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Relazioni internazionali - LIBERALISMO, Appunti di Relazioni Internazionali

appunti e riassunto sulla seconda parte del corso di relazioni internazionali unito

Tipologia: Appunti

2018/2019

Caricato il 23/07/2019

Pirvuna
Pirvuna 🇮🇹

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Scarica Relazioni internazionali - LIBERALISMO e più Appunti in PDF di Relazioni Internazionali solo su Docsity! IL LIBERALISMO PROVA IL 17 DICEMBRE Si sviluppa dopo la seconda guerra mondiale ma l’89 rappresenta un momento importante per lo sviluppo della disciplina perché c’era una grande fiducia riposta in esso; si sviluppa in un rapporto dialettico fra le varie scuole. Liberalismo post 89. Durante anni 90 il liberalismo ha sperimentato un considerevole ritorno nel dibattito internazionalistico; la fine della guerra fredda è stata interpretata un po’ da tutti come un momento in cui potevano crearsi le condizioni per lo stabilirsi un nuovo ordine mondiale liberale. Sembrava molto allineato con la globalizzazione in atto, sia economica sia politica. La liberal hegemony aveva aperto verso un’espansione della visione liberale in tutto il mondo. Si entrava in un periodo di profondo ottimismo. Però quello che è successo nella pratica, gli attori liberali non sono stati in grado di vivere all’altezza delle aspettativa che la teoria che ha creato. (B.Jahn, Libera internationalism, 2013) La prima cosa da chiedersi è: che cosa rende ottimisti i liberali? Quali sono i presupposti della loro riflessione e in che modo argomentano la loro tesi? Anzitutto loro hanno fiducia nella ragione degli individui e quindi nella possibilità di gestire la politica internazionale in modo razionale (i realisti: egoismo, paura, sete di potere, l’arroganza, il prestigio…). Ruolo che i liberali attribuiscono alle oig dipende da questo; le oig sono interessanti perché riducono i costi di transazione. La razionalità va coltivata, ciè bisogna guardare alla cultura internazionalista, formare persone competenti etc. • La ragione può avere la meglio sulla brama di potere e la paura anche grazie all’affermarsi del diritto internazionale. • Riconoscono il peso degli interessi ovviamente e ritengono che una cooperazione reciprocamente vantaggiosa sia possibile perché l’interesse degli individui va in quella direzione. Danno molta attenzione agli attori non-stati (organizzazioni private, aziende, oig) e alle low politics. Sono in questo senso prgressisti. • La modernizzazione degli stati incrementa costantemente gli ambiti e le esigenze della cooperazione, questo finirà per prevalere sulla dimensione competitiva della politica mondiale. (E’ la fase in cui si afferma l’idea della governance) I liberali sono quindi progressisti. Si passa da una competizione che non dà frutti ad una governance cooperativa efficiente. Da questo impianto nascono 4 filoni di pensiero: • Sociologico • Dell’interdipendenza • Istituzionale • Repubblicano LIBERALISMO SOCIOLOGICO Si distingue per l’attenzione che dedica ai rapporti tra soggetti diversi dagli stati: persone, gruppi, organizzazioni private (fondazioni filantropiche). Il focus sono le relazioni transnazionali. Una riflessione più strutturata la fa Rosenau: il nostro mondo è fatto di due dimensioni: • Relazioni tradizionali • Relazioni libere dai vincoli della sovranità L’interazione fra queste caratterizza la politica globale contemporanea. La convinzione dei liberali che si concentrano sulle relazioni tra gruppi e organizzazioni diverse dagli stati è che queste siano più pacifiche e cooperative di quelle interstatali. K. Deutsch – nel 57 suggerisce che una comunicazione più intensa tra individui e organizzazioni possa favorire la nascita di una comunità di sicurezza: insieme di paesi caratterizzati da legami fiduciari che alterano il dilemma della sicurezza; l’esempio classico è l’area nord-atlantica. John W Burton – World society - il modello a ragnatela (cobweb) rappresenta meglio le relazioni tra i soggetti della politica mondiale rispetto al classico modello a palle da biliardo (dinamica azione/reazione). Poiché ciascuno fa parte di vari gruppi e le relazioni fra gruppi sono molteplici, la sovrapposizione delle appartenenze minimizza il rischio di