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Replicazione, trascrizione, traduzione, Dispense di Biologia Cellulare

Il documento tratta quello che è il processo di replicazione del DNA, di trascrizione e di sintesi proteica.

Tipologia: Dispense

2020/2021

In vendita dal 17/02/2021

angy-cialdella
angy-cialdella 🇮🇹

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Scarica Replicazione, trascrizione, traduzione e più Dispense in PDF di Biologia Cellulare solo su Docsity! La REPLICAZIONE DEL DNA è il processo mediante il quale viene sintetizzata una nuova molecola di DNA (figlia) a partire dalla molecola parentale (madre). Watson e Crick, nell’articolo pubblicato su Nature nel 1953, affermarono che il DNA seguisse un modello di replicazione semiconservativo senza avere però piena consapevolezza di tale affermazione. Affermarono, inoltre, che la replicazione del DNA fosse una replicazione direzionale che avviene in maniera semidiscontinua e richiede un apparato proteico, ossia un sistema di proteine reclutate per lo svolgimento della replicazione. La replicazione del DNA consiste nella sintesi di una molecola de novo di DNA a partire da una molecola di DNA parentale. La replicazione del DNA avviene durante la divisione cellulare. È nella fase S del ciclo cellulare che il DNA si replica. A dimostrare il carattere semiconservativo della molecola di DNA furono Matthew Meselson e Franklin Stahl con un esperimento del 1958. Furono formulati tre possibili modelli attraverso cui le due eliche di DNA parentale potessero fungere da stampo per la sintesi delle due nuove eliche di DNA: il DNA poteva replicarsi in maniera conservativa, in maniera dispersiva o in maniera semiconservativa. Nel modello conservativo vengono monitorate due replicazioni. Una prima replicazione genera: • una molecola identica alla molecola madre; • una molecola diversa dalla molecola madre. Quest’ultima deriva dal DNA parentale, ma possiede una sequenza complementare. In seconda replicazione, vi sono due molecole di DNA parentale: • la prima, è identica al DNA originario e quindi, i prodotti della seconda replicazione saranno identici a quelli della prima replicazione; • la seconda, seguendo il modello conservativo, darà origine a due molecole identiche a se stessa poichè si verifica una denaturazione e ciascun filamento fungerà da stampo per il DNA di nuova sintesi. L’ipotesi del modello dispersivo prevede che, in prima replicazione, dalla molecola di DNA parentale si generino due molecole figlie composte in parte da segmenti di DNA parentale e in parte da segmenti di DNA di nuova sintesi. Si ha una dispersione di sequenza, ossia vi sono delle sequenze miste tra DNA parentale e DNA di nuova sintesi. In seconda replicazione si verifica analoga divisione, poiché da ciascuna delle due molecole prodotte in prima replicazione derivano molecole con sequenze intersperse. L’ipotesi del modello semiconservativo è stata validata con l’esperimento di Meselson e Stahl. Ciascun filamento funge da stampo per la sintesi del filamento complementare. Ne deriva che: • in prima generazione si avranno molecole con un filamento parentale e un filamento di nuova sintesi (che non sono discontinui come nel modello dispersivo); • in seconda generazione ciascuna delle molecole ottenute in prima replicazione vanno a denaturarsi e ciascun filamento servirà da stampo per il filamento complementare di nuova sintesi, la cui sequenza è dettata dalla specificità dell’accoppiamento delle basi. Si parla di replicazione semiconservativa dal momento che nelle nuove doppie eliche uno dei due filamenti era presente nella doppia elica originale, l’altro è di nuova sintesi. Meselson e Stahl, per dimostrare il carattere semiconservativo della replicazione del DNA, si avvalsero di una tecnica di separazione su gradiente di densità. Utilizzarono il gradiente di cloruro di cesio che si ottiene dalla stratificazione, attraverso una procedura dai tempi piuttosto lunghi, dello stesso cloruro di cesio lungo un tubo. La concentrazione è maggiore sul fondo del tubo e minore nella parte alta del tubo: quindi, essa è decrescente. A questo punto divenne necessaria la ricerca di un