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Relazione "L'economia del grano in Sicilia tra il XVI e il XVIII secolo", Guide, Progetti e Ricerche di Storia Economica

La seguente relazione è stata scritta per sostenere parte dell'esame della materia "Storia economica". L'argomento è il cambiamento delle coltivazioni di grano nella sicilia moderna, la gestione è l'affitto della terra, la rendita delle coltivazioni e il commercio marittimo. Alla fine della relazione è presente pure la bibliografia completa.

Tipologia: Guide, Progetti e Ricerche

2018/2019

Caricato il 17/01/2019

giuseppe.riggi.7921
giuseppe.riggi.7921 🇮🇹

4.7

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Scarica Relazione "L'economia del grano in Sicilia tra il XVI e il XVIII secolo" e più Guide, Progetti e Ricerche in PDF di Storia Economica solo su Docsity! 1 L’economia del grano in Sicilia tra il XVI e il XVIII secolo “I caricatori custodivano da secoli il grano, la risorsa, materiale e simbolica, più importante dell’isola. In Sicilia la politica, così come la guerra, ha sempre parlato il linguaggio del grano” 1 . Con questa affermazione Antonino Blando apre il suo saggio sul funzionamento dei porti per il commercio del grano nel XVIII secolo e, inoltre, aggiunge un tassello in quello che era un sistema commerciale complicato, giacché la storia del grano in Sicilia presenta diverse fasi e profondi cambiamenti, soprattutto osservando un periodo di lunga durata che va dal XVI al XVIII secolo. Per ricreare un quadro abbastanza articolato che si avvicina alla realtà dei fatti, è necessario tenere conto anche degli studi condotti su scala europea per capire se l’isola seguiva le tendenze continentali nei vari periodi o presentava delle inclinazioni diverse nell’economia di antico regime, ossia in un “sistema basato su un mercato prevalentemente influenzato da fattori extraeconomici in un quadro di lento mutamento” 2 . Per procedere nell’analisi della produzione e distribuzione del grano in Sicilia, introdurrò alcuni elementi che sono parte integrante di questi due processi e, man mano che se ne discuterà, si potrà osservare la loro evoluzione nell’arco di tempo sopraindicato. Per cominciare, bisogna comprendere che la struttura socio-economica siciliana è prettamente “feudale”. Non è la stessa struttura insediatasi con l’arrivo dei normanni in Sicilia e, ovviamente, non possiede le stesse identiche caratteristiche di quella del XV secolo. Già alla fine del Quattrocento la signoria terriera si trasforma grazie alla concessione del mero et mixto imperio 3 e, per ciò che riguarda il suo rapporto con la terra, vengono mutati principalmente i contratti agrari e le modalità di coltivazione. Se inizialmente si predilige una manodopera servile per le proprie riserve e le piccole proprietà in affidamento ai contadini, “verso il 1540-1550, il feudatario preferisce rinunciare a gestire direttamente le sue terre” 4 . Questo mutamento di gestione va ricercato nei tassi e nei tipi di produzione effettuati nelle terre: a partire dal Cinquecento si cominciarono ad effettuare delle colture cerealicole 5 – che si dimostrarono principale alimento dell’Europa del periodo − ma, come già avevano dimostrato la peste del Trecento o altri periodi di crisi precedenti, una gestione diretta delle terre poteva essere un rischio per chi investiva in quel settore che, dal suo canto, era sottoposto a diverse oscillazioni scaturite da crisi demografiche, annate cattive, mancanza di manodopera, ... 1 Antonino Blando, I porti del grano siciliano nel XVIII secolo, in Melanges de l'Ecole française de Rome. Italie et Mediterranee , t. 120 (2008) n. 2, p. 521. 2 Luciano Pezzolo, L’economia d’antico regime, Carocci, Roma, 2005, p. 9. 3 Il mero et mixto imperio è la delega dell’esercizio dei poteri politico, amministrativo, fiscale, militare e giudiziario ad un feudatario. 4 Maurice Aymard, Amministrazione feudale e trasformazioni strutturali tra '500 e '600 , in Archivio Storico per la Sicilia Orientale, 71, (1975), p. 22. 