conflitto. Un mondo ricco di network è un mondo più pacifico. REALISMO DELL’INTERDIPENDENZA Interdipendenza significa maggiore dipendenza (questo era un aspetto negativo per i realisti). L’aspetto della reciprocità sminuisce gli elementi negativi della cooperazione e fa sì che diventi un fattore positivo nella relazione fra Stati e produca maggiore inclinazione alla pace rispetto alla rivendicazione di autonomia e dipendenza che è la cifra del nostro tempo. L’interdipendenza continua a crescere con la modernizzazione. I paesi industrializzati cercano infatti di incrementare il proprio peso politico attraverso lo sviluppo economico e il commercio (rispetto all’esercizio della potenza militare e le conquiste territoriali che hanno costi sempre più alti in un mondo integrato) Dimensione economica è vista come integrale rispetto al peso politico. Il modello vincente è quello dello Stato commerciante (rispetto allo Stato combattente) es la Cina. dimostra come le democrazie non si facciano (quasi mai) la guerra ma tendono a cercare una soluzione pacifica. Le democrazie combattono invece contro i regimi non- democratici, sebbene evitino di norma conflitti preventivi, optando per alleanze difensive. In un regime democratico le procedure decisionali sono pubbliche. Ragioni istituzionali per cui non si fanno la guerra: Gli assetti istituzionali e i meccanismi decisionali delle democrazie favoriscono un atteggiamento pacifico che le porta a non scontrarsi fra loro e a cercare soluzioni nonviolente per opporsi ai paesi che manifestino intenzioni aggressive. Si osserva il peso della divisione dei poteri, del controllo dell’opposizione, della pubblicità dei processi decisionali, oltre che l’esigenza di mantenere il consenso dei cittadini. Ragioni normative per cui non si fanno la guerra: • Cultura politica rende fiduciosi nella possibilità di risolvere pacificamente le controversie • Valori morali condivisi • Questi fattori le rende più credibili quando assumono impegni nella negoziazione e implementazione di accordi Le ragioni economiche: • Il fatto che i reg dem proteggano la proprietà privata e lalibertà economica facilita lo sviluppo di una economia di mercato che alimenta l’interdipendenza. In un libro recente, Fateful Transitions (2015), D. Kliman sostiene che a rendere pacifici gli avvicendamenti al vertice del sistema internazionale tra democrazie sono essenzialmente due fattori: la trasparenza e l’opportunità di accesso (ovvero parola) che offrono a soggetti esterni. Questa conclusione è importante perché naturalmente queste due condizioni possono essere in qualche misura replicate dalla non democrazie (a differenza della cultura politica e dell’assetto istituzionale). La diffusione della democrazia ha rafforzato l’ottimismo dei fautori del liberalismo repubblicano. La fragilità dei regimi democratici di nuova istituzione (Freedom House parla di “stagnazione democratica” negli ultimi dieci anni) e le difficoltà insite in ulteriori transizioni dovrebbero però rendere prudenti. Critica realista - Secondo i realisti, il liberalismo non coglie la centralità delle questioni di sicurezza nelle relazioni internazionali attuali. La dimensione economica è rilevante e la cooperazione influisce positivamente sulla natura dei rapporti internazionali, ma in un ambiente anarchico le circostanze possono sempre riportare gli stati a una condizione di competizione violenta. L’unico modo per sfuggire a questa critica è discutere la concezione dell’anarchia come faranno i costruttivisti. LA SCUOLA INGLESE Costituisce una terza via: da una parte riconosce che gli stati agiscono in un contesto decentralizzato guidati dai rispettivi interessi (come nel realismo), ma hanno sviluppato norme regole e istituzioni sociali che consentono loro di perseguire collettivamente alcuni fini essenziali in modo da creare aspettative reciproche stabili. Gli interessi che gli stati condividono sono: limiti al ricorso della forza, rispetto dei patti e della proprietà. Loro vogliono capire come cambia nel tempo l’ordine internazionale. Per gli studiosi SI, l’esistenza di un sistema internazionale è un prerequisito per la costituzione di una società internazionale. Gli stati vivono dunque in quella che Hedley Bull ha definito una “società