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relazione didattica libro, Appunti di Didattica generale e speciale

libro di fiorn didattica generale

Tipologia: Appunti

2016/2017

Caricato il 02/04/2017

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giulia-c 🇮🇹

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Scarica relazione didattica libro e più Appunti in PDF di Didattica generale e speciale solo su Docsity! LA RELAZIONE DIDATTICA INTRODUZIONE Della didattica viene data una definizione precisa: • Scienza ed arte della relazione tra insegnamento ed apprendimento all’interno di un contesto. • Scienza perché si tratta di un sapere con un proprio specifico oggetto, che dispone di metodi precisi di ricerca, che ha un linguaggio suo proprio ed un patrimonio concettuale che le appartiene. • Arte perché le idee didattiche sono affidate alla singolarità delle persone che le attuano , i metodi d’insegnamento richiedono di essere interpretati da un soggetto concreto, non si possono applicare meccanicamente, non funzionano a prescindere dall’insegnante e quale che sia il contesto nel quale vengono impegnati La significatività dell’insegnante è un fattore centrale e comprende la profondità del suo sapere la competenza professionale e la capacità relazionale. Per lungo tempo la didattica è stata vista come scienza della mediazione, della facilitazione , della buona trasmissione dei contenuti di conoscenza e si è creduto che l’insegnamento produca quasi automaticamente l’apprendimento . La storia della pedagogia ha privilegiato ora i contenuti disciplinari, ora il ruolo dell’alunno e l’enfasi si è spostata alternativamente ora sull’insegnamento ora sull’apprendimento senza trovare un giusto punto di equilibrio. Tale equilibrio forse si può trovare non ponendo l’attenzione sull’insegnamento (contenuti) o sull’apprendimento (il soggetto che deve apprenderli) , ma sulla relazione. Quando si sottolinea l’importanza della relazione non ci si riferisce solo agli aspetti psicologici (es.empatia) ma soprattutto alla necessità di operare un cambiamento di prospettiva. • La centralità della relazione comporta una didattica che da lineare ed unidirezionale si faccia circolare e negoziata. Che cosa cambia quando l’insegnamento si struttura a partire dall’apprendimento? Si ottengono 3 risultati: • L’apprendimento non può essere considerato semplicemente come incremento delle conoscenze o memorizzazione e riproduzione di quanto trasmesso dalla scuola, ma come capacità di applicare concetti e regole generali a contesti particolari, comprensione e costruzione di significati, consapevolezza delle diverse prospettive, cambiamento personale. • Cambia il ruolo dell’alunno, che diventa realmente co-protagonista dell’azione didattica. • Cambia il ruolo dell’insegnante. L’insegnante impegnato nella relazione a sostenere il compito di conquista delle conoscenze da parte dell’alunno, deve riposizionarsi, abbandonando la sicurezza che viene dalla conoscenza della materia di insegnamento e dal manuale da svolgere per diventare un consulente, un esperto, una guida in un percorso che però deve essere compiuto dagli allievi, un maestro di bottega all’interno di un’aula diventata laboratorio. Oggi la riflessione didattica è impegnata a misurarsi con la sfida del cambiamento posto dalla società post-moderna. La consapevolezza dell’impossibilità di far fronte alle trasformazioni del mondo sociale, economico e tecnologico porta a ripensare i curricoli in base ad un nuovo valore di riferimento : la capacità di apprendere. Bisogna essere consapevoli dei rischi di una eccessiva sostituzione dell’insegnare con l’apprendere in quanto la scuola rischia di perdere la sua funzione pedagogica e di conseguire solo finalità economiche. È sempre più diffusa una concezione funzionalistica che subordina il percorso educativo alle attese del mercato. Attese che vanno sicuramente considerate, ma che non possono costituire i fondamentali valori di riferimento, pena lo svuotamento di senso educativo del percorso di scolarizzazione. Inseguire ciò che è utile non deve avvenire a scapito di ciò che è indispensabile o essenziale. La scuola non ha solo il compito di preparare i giovani ad inserirsi con competenza nella realtà socio-economica in trasformazione, ma anche quello di aiutarli a costruirsi la propria identità anche culturale. Non si può insegnare tutto, si deve scegliere non solo in funzione della spendibilità del titolo ma anche in funzione del contributo delle conoscenze allo sviluppo della persona. Si tratta di trovare un equilibrio, la corretta relazione tra i contenuti da apprendere e le competenze da acquisire. Ma la relazione didattica avviene all’interno di un contesto. L a scuola è il contesto organizzativo entro il quale ha luogo la relazione didattica. Si ritiene che la relazione interpersonale possa avvenire nel modo migliore in un ambiente di apprendimento che è comunità professionale ed educativa, nella quale si condividono gli scopi, le idee, le pratiche, e le relazioni sono di corresponsabilità, di fiducia, di incoraggiamento, di co- educazione. CAPITOLO I: LA DIDATTICA, SCIENZA ED ARTE DELLA RELAZIONE La scuola è l’istituzione delegata a fornire ai giovani il patrimonio di conoscenze, di competenze e di valori che la società ritiene indispensabile trasmettere loro. Le missioni della scuola sono essenzialmente 2: • garantire la formazione per affrontare il futuro; • fornire quei saperi di cittadinanza capaci di assicurare la continuità della identità. A questi 2 compiti oggi se ne aggiunge un terzo: rendere possibile la convivenza con culture diverse. L’esperienza scolastica è “artificiale”, si svolge in un luogo specializzato nel quale perseguire apprendimenti e trasmettere valori. Per raggiungere questi obiettivi è stata inventata una particolare organizzazione, con personale esplicitamente dedicato a svolgere questo compito. Il centro di questa organizzazione , inventata per rendere possibile l’apprendimento mediante un insegnamento specializzato, è la didattica che si può intendere come • Ambito della mediazione tra l’insegnare e l’apprendere. Una buona scuola, pertanto, è una scuola nella quale si pratica una buona didattica. L’azione didattica non avviene nel vuoto , ma in contesto organizzativo ed economico che influisce inevitabilmente così come contano i vincoli istituzionali (programmi, orari) . Molte sono le definizioni di didattica, ma quella che mette meglio a fuoco il suo oggetto è quella di scienza della relazione tra l’insegnare e l’apprendere, all’interno di un contesto. La didattica, intesa come scienza, si avvale di strumenti quantitativi e qualitativi cioè della ricerca. La ricerca può essere : Lawton paragona tutta la storia della didattica ad un pendolo che oscilla : • Tra il polo del classicismo che punta sulla materia (polo dell’oggetto) e il polo del romanticismo che punta sul bambino (polo del soggetto). Sono possibili, di conseguenza, due diversi stili d’insegnamento • Insegnamento come richiesta di imitazione. L’adulto incarna l’idea di perfezione e si fa per l’educando esempio da imitare. Sul modello dell’adulto si costruisce il bambino. • Insegnamento come regia. L’adulto è “facilitatore” dell’apprendimento. Concezione della didattica come “accompagnamento”. L’insegnante, come il regista, si mimetizza dietro le quinte dell’azione didattica IMPORTANZA DEL CONTESTO SOCIALE E CULTURALE La relazione didattica è influenzata da una molteplicità di condizioni di sfondo: da quello dato dal clima relazionale della classe, a quello organizzativo entro il quale si svolge la giornata scolastica , , a quello istituzionale fatto di programmi e regole . Ci sono poi contesti più ampi non specificatamente scolastici come quello della famiglia, della comunità e della società in cui si è inseriti . Con riferimento al contesto si evidenziano 3 posizioni fondamentali: • Piaget ( posizione universalistica tra le culture) . Piaget è convinto che lo sviluppo cognitivo avvenga nello stesso modo (per stadi) all’interno delle diverse culture poiché dipende da leggi che hanno carattere universale. Nella sua teoria l’apprendimento dipende dalla maturazione delle strutture mentali dell’essere umano e l’insegnamento deve rispettare lo svolgersi naturale del processo di maturazione. • universalistica dentro la cultura: si caratterizza perché riconosce significative differenze tra i diversi sistemi culturali, mentre all’interno della stessa cultura si cresce allo stesso modo. • approccio socio-culturale . Nella teoria di Cole il contesto è un insieme di attività strutturate nell’ambito del quale gli individui interagiscono. Pertanto l’attività cognitiva è un comportamento che si realizza attraverso le interazioni tra gli individui. In questo senso il contesto non è mero contenitore di esperienze ma è esso stesso esperienza che si traduce all’interno del soggetto in uno schema che viene poi riutilizzato per le azioni successive. Tale schema è il contesto che si riflette internamente al soggetto. Questa posizione recepisce il contributo di Vygotsky per il quale le attività che il bambino intraprende influenzano lo sviluppo purchè si inseriscano nella zona di sviluppo prossimale (definita come la distanza tra il livello di sviluppo attuale e il livello di sviluppo potenziale, che può essere raggiunto con l'aiuto di altre persone, che siano adulti o dei pari con un livello di competenza maggiore) In questa ottica anche la scuola viene a costituire un contesto e l’insegnante organizza e predispone il contesto inteso come amplificatore delle opportunità di apprendimento. Gli studi sul contesto hanno evidenziato che alcuni individui nelle loro attività quotidiane, conseguono in termini di apprendimento risultati migliori di quelli raggiunti nel contesto