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Responsabilità medica e onere della prova, Tesi di laurea di Diritto Civile

La tesi, faticosamente scritta nell'arco di 12 mesi, affronta la tematica della responsabilità medica e dell'onere della prova sotto tantissime sfaccettature (vedere l'indice). La stessa gode di una ricca bibliografia e dunque tanta dottrina e contestuale giurisprudenza per ogni argomento trattato.

Tipologia: Tesi di laurea

2018/2019

In vendita dal 30/07/2019

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Scarica Responsabilità medica e onere della prova e più Tesi di laurea in PDF di Diritto Civile solo su Docsity! INDICE Premessa…..…………………………………………………………….p. 4 Capitolo I LA RESPONSABILITÀ NELLA PROFESSIONE MEDICA • 1. Le fonti della responsabilità medica……………………………p. 6 • 2. L’esercizio dell’attività medica e il mutamento del rapporto medico- paziente.……………………………………………………………p. 7 • 3. Fonte di responsabilità, il medico “strutturato” e l’ente ospedaliero nel contratto atipico di spedalità.…………………………………..p. 12 • 4. Il corso della giurisprudenza nella responsabilità medica: il “contatto sociale”.……………………………………………………………p. 15 • 5. La “decontrattualizzazione” della responsabilità medica del Decreto Balduzzi: i primi tentativi di riforma.………………………...……p. 19 • 6. Il definitivo inquadramento della responsabilità degli “esercenti pro- fessioni sanitarie” e della struttura sanitaria, tra responsabilità contrat- tuale ed extracontrattuale alla luce della L. 24/2017………………p. 21 Capitolo II LE LINEE GUIDA E LA COLPA MEDICA • 1. Attività medica: obbligazione di mezzi o di risultato……………p. 24 • 2. Ragion d’essere delle “speciali difficoltà” e la diligenza nella profes- sione medica……………………….……………………………….p. 28 • 3. Linee guida e buone pratiche, da raccomandazioni all’attuale caratte- re cogente.…………………………………..……..……………….p. 37 1 • 4. Le linee guida nella disciplina dell’art. 2236 c.c., introduzione alla colpa. ……………………………………………..……………….p. 47 • 5. La colpa medica, il suo mutamento tra il susseguirsi delle riforme…………….……………………………….……………….p. 49 • 6. La colpa lieve e la colpa grave.……………..…….………….….p. 55 • 7. La responsabilità colposa per morte o lesioni personali in ambito sanitario: il nuovo art. 590-sexies c.p. della l. 8 marzo 2017 n. 24..p. 59 Capitolo III ONERE DELLA PROVA, LA DINAMICITÀ DELL’ISTITUTO • 1. L’onere della prova, l’art. 2697 c.c……………………….……p. 67 • 2. I principi di vicinanza e ragionevolezza della prova, problemi in tema di totale o inesatto adempimento: la nota pronuncia della Corte di Cas- sazione n. 13533/2001.………….…….…………………….……p. 69 • 3. Segue. La presunzione giudiziale.…………………..……..……p. 74 • 4. La pronuncia delle Sezioni Unite n. 576 del 2008. Il nesso di causali- tà materiale e giuridica.……………….………..……..……………p. 78 • 5. Il superamento in ambito probatorio della nota distinzione tra obbli- gazione di mezzi e quelle di risultato, gli effetti sui regimi di responsa- bilità del debitore.………………..….……………..…….……..…p. 85 • 6. Indirizzi giurisprudenziali controversi in tema di ripartizione della prova del nesso di causalità successivi alla pronuncia della Corte di Cassazione del 2008 n. 577…………………………………..……p. 88 • 7. La prova liberatoria della causa ignota. L’attuale orientamento del riparto probatorio……………………………………………..……p. 92 • 8. La “dinamicità” di una disposizione (art. 2697 c.c.) apparentemente “statica”. Valori e principi giuridici.…………………………….…p. 98 
 2 da applicare di volta in volta nelle controversie ad essa presentate, fino al re- cente intervento del legislatore nel 2017. Oltremodo le casistiche riportate ed analizzate sono di grande ausilio per la comprensione della valutazione e degli accertamenti che gli organi giudicanti hanno via via, fino ai giorni nostri, mas- simizzato. La trattazione della colpa, nell’ambito della responsabilità medica, caratterizza e chiude la seconda parte della tesi, dimostra la volontà del legisla- tore di voler rendere un tessuto normativo non solo il più ampio possibile in tale materia, ma soprattutto più stabile e chiaro, dunque meno soggetto a inter- pretazioni particolarmente estensive. Si vedrà infatti, come la giurisprudenza di legittimità anche in questo si sia pronunciata non sempre univocamente, la- sciando un certo grado di incertezza. Le ultime ricerche svolte chiudono la tesi con una trattazione essenzialmente tecnica, ovvero l’analisi dell’onere della prova nell’ambito della responsabilità medica. Trattando l’art. 2697 c.c., viene analizzata la giurisprudenza della su- prema Corte rilevando come, in tema di onere della prova, la stessa vada a sot- tolineare l’importanza dei vari principi che ruotano attorno all’istituto de quo. Si vedrà, oltremodo, come la giurisprudenza di legittimità si sia occupata della prova del nesso di causalità materiale e giuridica, accogliendo più volte la teo- ria che mette a fuoco l’accertamento del nesso causale in due fasi. In conclusione, i principi e le massime, postulano non più una visione statica dell’art. 2697 c.c., ma una visione sostanzialmente dinamica, una capacità di adattamento della norma rispetto al caso concreto. L’onere della prova, allora, non graverà più sempre e solo (e con le stesse modalità) su chi vuol far valere un diritto in giudizio. L’ambito medico è classico per la sua complessa e am- pissima scienza-tecnica. La domanda che si pone sarà dunque: è corretto ad- dossare l’onere della prova al paziente, soggetto privo di cognizioni mediche, che ricorre in giudizio per la tutela di un suo diritto? 5 CAP. I LA RESPONSABILITÀ NELLA PROFESSIONE MEDICA 1. Le fonti della responsabilità medica. Nell’ambito del quadro normativo che sarà oggetto di analisi, primario è il ruo- lo svolto dall'art. 32 Cost., norma che tutela il diritto alla salute, valore all’api- ce del nostro ordinamento giuridico. La salute, infatti, risulta essere non un mero diritto del singolo, ma ricopre una rilevanza estesa, individuata nell’inte- resse di tutta la collettività. La responsabilità del medico trova origine generalmente in una prestazione inadeguata, produttiva di effetti negativi sulla salute del paziente. Ciò, in base al caso di specie, può comportare per il professionista un provvedimento disci- plinare (natura deontologica), una condanna per reato (natura penale) o un ob- bligo di risarcimento del danno (natura civilistica). Una prima fonte normativa la si rinviene nel codice di deontologia medica, ap- provato nel 2014 e perfezionatosi nei successivi tre anni, il quale prevede rego- le di autodisciplina professionale vincolanti per gli iscritti all’ordine e la cui violazione comporta l’applicazione di sanzioni disciplinari. La rilevanza di tale codice non è fine a se stessa, poiché, in certi casi, è proprio il codice a prevede- re ripercussioni nella valutazione della responsabilità civile o penale del sanita- rio. Una seconda via riguarda diversamente le fonti normative di carattere penale e, in particolar modo gli artt. 40 e 41 del c.p., principali norme di riferimento concernenti il nesso di causalità materiale tra il fatto compiuto e l’evento dan- noso ed il concorso di più fattori causali, tenendo comunque in considerazione la verifica dell’esistenza di elementi soggettivi (dolo o colpa). Accertata la presenza del dolo o della colpa e del nesso di causalità, diversi sono gli scenari di reato in cui rischia di incorrere il medico. Nei casi più gravi, 6 ovvero quando la condotta sanitaria sia causa della morte del paziente, il medi- co potrà rispondere, in base alle circostanze di fatto, del reato di omicidio ex art. 575 c.p., di omicidio preterintenzionale ex art. 584 c.p. o di omicidio col- poso ex 589 c.p. Se dall’accertamento degli elementi visti, risulti invece un’alterazione del pa- ziente di tipo psicofisico, potrà essere imputato al medico il reato di lesioni personali ex art. 582 c.p. o di lesione personale colposa ex art. 590 c.p. Una grande incidenza in tali casi ricopre poi l’art. 590-sexies c.p., introdotto di recente dalla riforma del 2017 concernente la responsabilità medica, la c.d. L. Gelli Bianco, che ha abrogato l’art.3 della L. n. 189/2012, riconoscendo per la prima volta nel codice penale una speciale scriminante che in seguito sarà ana- lizzata. Il quadro normativo si completa poi sotto il profilo civile. Il medico, nella veste di soggetto negoziale, potrà stipulare con il paziente un contratto di prestazione d’opera intellettuale, ai sensi dell’art. 2230 c.c. e, qualora non esegua esatta- mente la prestazione, il paziente potrà agire al fine di ottenere il risarcimento del danno ex art. 1218 c.c., in combinato disposto con gli artt. 1176, comma 2 e 2236 c.c., i quali richiedono l’accertamento della sussistenza degli elementi soggettivi del dolo o della colpa, nonché della tipologia di prestazione richie- sta, ad es. “routinaria” o meno, al fine di verificare effettivamente l’inadempi- mento dell’obbligazione. 1 L’esercizio dell’attività medica però non conosce solamente il rapporto nego- ziale “diretto” medico-paziente, ma tiene in considerazione anche la figura del medico “strutturato” di cui soprattutto negli ultimi anni il Legislatore si è pre- occupato di regolamentare sotto diversi profili normativi, attraverso due grandi riforme, l'una del 2013, l'altra del 2017. 2. L’esercizio dell’attività medica e il mutamento del rapporto medico- paziente. V. NIZZA, La nuova colpa penale del medico, Analisi delle principali linee guida per la valu1 - tazione della responsabilità sanitaria, Giuffrè, Milano, 2018, p. 3-5. 7 Ovviamente la metodologia vagliata dal medico per l’esercizio delle proprie prestazioni, anche nell’eventuale assenza di indicazione normative, esclude assolutamente l’utilizzo di metodi divergenti rispetto ai fondamenti epistemo- logici delle discipline mediche acquisite dal medico nel suo percorso universi- tario . 11 Per quanto riguarda poi la qualificazione della responsabilità medica in ambito civile del medico ospedaliero, c.d. “medico strutturato” (dipendente o esercen- te, all’interno di strutture pubbliche o private), essa è stata oggetto di dibattiti dottrinali ed evoluzioni giurisprudenziali. Le problematiche effettive sorgevano dall’assenza di norme specifiche in materia, tali da poter dare un assetto quan- tomeno stabile alla regolamentazione della stessa. Il tutto, infatti, era quasi in- teramente demandato alle interpretazioni giudiziali evolutive. Negli ultimi decenni, gli interventi legislativi, ed in particolar modo la L. 8 marzo 2017 n.24, hanno permesso di superare quella sorta di garanzia, di im- munità, di cui la classe medica godeva. Si pensi ad esempio, alle pronunce di legittimità e di merito che facevano ricadere il peso della prova al paziente leso <<dell’animo deliberato di malaffare>> o del <<grossolano errore>> del 12 13 medico, e secondo le quali <<il medico porta seco la presunzione di capacità nascente dalla laurea e la colpa dovrà consistere nella trascuranza di canoni fondamentali o elementari della medicina>> . 14 Nella seconda metà del 900, per via del sostanzioso progresso tecnico-scienti- fico, che concedeva al paziente la possibilità di cure attraverso personale me- dico più specializzato e mezzi tecnici tendenzialmente più adeguati, dottrina e giurisprudenza colsero l’inevitabile mutamento avallando le aspettative di cure e determinando un aumento di richieste risarcitorie sempre crescenti per il tra- dimento di tali aspettative. Più precisamente, da allora si aprirono le prime V. NIZZA, La nuova colpa, cit., p. 9.11 Cass. Napoli, 24 luglio 1871 in U. RUFFOLO, L. BRIZZI, Il medico “strutturato, in La nuova 12 responsabilità medica, Giuffrè, Milano, 2018, p. 79. Cass. 21 marzo 1941 in U. RUFFOLO, L. BRIZZI, Il medico, cit., p. 79.13 Cass. civ., Sez. Un. 22 dicembre 1925 in TRAVAGLINO, La responsabilità contrattuale tra 14 tradizione ed innovazione, in Resp. Civ. Prev., 2016, 01. 10 concezioni giurisprudenziali nell’elaborazione della figura del “contatto so15 - ciale” quale responsabilità per inadempimento pur in assenza di rapporto con- trattuale diretto tra medico-paziente nel caso l’operatore sanitario fosse “strut- turato”, in un’ottica basata sul contratto atipico di “spedalità”. Rilevanti furono inoltre le ricadute, a tal proposito, sul turbamento della serenità di giudizio dia- gnostico e terapeutico che destava non pochi timori per il medico, favorendo e accordando maggiore tutela al paziente leso. Dopo decenni di totale silenzio e, potremmo dire, lavoro quasi sostitutivo della giurisprudenza per via dei gravi vuoti normativi, il Legislatore si adoperò al fine di porre un freno all’incessante aggravare della posizione medica in tema di responsabilità, agendo attraverso due riforme; la prima, preliminare e in- completa (decreto Balduzzi ), risultante appunto come primo tentativo di as16 - setto della disciplina della responsabilità medica in ambito civile; la seconda, attraverso la legge Gelli-Bianco che sulla scia del suddetto decreto, ha modi17 - ficato profondamente l’area della responsabilità, preoccupandosi, tra le tante novità, in particolar modo della figura medico “strutturato”. L’evoluzione legislativa odierna permette ora di pervenire ad un rapporto me- dico-paziente più equilibrato, dovuto al contemperamento di due esigenze con- trapposte: da un lato preservando la serenità diagnostica o terapeutica del pro- fessionista, come visto condizionata per anni anche da pretestuose azioni risar- citorie, dall’altro fornendo un’idonea tutela al paziente leso. Tutto ciò è reso possibile prestando attenzione non più solo ed esclusivamente al medico, protagonista per secoli indiscusso, ma anche ad un terzo “soggetto”, ovvero la struttura sanitaria che si avvale degli esercenti sanitari e che mette a Cass. Sez. III, 22 gennaio 1999, n. 589; Cass. 21 giugno 2004, n. 11488; Cass. 14 luglio 15 2006, n. 16123. D.l. 13 settembre 2012 n. 158, convertito, con modificazioni, in L. 8 novembre 2012, n. 189 16 recante <<Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del paese mediante un più alto li- vello di tutela della salute>>. L. 8 marzo 2017 n. 24 recante <<Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della per17 - sona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professioni sanitarie>>. 11 disposizione attrezzature e locali, riconoscendo anche ad essa in taluni casi fonte di responsabilità nel contratto atipico di spedalità . 18 3. Fonte di responsabilità, il medico “strutturato” e l’ente ospedaliero nel contratto atipico di spedalità. Il problema che si è posto per anni (fino all’ultima riforma 2017), riguardava la posizione del medico che operasse all’interno di strutture pubbliche o private da cui dipendesse o presso le quali, a vario titolo, collaborasse. Il dilemma sorgeva perlopiù per via del doppio rapporto che il medico de quo intrattiene contestualmente: per un verso il vincolo contrattuale che lega l’ope- ratore sanitario alla struttura (contratto di spedalità) e, dall’altro, un rapporto di fatto nascente dalla prestazione diagnostica o terapeutica resa in favore del pa- ziente. Ai fini pratici si sottolinea la rilevanza della corretta individuazione della re- sponsabilità in caso di inesatta esecuzione della prestazione richiesta dal pa- ziente, in quanto due risultano essere le vie applicabili: da un lato l’illecito aquiliano, attribuibile direttamente al medico, dall’altro la responsabilità da inadempimento strettamente collegata alla struttura. L’applicazione di una o dell’altra, provocano ovvie ricadute anche sul fronte del diritto processuale, sia in termini di prescrizione (decennale se contrattuale, quinquennale per la re- sponsabilità extracontrattuale), che di ripartizione dell’onere probatorio. L’in- dividuazione della fonte di obbligazione è il primo passo per un corretto riparto della prova; l’operatività del regime di responsabilità ex art. 2043 c.c. sposta il gravoso onere probatorio dal debitore al creditore, dovendo quest’ultimo dimo- strare non solo il fatto commissivo/omissivo da cui deriva il danno, ma anche il danno medesimo, il nesso di causalità tra l’uno e l’altro e l’elemento soggettivo del danneggiante (dolo o colpa) . 19 L. BRIZZI, Il medico “strutturato, in La nuova responsabilità medica (a cura di) 18 U. RUFFOLO, Giuffrè, Milano, 2018, p. 82. L. BRIZZI, Il medico “strutturato”, in La nuova responsabilità medica (a cura di) 19 U. RUFFOLO, Giuffrè, Milano, 2018, p. 84. 