anarchica” (1977 edizione originale). Gli studiosi che appartengono alla scuola inglese studiano le dinamiche attraverso le quali si è costituita ed evolve. Essi, pur riconoscendo il ruolo giocato dagli attori non-stati, ritengono che essi siano secondari rispetto agli stati. Una società internazionale esiste se esistono norme, regole e istituzioni sociali nel sistema internazionale che si sono create attraverso un “dialogo”, dunque per consenso. Il rispetto di tali norme, regole e istituzioni presuppone, da parte dei suoi membri, il riconoscimento del valore che la società così definita venga preservata. La Scuola Inglese enfatizza dunque la dimensione di costruzione sociale della realtà internazionale e quella relazionale-diplomatica della politica mondiale, ovvero la dimensione prettamente sociale della società internazionale (distinta dalla comunità internazionale intesa come insieme degli stati sovrani e dal sistema internazionale inteso come insieme di unità interagenti). Gli studiosi della SI si suddividono tra queli che sottolineano il carattere pluralistico della società internazionale, riconoscendo la perdurante dinamica competitiva, e quelli che si focalizzano sul carattere solidaristico, dicendo che norme e regole condivise ridimensionano il peso del potere e della competizione, riducendo la necessità di ricorrere alla forza. Anche l’istituzione della ‘’grande potenza’’ è una istituzione della Società internazionale. Decolonizzazione rompe gli equilibri della comunità internazionale, perché gli obiettivi comuni vanno perseguiti con paesi con valori e storia molto diversi dalla cultura occidentale preminente. La questione del confronto sui valori è centrale e il tema del pluralismo nella società internazionale è un tema di riconoscimento di inconciliabilità dei valori in gioco. Es la discussione sugli interessi nazionali. Una reinterpretazione dell’interesse nazionale, un suo ampliamento, può avviare la strada verso il solidarismo. Le due condizioni possono essere concepite come estremi di un continuum. Da una parte, come modesto passo avanti rispetto alla semplice interazione degli stati nel sistema, si avrà una società internazionale pluralistica nella quale vi è minima condivisione di valori e norme, interazioni basate sul calcolo e la valutazione delle intenzioni altrui. All’estremo opposto, si avrà una società internazionale solidaristica, caratterizzata dal massimo integrazione in termini di valori e norme, con istituzioni condivise. Quale che sia, in ciascun momento storico, l’intensità dell’adesione a valori comuni, la “questione” relativa al confronto sui valori resta centrale (pluralismo è anche il frutto del riconoscimento che i valori in gioco sono inconciliabili). Due di questi valori sono particolarmente centrali nella riflessione della SI: l’ordine internazionale e la giustizia internazionale. L’ordine nella SI – è definito come arrangement in ingese, una organizzazione della attività che promuove il raggiungimento di finalità condivise. La definizione è: disposizione dell’attività internazionale che promuove il raggiungimento di quelle finalità della società degli stati che consideriamo elementari o primarie, prima tra tutte la preservazione della società internazionale come comunità di stati sovrani, quindi difesa dell’indipendenza degli stati (limitazione della violenza), saldezza degli accordi, stabilizzazione dei diritti di proprietà. Tema della responsabilità – la responsabilità di mantenere l’ordine è affidata alle grandi potenze (non gli altri attori). Gli statisti hanno anche un’altra responsabilità, in quanto esseri umani nei confronti di tutti gli altri esseri umani, indipendentemente dal paese di provenienza (obblighi diagonali). L’equilibrio di potenza consapevolmente perseguito, per la SI, ne è uno strumento. Gli statisti hanno dunque una doppia responsabilità: • verso i propri cittadini (perseguimento dell’interesse nazionale) • verso gli altri stati e la società internazionale nel suo complesso, in quanto – in virtù della sua appartenenza alla società internazionale – ogni stato ha diritti e doveri (tra i quali riconoscere la legittimità degli altrui interessi, rispettare gli accordi sottoscritti ecc.). Gli statisti avrebbero anche una – terza – responsabilità, in quanto esseri umani, nei confronti di tutti gli altri esseri umani, indipendentemente dal paese di appartenenza (obblighi diagonali: tra uno stato e i cittadini di altri stati di rispettare e proteggere i diritti umani). In questa categoria dei «non cittadini» nei confronti dei quali lo stato ha doveri si potrebbero far rientrare le generazioni future. Conciliare le dimensioni della responsabilità è una delle maggiori sfide che il mondo contemporaneo pone agli statisti. Oltre alla responsabilità, la SI dà importanza alla giustizia: commutativa e distributiva. 