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DIRITTO AMMINISTRATIVO-REVOCA NEL DIRITTO AMMINISTRATIVO, Tesi di laurea di Diritto Amministrativo

REVOCA NEL DIRITTO AMMINISTRATIVO CON TUTTE LE CARATTERISTICHE E COMPARAZIONI

Tipologia: Tesi di laurea

2021/2022

In vendita dal 15/04/2022

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ulderico-petrillo 🇮🇹

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Scarica DIRITTO AMMINISTRATIVO-REVOCA NEL DIRITTO AMMINISTRATIVO e più Tesi di laurea in PDF di Diritto Amministrativo solo su Docsity! 2 INDICE SOMMARIO Introduzione ................................................................................................ pag.2 PARTE PRIMA POTERE AMMINISTRATIVO E AZIONE AMMINISTRATIVA TITOLO I CAPITOLO UNICO IL POTERE AMMINISTRATIVO 1. Esercizio del potere amministrativo e principio di legalità …………... pag.5 2. Contenuto del potere amministrativo ………………………………...pag.14 2 a) Segue: l’unilateralità e negoziabilità dell’azione amministrativa .................................................................................................................pag.19 2 b) Segue: l’imparzialità della funzione amministrativa ………..….. pag. 23 2 c) Segue: la doverosità dell’azione amministrativa ........................ pag. 24 TITOLO II LA FUNZIONE PUBBLICA CAPITOLO PRIMO AZIONE AMMINISTRATIVA E PROVVEDIMENTO AMMINISTRATIVO: AUTORITATIVITÀ E IMPERATIVITÀ 5 5. Revoca .................................................................................................. pag.109 5.a) La “positivizzazione” del potere di revoca e il rinvio ai principi di diritto comunitario………………………………………………………………pag.115 6. Il recesso: potere o facoltà? la disciplina degli accordi e la revoca del provvedimento. La tutela indennitaria………………………………..… pag.117 7. Autotutela pubblica e privata a confronto……………..........................pag.121 CAPITOLO SECONDO INCIDENZA SULLE POSIZIONI GIURIDICHE SOGGETTIVE 1. Atti unilaterali ……………………………………………………… pag. 125 2. Effetti rispettoaiterzi ............................................................................. pag126 3. Atti consensuali ................................................................................... pag.131 PARTE SECONDA CAPITOLO UNICO FORME DI TUTELA 1. I criteri guida offerti dalla sentenza n. 204 del 2004 …………...…...pag.136 2. Potereamministrativoinastrattoeinconcreto…….……………..…pag.139 3. La tutela avverso i “comportamenti” illegittimi e i “quasi-comportamenti” della p.A. La vicendadellarequisizione ............................................... pag141 PARTE TERZA CAPITOLO UNICO SOGGETTI TERZI LA CUI ATTIVITÀ PARTECIPA ALL’ESERCIZIO DEL POTERE PUBBLICO 6 1. L’esternalizzazione dellepotestàpubblicistiche ..................................... pag149 2. Gli atti “sostanzialmente” amministrativi: l’attività amministrativa di soggettiprivati ....................................................................................... pag154 3. Soft law, regolazione e atti ad autoritativitàattenuata ........................... pag157 4. Ipoteriimpliciti ...................................................................................... pag165 5. Gliimpegniantitrust ............................................................................... pag170 Conclusioni …………………………………………………………pag. 176 Bibliografia ………………………………………………………… pag. 177 7 Introduzione Lostudiodella“rifrazione”dell’attivitàamministrativanellediverseformeattraversocuiessavieneeser citata(attiautoritativi,attiparitetici,provvedimenticosiddettiadautoritatività“attenuata”, la cui efficacia è sospensivamente o risolutivamente condizionata, soprattutto con riferimento agli atti postiinesseredasoggettiterzi)traespuntodalnuovocomma1bisdell’art.1dellanovellatal. 