12 4. Il corso della giurisprudenza nella responsabilità medica: il “contatto sociale”. Il percorso giurisprudenziale, per mezzo secolo ad oggi, ha prospettato con di- verse soluzioni orientamenti altalenanti circa la responsabilità medica. L’attuale impostazione data dalla L. 8 marzo, 2017 n.24 rivede un leggero ma non completo riflesso in pronunce piuttosto risalenti ove, già nel 1979, veniva impostata la responsabilità risarcitoria del professionista (si badi, “strutturato”) solo sotto un profilo extracontrattuale. Vero è che la ratio di fondo non ha co- munque radici essenzialmente parallele: <<Non è configurabile, dunque, una responsabilità contrattuale del medico dipendente dell'ente ospedaliero, verso il paziente in conseguenza dell'errore diagnostico-terapeutico da lui commes- so. Il quale errore, però, in mancanza di un preesistente rapporto tra il medico e il paziente, rileva quale illecito causativo di un evento dal quale sia derivato un danno al paziente: rileva, cioè, sotto il profilo della responsabilità extra- contrattuale>> . 26 Tale giurisprudenza, propose però dopo un decennio una sorta di inversione; l’ottica della responsabilità (del medico dipendente) veniva spostata sul tessuto normativo del contratto di prestazione d’opera professionale, tramite interpre- tazione estensiva e analogica delle regole applicate al vincolo di natura contrat- tuale della struttura, stante al minimo comune denominatore, ovvero l’esecu- zione non diligente della prestazione sanitaria del medico, sia in caso di rappor- to diretto con il paziente, che attraverso il tramite della struttura. Una riconduzione della responsabilità per inadempimento dunque valente per l’ente e per il sanitario, priva quasi di differenza, rinveniva il suo fondamento normativo nell’art. 28 Cost. attraverso un rinvio espresso alle <<leggi penali, civili ed amministrative>> e da queste l’attuazione di estensione analogica, come già detto per il medico . 27 Fu senza dubbio una costruzione giurisprudenziale tendenzialmente breve; a riprova, pochissimi anni dopo, la Cassazione realizzò l’impossibilità di poter far convergere le due responsabilità sotto un unico profilo normativo, aggiun- Cass. civ., 24 marzo 1979, n.1716.26 Cass. civ., 1 marzo 1988, n. 2144; Cass. civ., 11 aprile 1995, n.4152; Cass. civ., 1 febbraio 27 1991, n. 977; Cass. civ., 27 maggio 1993, n. 5939. 15 gendo il fatto che tale convergenza avveniva tramite uno sforzo interpretativo non adatto al caso di specie. La Corte di legittimità, infatti, con la successiva e nota sentenza del 1999 n. 589 basò le attenzioni su una più accurata visione del rapporto nascente tra 28 medico-paziente in tutti i casi in cui risultava mancare un contratto diretto. In altre parole analizzò più oculatamente la fonte del rapporto stesso e fissò d’al- tra parte, un (seppur temporaneo) punto fermo in tema di responsabilità medi- ca. Pronuncia, questa, che risulterà essere frutto della lontana dogmatica tedesca, che per prima ravviso’ la possibilità di nascita di un’obbligazione per via del c.d. “contatto sociale”. La figura del tanto (successivamente) dibattuto “contatto sociale”, trova infatti le sue origini nell’intuizione della nota dottrina tedesca di R. Jhering, ovvero, nell’idea che in vista di un pragmatico rapporto di fatto tra le parti e la contem- poranea assenza di un contratto tra le stesse è, comunque in determinate fatti- specie concrete, generatore di reciproci obblighi che spaziano tra correttezza, avviso e protezione. La concezione trova genesi in un noto scritto, consacrato nella seconda metà dell’800 . 29 Tale astrazione, oltre a ricoprire un forte impatto innovativo nel disciplinare diversamente i rapporti prettamente di fatto sine accordo, conobbe oltretutto la funzione, ulteriore, di temperare la rigidità del modello di tipicità legale della responsabilità aquiliana dell’ordinamento tedesco, fino alla dilatazione del suo ambito di applicazione attraverso le varie dottrine che si susseguirono nel tem- po . 30 Grazie alla sentenza del 1999 n.589, fu individuato nel rapporto di fatto, una responsabilità posta su una linea limite tra contratto e torto, una responsabilità che teneva conto di due problematiche, poiché, da un lato l’inquadramento del- Cass. civ., 22 gennaio 1999, n.589 in CASSANO, La giurisprudenza della responsabilità del 28 medico, Padova, 2007, p. 203 ss. R. JHERING, Culpa in contrahendo oder Schadensersatz bei nichtigen oder nich zur perfec29 - tion gelangten vertagen, in JHERINGS J., 1861, IV, p. 1 e ss. M. GAZZARA, Danno alla persona da contatto sociale responsabilità e assicurazione, Edi30 - zioni scientifiche italiane, Napoli, 2007, p. 50. 16 la stessa come puramente contrattuale poteva indurre ad una enfatizzazione della sua natura, mentre dall’altro leggere nella stessa una responsabilità civile sarebbe stato un “impoverimento” dovuto al fatto che alla figura del medico 31 non può essere ricondotto il solo principio del neminem laedere ex art. 2043 c.c che incombe sulla generalità dei consociati. Come affermato dalla giurispru- denza di legittimità nella nota sentenza in questione, la norma di cui all’art. 2043 c.c., disciplina infatti i casi in cui tra danneggiante e danneggiato non esi- ste alcun rapporto. Il medico e il paziente invece, non possono essere visti come due soggetti “sconosciuti”. Il medico <<non è un quisque de populo>>: al contrario, costui è obbligato in virtù di precise disposizioni di legge, nonché in virtù del contratto stipulato con l’azienda ospedaliera, a tutelare la salute del paziente ed a operare la massima diligenza nell’esecuzione delle sue presta- zioni . 32 La pronuncia mise in discussione il fondamento della natura contrattuale della responsabilità. Da un lato, infatti, la Corte escludeva la configurabilità di un contratto a favore del terzo, dal momento che il rapporto tra l’ente e il medico dipendente è d’im- piego, e secondo altro punto, perché il potenziale danneggiato invoca il con- tratto esistente tra lo stesso e l’ente ospedaliero (per via della mancata, incom- pleta o non corretta prestazione sanitaria), non in veste di terzo beneficiario, ma di diretto interessato . 33 Veniva poi ulteriormente esclusa la configurabilità di un contratto con effetti protettivi nei confronti del terzo, ovvero quella tipologia di contratti che oltre ad avere una prestazione principale verso la controparte, riconosce ad un terzo estraneo un diritto alla diligente esecuzione tale da evitare danni al terzo stesso, con la conseguente legittimazione all’azione risarcitoria per l’ipotesi di viola- zione di detto diritto . 34 C. CASTRONOVO, L’obbligazione senza prestazione ai confini tra contratto e torto, in La 31 nuova responsabilità civile, Milano, 1997, p. 177-178. C. CASTRONOVO, L’obbligazione, cit., p. 180 e ss.32 M. PARADISO, La responsabilità medica dal torto al contratto, in Riv. dir. civ., 2001, 33 p. 333. S. FAILLACE, La responsabilità da contatto sociale, Cedam, 2004, p. 30.34 17 mente nel momento in cui l’operato fosse caratterizzato da colpa lieve pur nel rispetto delle linee guida. Ai fini del giudizio di responsabilità era necessario, nell’accertamento giudizia- le, una sorta di doppio controllo attraverso l’analisi di elementi oggettivi da un lato e soggettivi dall’altro, quali, l’osservanza delle linee guida e, il grado della colpa dell’operatore sanitario. Si potrebbe però affermare, che l’intervento del Legislatore non poteva essere ancora definito risolutivo. Alla luce delle evoluzioni odierne, e con un’ottica più saccente, infatti, detto primo intervento potrebbe essere catalogato come “timido” tentativo di disciplina. Lo dimostra il fatto che lo stesso, non aveva risolto che qualche piccola incertezza, lasciando ugualmente alla giurispruden- za (rinviando tecnicamente il compito ad essa) l’identificazione di due punti cardine ai fini dell’accertamento della responsabilità: sarebbe stato il giudice a dover identificare le linee guida il cui rispetto costituiva l’operatività della de- penalizzazione in caso di colpa lieve, e ancora una volta sarebbe stato l’organo giudicante addirittura a dover definire il concetto di colpa grave, la cui sussi- stenza genera la responsabilità del sanitario . 42 Quanto anzidetto, venne inoltre affiancato da un ulteriore dubbio che colpì an- cora una volta la giurisprudenza. L’art. 3, co 1, del decreto Balduzzi richiamava l’art. 2043 c.c. Tale richiamo destò non poco disorientamento, considerato che, da un lato ci fu chi affermava come l’intervento legislativo fosse definitivamente interpretativo e chiarificatore del problema responsabilità, attraverso, dunque, l’applicazione pacifica dell’art. 2043 (responsabilità aquiliana) , chi dall’altro come la quinta 43 Sezione del Tribunale di Milano, negava tale soluzione, dichiarando non asso- luta l’applicazione di detta responsabilità, poiché il Legislatore se così avesse voluto (escludendo dunque l’applicabilità dell’art. 1218 c.c.) avrebbe certa- U. RUFFOLO, La nuova responsabilità medica, Giuffrè, 2017, p. 89-90.42 Trib. Varese, 26 novembre 2012, n.1406; Trib. Torino, 26 febbraio 2013.43 20 mente impiegato proposizione univoca, ovvero non soggetta a svariate possibi- lità altamente interpretative . 44 A tale divergenza interpretativa, prestò rimedio la Corte di Cassazione preci- sando : <<Ora, la fattura della norma, laddove omette di precisare in che 45 termini si riferisca all’esercente la professione sanitaria e concerne nel suo primo inciso la responsabilità penale, comporta che la norma dell'inciso suc- cessivo, quando dice che resta comunque fermo l'obbligo di cui all'articolo 2043 c. c., poiché in legge aquilia et levissima culpa venit, vuole solo significa- re che il legislatore si è soltanto preoccupato di escludere la rilevanza della colpa lieve in ambito di responsabilità extracontrattuale, ma non ha inteso cer- tamente prendere alcuna posizione sulla qualificazione della responsabilità medica necessariamente come responsabilità di quella natura. [omissis] Non sembra ricorrere, dunque, alcunché che induca il superamento dell'orienta- mento tradizionale sulla responsabilità da contatto e sulle sue implicazioni (da ultimo riaffermate da Cass. n. 4792 del 2013)>>. In altre parole, la Corte di legittimità interpretava l’art. 3 del decreto stabilendo che il Legislatore non si era espresso definendo una volta per tutte la responsa- bilità del sanitario come civile, non stabiliva in assoluto la natura aquiliana piuttosto che quella contrattuale, ma intendeva solo escludere in tale ambito innanzitutto l’irrilevanza della colpa grave e dall’altro precisava in maniera ferma il mantenimento dell’orientamento circa il contatto sociale e le sue im- plicazioni . 46 6. Il definitivo inquadramento della responsabilità degli “esercenti profes- sioni sanitarie” e della struttura sanitaria, tra responsabilità contrattuale ed extracontrattuale alla luce della L. 24/2017. Trib. Milano, 20 febbraio 2015, n. 2336, in Responsabilità Civile e Previdenza, 2015, 1, 163 44 (nota GORGONI). Cass., 17 aprile 2014, n. 8940, in Foro it. on line.45 C. CICERO, La nuova responsabilità medica, 2017, p.76.46 21 Prima di conoscere la portata attuale della responsabilità sanitaria e delle sue ripartizioni, è rilevante sapere che l’avvento della legge “Gelli-Bianco” fu pre- ceduto da molteplici disegni di legge, che in parte hanno costituito bozza della sua configurazione odierna. Si pensi come i primi lavori sul testo tendevano addirittura a trasferire in toto il centro di imputazione della responsabilità me- dica ad un livello sovraindividuale, chiamando unicamente la struttura a ri- spondere dei danni e conseguentemente escludendo l’operatore sanitario. L’avvento della legge 8 marzo 2017 n.24 (Gelli-Bianco) fu più prudente nel riparto della responsabilità rispetto ai progetti preliminari di legge, riordinando e superando finalmente il vetusto iter giurisprudenziale, costruendo la tanto discussa responsabilità partendo dalla base del vecchio decreto Balduzzi, ma curandone più aspetti e consacrando, questa volta univocamente nel suo art. 7, la disciplina di ripartizione delle responsabilità tra struttura e gli esercenti ad essa dipendenti. L’articolo in questione prevede infatti: <<La struttura sanitaria o socio-sanita- ria pubblica o privata che è, nell'adempimento della propria obbligazione, si avvalga dell'opera di esercenti la professione sanitaria, anche se scelti dal pa- ziente e ancor che non dipendenti dalla struttura stessa, risponde, ai sensi de- gli articoli 1218 e 1223 del Codice civile, delle loro condotte dolose colpose. La disposizione di cui al comma 1 si applica anche alle prestazioni sanitarie svolte in regime di libera professione intramuraria ovvero nell'ambito di attivi- tà di sperimentazione di ricerca clinica ovvero in regime di convenzione con il Servizio Sanitario Nazionale nonché attraverso la telemedicina. L'esercente la professione sanitaria di cui ai commi 1 e 2 risponde del proprio operato ai sensi dell'art. 2043 del codice civile, Salvo che abbia agito nell'adempimento di obbligazioni contrattuali assunta con il pa- ziente [...]>> . 47 Si scorge immediatamente che la responsabilità aquiliana è attribuita ex art. 7, esclusivamente agli “esercenti la professione sanitaria” che dipendono da strut- ture sanitarie pubbliche o private, individuati più precisamente ai commi 1 e 2. Legge 8 marzo 2017 n. 24 recante <<Disposizioni in materia di sicurezza delle cure e della 47 persona assistita, nonché in materia di responsabilità professionale degli esercenti le professio- ni sanitarie>>. 22 gravità della colpa; una proporzione che afferma una certa “indulgenza” nel momento in cui tanto maggiore sarà la difficoltà o la grandezza del problema . 50 Il beneficio che ne deriva non è di poco conto. Per comprenderne meglio la portata sarà utile osservare più da vicino la classica bipartizione prevista nel nostro ordinamento: “obbligazione di mezzi” e “obbligazione di risultato”. I due istituti trovano origine nella letteratura giuridica Francese dei primi del 51 '900, ove la stessa si determinava attraverso due articoli del code civil: l’art. 1147 individuava nell’inexécution de l’obligation, la diretta causa della respon- sabilità a prescindere dall’elemento colpa; l’art. 1382 tendeva ad identificare la colpa con l’avvenuto inadempimento. Il far coincidere la colpa con il mancato raggiungimento del risultato previsto, portava però, ad una eccessiva estensione della disciplina codicistica della re- sponsabilità del debitore, causando una generalizzazione della medesima, sen- za tener così conto né della professione svolta dallo stesso o dal tipo di “impe- gno” necessario richiesto, né della tipologia del rapporto contrattuale. Da non dimenticare poi, sotto l’aspetto processuale, l’aggiunta del carico pro- batorio gravante sul professionista, ovvero, l’onere di provare a proprio favore, in senso liberatorio, l’evento imprevedibile come causa dell’inadempimento. Tecnicamente, il problema dell’equiparazione della responsabilità del debitore comune con quella del professionista non andava solamente e necessariamente superata, ma soprattutto distinta; di lì a poco infatti vi fu la concezione di una bipartizione dell’obbligazione: da un lato il c.d. <<mezzo>> impiegato, e dal- l’altro il <<risultato>> ottenuto . 52 La terza sezione civile della Cassazione ha previsto che l’obbligazione di mez- zi presuppone la diligente osservanza dell’attività prevista in obbligazione, a prescindere dalla <<fruttuosità rispetto allo scopo perseguito dal creditore>>, mentre quella di risultato richiede il raggiungimento concreto della richiesta rappresentata dall’interesse di una parte <<assunto come contenuto essenziale G. CATTANEO, La responsabilità del professionista, Milano, 1958, p. 78 s.50 R. DEMOGUE, Traitè des obligations en général, I, Sources des obligations, V, Paris, 51 1925, p. 536 ss. R. CALVO, La nuova responsabilità sanitaria dopo la riforma Gelli-Bianco (legge n.52 24/2017), (a cura di) F. VOLPE, 2018, Zanichelli, Milano, p. 2-3. 25 ed irriducibile della prestazione>>, potendo così parlare di avvenuto adempi- mento solo ed esclusivamente nel momento in cui <<sia realizzato l’evento previsto come conseguenza dell’attività esplicata dal debitore>> sotto il dupli- ce punto di vista tendenzialmente quantitativo e qualitativo, non potendo rite- nersi adempiuta l’obbligazione, malgrado la diligenza applicata, se non sia av- venuto il raggiungimento del risultato previsto . 