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REGIE TEATRALI - Mara Fazio, Sintesi del corso di Storia del Teatro e dello Spettacolo

Sintesi del manuale "Regie Teatrali"

Tipologia: Sintesi del corso

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Scarica REGIE TEATRALI - Mara Fazio e più Sintesi del corso in PDF di Storia del Teatro e dello Spettacolo solo su Docsity! REGIE TEATRALI - Mara Fazio 1° Capitolo - La messinscena prima del regista La regia (mise en scène) come pratica artistica riconosciuta e il regista (metteur en scène) come artista responsabile dell’intera concezione dello spettacolo teatrale si affermano in Europa negli ultimi decenni dell’Ottocento (1870). Ma la gestazione che porta alla creazione della regia inizia prima, nella seconda metà del Settecento, in Francia e in Germania e coincide con il momento in cui a teatro il testo letterario, la parola e la declamazione perdono centralità e crescono di importanza la dimensione scenica (ciò che si fa rispetto a ciò che si dice). Prima della nascita del regista esisteva la figura del régisseur: l’attore più anziano della compagnia o a riposo, una specie di direttore di scena responsabile dello spettacolo sul palcoscenico. Il regista compare quando, mutata la società e quindi la composizione del pubblico da aristocratico a borghese, lo spettacolo diventa un’industria (grazie anche alle nuove scoperte della scienza moderna che ha portato nuovi strumenti come la luce elettrica e con ciò si richiedeva qualcuno che coordinasse il tutto). La regia nasce quando al régisseur si sostituisce il metteur en scène. La nascita del regista è una conseguenza della vittoria della battaglia romantica che abbatte il sistema retorico che nel classicismo regolava i rapporti tra il testo e la scena, dà spazio all’individuo, elimina le unità di tempo e di azione, moltiplica il numero dei personaggi, promuove i frequenti cambi di scena e il movimento. Cosa accadeva prima? Alla fine del ‘500 in Italia, Francia e Inghilterra si erano formate le prime compagnie di attori professionista, ovvero era entrato in uso il sistema dei ruoli ma questo era un sistema individualistico e quindi opposto all’idea collettiva e di regia fondata sull’interazione di tutti gli elementi. Ogni attore recitava un insieme di ruoli di una stessa categoria per il quale erano necessari un fisico, una voce e una gestualità particolari e si specializzata ciò, infatti la specializzazione divenne la qualità più richiesta dell’attore. Il compito degli attori era di recitare delle scene, ricordare le proprie battute ed essere al posto giusto nel momento giusto - ognuno si preparava ed è esercitava per conto proprio e poco prima della rappresentazione gli attori provavano insieme. Nel Seicento in Francia i generi teatrali vengono suddivisi: la spettacolarità e la scenografia diventano una prerogativa del teatro musicale (opéra), ma vengono banditi dal teatro di prosa che si svolgeva su una scena fissa dove l’azione e il movimento erano ridotti al minimo. Nei teatri riservati alla prosa ciò che contava era il testo e gli attori recitavano in proscenio coordinati solitamente dal capocomico della compagnia che coincideva con il primattore. Ma poiché gli interpreti erano pochi e l’aspetto spettacolare era limitato, soprattutto per l’obbligo di rispettare l’unità di luogo e di tempo evitando i cambi di scena, la messinscena era statica e il compito dell’attore-direttore era di amalgamare la recitazione degli altri attori insieme. Nel Settecento, soprattutto in Francia, troviamo la presenza dell’autore alle prove e a partire dalla metà del secolo la tendenza a un’interpretazione più individualistica del testo. Voltaire fu un esempio di direttore teatrale ante litteram, un protoregista che si interessava a tutti gli aspetti della messinscena sia nei teatri privati che in quelli pubblici; sceglieva gli attori e le opere da mettere in scena e dirigeva le prove. Voltaire aveva iniziato a sostituire il récit e la conversazione incrementando l’azione e la dimensione spettacolare nella messinscena della tragedia, riempendo la scena di figure secondarie e movimenti. Le sue tragedie contengono didascalie dettagliate, descrizioni di elementi, oggetti e movimenti che dovevano venire integrati nell’azione usando scene simultanee. Anche Beaumarchais si interessava alla rappresentazione delle proprie opere, infatti il suo dramma Eugénie (1767) inizia con una lunga didascalia descrittiva che metteva in pratica le idee di Diderot sulla recitazione muta e sui tableaux dramatiques. Anche Goethe, che diresse il Teatro di Corte della piccola cittadina di Weimar, fu a suo modo un regista ante litteram e nel suo teatro tutto dipendeva da lui: dalla scelta del repertorio, degli attori e il loro modo di recitare. Contro il Naturalismo dello Sturm und Drang e contro il naturalismo borghese cercò di introdurre l’abitudine di recitare in versi, sostituendo il verso giambico agli alessandrini che i tedeschi recitavano su imitazione dei francesi. Goethe voleva trasferire sulla scena immagini visive, in continuo movimento. Scena e recitazione dovevano interagire come la cornice e il quadro che doveva essere festivo. Il carattere di festa della rappresentazione teatrale era assicurato dalla collaborazione delle varie componenti dello spettacolo (voleva far interagire la poesia, la pittura, il canto e la recitazione) e per favorire un teatro di livello Goethe chiamò Schiller per creare una nuova drammaturgia idealistica. A partire dall’allestimento del suo Egmont, rielaborato per la scena da Schiller, Goethe intensificò l’attenzione per la scena e Schiller condivideva l’importanza data alla messinscena. Schiller divenne consigliere e aiutante di Goethe in tutte le questioni riguardanti il teatro. Il 12 ottobre 1798 venne inaugurata la nuova sede del Teatro di Corte di Weimar e fu rappresentata Wallenstein Lager di Schiller sotto la direzione scenica di Goethe e qui realizzò un disegno con l’impressione di movimento. Goethe e Schiller insegnarono agli attori ad interpretare i versi immedesimandosi nel personaggio. Negli stessi anni di Goethe, in Francia, troviamo un altro esempio di protoregista: Guilbert de Pixérécourt, l’inventore del mélodrame, nuovo genere teatrale che ebbe successo in Francia nei primi anni trenta-quaranta dell’Ottocento, ed era una sorta di romanzo in azione: un teatro spettacolare per un pubblico illetterato e poco approfondito dal punto di vista psicologico con colpi di scena, incidenti e l’esagerazione dei sentimenti + Pixérécourt diede importanza all’effetto: sorpresa, avventura, scenografia con cambi di scena, venivano mostrati spettri, caverne, prigioni e luoghi oscuri. Pixérécourt si occupava anche della parte materiale dello spettacolo, curava la scenografia, gli effetti scenici, il movimento degli attori, la parte musicale e curava ogni dettaglio relativo alla messinscena. Ma la nascita della regia si intreccia al progetto di un teatro diverso ed è legata al bisogno di una riqualificazione del lavoro teatrale, bisogna che il teatro diventi un’arte con studio, disciplina e padronanza delle leggi come avveniva in tutte le altre arti. 2° Capitolo - Il duca di Meiningen e il Giulio Cesare di Shakespeare Il primo regista non fu un uomo di spettacolo, ma un militare, proprietario di un Teatro di Corte che diresse personalmente, Georg duca di