metodo per poter distinguere le molecole di nuova sintesi dalle molecole di DNA parentale. Meselson e Stahl utilizzarono gli isotopi dell’azoto. L’azoto non isotopico è N14, l’azoto isotopico è N15. Gli isotopi sono instabili, radioattivi. Nel caso specifico dell’applicazione su gradiente di cloruro di cesio, l’N14 è più leggero dell’N15 e dunque potevano essere distinti. L’N15, che è più pesante, andava a formare sul gradiente di cloruro di cesio una banda più al di sotto rispetto a quella dell’N14. Cellule di Escherichia Coli, che possiedono un tempo di replicazione di 20 minuti, furono fatte crescere in presenza di fonti di carbonio e fonti di azoto (nutrienti) e in questo caso specifico fu fornito come fonte di azoto l’N15, ossia l’azoto marcato, pesante. Dopo un certo numero di ore di crescita, venne allontanato il mezzo contenente N15 e fu sostituito con un mezzo di coltura a fresco a base di N14. Monitorarono il DNA che deriva da queste colture dopo la prima e la seconda replicazione. Il loro esperimento consisteva nell’isolare il DNA derivante da colture cresciute in prima generazione e vedere dove questo si stratificava. Osservarono che in prima generazione (dopo 20 minuti) il DNA si stratificava in una posizione intermedia tra la banda più bassa ossia quella relativa ad N15 e la banda più alta relativa ad N14. Questo risultato risultava compatibile sia con il modello semiconservativo sia con il modello dispersivo. Ottenere una banda intermedia significava che, evidentemente, il DNA sintetizzato in prima generazione fosse costituito sia da N15 che da N14. Se invece il modello di replicazione fosse stato conservativo, il DNA sintetizzato in prima generazione sarebbe stato costituito solo da N15. L’ipotesi del modello conservativo venne invalidata. In seconda generazione osservarono che una parte del DNA si stratificava nella banda intermedia, ma compariva per la prima volta la banda più leggera relativa all’N14. L’N15 era come se fosse scomparso dal momento che era stato sostituito nella coltura da N14. Questa osservazione consentì di propendere per il modello semiconservativo poichè se il modello di replicazione fosse stato dispersivo, si sarebbe ancora vista la banda relativa all’N15. A questo punto fu suggellata la validità del modello di replicazione semiconservativo. I risultati sono condizionati dal numero di generazioni. Man mano che le cellulesi replicano, aumenterà sempre più l’N14 e quindi il DNA cosiddetto leggero, e diminuirà sempre di più l’N15 e quindi il DNA cosiddetto pesante. Il modello conservativo, da un punto di vista evolutivo, è sicuramente meno valido poiché fa riferimento al DNA parentale, ma è quello che si concilia meglio con quelli che sono i grandi cambiamenti che avvengono a livello delle macromolecole. polimerizzazione dei nucleotidi inseriti nella catena di RNA nascente come nucleotidi monofosfato. Le RNA-polimerasi catalizzano le reazioni di polimerizzazione in direzione 5’ 3’, come le DNA-polimerasi nel caso della replicazione del DNA. I prodotti della trascrizione sono tutte molecole di RNA: 1) mRNA: contiene l’informazione necessaria per la sintesi delle proteine; 2) rRNA: fa parte del ribosoma, principale responsabile della sintesi proteica; 3) tRNA: trasporta gli amminoacidi che vengono poi inseriti nelle proteine nascenti, interagisce con i ribosomi e funge da adattatore (molecola adattatrice) tra mRNA e amminoacidi; 4) piccoli RNA (microRNA; lnRNA; snRNA; siRNA): sono importanti nello splicing dell’mRNA e in altri processi cellulari. Le sequenze di DNA che quando sono trascritte danno origine ad una molecola funzionale di RNA, si chiamano geni. Nel gene è contenuta l’informazione necessaria per la futura sintesi di mRNA funzionale che potrà essere, ad esempio, una proteina. I geni sono localizzati sul DNA, sul filamento 5’ 3’ o sul filamento 3’ 5’. Il filamento di RNA trascritto sarà complementare ad uno dei due filamenti. Secondo un assioma che risale al 1944, un gene codifica per una singola proteina. Questo assioma fu brillantemente dimostrato da Adrian M. Srb e N.H. Horowitz. Bisogna innanzitutto fare una premessa su quelle che sono le vie metaboliche. Una