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La storia della relazione educativa: un percorso attraverso i secoli, Schemi e mappe concettuali di Storia della scuola e istituzioni educative

Una panoramica storica della relazione educativa, esplorando il suo sviluppo attraverso i secoli, dalle origini greche fino all'età contemporanea. Il testo illustra come la relazione educativa ha subito un'evoluzione costante, influenzata da vari fattori come il temperamento dell'educatore, le condizioni geografiche e culturali, e la storia del pensiero. La relazione educativa attraverso diversi aspetti, come la sua natura cognitiva, numerica, e come cura della persona. Vengono inoltre esaminate le pratiche educative di vari autori, come socrate, platone, rousseau, e don bosco, e il loro impatto sulla relazione educativa.

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2020/2021

Caricato il 29/02/2024

ma.ra555
ma.ra555 🇮🇹

4.3

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Scarica La storia della relazione educativa: un percorso attraverso i secoli e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Storia della scuola e istituzioni educative solo su Docsity! Non ogni relazione è educativa ma L’educazione avviene sempre attraverso la relazione. La relazione educativa rende liberi cioè capaci di compiere azioni morali. La relazione educativa dipende sia dal temperamento dell’educatore sia dell’educato; inoltre dipende sia da condizioni di ordine geografico e culturale quindi essa varia da contesto a contesto. Bisogna tener conto che la relazione educativa risente del contesto storico, geografico, sociologico e culturale. Esempio: nella società tradizionale i ruoli sono stabiliti ( nel mondo rurale il padre è considerato il capofamiglia), nella società postmoderna tutto è fluido (BAUMAN). Nonostante l'influenza dei condizionamenti endogeni ed esogeni sul piano morale la relazione educativa esprime la libertà dell'essere umano nel suo concreto costruirsi , permette di capire la maturità dei due attori, è lo specchio dell'originalità dei tempi. CAP 1 1.1 ETA ARCAIA Il percorso storico della relazione educativa è l'occidente, civiltà che più di tutte esercita e ha esercitato un'influenza sulla storia umana. Il più antico documento pedagogico occidentale è l'Iliade che parla dell'educazione di Achille( eroe per eccellenza) se pur non entrando nel dettaglio di contenuti e metodi. Infatti ci comunica solamente che Achille è stato educato da Chirone per l’arte medica ( in quanto medico, fu chiamato a curare Achille quando quest'ultimo, a seguito delle magie praticate da sua madre Teti per renderlo immortale, ebbe la caviglia ustionata) e da Fenice per l’arte della guerra. Questo antico testo ci permette di capire come anche nella società arcaica il rapporto interpersonale, tra cui anche quello educatore-educando non avviene seguendo solo un ordine gerarchico ma anche con una partecipazione personale ed emotiva. si può quindi parlare di un misto tra principio di autorità e legame affettivo. Questo misto fra autorità e legame affettivo lo ritroviamo nel giuramento del medico di Ippocrate; il giuramento ha un chiaro sapore educativo quando fa riferimento alla condizione parentale( il discente considera il maestro alla pari dei suoi genitori ) e la condivisione dell'esperienza di vita con il maestro ( condividerò con lui la vita). Anche in questo caso la pratica educativa esprime amore e calore ed è accompagnata da un chiaro rispetto del più giovane verso il più vecchio e del discepolo verso il maestro. Anche la piu antica istituzione pedagogica dell'occidente cioe thiasos pitagorica ( una confraternita religiosa che aveva una rigida gerarchia retta da regole severe di vita comune) vi è una rigida gerarchia ,infatti, Aulo Gellio nelle’’ Notti Bianche’’ afferma che il giovane nel suo percorso formativo doveva tacere(minimo 2 anni) per un tempo che variava in base alle capacità personale di adattamento ,al giovane non era consentito ne chiedere spiegazioni ne prender appunti. Solo una volta imparate le capacità di tacere e ascoltare, i giovani potevano domandare e parlare. La confraternita aveva un’impronta severa ma non solo, comprendeva anche familiarità, infatti, inizialmente loro erano dei semplici uditori, solo dopo essere stati considerati degni diventavano di “casa sua“. 1.2 SOCRATE E I SOFISTI Il V secolo a.C vede la nascita del movimento sofistico, animato da insegnanti a pagamento che insegnano la retorica, cioè l’arte di avere ragione attraverso il discorso e di persuadere i cittadini nell’attività politica. Nel V secolo a.C. vi è un profondo cambiamento nella civiltà greca grazie alla vittoria militare sui Persiani che porta ad uno slancio delle attività produttive e commerciali portando anche la nascita di una nuova classe sociale: gli arricchiti, dei commercianti desiderosi di sottrarre il potere agli aristocratici. I sofisti offrono agli arricchiti conoscenze utili per l’attività politica come La retorica grazie alla quale è facile persuadere. Tra questi sofisti spicca Socrate che a differenza degli altri non mira a rendere passivo Il discepolo ma lo sollecita a ricercare la verità attivamente. Su alcuni aspetti concorda con i sofisti: - l’uomo non può accettare verità assolute; - l’interesse maggiore non è la natura ma l’uomo e i suoi problemi. Si distacca però su alcuni punti: - l’insegnamento a pagamento; - l’assenza di scrupoli morali; - l’uso del discorso come persuasione. Socrate riteneva di avere una marcia in più rispetto