241del 1990 e passa attraverso l’analisi dell’esercizio del potere amministrativo conformemente al principio di legalità e attraverso l’individuazione del contenuto della potestà pubblica e la valutazione della “negoziabilità”dell’azioneamministrativa. Ilprimoambitodiriflessionechevieneinrilievoattieneall’incidenzadelpoterepubblicosulla sfera giuridica dei privati, nonché alla qualificazione delle posizioni giuridiche soggettive, alla possibilità di coniugare il potere pubblico con il legittimo affidamento ingenerato nel destinatario di un precedente provvedimento amministrativo. Segue l’indagine sulla facoltà eventualmente riconosciuta alla pubblica amministrazionediesercitareilpoteretramiteattiprovvedimentalinonaventicarattereautoritativo (difficilmente sostenibile al di fuori delle rare ipotesi degli atti paritetici) e, se del caso, all’individuazione di un criterio distintivo tra atti autoritativi e atti non autoritativi emanati nell’esercizio delle facoltà attinentiallepotestàpubblicisticheeaglistrumentiditutelaapprestati. L’aspettocherisultainevitabilmenteprivilegiatonelpresentelavoroèquellorelativoall’analisidellaesatt aconfigurazionedelpoterepubblico,cosìcomeelaboratadalleteorienazionalidell’attoedel provvedimentoamministrativo,allalucedelnuovorinvioaiprincipididirittocomunitario,con particolareriferimentoalprofilodellegittimoaffidamento;cheassumespecificointeresseepregio soprattuttonell’ambitodeiprocedimentidisecondogrado. L’analisidelpotereamministrativosifocalizzanecessariamentesuquella“zonagrigia”caratterizzatad aiprovvedimentiqualiattivincolati,d.i.a.,accordi,“quasi- comportamenti”etc,nonchédegliattiprovenientidasoggettiterzi,variamentedefinitidalladottrina. Intaleprospettivaeinvistadellatutelagiudizialeazionabile,acquistaunrinnovatointeresse l’excursus casistico e soprattutto le numerose vicende quali quelle relative alla tematica della requisizione,checontinuanoaimpegnareilConsigliodiStato. 10 IL POTERE PUBBLICO SOMMARIO: 1. Esercizio del potere amministrativo e principio di legalità. 2. Contenuto del potere pubblico. 2. a) Segue: l’ unilateralità e la negoziabilità dell’azione amministrativa. 2. b) Segue: l’imparzialità della funzione amministrativa. 2. c) Segue: la doverosità della funzioneamministrativa. 1. ESERCIZIO DEL POTERE AMMINISTRATIVO E PRINCIPIO DI LEGALITA’. Per lo studio del potere amministrativo e preliminarmente all’analisi dei suoi tratti caratterizzanti, appare dovuto il rinvio alla fonte che lo attribuisce e lo legittima1. Per comprendere cosa si debba intendere per potestà pubblica e quale sia il suo esatto contenuto, è infatti opportuno partire dai limiti entro i quali essa può essere esercitata. Il principio di legalità viene in tal senso in aiuto, nel tentativo di delineare i confini entro cui poter parlare di esercizio(legittimo)delpotereamministrativo2,e ciò in quanto, al contempo, la legge è fonte attributiva del potere e limite allo stesso. Indipendentementedalfattocheilprincipiodilegalitàsiaintesosolocome regola di “distribuzione” del potere o contenga piuttosto anche una prescrizione 1 Per un inquadramento generale U. NICOLINI, Il principio di legalità nelle democrazie italiane: legislazione e dottrina politico-giuridica dell’età comunale, Milano, 1946; F. SATTA, Principio di legalità e pubblica amministrazione nello stato democratico, Padova, 1969; N. ZANARDI, Becaria e Rousseau, ovvero principio di legalità e totalitarismo alle origini dello stato contemporaneo, Milano, 1973; C. MARZUOLI, Principio di legalità e attività di diritto privato della pubblica amministrazione, Milano, 1982; S. COGNETTI, Principio di legalità e norma indeterminata, Perugia, 1988; R. CAVALLO PERIN, Potere di ordinanza e principio di legalità: le ordinanze amministrative di necessità e urgenza, Milano, 1990; F. MANGANARO, Principio di legalità e semplificazione dell’attività amministrativa, Napoli, 2000; N. BASSI, Principio di legalità e poteri amministrativi impliciti, Milano, 2001; F. SORRENTINO, Lezioni sul principio di legalità, Giappichelli, 2001; S. PENSABENE LIONTI, L’amministrazione di risultati nella giurisprudenza amministrativa: estratto (dagli) atti del Convegno diPalermo,27-28febbraio2003:“Principiodilegalitàeamministrazionedirisultati”,Torino,2003; M. IMMORDINO, A. POLICE (a cura di), Principio di legalità e amministrazione di risultati: atti del convegno, Palermo 27-28 febbraio 2003, Torino, 2004. 