Meiningen, una piccola città di 8000 abitanti nel cuore della Turingia. Creò il primo caso di una compagnia omogenea con 70 attori e mise in pratica un lavoro corale. E con il suo esempio gettò le basi della regia moderna. Il duca seppe applicare una severa autarchia che aveva respirato in famiglia al teatro. Egli diede il via alle riforme fondamentali per il successo della sua impresa teatrale: sciolse l’Opera di corte e ne fece affluire i fondi al teatro di prosa, affiliò il proprio teatro ai gruppi che recitavano Shakespeare e seppe scegliersi dei validi collaboratori tra cui Ludwig Chronegk che divenne il suo regisseur: eseguiva sul palcoscenico le sue idee e metteva in pratica suoi suggerimenti ovvero si occupava di tutti i risvolti pratici dello spettacolo e seguiva la tournée in ogni dettaglio. Incarnò la figura del regista despota e instaurò nel suo teatro un severo metodo di lavoro imprimendo al mondo della scena una disciplina prussiana dove l’arte era l’unica legge ad esempio se qualcuno non era presente alle prove rischiava di venire licenziato. Uno degli spettacoli più celebri fu il Giulio Cesare di Shakespeare in repertorio dal 1867. Il protagonista (Josef Nesper) venne scelto per la sua somiglianza con le illustrazioni del dittatore romano e il duca andò addirittura a Roma per controllare l’esatta posizione del luogo dell’azione tanto che si procurano degli schizzi presi dal vero da parte di Pietro Ercole Visconti e questi costituirono la base della scenografia dello spettacolo  l’impatto visivo era la cosa essenziale Il 1 maggio 1874 debuttò in tournée a Berlino nel teatro della Schumannstrasse E Prima di sottoporsi al giudizio del pubblico il duca aveva fatto visionare lo spettacolo da un docente di storia romana. Il pubblico fu sconcertato dalle novità dello spettacolo in quanto la scena riproduceva plasticamente l’architettura della Roma di Cesare, ma non vi era la simmetria neoclassica ed era cancellato il vincolo prospettico: l’impianto scenico appariva obliquo, asimmetrico e con diversi punti di fuga questo perché il duca era affascinato dall’arte giapponese che consisteva nell’evitare tutte le simmetrie. Le scene erano plastiche, tridimensionali con arredi e oggetti autentici. Anche i costumi, le toghe, le armi e le armature erano stati disegnati dal duca. Gli attori non recitavano in proscenio, ma in tutto lo spazio del palcoscenico, illuminato di luce elettrica e non superavano mai la linea della ribalta. Accanto agli attori compariva in scena la folla e ogni comparsa aveva un ruolo, un trucco e un atteggiamento personale e possiamo capire che le prove effettuate erano molte. Quando nel primo atto Cesare entrava in scena, la folla del popolo romano non rimaneva in secondo piano, ma veniva integrata agli attori protagonisti. L’atto terminava con una tempesta con uso di pioggia, tuoni e fulmini ottenuti con proiezioni elettriche che annunciavano l’importante prerogativa della regia del Novecento ovvero l’uso creativo della luce. Nella seconda scena del secondo atto la cospirazione notturna nel giardino di Cesare iniziava il chiaro di luna e finiva l’inizio del giorno; la scena dell’assassinio del dittatore nel terzo atto si svolgeva nella curia di Pompeo (errore di Shakespeare che l’aveva messa in Campidoglio). Le scene di massa ricomparirono anche nella terza scena del terzo atto, quando dopo l’assassinio di Cesare il popolo romano si disperdeva nel foro. Nelle tradizionali rappresentazioni il discorso di Antonio dinanzi al corpo di Cesare era occasione di recitazione da parte del primoattore, ma il duca ha sacrificato ciò per dare spazio agli attori di contorno, infatti Antonio non parlava al pubblico, ma alla folla che lo circondava sul palcoscenico  le masse protagoniste sostituiscono l’individuo. Nella seconda scena del quarto atto, quando lo spettro di Cesare appariva nella tenda di Bruto, l’effetto dell’ombra era creato dalla luce elettrica; quando con una toga rossa Cesare appariva nell’apertura posteriore della tenda di velluto purpureo, la luce che illuminava lo faceva sembrare sospeso a mezz’aria. L’ultimo atto terminava con la scena di battaglia nella piana di Filippi. La cosa più singolare era il dinamismo: se nelle messinscene di tradizione neoclassica la legge era l’immobilità, con l’attore a declamare versi in pubblico, lo spettacolo dei Meininger dava l’impressione di un flusso continuo, di un movimento inarrestabile e che anticipava il cinema. Col tempo, a Shakespeare e a Schiller, il duca affiancò un repertorio più moderno: nel 1876 a Berlino portarono per la prima volta Ibsen con I Pretendenti alla Corona e dieci anni più tardi Spettri tanto che il duca si rivolse a Ibsen per sapere come era l’interno di una casa borghese in Norvegia l’autore risponde con una descrizione dettagliata con l’aggiunta di un disegno di sua mano della casa della signora Alving. Nel 1890 la compagnia si recò per la seconda volta in Russia, suscitando l’entusiasmo di Stanislavskij che dai Meininger a prese il rapporto tra gli attori e gli oggetti. Sempre in Russia Ostrovskij aveva rivolto a loro una critica: nel loro spettacolo c’è dappertutto la mano del regista. La storia della regia inizia con un dispotismo registico in un teatro di corte con attori non professionisti e grazie alle condizioni economiche e politiche del duca egli fece ciò che nessun direttore teatrale avrebbe potuto permettersi: risorse con il potere i due problemi fondamentali che bloccavano l’evoluzione della mise en scène in Europa: la lotta per il primato tra scenografi e attori il problema economico. 3° Capitolo - Antoine, La potenza delle tenebre di Tolstoj e La Terra di Zola In Francia, nella seconda metà dell’Ottocento, con i romanzi di Balzac e Flaubert il pubblico aveva cominciato a familiarizzare con il gusto della realtà, i personaggi borghesi, la città contemporanea e le scene di provincia. A teatro continuavano a trionfare le pièces bien faite di Dumas figliol, Sardou, Scribe ovvero commedie di puro intrattenimento, piene di colpi di scena e intrighi. Tutto questo finché non comparve Zola che dal 1876 al 1879 cerco di influire sul gusto dei teatranti, sul loro modo di fare le messinscene poco attento alle ragioni della verità. Si iniziò ad adattare per la scena i romanzi di Zola in cui entrava in scena tutta la vita contemporanea, ma le sue pieces tratte dai romanzi non ottennero successo ma le sue teorie seco andarono una nuova generazione di giovani tra cui André Antoine (1858-1943), un attore dilettante appassionato di teatro che il 30 marzo 1887 aprì a Montmartre una sala di 35° posti e la chiamò Théâtre Libre e volle diventare un direttore teatrale indipendente. Antoine critica il repertorio classico della Comédie Française dove non veniva curato il livello della messinscena, della scenografia e trionfavano le vedettes. Il grande merito fu di rendere pubblico un problema: in Francia mancava un repertorio moderno di carattere letterario, non solo spettacolare e quindi facendo appello ai letterati, tenendosi aperto sia sui poeti simbolisti che ai narratori naturalisti, era deciso creare un teatro d’autore. Voleva far conoscere al pubblico gli scrittori debuttanti e scoprire nuovi attori dilettanti e per realizzare il suo progetto e sfuggire ai divieti della censura creò un’associazione, la Société du Théâtre Libre e mise il suo teatro sotto il