agli altri, di essere superiore in quanto consapevole di ‘’non sapere’’, infatti, egli afferma ‘’so di non sapere’’ perche Se si è convinti di sapere non si è mai alla ricerca di un qualcosa . Socrate educa con un intenso rapporto umano e spinge l'allievo a cercare da solo le risposte alle cose ricercando una verità che elimina le contraddizioni e vuole far emergere ciò che è nell intimo dell’ interlocutore . Secondo Socrate la pratica educativa deve portare alla luce la verità latente nella persona attraverso una serie di domande contraddittorie. Quando Socrate chiede a un esperto una questione, come al generale il concetto di coraggio, smonta la risposta facendo emergere, attraverso l'ironia, la banalità a cui segue la maieutica che invita a ricercare la risposta. In tal modo coniuga educazione e personalizzazione .Socrate usa l'ironia che elimina la sicurezza dell' interlocutore ed educava attraverso un intenso rapporto umano. Riassumendo: ● Il mondo omerico conosceva solo 2 categorie di persone: i nobili e i non nobili. L’educazione era riservata solo ai primi. Dal V secolo compaiono degli arricchiti che vogliono acquisire la cultura. I sofisti si occupano della loro educazione. Questo fa di loro i veri maestri dell’occidente. La loro educazione si basava sulla ripetizione passiva di modelli predeterminati. ● Socrate sollecita invece gli allievi in modo attivo per far trovare all’allievo la verità. ● Al comparire di una questione Socrate interpella chi secondo lui è più competente in materia (es.: chiedere a un generale la definizione di coraggio) e poi spinge l’interlocutore alla ricerca della verità (maieutica) dopo aver dimostrato con l’ironia la banalità della risposta. Il confronto con l’interlocutore è quindi fondamentale. ● Tramite la maieutica l’allievo può esprimere la sua originalità. E-DUCERE significa infatti TIRAR FUORI. ● Per Socrate non esiste una verità soggettiva, ma una comune, che va però tirata fuori in maniera personale. Con Socrate si sviluppa lo sbilanciamento della pratica educativa in chiave cognitiva. ● Per Socrate il corpo è solo il veicolo dell’anima. 1.3 PLATONE Platone,il più noto discepolo di Socrate, raccoglie intorno a sé giovani dando vita ad una scuola, l'accademia nella quale il sapere scientifico prevale sulla retorica . La lettera VII è un documento in merito a come avveniva la ricerca della verità in questa scuola. I docenti e discenti davano vita ad una comunità nella quale la conoscenza della verità si manifestava senza preavviso. Di questa conoscenza, infatti, è impossibile dare per iscritto una procedura standard. È così che nascono le dottrine non scritte comprendenti gli esiti degli insegnamenti di Platone scritte da Aristotele. In esse adotta il dialogo come forma per esporre le parole di Socrate, riproducendo per iscritto l’insegnamento del suo maestro. Platone si oppone alla scrittura come si evince dal brano perche l’invenzione dell’alfabeto provocherà il fatto che gli uomini smetteranno di esercitare la memoria perchè fidandosi dello scritto richiameranno le cose alla mente. Per questo Platone cerca di preservare nella parola scritta il tratto della parola orale, nella direzione del dire e non dire, affinchè ognuno possa sforzarsi a cogliere la verità. Per Platone la verità è imprevedibile, è una fiamma che si accende all’improvviso. Platone: ● Per Platone l’anima è la sede dell’uomo, in quanto essa conosce ciò che è eterno. ● La matematica è la scienza per eccellenza. ● Secondo Platone vi sono 3 classi sociali: i guerrieri, i lavoratori e i filosofi. Per selezionare chi deve guidare uno Stato occorre usare la matematica, in modo da selezionare da un gruppo un singolo elemento. Si cancella così però la dimensione materiale della società. ● La parola scritta fissa staticamente la verità. Viene a perdersi la dinamicità socratica della verità che è in continuo movimento. La scrittura va usata con prudenza. ● Per Platone i miti sono un per parlare della vita reale tramite racconti immaginari. Il mito della caverna racconta che gli uomini sono come degli esseri dentro una caverna. Fuori ci sono gli oggetti reali illuminati, ma dentro la caverna gli uomini ne possono vedere solo l’ombra. Il filosofo è colui che è capace di uscire dalla caverna e vedere la realtà, anche se inizialmente ne è abbagliato. La persona educata è quindi colei Con l’inizio del nuovo secolo si ha una revisione dei paradigmi moderni, si cerca di dare maggiore attenzione alla libertà del fanciullo, alla sua crescita, alla pratica educativa. Con autori quali Pestalozzi, froebel, Don Bosco si rivolge maggiore attenzione verso l'amore , verso la libertà che permettono la crescita individuale e non più verso pratiche standardizzate. Nell 800 ci sono state molteplici esperienze di rinnovamento pedagogico ,volte ad installare un clima di tipo familiare e a moderare il ricorso alle punizioni fisiche e verso fine secolo si sviluppa l’ATTIVISMO che supera una visione magistrocentrica in favore del Puerocentrismo , soffermandosi su un apprendimento personalizzato , riconoscendo sempre di piu la dignità personale dell’alunno. 