scolastico. Ci sarebbero quindi 2 tipi di intelligenza: accademica e pratica la prima (accademica) si esercita in situazioni artificiali, astratte come ad esempio la risoluzione di problemi posti da uno sperimentatore in laboratorio o a scuola quando le prestazioni richieste risultano avulse dai contesti di vita, la seconda (pratica) si manifesta invece nel concreto delle situazioni di vita. Il concetto di contesto assume un duplice significato: 1. ambito in cui si situano i processi cognitivi, 2. intreccio di relazioni sociali. Secondo l’approccio socioculturale il processo cognitivo presenta 2 fondamentali caratteristiche tra loro legate: la cognizione è situata cioè l’apprendimento si realizza in un contesto strutturato e la cognizione è distribuita , di fatto gli individui pensano con gli altri e con l’aiuto degli strumenti forniti dalla cultura. J. Bruner propone una visione dell’educazione che definisce culturalista, secondo la quale l’apprendimento è sempre culturalmente “situato” e la realtà viene compresa e rappresentata all’interno di un sistema simbolico condiviso dai membri di una data comunità culturale, e il modo di vedere le cose, i valori socialmente elaborati, lo stesso stile di vita vengono conservati e trasmessi alle generazioni future, in particolare ad opera dell’istruzione scolastica. IL CONTESTO DELL’APPRENDIMENTO Quando il bambino comincia a frequentare la scuola porta con sé un carico di aspettative che derivano dal contesto socio-culturale in cui vive. Tali aspettative variano nel tempo. Con l’esplosione demografica degli anni 50/60 la domanda di istruzione aumenta vertiginosamente . Nel contempo aumentano le aspettative ottimistiche nei confronti della scuola. Si considera l’andare a scuola la scelta vincente per migliorare le proprie condizioni di vita e il proprio status sociale. Ad un decennio di distanza Don Milani constaterà che la democratizzazione dell’accesso all’istruzione non ha prodotto uguaglianza. “Lettera a una professoressa” è una denuncia della logica della selezione, per cui il progresso negli studi viene assicurato a chi è già in situazione di vantaggio sociale culturale e non ci si preoccupa dei poveri. Il compito della scuola democratica deve consistere nella rimozione degli ostacoli posti dal contesto di provenienza.È democratica la scuola che tratta differentemente ragazzi che hanno bisogni diversi. La diversità non deve diventare disuguaglianza. Barbiana nasce non come rifiuto della scuola , ma come scuola alternativa alla concezione borghese dominante , concepita come occasione di riscatto sociale e luogo di promozione umana. Anche i Programmi scolastici, sia pure lentamente, comprendono l’importanza del contesto socio- culturale . Infatti gli Orientamenti per la scuola materna del 1991 dedicano l’intero capitolo al contesto socioculturale della attività educativa: prendono in considerazione la società complessa, la nuova realtà della famiglia, il lavoro della donna, il bambino soggetto di diritti. LA DIDATTICA COME MEDIAZIONE Se il buon apprendimento non scaturisce automaticamente dall’insegnante colto come prodotto del suo sapere non è neppure sufficiente la disponibilità all’ascolto dell’alunno, il mettersi a sua disposizione. La didattica non è immediatezza, è mediazione. Per mediazione si intende il processo di facilitazione messo in atto dall’insegnante per favorire il buon apprendimento. I metodi di insegnamento rappresentano le forme di questa mediazione che è arte dell’incoraggiamento. Padroneggiare tale arte significa saper innescare un processo di collaborazione tra insegnanti e alunni volto a generare in loro uno stato d’animo positivo verso il raggiungimento degli obiettivi proposti. L’esperienza dell’incoraggiamento deriva dai processi cognitivi tramite i quali la situazione da affrontare è considerata superabile o quanto meno gestibile. Nella situazione dell’apprendimento l’insegnante deve: incoraggiare esperienze di successo e sviluppare motivazione intrinseca e interesse. Criteri per facilitare l’apprendimento I docenti , per favorire l’apprendimento devono prendere in considerazione i seguenti criteri: 1. La discrepanza ottimale cioè il punto di equilibrio tra ciò che l’alunno ha appreso e ciò che può ancora apprendere . Non è facile individuare tale punto critico. Si parla di arte per sottolineare l’importanza della sensibilità personale dell’insegnante . Quando l’insegnante entra in aula si trova di fronte alla più grande sfida pedagogica: l’individualizzazione. Questa è necessaria perché gli alunni sono diversi tra loro e hanno situazioni di partenza eterogenee . La lezione tradizionale è inadeguata perché si colloca su un livello di media difficoltà che non va bene per tutti. Se si semplifica troppo c’è il rischio della banalizzazione, se il compito è troppo difficile molti non riescono a seguirlo. (es: asta del salto in alto) . Se l’asta è posta obliquamente ognuno può stabilire il proprio livello di difficoltà. La discrepanza ottimale è la giusta sfida per ciascun partecipante alla gara. Ritornando alla didattica la sfida pedagogica dell’individualizzazione spinge l’insegnante a ricercare modalità didattiche su misura capaci di dare a tutti l’opportunità di conseguire il massimo delle proprie possibilità. 2. Diversificazione dei compiti Significa l’importanza di variare le modalità dell’intervento didattico , offrire la scelta tra molteplici temi di studio. 3. Apprendimento cooperativo La dimensione collaborativa rappresenta una grande risorsa per l’insegnante : la pratica della collaborazione è valida sia dal punto di vista educativo che dal punto di vista cognitivo. Ogni classe però deve diventare gruppo ed è indispensabile che gli insegnanti trasformino la propria classe in gruppo. 4. Bisogni dell’allievo L’insegnante valido tiene conto dei bisogni degli allievi anche di quelli non esplicitati. L’attenzione ai bisogni è importante per la motivazione. Il desiderio di ogni buon insegnante è trasmettere agli alunni non solo conoscenze ed abilità, ma anche la passione per gli argomenti insegnati. La vera motivazione è quella intrinseca, non quella basata su ricompense o punizioni. Agli insegnanti si richiede: • Conoscenza della propria disciplina e attenzione alle esigenze degli alunni; • Possesso di efficaci metodi e tecniche di “mediazione” e ricerca del coinvolgimento di tutti; • Sistematicità e capacità di cogliere e valorizzare l’imprevisto; • Rigore e flessibilità; sapere teorico e sapere “esperto”; • Scienza e arte. Al docente è anche richiesta la capacità di stupirsi e di appassionarsi. Solo chi è appassionato può appassionare e solo chi è interessato è capace di interessare. SECONDO CAPITOLO: SAPERE DIDATTICO E INNOVAZIONE La parola innovazione non è sinonimo di cambiamento, ma riguarda quel particolare tipo di cambiamento che consiste non nella semplice modifica dell’esistente, ma in una sua trasformazione migliorativa. LA DIDATTICA ATTIVA • Illich critica la scuola perchè • Essa ritiene che l’unico apprendimento possibile si attui tramite l’insegnamento formalizzato di un insegnante ad un allievo obbligato ad ascoltarlo; • Tende a monopolizzare il processo di formazione, così come l’industria quello di produzione; • tende ad essere autoritaria, burocratica e passivizzante • non promuove in realtà l’uguaglianza sociale , ma incrementa la disuguaglianza • estranea i ceti poveri dalla loro cultura diffondendo i modelli di vita della classe media inducendo falsi bisogni e provocando così inevitabili delusioni • La scuola , sul piano dei contenuti, tende a trascurare i problemi concreti dell’esistenza Quella di Illich è più una provocazione , che una prospettiva perseguita. In Italia l’orientamento alternativo o socio-centrico(v. esperienza di Don Milani) esprime insieme alla contestazione nei confronti della scuola tradizionale una grande fiducia nella scuola rinnovata, Il compito della scuola democratica è quello di garantire anche agli alunni aventi situazioni di maggior svantaggio il pieno successo negli studi . Inoltre la prospettiva socio-centrica ha anche un’altra caratteristica. La scuola diventa luogo di educazione democratica quando è in grado di fornire gli strumenti che consentono non solo di conoscere la realtà, ma anche di modificarla. Non basta più perciò etendere l’istruzione, ma bisogna usare quest’ultima come mezzo per superare la situazione di svantaggio sociale e di sfruttamento. Si rifà a questo orientamento Freire autore del libro “la pedagogia degli oppressi” LA DIDATTICA EPISTEMOCENTRICA Alla fine degli anni 50 l’attivismo entra in crisi e viene superato a causa di un evento apparentemente senza relazione con il mondo dell’educazione e della didattica: i russi inviano nello Spazio il loro primo satellite (lo Sputnik) battendo sul tempo gli USA. Fu uno shock per gli americani che ritenevano di detenere il primato scientifico e tecnologico. Anche il sistema scolastico fu messo sotto accusa perché gli si addebitò di essere inadeguato a fornire le conoscenze e le competenze indispensabili per la supremazia. Visto che in America era l’attivismo il modello dominante, l’Attivismo venne ritenuto responsabile del fallimento del sistema scolastico . A Woods Hole nel 1959 viene convocata una Conferenza : per iniziativa delle autorità politiche una trentina di esperti di primissimo piano, psicologi, matematici, fisici vennero chiamati a confrontarsi sul modo di rinnovare l’insegnamento. Iniziò così il curricolo moviment che porterà a ridisegnare i curricoli disciplinari . In realtà il convegno non segna un ritorno al passato, né ripudia l’attivismo pedagogico, ma ne propone il superamento senza rinnegare i principali guadagni pedagogici da esso operati. Dopo questo convegno Bruner pubblicò un libro dal titolo significativo: “Dopo Dewey” In questo libro Bruner critica il pensiero di Dewey dicendo: • È vero che la scuola ha il compito di trasmettere la cultura di una comunità ai giovani, ma la scuola ha anche il compito di preparare al futuro, di fornire nuovi mezzi per il futuro della società. Non è sufficiente “replicare” la cultura, bisogna innovarla. • La scuola è sì luogo di vita, ma è anche luogo artificiale e deve fornire strumenti per intervenire sulla realtà. • Gli strumenti sono “strumenti culturali” intesi come “amplificatori della mente. Lo strumento più importante è il linguaggio, ma, in generale, strumenti sono le discipline scientifiche. • Non è sufficiente esplorare direttamente la realtà, ma bisogna farlo utilizzando “selettori” di ricerca precisi. Tali sono i diversi punti di vista che le discipline utilizzano ed i problemi che esse cercano di risolvere. Bruner fa delle discipline il modello di riferimento per l’insegnamento e con lui il puerocentrismo è superato, si afferma un nuovo modello. L’epistemocentrismo. Schwab individua nelle discipline 2 strutture: struttura sostanziale e struttura sintattica, la prima riguarda i contenuti (informazioni, concetti, teorie), la seconda riguarda i metodi utilizzati per procurarsi i contenuti attraverso la ricerca (individuazione e soluzione di problemi). Ciò che Schwab chiama sostanza nel linguaggio comune è sinonimo di materia che è l’insieme dei contenuti che si desidera trasmettere agli alunni. Ma il concetto di disciplina è più ampio perché contiene anche la sintassi cioè il metodo utilizzato per conquistare nuove conoscenze. La centralità delle competenze Oggi vige ancora la teoria socio-centrica , ma richiede di essere rivista visto che il contesto sociale è molto diverso dagli anni 60-70. Inoltre la teoria epistemocentrica mostra i suoi limiti: le discipline appaiono troppo settoriali per comprendere la realtà contemporanea. E. Morin , uno dei maggiori teorici della teoria della complessità, ci invita a riflettere sul fatto che la scienza si è sviluppata secondo il paradigma(=modello) della semplificazione che trae origine dalla distinzione fatta da Cartesio tra natura come oggetto e soggetto pensante . Da questa distinzione è conseguita la separazione della scienza (che indaga sull’oggetto) dalla filosofia (che indaga sul soggetto). Da qui sono derivate le altre separazioni ( il sentimento dalla ragione, la cultura letteraria da quella scientifica etc.) . Si deve riconoscere che un sistema scolastico - basato su un’organizzazione dei contenuti distinti rigidamente in base alle discipline - non può fronteggiare l’impatto con la cultura contemporanea. Ne deriva che, se nell’orientamento epistemocentrico la didattica si caratterizzava per il suo conformarsi al modello scientifico, ora tale riferimento appare insufficiente. Un secondo motivo di crisi del modello disciplinare tendenzialmente enciclopedico è dato dal continuo sviluppo di conoscenze all’interno delle singole discipline e dall’aggiungersi di sempre nuove discipline. Pertanto il curricolo è pressato da 2 forze : la prima supera le barriere nazionali e si estende verso una società aperta europea ed extraeuropea , l’altra tende a privilegiare le conoscenze sull’attualità rispetto a ciò che proviene dal passato. Il curricolo così deve fronteggiare 3 orientamenti: la quantità dei contenuti, la tendenza globalizzante, la proiezione prospettica (verso il futuro) . L’orientamento verso il futuro sta diventando sempre più rilevante. Il futuro però è incerto ed è molto difficile disegnare scenari attendibili e quindi si rischia che le conoscenze faticosamente acquisite siano superate. Ecco perché si dà estrema rilevanza all’apprendimento , inteso come “competenza ad apprendere continuamente e alle “competenze”. Che cosa si intende per competenza? Negli anni 50 per competenza si intendeva la capacità di manifestare una specifica prestazione lavorativa , oggi il concetto ha subito uno sviluppo per cui si intende per • competenza la manifestazione della capacità che una persona ha di mobilizzare e utilizzare le sue risorse interiori (affettive, cognitive, volitive) per far fronte a problemi concreti, a situazioni impegnative. La competenza non si identifica con la performance, ma si manifesta nella (singola) situazione.(Pellerey) Le competenze, secondo Pellerey, sono di diversa natura: motorie, linguistiche, cognitive, tecnologiche, emozionali etc. Le competenze non si identificano con i saperi o le pratiche disciplinari e non vengono fornite dall’esterno. Appartengono alla persona, rappresentano la progressiva manifestazione e sviluppo delle originali capacità di cui ciascuno è, dalla nascita, portatore. Il bambino nasce competente e non si presenta a scuola come una tabula rasa. Va quindi pensato come un centro attivo di competenze da sostenere e orientare. L’insegnante deve concorrere allo sviluppo delle competenze degli allievi. Per competenza si intende quindi il livello di sviluppo delle potenzialità della persona. Verso la scuola dell’apprendimento La tradizionale missione della scuola e dell’università , quella della formazione di un cittadino nazionale, oggi si riforma e si moltiplica aggiungendo il nuovo obiettivo della formazione del cittadino europeo e mondiale. Se la riforma è necessaria a tutti, il grosso problema è come riformare il sistema scolastico per l’ oggettiva complessità del problema. Si è giustamente riconosciuta l’influenza che, a proposito di riforme scolastiche hanno avuto i Rapporti Internazionali. IL più famoso è il Libro Bianco dell’Istruzione “Verso una società conoscitiva”(1995) . In questo Rapporto si afferma che l’apprendimento è la vera risorsa da coltivare, per affrontare i problemi del cambiamento e le sfide del futuro. Lo slogan che sintetizza l’idea fondamentale del rapporto è “imparare ad apprendere”. Se la finalità è questa di “insegnare ad apprendere “ vanno riviste le modalità di insegnamento utilizzate. Un altro Rapporto, di qualche anno successivo (1997) , quello UNESCO curato da J. Delors e intitolato Nell’educazione un tesoro, ha esercitato una notevole influenza sulle riforme scolastiche. Esso individua i cosiddetti 4 pilastri dell’educazione: • Insegnare ad apprendere • Insegnare a fare • Insegnare a vivere • Insegnare a convivere I due rapporti ci indicano 2 possibili percorsi di riforma : la prima funzionalista(Libro Bianco) , la seconda (Delor) antropocentrica . La teoria funzionalista intende la scuola al servizio del progresso economico e considera corretto che sia il mercato a dettare gli indirizzi che guidano i curricoli. Le competenze da sviluppare si fondano sul valore-guida “apprendimento” e riguardano i saperi ritenuti utili , cioè rispondenti alle richieste del mercato. Secondo questa teoria, una volta individuati i profili di uscita finali, vanno definiti e gli obiettivi specifici di apprendimento, ritenuti di volta in volta adeguati alle diverse età degli studenti. La sopravvalutazione dei saperi utili non implica la scomparsa di altri insegnamenti meno immediatamente spendibili, ma sicuramente la loro marginalizzazione. La prospettiva antropocentrica, invece, costruisce il curricolo partendo dalle esigenze di sviluppo della persona . Il curricolo nasce dal basso e le competenze di riferimento non sono determinate in riferimento al prodotto finale , ma riguardano le capacità fondamentali della persona. Il riferimento agli aspetti funzionali dell’istruzione non è del tutto trascurato, ma è spostato in avanti, nei cicli più avanzati. Nei cicli iniziali dell’istruzione prevale l’attenzione all’unitarietà della persona . Imparare ad apprendere è uno dei valori guida , ma non è l’unico. Si prende in considerazione anche l’imparare a vivere e a convivere. Morin nella “Testa ben fatta” scrive: “Come affermava Durkheim l’oggetto dell’educazione non è dare all’allievo una quantità sempre maggiore di conoscenze, ma costruire in lui uno stato interiore profondo” Ciò significa che imparare a vivere richiede non solo conoscenze , ma la trasformazione della conoscenza in sapienza. Si tratta, in campo educativo, di trasformare le informazioni in conoscenza e la conoscenza in sapienza. La cultura umanistica , riservata in passato solo ad una elìte, deve divenire ,invece, una preparazione alla vita per tutti. • La seconda riguarda il soggetto: questo deve possedere già le idee pertinenti a cui poter collegare il nuovo contenuto; • Anche la terza riguarda il soggetto: deve essere disposto a mettere realmente il nuovo contenuto in relazione con la sua struttura cognitiva ; • La quarta condizione riguarda il processo: il modo con cui il nuovo contenuto viene incorporato:. Occorre che la significanza logica del contenuto si trasformi in significanza psicologica (relativa al soggetto che apprende) In conclusione l’apprendimento significativo è sempre una modificazione attiva della struttura cognitiva del soggetto, sia che tale modifica avvenga attraverso un metodo euristico o espositivo cioè indipendentemente oppure attraverso il docente. Secondo Ausubel l’organizzazione del materiale di studio risulterà efficace se verrà strutturata secondo i seguenti principi: • le idee più generali e comprensive vengono presentate prima e poi differenziate in base alla specificità e particolarità • evidenziazione di somiglianze e differenze significative tra gli argomenti affrontati • consolidamento delle conoscenze già acquisite prima di introdurne nuove. In sintesi scopo del metodo didattico è la realizzazione dell’apprendimento e, ove quest’ultimo consista nell’acquisizione di significati, il problema che il metodo deve risolvere è la creazione di un corretto sistema di relazioni costituito da 1. operazioni sul soggetto di cui andrà suscitata la motivazione, attirata l’attenzione 2. operazioni sull’oggetto : analisi della sua struttura 3. operazioni di natura mediazionale costituite per lo più dall’analisi del compito al fine di individuare i concetti organizzatori più adeguati per ottenere un corretto apprendimento NB : Secondo David P. Ausubel i concetti semplificano, ordinano e organizzano la realtà e agiscono come organizzatori, come idee ancoraggio, come una sorta di calamita in grado di attirare nuove conoscenze e costituiscono un'impalcatura per quello che il soggetto va via via apprendendo. IL METODO DIDATTICO COME FACILITATORE DELL’APPRENDIMENTO L’apprendimento è sempre frutto di una relazione : l’opera dell’insegnante consiste nel facilitare l’incontro tra soggetto e oggetto di conoscenza. Ci sono una serie di passaggi obbligati attraverso i quali l’insegnante facilita l’apprendimento: • Suscitare interesse e motivazione • Tenere desta l’attenzione • Dirigere l’attenzione su ciò che è rilevante • Richiamare i prerequisiti e le conoscenze presenti negli alunni • Presentare in forma chiara ed efficace i contenuti • Stimolare negli alunni risposte, osservazioni, partecipazione • Favorire il trasferimento di quanto appreso in altri contesti • Controllare la ritenzione di quanto appreso e l’effettiva comprensione La trasmissione culturale diventa scienza dell’insegnamento nel momento in cui assume le caratteristiche di processo che si autocontrolla per migliorare e aumentare la sua efficacia. CAPITOLO QUARTO: ORIENTAMENTI METODOLOGICI I docenti , per facilitare l’apprendimento significativo, possono scegliere tra una molteplicità di metodi didattici o possono alternarli in relazione agli obiettivi di apprendimento che perseguono. I metodi disponibili si possono riunire in 2 orientamenti principali : L’orientamento espositivo ha come preoccupazione prevalente quella di trasmettere i contenuti dell’insegnamento e si posiziona sul polo classico; l’orientamento euristico invece si posiziona sul polo romantico essendo più attento alle esigenze dei soggetti che apprendono. Si deve subito dire che ogni metodo (che sta all’interno di questi orientamenti es: metodo della ricerca , della didattica per concetti etc) non è mai puro- o solo euristico o solo trasmissivo – ma ricorre, anche se in modo diverso, ad entrambe le modalità sia pur in misura diversa.. Classifichiamo i diversi metodi come euristici se la predominanza è data da momenti nei quali si richiede il lavoro autonomo dell’alunno e si stimola il problem-solving, come trasmissivi se ha maggior rilevanza la comunicazione verbale dell’insegnante su un certo argomento. Nei diversi metodi didattici distinguiamo 2 aspetti: • la metodologia (parte che contiene le motivazioni teoriche che permettono di scegliere e utilizzare le diverse tecniche didattiche) • le tecniche didattiche ( questa parte è più neutra e non esclusiva. Esempio: la tecnica della costruzione di una carta tematica in geografia come quella climatica si può utilizzare sia all’interno del metodo euristico che di quello espositivo). I diversi metodi didattici sono un patrimonio professionale a disposizione degli insegnanti che devono ben conoscere tutti i diversi strumenti per poter consapevolmente scegliere e alternare quelli più adeguati . Essi non vanno applicati rigidamente e in maniera esecutiva . E’ inoltre opportuno un approccio professionale e non ideologico . Orientamento espositivo I metodi didattici di tipo espositivo si caratterizzano per la prioritaria attenzione ai contenuti da trasmettere . Il loro punto di vista privilegiato è quello della “materia”. Il modello emblematico , riassuntivo di questa impostazione è rappresentato dalla lezione. Ci sono però vari tipi di lezione: A)Lezione tradizionale. Per molto tempo il metodo della lezione tradizionale è stato dominante nella scuola, e ancora oggi resta la pratica più diffusa anche se la più criticata . Infatti la ripetizione delle parole dell’insegnante ancora oggi paga forse perché ha un carattere rassicurante, in quanto non fa correre dei rischi. Ciò che non è ripetitivo è difficilmente paragonabile e giudicabile. Quando invece la scuola è nuova, atipica tutto può succedere ed è questo tutto che angoscia i docenti, i genitori e i bambini. Quanto detto per la scuola primaria vale anche per gli altri ordini di scuola. Indubbiamente i limiti della lezione tradizionale sono molti: tratta le discipline tutte allo stesso modo indipendentemente dalle loro specificità , la relazione che si instaura tra insegnante e studente è di tipo lineare, poco coinvolgente e segue modalità rigide , 1. la spiegazione degli insegnanti, che in realtà non è spiegazione ma descrizione, consiste in una traduzione linguistica tendente alla semplificazione attraverso parafrasi ed esempi e sfocia spesso nella banalizzazione. In ogni caso il limite da cui non riesce ad uscire consiste nel fatto che al massimo favorisce la trasmissione di conoscenze da memorizzare, ma non controlla i processi più profondi di comprensione ed elaborazione delle informazioni stesse. 2. Lo studio e l’esercitazione, per conseguire la memorizzazione dei contenuti proposti, impegnano l’alunno a livello recettivo , nell’immagazzinamento e conservazione dei dati che poi gli verranno richiesti e che poi dovranno restituire inalterati. Non è prevista una partecipazione più attiva. 3. L’interrogazione (sia orale che scritta) di conseguenza ha lo scopo di accertare il grado e la qualità della ritenzione delle conoscenze. La funzione è comunque quella di accertare non tanto la comprensione autentica quanto l’efficiente memorizzazione. 4. La valutazione finale spesso risulta quasi coincidente con l’esito dell’interrogazione, preoccupata più di quantificare, attraverso voti o giudizi, il grado di coincidenza tra quanto esposto dall’insegnante e quanto immagazzinato che di verificare la capacità di riflessione personale. Questo tipo di lezione ha 2 limiti: l’eccessivo verbalismo e la rigidità nella interazione con gli alunni. Non sa tener conto della durata dell’attenzione, ma è incapace di adattarsi alle diverse condizioni di partenza degli alunni Neanche il miglior insegnante può evitare che la lezione tradizionale risulti rigidamente uniformizzante: tutti gli alunni, contemporaneamente ed indipendentemente dal loro stato emotivo e dalla loro situazione di partenza, ascoltano le stesse parole. L’insegnante è orientato ad adeguare la propria lezione su standard di difficoltà media finendo col penalizzare sia gli alunni con particolari problematiche che quelli più preparati o più dotati. • La lezione strutturata I limiti della lezione tradizionale, tuttavia, possono essere superati, perché non riguardano la lezione, come metodo di trasmissione delle conoscenze, ma le modalità generiche di utilizzarla. Tali critiche però hanno portato ad un ripensamento della lezione facendone emergere i vantaggi, purché venga usata in modo finalizzato e competente. Il ricorso alla lezione può essere efficace quando si tratta di economizzare il tempo disponibile, di dare a tutte le stesse informazioni e di interagire con classi numerose. Un utilizzo efficace della lezione richiede però una sua profonda ristrutturazione. Castagna individua 3 modelli di lezione: deduttiva, induttiva, per problemi. 1. Nella impostazione deduttiva l’insegnante introduce gli argomenti partendo dai principi generali . Essi consentono di inquadrare i contenuti che si vanno via via introducendo in uno sfondo sensato. 2. Nell’impostazione induttiva si agisce al contrario , cioè partendo da un caso particolare ritenuto emblematico. A partire dal caso particolare si sollecitano riflessioni e considerazioni, al fine di superare le informazioni particolari , per arrivare alle idee più generali e favorire le concettualizzazioni. 3. L’impostazione per problemi si colloca in una posizione intermedia tra orientamento euristico ed espositivo. L’ avvio della lezione avviene con domande stimolo che focalizzano l’attenzione e stimolano la discussione per trovare la soluzione al problema posto. La lezione strutturata è diversa da quella tradizionale proprio per il fatto che considera la trasmissione delle conoscenze volta a favorire, non la ricezione passiva e la memorizzazione, ma a promuovere le attività cognitive significative ( la riflessione, la discussione, la rielaborazione, i processi di analisi e generalizzazione ). Lezione come comunicazione strutturata (R.M. Gagné) Gagnè ha contribuito alla definizione della lezione in termini di comunicazione strutturata individuando nella sequenza di insegnamento una serie di fasi, avente ciascuna una precisa funzione didattica • Ottenere l’attenzione degli allievi • Comunicare gli obiettivi dell’unità di apprendimento • Favorire l’emergere del ricordo, richiamare i prerequisiti • Presentare il materiale di apprendimento • Fornire una guida all’apprendimento (suggerimenti, domande stimolo…) In altre parole sono mediatori attivi quelli nei quali interviene l’azione ( esperimenti) , iconici quelli che utilizzano le immagini , simbolici le parole o i numeri e ( narrazioni degli alunni, sintesi) analogici il gioco. La didattica per concetti condivide con il metodo della lezione 2 fondamentali preoccupazioni: quella della trasmissione dei contenuti culturali e quella di risparmiare i tempi specie in considerazione dell’ampiezza dei programmi . La critica mossa alla lezione consiste nel fatto che questa utilizza prevalentemente i mediatori simbolici specie quello verbale. Inoltre i mediatori simbolici sono distanti dall’esperienza degli alunni e non facilitano la comprensione del messaggio. Essi rischiano di farsi influenzare dal fascino di chi parla. La critica rivolta alla didattica della lezione non porta al rifiuto di tale metodo, ma ad una revisione profonda di questo. L’INTERAZIONE VERBALE Una lezione efficace non si basa solo sulla parola dell’insegnante, ma può far ricorso a altre modalità di mediazione come immagini e schemi , tuttavia il nucleo comunicativo essenziale è affidato al linguaggio. A) la buona comunicazione verbale ha le seguenti caratteristiche : 1. Continuità :essa ha a che fare con le connessioni tra una lezione ed un’altra, tali connessioni devono essere evidenti agli allievi . Anche la fluidità della comunicazione, che dipende dalla padronanza della materia, è importante. 