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REGIE TEATRALI, DALLE ORIGINI A BRECHT di Mara Fazio, Sintesi del corso di Storia del Teatro e dello Spettacolo

riassunto REGIE TEATRALI, DALLE ORIGINI A BRECHT di Mara Fazio

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 02/01/2021

marinaddi
marinaddi 🇮🇹

4.3

(10)

8 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica REGIE TEATRALI, DALLE ORIGINI A BRECHT di Mara Fazio e più Sintesi del corso in PDF di Storia del Teatro e dello Spettacolo solo su Docsity! - "Regie teatrali" - Dalle origini a Brecht - di Mara Fazio I - La messinscena prima del regista - - La regia come pratica artistica riconosciuta e il regista come artista responsabile dell'intera concezione dello spettacolo teatrale, si affermano in Europa negli ultimi decenni dell'Ottocento, intorno al 1870. Si può dire che la regia nasca veramente quando al règisseur si sostituisce il metteur en scène. Fino alla metà del Settecento in Francia la recitazione degli attori costituisce la sola forma di muse en scène. Il pubblico era ammesso sula scena, le persone di bell'aspetto fianco a fianco agli attori, lo spazio riservato a questi ultimi singolarmente ridotto dalle panche sulle quali si pressavano, in un continuo via vai, gli spettatori privilegiati che davano anche loro spettacolo; queste erano le condizioni nelle quali furono a lungo rappresentati i capolavori classici. - Voltaire (1694-1778), che aveva una straordinaria familiarità con la pratica del teatro e non condivideva il disprezzo per la materialità scenica come molti uomini di lettere, fu un interessante caso di direttore teatrale ante litteram, un protoregista che si interessava non solo al testo, ma anche a tutti gli aspetti della messinscena, nei teatri privati come in quelli pubblici. Sceglieva gli attorie e le opere - generalmente le sue – da mettere in scena e dirigeva le prove. - Dopo il 1726, durante l'esilio forzato in Inghilterra in seguito all'affare Rohan, (forte dei suoi privilegi nobiliari, il cavalieri di Rohan, ritenendosi offeso da Voltaire, lo fece bastonare dai suoi lacchè: le sue proteste e la sua pretesa di sfidare a duello il cavaliere ebbero come risultato che Voltaire fu rinchiuso alla Bastiglia (aprile 1726), da cui uscì dopo un mese a patto di andare in esilio volontario in Inghilterra, dove rimase tre anni), vedendo gli attori occupare l'intero spazio del palcoscenico con azioni simultanee, colpito dall'importanza dello sguardo, dal movimento, dai coups du théatre così frequenti nei drammi di Shakespeare, Voltaire aveva iniziato- primo tra gli autori francesi - a sostituire il récit e la conversazione incrementando l'azione e la dimensione spettacolare nella messinscena della tragedia, riempendo la scena di figure secondarie e movimenti d'insieme, come avviene nei drammi di Shakespeare. - Grazie al suo intervento, vennero eliminati i lampadari a candele sull'avanscena così da creare l'effetto notte, e grazie alle sue sollecitazioni finalmente nel 1759 gli spettatori, che tradizionalmente in Francia ingombravano il palcoscenico, furono costretti ad abbandonare. - Di due generazioni più giovane di Voltaire, Goethe (1749- 1832 diresse per lunghi anni (dal 1791 al 1817) il Teatro di Corte della piccola cittadina di Weimar, in Sassonia e fu a suo modo un regista ante litteram. Nel suo teatro tuto dipendeva da lui: la scelta del repertorio, degli attori e il loro modo di recitare. Nell'ambito di una concezione idealistica di tutte le arti e quindi anche dell'arte teatrale, contro il "naturalismo selvaggio" dello Sturm und Drang e contro il naturalismo borghese alla Lessing, a Weimar Goethe cercò di reintrodurre l'abitudine - che gli attori tedeschi avevano perso – di recitare in versi, sostituendo il verso giambico ispirato a Shakespeare agli alessandrini che i tedeschi recitavano su imitazione dei francesi. Per rinforzare la propria posizione, combattere la moda corrente, ossia la diffusione di un repertorio basso, a buon prezzo, e favorire un teatro di livello, Goethe chiamò a sè Schiller, che il 3 dicembre 1799 si trasferì a Weimar. I due grandi scrittori volevano entrambi integrare una nuova drammaturgia idealistica, alta, e le leggi senza tempo del teatro, come Schiller sostenne nel suo famoso saggio "La scena come istituzione morale" (1784). Fu rappresentato nella direzione scenica di Goethe "Wallenstein Lager" di