2 Non può non citarsi la semplicità con cui M.S. GIANNINI, in Istituzioni di diritto amministrativo, Milano, 2000, 261, definisce il principio di legalità, affermando che esso sta a significare che «l’atto autoritativo di un pubblico potere deve avere come supporto una norma, la quale ne regoli il possibile contenuto e gli effetti giuridici ». 11 relativa alle modalità di esercizio del medesimo, è sempre nell’ambito di esso e dei suoi corollari che si devono muovere i primi passi per individuare i caratteri propri del potere pubblico. Si pensi ai noti principi di tipicità e nominatività dei provvedimenti amministrativi3, che indicano proprio la predeterminazione normativa sia delle tipologie provvedimentali che dei loro possibili contenuti, individuati di volta in volta in forma più o menoflessibile4. I provvedimenti amministrativi sono tipologicamente previsti dalla legge e a ciascuno di essi l’ordinamento attribuisce una determinata funzione che coincide con la realizzazione dello specifico interesse pubblico alla cui tutela il provvedimento è preposto. Ciò evidentemente anche, e soprattutto, in considerazione del fatto che i caratteri propri del provvedimento amministrativo, quali l’imperatività e l’esecutorità, implicano una incidenza in molti casi sfavorevole del medesimo sulle situazioni soggettive dei destinataridell’atto. Ne discende la tassatività e nominatività dei provvedimenti amministrativi5. 3 Si veda E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2007; M.S. GIANNINI, op. cit. Mentre nei rapporti tra privati la legge segna i limiti entro i quali è data possibilità di agire, qualora l’Amministrazione agisca come autorità, la legge regola, e dunque vincola, ogni elemento dell’azione; M.S. GIANNINI, (voce) Atto amministrativo, Enc. Dir., Milano, 1959. Così l’Autore: «il principio di tipicità, impedendo alla amministrazione la più importante risorsa del privato, e cioè il negozio misto e innominato, contiene ciascun provvedimento entro misure ridotte. E quindi fa sì che l’autorità, nel volere l’oggetto del provvedimento e nel regolarne il contenuto, non possa decampare dalle indicazioni che riceve dalla norma». Si veda anche A.M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1989, 616 ss. “La regola della tipicità dei provvedimenti amministrativi è sempre stata un principio generale del diritto italiano; ma ora essa si aggancia ai principi espressamente enunciati nella Costituzione. Per i provvedimenti destinati ad incidere sfavorevolmente nella sfera giuridica dei destinatari il principio di legalità esige infatti che questi ultimi siano garantiti dall’esistenza di un certo limite formale oltre che dall’esistenza di limiti sostanziali imposti all’azione dell’Amministrazione. Per i rimanenti provvedimenti e, tra gli altri, per quelli destinati a disporre in modo favorevole ai destinatari, la regola della tipicità discende invece dalle esigenze di imparzialità e buon andamento dell’azione amministrativa. Quanto si è detto importa anche lòa nominatività dei provvedimenti amministrativi: a ciascun interesse pubblico particolare da realizzare corrisponde un tipo di atto perfettamente definito dalla legge. L’azione amministrativa autoritativa si estrinseca attraverso schemi tipici tassativi , scientificamente determinabili (e classificabili) in base all’ordinamento, i quali sono i vari tipi – le varie figure – diprovvedimenti”. 4 Per un inquadramento generale sulla facoltà dell’Amministrazione di interferire nella sfera dei diritti dei privati, nonché sui limiti all’esercizio delle sue potestà, si veda A.M. SANDULLI, In tema di forme degli atti amministrativi e di competenza a giudicare degli atti posti in essere in forma diversa da quella prescritta, in Giur. It., 1952, I, 593, ora in Scritti giuridici, III, Napoli, 1990, 183 ss; Id., Notazioni in tema di provvedimenti autorizzativi, ivi, 251 ss; Id. Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1989, 616 ss. 5 Cfr. A.M. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, cit., 616, secondo cui: “l’azione amministrativa autoritativa si estrinseca cioè attraverso schemi tipici tassativi, scientificamente 12 Ciò significa in primo luogo che i provvedimenti amministrativi, in quanto espressione di un potere, devono necessariamente cercare e trovare la propria legittimazione in una fonte esterna, non essendo immaginabile un potere (legittimo) autodeterminato. La necessità di tale riconoscimento deriva tanto più dal fatto che l’azione amministrativa – almeno nella sua accezione tradizionale - si caratterizza per la sua “forza”, cui consegue la capacità di imporsi sulle singole sfere dei consociati che di volta in volta “incontrano” e fronteggiano l’operato della p.A.. Ed è proprio avendo riguardo all’attitudine a incidere sulle situazioni soggettive private che sembra ragionevole ritenere che il potere dall’amministrazione, comprensivo della capacità di portare coattivamente ad esecuzione detti provvedimenti, debba incontrare determinati limiti oltre a quelli imposti dal vincolo discopo. Il principio di legalità crea perciò una sorta di obbligo di verifica della congruità dell’esercizio del potere; esso cioè impone la raffrontabilità dell’atto con la previa normativa6. In realtà, a ben vedere, questa non è l’unica funzione del principio di legalità, che ha una portata assai più ampia: esso esprime l’esigenza che qualsivoglia potere pubblico, e non dunque solo quello amministrativo, sia assoggettato alla legge (oltre che agli atti normativi secondari e ai principi generali non scritti)7. determinabili (e classificabili) in base all’ordinamento, i quali sono i vari tipi – le varie figure – dei provvedimenti (…). Ognuno di essi è individuato da un particolare contenuto - il quale non è e non può essere altro voluto se non in relazione a certi particolari oggetti, se non nelle circostanze previste dall’ordinamento, se non in funzione dell’interesse o degli interessi pubblici specifici ai quali l’ordinamento lo vuole preordinato (il che vale a differenziare nettamente i provvedimenti amministratividagliattinegozialididirittocivile,iquali–espressionetipicadell’autonomiaprivata – non sono in alcun modo vincolati nei fini da perseguire)”. L’illustre Autore rileva quali criteri di classificazione: il contenuto del provvedimento, il tipo di modificazione giuridica che esso è in grado di produrre (provvedimenti costitutivi, modificativi ed estintivi di status), l’interesse che il provvedimento è volto a tutelare etc. 6 Cfr. V. CRISAFULLI, Principio di legalità e «giusto procedimento», in Giur. Cost., 1962, 130. 7 E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2006, 42. A tal proposito occorre sicuramentemenzionareiprincipididirittocomunitario(qualequellodell’affidamento,cherileva soprattutto nel riesercizio del potere, implicando una forte considerazione della posizione del cittadino e, correlativamente, una significativa limitazione dei poteri della p.A.), che hanno trovato formale ingresso nell’ordinamento grazie alla nuova formulazione dell’art. 1, l. 241/1990, che li ha espressamente recepiti. Non può più dunque parlarsi di una occasionale e sporadica influenza esercitata dal diritto comunitario sul diritto amministrativo interno, bensì di una vera e propria “comunitarizzazione”. Ciò segna una evidente discontinuità “storica”, se si pensa che il diritto amministrativo nasce come diritto “statale”. Peraltro, accanto all’influenza diretta esercitata dal diritto comunitario sui diritti nazionali, è rilevabile anche una influenza, per così dire, “indiretta” o“indotta”; 15 Da ciò si può desumere che l’unico limite all’esercizio del potere è la corrispondenza con il fine pubblico (ovvero con l’interesse pubblico specifico) previsto dalla legge e sotteso all’intera azione amministrativa11. A questo