1.10 IL NOVECENTO nella prima metà dell 900 si inizia a diffondere l’educazione nuova e la pedagogia dell’attivismo che introdussero la concezione di una infanzia attiva e portatrice di una propria originalità per assicurare al fanciullo non solo protezione, ma anche un’educazione più rispettosa dei suoi diritti. si inizia a diffondere anche in Italia l’attivismo che si sofferma sulla conoscenza psicologica del soggetto e sui suoi bisogni e interessi .In l’Italia durante il XX secolo registra un profondo rinnovamento pedagogico: si verifica la critica dell’idealismo al positivismo ( che contrappone alla passiva ricezione del dato l' attiva manifestazione dello spirito ) Piu’ tardi ci sarà il confronto tra l’attivismo pragmatista di Dewey e quello personalista di Maritain i cui brani pur manifestando le loro divergenze convergono nel riconoscimento della libertà come connotazione tipica della persona. Con la fine della seconda guerra mondiale anche l’attivismo viene accusato di sfociare allo spontaneismo. Così si iniziò a diffondere una prospettiva volta a mettere l’accento sulla disciplina scolastica cercando di declinarla allo scopo di favorire la riuscita negli studi. Le materie scolastiche non furono interpretate come agglomerati di nozioni ma come ambiti del sapere dotati di un proprio profilo, infatti tra gli anni 70 e 80 si diffondono le didattiche disciplinari. Durante il secolo poi ha acquistato rilevanza il nesso uomo-tecnica, si creò proprio un dibattito sul fatto se la tecnica consenta la compiuta manifestazione dell’essere umano o lo svilisca travisando la sua originaria facoltà di agire. Secondo Gadamer la tecnica elimina la spontaneità di chi la utilizza, perché deve sottomettersi ai suoi criteri specifici e bisogna rinunciare quindi alla propria libertà. Secondo Romano Guardini vede la tecnica come “natura coatta” alla quale si può sfuggire attraverso l’incontro. Con la fine del Novecento, con l’avvento dei moti del ’68, viene introdotta una nuova critica verso l’autorità. In particolar modo si inizia a fare una differenziazione tra l’autorità che ‘’fa crescere’’ rendendo liberi e quella che non ha nulla d’educativo. Molti scrivono dell autorità: -secondo GINO CORALLO l’autorità è finalizzata alla libertà - Secondo Marcello Peretti l’autorità dell’educatore tende al raggiungimento dell’autocontrollo che non è una disposizione naturale ma è il risultato di un tirocinio di formazione. - Aldo Agazzi invece afferma che l’autorità permette di dare vita a persone civilizzate e di sottrarle dal loro egoismo infantile. la critica sull’autorità sarà fatta da Don Milani CAP 2 2.1 Che cosa significa educare? La caratteristica fondamentale della relazione educativa è essenzialmente rendere liberi, ovvero capaci di compiere azioni morali. Di fatti dobbiamo essere attenti a non cadere nel trabocchetto del ‘’tutto o niente’’, che conduce a dilatare l’ambito educativo da rendere equivoco, o restringerlo al punto che l’azione educativa appaia impossibile. Sono molteplici le variabili implicate nella relazione educativa: quelle di ordine temperamentale (innate, spontanee) come la timidezza, aggressività, pacatezza; e quelle di ordine geografico, sociologico e culturale, nella società odierna dove tutto è in movimento. La relazione educativa avviene sempre nel tempo e nello spazio. La relazione educativa, pur risentendo di tali fattori esogeni e endogeni, esprimere la libertà dell’essere umano nel suo concreto costituirsi. Solo l’essere umano educa ed è educato. Dal punto di vista lessicale l’espressione educazione può essere collegata a due termini latini: educare, educere. EDUCARE=significa condurre ed implica dunque il ruolo dell’educatore, in quanto egli deve condurre intenzionalmente l’educando da una situazione all’altra sapientemente, proponendogli esperienze formative o aiutandolo a vivere positivamente gli avvenimenti che gli accadono. Quindi questo termine indica un percorso intenzionalmente svolto e orientato da chi ha una maggiore maturità. L’espressione rimanda ad una dinamica esterna, ad una situazione che avviene pubblicamente EDUCERE=significa trarre fuori. Questo termine è volto ad esaminare ciò che accade all’interno della persona quando viene educata. Connota la direzione dell’azione educativa mostrando come essa consista nel trarre fuori dall’educando le potenzialità che lo connotano. Qui l’intervento dell’educatore consiste nell’aiutare l’educando a tirar fuori ciò che è già presente in lui e che deve venire in superficie. Quindi l’educatore agisce da catalizzatore attivando le latenze già presenti. Si può guidare in tanti modi: con distacco o con prossimità, con affetto o anaffettivamente, con attenzione o con disinteresse… Occorre accostare l’interlocutore con un coinvolgimento affettivo che non risulti eccessivo. Occorre perciò identificare un terzo verbo latino “EDERE” che significa “generare”. L’educatore è un “genitore simbolico”, egli deve avere a cuore l’educando come un genitore ha a cuore il figlio (relazione “viscerale”). La genitorialità educativa è simbolica, perciò costituisce una realtà secondaria che non può né deve oscurare il legame originario con il genitore di sangue. L’educatore come genitore simbolico deve esprimere un coinvolgimento di fondo non di minore intensità rispetto al genitore biologico ma non deve mai assumere i tratti d’intimità (riservati al rapporto genitore figlio). Educatore ed educando ricoprono ruoli diversi ma sono coinvolti all’interno di una relazione che fa crescere entrambi Le due espressioni hanno accenti diversi, ma hanno indicazioni comuni: - il termine educazione indica una situazione dinamica, in perenne cambiamento; - la dinamica educativa avviene dall’interno all’esterno. l’educazione non può essere standardizzata, l’educatore infatti pur avendo ruolo di guida non può sottrarsi alla responsabilità di operare affinché l’educando esprima ciò che lui stesso è nella propria originalità. L’educando è innanzitutto agente quindi soggetto: mai oggetto su cui l’educazione possa esprimersi dall’esterno come costrizione. 