Schiller: in quello spettacolo Goethe tentò per la prima volta di realizzare un disegno nel quale si sarebbero misurati, dopo di lui, tutti i primi registi moderni: l'impressione di masse in movimento, - Negli stessi anni di Goethe, in Francia, in un ambito completamente diverso, spesso disprezzato dai letterati ma molto amato dal pubblico, ossia nei teatri popolari di Parigi, sui boulevard, troviamo un altro esempio di protoregista, Guilbert de Pixèricourt, il "Corneille des Boulevards", l'inventore del mélodrame, nuovo genere teatrale, che ebbe enorme successo in Francia. Molto influenzato dall'avventura e dal movimento dei romanzi, il mélodrame era una specie di "romanzo in azione". Nei suoi mèlo Pixèricourt intuì l'importanza di ciò che nell'Ottocento a teatro verrà riconosciuto e cercato da tutti; l'effetto. - Pixèricourt, con la sua immaginazione, la sua precisione, il suo impeccabile senso del teatro e la sua sapienza artigianale e scenica, la sua grande abilità nel captare che le masse diventassero protagoniste sostituendo l'individuo: fu una novità. III – Antoine, "La potenza delle tenebre" di Tolstoj e "La terra" di Zola - - In Francia, nella seconda metà dell'Ottocento, con i romanzi di Balzac e Flaubert il pubblico aveva cominciato a familiarizzare con il gusto della realtà, i personaggi borghesi, la città contemporanea, Parigi, le scene di provincia. Le pièce dai romanzi di Zola non ottennero successo sulle scene parigine, ma le sue teorie, le sue campagne perchè nascesse anche in teatro un movimento naturalista, fecondarono una nuova generazione di giovani, tra cui Andrè Antoine (1858-1943), un attore dilettante appasionato di teatro. Antoine cessò di essere un attore dilettante per consacrarsi interamente alla vita artistica, fuori delle scuole ufficiali, e diventare un direttore teatrale indipendente. Facendo appello ai letterati, e aperto inizialmente tanto ai poeti simbolisti quanto ai narratori naturalisti seguaci di Zola, Antoine era deciso a creare un teatro d'autore anzichè d'attore, "un rifugio per i giovani e un laboratorio sperimentale". - Per realizzare il suo progetto e sfuggire ai divieti della censuram creò allora un'associazione, la Sociéte du Theatre Libre. Ebbe l'idea di mettere il suo teatro sotto il patrocinio e le sovvenzioni di un gruppo di artisti, di gente colta e di mondo. Chiedeva insomma al suo pubblico di fornire i sussidi al teatro sotto forma di abbonamenti, cosa che permetteva di tenere in piedi contemporaneamente l'associazione come circolo privato, dove rappresentare testi inediti, non permessi dalla censura, e favorire la crescita del gruppo come impresa, con un'attività regolare. Antoine aprì il suo repertorio straniero, soprattutto russo, scandinavo e tedesco (Tolstoj, Ibsen, Hauptmann). Il 10 febbraio 1888 il Théatre Libre mise in scena "La potenza delle tenebre" di Tolstoj, in una nuova traduzione letterale che trasportava nell'argot parigino le espressioni gergali e triviali russe. - Il ruolo del giovane Nikita venne attribuito all'unico attore professionista del gruppo, Mévisto. Gli altri attori erano dilettanti che di giorno svolgevano un altro lavoro. "La potenza delle tenebre" fu giudicata all'unanimità un successo di attori. Perduto ogni carattere eccentrico, teatrale, operistico, melodrammatico, la recitazione era divenuta naturale. - Il Theatre Libre fu un' impresa imprudente sul piano economico, che in seguito Antoine pagò cara, perchè produsse un deficit irrimediabile. Ma senza quell'audacia, quel gusto del rischio, non sarebbe mai nato nulla sul piano artistico. Di fatto, il Theatre Libre sollecitò gli altri teatri parigini- sia quelli privati (Vaudeville, Gymase) che quelli pubblici (Odéon, Comédie Francaise) – a seguire il suo esempio, stimolando un rinnovamento generale del repertorio e della recitazione, a favore di un teatro più impegnato, di idee, influendo quindi indirettamente anche su una rapida evoluzione dei gusti del pubblico. Nell'aprile 1895 il Théatre Libre viene definitivamente chiuso. - Dal 1897 Antoine dirige un nuovo teatro che porta il suo nome: Théatre Antoine. Inizia la seconda fase della sua direzione artistica. Nei primi anni (1897-1903) la sua strategia nel nuovo teatro è quella di consolidare e rendere popolari gli sforzi del Théatre Libre. Antoine riforma la sala adattandola alle esigenze del mondo contemporaneo, rimuove il grande