punto risulta evidente il rapporto di inferenza tra il principio di legalità e il potere pubblico: il primo costituisce il parametro per valutare la corrispondenza dell’attività amministrativa alle prescrizioni normative, perciò, laddove la legge retrocede nell’individuazione dei contenuti di detta attività si arresta inevitabilmente anche il vincolo prescrittivo ad essa afferente. Avallando tale impostazione si dovrebbe concludere, in virtù della consueta bipartizione (rectius: tripartizione), per un passaggio dalla legalità di tipo sostanziale a quella di tipo formale, se non addirittura alla legalità cd debolissima (cosiddetta preferenza della legge), per cui il principio di legalità viene considerato in termini di mera non contraddittorietà dell’atto allalegge. Ciò corrisponde all’idea di una amministrazione che può fare tutto ciò che non le sia impedito dalla legge, ferma restando l’originaria attribuzione di potere. Mentre il principio di legalità inteso nella sua accezione di conformitàformale richiede soltanto uno specifico fondamento legislativo dell’azione amministrativa, con il riferimento alla conformità sostanziale si intende la necessità che la p.A. agisca non solo entro i limiti fissati dalla legge, ma in conformità con la disciplina sostanziale da essa posta12. 11 Sulla tipicità del potere amministrativo, proprio il relazione all’interesse pubblico di volta in volta affidato alle cure della p.A., cfr. G. CORSO, cit., 166. La deroga al regime comune, giustificato dalla presenza di interessi superindividuali, richiede che il potere si esprima in provvedimenti tipici, indicati dalla legge. Ancora una volta non può ritenersi derogato il principio della tipicità per il fatto che la p.A., realizzando con il privato un accordo sostitutivo del provvedimento, introduca clausole che esulino dalla fattispecie tipica. Ciò in ragione del fatto che il consenso del privato costituisce valido titolo di rinuncia alle garanzie poste nel suo interesse. Si veda anche M.T.P. CAPUTI JAMBRENGHI, Studi sull’autoritarietà nella funzione amministrativa, Milano, 2005. L’Autrice definisce gli atti amministrativi strumenti dell’azione dei pubblici poteri, sia in virtù del rilievo funzionale che la legge assegna al provvedimento, sia in ragione della prevalenza dell’interesse pubblico sugli interessi privati che ad esso sioppongono. 12 Secondo L. MAZZAROLLI, G. PERICU, A. ROMANO, F.A. ROVERSI MONACO, F.G. SCOCA, Diritto amministrativo,I,Bologna,2005,68,ilprincipiodilegalitàpuòassumereestensioneeintensità variabili: nei confronti di una attività amministrativa esso può avere valenza bilaterale-formale (ciò implica che ogni manifestazione di tale attività deve essere autorizzata dalla legge ma senza tuttavia la necessità di una disciplina dettagliata); oppure una valenza bilaterale –sostanziale (e cioè non ogni aspetto dell’attività considerata deve trovare fondamento nella legge ma questa deve dettarne una regolamentazioneesaustiva);ovvero trilaterale-formale(ènecessariaunaprevisionelegislativasolo 16 Una precisazione. Anche nell’ambito della legalità sostanziale, nonostante il legislatore indirizzi la p.A. con criteri obiettivi e non generici, permane ovviamente la discrezionalità nella scelta dell’an e del quomodo relativi all’esercizio della funzione amministrativa. L’incidenza del principio di legalità sulla determinazione dei limiti imposti all’esercizio del potere, che risulta più evidente nella accezione di “conformità sostanziale”, determina una variazione del modello di condotta della publica amministrazione e della misura della relativaazione. Vero è però anche l’inverso, ossia, una modificazione delle modalità di esercizio del potere amministrativo, espresso in chiave partecipata o consensuale, in cui i fini e le modalità dell’azione amministrativa vengono individuati attraverso forme di concertazione con altri soggetti pubblici e privati, implica, ove possibile, una lettura orientata del vincololegislativo. Ad oggi, il principio