via metabolica è caratterizzata da un precursore, primo reagente della reazione, che viene poi trasformato in intermedi di reazione. Ciascun intermedio deriva dall’attività di un enzima. Se un enzima non funziona, non si arriverà al prodotto finale e l’intermedio che funge da precursore per la formazione di un nuovo intermedio si accumula. Attraverso un esperimento condotto sui mutanti della muffa del pane (Neurospora crassa), Srb e Horowitz chiarirono la relazione che sussiste fra geni ed enzimi. Srb e Horowitz si soffermarono sulla via metabolica di biosintesi dell’arginina. L’arginina deriva dalla citrullina, che a sua volta deriva dall’ornitina, che a sua volta deriva da un precursore. Analizzarono quattro ceppi di neurospora crassa. Il ceppo selvatico wild type rappresenta il ceppo controllo e cresce in tutti i substrati. Il ceppo mutante 1 cresce solo in presenza di arginina (prodotto finale della via metabolica). Il ceppo mutante 2 cresce sia con arginina sia con citrullina. Il ceppo mutante 3 cresce se almeno uno dei 3 supplementi viene aggiunto. Il ceppo 3 è mutato tra il precursore e il primo intermedio di reazione. Il difetto è superato se si forniscono substrati a valle del difetto stesso. Il ceppo mutante 2 è mutato sull’enzima che converte l’ornitina in citrullina. Il ceppo mutante 1 è mutato sull’enzima che converte la citrullina in arginina. Quello del gene che codifica per una sola proteina è un concetto ormai superato. Negli organismi complessi, come l’uomo, da un singolo gene vengono spesso generate più proteine. Sulla base del meccanismo del processo di splicing, la sequenza genica di partenza può essere assemblata in maniera diversa e quindi dare origine a prodotti proteici diversi. Il genoma umano è costituito da 20.000-25.000 geni, poco meno del doppio di genomi di organismi estremamente meno complessi dell’uomo, come Drosophila melanogaster, il comune moscerino della frutta. L’espressione di un gene indica il numero di volte in cui un determinato gene è trascritto. Nell’ambito del processo di trascrizione, un gene sarà tanto più espresso quanto pià la quantità di mRNA sarà maggiore. Un gene A può essere più espresso rispetto ad un gene B sulla base del numero di trascritti. La trascrizione è funzione di una serie di fattori esterni ed endogeni che si devono concatenare. L’efficienza della trascrizione è strettamente dipendente da tali fattori. Anche la trascrizione, come la replicazione, si articola in una fase di inizio, in una fase di allungamento e in una fase di terminazione. Le RNA-polimerasi si legano a specifiche sequenze di DNA localizzate su regioni chiamate promotori ed avviano la trascrizione. Nei procarioti, un singolo promotore controlla la trascrizione di più geni codificanti per prodotti tra loro correlati (operone Lac). Negli eucarioti, in genere, un promotore controlla l’espressione di un singolo gene. L’operone Lac è un esempio di promotore che, nella cellula batterica, controlla tre geni distiniti: • lacZ: β-galattosidasi; • lacY: β-galattoside permeasi; • lacA: β-galattoside transacetilasi. L’individuo intollerante al lattosio presenta difetti nella β-galattosidasi, ossia nell’enzima che scinde il lattosio nei suoi monomeri costitutivi. Il gene presenta una regione definita promotore localizzata a monte (upstream) della sequenza codificante del gene stesso. Il promotore è la regione a livello della quale avviene la trascrizione. Presenta una porzione intermedia codificante del DNA, definita Open Reading Frame (indicata con la sigla ORF). Il gene presenta, inoltre, una regione di terminazione, definita terminatore, localizzata a valle (downstream) della sequenza codificante del gene stesso. Il terminatore corrisponde ad una sequenza a livello della quale termina la trascrizione. Nelle cellule procariotiche esiste un solo tipo di RNA- polimerasi, mentre nelle cellule eucariotiche esistono più tipi di RNA-polimerasi coinvolte per sintesi diverse del processo. In entrambi i casi, però, le RNA-polimerasi sono costituite da più subunità. L’RNA-polimerasi batterica è stata ampiamente caratterizzata sia dal punto di vista strutturale che dal punto di vista