53 Tornando alla figura del medico, si pensi come alla luce di tale configurazione, lo stesso non promette la guarigione al degente, ma risulta comunque obbliga- to a prestare tutta la professionalità secondo le proprie cognizioni tecniche ac- quisite, e secondo le linee guida imposte. Ciò dunque porta alla non più identificazione della colpa nel mancato raggiun- gimento del risultato sperato (la guarigione), proprio perchè il <<risultato>> utile, si badi, non è dedotto in obligatione; ciò che diversamente vincola il me- dico in obbligazione è l’esercizio diligente della propria attività, il <<mezzo>> impiegato, (legato poi ovviamente alle regole della perizia). L’esatto contrario, invece, si verifica per le <<obbligazioni di risultato>> per le quali il mancato raggiungimento del risultato al quale l'obbligazione è preordi- nata costituisce inadempimento contrattuale. I vantaggi che si possono trarre da questa distinzione sono notevoli: il professionista non risponde per via del mancato raggiungimento del risultato sperato, a condizione però che siano state eseguite perfettamente le regole di diligenza nel caso di specie. Ovviamente non dovranno essere poste in ombra quelle che vengono definite attività preparatorie e accessorie rispetto a quella principale, che pur sempre dovranno essere anch’esse eseguite secondo la pre- rogativa di diligenza in atto. A titolo di esempio, si pensi al medico che faccia uso di strumenti chirurgici non previamente sterilizzati . 54 Detto ciò però, dobbiamo ancora chiederci se sia effettivamente sempre così. Già nel 1997, la Corte di legittimità poneva dubbi in merito al dogma della natura dell’obbligazione de quo, come di mezzi, ponendo attenzione <<all’ob- Cass. Civ., sez. III, 10 settembre 1999, n. 9617.53 R. CALVO, La nuova responsabilità, cit., p. 2.54 26 bligo del professionista di prospettare al paziente realisticamente le possibilità dell’ottenimento del risultato perseguito>> , di tal modo facendo entrare nel 55 contenuto dell’obbligazione il risultato della prestazione promessa. Esistono oltretutto, infatti, non pochi casi ove la prestazione richiesta al profes- sionista medico, preveda proprio il raggiungimento di un <<risultato>>: ne sono piena prova tra gli innumerevoli esempi, la chirurgia estetica o ricostrutti- va, la modificazione dei caratteri sessuali, il trapianto di capelli, o la realizza- zione di una protesi . 56 A ciò si aggiungano le pronunce giurisprudenziali che nei primi decenni del 2000, ai fini liberatori (dalla responsabilità), chiedevano di provare che <<la prestazione è stata eseguita>> non solo <<in modo diligente>> ma, <<che il mancato o inesatto adempimento è dovuto a causa a sé non imputabile, in quanto determinato da inadempimento non prevedibile né prevedibile con la diligenza del caso dovuta>> 57 E’ evidente però, come il ragionamento finisca con il pretendere dal medico il conseguimento di un risultato! Se lo stesso fosse unicamente tenuto alla sola diligenza, quella determinata condotta conforme alle leges artis risulterebbe essere già prova del corretto adempimento senza necessità di richiamo all'art. 1218 c.c. Ed invero, nel 2008, le Sezioni Unite della Cassazione ritennero <<dogmati- camente superata>> la distinzione tra le due tipologie di obbligazioni, por58 - tando apparentemente su un piano risolutivo la questione; solo apparentemente, Cass. civ., sez. III, 3 dicembre 1997, n. 12253.55 M. PARADISO, La responsabilità medica: dal torto al contratto, in Riv. dir. civ., 2001, p. 56 325. Cfr. M. HAZAN-D. ZORZIT, Assicurazione obbligatoria del medico e responsabilità sanitaria, Milano, 2013, p. 494. Cass., Sez. III, 24 maggio 2006 n. 12362; Cass., Sez. III, 11 novembre 2005 n. 22894; 57 Cass., Sez. III, 28 maggio 2004 n. 10297; Cass., Sez. III, 11 marzo 2002 n. 3492. Nella giur. di merito Trib. Bologna, 30 gennaio 2006, in www.dejure.it; Trib. Varese, 16 febbraio 2010 n. 16, in www.altalex.com. Cass. Sez. Un., 11 gennaio 2008 n. 577.58 27 ciò realizza quello che viene definito il progresso medico-scientifico, dall’altro lo stesso necessita, per il fatto di essere tale, di essere tutelato e protetto da at- triti o freni derivanti dalle potenziali gravose colpe o oneri probatori a carico del sanitario che verrebbero su di lui a pesare, svincolati da logiche del caso concreto. La tutela del progresso risulterebbe possibile solo grazie all’assunzione di tol- leranza da parte della legge, richiamando una sorta di immunità della respon- sabilità attraverso l’analisi delle circostanze di fatto che rendono estremamente peculiare e diverso ogni caso clinico . 65 Queste forme di tutela, però, non possono essere lette in termini comunque as- soluti, infatti, quando al contrario la prestazione d’opera intellettuale abbia come termini di paragone sperimentazioni già assodate, la colpa del professio- nista è sottintesa nel caso di mancato raggiungimento del risultato previsto . 66 A dimostrazione vedremo in quest’ultimo caso che la prova liberatoria non de- riverà dalla mera allegazione di diligenza, ma sarà necessaria la specifica indi- viduazione della causa effettiva del danno, che oltremodo, non dovrà comun- que essere presente nell’enumerazione dei rischi prevedibili per quella deter- minata operazione, nel senso che, la causa del danno debba risultare come cau- sa non prevedibile nell’annovero dei possibili punti critici per quella determi- nata prestazione . Gli effetti favorevoli dell’art. 2236 c.c., secondo la conce67 - zione francese della bipartizione dell’obbligazione tra mezzi e risultato, così 68 come vista, è dunque tenuta in considerazione dalla giurisprudenza, poiché si avverte la necessità di marcare molto più sul regime di specialità da cui deriva la responsabilità del professionista nei soli casi delle prestazioni straordinarie . 69 G. CATTANEO, La responsabilità del professionista, Giuffrè, Milano, 1997, p. 70; 65 A. PERULLI, Il lavoro autonomo, in Tratt. Cicu-Messineo, Giuffrè, Milano, 1996, p. 218. L. MENGONI, Obbligazioni <<di risultato>> e obbligazioni <<di mezzi>>. Studio criti66 - co, in Riv. dir. comm., 1954, I, p. 297. R. CALVO, La nuova responsabilità, cit, p. 5. 67 P. STAZIONE, La responsabilità civile del professionista, in S. PAGLIANTINI, E. QUADRI, 68 D. SINESIO (a cura di), Scritti in onore di Marco Comporti, III, Milano, 2008, p. 2615. R. CALVO, La nuova responsabilità, cit., p. 5.69 30 L’art. 2236 c.c. circoscrive, dunque, una disciplina di favore per il professioni- sta entro le grandi difficoltà tecniche, valutate non alla luce della capacità dello stesso ma attraverso i canoni invalsi nella pratica professionale. Per comprendere meglio, ad esempio: l’operazione al cuore pur non rientrando nelle conoscenze del medico generico, sarà diversamente calcolata in termini di (medio) impegno per il cardiochirurgo, che potrà essere in questo caso condan- nato anche per colpa lieve non potendo richiedere la copertura dell’art. 2236 c.c se dall’intervento non si dovesse riconoscere intrinsecamente il connotato della particolare difficoltà. Cosa che potrebbe diversamente avvenire se il me- desimo (esperto cardiochirurgo) abbia eseguito lo stesso intervento, che esige per il suo ramo dunque un medio impegno, in un caso di estrema urgenza in una struttura non adeguata alla tipologia di operazione. In quest’ultimo esem- pio ben potrebbe essere invocato l’art. 2236 c.c. a “tutela” del professionista, poichè mutata (in peggio) sarà la difficoltà del caso . 70 Si vedano, infatti, i casi in cui la Corte di Cassazione ha escluso la responsabi- lità dei medici, che per far fronte ad una situazione critica indifferibile avevano agito oltre il proprio ruolo di competenza ; per l’impossibilità di reperire un 71 altro medico o in caso di scioglimento dell’equipe . 72 73 In queste ipotesi, dunque, il giudice è tenuto ad una valutazione più ampia, te- nendo distinte e riconoscendo le circostanze in cui sia esistente la “particolare difficoltà” aggravata dall’urgenza, rispetto a quelle situazioni dove il sanitario non si sia adoperato in maniera adeguata nel fronteggiare l’urgenza stessa . 74 Grande rilevanza poi, è da riconoscere anche all’art. 1176 c.c. che disciplina la diligenza nell’adempimento, precisando che <<nell’adempiere l’obbligazione il debitore deve usare la diligenza del buon padre di famiglia>> e, nel suo 2° R. CALVO, La nuova responsabilità, cit., p. 6.70 Cass. pen., Sez. IV, 31 gennaio 2008, n. 13942.71 Cass. pen., Sez. IV, 25 settembre 2007, n. 44765; Cass. pen., Sez. IV, 20 maggio 2009, n. 72 31975. Cass. pen., Sez. IV, 6 aprile 2005, n. 22579.73 Cass. pen., Sez. IV, 5 aprile 2011, n. 16328; Cass. pen., Sez. IV, 18 agosto 2008, 40811; 74 Cass. pen., Sez. IV, 7 febbraio 2007, n. 29164; Cass. pen., Sez. IV, 4 febbraio 2004, n 43210. 31 comma <<nell’adempimento delle obbligazioni inerenti all’esercizio di un’at- tività professionale, la diligenza deve valutarsi con riguardo alla natura dell’at- tività esercitata>> . 75 L’obbligo di cui parliamo riguarda l’esecuzione delle regole di buona pratica sanitaria, qualunque sia la prestazione del medico, rientrando nelle stesse anche tipologie secondarie ma non meno rilevanti, come l’attività di aggiornamento continuo volto a garantire trattamenti sicuri, o anche il solo rispetto della vo- lontà del paziente . 76 L’articolo in questione fa riferimento alla figura del bonus paterfamilias, dun- que del buon professionista che assume una determinata e costituzionalmente rilevante obbligazione nei confronti del paziente; il termine di raffronto si ot- tiene sulla base delle cognizioni medico-scientifiche del professionista e delle aspettative che concretamente possono ritenersi raggiungibili nelle varie circo- stanze . 77 Dividendo la portata dell’art. 1176 c.c., notiamo che la diligenza del primo comma fa riferimento all’esecuzione delle obbligazioni in generale, ove poi letto in ambito medico può essere brevemente riassunto nel complesso di cure e cautele che costituiscono un binario, una guida volta a valutare la concreta violazione della correttezza. Ma nell’effettivo, è il 2° comma che sottolinea e pone a paragone l’impegno del professionista “modello” in una determinata circostanza e quello che empi- ricamente è stato concretizzato dal professionista . 78 Si ricordi, in merito, una pronuncia della Corte di Cassazione, che a suo tempo affermò: <<il medico [...] è tenuto a una diligenza che non è solo quella del buon padre di famiglia ex art. 1176, comma 1, c.c., ma è quella specifica del debitore qualificato, come prescritto dall’art. 1176, comma 2, c.c., la quale R. CATALDI, C. MATRICARDI, F. ROMANELLI, S. VAGNONI, V. ZATTI, Responsabilità del 75 medico e della struttura sanitaria, Maggioli editore, Rimini, 2015, p. 109. M. BILANCETTI, La responsabilità penale e civile del medico, Padova, Cedam, 2003, p. 76 960. M. BILANCETTI, La responsabilità, cit., p. 962-963.77 R. CATALDI, C. MATRICARDI, F. ROMANELLI, S. VAGNONI, V. ZATTI, Responsabilità del 78 medico e della struttura sanitaria, Maggioli editore, Rimini, 2015, p. 110. 32 Secondo la difesa, che teorizzava il contrario e dunque l’esistenza della respon- sabilità dei medici, le condizioni del paziente non potevano definirsi invariate pre e post operazione. Era stato accertato, infatti, che alla data in cui i medici sarebbero dovuti intervenire, l’aneurisma non era rotto e l’ematoma non c’era. Ciò avvenne solo in un momento successivo, cosicchè quando era stata esegui- ta l’operazione era ormai troppo tardi. Non solo, nel momento in cui il paziente arrivò in ospedale, presentava sintomi aspecifici. Quest’ultimi, è pur vero che, per la loro natura, non potevano far presumere direttamente e in tutta certezza l’esistenza di un aneurisma, ma allo stesso tempo è anche vero che con la medesima sicurezza non potevano esclu- derla. Il punto cruciale è proprio questo: il complesso quadro sintomatico avrebbe dovuto portare i medici ad eseguire nuovi accertamenti. Ma ciò non si verificò. Alla luce di quanto detto, la riflessione giuridica della Corte, parte dall’art. 1176 c.c.: la diligenza menzionata nella norma civilistica è, a suo giudizio, <<l’inverso logico della nozione di colpa: è in colpa chi non è stato diligente, mentre chi tiene una condotta diligente non può essere ritenuto in colpa>>. E’ da precisare però che, non può definirsi in colpa chi, sia stato solo non dili- gente, difatti la Corte, rettifica e afferma che la colpa <<sussiste soltanto nel caso in cui il preteso responsabile non solo abbia causato un danno, ma l’ab- bia fatto violando norme giuridiche o di comune prudenza>>. La Corte rintraccia oltremodo, una linea di demarcazione nel concetto di co- mune prudenza, diligenza, che non deve essere letto con lo stesso peso per tutti i possibili casi concreti. Da un lato infatti individua coloro che svolgono attività non professionale e, per loro, il parametro di riferimento è il comportamento, nelle medesime circo- stanze, del <<buon padre di famiglia>>, del cittadino medio, ovvero la persona con una normale avvedutezza, formazione e scolarità. Considerazioni a parte meritano le obbligazioni professionali, ove il secondo comma dell’art. 1176 c.c. pone un parametro più pretenzioso, poichè il riferi- mento non sarà più effettuato sull’“uomo medio” ma sul “professionista me- dio”: 35 <<L’ideale “professionista medio” di cui all’art. 1176 comma 2, nella giuri- sprudenza di questa Corte, non è un professionista “mediocre”, ma è un pro- fessionista “bravo”, ossia serio, preparato, zelante, efficiente>>. Nell’ambito della responsabilità medica, l’essere <<bravo>> significa prontez- za e tempestività dei sanitari che di fronte a sintomi aspecifici, potenzialmente ascrivibili a malattie diverse o comunque di difficile interpretazione, non aspet- tano il corso degli eventi, ma al contrario, si impegnano a formulare una serie di ipotesi alternative di diagnosi, verificandone la correttezza, e in ogni caso, ne segnalino al paziente, tutti i possibili significati e conseguenze. Sulla base di tali ragionamenti, i giudici della terza sezione della Cassazione hanno così riconosciuto la negligenza dei convenuti medici, cassando la sen- tenza impugnata e rinviando la causa alla Corte d’appello di Cagliari, in diver- sa composizione. Per concludere, nella valutazione della diligenza della condotta del medico, importante è il richiamo al “principio di autoresponsabilità” del paziente. Il comportamento di quest’ultimo infatti è pur rilevante ai fini della guarigione, poiché egli dovrà eseguire quanto prescritto dal medico per la risoluzione della sua malattia. Omessa questa collaborazione o eseguita in parte o ancora non secondo le pre- cise indicazioni del sanitario, la valutazione della responsabilità del medico sarà incisa da tale situazione che non sarà priva di considerazione e valutazio- ne, potendo addirittura causare l’esonero anche in toto della propria responsa- bilità rispetto agli eventuali danni (auto)derivati al paziente. Come fu pronunciato in una sentenza del Tribunale di Chieti, ai fini dell’esone- ro della responsabilità del sanitario, basterà infatti provare che il trattamento adoperato dal medico sia stato idoneo alla cura della patologia del caso concre- to e che il pregiudizio derivato al paziente sia dovuto proprio a un suo compor- tamento imprudente . 85 Ciò non significa però che il sanitario abbia il solo obbligo di somministrazio- ne post-prestazione, ovvero sia legittimato a omettere controlli sul paziente nel momento del decorso post-operatorio, anzi, proprio in merito, il Tribunale, Cfr. Trib. Chieti, n. 1139/2003.85 36 questa volta di Roma, precisa che l’attività di vigilanza risulta essere un obbli- go attivo ben preciso, mentre da tenere distinta è la circostanza in cui l’attività del medico si limiti alla mera prescrizione dei trattamenti terapeutici, ove solo qui non sarebbe previsto un obbligo di controllo, poiché l’adempimento a sot- toporsi a tali cure è rimessa alla sola volontà del paziente . 