di legalità nella sua accezione di legalità sostanziale appare a tutti gli effetti inadeguato rispetto al nuovo volto dell’azione amministrativa. Si pensi alla teoria del c.d. organo indiretto13, elaborata negli anni ’90 e subito oggetto di critica da parte del Consiglio di Stato14 che si orientò in senso opposto al principio secondo cui un’Amministrazione, in assenza di una espressa previsione legislativa – e tramite un mero provvedimento concessorio - potesse trasferire a soggetti privati poteri pubblici tipici, con la conseguenza che la mera qualifica di “concessionario di lavori pubblici” non avrebbe potuto valere ex se a conferire agli atti da questo emanati la natura di provvedimenti amministrativi. per la parte di attività incidente su situazioni tutelate del cittadino); o trilaterale-sostanziale (l’autorizzazione a incidere su situazioni private disciplina a tutto tondo il potere conferito). 13 In forza di tale teoria, che traeva origine dal problema concernente la natura giuridica degli atti adottati dai soggetti concessionari di lavori pubblici, tale concessione veniva intesa alla stregua di un provvedimento amministrativo in virtù del quale l’Amministrazione trasferiva in capo al concessionario privato le proprie funzioni e potestà pubblicistiche, cosicché l’attività da questi svolta, in quanto organo indiretto dell’amministrazione concedente, sarebbe stata equiparata all’attività amministrativa in senso obiettivo. 14 Ex multis, si segnalano: Cons. Stato, sez. VI, 21 aprile 1995, n. 353, in Foro amm., 1995, 984; Cons.Stato,20maggio1995,n.498,inForoamm.,1995,1010;Cons.Stato,sez.V,20dicembre 1996, n. 1577, in Foro amm., 1996, 3321; Cons. Stato, sez. VI, 18 settembre 1998, n. 1267, in Foro amm., 1998, 2397; Cons. Stato, 27 ottobre, 1998, n. 1478, in Foro amm., 1998, 2748; Cons. Stato, sez. V, 7 giugno 1999, n. 295, in Foro amm., 1999, 1225; Cons. Stato, 10 aprile 2000, n. 2078, in Foro amm., 2000, 1280. 17 Si raggiunse tale conclusione proprio sulla base del principio di legalità di cui all’art. 97 Cost., in forza del quale l’unica fonte del potere amministrativo è la legge e pertanto solo a quest’ultima spetta la facoltà di attribuire potestà di carattere autoritativo. Ancora, si pensi oggi ai rapporti intercorrenti tra concessionario e terzo. E’ pacifico che i poteri esercitati nell’ambito di tali rapporti, qualora non siano riferibili al rapporto originario, e dunque a un atto di carattere autoritativo del concedente, debbano intendersi a tutti gli effetti assimilabili a rapporti di natura privata15. In merito all’esercizio del potere va detto che i parametri di congruità ai quali l’attività amministrativa deve fare riferimento sono più ampi della legge intesa in senso formale, tanto che si parla di legittimità oltre che di legalità; ciò per indicare la conformità del provvedimento e dell’azione amministrativa a criteri ulteriori e diversi dalla legge, ancorché ad essa collegati16. Non si può dimenticare inoltre che l’“esatta misura” del principio di legalità è funzionale anche alla definizione della sfera soggettiva, nonché all’individuazione delle forme di tutela della medesima, proprio in ragione del fatto che la sua proiezione più diretta è costituita dal principio di giustiziabilità, ovvero di azionabilità, desumibile dagli artt. 24 e 113 Cost., il quale assicura la tutela dei diritti e degli interessi legittimi dinanzi ai provvedimenti adottati dalla p.A. L’autorevole voce di M.S. Giannini riteneva che il principio di legalità potesse essere ricondotto alla sola attività amministrativa che si esprime in atti aventi carattere autoritativo, che si oppongano cioè a una situazione giuridica del privato «su cui incidono con effetto di estinzione o di limitazione», mentre «là 15 A favore dell’attribuzione al giudice ordinario delle controversie relative a pretese che trovano il proprio fondamento nel rapporto tra concessionario e terzo, purchè l’Amministrazione concedente resti totalmente estranea a tale rapporto, non potendosi perciò ravvisare alcun collegamento tra l’atto autoritativo concessorio e il rapporto medesimo, si vedano: C. Cass, Sez. Un., 21 ottobre 2005, n. 20339; C. Cass., Sez. Un., 25 giugno 2002, n. 9233; C. Cass, Sez. Un., 7 agosto 2001, n. 10890; C. Cass, Sez. Un., 23 luglio 2001, n. 10013; TAR Campania, Napoli, sez. VIII, n.8946/2007. 