2.2 EDUCAZIONE COME TRASFORMAZIONE CIOE COME EVENTO MORALE L’educazione porta ad una formazione personale, all’acquisizione di competenze. La parola “formazione” indica l’acquisizione di un sapere pratico o tecnico; Essa deve restare un processo interiore all’individuo, un evento morale che si attiene alla soggettività e alla singolarità della persona. Al contrario l’accezione antica di “formazione” porta a concepire l’azione educativa essenzialmente come trasformativa e ciò porta l’educazione ad essere altro, fino a sfigurarla e a renderla vettore di omologazione, impersonalità. L’ AZIONE EDUCATIVA è sempre un’espressione personale e di personalizzazione: è legata alla singolarità soggettiva di cui la moralità è manifestazione (relazione educativa come “evento morale”). 2.3. L’EDUCAZIONE COME MAIEUTICA DELLA LIBERTA La libertà costituisce il nodo attorno a cui prende forma l'educazione. Rappresenta il tratto più originale dell'uomo. L’essere umano, anche se subisce il condizionamento ambientale, è IN GRADO DI OPERARE IN FORMA ATTIVA ED ESPRESSIVA. la voglia di conoscenza è mossa dalla meraviglia, cioè dallo stupore di fronte alla realtà. Ma cos’è il cuore della meraviglia? è L’esistenza della libertà. L’essere umano anche se subisce il condizionamento ambientale, sa comunque elevarsi sopra di esso, dando corso ad un comportamento non determinato dall’ambiente. La libertà prende forma come la capacità di contenere il desiderio orientandolo verso il bene maggiore, questo si manifesta attraverso il rapporto con l’autorità(che limita il desiderio). L’autorità: contribuisce alla maturazione dell'autocontrollo che serve per contenere e guidare il desiderio. Bisogna fare una distinzione tra la persona che pratica l'autorità in modo apprezzabile e la persona che abusa dell’autorità. La persona che pratica l’autorità in modo apprezzabile si assoggetta ai limiti che pomne agli altri mentre la persona che abusa dell autorità(come ogni tiranno) si sottrae ai limiti mentre vi assoggetta agli altri. L’educatore che esercita in modo giusto l’autorità è tenuto alla testimonianza degli orientamenti che propaga, mentre l’educatore despota(cioe che esercita la propria autorità in modo tirannico) si sottrae a questi oneri cercando di elevarsi al di sopra ponendo dei limiti all’educando a cui egli si sottrae. Essendo la libertà una conquista graduale e continua, la corretta pratica dell’autorità non viola ma permette il conseguimento di questo fine: è Maieutica della libertà. Possiamo individuare 4 espressioni per connotare la figura dell’educatore: -L’EDUCATORE è UN MAESTRO: è piu maturo rispetto all’educando e domina il sapere che gli sta trasmettendo -L’EDUCATORE è UN MINISTRO: cioe esprime un dominio mettendosi a livello di colui che guidando l allievo per farlo crescere -L’EDUCATORE è UN PEDAGOGO : ovvero colui che educa perche conduce -L’EDUCATORE è UN MAIEUTA : l azione di guidare deve essere orientata a fare in modo che l’educando arrivi ad esprimere la sua originalità 2.4 SENSO E VALORE DELLA RELAZIONE EDUCATIVA CONCEPITA COME CURA La relazione educativa si connota come cura della persona, cioè allude al fatto che l’educazione richiede sempre amore, cioè curarsi della persona affidata, preoccuparsi dei suoi bisogni senza sfociare nella medicalizzazione. Occorre fare attenzione al fraintendimento di scambiare la relazione educativa con la medicalizzazione. Tra medicina ed educazione c’è affinità metodologica; questa affinità di fondo suggerisce ai medici ed educatori di cercare la collaborazione in quanto ne il medico(con le sue competenze terapeutiche) puo affrontare problemi etici ne l’educatore (con le sue competenze pedagogiche) puo fronteggiare la malattia. L’EDUCAZIONE PRECEDE LA MEDICINA e sia l educazione che la medicina hanno a che fare con la libertà ma l’educazione: guida al conseguimento della libertà in atto la medicina: favorisce il suo esercizio nel quadro della salute, cioè di una vita di benessere. 2.5 LA COMUNICAZIONE EDUCATIVA TRA DIALOGO E NARRAZIONE La duplice caratterizzazione della relazione educativa implica l'esistenza di un doppio registro comunicativo : la narrazione e il dialogo. la narrazione è la metodologia comunicativa più antica in cui vi è il narratore che occupa una posizione privilegiata. il dialogo è una metodologia comunicativa in cui i due interlocutori si rapportano in condizioni di parità. Col passare del tempo il dialogo è apparso sempre più adatto a praticare l'educazione fino ad arrivare negli ultimi decenni ad una diffusa celebrazione quasi eccessiva. Quindi esiste oggetto, bensì una coppia. Aristotele definisce relative quelle cose che stanno fra loro: 1 come ciò che eccede rispetto a ciò che è ecceduto; 2 come l’agente rispetto al paziente; 3 come il misurabile rispetto alla misura. I due elementi della relazione possono essere legate tra loro secondo la potenza (es. ciò che riscaldaciò che è riscaldato) ed in tal caso si parla di relazioni numeriche; o secondo l’atto (ad esempio ciò che taglia-ciò che è tagliato). Nelle relazioni numeriche non c’è l’atto, non c’è movimento. Queste relazioni possono essere definite tali poiché la loro essenza consiste in riferimento a qualcos’altro ARISTOTELE, ‘’Etica nicomachea’’ Già nell’antichità era stato colto che l’educazione passa attraverso la relazione, ma non una qualsiasi relazione ma una relazione caratterizzata da comunanza