86 3. Linee guida e buone pratiche, da raccomandazioni all’attuale carattere cogente. Nell’ambito della valutazione della responsabilità medica, così come accennato nell’analisi delle obbligazioni di mezzi, un’incidenza non indifferente ha il raf- fronto tra l’operato effettivo del sanitario nel caso di specie e le c.d. linee guida o delle buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica. Quest'ultime, a livello normativo, sono state introdotte per la prima volta con legge n. 189 del 2012; anche se, già dapprima, qualche riferimento veniva già fatto sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza. La definizione di “linee guida” o “buone pratiche” non è stata ben tracciata univocamente né dalla appena citata Legge Balduzzi né dalla sua successiva riforma del 2017. Nell'individuazione delle migliori definizioni esistenti risalta quella dell'“Institute of Medicine” secondo cui le linee guida risulterebbero es- sere <<raccomandazioni di comportamento clinico, elaborate mediante un processo di revisione sistematica della letteratura e delle opinioni scientifiche al fine di aiutare le decisioni del medico professionista e/o del paziente sulle cure mediche più adatte alle circostanze specifiche>> . 87 Sul versante giurisprudenziale, nel 2016, viene elaborata la seguente definizio- ne: <<Analizzando il tema relativo alla natura ed al contenuto delle linee guida, occorre considerare che, secondo gli approdi della comunità scientifica inter- nazionale, esse costituiscono “raccomandazioni di comportamento clinico, Cfr. Trib. Roma, n. 33312/2002.86 M.J. FIELD - K.N. LOHR, Guideline for Clinical Practice: from development to use, Wa87 - shington, Institute of Medicine. 37 del sanitario poteva misurarsi identificando così attraverso queste la diligenza tenuta . 96 Altre volte la Suprema Corte si era espressa sminuendo le linee guida; una sua pronuncia del 2013, trattando della perdita del feto a causa di un ginecologo che non aveva eseguito l’intervento di parto cesareo, ritenne irrilevante le linee contenenti i criteri di scelta tra il taglio cesareo e il parto naturale . 97 In altre pronunce ancora si è ammesso come l’assenza di linee guida non è mo- tivo ostativo di responsabilità o della sua indagine, toccando comunque al giu- dice valutare la condotta sulla base quantomeno delle informazioni scientifiche di base . 98 Le pronunce appena analizzate sembravano annunciare il decesso delle racco- mandazioni cliniche. In realtà solo grazie alla Legge Gelli-Bianco del 2017, è stata prevista una totale inversione sulla concezione delle linee guida, istituen- do addirittura una Banca dati nazionale, presso il Ministero della Salute delle linee guida ritenute accreditate. Questa forma di istituzionalizzazione trovava la spinta nell'esigenza di oltre- passare i dubbi nati nel “periodo giuridico Balduzzi”, più che altro per ciò che riguardava l’esatta individuazione delle linee guida accreditate, evitando così che venissero utilizzate come riferimenti direttivi anche in assenza di fonda- mento scientifico. Tale riforma, per quanto favorevole possa essere nel dare un assetto stabile e univoco alle linee guida e buone pratiche, attribuendo alle stesse carattere co- gente, ha comunque diviso la dottrina. Parte di essa, infatti, critica tale passo normativo rilevando da un lato come il medico sia fortemente limitato nella scelta della sua azione terapeutica, dall’al- tro la problematica secondo cui la costituzione delle guide fornite dalla comu- nità scientifica, spesso e volentieri, pragmaticamente (e drammaticamente) non si esaurisce nell’unico vero interesse del paziente (migliore terapia del caso preordinata alla guarigione) da cui dovrebbe trarne origine, ma trova a volte Cass. pen. sez. IV, 9 ottobre 2014, n. 47289.96 Cass. pen. sez. IV, 24 gennaio 2013, n. 11493.97 Cass. pen. sez. V, 15 dicembre 2015, n. 9831.98 40 fonte da interessi di altra ed esterna natura, come nel caso di aspetti economici o di contenimento delle spese. Ad ogni modo, l’interpretazione giurisprudenziale, come a breve vedremo, por- tò sin dall’inizio a far comprendere che il diligente e corretto rispetto delle li- nee guida non costituiva elemento automaticamente esimente della responsabi- lità; al contrario, nel caso della mancata osservanza delle linee guida, ciò non avrebbe invece destato immediatamente piena prova della realizzazione di una condotta colposa. Questa logica sarebbe derivata dal ragionamento secondo cui, i giudici avreb- bero dovuto tener conto di tutte le possibili circostanze e varianti del caso a loro concretamente presentato, ovvero, avrebbero dovuto porre attenzione a non precipitarsi su un’istantanea colpa del sanitario nel caso in cui fosse stato necessario, a favore del paziente, discostarsi dalle linee guida per via della si- tuazione clinica o organizzativa . 99 Si pensi, ad esempio, al caso in cui un soggetto soffra di una pluralità di pato- logie rispetto alla, magari, più grave e principale di cui i sanitari si stiano occu- pando. L’eseguire la strategia medica imposta dalle linee guida potrebbe in tal caso sì, essere la soluzione corretta e la più sicura cura per la patologia grave, ma contestualmente potrebbe risultare rischiosa per le altre tipologie di patolo- gie minori presenti nel paziente che potrebbero così portare ad un peggiora- mento del quadro clinico. Ovvia sarà la possibilità per il medico di non esegui- re, neppure in parte, quanto disposto dalle linee guida del caso, cercando di ov- viare attraverso la strategia operativa meno dannosa per il malato. Troveremo infatti, secondo le varie pronunce della Cassazione susseguitesi dal 2012 ad oggi, un convergente orientamento, ovvero: l’agire del medico, mal- grado il corretto inquadramento e l’adeguata applicazione delle linee guida in relazione al caso concreto, risulterebbe censurabile solo nel momento in cui lo stesso non dovesse adeguare contestualmente le medesime linee guida al qua- dro clinico nel suo insieme. Il medico che infatti segua ed esegua le linee guida, applica correttamente, da un punto di vista formale, la strategia medica “codificata”; ma se lo stesso, non V. NIZZA, La nuova colpa, cit., p. 110.99 41 tiene parallelamente conto della complessità clinica e dunque dei micro e ma- cro problemi patologici contestualmente esistenti, l’operato sanitario risulterà non idoneo e indubbiamente inficiato da un errore medico . 100 Immediatamente dopo il primo (timido) tentativo di disciplina della responsa- bilità medica attraverso la L. Balduzzi, che a suo modo apriva la strada alle li- nee guida o raccomandazioni, intervenne la giurisprudenza di legittimità per far luce sulla riforma, circoscrivendo l’applicabilità e risolvendo dubbi interpreta- tivi. Con la sentenza Pagano del 2013, la Corte ha difatti analizzato la natura, la struttura e lo scopo delle “linee guida”, affermando che le stesse <<a differenza dei protocolli e delle check list, non indicano una analitica, automatica succes- sione di adempimenti, ma propongono solo direttive generali, istruzioni di massima, orientamenti>> . 101 Di rilievo anche la successiva sentenza Cantore con la quale i giudicanti hanno evidenziato che le circostanze di fatto possono rendere lo sviamento delle linee guida una strategia d’obbligo, più sicura per la salute del paziente: <<Potrà pure accadere che, sebbene in relazione alla patologia trattata le linee guida indichino una determinata strategia, le già evocate peculiarità dello specifico caso suggeriscono addirittura di discostarsi radicalmente dallo standard, cioè di disattendere la linea d'azione ordinaria. Una tale eventualità può essere agevolmente ipotizzata, ad esempio, in un caso in cui la presenza di patologie concomitanti imponga di tenere in conto anche i rischi connessi alle altre affe- zioni e di intraprendere quindi, decisioni anche radicalmente eccentriche ri- spetto alla prassi ordinaria>>. La Corte nella sua pronuncia prosegue poi affermando che: <<Evidentemente il legislatore ha divisato di avere speciale riguardo per la complessità e diffi- coltà della Ars Medica che, non di rado, si trova di fronte a casi peculiari e Cass. pen., Sez. IV, n. 47289 del 9 ottobre 2014; Cass. pen., Sez. IV, n. 16327 del 29 100 ottobre 2013; Cass. pen., Sez. IV, n. 38534 del 13 gennaio 2017; Cass. pen., Sez. IV, n. 45527 del 1 luglio 2015; Cass. pen., Sez. IV, n. 24455 del 22 aprile 2015. Cass. pen., Sez. IV n. 11493 del 24 gennaio 2013.101 42 linee guida da parte del medico convenuto e dall’altro l’adeguatezza delle stes- se nelle varie casistiche portate alla loro attenzione . 107 Ma rispetto al ruolo decisionale del giudice, le linee guida, ad oggi, che effetti- vo valore hanno? E’ sempre stata sostanzialmente dibattuta la loro effettiva va- lenza, sia sul versante penale che civile, non solo nell’accertamento in senso stretto della responsabilità medica, ma anche nei confronti delle libertà deci- sionali dell’organo giudicante. Si ricordi che la novella fa dipendere proprio dall’aver osservato le linee guida, la possibilità di richiesta in giudizio in pre- senza dei presupposti, del risarcimento del danno; dunque l’accertamento della stessa responsabilità del sanitario. Uno spunto di particolare importanza viene offerto dalla recente sentenza del 2017 della Suprema Corte, che trattando di una vicenda passata del 2001 (no- nostante la stessa non sia basata sul regime attuale che avvalora l’essenza delle linee guida), espone principi estremamente utili all’interprete, sottolineando in particolare come le linee guida non costituiscano un limite invalicabile rispetto alla discrezionalità del giudice. Trattasi di un giudizio nato dal ricorso di genitori di una bambina disabile. Questi affermavano e lamentavano l’errore diagnostico dei medici, ovvero l’er- rore nel precludere alla donna la volontà di abortire. Nel ricorso in appello, la decisione dei giudici tendeva a favore dei medici e della struttura sanitaria a loro sovraordinata, decisione che scaturiva sulla base di quanto acquisito nell’istruttoria: più precisamente, grazie alla consulenza tecnica, risultava la possibilità di tener esclusa la colpa dei sanitari rispetto al- l’operato posto in essere. La decisione dei giudici d’appello non fu affatto condivisa in Cassazione. Nei punti più salienti della motivazione si precisa innanzitutto il ruolo che svolgono le linee guida nell’esercizio dell’attività, affermando che la documen- tazione contenente raccomandazioni per la terapia o per la diagnosi delle varie tipologie di patologie, da un lato le linee guida possono acquisire, quando uni- voche, un livello di dettaglio sempre maggiore; dall’altro possono esistere in una complessità di versioni, aventi parallelamente paternità diverse. Ad esem- V. NIZZA, La nuova colpa, cit., p. 156.107 45 pio si pensi come per le malattie tiroidee in gravidanza, valgano tanto le linee guida di carattere nazionale previste dall’Agenzia per i Servizi Sanitari Regio- nali nel 2015, (ente pubblico non economico sotto la vigilanza del Ministero della Salute), quanto quelle previste dall’American Thyroid Association del 2011. Come si è osservato, le linee guida hanno visto una considerazione sempre cre- scente con non pochi effetti sulla responsabilità del sanitario, partendo dalla L. Balduzzi che affermava che il reato colposo non poteva costituire oggetto di responsabilità del sanitario che avesse realizzato la propria condotta secondo le linee guida e buone pratiche (fatto salvo il solo caso della colpa grave), fino all’attuale impostazione della L. Gelli-Bianco che riconosce espressamente l’ufficialità delle linee guida previste da determinate figure e raccolte apposi- tamente in un elenco istituito. Fu così inoltre introdotto attraverso la novella nel codice penale il nuovo art. 590 sexies, che prevede l’esonero della responsabilità nel caso di lesioni perso- nali colpose o omicidio colposo qualora la condotta tenuta sia stata specchio delle raccomandazioni delle linee guida “tipizzate”, e in assenza di queste, del- le buone pratiche clinico-assistenziali. Nonostante la qualità che viene oggi attribuita alle linee guida dunque, intesa come cogenza, vediamo allo stesso tempo e in una delle ultime pronunce di legittimità un’osservazione di non poco rilievo, volto a smontare proprio tale concezione e riaffermando sotto diversa ratio rispetto al passato, l’effettiva non assoluta cogenza delle linee guida. Si veda la motivazione della sentenza n. 11208/2017 , ove la Corte affermava come non fosse corretto, dunque non 108 condivisibile, ritenere che le linee guida siano concepite al rango di fonti di regole cautelari codificate, poichè esse non risultano essere né tassative e né vincolanti, non potendo inoltre prevalere sulla libertà del medico, cui spetta il compito di optare per la migliore soluzione per il paziente. Inoltre, le linee guida, pur rappresentando un utile parametro per l'accertamen- to della colpa medica, non estromettono la discrezionalità del giudice, essendo Cass. civ., Sez. III, 9 maggio 2017, n. 11208.108 46 egli libero, nella valutazione delle circostanze del caso concreto, accertare se sia o meno necessaria una condotta diversa da quella prescritta. I principi analizzati possiedono vasta rilevanza, poichè sottolineano il fatto che medico si deve discostare dalle linee guida nel momento in cui dalla loro per- fetta applicazione possa conseguire un danno al paziente. Il tenere in conside- razione il quadro clinico di volta in volta, porterebbe così a ritenere non statica ma variabile la casistica di applicazione delle linee guida, ovvero nonostante il loro (solo formale) grado di attuale cogenza, la loro disapplicazione e dunque deroga, è allo stesso tempo spinta da una realtà normativa quanto pragmatica- mente pro salute. Questo spiegherebbe il perchè non si possa parlare in senso dogmatico dell’assoluta cogenza delle linee guida. 4. Le linee guida nella disciplina dell’art. 2236 c.c., introduzione alla colpa. Come detto sino ad ora, dunque, le raccomandazioni delle linee guida, (o in mancanza, delle buone pratiche clinico-assistenziali), non hanno una valenza assoluta, ma la loro trasgressione può avere comunque ricadute giudiziarie e costituire situazioni di responsabilità da parte del sanitario. Sotto un profilo tecnico, per vario tempo e con pronunce non sempre conver- genti, ci si è chiesto quale fosse il rapporto tra le linee guida previste dalla no- vella e la disciplina dell’art. 2236 c.c. (la responsabilità del prestatore d’opera). Seguendo i ragionamenti della Corte di legittimità, le linee guida hanno avuto (e hanno tutt’ora) un certo impatto sulla disciplina di cui all’art. 2236 c.c., ov- vero, queste, tendono a perimetrare e allo stesso tempo sommare la responsabi- lità del medico nella valutazione di due elementi: la perizia e la particolare dif- ficoltà tecnica . 109 Nelle prime pronunce, era previsto, nell’ipotesi in cui il professionista medico avesse affrontato i c.d. <<problemi tecnici di eccezionale difficoltà>>, che non avrebbe risposto per imperizia qualora nell’eseguire la prestazione avesse pro- vocato un pregiudizio al paziente per colpa lieve. C.BUCCELLI, I. ABIGNENTE, M. NIOLA, M. PATERNOSTER, V. GRAZIANO, P. DI LOREN109 - ZO, La rilevanza delle linee guida nella determinazione della responsabilità medica. Le novità introdotte dalla cd. legge Balduzzi, le problematiche connesse, i tentativi di risolu- zione, in Riv. it. med. leg., 2016 (2), p. 663. 47 causa di negligenza o imprudenza o imperizia, ovvero per inosservanza di leg- gi, regolamenti, ordini o discipline>>. Secondo dottrina, si ha reato colposo qualora <<l’agente ha bensì realizzato il fatto previsto dalla legge come reato con una condotta che risale alla sua vo- lontà (“propria” di lui), ma non lo ha voluto ne direttamente, ne indirettamen- te. Se anche si è posto uno scopo (il che non si verifica sempre), egli non ha avuto di mira, e neppure accettato il fatto posto in essere>> . 