lampadario centrale che impediva agli spettatori di vedere il palcoscenico, elimina la buca del suggeritore e le baignores grillées, "scandalo dei teatri francesi", impone su una scena privata gli autori della giovane generazione, anche simbolisti. Cosciente fin dalle sue prime prove dell'importanza del movimento sulla scena, Antoine sembra preoccupatodi imprimere sempre più velocità, una velocità cinematografica, alle sue messinscene. Nel 1906 inzia per Antoine una terza fase. E' nominato direttore dellOdéon, secondo teatro nazionale di Francia. Qui si propone di mettere in scena i classici e le opere di Shakespeare rispettando tra regole: recitare il testo integralmente senza tagli e adattamenti, iscrivere l'opera nel contesto del tempo e rappresentarla con la maggior esattezza possibile, con il suo stile animato, vivace. Con questo spirito mette in scena "Tartuffe" di Molière, "Re Lear", "Giulio Cesare", "Romeo e Giulietta", "Troilo e Cressida" di Shakespeare, "Faust" di Goethe... - Ma l'esperienza dell'Odéon è economicamente fallimentare e nel 1914 Antoine è costretto a lasciare la direzione del teatro e il suo lavoro di regista teatrale per dedicarsi prima al cinema poi all'attività giornalistica come critico teatrale e cinematografico. Attraverso il tentativo di portare il naturalismo a teatro, con Antoine la Francia ha contribuito alla nascita della messinscena moderna. E a imporre la regia come arte autonoma. IV – Stanislavskij dal "Gabbiano" di Cechov al "sistema" - - Quando nel 1898 Stanislavskij (1863-1938), in lotta contro l'arretratezza, la routine, i clichè del teatro russo, fonda con Nemirovic-Dancenko il Teatro d'Arte di Mosca, ha già dietro di sé vent'anni di esperienza teatrale. Alla fine del 1898, il 17 dicembre, va in scena "Il gabbiano". Come gli altri testi di Cechov, il dramma non metteva in scena le vicende di un eroe principale, ma rappresentava un gruppo di famiglia in una casa nel giardino adiacente. Stanislavskij anima quello spazio in ogni dettaglio. Ma a differenza del duca di Meiningen, la cui attenzione si incentrava sopratutto sulla ricostruzione dell'ambiente, Stanislavskij fin da allora mette al centro gli attori, la recitazione. - Stanislavskij amplifica, definisce, rafforza le cose che il testo di Cechov suggerisce. A differenza di Antoine, Stanislavskij definisce le sfumature psicologiche, gli stati d'animo interiori: le intonazioni della voce, le pause, i silenzi, gli sguardi. Particolare attenzione viene data agli oggetti, da cui la scena viene letteralmente invasa, e alla loro manipolazione da parte degli attori. Stanislavskij fa recitare gli attori in un modo inedito prima di allora: senza mai sottolineare le parole del testo, ma utilizzando intonazioni, mezzi toni, combinazioni, dissonanze, tutto ciò che si nasconde tra le righe e dietro le parole. - Gli attori di Stanislavskij parlano, piangono, ridono, ma nel contempo fanno sempre qualcosa, compiono gesti quotidiani, ripetitivi (cucire, apparecchiare, accendere il fuoco), gesti apparentemente insignificanti che non hanno l'effetto di amplificare il contenuto e il senso delle loro parole, ma al contrario sono volutamente slegati rispetto alle battute. Spesso, anzi, le parole e le azioni si annullano reciprocamente. Stanislavskij come Cechov, aveva orrore del sentimentalismo scenico, della tendenza degli attori a esagerare, a gesticolare, a ecceddere in senso melodrammatico. Con lui gli attori smettono di recitare in modo grandioso e diventano tutti i minimalisti. E ciò che spesso viene denominato realismo. Accanto al lavoro degli attori, un altro elemento fondamentale della regia di Stanislavskij erano i suoni, i rumori, la partitura sonora: abbaiare di cani, gracchiare di rane, orologi e pendole che segnano le ore. I rumori servivano a scandire il tempo e a dilatare lo spazio, a dare la presenza di ciò che si svolgeva fuori dalla stanza (il treno che arriva, i cavalli che si allontanano). Ma, della luce è divenuta infatti una caratteristica della nostra concezione moderna della scena e una prerogativa di tutta la regia del Novecento. Lo stesso si può dire della rivalutazione da parte di Appia del corpo umano come strumento espressivo, che ha anticipato la nascita e il successo della danza moderna come arte caratteristica del XX secolo e l'uso di una scenografia non più figurativa-illustrativa, ma praticabile dal corpo dell'attore. VI – Craig e il "Didone e Enea" di Purcell - - La prima regia di Gordon Craig è la messinscena di "Didone e Enea" di Purcell, compositore secentesco da poco riabilitato grazie alla moda dell'arcaismo, tanto che si era formata a Londra una Purcell Operatic Society, di cui Craig faceva parte. Lo spettacolo fu rappresentato in una sala da concerto del quartiere londinese di Hampstead, il 17, 18 e 19 maggio. Piuttosto che contrastare la prepotenza dell'attore del suo tempo - che conosceva per esperienza diretta - egli comprese, come altri suoi contemporanei, che gli attori dilettanti sarebbero stati più disponibili ad accogliere il lavoro del regista. L'esperienza del duca di Meningen e di Antoine lo dimostrava. Non essendo condizionati da cliché, pregiudizi, vizi acquisiti, i non professionisti erano più duttili, più aperti alla sperimentazione e adatti a un lavoro in comune, diverso dalla normale routine. - Immetendo il colore sulla scena inglese, nella quale fino ad allora dominavano per lo più le tonalità grigie del natualismo, Craig fece grande uso della combinazione del chiaroscuro e del contrasto: verde, porpora, blu, scarlatto. La centralità attribuita all'elemento visivo gli derivava dalla sua formazione pittorica. Craig era influenzato dal movimento simbolista, si rifaceva a Turner, a Whistler e agli scopritori dell'arte giapponese, da cui trasse due elementi essenziali: l'insistenza sulla linea obliqua e l'uso simbolico della luce. Egli sperimentò per primo sulla scena ciò che i pittori avevano sperimentato nei quadri, e sfruttando l'invenzione della luce elettrica creò una nuova arte espressiva, anticipando il cinema. - Il fine dello scenografo per lui non consisteva più nel riprodurre realisticamente l'ambiente, il luogo in cui si svolgeva l'azione, ma, come scrisse Yeats, nel creare l'atmosfera, nell' ideare un paesaggio volutamente irreale, ideale, "in cui tutto è possibile, anche parlare in versi, in musica, o esprimere la vita tramite la danza". Nel dicembre 1904 viene invitato dal conte Kessler (Il conte Harry Kessler (1868-1937), figlio di un banchiere prussiano e di una baronessa irlandese, nato a Parigi, educato a Eton, diplomatico, era un cosmopolita, un poliglotta e un "paneuropeo" dal talento enciclopedico, amico di Munch, Gide, Hofmannsthal, noto soprattutto per la sua azione di mecenate) a Berlino, dove incontra Isadora Duncan (1878-1927), con la quale inizia una travolgente storia d'arte e d'amore. - Per diventare un artista ci volevano secondo Craig cinque anni di pratica come attore e due anni di esperienza come régisseur. Nel 1907, a Firenze, Craig comincia a disegnare i primi screens. Pannelli rettangolari snodabili in grado di assumere configuazioni e posizioni diverse in relazione alle diverse situazioni poetiche del dramma, consentendo infinite possibilità di movimento, gli screens erano destinati a diventare l'emblema della scenografia simbolica di Craig. VII - Reinhardt e il "Sogno di una notte di mezz'estate" di Shakespeare - - Eliminando le pause, i sipari e i cambi di scena, il palcoscenico girevole (già conosciuta in Giappone nel XVII secolo nel teatro Kabuki, la scena girevole fu usata per la prima volta in Europa nel 1896 da Karl Lautenschlager in occasione di una rappresentazione del Don Giovanni di Mozart al Residenztheater di Monaco di Baviera. Ma solo con Reinhardt la scena girevole acquistò significato artistico e venne utilizzata con successo) costruito dallo scenografo Ernst Stern favoriva la continuità dell'illusione, impedendo allo spettatore di distrarsi e di tornare alla sua dimensione reale. - Nel teatro di Reinhardt ogni piccola cosa era curata - e dunque esisteva - quanto ogni grande elemento, e in questo c'era già la filosofia astorica, non ideologica, di Reinhardt. Convinto che il teatro come la poesia fosse arte soltanto se capace di comprendere e rappresentare tutte le voci del mondo, dalla circolazione del sangue a quella dei pianeti, dall'anima al sudore, dal capitalismo alla neve, egli definiva e mostrava personalmente agli attori ogni gesto, ogni virgola, "fino alla particolare maniera di portare una tazza di latte, perchè anche la tazza di latte, il modo in cui veniva portata, apparteneva a quella grande variopinta immagine del mondo che egli voleva rappresentare e dove tutto, persino l'aria che spirava attraverso lo spazio, aveva un suo ruolo". Il "Sogno di una