2. Semplicità. Questa riguarda la capacità di rendere comprensibile il proprio discorso grazie ad un attento utilizzo del linguaggio adeguato agli alunni. 3. Chiarezza : essa è favorita dal possesso di uno schema espositivo preciso e strutturato in cui siano evidenti le informazioni essenziali, ma anche i legami di causalità e temporalità tra le diverse componenti. B) Uso delle domande e dei suggerimenti Il maestro non è tanto chi sa dare le risposte quanto chi sa porre le giuste domande . Una buona domanda obbliga alla riflessione, stimola la ricerca di possibili soluzioni e svolge una preziosa azione motivante. Ci sono varie tipologie di domande: Un primo tipo è volto a verificare il possesso della conoscenza Un secondo tipo è costituito da quelle volte a provocare un maggiore approfondimento delle conoscenze. Esempio quando si chiede di esprimere un giudizio personale su una lettura svolta. Una terza tipologia è costituita da domande volte a favorire una più profonda analisi di un fatto o di un argomento, in modo da consentire l’identificazione delle relazioni causali,i a formulare inferenze (=deduzioni) , a trarre generalizzazioni. Anche i suggerimenti sono molto importanti. Spesso gli insegnanti in caso di incertezza dell’alunno tendono a fornire direttamente le risposte,. Invece può essere molto più efficace aiutare l’alunno attraverso suggerimenti mirati che lo aiutino a recuperare le informazioni, a far ordine nei suoi pensieri, a provare altre strade rispetto al percorso che non ha avuto successo. L’insegnante può usare un singolo suggerimento o una serie di suggerimenti per guidare l’alunno ad una risposta migliore. I suggerimenti si utilizzano quando le risposte dell’alunno sono incerte o incomplete o corrette solo parzialmente o addirittura assenti. • L interazione verbale Si distinguono 2 diverse modalità di contatto con l’alunno da parte dell’insegnante a seconda che il maestro assuma l’iniziativa o risponda agli interventi dei suoi alunni. Secondo Flanders ci sono 2 stili di insegnamento che l’insegnante può assumere: 1. il docente fornisce indicazioni, dà ordini, avanza critiche su comportamenti che valuta non corretti, rimprovera (insegnamento diretto) 2. docente accetta gli interventi, elogia e incoraggia, utilizza le idee degli studenti, gli studenti pongono domande sui contenuti ed esprimono le proprie idee se sollecitati. (insegnamento indiretto) Flanders privilegia l’insegnamento indiretto , nel quale oltre alla comunicazione verbale viene utilizzato, da parte dell’insegnante, un atteggiamento di accoglienza e di apprezzamento e di incoraggiamento, ma ritiene che ci debba essere un buon equilibrio tra le due modalità . PRO O CONTRO LA LEZIONE Da tutto quanto detto ne risulta che non si tratta di avversare a priori la didattica della lezione, ma il fatto è che non esiste un unico modello di lezione , ma la medesima parola copre modalità di impostazione didattica molto diverse. Non bisogna ragionare per contrapposizioni, ma tenere presenti gli aspetti qualificanti della lezione efficace che sono: • Buona strutturazione didattica della comunicazione • Intensità della partecipazione degli allievi • Il procedere indiretto, il ricorso alla funzione euristica della lingua • La disponibilità ad accogliere gli interventi degli alunni • Il clima di accoglienza ed incoraggiamento Inoltre bisogna aggiungere il ricorso non solo al linguaggio verbale, anche ma ad altre forme di mediazione didattica (esempio l’immagine) . Infine bisogna anche considerare l’età degli alunni a cui ci si rivolge . Nella scuola d’infanzia e primaria la lezione si deve utilizzare con moderazione, il discorso è diverso alle scuole superiori dove gli allievi hanno una maggiore capacità di astrazione. Orientamento euristico Questo orientamento comprende quei modelli didattici che sono particolarmente focalizzati sul soggetto in apprendimento e fanno del protagonismo dell’alunno il punto di riferimento costante dell’azione didattica Secondo questo orientamento chi impara è messo in condizione di scoprire da solo le cose . A volte viene definito come “scoperta guidata” e comporta la creazione di condizioni favorevoli di apprendimento. Richmond parla di metodo euristico (mentre Fiorin preferisce considerarlo orientamento) ma la sua definizione individua chiaramente i punti di forza di questa impostazione: riferimento al modello scientifico, funzione delle ipotesi degli allievi, l’apprendimento tramite sperimentazione diretta.. All’interno di tale orientamento ci sono molte impostazioni metodologiche anche diverse tra loro , ma noi ne analizziamo soltanto tre : puerocentrica, socio-centrica e epistemocentrica )a Ricerca d’ambiente (impostazione puero-centrica) . L’attivismo pedagogico ha il merito di aver sottolineato la centralità dell’alunno nel processo di insegnamento . Tale centralità significa non solo che l’insegnante deve adeguare le proprie proposte didattiche sugli interessi e i bisogni degli alunni, ma anche che deve assegnare loro un ruolo che li renda attori del percorso di acquisizione delle conoscenze . Il superamento della didattica della lezione comporta l’adozione di modalità didattiche alternative, e quella che più risponde all'orientamento attivistico si riassume nella parola “ricerca” .Oggetto privilegiato della ricerca attivistica è l’ambiente di vita degli alunni. L’attivismo si pose in aperta polemica con la lezione verbale per ragioni non solo metodologiche, ma anche culturali. L’ambiente viene considerato una fonte di continua incentivazione degli interessi degli alunni , anche se il significato di ambiente viene inteso in termini prevalentemente riduttivi perché viene fatto coincidere quasi esclusivamente con l’ambiente naturale o con l’ambiente locale, mentre manca una considerazione più adeguata a cogliere la complessità della realtà ambientale, intesa soprattutto nella accezione (=significato) di ambiente culturale. Prevale in molte esperienze pratiche dell’attivismo una concezione romantica dell’insegnamento, l’esaltazione dei valori della natura , la convinzione che ciò che è più vicino alla vita del bambino sia per lui più interessante e più semplice da apprendere. E’ facile notare che questa è una convinzione riduttiva, tanto più se si considera che per tanti studenti, che vivono in città, l’ambiente “naturale” è di fatto inaccessibile. Tutto ciò che non riguarda l’immediato dato osservabile e che pure è culturalmente significativo fatica a trovare spazio in una didattica dell’azione (se faccio capisco), ma non bastano l’azione o la ricerca per tentativi ed errori , se non si vogliono fare ricerche episodiche e scollegate le une dalle altre. In definitiva, senza voler sminuire il ruolo che l’esplorazione dell’ambiente ricopre bisogna che ci sia la consapevolezza che non basta un approccio localistico a garantire la significatività dell’apprendimento. Tale approccio comporta infatti 4 rischi : .1 enciclopedismo: emerge quando, esaminando dei lavori si vede come questi si esauriscano nella preoccupazione di informare, e di fornire una quantità enorme di nozioni che però appaiono fine a se stesse. Il rischio è passare da una didattica verbalistica , centrata sul manuale scolastico, criticato perché ritenuto enciclopedico, ad un manuale ad esempio di storia o cultura locale altrettanto carico di nozioni e inoltre senza una valida giustificazione scientifica o culturale. .2 nozionismo : Le nozioni sono necessarie perché sono la materia della conoscenza, ma sono anche una materia che si deve elaborare per costruire concetti più generali applicabili anche in altri ambiti . .3 scambiare per semplice ciò che è quotidiano, vicino al nostro ambiente di vita. Certamente l’ambiente di vita si può considerare come un libro da cui attingere, ma se si studiano i contenuti significativi è inevitabile che siano anche complessi, anche se sono vicini. La complessità c’è sempre , quando l’apprendimento non è banale. .4 ritenere naturalmente interessante e motivante l’ambiente di vita . Infondata è anche l’idea dell’attivismo che lo studio dell’ambiente di vita sia più facilmente fonte di interesse e di motivazione. In realtà ciò che abbiamo sempre sotto gli occhi ci appare scontato, mentre più facilmente l’allievo si interessa quando incontra qualcosa di inconsueto e di inatteso, qualcosa che sorprende o meraviglia. • Petter distingue quindi tra problemi che nascono dall’accorgersi di avere delle lacune , altri che si evidenziano in presenza di qualche contraddizione. Anche la curiosità ha la capacità di coinvolgere e di interessare , è però più semplice del problema perché scaturisce da una lacuna che viene colmata non appena si riceve l’informazione mancante. Mentre quello che Fiorin intende per problema ha a che fare con la presenza di una contraddizione e quindi di un conflitto. In realtà la ricerca scientifica prende sempre inizio da problemi. E il problema è sempre un’aspettativa delusa. Noi ci meravigliamo di un fatto che ci appare strano. • Nel problema però c’è un altro elemento importante : la complessità . L’interrogativo cui il problema dà vita non può essere risolto semplicemente fornendo l’indicazione mancante. • Dissonanza o conflitto cognitivo e complessità appaiono elementi fondamentali del problema. La didattica per problemi intende