114 Volendo precisare il concetto di colpa, vedremo che la stessa potrà concretiz- zarsi come “generica” nel caso in cui il fatto sia causato dalla trasgressione di una delle tre comuni regole di condotta: mancata prudenza, diligenza o perizia. Mentre parleremo di colpa “specifica” qualora sussista la violazione di leggi, regolamenti, ordini o discipline. Soffermandoci sulla figura della colpa generica vedremo che “l’imprudenza” si ha nelle circostanze in cui trattasi di un comportamento eccessivamente preci- pitoso o avventato, per nulla calcolato; la “negligenza” intesa come trascura- tezza, scarso impegno, superficialità, dimenticanza. In questa seconda tipologia di violata regola di condotta oltremodo rientra anche la c.d. “colpa per assun- zione”, ovvero di chi prende ruolo di un incarico senza possedere competenze e cognizioni tecniche per eseguire quella determinata attività. “L’imperizia”, in- vece, è definita come lacuna cognitiva del professionista o dell’effettiva ine- sperienza, purchè il soggetto abbia consapevolezza di dette carenze e nonostan- te tutto prosegua nell’agire. La distinzione tra queste tre tipologie di regole di condotta, per quanto possano apparire ben cristalline nella teoria, risultano invece complicate nell’applica- zione pratica. Poniamo l’esempio di un medico che abbia dato diagnosi o somministrazione errata di un farmaco: la stessa circostanza potrebbe essere causata da negligenza, non avendo approfondito per trascuratezza il caso clini- co, oppure potrebbe essere derivata da imprudenza, nell’essere intervenuto no- nostante egli sapesse di non avere la preparazione idonea al caso di specie . 115 F. ANTOLISEI, Manuale di diritto penale, Parte generale, Giuffrè, 1997.114 V. NIZZA, La nuova colpa, cit., p. 98. 115 50 La distinzione dei vari tipi di colpa generica ha giocato negli ultimi anni un ruolo fondamentale, portando dapprima non poche difficoltà interpretative per la giurisprudenza, per poi restringere di recente il suo ambito applicativo con la Legge Gelli-Bianco, richiamando espressamente la sola imperizia. Da non dimenticare sono poi le ipotesi di colpa specifica (causata dal trasgredi- re delle leggi, regolamenti, ordini o discipline). Controverso a tal proposito è il termine “legge”, poiché ci si domanda se nella stessa possano rientrare anche le leggi penali genericamente intese. Più volte la dottrina ha sottolineato come la colpa sia caratterizzata dall’aver violato non una qualsiasi norma, ma quella determinata e preordinata a fini cautelari, ovvero, quelle norme che prevedano l’impedimento di eventi invo- lontari derivanti dallo svolgimento di attività . 116 Sul versante dei “regolamenti”, si fa riferimento diversamente a quelle norme previste dalla pubblica autorità per regolamentare lo svolgimento di determina- te attività, mentre, infine, “ordini” o “discipline” hanno una portata assai più circoscritta a determinati soggetti e possono essere emesse anche da autorità private. Ad ogni modo, la colpa, ovviamente va accertata di caso in caso; la giurispru- denza, in tali circostanze, fa uso dei concetti di <<prevedibilità>> e di <<evita- bilità>> dell’evento dannoso. Ciò significa che affinchè la colpa possa essere imputata è necessario provare da un lato che sarebbe stato prevedibile il verifi- carsi dell’evento dannoso a seguito della condotta commissiva o omissiva tenu- ta, dimostrando poi ulteriormente che, se l’agente avesse tenuto una condotta secondo la norma, l’evento dannoso non sarebbe avvenuto. Già nel 2011 alcune pronunce di legittimità marcavano la concezione tra pre- vedibilità e evitabilità: <<In tema di responsabilità medica è necessario valuta- re per un verso la misura soggettiva della colpa, consistente nella prevedibilità del risultato offensivo e nell’esigibilità della condotta conforme alla regola cautelare, per altro verso la misura oggettiva data dall'individuazione e viola- zione della regola cautelare e dall’evitabilità del risultato dannoso>> . 117 V. NIZZA, La nuova colpa, cit., p. 99.116 Cass. Pen., Sez. IV, 17 novembre 2011, n. 1442.117 51 Oltretutto, l’accertamento di prevedibilità e di evitabilità dell’evento dannoso, viene compiuto ex ante sulla base della prerogativa dell’agente modello, non dimenticando però il dover tenere in considerazione tutte le circostanze del caso conosciute o conoscibili dal soggetto a cui la colpa viene imputata, così come di recente è postulato dalla Corte di Cassazione: <<In particolare, con specifico riferimento alla verifica della prevedibilità dell'evento, si impone il vaglio delle possibili conseguenze di una determinata condotta omissiva od commissiva avendo presente il cosiddetto “modello d'agente”, ossia il modello dell'uomo che svolge paradigmaticamente una determinata attività, che impor- ta l'assunzione di responsabilità, nella comunità, la quale esige che l'operatore concreto ti ispiri a quel modello e faccia tutto ciò che da questo ci si aspetta>> . 118 Secondo dottrina, al soggetto a cui si ritenga attribuibile la colpa, viene addebi- tato il fatto di non essersi attivato nell’eseguire poteri di controllo che “dove- va” e “poteva” attivare per evitare il verificarsi dell’evento dannoso. L’agente, dunque, pur potendo non ha osservato lo standard richiesto di diligenza in quel- la determinata circostanza concreta . 119 Nel progredire di una giurisprudenza non uniforme e altalenante, tra interpreta- zioni, rispetto all’attività medica, tolleranti e altre tendenzialmente più rigide, tra scelte sull’applicabilità o meno anche nel ramo penale dell’art. 2236 c.c., seppur sulla base dei suoi principi di massima, si avvertì la necessità di un in- tervento di riordino del Legislatore, che, come più volte accennato, avvenne concretamente nel 2012. Lo stesso riformò in modo incisivo la disciplina della responsabilità medica colpendo anche il quadro della colpa attraverso il suo art. 3, successivamente superato, o meglio, abrogato dalla disciplina della riforma Gelli-Bianco. L’art. 3 sanciva infatti: <<l’esercente la professione sanitaria che nello svolgi- mento della propria attività si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica non risponde penalmente per colpa lieve. In tali casi resta comunque fermo l’obbligo di cui all’art. 2043 del codice civile. Il giudice, Cass. Pen., Sez. IV, 28 aprile 2016,n. 39028.118 G. FIANDACA, E. MUSCO, Diritto penale, parte generale, Zanichelli editore, Bologna, 119 2014, p. 536. 52 razioni della giurisprudenza del tempo, senza ottenere, nemmeno in parte una minima linea di orientamento. 6. La colpa lieve e la colpa grave. La colpa, non può essere definita sotto un unico profilo. Come visto, l’esimente per l’esercente la professione sanitaria si configurava solo nel caso di colpa “lieve”, non potendo dire la stessa cosa nel caso in cui la colpa fosse stata “grave”. L’art. 3 della legge Balduzzi ha introdotto per la prima volta nel settore penale la diversificazione tra i vari gradi della colpa, istituti di derivazione più che altro civilistica. Infatti, non troveremo al momento alcuna norma del codice penale o civile o in altre leggi, la differenza tra colpa lieve e colpa grave, per tale il confine non è netto e viene particolarmente difficile individuare questa sfumatura in modo oggettivo. Il codice penale fa un unico richiamo alla colpa, o meglio al suo grado di cui l’art. 133, affermando che nella gradazione della pena il giudice tenga conto (tra i tanti aspetti), anche dell’intensità del dolo o del grado della colpa. Anche in tal caso non viene esplicato il modo in cui la valutazione deve essere posta in atto, non facendo riferimento neanche a qualche parametro che possa far da guida. Alla luce di ciò, la Corte di legittimità, ancora una volta si dovette occupare dell’individuazione di parametri valutativi assenti nella novella: <<Al fine di distinguere la colpa lieve dalla colpa grave, possono essere utilizzati i seguenti parametri valutativi della condotta tenuta dall’agente: la misura della diver- genza tra la condotta effettivamente tenuta e quella che era da attendersi, la misura del rimprovero personale sulla base delle specifiche condizioni dell’a- gente; la motivazione della condotta; la consapevolezza o meno di tenere una condotta pericolosa>> . 123 Cass. pen., Sez. IV, 8 maggio 2015, n. 22405.123 55 La Corte di Cassazione, trattando dei casi di trasgressione del dovere obiettivo di diligenza, ovvero della colpa, rinveniva al suo interno due profili importan- tissimi ai fini della sua valutazione: uno oggettivo, l’altro soggettivo. Il primo profilo riguardava la misura della divergenza tra la condotta effettiva- mente tenuta e quella che era da attendersi sulla base della regola cautelare non rispettata. Il secondo, tendeva ad incentrarsi sull’agente, o per meglio dire, sul- le sue specifiche condizioni personali affinchè potesse essere determinata la misura del rimprovero personale. Più precisamente, in quest’ultimo caso, la quantità di osservanza delle regole cautelari era direttamente proporzionale ed era strettamente correlata alla professionalità del soggetto. Secondo tale impo- stazione, il trasgredire di una norma terapeutica, vedeva a titolo di esempio, tantopiù disvalore per uno specialista che per un medico generico. Da non dimenticare inoltre, sempre sotto il profilo soggettivo, di particolare rilevanza era il tener in considerazione la motivazione della condotta tenuta e la complessità dell’operato : si pensi come un trattamento terapeutico celere e 124 non appropriato risulterebbe meno grave nel caso in cui fosse avvenuto in cir- costanze di estrema urgenza . 125 Ma oltre la complessità intrinseca dell’intervento, da tenere in considerazione potevano essere anche le condizioni strettamente correlate alla struttura ove il sanitario si fosse trovato ad operare. Uno tra gli innumerevoli casi verificati, ad esempio, quello posto al vaglio della giurisprudenza di legittimità nel 2014, fa piena prova di come situazioni anche esterne al medico possano incidere sul- l’accertamento della propria colpa: nel caso di specie i giudici avevano assolto due medici, uno del pronto soccorso generale e l’altro del pronto soccorso or- topedico di un ospedale, accusati del reato di omicidio colposo ex art. 589 c.p., ma assolti perchè il fatto non sussisteva, poichè agli atti era risultata l’effettiva non possibilità di impedire l’evento morte del paziente a causa della carenza di mezzi e l’irrazionale disposizione della struttura . 126 Cass. pen., Sez. IV, 9 ottobre 2014, n. 47289.124 V. NIZZA, La nuova colpa, cit., p. 114-115.125 Cass. pen., Sez. IV, 7 ottobre 2014, n. 46336.126 56 Così come affermato dalla IV sezione della Cassazione, si può ragionevolmen- te parlare di colpa grave, solo quando la comparazione tra l’agire effettivo e quello che sarebbe stato appropriato sia essenzialmente ragguardevole occor- rendo a tal fine che il gesto tecnico risulti marcatamente distante dalle necessità di adeguamento alle peculiarità della malattia e alle condizioni del paziente; diversamente, quando il caso concreto possa qualificarsi come estremamente complesso, problematico o sotto impellenza, maggiore sarà la propensione a considerare lieve la colpa imputata nei confronti del medico, che pur essendosi conformato alle linee guida, non sia ugualmente riuscito a garantire un tratta- mento adeguato provocando il peggiorare della patologia . 127 Una recentissima pronuncia delle Sezioni Unite ha reintrodotto esplicita128 - mente la colpa lieve. Nel porre a confronto due decisioni del 2017 della IV Se- zione penale in tema di responsabilità medica (Cavazza e Tabori), la sentenza ha analizzato uno dei punti salienti in tema, ovvero l’analisi del problema del grado della colpa, elemento che non troviamo nella novella, ma che, ricordia- mo, costituiva peculiarità dell’esimente introdotta con la vecchia legge Balduz- zi, e che tra l’altro, segnò non poche pronunce in ambito della responsabilità sanitaria. Seguendo la pronuncia il criterio della colpa lieve, come detto, pur mancando nel testo della novella, è secondo i giudici di legittimità addirittura intrinseca nella formula della nuova norma. La valutazione della colpa dunque dovrebbe avvenire confrontando la condotta posta in essere in concreto con quella che ipoteticamente l’agente modello avrebbe tenuto nella medesima circostanza a parità di condizioni. Qual è la particolarità di questa sentenza? Secondo tali logiche la stessa Corte, ritiene che nel misurare la colpa, si sarebbe dovuti valutare punti di carattere soggettivi (preparazione o specializzazione dell’agente, la consapevolezza di tenere una condotta pericolosa) che oggettivi (la complessità del caso concreto, l’eventuale urgenza, la novità del caso non raccomandato, il grado di atipicità www.quotidianogiuridico.it ; Cass. pen. sez. IV, 15 aprile 2014, n. 22281.127 Cass. Sez. Un., 21 dicembre 2017, n. 29. 128 57 ovvero, in mancanza di queste, le buone pratiche clinico assistenziali, sempre che le raccomandazioni previste dalle predette linee-guida risultino adeguate alle specificità del caso concreto>>. Il secondo comma, richiama l’esclusione della punibilità qualora per imperizia si sia verificato l’evento dannoso, ma siano state eseguite in maniera corretta le raccomandazioni date dalle linee guida e, in mancanza di queste, l’aver esegui- to le buone pratiche clinico-assistenziali, purchè idonee al caso concreto. Si noti come l’esimente introdotto e voluto dal Legislatore è così ristretto ai soli casi di imperizia. In breve e in chiave analitica, la causa di non punibilità sarà applicabile nei confronti del professionista medico innanzi tre presupposti: che l’evento si sia verificato a causa di imperizia; che siano state rispettate le raccomandazioni previste dalle linee guida, e infine che le predette raccomandazioni risultino adeguate al caso concreto. Rispetto al secondo punto dei tre appena elencati, empiricamente non sempre è però agevole riuscire a comprendere se il sanitario abbia effettivamente, o meno, rispettato le linee guida, essendo che le stesse il più delle volte risultano complesse. Esse infatti non prevedono un’unica procedura, o una concatena- zione univoca di trattamenti. Queste prevedono infatti una serie di indicazioni di operazioni terapeutiche e diagnostiche, spesso alternative dipendendo dalla sussistenza del verificarsi di determinate situazioni, portando il sanitario a do- ver optare tra le stesse anche in maniera estremamente celere in situazioni di urgenza. Rispetto invece al primo punto (imperizia), non molto diversa in termini di dif- ficoltà è la distinzione tra una condotta imperita, negligente o imprudente. Si pensi ad esempio all'ipotesi in cui venga effettuata una diagnosi tardiva: la stessa può essere dipesa da un agire trascurato del medico (negligenza) o da una sua erronea lettura del quadro medico o da una preparazione carente (im- perizia) . 129 Da non dimenticare che l’art. 6 della L. n. 24/2017, introduttiva dell’art. 590- sexies c.p., va necessariamente letto in combinato disposto con l’art. 5, che V. NIZZA, La nuova colpa, cit., p.137.129 60 come già precisato istituisce una banca dati delle linee guida “tipicizzate” inte- grandole con il Sistema nazionale delle Linee guida (SNLG) disciplinate dal 2004 con il D.M. del 30 giugno . 130 L’avvento della nuova norma doveva risultare il mezzo attraverso cui superare le problematiche interpretative e applicative della passata l. Balduzzi, ma se- condo le prime interpretazioni dottrinali la novella non è risultata risolutiva; si è difatti evidenziato come la norma de quo sia nella sostanza priva di portata innovativa e applicativa. Viene constatato severamente che si parla più che altro di una norma puramen- te “constatativa” dal momento in cui è abbastanza difficile poter scorgere profi- li di colpa per imperizia nella condotta del medico che si sia uniformato e abbia applicato il sapere scientifico più accreditato in corrispondenza del caso con- creto . 131 Le critiche dottrinali si estendono poi su un secondo punto: se volessimo ana- lizzare la portata applicativa dell’art. 590-sexies, effettivamente si scorge sotto un profilo soggettivo che lo stesso viene applicato alle figure che abbiano commesso il fatto “nell’esercizio la professione sanitaria”. Se per un verso cambia la mera forma espressa, considerato che nel 2012 era prevista la dicitu- ra <<all’esercente la professione sanitaria nello svolgimento della propria atti- vità>>, nella sostanza le due espressioni (vecchio e nuovo) non possono che essere definite uguali e indifferenti. Sotto un profilo oggettivo, come non difficilmente intuibile, la norma permette un esimente solo nel caso si verificano reati per lesioni personali o omicidio colposo; cosa diversa per l’antenato dell’art. 6, che non creava un elenco tassa- tivo di reati determinati, tendendo invece a limitarsi al profilo soggettivo appe- na visto. Più che altro infatti ciò che resta ancora dubbio è il perchè il Legisla- V. NIZZA, La nuova colpa, cit., p.130-131.130 C. BRUSCO, La nuova legge sulla responsabilità penale degli esercenti le professioni 131 sanitarie, in Il Penalista, 1 marzo 2017; P. PIRAS, Imperitia sine culpa non datur. A propo- sito del nuovo art. 590-sexies c.p., in Dir. pen. contemporaneo, 1 marzo 2017; C. CUPELLI, La responsabilità penale degli operatori sanitari e le incerte novità della leg- ge Gelli-Bianco, in Cass. pen., 1 maggio 2017, fasc. 5, 1765B; G. IADECOLA, Qualche ri- flessione sulla nuova disciplina della colpa medica per imperizia nella legge 8 marzo 2017 n. 24 (legge c.d. Gelli-Bianco), in Dir. pen. contemporaneo, 13 giugno 2017. 