notte di mezza estate" fu vissuto dal pubblico berlinese come una vera liberazione. Il teatro in Germania era in quel momento all'insegna di Brahm, che aveva trapiantato a Berlino la lezione del Theatre Libre di Antoine, e Brahm, che era di Amburgo, significava il naturalismo, l'etica protestante, l'impegno, il senso di colpa, l'austerità, l'indole della Germania del Nord. Reinhardt era invece viennese. - Era un ebreo dalo spirito multiforme, fedele all'origine cattolico-barocca della sua città, dove i ceti erano stati per secoli uniti nella cultura e in particolare nel teatro, dove l'estetica, predominava sull'etica, la parodia e la farsa sulla catastrofe e sul Trauerspiel nordico. La sua formazione aveva avuto luoho nella quarta galleria del Burgtheater di Vienna: lì aveva respirato e appreso la socievolezza, il gusto di stare insieme, di condividere con altri il piacere del teatro, momenti epifanici, irripitibili, in cui la realtà si faceva sentire con tutto il peso del suo mistero in una rivelazione fulminea. Se il naturalismo rappresentava l'opacità e la compattezza del mondo, Reinhardt voleva invece coglierne e rappresentarne la trasparenza. Sentiva, Come disse il suo amico Hofmansthal, che la profondità non deve essere esibita, ma nascosta in superficie. - L'essenza della regia reinhardtiana del "Sogno" erano l'ironia e il movimento, entrambi sconosciuti al teatro tedesco di allora. L'illusione nasceva dal concerto, dall'atmosfera che Reinhardt riusciva a creare armonizzando la recitazione degli attori e le diverse componenti dello spettacolo (musica, danza, illuminazione, colore) evitando le esagerazioni, gli squilibri e le dissonanze, le tirate solistiche d'attore, ma anche l'omogeneità e la noia tipica degli spettacoli naturalistici. Gli piaceva definirsi: "una vecchia guardia di frontiera sulla fluttuante linea che divide la realtà dal sogno". - Il teatro è e deve rimanere un gioco nel suo significato più alto. Un gioco nel quale l'attore e lo spettatore si incontrano nel contatto più vivo per rendere reale un' irrealtà e per ridere e piangere insieme". Il "Sogno di una notta di mezz'estate" segnò il successo in Germania della regia e di Max Reinhardt, che subito dopo fu chiamato, a soli trentadue anni, alla direzione del primo teatro tedesco, il Deutsches Theater di Berlino, dove restò, tra alterne vicende, per quasi trent'anni. Dopo il Neus Theater, Reinhardt affittò i Kammerspiele, divenendo col tempo direttore di più di dieci teatri a Berlino, molti dei quali di sua proprietà. Anche questa di Mejerchol'd. E l'eccesso di particolari, il desiderio di mostrare tutto gli sembravano un tradimento nei confronti di autori poetici come Cechov, che amava. Mejerchol'd era incompatibile con il naturalismo: ragionava in termini musicali, ritmici. Era convinto che il lavoro teatrale fosse un'opera collettiva e che il compito del regista consistesse nell'equilibrare tutto ciò che gli altri creatori avevano elaborato liberamente. Voleva essere un coordinatore, non un despota. E, soprattutto, alla dizione andava integrata una recitazione plastica che non corrispondeva alle parole ma in un certo senso le completava. - "Le parole non dicono tutto. La verità dei rapporti tra gli esseri è determinata dai gesti, dalle pose, dagli sguardi, dai silenzi (...). Le parole si rivolgono alle orecchie, la plastica all'occhio". Più che il testo contano la mimica, il virtuosismo acrobatico degli attori, la scaltrezza del circo. Un teatro di pantomime, azioni fisiche, gioie muscolari. Nell'ottobre 1917, allo scoppio della Rivoluzione, Mejerchol'd non si limita ad aderirvi. Vi si getta a capofitto. Proclama l' "Ottobre teatrale". Occupa cariche importanti per poter riorganizzare il sistema dei teatri in Russia, che per decreto vengono nazionalizzati. Nel novembre 1918, nel primo anniversario della Rivoluzione, Mejerchol'd aveva messo in scena in tempo record, con mezzi di fortuna e insieme a un gruppo di volontari, "Mistero buffo" di Majakovskij, che come lui aveva aderito immediatamente e incondizionatamente alla Rivoluzione. - Ma lo spettacolo, con il suo stile da circo e le sue creazioni cubiste, non piacque ai politici sovietici, per i quali il teatro doveva essere uno strumento di formazione culturale improntato a un serio realismo educativo e non un "baraccone da fiera futurista". Si incominciò a rimproverare a Mejerchold la sua alleanza