funzionale. L’RNA-polimerasi batterica si compone di 5 subunità, distinte in due subunità α, due subunità β e una subunità σ definita la subunità catalitica dell’RNA-polimerasi poiché nella fase iniziale della trascrizione prende contatto con il DNA stampo necessario per la sintesi dell’RNA. La subunità σ dà inizio al complesso di trascrizione nelle cellule procariotiche. Nelle cellule eucariotiche, le RNA-polimerasi sono tre: RNA-polimerasi I, RNA-polimerasi II e RNA-polimerasi III. L’RNA-polimerasi I è implicata nella trascrizione dell’rRNA. L’RNA-polimerasi II è implicata nella trascrizione di mRNA e snRNA e risulta essere quella più attiva in quanto impegnata nella sintesi delle molecole di mRNA. Le molecole di mRNA contengono l’informazione necessaria per la sintesi delle proteine: vanno a trascrivere le regioni codificanti sul DNA in mRNA, tradotto poi a sua volta in proteine. L’RNA-polimerasi III è implicata nella trascrizione del t-RNA e delle piccole molecole a RNA (rRNA e snRNA). Esistono anche RNA-polimerasi vegetali: nella cellula vegetale vi è anche l’RNA-polimerasi IV. Vi sono RNA-polimerasi anche nei cloroplasti, organuli cellulari importanti per la fotosintesi clorofilliana. I mitocondri sono organuli cellulari dotati di un proprio genoma, di un proprio apparato di replicazione, di trascrizione e di traduzione e quindi esistono anche le RNA-polimerasi mitocondriali. Quando si parla di regioni regolatorie si fa riferimento a due regioni presenti nella struttura del gene: la regione del promotore e la regione del terminatore. Il promotore, in particolare, è importante nella fase di inizio della trascrizione perché contiene delle sequenze di DNA che vengono riconosciute in maniera specifica dalle subunità dell’RNA-polimerasi. La regione centrale a monte del promotore rappresenta la regione codificante del gene: l’Open Reading Frame (ORF) è la regione che contiene l’informazione per la sintesi del prodotto della trascrizione. A valle della regione codificante vi è la regione del terminatore che determina la fine del processo di trascrizione. Nella fase di inizio, la trascrizione è caratterizzata dal riconoscimento del promotore da parte dell’RNA-polimerasi. In una cellula procariotica batterica, la subunità σ dell’RNA-polimerasi andrà a riconoscere delle sequenze sulla regione del promotore localizzate nella regione -35 -10 paia di basi a monte della Open Reading Frame. Segue la trascrizione del filamento. Nella trascrizione lo stampo è rappresentato da una molecola di DNA. Il DNA è costituito da due filamenti: un filamento sarà templato e fornisce lo stampo per la sintesi del filamento neosintetizzato di RNA, mentre il filamento codificante conterrà un’informazione identica a quella dell’RNA trascritto. Nella trascrizione si distingue un coding strand e un template strand, sia che si parli di cellule procariotiche sia che si parli di cellule eucariotiche. Come nella replicazione, anche nella trascrizione è necessario uno svolgimento della doppia elica che avviene subito dopo il riconoscimento della regione del promotore. Analogamente al processo di replicazione del DNA, nella trascrizione la direzione seguita per la sintesi del nuovo filamento sarà sempre 5’ 3’: l’RNA-polimerasi attacca i nucleotidi trifosfato in corrispondenza delle estremità 3’ OH libere. Nei procarioti è a livello della regione -35 -10 pb che la subunità σ, poggiandosi sul DNA, dà inizio al processo di trascrizione. Negli eucarioti la trascrizione è attivata a partire da specifici fattori di trascrizione, ossia proteine che riconoscono sul DNA eucariotico sequenze consensus, come la GC box, la CAAT box e la TATA box. I fattori di trascrizione GTF (General Transcription Factors, TFII) possono essere attivatori o repressori dell’espressione genica che vanno a riconoscere queste sequenze specifiche e sono essenziali per avviare il processo di trascrizione. Negli eucarioti, dunque, la regolazione dell’espressione genica dipende dal legame dei fattori di trascrizione su sequenze specifiche localizzate a monte della Open Reading Frame- regolano lo splicing alternativo. La variabilità di trascritti/proteine risulta essere pressocchè