto in prospettiva nazional-fascista con 6. IL CIRCUITO DELL’ARTE 6.1. “THE CLOCK” O DEL TEMPO AUTORIFLESSIVO Riciclare immagini = rilocarle, generare testi filmici che non richiedono più la visione nel buio del cinema  al found footage film la sala cinematografica non basta più, si inventa spazi, modi e tempi di visione sganciati dai tradizionali luoghi della visione, e.g. il museo, in cui la messa in forma diventa un ulteriore messa in spettacolo. Si tratta di lavori capaci di irrorare il campo di nuove significazioni, motivo per cui sono apprezzati al di là degli orizzonti cinematografici  produrre da found footage non significa realizzare un tipo preciso di film, bensì ampliarne i modi di lettura e gli orizzonti semantici  riconvertire immagini girate da altri. Negli immaginari di molti, al centro del cinema ci sono ancora i film di produzione industriale della durata di un paio d’ore circa, con la musica spalmata sul racconto… Questo cinema continuerà ad esistere, ma l’estetica found footage introduce una differenza radicale nel modo di vederlo  diventa una possibilità di scompaginarlo e di distoglierne l’atto della visione pilotata. The Clock (2011) di Christian Marclay è un’opera strutturalmente classica, dotata di una sceneggiatura di ferro. La temporalità del film segue esattamente quella della vita  dura 24 ore. Ogni frammento filmico riutilizzato contiene un orologio (da polso, sveglia, pendolo, campanile…), che indica lo scorrere del tempo, minuto dopo minuto. The Clock è un compilation film, perché:  Il processo di risemantizzazione delle immagini originali è debole.  La tensione sperimentale dell’opera è bassa.  Il significante resta ancorato alla supposta garanzia del profilmico. Tuttavia, è difficile lasciare queste sequenze, anche quando si è capito il funzionamento del film. Nella sua semplicità strutturale, l’opera di Christian Marclay suggerisce un cinema senza ellissi, un mondo fittizio che ricalca e diventa mondo quotidiano. 6.2. “WITH TIME” O DELLA MIGRAZIONE FIGURALE With time è un’installazione di Péter Forgàcs del 2009, presentata al padiglione ungherese della Biennale d’arte. L’opera è introdotta da La vecchia, un ritratto del 1506 di Giorgione: busto di una vecchia affacciata al parapetto che emerge dall’ombra dello sfondo; nella mano destra, appoggiata sul seno coperto, tiene un cartiglio su cui è scritto “col tempo”. Nella parte centrale dell’allestimento, il fruitore è attratto da un muro di sguardi, che lo sovrasta e lo indirizza verso reminiscenze fotografiche. Irl, il muro è costituito da immagini dinamiche, piccoli film che srotolano centinaia di sguardi: davanti a questo totem del visus, ci si sente in imbarazzo. Un’agitazione muta parte da uno split screen film, che trae spunto dai reperti dell’archivio visivo di Josef Wastl, antropologo nazista, comprendente bobine di film, fotografie, fonti scritte, maschere di gesso, capelli, vari tipi di misurazioni e strumenti. Nei film di Josef Wastl, riutilizzati da Péter Forgàcs, il volto appartiene ad una modalità di rappresentazione fotografica  ritratto da galera. I volti ruotano: profilo – frontale – altro profilo  Josef Wastl utilizza il cinema in una modalità essenzialmente fotografica, legata ad una meccanica del visibile da fotogramma fisso. Péter Forgàcs è l’artefice di un produttivo sconfinamento dai/dei documenti prodotti dall’antropologo nazista: i film di Josef Wastl sono generati dall’atroce storia dell’olocausto, mentre gli stessi film, riutilizzati da Péter Forgàcs, passano dalla dimensione scientifico-fattuale a quella culturale  possibilità di illuminare due epoche. 6.3. “ANONIMATOGRAFO” O DEL DISPOSITIVO ALCHEMICO Rispetto a Péter Forgàcs, che recupera frammenti narrativi scavando nel cinema di famiglia per restituire voce e dignità a figure anonime, Paolo Gioli mantiene viva l’ambiguità delle immagini per alludere allo stupore della loro forza mutevole e alla comprensione di come nascano e si sviluppino all’interno dei dispositivi di riproduzione. 6.4. “DECASIA” O DELL’ABBANDONO DELLA MATERIA Decasia = decadenza-fantasia-nostalgia, sinfonia decadente capace di informare un dialogo serrato tra immagini del mondo e supporto logorato che le veicola  associare a materiale in grave stato di deterioramento la perenne lotta dell’uomo contro la morte. 