anche il problema come nodo da esplorare all'interno di un determinato ambito disciplinare. Non si tratta solo di un problema cognitivamente rilevante, ma anche disciplinarmente rilevante. Il modello di riferimento è dato dalla conoscenza scientifica e in particolare dal modo di procedere dello scienziato . La conoscenza umana nasce da uno stupore iniziale, che prima ha catturato l’attenzione e poi ha messo in moto le energie intellettuali. CAPITOLO QUINTO . LA SCUOLA DEL CURRICOLO La scuola del curricolo • F. Bobbit nel suo “The curricolo” (1918) identifica due principali filoni, uno più teso a sottolineare la dimensione razionale del curricolo, o del curricolo esplicito, l’altro quella contestuale o sociale o del curricolo implicito, relativa all’ambiente, più o meno prossimo. Istanza razionale Si sente l’esigenza ( soprattutto negli USA e in GB) di essere più consapevoli dell’efficacia e dell’efficienza e della controllabilità del percorso. • R. Tyler propone quattro fondamentali domande che chi deve definire un curricolo esplicito deve considerare : • Questione degli obiettivi ( quali finalità ci si propone con l’insegnamento?) • Questione dei contenuti (quali esperienze educative posso utilizzare?) • Questione dei metodi (come organizzare le esperienze educative scelte?) • Questione della verifica ( come verificare se le finalità individuate sono state raggiunte?) Sono queste domande il punto di avvio della riflessione che si svolge lungo la linea della razionalità che ha alimentato la cosiddetta pedagogia degli obiettivi. ISTANZA SOCIALE • J. Schwab (1978) fa emergere la caratteristica di collegialità professionale che deve presiedere all’elaborazione curriculare. Apre così la strada alla considerazione sociale del curricolo. L’istanza sociale si presenta secondo due modalità : quella interna alla scuola e quella esterna alla scuola. • S.B. Robinson (1976) distingue due distinti orientamenti che devono essere presenti in un curricolo: un primo orientamento di tipo generale considera la formazione culturale e personale, un secondo è più rivolto alla formazione settoriale o professionale. Per Robinsohn la fonte del curricolo non va individuata nell’analisi dei bisogni individuali (Cfr. Taba) quanto nella ricerca di situazioni di vita probabili, nel più o meno prossimo futuro. In altre parole la scuola deve saper leggere la domanda della società in evoluzione . • L. Stenhouse (1977) sottolinea la dimensione di strumento progettuale della comunità scolastica. Il curricolo è il principale strumento a disposizione della comunità scolastica per realizzare la propria proposta educativa. Tale proposta deve essere resa pubblica. Il curricolo include i contenuti, i metodi e gli aspetti organizzativi. Il curricolo è considerato più come un processo di soluzione di problemi che come azione lineare di conseguimento di obiettivi specifici. • OLTRE I PROGRAMMI VERSO IL CURRICOLO Il tema del curricolo non è certamente nuovo nel dibattito pedagogico e didattico. Nuovo è invece il contesto entro cui si colloca la riflessione sul curricolo dopo l’entrata in vigore della legge 59/97 sull’autonomia. L’elemento maggiore di novità consiste nel superamento della concezione centralistica dei programmi. I programmi centrali hanno , come noto, carattere prescrittivo e orientativo per garantire un minimo di uniformità. In altri paesi, invece, il riferimento centrale è meno forte e si tende a garantire invece la specificità delle singole scuole valorizzando i legami con le comunità locali. In Italia a partire dagli anni 70 inizia il lungo itinerario di indebolimento della logica centralistica per valorizzare l’autonomia passando dalla scuola dei programmi alla scuola del curricolo. Pertanto, da una situazione che vedeva gli insegnanti impegnati ad applicare le richieste dei programmi, secondo modalità di tipo esecutivo si è passati alla situazione ben diversa in cui i docenti, attraverso lo strumento della programmazione, più che esecutori sono diventati interpreti, non più preoccupati di svolgere l’intera serie di contenuti previsti, ma di scegliere, prestando attenzione alla realtà in cui operano. Il passaggio dalla esecutività all’interpretazione avviene a partire dagli anni 70 ( che è anche passaggio dal profilo impiegatizio a quello del professionista) Organi collegiali - (Decreti Delegati del 1974) Gli anni 70 sono anni di profondo cambiamento anche sul piano normativo. Basti pensare all’introduzione degli organi collegiali introdotti con i Decreti Delegati. Gli organi collegiali rispondono alla duplice istanza di professionalizzazione e di partecipazione sociale. Il Collegio dei docenti rappresenta il nuovo soggetto professionale, destinato a contare sempre più sul piano delle scelte didattiche e segna il superamento di una concezione individualistica dell’insegnamento. Il Consiglio di Circolo o d’Istituto risponde al bisogno di rendere partecipato socialmente il compito della scuola. Il curricolo si pone come elemento di sintesi tra le 2 diverse istanze professionale e social- partecipativa. Da un lato infatti assume una logica e una metodologia ispirate alla razionalità e alla operatività; dall’altro non si limita al campo della didattica ma prende in considerazione anche il contesto organizzativo più ampio. Una delle caratteristiche principali della scuola del curricolo è l’attenzione alla realtà sociale entro la quale la scuola opera. Con il nuovo profilo dato alla funzione docente dai Decreti Delegati ci si avvia verso una connotazione più propriamente professionale del ruolo. Le due istanze, però, sono tendenzialmente divaricanti. In effetti se si accentua l’istanza professionalizzante, il rischio è quello di favorire un maggior distanziamento della scuola dalla comunità (il professionista non vuole ingerenze di non addetti ai lavori), se si accentua l’istanza sociale, invece, si corre il rischio di un abbassamento della qualità didattica per lo spazio assunto da soggetti che non hanno le competenze adeguate per far funzionare il servizio. Le due istanze trovano nel concetto di curricolo il loro punto di sintesi. Come ha detto Scurati, il curricolo poggia su 4 cardini: la realtà, la razionalità, la socialità e la trasparenza. Il riferimento alla realtà è un elemento essenziale del curricolo che viene ad essere una sorta di vestito su misura della scuola considerata nel suo radicamento territoriale (la realtà) . Una delle caratteristiche principali della scuola del curricolo è l’aderenza alla realtà sociale entro cui la scuola opera. La didattica deve essere concepita come situata in un particolare contesto sociale, economico e culturale. La razionalità del curricolo consiste nella competenza a definire gli obiettivi precisi, nella efficacia a raggiungere tali obiettivi e nell’efficienza nel predisporre risorse e nell’impiegare modalità operative per raggiungerli. Il curricolo è inoltre un prodotto sociale, in quanto frutto della capacità della negoziazione interna alla scuola tra le diverse componenti presenti in essa ed anche esterna viste le numerose relazioni che legano la scuola ad altri soggetti, istituzionali e non, presenti nel territorio (socialità) . Infine la logica del curricolo impone che quanto viene predisposto sia comprensibile, comunicato socialmente e verificabile . La trasparenza è la condizione della possibilità continua di ridefinizione e di miglioramento del curricolo. Un’altra legge, la n. 517/77 introduce la metodologia della programmazione di tipo curricolare . Questa metodologia si fonda sulla teoria degli obiettivi che indica agli insegnanti di seguire, nell’elaborazione dei curricoli, le seguenti tappe essenziali: • Analisi della situazione iniziale • Selezione e definizione degli obiettivi • Scelta dei contenuti o delle attività • Scelta dei metodi e dell’organizzazione didattica • Verifiche e valutazione CURRICOLO COME ESPRESSIONE DELL’AUTONOMIA DELLA SCUOLA Se la programmazione di tipo curricolare consisteva nel mettere in “azione didattica” il programma, secondo una relazione top-down (=dal programma nazionale si ricavano le diverse programmazioni) il curricolo al posto del programma comporta che la progettazione si costruisce dal basso. Rispetto al programma il curricolo è di più rapida definizione e più facilmente rivedibile, nonché più flessibile e capace di adattarsi a situazioni che si trasformano rapidamente. Il passaggio al curricolo introduce inevitabilmente una forte diversificazione. Il problema quindi di garantire sia la specificità progettuale delle scuole sia la tenuta del sistema esiste e non può essere evitato. Il fatto che il curricolo prenda il posto dei programmi nazionali va visto come inevitabile conseguenza dell’autonomia scolastica. Il programma nazionale ha senso in un sistema scolastico fortemente centralizzato. Nei confronti della varietà delle situazioni scolastiche il programma nazionale offre indicazioni uniformi, ma anche così generali da risultare generiche. Con l’autonomia i docenti e la comunità scolastica più ampiamente considerata diventano co-elaboratori del curricolo. d) progressività e gradualità: bisogna tener presente l’esigenza di garantire l’unitarietà al percorso degli alunni . Questa esigenza è stata uno dei motivi che hanno portato al riordino dei cicli. L’individuazione di questi criteri fa emergere chiaramente come la scuola non possa più inseguire l’accumulazione delle conoscenze, ma debba superare i programmi tradizionalmente intesi. Le competenze (e non le discipline) rappresentano la principale fonte del curricolo. Le discipline hanno perciò un ruolo strumentale e vanno intese come mezzi di educazione e non finalità della scuola. Ma come si definiscono le competenze? Ci sono varie interpretazioni ma le più accreditate sono due: a) le competenze