infinita tra cellule differenti di un certo organismo. Recenti stime basate su dati di RNA-seq (trascrittoma) affermano che il 90%, 60% e il 25% dei geni rispettivamente di Homo sapiens, Drosophila melanogaster Caenorhabditis elegans subiscono splicing alternativo. Nel nucleo, un complesso proteico si lega al cap in 5’ dell’mRNA processato. Questo complesso viene riconosciuto da un recettore del poro nucleare ed in questo modo è possibile la traslocazione dell’mRNA nel citoplasma. Un lavoro scientifico del 2010 ha dimostrato, attraverso immagini ottenute con microscopio ad altissima risoluzione, il passaggio delle molecole di RNA attraverso i pori della membrana del nucleo in cellule di mammifero. In prossimità dei pori arrivano singole molecole di RNA che aspettano 80 millisecondi prima di accedervi, mentre il tempo di passaggio è di soli 5 millisecondi. Una volta passati dall'altro lato della membrana, c'è un ulteriore tempo di attesa di 80 millisecondi prima del rilascio nel citoplasma. Nei procarioti la regolazione avviene prevalentemente a livello trascrizionale. Negli eucarioti la regolazione può avvenire a diversi livelli: trascrizione RNA, maturazione RNA, trasporto RNA, traduzione e post-traduzionale. La TRADUZIONE è un processo mediante il quale l’informazione genetica è trasmessa dall’RNA alle proteine. Comporta la traduzione di un messaggio a 4 lettere (mRNA) in un messaggio a 20 lettere (proteine). Il codice genetico deriva da una serie di esperimenti e di scoperte: Marshall W. Nirenberg, a Har Gobind Khorana ed a Robert W. Holley sono stati insigniti del Premio Nobel per la Medicina e la Fisiologia 1968 per l’interpretazione del codice genetico e della sua funzione nella sintesi delle proteine. Il codice genetico è pressoché universale e mette in relazione 43 possibili triplette (64) di basi di DNA/RNA (codoni) con i 20 aminoacidi di una proteina. Ciascuna amminoacido viene specificato da una tripletta di basi azotate. 64 codoni codificano per 20 amminoacidi: il numero dei codoni è di gran lunga superiore al numero degli amminoacidi. Il codice genetico, dunque, è ridondante: più triplette possono codificare per lo stesso amminoacido. All'interno dei 64 codoni, ve ne sono alcuni che hanno una funzione regolatoria importante: codone di inizio e codoni di stop. Il codone di inizio indicato con la tripletta AUG codifica per la metionina. Essendo il codice genetico pressoché universale, il primo amminoacido di tutte le proteine sarà una metionina in tutti gli organismi. La metionina può essere poi modificata in N-formilmetionina. Vi sono poi tre codoni di stop, UAA, UAG e UGA che definiscono la fine della sintesi proteica: quando l’apparato implicato nella sintesi proteica incontra i codoni di stop, la traduzione si ferma e la proteina neosintetizzata viene rilasciata. Il codice genetico è ridondante perché più codoni possono codificare per uno stesso amminoacido. Ad esempio, la leucina può essere codificata dalle triplette UUA e UUG. Questo determina una certa variabilità all’interno del codice genetico. Se si pensa al rischio di errori, nella leucina, ad esempio, se sulla terza base di una tripletta viene introdotto un errore, questo può non dare origine ad una mutazione tant'è che si parla di vacillamento della terza base. La terza base consente una certa flessibilità all’interno degli errori che possono essere generati durante la sintesi proteica. Essendo il codice genetico organizzato in triplette, i moduli di lettura di un mRNA possono essere almeno tre. Se si immagina quello che avviene all’interno di una cellula, può capitare benissimo che una base non venga inserita e che si vengano a creare mutazioni frameshift, ossia slittamenti del modulo di lettura che comportano un’alterazione nella sequenza amminoacidica che a sua volta comporta la sintesi di una proteina diversa. Anche la sintesi proteica, così come la replicazione e la trascrizione, necessità di alcuni componenti essenziali, per poter avvenire. Tali componenti possono essere sia di natura proteica sia componenti diversificati, come ad esempio molecole di RNA. Il tRNA trasporta gli aminoacidi: dal punto di vista strutturale presenta