patrocinio e le sovvenzioni di un gruppo di artisti ovvero chiedeva al suo pubblico di fornire sussidi al teatro sotto forma di abbonamenti. Si manifesta per la prima volta la contrapposizione tra teatro d’arte e teatro commerciale che caratterizzerà tutta l’avanguardia teatrale del XX secolo. Il 3 settembre 1887 Antoine inaugura la sede sociale del Théâtre Libre in rue Blanche a Montmartre dove non c’è un palco, né scenografia e come illuminazione cinque o sei lampioni a gas; ma la grande novità era il repertorio aperto alla Russia, Scandinavia e Germania (Tolstoj, Ibsen) e il pubblico cominciò a misurarsi con una drammaturgia estranea alle regole nazionali. Il 10 febbraio 1888 venne messo in scena La potenza delle tenebre di Tolstoj  il dramma si svolge in un villaggio con 22 personaggi e il ruolo del giovane Nikita Venne attribuito all’unico attore professionista del gruppo, Mévisto. La “Santissima Trinità degli autori” (Dumas, Sardou e Augier) dichiararono l’opera poco teatrale, priva di personaggi simpatici e quindi irrappresentabile, ma l’accoglienza della stampa fu trionfale e Antoine ottenne il riconoscimento di una parte importante della critica parigina ed intellettuali vicini a Zola. La messinscena rappresenta una data capitale nella storia del teatro moderno: un anno prima (1887) era stata proibita sulle scene russe e Tolstoj si era accontentato di pubblicare il suo dramma in un’edizione popolare, quindi qui a Parigi era una prima mondiale. Antoine era il primo direttore di teatro in Francia che usava presentare la traduzione integrale di un’opera straniera rispettandola e senza adattarla secondo l’ottica convenzionale delle scene parigine  tra lo scrittore straniero e il pubblico francese non vi era più un intermediario. Questa drammaturgia nasceva dall’osservazione della realtà infatti la recitazione era divenuta naturale, gli attori agivano come se fossero dentro una stanza e ignoravano la presenza del pubblico, giravano intorno ai mobili e mezzo agli oggetti MA la novità era che quegli attori non fingevano, ma interagivano e lavoravano insieme gli uni con gli altri. Antoine mise in scena i giovani autori francesi che altrove non venivano rappresentati, c’erano la varietà e le sfumature della vita moderna, borghese o popolare e insegnò agli attori ad apprendere la naturalezza e a portare in scena tutto ciò che si osservava nel quotidiano. I quaderni di regia lasciati da Antoine ci consentono di capire il suo metodo di lavoro di individuare negli elementi di novità: la scena non era più disposta secondo la prospettiva centrale ma era obliqua, asimmetrica; eliminò la carta dipinta e sparite le quinte il fondale contempo fanno sempre qualcosa come compiere gesti quotidiani ripetitivi, gesti all’apparenza in significativi E che sono slegati rispetto alle battute. La partitura di Cechov-Stanislavskij è basata sulla variazione continua delle emozioni, su una costante mobilità di umori e comportamenti che implicava un grande esercizio e disciplina da parte degli attori. Stanislavskij aveva orrore del sentimento scenico, della tendenza degli attori a esagerare e a gesticolare; con lui gli attori smettono di recitare in modo grandioso e diventano minimalisti  denominato realismo Accanto al lavoro degli attori un altro elemento fondamentale erano i suoni, i rumori e la partitura sonora che servivano a scandire il tempo e a dilatare lo spazio, ma paradossalmente servivano anche ottenere il silenzio che secondo lui si otteneva non con l’assenza di rumore ma con la presenza di rumori. Atmosfere stati d’animo erano le parole che tramite Cechov diventano fondamentali con Stanislavskij. La partitura del quaderno di regia aveva indicazioni sceniche che valevano come proposte per le prove - il metodo seguito per Il Gabbiano venne attuato anche per altre opere di Cechov messi in scena al Teatro d’Arte: Zio Vanja, Tre sorelle, Il giardino dei ciliegi. Stanislavskij diventa un maestro nel rappresentare sul palcoscenico la noia, l’assenza di motivazioni e che per superare bisogna fare qualcosa; inoltre aspira allo smascheramento della menzogna teatrale: insegnare agli attori una certa interiorità strutturata E correggere la tendenza degli attori rossi a strafare e a portarli a gesti espressivi più sobri. Con la morte di Cechov nel 1904 finisce una fase e se ne apre un’altra: non scrive più quaderni di regia; vuole che l’attore diventi creatore di immagini, si impegna nel cercare di sviluppare la creatività nel lavoro dell’attore: nell’individuare una serie di procedimenti di esercizi che aiutino l’attore a trovare lo stato creativo necessario per garantire l’immedesimazione nel personaggio  nasce il sistema di Stanislavskij (1906). Stanislavskij diventa regista pedagogo che si mette a disposizione degli attori per insegnare loro a dimenticare il mestiere e ad apprendere l’arte; alla base del suo sistema cellula fondamentale distinzione tra il mestiere è l’arte dell’attore, l’attore di mestiere recita per il pubblico e si interessa alla sala, il suo scopo consiste nell’illustrare le parole del suo ruolo non le immagini o i pensieri che le ispirano; l’attore d’arte è concentrato su di sé e prova psicologicamente e fisiologicamente i pensieri sentimenti del personaggio, la sua attenzione è all’interno della persona e nei limiti della scena e non si occupa della presenza del pubblico che lui ignora. Chiede all’attore di partire dall’anima e il suo scopo è quello di generare un vero sentimento e un’immagine vera. Il lavoro dell’attore è un lavoro interiore, solo le anime artisticamente pure possono diventare creatrici di nuove forme e Stanislavskij vuole insegnare all’attore a imparare a creare delle condizioni perché il sentimento scaturisca spontaneamente  il suo metodo: aiutare l’attore ad arrivare a credere nella verità della scena con la stessa sincerità con cui crede nella verità della vita. Il lavoro dell’attore inizia con un dominio di sé: l’attore devi imparare a controllare la tensione muscolare, a rilassare i muscoli e poi imparare a concentrarsi, a non lasciarsi distrarre a prescindere da ciò che c’è intorno. Tramite la concentrazione dell’attore deve assorbire il pensiero dei sentimenti del personaggio proposto dall’autore fino a provarli internamente in modo da vivere il personaggio ed essere il personaggio  processo per gradi Per provare un sentimento complesso bisogna saperlo analizzare, nel caso di Otello l’attore non deve raggiungere subito l’ultimo stadio della gelosia, ma arrivarvi per gradi, Deve analizzare il suo ruolo di scoprire in quale momento inizia lo stupore in quale momento la gelosia prende il sopravvento su ogni altro sentimento e solo allora l’attore può provocare in sé stesso un’autentica gelosia. Attraverso ciò l’attore riesce a risentire inconsciamente un’emozione analoga già provata precedentemente nella sua vita reale. Le emozioni e sensazioni ripetitive che si trovano nel corso della vita sono chiamate “emozioni affettive” e la memoria che conserva in noi i sentimenti e le sensazioni “memoria affettiva”  fondamentale, perché attraverso la memoria affettiva l’attore può individuare nel suo passato la stessa sensazione vissuta e riutilizzarla per il personaggio che deve interpretare, quindi riuscendo a rivivere le proprie emozioni riuscirà esprimere in modo autentico le emozioni del personaggio. L’interesse per la preparazione degli