ovvero KOINONIA. L'amicizia è koinonia cioè condivisione profonda che non ha lo scopo di intrattenere ma di educare e quindi perfezionare. Infatti Aristotele afferma che una persona cosi’ come rispetta se stessa ,cosi’ rispetterà l’amico e sceglie di vivere la sua vita spendendo il suo tempo in attività che può svolgere con i suoi amici come riunirsi per bere,per giocare a dadi,per fare ginnastica,per cacciare o per filosofare ;queste sono attività in cui sembrano migliorarsi e si correggono a vicenda. Infatti Aristotele ricorda il detto “dai nobili apprendi nobili cose”. Quintiliano ‘’ISTITUZIONE ORATORIA ‘’ Quintiliano si colloca in quella linea di passaggio in cui l’epoca romana ospita l’avvento del cristianesimo. Con l’introduzione dell’humanitas il costume pedagogico romano muta notevolmente, dalla severità e l’imposizione del mos maiorum, si passa alla considerazione del profilo psicologico dell’educando fornendo pratiche in favore di una disciplina meno militare e più domestica. Il brano considerato è formato da una serie di paragoni che presentano il rapporto tra educatore- educando: 1. I ragazzi non devono avere a che fare con un maestro arido paragonando i fanciulli a piante ancora tenere che non crescerebbero in un terreno arido e asciutto; 2. Non ci deve essere fretta per la maturazione degli allievi, come non deve essercene per il mosto che sta nel timo, in tal modo il vino resisterà e invecchiando migliorerà in qualità. Afferma anche che l’eccesso di severità non è cosa buona in quanto può scoraggiare i ragazzi e farli cadere nella disperazione portandoli a nutrire odio nei confronti degli studi. Da questo odio ne consegue la paura di osare per questo motivo l’educatore deve ispirare simpatia: deve lodare, sopportare, cambiare ed essere capace di rinnovarsi. Anche per quanto riguarda le correzioni, queste, devono essere fatte ma sempre con modi e in base all’età degli allievi, e correggere in proporzione alle loro forze dandogli sempre la speranza, però, di poter far meglio PSEUDO-PLUTARCO, ‘’COME EDUCARE I PROPRI FIGLI’’ Il brano considerato risulta essere l’unico specificamente pedagogico. Ancora una volta, attraverso i paragoni con la natura ci si preoccupa di formare il carattere del fanciullo con l’avvertenza di adottare un costume lontano dalle pratiche arcaiche(quindi un costume non troppo severo). Troviamo il paragone tra l’educazione e la coltivazione del campo connesso all’idea di coltura animi a cui attinge tutta la tradizione umanistica generata dall’idea di humanitas. Egli nell’opera afferma che è necessario guidare i ragazzi verso il buon comportamento attraverso consigli e argomentazioni e non attraverso maltrattamenti o pene corporali(queste vengono riservate agli schiavi e non agli uomini liberi). Ai ragazzi liberi si riserva l’elogio ma anche la punizione, se necessaria. L’elogio spronerà al bene mentre le punizioni distoglieranno dal male. Bisognerà quindi anche punirli ma in seguito a ciò anche riconfortarli con gli elogi, come fanno le nutrici, prima lasciano piangere i piccoli, e poi li consolano porgendo loro il seno, senza esagerare. Ritroviamo, a questo punto, nuovamente, il paragone con il mondo della natura :come le piante crescono con la giusta quantità d’acqua, ma se gliene dai troppa affogano, così, la mente con giuste quantità di nozioni riuscirà a crescere, a maturare. E’ inutile che i padri, ponendo troppe aspettative nei figli, li portino a perdere colpi perché affaticati dai troppi sforzi e dalle troppe aspettative. Quindi la mente con le giuste fatiche si dilata, con eccessive fatiche viene schiacciata. E’ dunque importante il riposo della mente, e non l’eccessiva fatica, a tal proposito furono create la veglia e anche il sonno, la guerra e la pace, il tempo brutto e il tempo bello. CLEMENTE ALESSANDRINO,’’ Il Pedagogo’’ Nel “Il pedagogo” Alessandrino ci dona una riflessione importante “l’uomo è cosa desiderabile per sé stessa” cioè ogni individuo che ci è di fronte e meritevole della nostra cura e attenzione. Tutti gli autori di questa fase esaltano il concetto di persona e quello di relazione educativa. Il Divino Pedagogo è Cristo che ha il compito di mettere in atto la ‘’pedagogia del Logos’’ secondo la quale l’azione salvifica di Dio è alla base dell’azione pedagogica che deve essere trasmessa anche ai suoi figli, gli uomini. La caratteristica peculiare dell’azione divina, così come di quella del maestro, è amare il proprio allievo e rispettare la sua libertà. Nel passo considerato Dio viene visto come colui che dà giovamento in tutto ed è d’aiuto in tutto nella duplice visione di Signore e uomo, infatti, come Dio perdona i peccati, come uomo ti educa a non peccare più. L’uomo è caro a Dio in quanto egli lo plasmò con le sue mani. . L’uomo è stato creato o come cosa desiderabile per se stessa o per raggiungere qualcosa. -se l’uomo è desiderabile per se, significa che Dio ha amato di lui quel qualcosa di speciale, quel fascino misterioso che viene chiamato soffio divino -se l’uomo è stato creato per raggiungere qualcosa .Lo scopo di Dio era quello di essere un creatore buono e far conoscere a l’uomo Dio. . L’essere umano,creato da Dio, è cosa desiderabile per sé stessa, ha quindi un legame di affinità con colui per il quale è desiderabile e per costui è oggetto di accoglienza e di amore. l’uomo essendo oggetto di amore, è di conseguenza amato da Dio. AGOSTINO D’IPPONA, ‘’LA CATECHESI DEI PRINCIPIANTI’’ Agostino, nelle Confessioni, cerca di interrogarsi sul modo migliore per introdurre