6.5. “24 HOUR PSYCHO” O DELL’ALTERAZIONE PROGRAMMATA Che senso ha “stressare” il materiale originario, pensare a possibilità ricombinatorie, riappropriarsi di materiali di scarto lavorando su nuove durabilità? Ad esempio, il ralenti è una tecnica molto utilizzata per instaurare un tempo diverso da quello normale (24 fps), modulando altre velocità di scorrimento del film   Da un lato, si esalta l’artificialità del processo, la sua appartenenza al dispositivo cinematografico.  Dall’altro lato, si evidenzia il valore delle immagini che vengono trattate, consegnandole a un supplemento di sguardi.  sbloccare potenziali di significato, temporalità sottratte all’apparente ordine naturale delle cose. Con 24 Hours Psycho (1993), Douglas Gordon “re-examines archival film footage, extracting and dissecting images, often in slow motion, and, in the process, reveals psychological and sociocultural aspects of history”  rimodulazione del flusso filmico, progressive uscita del cinema dalla sala, rilocazione in nuovi spazi di fruizione  necessità di una variazione ritmica nel flusso del footage utilizzato. 7. DALLA SORVEGLIANZA ALLA TRANSIZIONE MEDIALE 7.1. PANOPTICON Dal pensiero di Michel Foucault emerge una critica della soggettività legata alla forza carceraria delle immagini istituzionali, al valore di sorveglianza assunto nel momento in cui disciplinano l’ammissibilità di alcuni sguardi. Panopticon = architettura di Jeremy Bentham concepita per assicurare al sorvegliante il controllo dei prigionieri, mentre nessuno di questi poteva osservare il suo controllore  visione diseguale. Questa condizione viene resa evidente in Gefängnisbilder (Prison Images, 2000) di Harun Farocki, un film costipato di immagini di prigione, tratte da film di finzione, documentari, videocamere di sorveglianza…  esempio di come le istituzioni siano forgiate da un pensiero repressivo. 7.2. DEGLI ARCHIVI RITROVATI Alcuni cinetecari sono molto attaccati alle “loro” pellicole e non amano che ricercatori e filmmaker chiedano di vederle e di riutilizzarle; altri non redigono unicamente inventari del sopravvissuto, ondeggiando tra sentimento romantico (nostalgia della memoria) e prospettiva classica (ordine tassonomico); altri ancora riattivano loro stessi l’archivio per comporre film-manifesto sull’inarrestabilità della sua distruzione. N.B. il controllo sugli archivi attiene al controllo della Storia, al modo di gestire il presente e costruire il futuro. Nel periodo in cui importanti trasformazioni culturali (modo di pensare il cinema) e tecniche (digitalizzazione) permettono di ricalibrare l’intero sistema, gli archivisti e gli studiosi del cinema riflettono sulle nuove modalità di conservazione e storicizzazione delle immagini. Il nuovo cinema d’archivio contribuisce a:  Rivedere ruoli e pratiche, ripensando la tensione fra artefatto materiale e artefatto concettuale  rapporto dialettico tra matericità e immatericità.  Mutare il rapporto tra filmmaker e cineteca: fino a qualche tempo fa, era complicato accedere ai materiali filmici non standard  mettere in seria difficoltà la cineteca per visionare dei footage. Gli archivi contemporanei stanno cercando di superare un potere di consegna istituzionale attraverso nuovi approcci teorici e inusuali percorsi di condivisione dei materiali  avvento del digitale: alcuni archivi filmici stanno aprendo i loro scrigni all’accessibilità in rete. Non è più necessario rivolgersi esclusivamente alle cineteche per godere di materiale da riplasmare. In ogni caso, il lavoro delle cineteche resta fondamentale: la diffusione dei nuovi media avanza senza troppe preoccupazioni per i film originali e custodire, restaurare, mostrare, programmare… restano momenti imprescindibili di salvaguardia. 7.3. CREATIVE COMMONS L’uso pubblico delle immagini coinvolge la possibilità del riutilizzo senza incappare nelle maglie del giuridico: dal found footage parte un attacco alla posizione mercantilistica in una pirateria iconica accomunata dal vivere come “normale” il remix dell’universo segnico, e.g.:  Infinite pratiche di rielaborazione, distorsione, deformazione esercitate su The Dark Knight (Il cavaliere oscuro, 2008) di Christopher Nolan  Plagiarismo dei Tape-beatles, che rivendicavano apertamente una linea di continuità con tutta l’arte riciclata del XX secolo. Negli anni Novanta, compongono sollecitazioni audiovisive ottenute dai materiali d’archivio più eterogenei. La rivoluzione digitale del cinema in transizione scolpisce una cultura visuale fatta di frammenti che ognuno rielabora e restituisce, rimettendoli nel flusso della rete o in testi tradizionali.
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