con gli artisti astratti, non figurativi. Erano gli anni in cui in Russia dominavano i costruttivisti, che si proponevano di rendere l'arte funzionale alla società escludendo l'Arte per l'Arte. Nel campo letterario e nel cinema il costruttivismo si traduceva nella fattografia, che consisteva nel narrare fatti veri, non inventati. L'approccio antiestetico dei costruttivisti che sostituivano la scenografia con la praticità, li rese naturali alleati di Mejerchold. Incentrato sul tema della gelosia d'amore, "Il magnifico cornuto" era un testo lontano dai temi politici cari alla Rivoluzione. - Gli attori presentavano parodiandolo il proprio personaggio, interpretavano il loro ruolo e nello stesso tempo ne prendevano le distanze, preludendo lo straniamento brechtiano. Mejerchol'd escogiterà la "biomeccanica", una tecnica incentrata su esercizi muscolari che consisteva nella trasposizione ginnica dei dati psichici. La biomeccanica mirava a insegnare all'attore tutte le abitudini basilari per muoversi con agilità sulla scena, proponendosi di suscitare una grande duttilità di riflessi. Ciò li avrebbe aiutati a tradurre in atti fisici, in giochi di agilità, i sentimenti del personaggio. Per esercitare i riflessi gli attori apprendevano alcune mosse prestabilite come il salto sul petto, il tiro con l'arco o il lancio del disco. La biomeccanica era la risposta personale di Mejerchol'd ai metodi del Teatro d'Arte che non condivideva. Nella seconda metà degli anni Venti inizia per Mejerchol'd una nuova fase. E' la fase del grottesco, ultima tappa nella via della stilizzazione, che mette fine all'analisi, alla schematizzazione dei precedenti spettacoli. Il suo metodo ora è la sintesi. - Il capolavoro di questa fase, ma anche compendio di tutte le altre, è "Il revisore" di Gogol', andato in scena il 9 dicembre 1926 nel teatro che dal 1923 fu autorizzato dal governo a chiamarsi Teatro Mejerchold. Come avevano insegnato Victor Hugo e Puskin, secondo il quale niente si avvicinava di più a una grande tragedia di una grande commedia, Mejerchol'd aveva adottato come punto di vista il grottesco, uno stile scenico che giocava per acute contrapposizioni e costringeva lo spettatore a sdoppiarsi contemplando la scena, a slittare continuamente da un piano a un altro del tutto inatteso. Nell'adattamento di Mejerchol'd la commedia era suddivisa non più in cinque atti, ma in quindici episodi. Come in quegli anni veniva avvertito anche dal teatro tedesco, questa struttura, già sperimentata da Mejerchol'd, corrispondeva meglio al modo di percezione dello spettatore moderno, permetteva di mettere l'accento non sul testo letterario ma sull'azione teatrale. - L'azione era compatta, concentrata nei limiti di un piccolo spazio equivalente al rettangolo nello schermo o alle anguste cornici dell'inquadratura filmica. Uno spazio scenico così ristretto richiedeva all'attore un'agilità eccezionale. L'attore doveva essere cosciente di ognuno dei suoi movimenti iscritti in questo spazio misurato con molta esattezza e nello stesso tempo restare attento al ritmo generale per non spezzare l'unità della frase musicale e scenica. "Il revisore" fu una scuola di autorestrizione per gli attori. L'8 gennaio 1938 il Teatro Mejerchol'd fu chiuso per decreto. Messo all'indice, Mejerchol'd trovò, in tutta Mosca un unico uomo disposto ad aiutarlo: il suo vecchio maestro Stanislavskij, che gli offrì di lavorare come regista d'opera. Ma quello stesso anno, in estate, Stanislavskij morì. - Uomo di teatro integrale, Mejerchol'd sapeva come Craig che sulla scena è necessario conoscere e saper fare tutto, che "per essere bravi attori non è sufficiente essere degli attori, bisogna anche essere dei bravi trovarobe, degli ottimi meccanici, degli abili elettricisti... E che da parte sua un bravo trovarobe, non dovrà cononscere solo il suo campo, ma anche quello degli altri: dovrà per esempio avere qualche nozione di recitazione". IX – Piscator e "Oplà noi viviamo!" di Toller - - Piscator inserirà il cinema nel teatro, utilizzando il film per rinnovare la scena, ha dato vita a una nuova drammaturgia, non più incentrata sulla parola recitata, a un testo-ottico il cui autore non era più un letterato, ma il regista. Riuscì a ricreare a teatro i metodi del cinema: la dissolvenza e il montaggio. Dopo il debutto come regista a Konisberg, dal 1919 al 1921 Piscator dà vita al Proletarische Theater