nella nuova fede un catecumeno colto. Prima di diventare cristiani, gli uomini colti, sono soliti indagare. Con costoro bisogna discutere in modo breve e non bisogna insegnare in modo insistente, noioso su ciò che già sanno ma sintetizzando. Bisogna chiedergli cosa lo ha indotto a voler diventare cristiano, quali libri ha letto, da cosa e chi è stato persuaso. Se quei libri sono noti, provengono dal mondo cattolico, verranno approvati con gioia, altrimenti, bisogna educarlo con attenzione e saggezza alla scelta di libri trattanti la verità. La parola chiave di questo lavoro è ‘’collaborazione’’, collaborazione tra l’erudito e l’autorità del precetto. ISIDORO DI SIVIGLIA,’’LE SENTENZE’’ Isidoro di Siviglia introduce il ‘’concetto di persona’’, afferma che non bisogna approcciare con lo stesso insegnamento a tutti come i medici che usano un tipo di cura per le varie malattie del corpo così anche il dottore della Chiesa adopererà il metodo specifico per ogni caso in rapporto all’età, al sesso, al mestiere. Esso deve innanzitutto valutare la persona a cui somministrare l’insegnamento: se è una persona rozza deve presentargli argomenti chiari e abituali e non quelli elevati. Ritroviamo, inoltre, la metafora del corvo; il corpo non da cibo ai suoi pulcini non li nutre, aspetta tutto il tempo finché assumono il colore nero del padre e a quel punto inizia ad alimentarli spesso; così anche l’uomo di chiesa finchè i suoi allievi non accettano la penitenza e si allontanino dallo stile mondano non deve somministrare loro la comprensione spirituale dei misteri più profondi . BENEDETTO DA NORCIA, ‘’REGOLA’’ ---- GREGORIO MAGNO, ‘’REGOLA PASTORALE’’ Le norme per l’elezione dell’abate della regola benedettina costituiscono anche il profilo dell’educatore cristiano,cioè del buon pastore che con fermezza e dolcezza guida il gregge. a tale regola vi si ispira anche la regola pastorale di Papa Gregorio Magno. Nei testi di Benedetto da Norcia e Gregorio Magno abbiamo per l'appunto una descrizione particolareggiata di questo abate. REGOLA : Benedetto da Norcia nella Regola dice che l’abate deve essere scelto dalla comunità sotto consiglio di Dio, deve condurre una vita dignitosa e deve dedicarsi principalmente alle cose spirituali; L’abate deve essere casto, sobrio, indulgente, deve far prevalere la misericordia sulla giustizia, deve odiare i vizi, deve amare i fratelli e anche nel punire deve agire con prudenza e deve essere attento a non eccedere. Egli deve essere amato più che temuto, non deve essere turbolento né geloso, nè sospettoso perché non avrebbe mai pace. REGOLA PASTORALE: La Regola Pastorale di Gregorio Magno afferma che l’abate deve essere un esempio di vita ,deve vivere spiritualmente, non deve temere avversità e deve desiderare solamente i beni interiori e non quelli altrui, al contrario deve gioire dei beni del prossimo come se fossero suoi. Egli attraverso la preghiera ha imparato che può ottenere da Dio ciò che chiede. RABANO MAURO,’’LA FORMAZIONE DEI CHIERICI’’ Rabano Mauro ci riporta una testimonianza della Scuola Palatina avviata da Carlo Magno. Egli dice che chi tratta le Sacre Scritture, ovvero il maestro cattolico, difende la retta via e cerca di evitare agli altri di cadere negli errori, deve insegnare il bene e stimolare gli apatici. Inoltre se gli ascoltatori non sono istruiti, bisogna rendere chiaro l'argomento cercando di modulare il linguaggio secondo le loro conoscenze, secondo i loro limiti e nel momento in cui ci fossero dei punti dubbi bisognerebbe svolgere un ragionamento in modo semplice da farli comprendere. Vi sono anche persone che sono già istruite e che hanno bisogno quindi di discorsi più stimolanti ma tra questi vi è anche chi ha letto ma non ha realmente capito in quanto ha inteso, ha letto ma con gli occhi non con il cuore. Non bisogna quindi istruire ad imparare a memoria ma a comprendere il significato ,non a conoscere le scritture, ma a capirle. DHUODA, ’’MANUALE CHE DHUODA DEDICO’ A SUO FIGLIO GUGLIELMO’’ Il testo considerato risale al IX secolo ed è una testimonianza della civiltà feudale, sono le parole di una madre che si rivolge al figlio cavaliere. Nel brano è descritto un mondo gerarchicamente ordinato dove il più giovane, attraverso il servizio reso al signore, si perfeziona in un cammino che lo conduce gradualmente ad acquisire potere e responsabilità. Nel brano la madre si raccomanda al figlio di servire il Signore, ovvero Carlo Il Calvo, non soltanto per farsi apprezzare da lui ma di farlo con la sua intelligenza, con il suo corpo e ROUSSEAU, ‘’EMILIO’’ Rousseau nell’ ‘’Emilio’’ afferma che la relazione educativa è immaginaria. Di Rousseau è apprezzabile il voler rendere l’educando attivo e protagonista mentre è discutibile la cieca fiducia nella natura, intesa come la trama dei fenomeni biologico-istintuali. Il brano inizia con la differenza tra due tipi di dipendenza: la dipendenza dalle cose che deriva dalla natura, non nuoce alla libertà e non genera vizi; la dipendenza dagli uomini che è di tipo sociale, non segue l’ordine naturale e genera vizi. Rousseau afferma di dover far conoscere al bambino solo la dipendenza dalle cose in modo da trasferire l’ordine della natura nell’educazione. Afferma anche che non serve vietare al bambino di comportarsi male ma basta impedire che questo possa accadere. Non bisogna inoltre costringere un bambino a stare fermo quando vuole muoversi o viceversa, quando ne hanno voglia devono poter saltare, correre, gridare, perché tutti questi movimenti esprimono il bisogno