61 tore abbia circoscritto l’applicabilità dell’esimente alle sole due tipologie di reato (ex art. 589 e 590 c.p.). L’aver introdotto con la legge Balduzzi la distinzione del grado della colpa, cosa che fino ad allora risultava del tutto estranea al c.p., così come visto, co- stituì non pochi dubbi, considerando ancora l’ulteriore problema che sostan- zialmente era l’applicabilità dell’esimente, poichè ci si domandava se esso fos- se tale rispetto a tutte le varie tipologie di colpa o solo a quelle affette da impe- rizia. Il nuovo art. 590-sexies c.p. ha proprio la funzione di superare tale impasse: viene ora rimosso qualsiasi riferimento al grado della colpa, e disattendendo le pronunce di legittimità più recenti viene circoscritto l’ambito applicativo alle sole circostanze di imperizia. La norma oltremodo postula che il professionista non dovrà limitarsi al rispetto delle linee guida, ma dovrà verificare che queste siano comunque adeguate alla situazione concreta; su questo la novella, conferma recenti pronunce di legitti- mità consolidate sulla necessità di misurare l’operato medico alla peculiarità del caso, potendo e, anzi, dovendo discostarsi in tali ipotesi dalle linee guida. I primi approdi giurisprudenziali della Suprema Corte hanno affrontato una problematica in particolare, ovvero l’applicabilità dell’art. 590-sexies c.p. ai procedimenti non ancora definitivamente chiusi, ovvero sorti prima della sua entrata in vigore. La Corte infatti dovette verificare se il nuovo esimente per il sanitario fosse o meno più favorevole rispetto alla precedente causa di non pu- nibilità della legge Balduzzi, dunque se potesse trovare applicabilità per i pro- cedimenti in corso o, all’opposto, dovesse essere applicato ancora l’art. 3 della L. n. 189/2012. Una delle prime pronunce che sostanzialmente analizza meglio la portata del- l’ultima riforma in tema di colpa, è la sentenza Tabori del 2017. La Suprema Corte fu chiamata a giudicare una vicenda in cui a un medico psi- chiatra veniva imputata la colpa di condotte omissive e attive, da qualificarsi come condizioni necessarie affinchè il suo paziente ponesse in essere il gesto omicidiario nei confronti di un terzo. I giudici affermarono che secondo una prima lettura della legge Gelli, vengono fuori inevitabili dubbi interpretativi <<a prima vista irresolubili>>, se non ad- 62 In questo caso i giudici di legittimità, preliminarmente marcarono vari profili tendenzialmente problematici come la difficoltà (già vista) di circoscrivere la nozione di imperizia rispetto alle altre (negligenza e imprudenza), poi, l’effetti- va rilevanza da attribuire alle linee guida e infine la considerazione secondo cui sarebbe stato abbastanza difficoltoso nel caso della colpa grave, ipotizzare la presenza di condizioni concorrenti previste affinchè possa aversi l’impunità del sanitario. La pronuncia fu utile per ribadire ancora una volta la ratio della no- vella, avente appunto funzione agevolativa della posizione del medico, ovvero, il suo ausilio nel non restringere eccessivamente l’iniziativa dello stesso, evi- tando ciò che negli anni passati caratterizzò la c.d. medicina difensiva. Per ultimo, centrando l’ambito di applicazione dell’art. 590-sexies c.p., la Cor- te definì quando l’impunità del medico potesse essere concretamente realizza- ta. Secondo il ragionamento svolto, l’esimente avrebbe trovato applicazione solo se il medico fosse incorso nell’imperizia non nella fase di scelta delle linee guida da seguire, ma nella fase concretamente esecutiva della loro applicazio- ne; scelta ben precisa di uno dei due momenti collegati quanto allo stesso tem- po autonomi. Logicamente, avrà rilevanza penale la condotta del medico che si uniformi per- fettamente alle linee guida e che allo stesso tempo, si rivelino non adeguate al caso di specie. Ai sensi della logica eseguita, fu determinato nella sentenza (Cavazza) di ulti- ma istanza l’imputazione della responsabilità del chirurgo per grave lesione del diritto alla salute del paziente. La Corte, ergo, si discosta dal suo precedente orientamento secondo cui risul- tavano essere esclusi dall’ambito di applicazione del 590-sexies c.p. i casi di errore (di comportamento colposo) nella fase esecutiva di applicazione delle linee guida. Anche la dottrina dal suo canto, marca la divergenza esistente tra le pronunce Cavazza e l’anteriore Tabori, affermando che comporterebbe un grave vulnus per il diritto alla salute il perdonare una condotta imperita del medico nel caso in cui l’errore fosse commesso nel momento esecutivo del suo operato, nono- 65 stante, magari, previamente fossero state individuate correttamente le linee guida del caso . 135 In conclusione, secondo un ultimo orientamento delle Sezioni Unite del 2017 , viene confermata l’impossibilità di invocare il nuovo esimente nei casi 136 di colpa derivante da negligenza o imprudenza. Viene invece reintrodotta la gradazione della colpa nelle circostanze di imperizia, purchè venga distinto il caso in cui l’errore medico si verifichi nella fase della scelta delle linee guida, rispetto a quello avvenuto nella fase esecutiva. Ciò perchè, nel primo caso, il medico risponderà sia per colpa lieve che grave. Nel secondo, diversamente, il sanitario risponderà al di là del grado della colpa nella circostanza in cui l’ope- rato non sia comunque regolato da linee guida o da buone pratiche. Risponde- rà, invece solo per imperizia grave nel momento in cui l’errore nell’esecuzione sia parallelo alla corretta scelta e dal rispetto di linee guida adeguate al caso concreto, tenendo in considerazione difficoltà e rischi del caso . 137 C. CUPELLI, Quale (non) punibilità per l’imperizia? La Cassazione torna sull’ambito 135 applicativo della legge Gelli-Bianco ed emerge il contrasto: si avvicinano le Sezioni Unite, in Dir. pen. contemporaneo, 7 novembre 2017. Cass. Sez. Un., 22 febbraio 2018, n. 8770. 136 V. NIZZA, La nuova colpa, cit., p.146-147.137 66 Cap. III Onere della prova, la dinamicità dell’istituto. 1. L’onere della prova: l’art. 2697 c.c. Ruolo centrale, nel contesto processuale e ai fini dell’accertamento dell’esi- stenza o della veridicità di un fatto, è ricoperto dalla “prova”; <<La decisione sul fatto incerto è ragionevole e non casuale quando si fonda su elementi ra- zionali e controllabili di conoscenza: solitamente a questi elementi si dà il nome di “prove”>> . 138 In altre parole, la prova trova ragion d’essere nell’eliminazione dell’incerto, del vero o del falso, rispetto ad un enunciato relativo ad un fatto. L’incertezza sus- siste fin quando il fatto è controverso fra le parti: lo stesso dunque, potrà consi- derarsi “vero” solo qualora, in giudizio, l’enunciato (che lo richiama) sia es- G. BIANCHI, La prova civile Onere e ammissibilità della prova nel Codice civile, Ce138 - dam, Padova, 2009, p. 3. 67 ste ); mentre nella seconda ipotesi sarebbe bastato dimostrare il titolo del 146 diritto fatto valere . 147 E’ pur vero che le ragioni che muovevano tale orientamento sono ormai pacifi- camente superate; se infatti in passato così come brevemente visto la riparti- zione probatoria conosceva distinzione sulla base della consistenza e qualità dell’inadempimento, la più recente giurisprudenza ha dimostrato una progres- siva sensibilità nei confronti della posizione del creditore, semplificando e uni- formando gli oneri probatori. Da qui una sorta di dinamicità dell’onere della prova, mossa da questioni di ragionevolezza e di bilanciamento dei “carichi” probatori, dovuta per via delle considerazioni tratte dal forte impatto pratico che la prova gravante sul credito- re o sul debitore potrebbe avere: assegnare l’onere della prova ad una parte piuttosto che all’altra, infatti, è sinonimo di rischio di soccombenza processua- le in caso di mancata realizzazione . 148 La prima vera e propria rivoluzione in tema di prova, avvenne nel 2001 attra- verso la nota sentenza della Cassazione a Sezioni Unite . 149 Con detta pronuncia la Corte si preoccupò di superare il tecnicismo dell’art. 2697 c.c. per approdare ad una regola di prova che avesse come connotato una sorta di omogeneità, ovvero, una regola volta a prevedere la distribuzione del- l’onere probatorio, uguale, sia nel caso di inesatto adempimento sia nel caso di inadempimento assoluto dell’obbligazione. Il tentativo di regime unitario era giustificato dalla mancata attuazione (dunque in tutto o in parte) di quanto previsto in obligatione, in particolare si prevedeva così, a carico del creditore, un onere di sola allegazione dell’inadempimento, mentre, sul versante opposto, ovvero a carico del debitore, il vero e proprio Cass., 31 febbraio 1987 n. 3099; Cass., 5 dicembre 1994, n. 10446; Cass. 7 febbraio 146 1996, n. 973; C.M. BIANCA, L’inadempimento delle obbligazioni, in Comm. del Cod. Civ., 173 e ss; 147 R. SACCO-G. DE NOVA, Il contratto, in Tratt. dir. civ., diretto da R. SACCO, Torino, 1993, p. 609; F. BUSONI, L’onere della prova, cit., p. 46.148 Cass. Sez. Un., 30 ottobre 2001, n. 13533.149 70 peso della prova specifica: la prova contraria che dimostri l’esatto e avvenuto adempimento . 150 L’argomentazione delle Sezioni Unite del 2001 si basava essenzialmente anche sul principio di vicinanza o di riferibilità della prova. Ma non solo: l’attenzione veniva posta sulla particolare difficoltà di dimostrare in giudizio i fatti negativi. In ossequio poi al criterio di ragionevolezza, la medesima Corte sostenne come <<non sarebbe ragionevole ritenere sufficiente l’allegazione, per l’inadempi- mento totale (massima espressione di infedeltà al contratto), e pretendere dal creditore la prova del fatto negativo dell’inesattezza, se è dedotto soltanto un adempimento inesatto o parziale (più ridotta manifestazione di infedeltà al contratto)>> . 151 Per meglio comprendere il principio di riferibilità o di vicinanza della prova così come elaborato dalla Corte, dobbiamo partire dal presupposto secondo il quale il regime probatorio postulava di essere calibrato in virtù non solo di ar- gomentazioni giuridiche ma bensì anche e soprattutto pratiche: al fine di rea- lizzarle, il principio de quo trasla l’onere della prova a carico del soggetto che meglio abbia la possibilità di arrestare la pretesa antagonista, poiché è proprio in quella sfera giuridica che l’inadempimento si è verificato. Tale principio prevede che l’onere della prova debba essere ripartito secondo una logica di ricaduta delle circostanze in una sfera d’azione piuttosto che in un’altra. In virtù di ciò risulta ragionevole far prendere carico dell’onere la parte cui risulta più vicino il fatto che deve essere provato. Ai sensi di tali logiche, l’art. 2697 c.c. verrebbe a subire dunque alterazioni ri- spetto a quanto il suo testo prevede? Secondo una non lontana pronuncia della Cassazione , il contenuto di detto 152 articolo, per effetto del principio di vicinanza della prova, non patisce deroghe: <<la relativa prova può esser data mediante dimostrazione di uno specifico G. ROMANO, Spunti in tema di regime probatorio, cit., p. 93.150 Cass. Sez. Un., 30 ottobre 2001, n. 13533.151 Cass. 7 maggio 2015, n. 9201; conf. Cass. n. 18487/2003; Cass. n. 23229/2004; Cass. n. 152 5162/2008; Cass. n. 7962/2009; Cass., S.U., n. 18046/2010; Cass. n. 9099/2012; Cass. n. 16917/2012. 71 fatto positivo contrario, od anche mediante presunzioni dalle quali possa de- sumersi il fatto negativo>>. In ogni caso, le pronunce che seguirono la rivoluzionaria sentenza del 2001, 153 furono convergenti a quanto sinora detto, confermando e corroborando criteri e principi nascenti dal suo decisum. Tra queste molto rilevante fu la pronuncia della giurisprudenza di legittimità del 2006 che in merito ad un caso di re154 - sponsabilità medica, (tenuto in considerazione che la responsabilità dell’ente ospedaliero avesse natura contrattuale per fatto colposo del personale sanitario dovuto ad inesatto adempimento della prestazione medica) diede assetto al regime probatorio affermando che fosse il paziente, attore del risarcimento del danno, ad aver l’onere di allegare l’inesattezza dell’adempimento della presta- zione detta, mentre, alla struttura sarebbe spettato l’allegazione e la prova della mancata colpa . 155 Nell'acceso dibattito in tema di onere probatorio, un’ulteriore pronuncia fu emessa dalle Sezioni Unite nel 2006 , dando forza al precedente orientamento 156 sorto cinque anni prima . 157 Nella sentenza veniva statuito che l’onere di provare l’esistenza dei requisiti occupazionali che impedivano l’applicazione della disciplina generale di cui all’art. 18 L. 20 maggio 1970 n.300, gravasse sul datore di lavoro . Dall'ana158 - lisi di questa pronuncia emergono due importanti principi di diritto. In primis, fu affermato come la ripartizione probatoria dovesse avvenire sulla base del principio di “riferibilità” o "vicinanza della prova”, o ancora, “dispo- nibilità del mezzo istruttorio”. Il secondo punto, sempre corroborativo ma non innovativo rispetto alla pro- nuncia del 2001, richiama il dettato costituzionale dell’art. 24. Cost., affer- Cass. 4 marzo 2004, n. 4400; Cass. 1 aprile 2004, n. 6395; Cass. 23 settembre 2004 n. 153 19133; Cass. 8 ottobre 2004, n. 20073. Cass., 31 luglio 2006, n. 17306.154 F. BUSONI, L’onere della prova, cit., p. 55.155 Cass. Sez. Un., 10 gennaio 2006, n. 141.156 Cass. 13533/2001, cit. 157 F. BUSONI, L’onere della prova, cit., p. 80.158 72 Il totale inadempimento riconosce al suo interno un minimo comune denomi- natore: l’insoddisfazione assoluta rispetto al programma obbligatorio stabilito. Può dirsi la stessa cosa per l’inesatto adempimento? Quest’ultima categoria se ben analizzata, mal si concilia con un sistema unitario di tecnica di prova. L’i- nesattezza della prestazione infatti, a differenza dell’assoluto inadempimento, vede distinguersi in innumerevoli sfaccettature, ognuna avente una propria pe- culiarità, quantità e qualità, tali da non poter attribuire (come per il totale ina- dempimento) una sorta di minimo comune denominatore. Così come dottrina stabilisce, <<il concetto di inesatto adempimento appare una mera sintesi verbale, che raggruppa ipotesi, tra loro, molto eterogenee>> . 166 Il principio fissato dalla giurisprudenza del 2001 fu essenzialmente compro- messo dal successivo orientamento di legittimità, che in ossequio alla critica secondo la quale il totale e l’inesatto adempimento non potevano conoscere omogeneità (almeno in termini di onere della prova), rilevò contraddizioni e incertezze, in particolar modo sulla figura dell’inesatto adempimento. Potrebbe riconoscersi come l’inesattezza della prestazione vada distinta in due circostanze: l'ipotesi in cui la prestazione abbia ad oggetto cose e quella in cui abbia ad oggetto un fare. Nel primo caso, potendosi trattare ad esempio di vizi e difetti della cosa, come nella vendita, nella locazione o in genere nei contratti di godimento, o ancora difetti o vizi dell’opera come nell’appalto, ciò chiede di essere provato dal cre- ditore. Tale visione è stata avvalorata nel corso degli anni dalla giurisprudenza di legittimità . 167 Ma, nel secondo caso, ovvero nelle situazioni di prestazioni che hanno ad og- getto un fare, come nel caso di un’attività professionale, il riparto della prova in chiave uniforme cede la propria logica a un sistema più funzionale e dunque di diverso dosaggio tra onere di mera allegazione e onere di specifica prova. G. ROMANO, Spunti in tema di regime probatorio, cit., p. 94.166 Cass., 10 settembre 1998, n. 8963; Cass., 12 giugno 2007, n.13695; Cass., 21 maggio 167 2013 n. 12384; Cass. 10 luglio 2014, n. 15824; Cass., 26 novembre 2012, n. 20888; Cass., 10 giugno 2011, n. 12879. 