1. E’ legata al tema delle regole, corrisponde all’equità delle regole del gioco, contenute in accordi e prassi. Al progredire della società da un modello pluralistico a uno più solidaristico, entra in gioco l’equità delle regole, che consentono a tutti di giocare sullo stesso piano (es che non penalizzino i più deboli). 2. Anche a livello internazionale si deve ragionare in termini di giustizia distributiva, cioè i criteri di giustizia nell’allocazione di beni. Dal punto di vista metodologico, la SI ritiene che le relazioni internazionali rientrino nella sfera dell’esperienza umana, costituendone una delle varie dimensioni Bull, fautore dell’approccio classico, ritiene che per comprenderne natura e sviluppi occorra rifarsi alla filosofia, alla storia, al diritto ed in particolare fare esercizio di discernimento consapevoli della complessità della realtà internazionale e delle scelte che i decisori sono chiamati ad assumere. Il pregio di questo approccio è l’apertura agli stimoli che vengono da varie discipline e filoni, nonché dall’esperienza storica; questo permette agli studiosi di avvicinarsi alla complessità della realtà internazionale. Questa precisione analitica può rivelarsi un punto di fragilità, rendendo più difficile un’analisi rigorosa dei fenomeni. Critiche: • Realisti: SI dà troppa importanza alle norme, che secondo i realisti non possono condizionare la condotta degli stati; gli stati sottoscrivono le norme solo nella misura in cui favoriscono il conseguimento degli obiettivi nazionali. Secondo i realisti il problema delle responsabilità non si dovrebbe nemmeno porre perché lo stato ha un dovere verso i propri cittadini. • Liberali: è troppo debole il peso dato ai fattori interni, al regime interno, al ruolo degli individui, ai fattori economici etc. • - Globalisti: SI è troppo statocentrica Più il multilateralismo si indebolisce, meno è il valore che ha per i policy makers. Il ML ha rivelato nel tempo una notevole robustezza. La sua resilienza dipende dal fatto che -è costituzionalizzato -è coerente con la democrazia sul piano interno: quante più democrazie tanto più forte sarà il ML -ci sono sempre più problemi da gestire collettivamente: richiedono politiche pubbliche int. -perché l’indivisibilità di alcuni beni/ mali può essere soltanto il riflesso di un’adesione al ML e tale costruzione sociale oggi è percepita come cruciale. Criticità che minacciano il multilateralismo: endogene a questa logica: il ML “tiene” se si legittima grazie alla propria efficacia, ma un difetto di governance sta “frammentando” la comunità internazionale e così favorendo soluzioni “parziali”, regionali o issue specific (minilateralismo). Le criticità esogene a questa logica: il ML è sfidato da chi ha progetti alternativi (rifiuto di regole generali, istituzionalizzazione, responsabilità reciproca, magari mascherati dal ricorso di comodo ad un’etichetta che gode di forte legittimità) o non approva il ML così come è incarnato dalle attuali organizzazioni internazionali. Esistono alternative al ML che rispettino alcuni principi elementari della democrazia procedurale? In particolare quello secondo il quale tutti coloro i quali sopporteranno gli effetti di una decisione hanno diritto di concorrere – direttamente o indirettamente – a definirne i contenuti? Esistono alternative utili a moderare i rendimenti del potere e incrementare i rendimenti delle istituzioni, alimentando il senso di responsabilità reciproca? NATIONAL INTELLIGENCE COUNCIL, GLOBAL TRENDS 2025 «È improbabile che osserveremo un approccio complessivo, inclusivo e unitario alla governance globale. Le tendenze in atto suggeriscono che nel 2025 essa sarà ridotta a un patchwork