del loro organismo di irrobustirsi. Inoltre bisogna saper distinguere il bisogno vero, quello naturale, dal capriccio. Infatti quando un bambino piange per avere questo o quello, per essere accontentato più in fretta, bisogna assolutamente rifiutare ciò che chiede. Se è qualcosa di cui ha davvero bisogno si capisce, ma concedere qualcosa alle sue lacrime significa spingerlo a versarne ancora, fargli credere che ci si arrende facilmente alla sua molestia. Se vi ritiene debole presto sarà testardo, Bisogna quindi evitare un’eccessiva severità e un eccessiva indulgenza perché ciò può portare alla sofferenza dei bambini mettendo in pericolo la loro salute e persino la loro vita. ll sistema per rendere infelice un figlio è proprio quello di abituarlo ad ottenere tutto perché da un lato la felicità con cui viene soddisfatto farà sì che i suoi desideri crescono incessantemente e dall’altro lato i genitori sono costretti a dover rifiutare alcune di queste richieste e ciò gli provocherà sofferenza in quanto si è impossibilitati ad accontentarlo. PESTALOZZI, ‘’ DIARIO SULL’EDUCAZIONE DEL FIGLIO’’ Pestalozzi è la versione moderata delle innovazioni di Rousseau. Pestalozzi e Rousseau hanno in comune l’attenzione alla natura e la preoccupazione di rendere l’educando libero; ma Pestalozzi , a differenzandi Rousseau, non mette in ombra l’educatore ne pensa che la natura conduca alla libertà. Pestalozzi è caratterizzato da una spiccata disposizione realistica che lo porta ad avere un modo di concepire la relazione educativa dove la libertà è unita al senso del limite e l’obbedienza è congiunta alla capacità dell’educatore di giustificare i vincoli che pone in termini di ragionevolezza. Pestalozzi afferma che sia la libertà che l’obbedienza sono dei beni che bisogna connettere. Nel brano Pestalozzi sostiene che il bambino deve essere più libero che può, deve valorizzare ogni possibile occasione di libertà, riposo e serenità. Deve vedere, sentire, trovare, cadere, rialzarsi e sbagliare, ciò che può fare da solo la deve fare, perché è la natura la maestra migliore degli uomini; ma nel momento in cui si capisce che è necessario riprenderlo e quindi fagli capire di essere obbediente, bisogna educarlo a ciò fin dai primi anni. Ogni impedimento genera diffidenza e proprio per questo bisogna anche rassicurarlo, bisogna fargli capire che l’educatore sarà un grande compagno, gradevole e allegro. Bisogna stabilire un rapporto di fiducia, indicandogli la retta vita soprattutto nei momenti in cui egli tenta di deviarla senza limitare la sua libertà (esempio dei due piatti, uno caldo e uno freddo). Egli deve obbedire a chi lo guida con saggezza, e al padre che lo ammonisce giustamente, ma questi gli debbono comandare solo là dove è necessario, non per capriccio, vanità o per inclinazione a una cultura inutile. Deve quindi godere appieno della sua libertà ma deve affiancare a ciò anche il lavoro, come il copiare immagini cercando di stare seduto per almeno un’ora, coltivando un piccolo giardino tutto suo. Il lavoro però non deve essere imposto, gli ordini devono essere resi piacevoli. Un’osservazione importante per l’attuazione dell’obbedienza è che il bambino deve conoscere ciò che è proibito, perché castigare l’ignoranza conduce ad un risultato esasperante: chi castiga l’innocenza, perde il cuore. FROEBEL , ‘’L’EDUCAZIONE DELL’UOMO’’ Nel brano Froebel parla dell’esempio religioso che i genitori devono dare ai figli fin dalla primissima infanzia. Fa anche riferimenti religiosi; Prendersi cura della persona che educhiamo è uno dei gesti più preziosi perché rimanda al rapporto tra madre e figlio. Infatti egli afferma che il primo germe di ogni vera religiosità è il sentimento di comunione che unisce il bambino con la madre, con il padre e i fratelli. Poi Froebel parla della madre che posa il bambino dormiente sul morbido giaciglio implorando il Padre del cielo, assistenza ed amorosa protezione. Questo porta al bambino eterna salvezza e benedizione. Il bambino così curato dalla madre, riposa bene nel senso umano, terreno e celeste, riposa nel letto come in una preghiera. Quindi se il padre e la madre vogliono dare ai loro figli questo appoggio, questo dono per la vita che non verrà mai meno, devono apparire sempre uniti, all’interno e all’esterno. E non è vero che i bambini non comprendono, perché essi comprendono e comprenderanno, purché non siano stati già troppo trascurati o troppo alienati da sé e dai loro genitori. Essi non lo comprendono attraverso un ragionamento ma nel loro interno. Quindi nonostante il bambino sembra trascurare questi esempi religiosi, in realtà i frutti di questo sarà un senso religioso che saprà vincere tutti i pericoli della vita. GIOVANNI BOSCO , ‘’LETTERA DA ROMA DEL 10 MAGGIO 1884’’ Don Bosco cerca di capire il distacco tra allievi e maestri. Proprio come Pestalozzi, ritiene che tale distacco vada abbattuto con il contesto educativo corretto attraverso una connessione tra educatore ed educando, l’educatore deve mettere in atto una condivisione che possa attirare l’attenzione dell’allievo, deve affiancarlo anche nei momenti di contentezza o di gioco. La storia del contesto educativo va costruita sulla consapevolezza di cosa è significato educazione nel corso della storia. La lettera di Don Bosco è nota anche come Poema dell’amore educativo. E’ stata scritta quando Don bosco aveva percorso quasi per intero il suo pellegrinaggio terreno, maturando considerazioni di grande profondità sulle sue intuizioni, sulle sue esperienze ecc.. Quindi