75 Ciò che essenzialmente avviene è il ricorso al ragionamento per “presunzioni”, con finalità di agevolare il soggetto debole del rapporto, cosa che l’evoluzione giurisprudenziale ha trattato in larga misura (e in particolar modo) rispetto alla responsabilità medica. E’ allora evidente che un’applicazione disomogenea del regime probatorio tra le diverse situazioni trova una sua giustificazione e un migliore adattamento alle circostanze. Seguendo questa logica, le stessa Corte di legittimità più volte ha affermato 168 che nelle cc.dd. obbligazioni sanitarie, sarà il paziente che agendo come attore dovrà dedurre l’inesatto adempimento dell’obligatione sanitaria provando il contratto o il c.d. (come visto) “contatto sociale”, e allegando così l’inadempi- mento del medico ove lo stesso potrà consistere o nell’insorgenza di nuove pa- tologie causate dall’intervento o l’aggravamento della patologia iniziale. Resterà diversamente a carico (della struttura o del sanitario) provare che la prestazione attuata sia avvenuta secondo i canoni di diligenza escludendo che le situazioni peggiorative siano derivate dalla condotta medica in atto, ma siano determinate da un evento imprevedibile. Non solo, la giurisprudenza più recente ha inoltre osservato come anche nei casi di “speciale difficoltà”, ai sensi dell’art. 2236 c.c., la tecnica probatoria appena vista non cambia, non incidendo lo stesso, sui criteri di riparto . 169 Il ricorso alla “presunzione giudiziale” permette in questi casi di desumere la mancata diligenza del medico, ovvero il fatto ignoto, dal fatto che sia avvenuto il peggioramento delle condizioni cliniche del paziente se non l’insorgenza di nuove patologie, quindi il fatto noto; seguendo questa impostazione verrebbe, così, alleggerito l’onere probatorio del richiedente la prestazione (in tal caso il paziente). Come vedremo, la stessa Cassazione del 2008, in più pronunce , attraverso il 170 ragionamento per presunzione, esonerò il paziente dalla prova del nesso di cau- salità. Cass., 28 maggio 2004, n. 10297; Cass., 9 novembre 2006, n. 23918; Cass., 13 aprile 168 2007, n. 8826; Cass., 30 settembre 2014, n. 20547; Cass., 20 ottobre 2014, n. 22222. Cass., 8 ottobre 2008, n. 24791; Cass., 24 ottobre 2013, n. 24109; Cass., 20 ottobre 169 2014, n. 22222. Cass. Sez. Un., 11 gennaio 2008, nn. 576, 577, 581.170 76 Il problema della ripartizione della prova trovava soluzione, non attraverso un criterio oggettivo come la prova del fatto negativo o positivo, ma bensì nella maggiore difficoltà nel fornirla, costituendo una sorta di “favor creditoris” per (appunto) il paziente. Non per nulla, infatti, la giurisprudenza più volte si è 171 dimostrata sensibile innanzi tali difficoltà, mostrando un orientamento di favo- re per la posizione probatoria del paziente. Particolarmente incisiva ed esplicativa del ragionamento per presunzioni è una pronuncia di legittimità del 2004 ai sensi della quale <<pur gravando sull’atto- re l’onere di allegare i profili concreti di colpa medica posti a fondamento del- la proposta azione risarcitoria, tale onere non si spinge sino alla necessità di enucleazione ed indicazione di specifici e peculiari aspetti tecnici di responsa- bilità professionale, conosciuti e conoscibili soltanto dagli esperti del settore>>. Seguendo il ragionamento, se così non fosse, si finirebbe per gravare l’attore di un onere ulteriore, se non inammissibile, ovvero il richiedere un accertamento particolarmente tecnico-scientifico . 172 Più che evidente è la sensibilità che spinge la giurisprudenza ad ammettere come l’attore nel caso di specie non possa (per via delle mancate conoscenze tecniche, scientifiche e specifiche in materia), provare con la dovuta precisione l’inadempimento e, capovolgendo tale lavoro, lo stesso ricada necessariamente sulla figura che abbia invero le capacità e conoscenze effettive in merito (il medico). Da precisare però è come la giurisprudenza non abbia comunque generalizzato l’applicazione delle presunzioni giudiziali a tutte le obbligazioni tra professio- nisti e clienti; di fatto, non in tutte le circostanze in cui per il creditore risulti più gravoso l’onere probatorio è stata predisposta l’applicazione della presun- Cass., 20 febbraio 2006, n. 3651; Cass., 13 aprile 2007, n. 8826; Cass., 9 ottobre 2012, 171 n. 17143; Cass., 20 ottobre 2014, n. 22222. Cass., 19 maggio 2004, n. 9471 (in Danno e resp., 2005, p. 30 ss) con Commento di 172 R. DE MATTEIS. 77 nitaria (di natura contrattuale), il ricorrente danneggiato (il paziente), può limi- tarsi a provare il contratto o il contatto sociale, il manifestarsi o l’aggravarsi della malattia, allegando infine il mancato adempimento del medico <<astrat- tamente idoneo a provocare il danno lamentato, rimanendo a carico del debi- tore dimostrare o che tale inadempimento non vi è stato ovvero che, pur esi- stendo, esso non è stato eziologicamente rilevante>> . 178 Viene così stabilito a provare l’esistenza del nesso di causalità non debba esse- re il paziente-attore, bensì il soggetto nella cui sfera sia avvenuto l’inadempi- mento, ossia il medico. Ciò che più risalta è proprio la controtendenza del Collegio in questione rispet- to alla giurisprudenza fino a quel momento ritenuta maggioritaria. Di fatto non poche furono con la pronuncia n. 577 del 2008 gli orientamenti disattesi , 179 poichè questi, pur aderendo al decisum della sentenza n. 13533 del 2001, po- nevano l’onere probatorio della dimostrazione del nesso causale a carico del paziente. Non solo. Negli orientamenti disattesi, la Corte de quo, sottolineava come in essi fosse applicata una ripartizione dell’onere probatorio sul nesso di causalità del tutto differente rispetto al suo nuovo orientamento, a causa dell’errata im- portanza che veniva data alla distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risulta- to, <<ossia, all’individuazione dell’inadempimento nei termini di violazione colposa di una regola di condotta, in luogo di una violazione del rapporto, os- sia della mancata attuazione del programma obbligatorio>> . 180 Tutto ciò rinviene le sue basi sulla distinzione tra la prova della causalità mate- riale e la prova della causalità giuridica, richiamando argomentazioni ancora controverse della responsabilità contrattuale. Qui la suprema Corte accoglierà la teoria che mette a fuoco l’accertamento del nesso causale in due fasi. Cass. Sez. Un., 11 gennaio 2008, n. 577, cit.178 Cass. 9 maggio 2000, n. 5913, Cass. 6 marzo 1997, n. 2009; Cass. 2 giugno 1992, n. 179 6676; Cass. 19 luglio 1982, n. 4236; Cass. 11 novembre 2005, n. 22894; Cass. 24 maggio 2006, n. 12362. F. BUSONI, L’onere della prova, cit., p. 91.180 80 Così, come dottrina spiega, nella prima, <<deve essere accertato il rapporto 181 di causalità che intercorre tra il fatto che si assume aver generato il danno in- giusto e quest’ultimo>>, ovvero dovrà accertarsi la causalità “materiale”, do- vendo distinguere questo accertamento più che altro relativo all’an, rispetto a <<quello inerente al quantum ( la c.d. “causalità giuridica”), diretto a stabili- re un rapporto tra il fatto illecito e la concatenazione di conseguenze pregiudi- zievoli che da questo siano discese, in modo da selezionare quelle risarcibili. Questa seconda fase si ritiene disciplinata dalle norme di cui agli artt. 1223 e ss>>. Il tenere a mente questa distinzione è di essenziale rilevanza se consideriamo che nella responsabilità aquiliana sono richiesti ambedue gli accertamenti, mentre in quella contrattuale è richiesto solamente il secondo, poichè colui che compie l’inadempimento è già individuato come soggetto debitore. <<È indubbio e risulta ormai essere acquisito anche all'evoluzione giurispru- denziale il fatto che il problema della causalità materiale in ambito civilistico trovi il suo referente normativo in quella disposizione che, collocata nell'am- bito della disciplina dell'illecito civile, richiede che per l'imputazione del fatto doloso o colposo si proceda all'individuazione di chi abbia cagionato il danno c.d. ingiusto (ex art. 2043 c.c.); un’analoga disposizione sul danno ingiusto e sul nesso di causalità non è dato rinvenire nella disciplina della responsabilità contrattuale dove il soggetto responsabile è di regola il contraente inadem- piente, mentre in essa si rinvengono disposizioni che hanno la funzione di ade- guare il risarcimento al danno effettivamente subito dal danneggiato e di allo- care presso il responsabile le conseguenze delle ripercussioni sfavorevoli subi- te dal danneggiato nella sua sfera (artt. 1223, 1225, 1226, 1227 c.c.)>> 182 In altre parole, nel caso della responsabilità contrattuale, la disciplina dell’art. 1218 c.c. è volto solamente a sanzionare il comportamento del soggetto debito- re inadempiente, mentre nell’ipotesi di responsabilità extracontrattuale, per via dell’inesistenza di un titolo, ovvero di un rapporto essenzialmente già esistente M. CAPECCHI, Nesso di causalità e perdita di chances: dalle sezioni unite penali alle 181 sezioni unite civili, in Nuova giur. civ. comm., 2008, p. 151. DE MATTEIS, La responsabilità della struttura sanitaria per danno da emotrasfusione 182 in Nuova giur. civ. comm., 2008, I, p. 616. 81 tra le parti, trova giustificazione la più complessa disciplina che richiede il pre- liminare accertamento del soggetto responsabile . 183 La Corte infatti, pone essenzialmente la prova del nesso causale su due fronti; sul primo prevede che il nesso deve esistere tra la condotta ed evento per poter configurare una responsabilità “strutturale”, nel secondo fronte postula il nesso che possa consentire l’individuazione delle conseguenze dannose, ovvero quel- lo tra l’evento e il danno. Ben si nota come nella responsabilità contrattuale rileva solamente la causalità giuridica preposta a determinare il quantum dei danni; il creditore, attuate le allegazioni del caso, dovrà dunque dimostrare il contratto più l’esistenza del danno/i e il suo ammontare. Se però la prova della causalità giuridica non dovesse essere adeguatamente presentata ovviamente ciò porterà ad una esclusione del risarcimento del dan- no. E’ bene cristallizzare, in ossequio alle regole del nesso di causalità giuridica, che il presupposto del danno deve necessariamente essere l’inadempimento. Sulla base di quanto detto, emerge la rilevanza del titolo contrattuale, essendo che da esso discende non solo lo scopo ma anche il contenuto dell’obbligo che doveva essere, ma che non è stato adempiuto, ottenendo infine da esso, ele- menti volti (e utili) a <<precisare quale sia la sfera dei rischi ragionevolmente imputabili fin dall’origine al debitore>> dunque potendo così dedurre <<anche la misura della pretesa del creditore danneggiato>> . 184 Su questi presupposti si elevarono gli orientamenti successivi maggioritari in ambito sanitario, come ad esempio, la pronuncia della Cassazione del 2010 ; 185 il caso riguardava un giudizio, con attore il paziente avverso l’Asl, sulla base delle invalidità e gravissime lesioni derivati dall’intervento di chirurgia vasco- lare. Il paziente si rivolse alla struttura sanitaria per problematiche di deambu- lazione, e sottoposto dalla stessa a tromboendoarterioctomia carotidea, insorse- M. CAPECCHI, Nesso di causalità e perdita di chances: dalle sezioni unite penali alle 183 sezioni unite civili, in Nuova giur. civ. comm., 2008, p. 152. BREGGIA, Le obbligazioni, in Tratt. dir. priv. Iudica e Zatti, Milano, 1991, p. 641; TRI184 - MARCHI, Causalità e danno, cit., p. 16 e ss. Cass. 26 gennaio 2010, n. 1538.185 82 5. Il superamento in ambito probatorio della nota distinzione tra obbliga- zione di mezzi e quelle di risultato, gli effetti sui regimi di responsabilità del debitore. Come visto nel primo capitolo, di non poca incidenza è stata la distinzione tra obbligazioni di mezzi e obbligazioni di risultato, soprattutto per ciò che con- cerne la figura del professionista intellettuale. Questa classificazione, divenuta nel corso del tempo un dogma, entra in crisi in ambito probatorio. A ben vedere, infatti, in alcune pronunce i giudicanti affermarono che le due categorie non avessero ricadute sul regime di ripartizione della prova: <<La distinzione tra obbligazioni di mezzi e di risultato non ha alcuna incidenza sul regime di responsabilità del prestatore d’opera intellettuale nè sul meccanismo di ripartizione dell’onere della prova, il quale è identico sia che il creditore agisca per l’adempimento dell’obbligazione, ex art. 1453 c.c., sia che domandi il risarcimento per l’inadempimento. contrattuale ex art. 1218 c.c.>> . 194 Il collegio affermò come sotto il profilo dell’onere della prova, la differenza che veniva posta tra obbligazioni di mezzi/risultato era data per sostenere nella prima (mezzi) che, essendo aleatorio il risultato, al creditore sarebbe spettato l’onere di provare che il mancato adempimento fosse dovuto alla scarsa dili- genza, mentre nella seconda (di risultato) al debitore sarebbe gravato l’onere della prova del mancato risultato per via di una causa a lui non imputabile. La Corte proseguendo sottolineò come la distinzione in oggetto fu pienamente sottoposta a revisione tanto dalla giurisprudenza medesima quanto dalla dottri- na. Il significato della pronuncia è abbastanza chiaro; la tecnica posta in essere vede sgravare la situazione del creditore, facendo si che il debitore professioni- sta si accolli la prova liberatoria. La pronuncia non fu isolata, in quanto sostanzialmente fu confermata qualche anno dopo dalle Sezioni Unite . 195 Cass. Sez. Un. 28 luglio 2005, n. 15781, in Obb. e Contratti, 2006, 8, p. 712, con nota 194 di FOLLIERI. Cass. Sez. Un. 11 gennaio 2008, n. 577, cit.195 85 Diversamente in dottrina si marca come la distinzione tra le due tipologie di obbligazioni deve essere mantenuta, quantunque sotto l’aspetto descrittivo, ai fini di stabilire il contenuto della prestazione in oggetto ; opinione che in 196 ogni caso non ha trovato grossi spazi in giurisprudenza dal momento che la stessa tendeva ad un restringimento della responsabilità del professionista . 197 Sotto altra dottrina , l’argomento andrebbe diversamente circoscritto sul ver198 - sante delle sole ipotesi di inadempimento inesatto, poichè nel caso di totale inadempimento la distinzione non trova effettivamente applicazione (o almeno sotto il profilo dell’onere della prova o del rischio della mancata prova). A tito- lo di esempio, si pensi ad un chirurgo che non possa eseguire l’intervento poi- chè prima di raggiungere l’ospedale viene coinvolto in un grave incidente stra- dale. Infatti facile è vedere come nel caso di totale inadempimento la causa liberato- ria corrisponderà ad un evento non solo sopravvenuto ma inoltre non imputabi- le, ove la prova incomberà ugualmente al debitore . 199 Nel caso, invece, di inesatto adempimento, i punti da tenere in considerazione sono più numerosi. Innanzi tutto il tentare una uniformazione della responsabi- lità dei professionisti attraverso un’ottica oggettiva assimilando la stessa alle obbligazioni di risultato lascia fortemente perplessi, ricordando infatti che l’obiettivo dell’incarico non viene posto quasi mai in obbligazione (ad es. l’operazione del malato, ma non la promessa di guarigione; la difesa in giudi- zio di un imputato ad opera dell’avvocato, ma non la promessa di ottenere la sua innocenza). Alla luce di ciò, può darsi per assoluto tale ragionamento? L’elaborazione pratico-teorica nel tempo della sfera del professionista, o me- glio, della sua prestazione, ha messo in risalto l’esistenza di obblighi di com- portamento che convivono: comportamenti generici e quelli specifici di risulta- PARADISO, La responsabilità medica:dal torto al contratto, in Riv. dir. civ., 2001, II, p. 196 329; FRANZONI, Le obbligazioni di mezzi e di risultato, in Tratt. delle obbligazioni, diretto da FRANZONI, in I grandi temi. Torino, 2004, 1343; FACCI, La responsabilità civile del commercialista e dell’esperto contabile, in Resp. civ. e prev. 2006, 2, p. 245. Cass. Sez. Un. 28 luglio 2005, n. 15781. 197 F. BUSONI, L’onere della prova, cit., p. 149.198 Cass. 27 marzo 1998, n. 3232, in Corr. giur., 1998, 784, con nota di MARICONDA, Tute199 - la del credito e onere della prova: la Cassazione è a una svolta?. 