attori fa sì che Stanislavskij trascuri i problemi pratici della messinscena e della gestione del teatro, del repertorio e si dedica sempre di più alla sperimentazione e alla pedagogia degli attori. Nel 1912 fonda il Primo Studio (un laboratorio teatrale che mostrava il pubblico i risultati del laboratorio) e lo affida a Leopold Sulerzickij, personaggio poliedrico e stravagante che insegnò a Stanislavskij il lavoro su se stessi e i procedimenti individuali per la creazione del personaggio. Nel 1916 Sulerzickij muore e passa il posto a Evgenij Vachtangov e Stanislavskij fonda il Secondo Studio (assorbito dal teatro d’Arte nel 1924); nel 1918 viene inaugurato il Terzo Studio che diventerà il Teatro Vachtangov. Nel 1918 Stanislavskij apre lo studio operistico di arte drammatica del Bolsoj in cui sperimenta il sistema coi cantati d’opera in rapporto agli spettacoli lirirci. Cinque anni dopo lo scoppio della Rivoluzione, da cui si tiene lontano, si reca in tournée in Europa e negli Stati Uniti con gran parte della compagnia del Teatro d’Arte riscuotendo successo. Mentre l’America resta fedele allo Stanislavskij prima maniera, lui va avanti e continua a cercare e sperimentare nuovi stimoli e modi per insegnare agli attori a studiare il testo. Negli ultimi anni della sua vita metti appunto un nuovo metodo per la costruzione del personaggio: il metodo delle azioni fisiche  tecnica fisica per l’induzione di sentimenti, ora Stanislavskij pensa che attraverso il corpo l’attore possa agire sull’anima e decide di iniziare il processo verso il personaggio cominciando non dall’immaginazione e dal sentimento ma dalle azioni fisiche. Cosa farei io attore se mi trovassi in circostanze analoghe a quelle del personaggio? Individuato un compito si dovrà trovare l’azione capace di assolverlo e solo attraverso l’azione l’attore raggiungerà la reviviscenza, ma questo metodo non rivoluziona il fine del suo sistema che resta quello di costruire il personaggio intersecando due vite parallele: la vita interiore dell’attore e quella del personaggio. Nel sistema di Stanislavskij l’importante è l’interazione tra fisico e psichico, ma che il problema fosse cominciare dalla psiche (pensieri) o dal fisico (azioni) intanto rimane lo stesso: aiutare gli attori a creare da se stessi un uomo vivo. Negli Stati Uniti nel cinema americano si diffondono le idee elaborate nel Primo Studio; in Unione Sovietica dopo il 1934 viene chiamato maestro del realismo socialista e con la guerra fredda vi è la contrapposizione tra i due Stanislavskij: quello americano e quello russo. Verrà riconosciuto per il concetto di laboratorio teatrale e il lavoro dell’attore su se stesso. 5° Capitolo - Appia e il Tristano e Isotta di Wagner Appia ha messo in luce l’esigenza dell’unità delle componenti teatrali che fino allora erano separate rendendo necessaria la figura di un coordinatore, quindi del regista. Il percorso di Appia è particolare, ha dato il suo contributo alla definizione della regia moderna attraverso la riflessione sul Wort-Ton-Drama di Wagner. Nel 1882 assiste per la prima volta a un’opera wagneriana: Parsifal e fu rapito dalla drammaticità della musica e nel dramma musicale wagneriano riconosce lo spettacolo del futuro, secondo Appia Wagner era riuscito a estrarre dalla musica alla massima espressività. Rimase affascinato dall’orchestra nascosta, la platea ad anfiteatro, il buio in sala; ma non era convinto delle scene, i costumi e l’uso della luce; ciò si ripete per ogni messinscena di Wagner. Capisce che molti degli equivoci e dei problemi che erano alla base della difficile accoglienza del dramma wagneriano dipendevano dall’irrisolta realizzazione scenica, l’azione drammatica e la musica restavano estranee alla forma rappresentativa che era realistica, la forza musicale era anche debolezza dal punto di vista tecnico. Nel 1888 Appia decide di dedicare la sua vita alla riforma della messinscena a partire dal dramma wagneriano, ma come erano queste rappresentazioni? Per Wagner il teatro era un luogo in cui si recitava un dramma dove la scena aveva un fine preciso: doveva contribuire a creare l’illusione, la visione della realtà rappresentata. Uno degli espedienti più efficaci era l’uso frequente dei cambi di scena avvista il cui scopo non era tanto quello di stupire lo spettatore quanto piuttosto di non interrompere la melodia infinita, la continuità poetica dell’opera e per instaurare una delle condizioni basilari del Gesamtkunstwerk: l’unità temporale. Appia dice che il teatro realistico ha portato nell’arte scenica qualche progresso, ma si tratta di tentativi rivoluzionari in una cornice errata che conducono al lusso esagerato o ad una semplificazione che trasforma l’opera teatrale in un passatempo letterario. Appia è critico nei confronti della recitazione dei cantanti partner indiani e condanna il cantante all’italiana, che anziché grazie compagni di scena si rivolgeva il pubblico con gesti esteriori. Wagner era caduto, secondo Appia, in un’altra incongruenza: la recitazione realistica dei suoi attori-cantanti stridevano con la potenza e il carattere della musica che raccontava una vicenda mitica e trasportava lo spettatore in un mondo ultra terreno, ad esempio a Bayreuth Isotta cantava vestita da regina di Cornovaglia davanti a un castello di Cornovaglia dipinto, ma la musica che comunicava il suo stato d’animo perdeva forza in un contesto visuale così descrittivo (gli elementi fenomenici predominavano su quelli espressivi). Appia smaschera una contraddizione basilare degli allestimenti wagneriani: il conflitto irrisolto fra la dimensione metafisica espressa dalla musica e il realismo della rappresentazione teatrale  le storie raccontate da Wagner appartengono al mito. Secondo Appia, Wagner aveva trovato una dimensione metafisica che solo la musica poteva esprimere, ma non un’adeguata trasposizione scenica - sul piano visivo e su quello gestuale Wagner restava prigioniero del realismo illusionista del suo tempo (arretrato). successo della danza moderna e l’uso di una scenografia non più figurativa-illustrativa ma praticabile dal corpo dell’attore. 6° Capitolo - Craig e il Didone e Enea di Purcell Edward Gordon Craig per nove anni fece l’attore presso la compagnia di Henry Irving al Lyceum di Londra dove si rappresentavano testi contemporanei del naturalismo. Quando lascia la carriera d’attore inizia quella come scenografo e regista. Craig, come Appia, non parte pesce primi esercizi registici da un testo letterario, ma da un’opera musicale e la sua prima regia è la messinscena di Didone e Enea di Purcell, lo spettacolo fu rappresentato in una sala da concerto del quartiere londinese di Hampstead il 17, 18 e 19 maggio 1900. È significativo il fatto che lui abbia scelto un’opera del seicento anziché un grand opéra. Didone e Enea era una composizione basata su una struttura dove ciò che contava era la musica. Craig propose di rappresentarla su un palcoscenico, con delle scene e di renderla il più possibile teatrale. Lo spazio che aveva disposizione era una sala da concerto dotata di una scena semicircolare, con un grande podio costituito da una piattaforma e con altre piattaforme complementari che si sollevavano verso il fondo e con una serie di travi e cantinelle trasformò la sala in un palcoscenico teatrale, più largo che profondo, senza quinte e limitato ai lati da due tele sospese