di sforzi in qualche misura sovrapposti, spesso ad hoc e frammentati, che coinvolgeranno coalizioni a geometria variabile, organizzazioni internazionali, movimenti sociali, ONG, istituzioni filantropiche e imprese.Il bisogno di governance globale efficace crescerà più rapidamente di quanto i meccanismi esistenti non riescano a rispondere. I decisori perseguiranno dunque approcci alternativi per risolvere i problemi transnazionali – con nuove istituzioni, o più probabilmente raggruppamenti informali» Secondo Roy Smith: ipotesi che di fatto il multilateralismo si sia rafforzato perché costituisce una naturale trasposizione di modello di governo democratico sul piano internazionale. Dopo l’89 – l’ordine globale si è multilateralizzato Stanley Hoffman: è molto difficile essere liberali nella sfera internazionale, si tende a chiudersi in se stessi. Egemonia benevola: un ordine può essere prodotto da un attore egemone che mette a disposizione beni pubblici. L'ordine internazionale liberale: evoluzione e crisi (teoria della stabilità egemonica) Perché sono i liberali a (pre)occuparsi dell’ordine internazionale? Il tratto distintivo della sfera politica internazionale – composta di stati sovrani – è l’assenza di un soggetto Terzo in grado di far rispettare le regole (l’anarchia o decentralizzazione). In questa condizione prevale dunque (per i realisti) la legge del più forte. Gli stati saranno di conseguenza indotti a perseguire l’interesse nazionale – innanzitutto la sicurezza dei propri cittadini – ricorrendo all’esercizio del potere, praticando cioè la politica di potenza. Poiché nella competizione per la realizzazione dei rispettivi interessi nazionali conta il potere relativo, ogni incremento del potere (militare) di un attore – seppure dettato da ragioni difensive – deve essere prudenzialmente letto dagli altri come potenzialmente offensivo (dilemma della sicurezza). Ciò – è stato osservato – rende la politica internazionale il segmento più patologico delle relazioni sociali e questo chiama in causa i liberali. Se per i realisti il conflitto è una conseguenza inevitabile dell’anarchia, i liberali rifiutano l’idea che non vi sia possibilità di progresso nella sfera internazionale. L’evoluzione sperimentata dalle società politiche interne deve essere possibile anche tra stati (le costrizioni dell’ambiente non possono annullare le preferenze degli agenti). I liberali si affidano alla razionalità dell’uomo, che ricerca maggior benessere attraverso i commerci e quindi la pace che consente agli scambi di fiorire, alla democrazia in quanto regime politico che favorisce la fiducia reciproca per la trasparenza delle procedure e il controllo dell’opinione pubblica, il diritto internazionale e l’organizzazione internazionale che consentono agli stati di agire in una sfera regolata. In una sfera particolarmente inospitale per i principi liberali quale quella internazionale, nella quale – come ha scritto Stanley Hoffman – persino lo stato «lungi dall’essere la soluzione, diventa il problema», i liberali debbono sfruttare i varchi che la realtà offre per realizzare il loro progetto di ordine facendo leva sulla democratizzazione tanto dei regimi politici interni quanto della sfera internazionale (dimensione procedurale). L’ordine internazionale è una questione per liberali? L’ordine internazionale è necessariamente liberale (o non è)? Anche nella prospettiva realista, che mette il potere al centro, vi sono degli elementi di ordine (cioè sono previste delle regolarità di comportamento) nella politica mondiale, ma questi non sono dati da regole/istituzioni. L’ordine, per i realisti, è il riflesso dei rapporti di forza: la polarità rientra in questa logica, e anche il bilanciamento. Sarebbe dunque la distribuzione della potenza a condizionare la condotta degli attori. L’egemonia benevola - un ordine può anche essere prodotto da un attore egemone che mette a disposizione beni pubblici ottenendo in cambio lealtà. L’ordine liberale – in quanto aperto, inclusivo, basato su regole – costruito dagli USA dopo la Seconda guerra mondiale è stato interpretato, in questa logica, come un ordine egemonico in quanto bene pubblico. As Confucius said: “He who wants success should enable others to succeed.” And the initiative of “One Belt, One Road”, short for the Silk Road Economic Belt and the 21st-century Maritime Silk Road, is an offer of a ride on China’s economic express train. It is a public product for the good of the whole world. Liu Xiaoming, ambasciatore della Cina in Gran Bretagna, «Financial Times». Ciò che conta è che, per i realisti, l’ordine è sempre temporaneo: le dinamiche profonde della competizione per il potere portano infatti ciclicamente al conflitto. “[Dopo l’Ottantanove] le speranze che si aprisse una nuova era nella storia dell’uomo erano fondate su una circostanza irripetibile: la temporanea assenza della tradizionale competizione tra grandi potenze. […] Realisti come Henry Kissinger mettevano in guardia, a quel tempo, circa il fatto che tale condizione non sarebbe durata a lungo, che la competizione internazionale era parte della natura dell’uomo e sarebbe tornata. […] i realisti avevano una chiara consapevolezza dell’immutabilità della natura umana. Il mondo non stava sperimentando una trasformazione, ma semplicemente una pausa nell’interminabile competizione tra paesi e genti. Nel corso degli anni Novanta la competizione è ripresa”. R.Kagan. L’internazionalismo liberale wilsoniano e la costruzione dell’ordine dopo le grandi guerre. Il primo tentativo di sradicare alla radice la politica di potenza avviene dopo la Prima guerra mondiale. La gravità del conflitto spinge il Presidente degli Stati Uniti Wilson a proporre un piano di riforma radicale della politica mondiale. Soluzioni ad hoc, quali l’arbitrato, per comporre i conflitti non sono chiaramente adeguate, occorre prevenirli attraverso soluzioni strutturali. Lo sviluppo dell’organizzazione internazionale funzionale, a partire dalla metà dell’Ottocento, aveva reso l’istituzionalizzazione della cooperazione una leva promettente per trasformare «la politica di potenza in politica della responsabilità»: questo era il disegno dietro la creazione della Società delle Nazioni. L’esperimento fallirà, ma l’internazionalismo liberale aveva posto il multilateralismo al centro del progetto di trasformazione della politica mondiale. L’esperienza del fallimento dell’ordine post Prima guerra mondiale influenzò la creazione dell’ordine successivo alla Seconda, che appare più istituzionalizzato (maggior peso a regole e istituzioni) e con un ruolo più significativo affidato alle grandi potenze. Il progetto era quello rendere ai membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell’ONU garanti del principio di sicurezza collettiva. Il ruolo egemonico degli USA rifletteva una maggiore consapevolezza dell’interdipendenza del sistema internazionale, anche sul piano economico. L’evoluzione dell’ordine liberale dopo l’89 Con la fine del bipolarismo, cambia la distribuzione della potenza nel sistema (unipolarismo USA), mentre resta al suo posto l’impianto organizzativo multilaterale delle relazioni internazionali. La prima impressione è che l’ordine liberale si espanderà ad includere quelle regioni del mondo che prima ne erano escluse. I due vettori di tale espansione sono le democratizzazioni e la globalizzazione economica. In realtà, negli anni successivi emergono dinamiche che oggi inducono gli osservatori a parlare di una trasformazione o crisi dell’ordine liberale. La centralità degli USA viene messa in discussione perché sono meno preziosi i beni pubblici – a cominciare dalla sicurezza, visto il cambiamento delle minacce – che produce (malvolentieri) e l’aggiustamento alla condizione di unipolarità produce la controversa deriva unilateralista dell’amministrazione Bush. È pensabile un ordine liberale post-americano? L’architettura dell’ordine liberale si basa sulla sovranità, come norma fondamentale condivisa, sulla quale è costruito l’impianto istituzionale improntato al multilateralismo (norme generali, indivisibilità, reciprocità diffusa). Il funzionamento dell’ordine liberale ha finito per influenzare la concezione della sovranità rendendo più controverso l’ordine stesso, a partire dalle fonti della sua autorità (ovvero degli attori che agiscono in nome dell’ordine) Nuovi global players vogliono incidere sulla struttura organizzativa dell’ordine e sulla governance. Fra questi certamente la Cina che ha chiesto le venisse riconosciuto un ruolo