una forma a trifoglio. A livello dell’estremità 3’ OH libera, viene caricato sul lato destro l’amminoacido che sarà poi inserito nella proteina nascente. L’ansa dell’anticodone del tRNA si trova nella posizione diametralmente opposta al braccio su cui viene caricato l'aminoacido. Essa contiene la sequenza complementare al codone presente sull’mRNA. Il tRNA ha delle proprietà essenziali ed è fondamentale per lo svolgimento della sintesi proteica. L’ansa dell’anticodone deve riconoscere il suo codone specifico sull’mRNA. La specificità è dovuta all’amminoacido che essa trasporta: l’amminoacido caricato sul tRNA deve essere esattamente quello che poi sarà inserito nella proteina nascente e deve essere quello codificato corrispondente all’ansa dell’anticodone e quindi poi al codone sull’mRNA. L’ansa dell’anticodone prende contatto con l’mRNA e quindi è complementare al codone presente sull’Mrna stesso. La reazione di caricamento degli amminoacidi sulla molecola di RNA è catalizzata da un enzima, l’amminoacil-tRNA sintetasi (tRNA su cui è stato caricato l’amminoacido). È una reazione endoergonica che richiede ATP e porta alla formazione di un intermedio, l’amminoacil-AMP più pirofosfato. Successivamente, questo intermedio viene convertito nel prodotto finale, ossia nell’amminoacil-tRNA. Esiste un amminoacil-tRNA sintetasi per ogni amminoacido e tRNA corrispondente. I ribosomi sono la macchina che permette la sintesi proteica. Si tratta di particelle ribonucleoproteiche costituite da proteine e da rRNA. I ribosomi sono costituiti, sia nelle cellule procariotiche che nelle cellule eucariotiche, da due subunità: una subunità maggiore e una subunità minore. La subunità maggiore contiene i siti importanti per lo svolgimento della sintesi proteica. Il ribosoma procariotico chiamato ribosoma 70s presenta una subunità maggiore 50s e una subunità minore 30s. Il ribosoma eucariotico chiamato 80s presenta una subunità maggiore 60s e una subunità minore 40s. La subunità maggiore è importante per la sintesi proteica perché contiene tre siti funzionali: Sito A, Sito P e Sito E. Sul sito A viene caricato l’amminoacil-tRNA. Sul sito P (P sta per peptide) si va a localizzare il polipeptide nascente. Il sito E (E sta per exit) è il sito di uscita: il tRNA scarico viene rilasciato a livello del sito E. Nella frase di inizio della traduzione, la subunità piccola del ribosoma si lega all’mRNA a livello della sequenza di Shine-Dalgarno che contiene il codone di inizio AUG (metionina). Il primo tRNA carico che avrà caricato la metionina, si lega, attraverso l’anticodone al codone d’inizio. Inizia a formarsi il complesso di traduzione. A questo punto, la subunità maggiore del ribosoma si posiziona in modo da ospitare il tRNAmet sul sito P. Nella fase di allungamento è previsto che il ribosoma scorra lungo l’mRNA. Nel sito A viene caricato un secondo amminoacido attraverso il legame tra codone e anticodone. Un altro tRNA carico corrispondente al codone successivo si posiziona sul sito A. Nel sito A l’amminoacido trasportato dal tRNA nel sito P si lega all’amminoacido trasportato dal tRNA nel sito A. L’enzima peptidiltrasferasi catalizza la formazione di un legame peptidico tra due amminoacidi adiacenti. Sul sito A il tRNA si scarica perché perde il proprio aminoacido. Il ribosoma scorrendo lungo il filamento di mRNA consente il rilascio del tRNA scarico attraverso il sito E. La fase di allungamento è caratterizzata dallo scorrimento del ribosoma lungo il messaggero che comporta la liberazione progressiva dei tRNA scarichi e contemporaneamente la formazione del polipeptide nascente attraverso la formazione dei legami peptidici tra gli aminoacidi ad opera dell’enzima peptidiltrasferasi. Il processo continua fino a quando non subentra un codone di stop che viene riconosciuto e legato da un fattore di rilascio. Il legame con il fattore di rilascio determina il rilascio del polipeptide dal tRNA e del tRNA dal sito P. La sintesi proteica si ferma e il complesso di traduzione si disassembla: la subunità maggiore e la subunità minore si staccano e il polipeptide nascente viene rilasciato.
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