perpendicolarmente: così veniva abbandonata la solita stanza per creare uno spazio scenico praticabile pronto per essere animato dal movimento (azione sul proscenio) e dare importanza all’utilizzo della luce elettrica. Soppressa la tradizionale luce di ribalta, Craig costruire un ponte di luci che rischiarava il palcoscenico dall’alto e aggiunse due proiettori in fondo alla sala che illuminavano il volto degli attori passando attraverso il pubblico. Gli attori erano dilettanti, solo il tenore e il primo ruolo femminile erano dei professionisti e questo perché Craig aveva un’avversione nei confronti dello star system (egli disse che gli attori dilettanti erano più disponibili ad accogliere il lavoro del regista e più aperti alla sperimentazione). Un’altra novità era la cura dettagliata di ogni aspetto dello spettacolo: le sue note di regia rivelano una conoscenza artigianale del mestiere teatrale, lunghi elenchi di oggetti, costumi, posizioni e movimenti  decide di seguire “una totale inesattezza dei dettagli”, Craig preferisce lo sfumato che crea l’atmosfera e suggerisce il mistero. Non era importante che l’intrigo di Didone e Enea fosse debole perché più che al libretto si ispirava direttamente alla musica: ogni scena era tradotta in un quadro che trasferiva invenzione l’atmosfera drammatica suggerita dalla musica. Le varie componenti di questo quadro (scene, costumi, luci, colori) erano in armonia tra loro, mise il colore sulla scena inglese (dominata da tonalità grigie del chiaroscuro) e fece grande uso della combinazione del chiaroscuro e del contrasto: verde, porpora, blu e scarlatto. La centralità attribuita all’elemento visivo gli derivava dalla sua formazione pittorica, era influenzato dal movimento simbolista e agli scopritori dell’arte giapponese da cui trasse due elementi essenziali: l’insistenza sulla linea obliqua e l’uso simbolico della luce e proprio sfruttando l’invenzione della luce elettrica creò una nuova arte espressiva anticipando il cinema. Non segnava i movimenti e le sue indicazioni di regia sul libretto, ma sullo spartito; i suoi quaderni erano privi di indicazioni psicologiche, vi si trovavano disegni, dettagliate indicazioni, esatte definizioni di toni di luce, note relative ai costumi e schizzi dei movimenti scenici e a questo si aggiungevano precise indicazioni sui tempi e sui ritmi scenici, che non riguardavano solo gli interpreti, ma anche le variazioni di tonalità intensità delle luci. All’inizio del primo atto gli spettatori avrebbero dovuto trovarsi all’interno del palazzo reale e la scena era un lungo traliccio intrecciato di fiori e piante rampicanti, parallelo al quadro scenico su tutta la larghezza della scena; al centro il trono della regina con i suoi cuscini scarlatti era sormontato da un baldacchino retto da quattro piccole colonne slanciate, il fondale non era più dipinto ma una stoffa tra il blu e il viola dai contorni invisibili. Nel secondo atto, abbiamo alle streghe con il volto coperto da maschere che si riunivano in concilio per tramare la rovina degli amanti della scena si svolgeva in penombra. Nel finale la stessa scena del primo atto era impegnata di una luce giallastra che cadeva dall’alto e i cuscini del trono, che nel primo atto erano scarlatti, diventano neri come l’abito della regina. Nel 1901 fu replicato al Coronet Theatre di Londra con qualche ritocco da parte di Craig. La regia di Didone e Enea prelude all’idea del regista come creatore assoluto e Craig con quella messinscena dava un esempio concreto di come fosse possibile riqualificare il lavoro teatrale sul palcoscenico  fare del regista un’artista Il ruolo dell’attore veniva ridimensionato a favore dell’equivalenza armonica tra le varie componenti dello spettacolo e il regista era responsabile dell’intero progetto visivo, il fine dello scenografo consisteva nel creare l’atmosfera e nell’ideare un paesaggio irreale. Vi fu una semplificazione del linguaggio espressivo: la scena non doveva più raccontare, ma suggerire significati: dalla prosa e dal naturalismo si passava alla poesia e al simbolismo. Era fondamentale l’uso della luce, ora l’illuminazione avveniva dall’alto. Con Craig la luce cessa di essere uno strumento tecnico per illuminare il viso dell’attore, ma diventa un elemento artistico, espressivo e creativo. Era presente l’uso simbolico del colore. Didone e Enea è il primo di sei spettacoli che Craig mette in scena tra il 1900 e il 1903 con un gruppo di attori dilettanti. Segue un breve periodo di collaborazione con i teatri professionali di Londra, ma le condizioni reali della scena inglese lo deludono e nel dicembre 1904 viene invitato dal conte Kessler a Berlino, dove incontra Isadora Duncan con la quale inizia una storia d’amore. Collabora con Otto Brahm al Lessing Theatre di Berlino ma il tutto non va a buon fine, in quanto Brahm aveva una concezione teatrale troppo diversa (naturalismo) e l’incomprensione tra i due mi rende difficile la collaborazione e Craig abbandona l’impresa. L’esperienza preludeva quanto sarebbe accaduto qualche anno dopo a Mosca con Stanislavskij. Craig vive la contraddizione del teatro a lui contemporaneo e lo esprime in un scritto in cui si annunciano temi a lui caratteristici: la distanza qualitativa tra il régisseur e il metteur en scene (o tra il regista ordinario e il regista-artista di qualità), l’incompatibilità di naturalismo e simbolismo, l’incongruità della scenografia realistica. A Berlino Craig matura la polemica nei confronti di chi nascondeva dietro motivazioni tecniche e/o commerciale la propria incomprensione verso le ragioni dell’arte e si volge verso la teoria (Arte del teatro: libro scritto sotto forma di dialogo in cui teorizzava la necessità della figura del regista come creatore assoluto e la necessità da parte sua di conoscere tutte le attività, le tecniche e le pratiche che formano l’arte della scena; l’artista teatrale doveva essere in grado di realizzare lui stesso i disegni, le luci e movimenti scenici; per diventare artista secondo lui ci volevano cinque anni di pratica come attore e due anni di esperienza come regisseur) Nel 1907, a Firenze, Craig comincia a disegnare i primi screens, pannelli rettangolari snodabili in grado di assumere configurazioni e posizioni diverse in relazione alle diverse situazioni del dramma, consentendo infinite possibilità di movimento e ciò diventarono l’emblema della scenografia simbolica di Craig. Nel 1907 pubblicò un saggio teorico, L’attore e la supermarionetta, utopia dell’attore perfetto, dove la supermarionetta era figura dal significato ambiguo: espressione del desiderio di un attore puro e prefigurazione di un teatro meccanico. Nel 1908 a Firenze comincia a pubblicare i primi numeri di The Mask, una rivista dedicata all’arte del teatro che avrebbe diretto per vent’anni; nel 1908 fu invitato da Stanislavskij a mettere in scena insieme a lui l’Amleto di Shakespeare al Teatro d’Arte di Mosca ma i due erano diversi: Craig mirava a uno spettacolo essenziale e di un simbolismo puro, dove gli screens dovevano contribuire a creare un’atmosfera di sogno; mentre Stanislavskij puntava sul realismo psicologico). Craig arrivo a chiedere di togliere il suo nome dalla locandina; lo spettacolo debuttò l’8 gennaio 1912 ed ebbe successo, ma in seguito a quell’esperienza decise di interrompere per sempre il suo rapporto con la pratica del teatro, in quanto si sentiva incompreso e diverso rispetto agli altri. Vedendosi costretto dall’arretratezza del teatro del suo tempo a diventare un teorico e a teorizzare un teatro che non poteva realizzare, lascia definitivamente la sua carriera di regista nel 1897; morì nel 1966. Craig contribuì a riqualificare l’arte del teatro e oggi le sue idee (controllo assoluto da parte del regista dell’insieme dello spettacolo, armonia e omogeneità tra le diverse componenti sceniche, utilizzazione creativa della luce, importanza fondamentale della preparazione artistica) fanno parte della coscienza dell’uomo di teatro contemporaneo. 