più significativo nelle istituzioni internazionali esistenti, e ora sembra aver assunto una linea più proattiva, creando nuove istituzioni. Oggi due quesiti: 1) c’è ordine nel nostro futuro oppure stiamo procedendo (a ritroso) verso un ritorno in pieno stile della politica di potenza, intesa come alternativa alla quale facciamo parte e ciò li rende capaci di condizionare la nostra condotta. I fatti sociali possono essere concepiti come norme costitutive, in quanto “creano” un determinato gioco (la sovranità ha creato la politica internazionale moderna in quanto dovevi essere stato per giocare questo gioco). Ciò le distingue dalle norme regolative che invece disciplinano un’attività preesistente (diritto commerciale, codice della strada, regole della condotta diplomatica per la politica internazionale). Le norme costitutive si caratterizzano in quanto definiscono l’ambito del possibile piuttosto che quello del lecito (sfera tipica delle norme regolative che presuppongono l’esistenza dell’attività da regolare). La guerra esiste in quanto fatto sociale che conferisce significato e valore ad atti violenti che in un diverso contesto logico sarebbero puniti e disprezzati. Quali atti violenti sono legittimi in guerra è stabilito dal diritto bellico, cioè dall’insieme delle norme regolative che la guerra in quanto fatto sociale rende necessarie. Le norme sociali costitutive che definiscono la struttura del sistema internazionale costituiscono poi anche gli attori, nel senso che li inducono a definire la propria identità e relativi interessi, e quindi la condotta che consente di realizzarli, in termini di appropriatezza rispetto alle aspettative di ruolo. [Diversamente si ipotizza che gli attori adottino la logica delle conseguenze, in base alla quale attori razionali con identità e preferenze dati sceglieranno come comportarsi sulla base del calcolo del ritorno atteso di una opzione rispetto alle alternative]. Il nostro è dunque un World of our making (Onuf, 1989). Se a lungo soltanto gli stati hanno partecipato al gioco della politica internazionale ciò dipende da un’idea condivisa circa i requisiti per partecipare al gioco stesso (sovranità). Idee condivise, fatti e norme sociali, aspettative influenzano non soltanto il modo in cui gli stati perseguono i loro fini tradizionali (sicurezza, potenza e benessere), ma l’elaborazione della loro stessa identità e, attraverso questa, dei loro interessi. Nesso identità --» interessi estremamente importante nel costruttivismo. “Gli attori non hanno un portafogli di interessi che si portano appresso indipendentemente dal contesto sociale, essi definiscono i loro interessi nel definire le situazioni”. A. Wendt Ogni agente collettivo ha un’identità “corporate” (organizzativa), che definisce la sua natura. L’identità corporate genera interessi corporate i quali, «attraverso la motivazione, forniscono l’energia che spinge a impegnarsi in un’attività», nel nostro caso sono all’origine della stessa società internazionale. Lo stato moderno si identifica attraverso il principio di sovranità. All’identità “stato sovrano” sono intrinsecamente legati 4 interessi corporate: 1. sicurezza, 2. prevedibilità del rapporto con il mondo (identità sociali stabili), 3. riconoscimento, 4. espansione delle proprie capacità. Le identità sociali sono, invece, «insiemi di significati che un attore attribuisce a se stesso assumendo la prospettiva dell’altro» (Wendt). Ogni attore avrà identità sociali multiple che variano, quanto a salienza, in rapporto ai contesti nei quali agisce e nel tempo. March e Olsen ritengono che l’identità sociale spinga gli attori ad adottare, nell’agire, la «logica dell’appropriatezza», comportandosi come il ruolo che hanno assunto richiede. In questo modo essi ottengono conferma della loro identità sociale da parte degli omologhi. Infatti, “nella logica dell’appropriatezza è sensato chi non perde di vista la propria identità, nel senso che mantiene una congruenza tra il comportamento e la concezione di sé in un ruolo sociale”. Come si stabilisce ciò che il ruolo richiede? Se si pone che il comportamento sia guidato da regole (sociali) si converrà che regole definiscano le relazioni tra ruoli in termini di ciò che il titolare di un ruolo deve ai titolari di