previste dal curricolo vengono definite prendendo in considerazione quelle ritenute indispensabili per l’inserimento nella professione o per la continuazione degli studi all’università b) le competenze sono definite in relazione alle aree di potenzialità della persona. In questa accezione non sono importanti soltanto leggere, scrivere e far di conto , conoscere una seconda lingua o le tecnologie informatiche, ma anche altri tipi di sapere legati alla ricerca della bellezza, della verità, all’etica etc. Se si opta, come auspicabile, per la semplificazione dei contenuti si impone una particolare attenzione alla scelta dei contenuti che devono proporsi come essenziali. Qui entrano in gioco criteri oggettivi e soggettivi. Oggettivi sono i principi che caratterizzano la disciplina e da cui non si può prescindere (es: concetto di paesaggio in geografia) . Molto più esposti all’interpretazione soggettiva sono gli elementi essenziali per altre discipline. Es : quali autori inserire e quali no? Non è facile scegliere che cosa proporre come irrinunciabile allo studio dei giovani, ma è un compito che non può essere eluso. IL CURRICOLO DELLA SCUOLA Nella scuola dell’autonomia lo spazio di decisionalità della scuola è aumentato. Il principale problema riguarda la questione del corretto rapporto tra istanza nazionale e istanza locale. Da una parte non mancano coloro che vedono con sfavore il pluralismo progettuale e tentano di limitare la competenza delle scuole , dall’altra ci sono coloro che, all’opposto, ritengono che a livello locale si possa formulare un’offerta di contenuti più vicini alla realtà di vita dei ragazzi. Il problema non si risolve semplicemente identificando una giusta quota locale , ma definendo prioritariamente ciò che spetta al centro e ciò che spetta alle scuole. Che cosa compete al Ministero? Al Ministero spetta stabilire i vincoli temporali ( quanto deve durare l’anno scolastico , il monte-ore complessivo, quello minimo per ciascuna disciplina,) ma anche le competenze a livello qualitatitivo ( es. quali discipline sono fondamentali) Di conseguenza alla scuola spetta di completare quanto non definito (organizzazione interna, integrazione delle discipline) . Il ministero chiede alle scuole di completare il quadro degli insegnamenti e le scelte della scuola sono obbligatorie e non facoltative per gli alunni. Chi si iscrive ad una istituzione scolastica accetterà il POF (piano offerta formativa) che la scuola ha predisposto. Corrispettivamente le scuole hanno un altro compito: integrare gli argomenti essenziali. Ciò comporta dei rischi: quali criteri utilizzare per operare le integrazioni, quale attenzione dare alla realtà locale? I rischi sono quelli dell’accostamento di argomenti locali che non hanno connessioni con il curricolo nazionale che nei casi peggiori possono sfociare in un nozionismo localistico . (es: storia padana) La prospettiva corretta appare quella della integrazione tra livello nazionale e locale. Questo è possibile se la realtà locale non si riduce a prigione, ma costituisce radice della formazione di base. Occorre perciò disporre di convincenti criteri per selezionare i contenuti a livello locale. Essi sono • Significatività psicologica: questo criterio rimanda al legame psicologico ed affettivo che c’è tra gli alunni ed il loro contesto di vita. Non è un legame scontato perché spesso l’ambiente di vita appare ovvio e scontato. Compito dell’insegnante è quello di far vedere in modo non scontato, ma problematico la realtà della vita . La realtà locale si presta ad essere un grande laboratorio di ricerca. • Significatività sociale: ci sono temi che l’ambiente di vita sembra quasi naturalmente suggerire e la scuola del curricolo deve avere la capacità di leggere pedagogicamente il proprio contesto. La scuola non può essere intesa come un momento distaccato dalla realtà. I ragazzi che entrano in aula si portano dietro ansie e problemi del loro ambiente di vita. E’ in questo ambiente che i grandi problemi ( intercultura, emarginazione, degrado ambientale) assumono concretezza. • Significatività culturale. Questo criterio si riferisce alla rilevanza culturale delle tematiche ambientali. Come evitare che l’attenzione alla realtà locale scada nel localismo deteriore? Il curricolo della scuola non va inteso come accostato e aggiuntivo a quello nazionale, ma come integrativo. E’ nella concretezza del locale, infatti, che si incontrano i grandi problemi e le questioni di carattere generale. Non esiste infatti un paese , per quanto dimenticato possa essere dalla storia o dalla geografia ufficiale, nel quale non si possano ritrovare tutti gli elementi fondamentali della cultura. LA PROGETTAZIONE DELL’UNITA’ DIDATTICA. La progettazione del curricolo disciplinare riguarda la definizione degli obiettivi generali, la scelta dei grandi temi che si vogliono svolgere. Il curricolo è un progetto di ampio respiro che si distende almeno per un anno scolastico, se non di più. Una simile operazione richiede di essere dettagliata “in itinere “(=durante il cammino) attraverso una migliore specificazione degli obiettivi, la scelta dei contenuti, la organizzazione delle sequenze didattiche funzionali agli obiettivi specifici delineati. Quando si passa dal curricolo alla sua scansione temporale ci si occupa delle cosiddette “unità didattiche” .Sono unità didattiche le unità di articolazione compiuta che riflette nella sua struttura particolare la struttura generale del curricolo. Pellerey definisce l’unità didattica una ipotesi di esperienza di apprendimento sufficientemente articolata nella sua struttura interna. Chi intende la definizione degli obiettivi come predefinibile e prescrittiva ,tanto da intendere gli obiettivi come comportamenti attesi, non è favorevole a considerare l’unità didattica come ipotesi di lavoro. In una accezione funzionalista o comportamentista il rapporto tra insegnamento e apprendimento è inteso come rapporto tra causa ed effetto. Se, invece, si sottolinea il carattere ipotetico del proprio disegno preventivo allora l’imprevisto non è una parte di disturbo, ma significativa. Il modello non è lineare, ma circolare , gli obiettivi didattici possono essere modificati. Fasi dell’unità didattica Nella strutturazione dell’unità didattica non è indifferente il metodo utilizzato. Tuttavia possiamo identificare quattro fasi fondamentali: • Il punto di partenza(o incipit) • Le sequenze (o svolgimento) • La ‘chiusura’ (o sintesi conclusiva) • La valutazione 1. Il punto di partenza (o incipit) . Possiamo paragonare la struttura dell’unità didattica ad un racconto dove l’incipit è molto importante perché cattura l’interesse del lettore e lo motiva a proseguire. Quale che sia il metodo didattico al quale si ricorre, è importante che l’insegnante curi molto la fase di avvio dell’unità didattica. In particolare l’insegnante deve : a) richiamare le conoscenze dell’alunno, b) favorire la motivazione ad apprendere Molti insegnanti trovano utile anticipare a grandi linee l’argomento oggetto dell’unità didattica . E’ importante in ogni caso che gli alunni sappiano quali obiettivi ci si prefigge e l’introduzione problematica dei contenuti di apprendimento. (valida anche per l’insegnamento espositivo) 2. Le sequenze (o svolgimento) E’ utile che l’insegnante abbia preventivamente presenti i principali “snodi” del suo itinerario didattico . Inoltre risultano più efficaci le esperienze di apprendimento dove è presente una varietà di stimoli e di mediatori didattici e che consentono agli alunni di partecipare direttamente 2. La chiusura o sintesi conclusiva Un buon apprendimento deve consentire agli alunni di arrivare ad un quadro concettuale di sintesi : si va oltre le informazioni quando si è capaci di generalizzare. Si è soliti distinguere tra conoscenza, che rimanda alla memorizzazione, e la comprensione, che va oltre, nella direzione di avere la capacità di utilizzare le conoscenze per risolvere problemi generali. La valutazione • La valutazione di tipo formativo è costantemente esercitata anche durante lo svolgimento dell’unità didattica. Tuttavia al termine di questa è opportuno fare un bilancio. Questo è possibile ricorrendo a svariate modalità di verifica. CAPITOLO SESTO : LA VALUTAZIONE Il tema della valutazione ha tardato ad affermarsi nel nostro sistema scolastico, al di là degli adempimenti formali per una mentalità diffusa che ha visto gli insegnanti più preoccupati di problemi relativi ai metodi di insegnamento e alla scelta dei contenuti di studio, che delle modalità valutative. Un contributo importante nella direzione di una maggiore sensibilità alla valutazione è offerto dalle teorie curricolari , che si sono fatte strada nel nostro paese a partire dagli anni Settanta. La nozione di curricolo da un lato include quella della valutazione, dall’altro ne allarga l’orizzonte. La include perché vi fa continuamente riferimento nelle diverse fasi del suo svolgimento. Nella versione orientata agli obiettivi l’analisi della situazione di partenza degli alunni è un atto preliminare di tipo valutativo come la definizione degli obiettivi attesi e alla fine la verifica del raggiungimento degli stessi. Nel modello più dialogico e negoziato la valutazione accompagna continuamente l’azione dell’insegnante che è impegnato nel rilevare i messaggi impliciti ed espliciti degli studenti. Ne allarga anche l’orizzonte, abbracciando anche il contesto in cui si svolge l’azione educativa . L’insegnamento è una professione caratterizzata dalla complessità , nella quale entrano in gioco Perché uno stimolo sia valido è necessario che l’insegnante abbia stabilito con chiarezza la dimensione dell’alunno che intende valutare e la prova deve essere costruita in stretta relazione a questo aspetto , cioè : se intendo valutare la capacità di