7° Capitolo - Reinhardt e il Sogno di una notte di mezz’estate di Shakespeare Il 31 gennaio 1905, a Berlino, sul palcoscenico girevole del Neues Theater am Schiffbauerdamm, Max Reinhardt mise in scena il Sogno di una notte di mezz’estate di Shakespeare. Ad eccezione della scena iniziale e della scena finale delle nozze, il bosco è lo scenario dell’intera commedia, colui che ha il legame più stretto con i tre gruppi che agiscono nella commedia: per gli spiriti rappresenta l’elemento naturale, per gli innamorati il luogo di fuga, per gli artigiani il punto d’incontro dove fare le prove di un dramma. Nella messinscena di Reinhardt, quando si alzava il sipario si sentiva scorrere un ruscello e si intravvedeva un bosco con prati e alberi, il tappeto che ricopriva il palcoscenico sembrava muschio, i tronchi, i rami e le cortecce erano come veri e con lo stesso sistema aveva ricoperto la superficie piatta del pavimento di legno con piccoli rilievi a forma di colline + per aggiungere maggior simbolismo veniva spruzzata sulla scena dell’essenza di abete che si diffondeva anche nello spazio riservato agli spettatori. Gli elfi erano interpretati da ragazze seminude coperte solo di veli verdi, delle lampadine simulavano le lucciole e sul fondo del palco una parte del pavimento era stata sostituita da lastre di vetro illuminate dal basso, la nebbia era creata artificialmente e gli elfi ballavano 8° Capitolo - Mejerchol’d e Il Revisore di Gogol’ La carriera di Mejerchol’d regista inizia con la scontentezza di Mejerchol’d attore al Teatro d’Arte di mosca; nel 1898 Vsevolod Mejerchol’d era allievo di Nemirovič-Dančenko alla scuola d’arte drammatica di Mosca quando fondarono insieme a Stanislavskij il Teatro d’Arte. Qui Mejerchol’d interpretò il ruolo di Treplev nella prima edizione del Gabbiano di Cechov. La scuola di Stanislavskij fu fondamentale per la formazione attorica e registica di Mejerchol’d. Attraverso la musicalità, il ritmo che gli attori del teatro d’arte seppero imprimere ai drammi di Cechov, Mejerchol’d aveva imparato che l’attore era l’anima del teatro. Ma gli sembrava che il naturalismo introdotto da Stanislavskij avesse chiuso le porte al mistero, richiedendo una recitazione netta i metodi del Teatro d’Arte impedivano allo spettatore di completare l’illusione con l’immaginazione. Mejerchol’d era incompatibile con il naturalismo; infatti nel 1902 lasciò il Teatro d’Arte e fondò una sua compagnia e cominciò a recitare in provincia ma questa esperienza, durata tre stagioni, si rivelò difficile; per cui convinse Stanislavskij ad aprire un teatro-studio, il Primo Studio di Stanislavskij (1905) e qui fece i primi esperimenti di un teatro di stile o, come lo chiamava lui, un teatro convenzionale (basandosi principalmente sui testi di Maeterlinck). Lasciava liberi gli attori di provare, di proporre ed era convinto che il lavoro teatrale fosse un’opera collettiva e che il compito del regista consistesse nell’equilibrare tutto ciò che gli altri creatori avevano elaborato liberamente. Inoltre sperimentò una nuova maniera di recitare: chiedeva agli attori di scandire le parole freddamente, senza vibrazioni di voce e alla dizione andava integrata una recitazione plastica che non corrispondeva alle parole male completava (parlare e nel mentre fare gesti). Per lui il compito del regista non è quello di illustrare un’opera letteraria ma sentirne il ritmo interiore e saperlo restituire tramite la plasticità corporea. Abbiamo diverse fasi: - PRIMA FASE La prima fase nacque in opposizione al naturalismo dove prese una linea simbolista; la recitazione divenne imprecisa poiché movimenti plastici dell’attore erano il principale mezzo espressivo della musica interiore dell’opera e ci voleva una scena che consentisse di concentrare tutta l’attenzione degli spettatori sui movimenti degli attori; utilizzava uno spazio scenico compreso in un esile striscia, sull’orlo della ribalta o addossata al fondale. Emanava da questi spettacoli un clima di presagi e sogni, cose che derivò da Maeterlinck. Nel modo di appiattire l’attore su due dimensioni, avvicinandosi al silenzio, c’era l’influsso del cinema muto. 10 novembre 1906 andò in scena Hedda Gabler di Ibsen e Mejerchol’d rinuncio a rappresentare nei dettagli il ricco ambiente norvegese e creò una scena impressionista e gli attori entravano e uscivano dalle quinte laterali con gesti, movimenti ritmici elementi; la loro mimica era semplificata. Quando mise in scena Nora nel 1906 la tendenza si fece ancora più evidente. Nei drammi di Maeterlinck, Mejerchol’d chiese agli attori di recitare a voce bassa, quasi cantando e di muoversi con gesti articolati che tendevano all’immobilità - SECONDA FASE Nell’intenzione di abolire la ribalta, abolire il sipario e portare l’azione in mezzo al pubblico, aveva riscoperto il proscenio che il naturalismo aveva abolito, il proscenio è talmente vicino al pubblico che nessun gesto, nessun movimento si perde nelle quinte; abbandono i semitoni che la gestualità statuaria della fase simbolista e riscoprire il teatro teatrale delle tradizioni classiche, popolari e arcaiche (scena greca antica, elisabettiana e italiana della commedia dell’arte) Lo spettacolo clou di questa fase fu la messinscena del Don Giovanni di Moliere al Teatro Alexandriskij di San Pietroburgo (rimase qua per undici stagioni) e più che sul testo si concentrò sull’aria e lo stile ricreandoli liberamente sul palcoscenico e nella sala: mostrò al pubblico l’eleganza e il lusso della corte di Luigi XIV. Eliminato il sipario, la scena era visibile al pubblico, la buca del suggeritore era scomparsa e fu sostituita da due piccole nicchie ai due lati della scena. In questi anni a San Pietroburgo lavorò sotto il nome di Dottor Dappertutto, personaggio demoniaco dei Racconti di Hoffmann. Il ritorno al proscenio aveva significato ritorno alle tre dimensioni: maschere, clownerie e travestimento. Più che il testo contano la mimica e il virtuosismo acrobatico degli attori: un teatro di pantomime e azioni fisiche, preannunciando il periodo sovietico di attori indossavano tutti un’identica tuta. Nell’Arlecchino sensale di matrimonio Mejerchol’d riscrisse sottoforma di pantomima un vecchio scenario della commedia dell’arte: quando non era di scena all’attore era libero di recitare improvvisando ma doveva subordinarsi alla partitura musicale - TERZA FASE Nell’ottobre 1917 allo scoppio della Rivoluzione, Mejerchol’d ci si getta a capofitto e occupa cariche importanti per poter riorganizzare il sistema dei teatri in Russia e la Rivoluzione gli permette di sperimentare e da quel momento in poi (lascia l’Alexandriskij) inizia a lavorare solo con giovani allievi che lo seguivano nelle sue ricerche. Nel 1918 mette in scena Mistero Buffo di Majakovskij