altri ruoli (ad esempio junior partner nei confronti dell’egemone benevolo). As a responsible stakeholder, China would be more than just a member – it would work with us to sustain the international system that has enabled its success. Cooperation as stakeholders will not mean the absence of differences – we will have disputes that we need to manage. But that management can take place within a larger framework where the parties recognize a shared interest in sustaining political, economic, and security systems that provide common benefits (R. Zoellick) Ponendo che l’obiettivo minimo degli attori sia sopravvivere: come essi sceglieranno di perseguirlo dipende dalle pratiche sociali che caratterizzano l’ambiente in cui si trovano. Venuto meno l’assunto dell’identità egoista, nonché il nesso fra identità egoista e autodifesa, porre che il sistema internazionale sia decentralizzato (anarchico) non basta a prevedere come essi si comporteranno. Contano le norme, idee condivise, fatti sociali, aspettative. Un contesto decentralizzato può dunque essere governato da norme sociali molto diverse tra loro, le quali danno origine a pratiche che influenzano la definizione di identità e interessi degli attori. Conseguenze: • la storia conta – amici/nemici non si nasce, si diventa. Il C. si propone di gettare luce sui processi di costruzione sociale della realtà internazionale. L’approccio è dinamico: norme, fatti sociali, aspettative sono riprodotte dalle pratiche sociali. • la distribuzione delle risorse materiali in sé non ci aiuta a capire gli sviluppi della politica internazionale – i realisti hanno ragione a sostenere che conta, ma in che modo dipende da concezioni intersoggettive. Relazioni sociali di amicizia, fiducia, sospetto e rivalità danno senso ai fatti, un questo senso influenzano la realtà fisica. Mentre molta teoria delle Relazioni internazionali si occupa di come gli attori difendano i propri interessi, il costruttivismo si chiede come li definiscano. Questo rende il costruttivismo alternativo a neorealismo e neoliberalismo: assumendo identità e interessi come esogeni al processo sociale essi si costringono a considerare il mondo come dato (trascurano le norme costitutive e guardano soltanto a quelle regolative). Se si “spacchetta” l’assunto dell’identità egoista degli attori si aprono spazi nuovi per ragionare sulle prospettive della cooperazione. In generale la logica dell’appropriatezza può spingere gli attori a comportarsi in modi molto diversi in termini di cooperazione o competizione per raggiungere i propri obiettivi, anche questi non impermeabili alla vita di relazione: si pensi all’identità responsible stakeholder. Attraverso il concetto di responsible stakeholder, che si applica anche ad altri attori, uno specifico paese o la comunità internazionale possono trasmettere le aspettative che nutrono rispetto al comportamento di un determinato soggetto, introducendo un parametro di giudizio dello stesso. In secondo luogo, richiamare la responsabilità vuol dire mandare un messaggio rispetto alla elaborazione degli interessi nazionali: ci si aspetta che saranno ampi abbastanza da includere il mantenimento e la gestione dell’ordine internazionale. La tesi di Finnemore è che il sistema internazionale possa “cambiare ciò che gli stati vogliono”. In questo senso è costitutivo e generativo in quanto crea nuovi interessi e valori per gli attori coinvolti nell’interazione. Ciò implica che le preferenze degli stati non possano essere semplicemente assunte, ma debbano essere problematizzate, anche chiedendosi dove abbiano origine. Di norma si assume che abbiano origine all’interno dello stato dove si formerebbe l’interesse nazionale, ma il quadro cambia se la dimensione sociale della loro esistenza viene accentuata. Nel testo Finnemore illustra tre casi nei quali organizzazioni internazionali hanno “socializzato” gli stati membri a nuovi obiettivi e nuovi valori che hanno poi avuto un impatto significativo nella lor condotta successiva. Esempio UNESCO e la creazione di burocrazie scientifiche da parte di paesi che integrano questo aspetto in una specifica concezione di “stato moderno” con la quale vengono così a identificarsi (identità sociale).
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