un alunno di effettuare collegamenti, la prova somministrata non dovrà riguardare aspetti nozionistici. Un altro aspetto da tenere presente è che, se esaminiamo diversi ragazzi somministrando prove di tipo oggettivo, possiamo essere sicuri che tutti si trovano di fronte allo stesso tipo di stimoli e i risultati saranno tra loro comparabili, se invece si esaminano gli stessi alunni ricorrendo all’interrogazione orale, non si potrà più porre a ciascuno le stesse domande già poste agli altri. . In questo caso la stessa prova non offre più le garanzie volute . L’insegnante in questo caso deve garantire a tutti non le stesse domande , ma domande dello stesso livello di difficoltà. Un’altra caratteristica è data dalla chiarezza : la domanda o la prova devono essere chiare per essere valide. Inoltre lo stimolo deve essere adeguato nel senso che le domande devono riferirsi a tutto il programma svolto dall’insegnante altrimenti si accentua troppo l’elemento della casualità. Inoltre la rilevazione delle risposte deve essere condotta con competenza, nel rispetto di alcuni criteri: (sistematicità) va rilevato tutto quello che ci si era prefissati di rilevare, le risposte date dai vari alunni allo stesso tipo di domande devono essere registrate esattamente (costanza) , bisogna saper essere obiettivi nel giudizio, controllando i pregiudizi (obiettività) . L’insegnante è in grado di effettuare la valutazione solo dopo aver somministrato le prove e raccolto le informazioni. La valutazione consiste nell’interpretazione dei dati alla luce degli indicatori e dei criteri preventivamente stabiliti e nella elaborazione di un giudizio. L’elemento tipico della valutazione è il confronto tra i risultati raggiunti e gli obiettivi, tra le prestazioni e il comportamento dell’alunno e i criteri di confronto. Fiorin è solo parzialmente d’accordo con tale definizione che ritiene insufficiente a contenere la complessità dell’oggetto valutativo che non può limitarsi agli obiettivi attesi , ma dovrebbe includere anche gli elementi inattesi, sorprendenti. In definitiva , per valutare in modo corretto, un insegnante deve: • Stabilire con chiarezza gli obiettivi che intende raggiungere e i criteri con i quali propone di valutare il loro conseguimento; • Predisporre delle prove che riflettano la prestazione che si intende accertare; • Situare in un contesto preciso e determinato la prestazione richiesta; • Distinguere l’operazione di raccolta di informazioni da quella della valutazione vera e propria. STABILIRE GLI OBIETTIVI I risultati che vogliamo verificare sono in relazione con gli obiettivi che ci siamo prefissi di raggiungere. Prima di tutto perciò è necessario aver chiaro il concetto di obiettivo, ma non è un compito facile. A questo proposito può essere utile per l’insegnante disporre di quelle liste di obiettivi chiamate tassonomie . Il tema delle tassonomie si intreccia con quello del curricolo, soprattutto all’interno del filone della razionalità e raccoglie il contributo di molti studiosi preoccupati di rendere controllabili i risultati dell’insegnamento . L’esigenza di definire con chiarezza gli obiettivi dell’educazione scolastica risponde inoltre alle attese di maggiore trasparenza che provengono dalla società. Il termine tassonomia ( dal greco ordine e legge), applicato agli obiettivi , richiede di essere chiarito in quanto parola mutuata da discipline diverse dalla didattica. In origine la tassonomia era la scienza delle leggi di classificazione delle forme viventi , in seguito ha indicato la scienza della classificazione in genere. In definitiva la tassonomia esprime il prodotto finale di una classificazione ovvero è un principio organizzatore. Questo spiega perché esistono diversi tipi di tassonomie : esistono infatti diversi criteri che vengono utilizzati per fare classificazioni. Vi sono per esempio le tassonomie dei tipi di apprendimento oppure dei campi dell’intelligenza o delle dimensioni della personalità. Tutte queste tassonomie hanno in comune il fatto di riguardare solo campi parziali del curricolo. DALLA VALUTAZIONE FORMATIVA ALLA VALUTAZIONE AUTENTICA La valutazione formativa si sviluppa lungo tutto l’arco dell’esperienza scolastica, collocandosi tra il momento valutativo iniziale (diagnostico) e il momento conclusivo. La valutazione diagnostica rappresenta il primo momento della valutazione formativa , il cui scopo è quello di condurre una analisi iniziale della situazione da cui partire, per mettere meglio a punto il successivo percorso di insegnamento/apprendimento. La valutazione formativa è rivolta ad acquisire continui feed back sui progressi dell’alunno e sulle sue difficoltà, ed ha lo scopo di consentire interventi sempre più personalizzati ed adeguati. La valutazione formativa si sviluppa in itinere, si configura come un accompagnamento dell’alunno, stimola nell’insegnante la riflessività professionale, svolge una funzione preziosissima di riequilibrio e di riaggiustamento del programma. La valutazione sommativa (o certificativa) è la valutazione che conclude un periodo piuttosto lungo di formazione (es fine quadrimestre o fine anno) Ha una funzione prevalentemente certificativa, illustra un bilancio complessivo, ha lo scopo di assegnare un voto e valutare il progresso. Si esprime in un giudizio sullo studente riferito all’efficacia dell’apprendimento o dell’istruzione quando questi si sono conclusi. Il fatto che la valutazione sommativa venga espressa in voti o giudizi indica un punto di arrivo indicante una certa stabilità. Se si tratta di esami di fine ciclo può apparire senza appello. Bisogna però evitare il grande pericolo di trasformarlo in un giudizio irrevocabile sulla persona. L’adozione della valutazione formativa come pratica costante ha segnato l’abbandono della logica sommatoria di una scuola tutta voti e selezione. Un altro problema è quello dell’eccessiva autoreferenzialità della scuola: il raccordo tra scuola e vita è molto problematico e il discorso valutativo regge soltanto all’interno della scuola. In ogni caso l’esigenza di poter contare su dati attendibili, quindi non eccessivamente soggettivi , ha portato a ricercare modalità oggettive di verifica e quindi a ricorrere a prove standardizzate. La docimologia da molto tempo ha messo a disposizione strumenti finalizzati al superamento dei limiti della cosiddetta valutazione tradizionale, ritenuta troppo soggettiva, arbitraria e imprecisa. La critica principale che le viene fatta è la seguente: se si valuta quello che un alunno sa, si controlla la sua capacità recettiva e riproduttiva, ma non la sua capacità di costruire o applicare (applicazione reale ) le conoscenze possedute. La valutazione definita autentica, infine, vuole consentire l’espressione di un giudizio più esteso all’apprendimento , cioè un giudizio riferito alle capacità di pensiero critico, di soluzione di problemi, di lavoro di gruppo, di apprendimento permanente. E’ stata prospettata l’opportunità di una valutazione “alternativa” rispetto a quella tradizionale , che non si limiti cioè a certificare quello che uno studente sa, ma soprattutto quello che sa fare con quello che sa. La verifica in questo caso dovrebbe avvenire attraverso una prestazione reale e non un testo artificiale. Il Portfolio Deriva da ambiti professionali di tipo artistico (architetti, disegnatori) con lo scopo di seguire l’evoluzione delle capacità dell’autore. E’ stato introdotto negli anni 90 negli USA. Ci sono diverse definizioni di portfolio È una raccolta significativa del lavoro dello studente, che racconta la storia del suo impegno, del suo progresso o del suo rendimento. Deve includere la partecipazione dello studente alla selezione del contenuto del portfolio, i criteri per la selezione stessa, i criteri per giudicare il valore dei contenuti e la prova dell’autoriflessione dello studente. E’ una antologia sistematica e finalizzata del lavoro svolto nel tempo dallo studente che include: la partecipazione dello studente alla realizzazione del portfolio . Nella valutazione attraverso il portfolio si vuole far leva sulla partecipazione dello studente . Infatti è lui che • Indica quali lavori sono per lui significativi, meritevoli di essere presi in considerazione; • Motiva la sua scelta (quindi esprime il suo punto di vista); • Discute con l’insegnante che cerca di capire la capacità di giudizio dell’alunno sulle proprie prestazioni e la logica in base alla quale l’alunno collega il lavoro che viene svolto, i prodotti creati e le tracce che vuole lasciare. Portfolio e valutazione formativa Il portfolio è lo strumento di una valutazione eminentemente formativa, pedagogica. La novità è che la riflessione sul prodotto viene fatta anche dall’allievo. Esso quindi può essere realizzato all’interno di una scuola che abbia chiara consapevolezza delle proprie finalità educative. Una scuola nella quale la “valutazione autentica” è possibile perché alla logica della produttività, al funzionalismo esasperato degli obiettivi preferisce la logica dello sviluppo, dell’accompagnamento pedagogico, dell’attenzione alla diversità delle situazioni e dei percorsi personali. LA VALUTAZIONE DELLA QUALITA’ DELLA DIDATTICA Che cosa si intende per insegnamento efficace? Un insegnante efficace deve avere competenze: • Relazionali • Progettuali • Didattiche Flanders osserva due diversi stili contrapposti di insegnamento: diretto e indiretto. L’insegnamento diretto poggia sull’autorità del manuale e delle indicazioni precise e non discutibili. L’insegnamento indiretto preferisce, invece, uno stile problematico e problematizzante, favorisce le domande degli alunni e fornisce incoraggiamento. Pur preferendo lo stile indiretto Flanders ritiene che entrambi gli approcci siano indispensabili
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