che come lui aveva aderito immediatamente alla rivoluzione e nonostante la differenza d’età tra i due si era istituito un sodalizio perfetto; il luogo scenico dello spettacolo era il globo terrestre è raffigurato dalla canotta di un enorme mistero dipinto di blu che occupava tutto il palcoscenico e sulla quale vi erano sette coppie di borghesi e sette copie di proletari, questi ultimi costruivano una marca alla quale raggiungevano la terra promessa dove non c’erano più padroni e gli oggetti inanimati. Lo spettacolo con il suo stile da circo non piacque ai politici sovietici, per i quali il teatro doveva essere uno strumento di formazione culturale improntata al serio realismo educativo. - QUARTA FASE Erano gli anni in cui Russia dominavano i costruttivisti che si proponevano di rendere l’arte funzionale alla società escludendo l’Arte per l’Arte ciò si tradusse nella fattografia: narrare fatti veri e non inventati. L’approccio antiestetico dei costruttivisti che sostituivano la scenografia con la praticità li rese naturali alleati di Mjerchol’d  Magnifico cornuto di Fernard Crommelynck vennero fatti recitare gli attori sullo sfondo di mattoni nudi del teatro sopra una leggera costruzione concepita in modo tale che ogni suo elemento veniva proiettato nella recitazione degli attori, la scenografia era una specie di macchina che si animava durante la messinscena, questo testo era lontano dai temi politici cari alla Rivoluzione e venne scelto questo testo per far vedere l’acrobaticità dei suoi allievi. Vi era un intento parodistico: gli attori presentavano parodiandolo il proprio personaggio, interpretava nel loro ruolo e nello stesso tempo ne prendevano le distanze, preludendo lo straniamento brechtiano. Per formare sugli attori aveva escogitato la biomeccanica: una tecnica incentrata su esercizi muscolari che consisteva nella trasposizione ginnica dei dati psichici e la biomeccanica mirava a insegnare all’attore tutte le attitudini basilari per muoversi con agilità sulla scena, dagli atti fisici si arrivava ai sentimenti del personaggio. Per esercitare i riflessi gli attori appendevano alcune mosse prestabilite come il salto sul petto, il tiro con l’arco poi il lancio del disco - QUINTA FASE Inizia nella seconda metà degli anni 20. È la fase del grottesco e il suo metodo ora è la sintesi: scartando i dettagli, mescolando degli opposti e accentuando le contraddizioni il grottesco ricrea la pienezza della vita. Il capolavoro di questa fase è Il Revisore di Gogol’ andato in scena il 9 dicembre 1926 nel Teatro Mejerchol’d: la messinscena faceva appello a tutte le sue ricerche precedenti sul gesto, la pantomima, il ruolo della parola e della musica. Aveva adottato come punto di vista il grottesco, uno stile scenico che costringeva lo spettatore a sdoppiarsi contemplando la scena. TRAMA PAGINA 123. Rivelando con sarcasmo il senso simbolico nei temi sociali questa messinscena rendeva il testo di attualità. Introdusse molti nuovi personaggi che servivano a spezzare i monologhi in dialoghi. Nella adattamento la commedia era suddivisa non più in cinque atti ma in 15 episodi; la scena aveva come fondale una parete semicircolare con 15 porte a due battenti di compensato rosso, a destra e a sinistra due pannelli simmetrici prolungavano il dispositivo scenico verso la sala riducendo la profondità della scena in modo da concentrare l’azione sul proscenio, le tre porte di centro si aprivano come un solo portone lasciando passare delle piattaforme che scorrevano sui binari di legno e le piattaforme venivano fuori già arredate. Rimandavano ai primi piani del cinema. L’azione era concentrata nei limiti di un piccolo spazio equivalente al rettangolo nello schermo e questo spazio ristretto richiedeva all’attore una grande agilità. L’azione scenica era costruita su due assi portanti. Gli oggetti e mobili sulla scena servivano da supporto per l’attore e avevano una funzione simbolica: erano compatti e le persone in confronto apparivano esili e minuti ed insieme suggeriva un’atmosfera di angustia Mejerchol’d si concentrò molto sulle mani e sul gioco collegato alla mimica di esse. sequenze di materiale proveniente dagli Archivi di Stato che mostravano lo scempio e l’orrore della guerra: incredibile forza. Nel 1927 grazie al finanziamento di un magnate della birra legato sentimentalmente all’attrice Tilla Durieux e che mise a disposizione 400.000 marchi d’oro, finalmente poteva disporre di un suo teatro, la Piscator-Bühne. Non avendo abbastanza soldi per costruire il teatro totale che Gropius aveva progettato per lui, si limitò a modificare il Theater am Nollendorfplatz, nel cuore dei quartieri occidentali ed eleganti di Berlino. Obiettivo: far entrare gli spettatori nell’ambito dell’azione scenica. Lo spettacolo inaugurale fu il 3 settembre 1927, Hoolp, wir leben! (Oplà noi viviamo!) di Ernst Toller: Karl Thomas, condannato a morte nel 1919 per aver partecipato alla rivoluzione del 1918, graziato dopo 10 giorni ma internato in una casa di cura a causa dello choc subito, usciva dalla clinica nel 1927 e ritrovava una Germania irriconoscibile. I sogni infranti del ragazzo del 1919 a confronto con la realtà politica del 1927, per cui l’uomo si uccideva. In occasione di questa messinscena sperimentò un nuovo metodo di lavoro: scritto un enorme libro di regia (Regiebuch), in cui ad ogni pagina del testo corrispondeva un grande foglio suddiviso in sei colonne: una colonna per l’atmosfera, una per gli attori (a sua volta suddivisa in espressione spostamenti), una per le proiezioni e film, una per la musica e rumori, e una per le luci. Il lavoro del regista era frutto del montaggio di tutti questi elementi. La scenografia era costruttivista: un’impalcatura di ferro, in tubi metallici per il gas, divisa verticalmente in tre parti, e queste parti laterali erano a loro volta tagliate: il risultato era un dispositivo a scacchiera, che consentiva azioni simultanee e innumerevoli combinazioni. Inoltre gli arredi delle piccole scatole sceniche erano delle dispositive che venivano proiettate. I filmati contrastavano con le proiezioni fisse, le scene recitate con le scene filmate. Il principio del montaggio era presente a tutti livelli: il comico interferiva con il tragico, la divisione in segmenti contrastava con il ritmo rapido, l’illusione con le interruzioni che risaltavano l’artificialità della rappresentazione, il coinvolgimento con l’intento didascalico, la continuità con la discontinuità. Tre tipi di film utilizzati -> il film didattico: comunicava dati obiettivi, attuali e storici, illustrava l’argomento del dramma e ne restituiva il contesto. Il film drammatico: si inseriva nello sviluppo dell’azione; intensificava, accelerava la scena recitata e veniva proiettato fra le scene teatrali o simultaneamente. Il film di commento: accompagnava l’azione coralmente, si rivolgeva direttamente allo spettatore, richiamava l’attenzione su importanti svolte dell’azione: criticava, accusava, citava dati importanti, talvolta faceva propaganda diretta. (//cori antica Grecia) Nel novembre 1927 (anniversario della Rivoluzione d’ottobre): in scena Rasputin, i Romanov, la guerra e il popolo di Aleksej Tolstoj, rappresentato su una gigantesca sfera che poteva ruotare, con ponti, scale, passaggi, etc + davanti allo spazio dove recitavano gli attori: un pannello di garza trasparente incorniciato dall’arco di