86 to. Come dottrina afferma il “comportamento” del professionista nell’adem200 - pimento risulta spesso essere oggetto di vincolo, nel senso che perde discrezio- nalità (caratteristica dell’agire solitamente propria del professionista intellettua- le). Per avvalorare tale concezione, possiamo infatti ben notare come sia nel caso delle obbligazioni di risultato sia in quelle di mezzi, venga richiesto nell’adem- pimento delle obbligazioni assunte di tenersi conformi alla “regola tecnica”, considerando quest’ultima non come regola di “scopo” ma regola di “condotta”. Tale costituisce un indice volto all’accertamento della responsabili- tà. Più volte si è constatato come non di rado nella pratica si fa riferimento al do- vere di informazione del medico, al rispetto dei protocolli medici, delle linee guida, alla cautelare compilazione della cartella clinica e più in generale agli standard di condotta del medico. Alla luce di queste osservazioni si può affermare come ogni tipologia di incari- co professionale non può in senso assoluto essere definito come di risultato o di mezzi, poichè al suo interno esistono micro e macro obblighi scissi dall’obbli- gazione principale in senso stretto, ma contestualmente esistenti e intrinseci al punto tale da non poter concedere una qualificazione dogmatica dell’obbliga- zione solo di mezzi o solo di risultato. Questa teoria apparentemente solo teorica e dottrinale ha conosciuto in realtà fortissimi riscontri anche nella giurisprudenza di legittimità, ove la stessa, in tema di responsabilità sanitaria, ha incluso la prestazione del medico in quella ben più ampia del “contratto di spedalità” : <<Il rapporto che si instaura tra 201 il paziente e la casa di cura (o l’ente ospedaliero) ha fonte in un atipico con- tratto a prestazioni corrispettive con effetti protettivi nei confronti del terzo, da cui, a fronte dell'obbligazione del pagamento del corrispettivo [...] insorgono a carico della casa di cura (o dell'ente ospedaliero), accanto a quelli di tipo “ latu sensu” ospedalieri, obblighi di messa a disposizione del personale medi- co ausiliario, del personale paramedico e dell'apprezzamento di tutte le attrez- CIRILLO, I limiti della responsabilità civile del professionista intellettuale, in Giust. civ., 200 2005, II, 231. Cass 11 gennaio 2008, n. 577, cit.201 87 to; in tal caso, sia la giurisprudenza di merito che di legittimità si orientò 206 207 nell’affermare che fosse appunto il cliente (che dichiarasse l’esistenza di un danno patito per via dell’omissione dell’avvocato) ad aver l’onere di dimostra- re e quindi provare come l’attività omessa dal professionista avrebbe potuto determinare nel caso di specie una pronuncia più favorevole della controversia. Da riconoscere è che non sempre risulta cristallino, nel caso dell’illecito con- trattuale, se l’onere della prova in tema di causalità sia postulata ai fini di di- mostrare il quantum del danno, limitandosi alla c.d. causalità giuridica (ed in tal senso vedere la Cassazione n. 3773 del 2009 ), ovvero venga richiesta ol208 - tremodo per palesare la causalità materiale. Secondo dottrina , la soluzione al dilemma appena esposto, si ha nel ricono209 - scere che l’accertamento dell’esistenza della causalità materiale non è esclusi- va della responsabilità aquiliana, dovendo ammettere che possa avvenire anche nel caso di quella contrattuale. Potrebbe infatti avvenire <<nei casi in cui l’inadempimento è distinto dall’evento di danno>>, sul presupposto che <<in queste situazioni l’inadempimento causa un evento di danno diverso e distinto dall’oggetto del contratto>>. In altre parole, seguendo il ragionamento dell’autore, se non addirittura della giurisprudenza parallelamente proiettata sul punto , nei casi di inadempimen210 - to contrattuale si verificherebbe una situazione di fatto da cui deriva un danno, Trib. Mantova 2 dicembre 2008, in ilcaso.it.206 Cass. 18 aprile 2007, n. 9238; Cass. 27 marzo 2006, n. 6976; Cass. 23 marzo 2006, n. 207 6537; Cass. 11 agosto 2005, n. 16846; Cass. 19 novembre 2004, n. 21894; Cass. 7 agosto 2002, n. 11901. Cass. 17 febbraio 2009, n. 3773. In tal caso, ad esempio, una pronuncia in merito all’in208 - termediazione finanziaria, affermò come nel caso di accertamento della responsabilità con- trattuale per danni subiti dall’investitore, quest’ultimo dovrà <<allegare l’inadempimento delle [...] obbligazioni da parte dell’intermediario, nonchè fornire la prova del danno e del nesso di causalità fra questo e l’inadempimento, anche sulla base di presunzioni; l’inter- mediario, a sua volta, deve provare l’avvenuto adempimento delle specifiche obbligazioni poste a suo carico, allegate come inadempiute dalla controparte, e, sotto il profilo soggetti- vo, di avere agito “con la specifica diligenza richiesta>>. BORDON, in BORDON-ROSSI-TRAMONTANO, La nuova responsabilità civile, Causalità - 209 Responsabilità oggetiva - Lavoro, in Sistemi Giuridici a cura di CENDON, Torino, 2010, p. 228. Cass. 4 marzo 2004, n. 4400; Cass. 9 febbraio 2010, n. 2847.210 90 diversamente nelle situazioni in cui l’inadempimento trova coincidenza con l’evento divenendo causa diretta del danno; solo qui sorgerà il problema della causalità giuridica ma non quella c.d. materiale. La teoria anzidetta potrà essenzialmente trovare conferma sulla base di una comparazione tra due pronunce in particolare; pronunce, che in modi diversi, hanno sciolto il nodo della ripartizione della prova del nesso causale. Nella prima, delle Sezioni Unite abbiamo già visto come l’evento di danno, 211 concretizzato nel contagio dell’epatite aveva un immediato collegamento con l’inadempimento, ovvero l’avvenuta trasfusione di sangue infetto). Diversamente si prospetta la seconda pronuncia (già trattata) ; in tal caso le 212 complicanze che si verificarono successivamente all’intervento operatorio, del- le quali tra l'altro non era stato reso edotto il paziente, furono costitutive dell’e- vento danno, rappresentato qui come eventualità poichè lo stesso viene ad esi- stenza solo se risulta effettivamente leso il diritto all’autodeterminazione del paziente. Come si può ben notare tale lesione non trova coincidenza diretta con l’inadempimento dell’obbligazione principale, ovvero non tocca l’oggetto del contratto. Nel caso di specie infatti il quesito che si posero i giudici era se i chirurghi avessero dovuto rispondere delle conseguenze di un intervento chirurgico (ese- guito in maniera corretta) “solamente” per aver omesso le informazioni neces- sarie al paziente riguardo alla possibile insorgenza di conseguenze sicuramente non positive, come ad esempio possibili complicanze nonostante la corretta esecuzione dell’intervento. Il Collegio statuì in soluzione del problema la rego- la secondo la quale: <<il medico può essere chiamato a risarcire il danno alla salute solo se il paziente dimostri, anche tramite presunzione, che, ove compiu- tamente informato, egli avrebbe verosimilmente rifiutato l’intervento, non po- tendo altrimenti ricondursi all’inadempimento dell’obbligo di informazione alcuna rilevanza causale sul danno alla salute>>. In altre parole, la Corte sottolinea come sia necessario accertare l’esistenza del nesso causale tramite un giudizio controfattuale qualora l’inadempimento causi Cass. 11 gennaio 2008, n 577, cit. 211 Cass. 9 febbraio 2010, n. 2847, cit.212 91 un danno non direttamente collegato ad esso, ovvero, l’organo giudicante sarà tenuto ad accertare se il danno si sarebbe verificato anche se il debitore avesse adempiuto. In ipotesi come queste è evidente come non è il medico (inadempiente) ad es- sere visto come causa diretta del danno e, perciò, sarà necessario effettuare ac- certamenti ulteriori, dovendo essere il paziente, avente pretese risarcitorie, ad essere gravato di tal prova . 213 7. La prova liberatoria della causa ignota. L’attuale orientamento del ri- parto probatorio. La Cassazione del 2008 sembra aver garantito perentorietà all'applicazione 214 delle regole probatorie. Ma può effettivamente dirsi superata la distinzione tra le obbligazioni di mezzi e di risultato? Da un punto di vista pratico, non risulta difficile notare come non si fa altro che applicare il regime (proprio) delle obbligazioni di risultato, poichè al paziente viene richiesto di allegare l’inadempimento e la dimostrazione del danno (inte- so il mancato miglioramento sennochè, addirittura il peggioramento). Secondo dottrina , la distinzione vive ancora <<almeno nel comune 215 sentire>>; l’idea di fondo resta infatti la concezione secondo la quale tanto la struttura quanto il medico sono “soggetti” che non possono fallire. Questo modo di pensare, non è autoctono della dottrina, ma trova fondamento nella giurisprudenza di legittimità la quale sottolinea che <<Il risultato positivo è una conseguenza statisticamente fisiologica della prestazione professionale diligente>> . 216 Con quest’ultima affermazione in pronuncia, senza azzardare critiche soggetti- ve, è facile scorgere come venga richiamata l’idea di obbligazione di risultato. F. BUSONI, L’onere della prova, cit., p. 102-103.213 Cass 11 gennaio 2008, n. 577, cit.214 D. ZORZIT, F. GARZELLA, La nuova responsabilità sanitaria e la sua assicurazione. 215 Commento sistematico alla legge 8 marzo 2017, n. 24 (c.d. Legge Gelli), (a cura di) F. GELLI, M. HAZAN, D. ZORZIT, Giuffrè, Milano, 2017, p. 399. Cass. Sez. III, 13 aprile 2007, n. 8826.216 92 sazione ha di fatto sottolineato come <<laddove la causa del danno rimanga 224 alfine ignota, le conseguenze non possono certamente ridondare a scapito del danneggiato (nel caso, del paziente), ma gravano sul presunto responsabile che la prova liberatoria non riesca a fornire (nel caso, il medesimo e/o la strut- tura sanitaria), il significato di tale presunzione cogliendosi [...] nel principio di generale favor per il danneggiato>>. Quanto detto sino ad ora ci porta a comprendere che l’altalenante regola preto- ria altro non è che lo specchio della controversa interpretazione dell’art. 1218 c.c. Infatti chi accoglie il ragionamento secondo cui detta norma debba essere interpretata in senso oggettivo , afferma che il debitore deve dimostrare non 225 solo la diligenza del proprio comportamento in ossequio all’art. 1176 c.c. ma anche la causa (specifica) <<non prevedibile nè prevenibile>>, che ha reso im- possibile l’adempimento. Se diversamente venisse accolta l’altra strada giurisprudenziale vista, (ove si ritenga che la disposizione suddetta ruoti intorno alla colpa) sarà allora suffi- ciente, ai fini liberatori, provare semplicemente che la condotta sia stata dili- gente. Anche parte della dottrina risulta concorde a tale orientamento giuri- sprudenziale secondo cui <<è sufficiente, agli effetti dell’art. 1218 c.c., e per escludere l’inadempimento e le relative conseguenze a carico del debitore, la prova da costui data di essersi comportato diligentemente, cioè come esigeva oggettivamente la natura della prestazione, deducendo, in definitiva, da ciò l’intervento di una causa non imputabile al debitore, anche se in concreto non identificata>> . 226 Il quadro emergente in conclusione di questo breve excursus non risulta ben definito poichè, come visto, non si ha effettivamente univocità di pronunce, né dunque di interpretazioni; però, se la ratio della L. Gelli-Bianco, è quella di Cass. Sez. III, 9 ottobre 2012, n. 17143; nello stesso senso Cass. Sez III, 12 dicembre 224 2013, n. 27855; Cass. Sez. III, 20 marzo 2015, n. 5590; Cass. Sez. III, 27 ottobre 2015, n. 21782; Cass. Sez. III, 29 settembre 2015, n. 19213. Per considerazioni sulla natura oggettiva della responsabilità contrattuale si veda 225 G. OSTI, Deviazioni dottrinali in tema di responsabilità per inadempimento delle obbliga- zioni, in Scritti giuridici, 1, Milano, 1973. L. BIGLIAZZI GERI, U. BRECCIA, F.D. BUSNELLI, U. NATOLI, Diritto civile, III, Obbliga226 - zioni e contratti, Torino, 1995, p. 94. 95 arginare il fenomeno della c.d. medicina difensiva, non sembra sia possibile una interpretazione che intenda l’art. 1218 c.c. in senso oggettivo, addossando all’ente o al medico non strutturato, ai fini liberatori, un onere della prova di fatto quasi impossibile. Ma a dirlo non è questa volta la dottrina o la giurisprudenza: l’art. 7 dell’ultima riforma della responsabilità medica, sia al primo che all’ultimo comma, risulta decisivo. Il primo comma di detto articolo consacra infatti l’applicazione degli artt. 1218 e 1228 c.c.: una vera presa di posizione contro l’interpretazione oggettiva del- l’art. 1218 c.c., spostando il sistema della responsabilità fondata sulla “colpa” . 227 Così come affermato nel precedente capitolo, vista la natura cogente dell’art. 7 della legge Gelli, e considerato il suo contenuto, non è difficile scorgere la scelta del legislatore nel modello di obbligazione, che non potrà più dirsi nel caso di specie di risultato, bensì di mezzi, ove il suo contenuto è il “fare bene” (seguendo la portata dell’art. 1176 c.c.); non si richiede la guarigione del paziente (richiesta eccessivamente pretenziosa e svincolata da logiche empiri- che), ma, ciò che si chiede è la diligenza dell’operato medico. A cosa porta tutto ciò? Non dovrebbe esserci più spazio per l’indirizzo secondo il quale non basti ai fini liberatori la prova di aver eseguito la prestazione se- condo diligenza, ma sarà necessario integrare l’individuazione specifica del fatto che ha determinato l’evento lesivo (non prevedibile o non evitabile). Non solo. Il testo della novella, precisamente negli artt. 5, 6 e 7 attribuisce un ruolo di sistema centrale alle <<linee guida come definite e pubblicate ai sensi di legge ovvero, in mancanza, alle buone pratiche clinico-assistenziali>>. Non può che essere evidente la natura di “mezzi” delle obbligazioni degli esercenti la pro- fessione sanitaria, i quali, nella <<esecuzione delle prestazioni [...] si attengo- L’art. 7 comma 1 della L. 8 marzo 2017, n. 24 afferma che la struttura sanitaria <<ri227 - sponde, ai sensi degli artt. 1218 e 1228 del codice civile>> delle <<condotte dolose o col- pose>> degli esercenti la professione sanitaria di cui si avvale. 96 no>> alle linee guida. Tutta l’attenzione viene traslata sul contenuto dell’attivi- tà, sul modo in cui deve essere compiuta . 228 Per ciò che concerne la posizione dell’esercente la professione sanitaria “strut- turato”, si ricordi come antecedentemente alla Cass. 589/1999, la sua responsa- bilità fosse ricondotta all’applicazione dell’art. 2043 c.c., prevedendo l’onere a carico del paziente di dimostrare la colpa, il nesso di causalità e il danno. Abbiamo visto come la Cassazione abbia eroso progressivamente il sistema utilizzato della responsabilità extracontrattuale applicando invece, sulla base di varie argomentazioni, l’art. 2236 c.c. come strumento regolatore del riparto de- gli oneri probatori. Ciò ha permesso il verificarsi di una sorta di presunzione in determinate tipo- logie di circostanze: nei casi di interventi non particolarmente complessi ma “facili”, ovvero, nei casi in cui l’operato medico non rientrava nella qualifica- zione della “speciale difficoltà” e il risultato della prestazione fosse stato nega- tivo, ciò sarebbe stato sufficiente affinchè potesse realizzarsi una presunzione di colpa in capo al medico (il che è innegabile che si verificasse il più delle volte, giacchè il termine “speciali difficoltà” circoscrive ipotesi limitate). Ad oggi, e sulla scia di quanto detto, parte della dottrina teme che la giuri229 - sprudenza possa, ancora una volta, ripetere quanto già avvenuto, svilendo così la portata del nuovo art. 7 comma 3 della L. Gelli, ottenendo nuovamente un’inversione dell’onere della prova, che alla luce dell’art. 2043 c.c., vedrebbe invece permanere in capo al danneggiato (il paziente). Il timore della dottrina trova ragion d’essere anche per via delle recenti pro- nunce che effettivamente hanno rispolverato il passato orientamento, ai sensi 230 del quale l’art. 2236 c.c. troverebbe un ruolo fondamentale nella distribuzione della prova. Tale operazione, non dovrebbe trovare allo stato attuale (per via dell’entrata in vigore della novella nel 2017) autorizzazione alcuna nell’applicazione, anzi, D. ZORZIT, F. GARZELLA, La nuova responsabilità, cit p. 403. 228 M. GORGONI, Gli obblighi sanitari attraverso il prisma dell’onere della prova, in Resp. 229 civ., 2010, p. 669; M. FACCIOLI, Presunzioni giurisprudenziali e responsabilità sanitaria, in Contratto e Impresa, 2014, 1, p. 79; D. ZORZIT, F. GARZELLA, La nuova responsabilità, cit p. 409. Cass. Sez. III, 20 gennaio 2016, n. 885; Cass. Sez. III, 17 giugno 2016, n. 12516.230 97
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