nei locali dei quartieri operai di Berlino, traformati in teatri provvisori, con attori professionisti e la collaborazione di John Heartfield come scenografo. L'intento dichiarato era quello di accantonare l'Arte e l'estetica, e di mettere il teatro al servizio della propaganda politica, facendone uno strumento della lotta di classe. Ma la Rote Fahne, organo del partito comunista, ostile ad ogni iniziativa d'avanguardia, attacca inizialmente la sua attività. - In quel periodo la Volksbuhne affida a Piscator la regia di Fahnen di Alfons Paquet, il quale aveva drammatizzato lo sciopero degli operai anarchici di Chicago e il processo contro di loro (1886), creando un quadro "intermedio tra la narrazione e il dramma" cui aveva dato come sottotitolo "dramma epico". Piscator fa della lotta degli operai di Chicago il simbolo delle lotte degli operai in generale, con evidente allusione all'attualità, e trasforma la messinscena in un reportage su un pezzo di vita reale. Nel gennaio 1928 Piscator portò in scena il romanzo incompiuto di Jaroslav Hasek, "Le avventure del buon soldato Svjk". - Trasformò il piano fisso del palcoscenico in una supeficie mobile installandovi due tapis roulants che si muovevano in modo contrario. Così, senza nessun tipo di adattamento teatrale, la distribuzione dei fatti poteva seguire fedelmente quella del - Rifacimento di un'opera settecentesca inglese ("The Beggar's Opera" del poeta inglese John Gray (1685-1732), musica di John Cristopher Pepusch (1667-1752) rappresentata nel 1728, parodia del melodramma settecentesco allora di moda) era la favolosa storia di una banda di gangster, ladri e finti mendicanti londinesi, intorno al 1900, raccontata alternando le scene recitate con songs le cui parole intrise di sferzante ironia venivano cantate dagli attori a contrasto con l'atmosfera melodica e piacevole della musica, composta da Kurt Weill. Gli elementi costruttivi (canzoni, titoli, cartelli) erano, per così dire, inseriti dall'esterno, non risultavano organicamente dall'assieme ma contrastavano con tutto l'assieme; interrompevano il fluire della recitazione e delle vicende sceniche, impedivano l'immedesimazione, erano docce fredde per i sentimentalmente partecipi. Nell'"Opera da tre soldi" Brecht sperimenta nella costruzione del dramma una nuova tecnica che si fondava sul principio di provocare: invece dell'immedesimazione, lo straniamento. Straniare una visione o il carattere di un personaggio significava in primo luogo togliere al personaggio o alla vicenda qualsiasi elemento sottinteso, noto, lampante, e farne oggetto di stupore e di curiosità. - A partire dall'"Opera da tre soldi", che ebbe un successo internazionale senza precedenti, mettendolo al centro dell'attenzione di tutto il mondo, al Theater am Schiffbauerdamn Brecht sperimenta la tecnica dello straniamento anche nella messinscena e nella recitaizione, insieme a un gruppo di giovani attori. Gli attori mantenevano un distacco rispetto al personaggio da loro interpretato. I personaggi dovevano veir presentati in modo freddo, obiettivo, classico. Non come oggetto di immedesimazione, bensì come oggetto del pensiero. - "Il sentimento è un fatto privato e limitato. L'intelligenza invece è leale, e di apertura relativamente vasta". Spettatori e attori non dovevano avvicinarsi ma allontanarsi gli uni dagli altri. Ciascuno doveva allonatanarsi perfino da se stesso. Altrimenti svaniva lo sgomento necessario alla presa di coscienza. Per consentire di tenersi alla giusta distanza critica dal personaggio, Brecht consigliava all'attore di recitare usando la terza persona e di pronunciare anche le didascalie per porsi in modo straniato rispetto alla propria battuta. Ad esempio: "mediante la tecnica dello straniamento l'attore rappresenterà la collera di Lear in modo che lo spettatore possa stupirsene e immaginare un Lear capace di altre reazioni, diverse dalla collera. - Anche la musica e il suo uso inconsueto - in cui le parti musicali non scaturivano dall'azione ma erano nettamente staccate dalle altre – doveva contribuire a mutare l'atteggiamento del pubblico da quello dello spettatore wagneriano in quello, caro a Brecht, dello spettatore che fuma. E inoltre commentò Brecht: " Il fascismo, con la sua grottesca accentuazione dell'emozionale, e forse non meno una certa decadenza del momento razionale nella dottrina marxistica, indussero me a calcare ancora