proscenio (per il film, un film che è il destino, la saggezza, che sa tutto). Nel 1928: in scena il romanzo incompiuto di Jaroslav Hashek, Le avventure del buon soldato Shvejk: una gigantesca raccolta di aneddoti ed avventure che ruotavano intorno al protagonista che prendeva tutto così seriamente da apparire ridicolo e accettando tutto al tal punto che la sua obbedienza finiva col distruggere la logica stessa della guerra. Piscator trasformò il piano fisso del palcoscenico in una superficie mobile installandovi due tapis roulant che si muovevano in modo contrario, con il tapis roulant aveva trovato il mezzo scenico corrispondente alla fluidità epica del romanzo. Gravissima crisi economica, fine della sperimentazione. Tuttavia il gruppo rimase unito e mise in scena un testo sulla legge sull’aborto, §.218 Frauen in Not (Donne in pericolo) di Carl Credé. Si arrangiò con i mezzi di cui disponeva e creò uno spettacolo in cui, per coinvolgere il pubblico, i personaggi secondari erano disposti tra gli spettatori. Dai loro posti in platea gli attori interrompevano l’azione dicendo le loro battute, così che sembrava una continua discussione tra scena e platea. Lo spettacolo finì in una vera votazione che trascinò il pubblico al rifiuto quasi unanime del § 218 del codice penale per alzata di mano: per la prima volta la fine di una rappresentazione teatrale corrispose a un’assemblea pubblica. Fu invitato in URSS per girare il film La rivolta dei pescatori di Santa Barbara (1931), 1934-7: fu presidente della Lega teatrale internazionale rivoluzionaria; visse a Parigi e poi in USA (in Germania Hitler) e nel 1940 a NY fondò il Dramatic Workshop e continuò a sperimentare con gli allievi. Tuttavia fu preso di mira dal maccartismo e nel 1951 rientrò in Germania dove nel 1962 fu nominato sovrintendente della Nueue Freie Volksbühne di Berlino Ovest, che diresse fino alla morte, nel 1966. Influenzò il Living Theatre: Judith Malina sua allieva al Dramatic Workshop. 10° Capitolo - Brecht e Madre Coraggio Bertol Brecht opera durante gli anni delle due guerre mondiali. La sua formazione avviene in Baviera negli anni dell’espressionismo, ma questo movimento non gli piace, così come non gli piace tutto ciò che è tipicamente tedesco e serioso. Inizia l’approccio al teatro come scrittore di drammi e solo negli ultimi anni si dedicherà alla regia. Brecht cerca nel teatro il piacere della ragione, il divertimento e riteneva che un autore teatrale dovesse essere capace di stimolare nel pubblico un atteggiamento indagatore. Tra il 1918 e il 1923 scrive i suoi primi drammi: Tamburi nella notte (1922) e Nella giungla delle città (1923); mentre il suo primo approccio alla regia si ebbe nel 1924 e mette in scena Vita di Edoardo II di Marlowe. Alla metà degli anni Venti lascia Monaco e si trasferisce a Berlino durante gli anni dell’americanismo, dei film di Chaplin, del cinema espressionista e del jazz. Di fronte al cambiamento sociale entra in crisi la forma tradizionale del dramma e si accorge che la vecchia struttura drammatica non bastava più, così scrisse Un uomo è un uomo (1925) in cui tratta del rimontaggio tecnico di un uomo per trasformarlo in un altro con un determinato scopo. Quando Goebbels vuole usare il teatro al servizio della propaganda nazista, Brecht scopre il marxismo e la sociologia e da quel momento lo scopo del suo teatro diventa politico. Ma a differenza di Piscator, Brecht ma vuole esercitare l’arte dello smascheramento, a opporre alla suggestione la ratio; qui sviluppa il concetto di popolare ovvero riuscire ad essere comprensibili alle vaste masse e in questo contesto nasce il teatro epico (1926), Brecht individua un fine essenziale: rinunciare all’immedesimazione facendo nascere una nuova forma drammatica. Il 31 agosto 1928 va in scena L’Opera da tre soldi con la regia di Erich Engel, lo spettacolo fonde le due tendenze del teatro di Weimar: divertimento e politica. Parlava di una storia di una banda di gangster raccontata alternando alle scene recitate con canzoni le cui parole erano ironiche e venivano cantate dagli attori a contrasto quell’atmosfera melodica della musica. Qui sperimenta la costruzione di questa nuova tecnica che si fondava sul principio di provocare: straniamento. Straniare una vicenda o il carattere di un personaggio significava in primo luogo togliere al personaggio o alla vicenda qualsiasi elemento sottinteso, noto e farne oggetto di stupore e di curiosità, inoltre si voleva straniare anche il pubblico. La recitazione diversi si riplasmata sul principio gestuale, gli attori mantenevano un distacco rispetto al personaggio da loro interpretato e personaggi dovevano venire rappresentati in modo freddo. Spettatori e attori non dovevano avvicinarsi a allontanarsi coglioni dagli altri e per consentire di tenersi alla giusta distanza critica del personaggio, Brecht consigliava l’attore di recitare usando la terza persona e di pronunciare anche le didascalie per porsi in modo straniato rispetto alla propria battuta. Per spiegare agli attori lo straniamento  “scena di strada” PAGINA 157 La scenografia venne totalmente rivoluzionata allo scenografo non si chiese più di ricostruire il luogo dell’azione ma qualche accenno, era importante che la scenografia non prese stesse allo spettacolo ma andava accennata per consentire l’inizio delle prove. Brecht istituisce un nuovo metodo di lavoro: un processo di creazione collettiva che unificava tutte le esperienze. Anche la musica doveva contribuire a mutare l’atteggiamento del pubblico. Nessun aspetto della rappresentazione doveva più consentire allo spettatore di abbandonarsi a emozioni incontrollate. Il comportamento degli uomini doveva essere diverso. Nel 1929 con il crollo della Borsa di New York iniziò la crisi economica e in Germania iniziò la nazificazione e da qui nacquero i drammi di istruzione e in cui l’intonazione sociale e politica di Brecht era apertamente marxista. Iniziarono ad essere pubblicati i suoi primi contributi critici sul teatro redatti in forma di appunti e iniziò a delinearsi la contrapposizione tra forma drammatica e forma epica del teatro. Si schiera contro il Gesamtkunstwerk, Brecht chiarisce una distinzione per lui fondamentale: quella tra l’opera d’arte collettiva (che si basa sulla collaborazione fra autore, regista, scenografo, musicista) e l’opera d’arte totale (concezione wagneriana: le varie componenti fondendosi perdono la propria individualità). A differenza della forma drammatica,la forma epica del teatro non incarna un avvenimento, ma lo racconta; non coinvolge lo spettatore in un’azione scenica, ma ne fa osservatore e stimola l’attività; non consente dei sentimenti ma lo costringe a decisioni; non lo sottopone a suggestioni ma ad argomenti. Nella forma epica del teatro ogni scena non serve l’altra ma sta per sé e non è il pensiero che determina l’esistenza, ma l’esistenza sociale che determina il pensiero. Nel 1933 Hitler va al potere ed inizia l’esilio per Brecht durante il quale scrive i suoi primi scritti critici sul teatro e continua la sua attività di scrittore di drammi (drammi della maturità) tra cui Madre Coraggio (1939). Dopo aver trascorso sei anni negli Stati Uniti torna in Europa nel 1947, ma la Germania non esiste più, è divisa in due settori e Brecht che è apolide aspetta un anno in Svizzera per il
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