questa lettera può essere considerata un “testamento pedagogico” che si basa sull’intendere l’amore come sostanza dell’educazione e spronare gli educatori a costruire rapporti intensi e personali con gli educandi. Infatti l’educazione è “cosa del cuore” come dice il Santo, ma non nel senso della volubilità delle passioni ma in considerazione del fatto che l’amore costituisce un potente vettore conoscitivo attraverso cui si costituisce il legame profondo dell’educazione. In questo brano vediamo che Don Bosco racconta di essere in camera a pregare, quando improvvisamente gli parve che gli si presentassero davanti due antichi giovani dell’Oratorio. Uno di questi era Valfrè che era nell’oratorio prima del 1870 e invita Don Bosco a vedere i giovani che erano nell’Oratorio ai suoi tempi. Così si ritrovarono nell’antico Oratorio nell’ora della ricreazione davanti a una scena di tutta vita, tutta moto e allegria, chi correva, chi saltava, chi giocava alla rana, al pallone ecc.. Si cantava, si rideva e ovunque c’erano chierici e preti e intorno ad essi giovani che schiamazzavano allegramente. Poi l’altro antico allievo, Giuseppe Buzzetti, gli chiese se voleva vedere i giovani che attualmente sono nell’Oratorio. Così si ritrovano nell’oratorio sempre all’ora di ricreazione ma stavolta non si udivano più grida di gioia, non c’era più quel moto e quella vita come nella prima scena. Nel viso di molti giovani si leggeva noia, musoneria, diffidenza. Molti correvano e giocavano ma molti altri erano soli, appoggiati ai pilastri in preda a pensieri sconfortanti. L’antico allievo di Don Bosco poi gli dice che di qui proviene la freddezza di tanti nei confronti dei santi sacramenti, la trascuratezza delle pratiche di pietà in chiesa e altrove, le ingratitudini nei confronti dei Superiori… Così Don Bosco chiede all’allievo come rianimare questi giovani, e questo risponde “con la carità”, non perché non siano amati abbastanza ma c’era bisogno che questi conoscano di essere amati, cioè devono imparare a vedere l’amore in quelle cose che naturalmente gli piacciono poco, come la disciplina, lo studio, la mortificazione di se stessi. Inoltre Don Bosco fa una critica nei riguardi dei nuovi direttori dell’oratorio che non partecipano al divertimento dei ragazzi ma se ne stanno per fatti loro ed è per questo che i ragazzi anche se sono amati, non si sentono amati (amiamo ciò che piace ai giovani e i giovani ameranno ciò che piace ai superiori). Don Bosco alla fine del discorso si augura che tornino di nuovo i giorni felici in oratorio, i giorni dell’affetto, i giorni dei cuori aperti. MARIA BOSCHETTI ALBERTI, ‘’LA SCUOLA SERENA DI AGNO’’ Maria Boschetti Alberti è tra le figure più significative dell'attivismo italiano. Il testo corrisponde ad un passo della relazione che l'insegnante inviò a Ferriere; In esso illustra uno dei tratti peculiari della relazione educativa dell’attivismo: la personalizzazione (Infatti, allo scopo di rendere ciascun allievo protagonista dell’apprendimento, non possibile procedere in modo standardizzato ma bisogna attivare l’originale profilo cognitivo di ognuno). Maria Boschetti Alberti afferma che affinché un tale alunno acquisisca cognizioni scolastiche c’è bisogno della libertà di maniera. Ogni allievo deve imparare le medesime cognizioni ma non al medesimo modo, sarebbe assurdo, contro natura e inumano. Questo perché ciascun alunno ha un’intelligenza diversa, ognuno arriva ad imparare le medesime cognizioni ma in modi e in tempi diversi. GIOVANNI GENTILE, ‘’SOMMARIO DI PEDAGOGIA COME SCIENZA FILOSOFICA’’ Giovanni Gentile, ministro della pubblica istruzione, importante per la sua riforma, legislatore e riformatore scolastico. Gentile respinge la concezione educativa del positivismo; La relazione educativa per lui è spirituale, non è un ‘’fatto’’ ma un ‘’farsi’’, cioè un ‘’atto’’ nel quale sono in gioco tanto la libertà dell’educando quanto la libertà dell’educatore. Nella relazione educativa si crea una vera e propria comunicazione spirituale; Gentile sostiene dunque che l’educazione non possa ridursi ad un processo standard, ad un protocollo, ma che debba essere coltivata come una relazione spirituale. MARIO CASOTTI, ‘’MAESTRO E SCOLARO’’ Il brano di Casotti costituisce la risposta alla concezione gentiliana e il suo superamento critico. Oltrepassa le idee di Gentile apprezzando la materialità in quanto espressione spirituale. Casotti afferma che durante l’atto educativo, il maestro, non si accorge di essere diverso dai suoi scolari, ma gli scolari, l’aula e tutto ciò che lo circonda, spariscono e se ciò non avvenisse, se egli iniziasse a guardare con occhi diversi l’universo intorno a lui, il pensiero gli sfuggirebbe e allora il maestro cesserebbe d’esser tale. Dunque, inizia con la distinzione di due tipi di scolari affidati al maestro, lo ‘’scolaro’’ considerato nella sua materialità, tenendo conto dei suoi particolari e quegli ‘’scolari’’ in cui vengono considerate le loro menti, le loro intelligenze. Il maestro, durante l’atto educativo, non è vero che dimentica il mondo circostanziale, ma al contrario, egli deve considerarlo per carpire quelli che sono i segnali che gli alunni involontariamente gli danno indice di noia, curiosità… per capire così se un alunno è attento, distratto, annoiato. Trascurando l’esistenza degli alunni non potrebbe mai riconoscere ciò e quindi corpi, fronti, occhi ecc. interessano come mediatori di tali sensazioni. JOHN DEWEY, ‘’DEMOCRAZIA E EDUCAZIONE’’
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