16 Si tratta di norme regolamentari, statutarie, di regole non scritte etc, cfr. E. CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, 2006, 45. L’inclusione delle regole non scritte tra i parametri di conformità dell’azione amministrativa consente di estendere tale principio sia ai parametri oggettivi di raffronto dell’azione amministrativa sia alla predeterminazione di un vincolo di scopo. 20 Al di là dell’individuazione dei soggetti terzi aventi “capacità amministrativa”, deve darsi conto del secondo limite posto all’esercizio del potere amministrativo, ovvero la disciplina degli atti di natura non autoritativa, per i quali la legge stabilisce espressamente che l’Amministrazione agisce secondo le norme di dirittoprivato. Tale secondo limite, a differenza del precedente, pertiene al contenuto del potere stesso e si ricollega alla più complessa questione, sopra prospettata, relativa alla possibilità che non tutta l’attività amministrativa debba configurarsi come attività avente carattereautoritativo. 2. CONTENUTO DEL POTEREAMMINISTRATIVO. E’ stato autorevolmente sostenuto che il potere pubblico è titolare di potestà pubblicistiche21, ovvero che consente ai soggetti che ne sono investiti di avvalersi, per così dire, di prerogative che esorbitano dal diritto comune22. Dalla significativa definizione data dall’Avv. Generale Mayars, si possono prendere le mosse per la caratterizzazione del potere. Essa, a prima vista, ci dà almeno due indicazioni da non poco conto: 1) ilpoterepubbliconontrovalapropriadisciplinaneldirittocomune;2) esorbita da esso. 21 M.S. GIANNINI, op. cit., 260 ss, secondo cui: «se al luogo delle “libertà” vanno poste le situazioni giuridiche soggettive, al luogo dell’ “autorità” vanno poste, più semplicemente le potestà pubbliche». Sul complesso nodo problematico che involge la nozione di potere pubblico, l’autorevole voce gianniniana ci dice, con estrema semplicità, che «il potere pubblico è titolare di potestà; il provvedimento con cui si esercitano le potestà produce effetti giuridici che, in termini generali, possono dirsi di recessione della situazione giuridica del soggetto passivo. Varia la specie e l’intensità della recessione; si va da fattispecie astratte nelle quali la situazione soggettiva di cui è titolare il soggetto si estingue (espropriazione, confisca), a quelle nelle quali è trasferita ad altro soggetto (trasferimenti coattivi), o subisce l’amputazione di facoltà più o meno essenziali (imposizione di servitù pubblica, divieti relativi alla circolazione di beni), o è sottoposta ad un regime autoritativo scelto dall’autorità, che si sostituisce alla scelta del soggetto o la elimina totalmente (autorizzazioni ad attività, pianificazioni territoriali o economiche, discipline autoritative di negozi interprivati), o si aggrega l’imposizione di obblighi personali o patrimoniali stabiliti dall’autorità (ordini di polizia, imposizioni tributarie), oppure di obblighi di comportamenti strumentali (ordini di denunciare, di registrare), e così via secondo criteri che possono talora giungere ad alta sofisticazione». 22 Fu l’Avvocato Generale Mayars che per primo qualificò, nella causa Reynes (21 giugno 1974, C- 2/74), il potere pubblico come l’incarnazione della potestà sovrana dello Stato, tale da consentire ai soggetti investiti di poteri pubblici la possibilità di avvalersi di prerogative, privilegi e poteri coercitivi a cui i privati devonosottomettersi. 