più forte l'accento sul razionalismo". Dopo aver trascorso sei anni negli Stati Uniti, conclusisi con un processo maccartista per attività antiamericane, alla fine del 1947 Brecht lascia l'America e torna in Europa. Brecht, che dal 1933 è apolide, aspetta un anno in Svizzera che qualcuno gli dia un passaporto (e un teatro). - Dal marzo 1954 fonda il Berliner Ensemle e il teatro avrà come sede fissa quel Theater am Schiffbauerdamm, parzialmente e miracolosamente sopravvissuto ai bombardamenti, dove più di venticinque anni prima Brecht aveva riscosso il suo primo trionfo internazionale con "L'opera da tre soldi". Il Berliner Ensemble diventa un centro teatrale a cui si rivolge l'attenzione di tutto il mondo. Nel gennaio 1949, un anno dopo il ritorno a Berlino, Brecht mette in scena, insieme a Erich Engel, "Madre Coraggio". Aveva scritto il testo nel 1938, quando si trovava in esilio e prevedeva una grande guerra. Il dramma, che richiamando le "Histories" di Shakespeare, Brecht chiama cronaca, è ambientato nella guerra dei Trent'anni. Il dramma era stato rappresentato allo Schauspielhaus di Zurigo nel 1941, con Therese Giehse nel ruolo della protagonista. Ma il pubblico e la critica non sembravano aver capito ciò che Brecht aveva voluto dire. Madre Coraggio era stata vista soprattutto come made, come una Niobe che non riusciva a proteggere i suoi figli dalla fatalità della guerra. Ma per Brecht non era importante che la Courage capisse il suo errore. Era importante che lo capisse lo spettatore. - Brecht voleva che i materiali usati fossero realistici e dava estrema importanza alla durata dei cambi di scena. "I cambi di scena non devono durare neanche due minuti, devo esser provati come le scene. Fanno parte della regia. Alla regia non può mancare un cronometro. Solo un continuo controllo del tempo permette di controllare la durata dei cambi di scena. - Il palcoscenico di "Madre Coraggio" era illuminato a giorno. La luce era uniforme e incolore per eliminare ogni residuo di atmosfera, "quell'atmosfera che facilmente rende romantici gli avvenimenti". E le sorgenti luminose erano visibili "per combattere l'intenzione di nasconderle, tipica del vecchio teatro". La musica di "Madre Coraggio" era stata scritta da Paul Dessau nel 1946 in strettissima collaborazione con Brecht. Era composta da dieci canzoni, alcune marce, un brece preludio e un finale in cui erano riassunti i tre diversi temi delle marce. Il brano principale è la canzone di Madre Coraggio la cui musica era stata tratta da un'antica melodia francese (per Brecht copiare è un Arte). - Il modo di recitare Helene Weigel divenne un modello per tutti gli attori. Per ottenere un effetto realistico la Weigel usava in tutto il dramma un'intonazione dialettale. Parlava come si parla il tedesco nella Germania del Sud. La Weigel aveva movimenti sobri, semplici, chiari. Alla mimica dei vecchi attori sostituiva il comportamento, il gesto significativo che non era mai casuale, sempre pensato, scelto. - Brecht si raccomandava che gli scenari, gli accessori e i costumi dei personaggi fossero presenti fin dall'inizio delle prove. Tutto ciò che era necessario alla recitazione doveva esser disposto in modo da essere utilizzabile. Ogni dettaglio veniva provato a sé, e il ritmo durante le prove doveva essere lento. Brecht andava alle prove con l'atteggiamento di chi scopre tutto daccapo: "Il regista non viene in teatro con un'idea o un piano delle posizioni e con una scenografia bell'è fatta. Provare è sperimentare". − Molti osservatori dichiararono che osservare Brecht durante una prova era una rara esperienza. Circondato da studenti, egli sedeva in mezzo alla sala, con l'eterno sigaro in bocca. Le sue istruzioni erano semplici: cercava sempre di sapere i punti di vista e le idee degli attori, lavorando con loro anzichè al loro posto. Assumeva un atteggiamento d' "ignoranza" sia verso i suoi drammi sia verso quelli degli altri, poneva sempre domande, come se non sapesse già le risposte, forniva dei suggerimenti invece di dare degli ordini definitivi. "Perchè volete darmi delle spiegazioni" diceva agli attori. "Datemi delle dimostrazioni". Lo straniamento non consiste nel lasciar freddo lo spettatore raffreddando l'attore. Il teatro epico non rinuncia assolutamente alle emozioni. Brecht condanna il sentimento, ma solo quello irrazzionale,
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