5 Cfr. Pezzolo, L’economia di antico regime cit., p. 48. Non che prima non esistessero le colture cerealicole, ma Pezzoli sottolinea che, se prima della peste nera si estesero, durante il periodo seguente si allargò il consumo di carne bovina e suina. Per la teoria, si veda Ibid. 2 Per evitare questo rischio, la terra veniva affittata ai contadini, ai mercanti – principalmente stranieri − o ai gabellotti, cioè i membri dell’oligarchia municipale, e ciò consentiva al feudatario un prelievo fisso nonostante gli sbalzi di produzione agricola, mentre la prerogativa del mero et mixto imperio lo agevolavano nei diversi rapporti con le altre realtà sociali 6 . Nella prima metà del Cinquecento, la gestione diretta della terra prevedeva l’uso di braccianti salariati e il loro pagamento poteva anche mettere in difficoltà il signore, le cui finanze dipendevano dal buono o dal cattivo raccolto. La gestione indiretta comportava invece diversi vantaggi, sia a livello di profitti che nel campo della commercializzazione. Bisogna intanto distinguere due tipi di reddito: il reddito del produttore e il reddito della piccola azienda contadina. Il primo (con gestione diretta o indiretta) segue l’andamento annuale del raccolto che, se sarà basso, darà un guadagno scarso anche con prezzi alti; il secondo, che prevede un reddito fisso, segue invece la fluttuazione dei prezzi e, quindi, più altro sarà il prezzo, maggiore si presenterà il guadagno. Il cambiamento di tipologia di affitto del terreno − denominato a terraggio 7 − e la capacità del feudatario di esercitare determinati poteri, permisero una variazione del canone durante il lungo periodo che andò da “terraggi 1-2 a terraggi 3-4” 8 e mise in grosse difficoltà il contadino, soprattutto in un periodo di raccolto scarso o in un momento di crisi come quello del Seicento. Secondo Aymard, questo conflitto fra le due classi divenne “il conflitto fondamentale della realtà sociale siciliana” 9 , e ciò darebbe forza alla teoria marxiana di Robert Brenner, secondo cui “l’evoluzione dei rapporti di potere fra le classi […] offriva la spiegazione più plausibile per comprendere i sentieri seguiti dai diversi paesi” 10 . Ma le interpretazioni non vanno ricercate solo in quei rapporti, ma anche nei fattori politici, economici ed istituzionali. Una coltivazione estensiva come quella del grano permetteva la stesura di certi tipi di contratto e, soprattutto, determinava buoni guadagni dato che la clientela non mancava mai. Nel Seicento la situazione cambia di nuovo perché, piuttosto che i contadini, i gabellotti sono i principali affittuari delle terre e, allo stesso modo dei feudatari, subaffittano la terra ai contadini causandone l’impoverimento: se nel corso del Cinquecento un coltivatore poteva utilizzare i propri attrezzi da lavoro e disponeva direttamente dei capitali – denaro e semente −, a partire dal 1600-1620 la sua condizione è come quella di un colono che prende tutto in prestito dal proprietario e il raccolto servirà a pagare i debiti delle anticipazioni e la quota prefissata, senza consentirgli il guadagno, l’indipendenza e l’autosufficienza 11 . I gabellotti, inoltre, percepiscono a volte un guadagno 6 Ho sottolineato più volte il privilegio del mero et mixto imperio perché Domenico Ligresti, tra gli interventi fatti a Maurice Aymard, rileva che tale concessione “rafforza senza costi economici il potere della feudalità” (Aymard, Amministrazione feudale e trasformazioni cit., pp. 46-47). Ed effettivamente il potere concesso dalla prerogativa risulta fondamentale per la stipula dei contratti, per le modalità d’affitto previste da essi e per l’usura sui debiti contratti dagli affittuari. 7 Il terraggio è l’affitto di un terreno a coltivazione diretta con canone in natura, determinato in misura fissa, indipendentemente dai risultati della produzione. 8 Maurice Aymard, Il commercio dei grani nella Sicilia del Cinquecento, in Archivio storico per la Sicilia Orientale, LXXII (1976), I-II, p. 24. Per spiegare meglio il concetto volevo proporre l’esempio di Aymard e la sua conclusione: “Ammettendo che il terraggio sia di quattro salme, su un raccolto complessivo di dieci salme rimangono al contadino sei salme; se invece il raccolto è di cinque salme, al contadino, detratto il terraggio che rimane fisso, rimane soltanto una salma” (Ibid.) 9 Ibid. 10 Pezzolo, L’economia d’antico regime cit., p. 16. 11 Cfr. Aymard, Amministrazione feudale e trasformazioni cit., p. 32.
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