21 Ciò significa che la posizione dell’Amministrazione nei rapporti con gli amministrati, necessita di istituti giuridici propri cui far riferimento che, seppure ispirati alle categorie generali del diritto, devono far fronte all’evidente carattere di specialità della parte coinvolta, tanto da giustificare l’attribuzione di prerogative che esorbitano il diritto comune, senza che si possa configurare un abuso di diritto. La terza indicazione che si può trarre e che sembra essere implicita nella stessa definizione riguarda l’ampiezza della sfera di esercizio del potere pubblico. Il fatto cioè che non si menzioni la possibilità di ricondurre alcuni rapporti pubblici al diritto comune, sembra implicare la necessaria autoritarietà di tutta l’attività amministrativa. In realtà questa è una falsa indicazione che, come vedremo, non risolve il problema circa la possibilità o l’impossibilità di dare una configurazione unitaria all’attività amministrativa (si parla infatti solo di potere pubblico, senza alcuna specificazione in merito alle ipotesi in cui esso possa venir meno seppur in presenza di una funzione amministrativa residuale). Può individuarsi anche una quarta indicazione, di cui si è già dato conto con riferimento al fenomeno della regolazione, ovvero la possibilità che l’Amministrazione non sia l’unica titolare di potestà pubblicistiche, ben potendo esse appartenere a soggetti terzi (“che ne sono investiti”). Dunque iniziamo dal principio, ovvero dal tentativo di dare una definizione del potere pubblico quanto più aderente possibile alla realtà dei fatti, con l’aiuto dei tratti ora enunciati, a prima vista sommariamente corrispondenti al contenuto del potere stesso. Esso è stato variamente definito, per lo più in via riflessa rispetto ai tratti caratterizzanti i provvedimenti amministrativi, come potere di tipo coercitivo, autoritativo oimperativo. Si è detto cioè che, se il frutto dell’esercizio del potere è un provvedimento dotato di tali caratteri, essi non possono che esser stati “trasmessi” dallo stesso potere che così si è manifestato. 22 Il primo rinvio che appare dovuto è quello al carattere dell’unilateralità, che abbiamo visto essere implicito nel potere stesso e che connota genericamente tutti gli atti in qualche modo riconducibili a rapporti disupremazia. L’unilateralità, come spesso è stata definita, è la facoltà di incidere sulla sfera giuridica privata indipendentemente dal consenso del destinatario del provvedimento. E’ indubbio che tale forza possa sussistere solo in virtù dell’attribuzione, da parte dell’ordinamento, di un potere a un determinato soggetto. Ciò spiega anche come si arrivi a parlare di quelle prerogative esorbitanti dal diritto comune che caratterizzano, secondo Mayars, il potere pubblico. E’ facile comprendere come, dall’unilateralità che contraddistingue il potere “superindividuale” amministrativo all’imperatività del provvedimento il passo sia effettivamente molto breve23. E’ evidente che un atto che non necessita del consenso del destinatario per trovare attuazione, ben potendo autoimporsi, ha un indubbio carattere imperativo. Si badi, si sta parlando tanto di atti favorevoli quanto (e soprattutto) di atti a contenuto sfavorevole per il destinatario. Anche il diritto comune conosce infatti fattispecie unilaterali, ma che non hanno alcun carattere coercitivo nei confronti dei terzi, ponendo viceversa il vincolo a carico del soloproponente. Anzitutto, l’imperatività acquista il significato che le è proprio dal confronto con l’efficacia (per usare parole autorevoli, essa è garantita dalla disgiunzione tra validità ed efficacia)24. Potremmo dunque dire che il profilo dell’efficacia costituisce un quid pluris, una sorta di valore aggiunto del provvedimento stesso che deriva dal suo “essere un atto di diritto pubblico”25. 23 B.G. MATTARELLA, L’imperatività del provvedimento amministrativo, Padova, 2000, 211 ss. 24 M.S. GIANNINI, op. cit., 316. 25 Con ciò non si vuole affatto estendere de plano tali caratteristiche a tutta l’azione amministrativa, senza prima soffermarsi sulla questione con alcune opportune riflessioni del caso32. 2. a) SEGUE: L’UNILATERALITÀ E LA NEGOZIABILITÀ DELL’AZIONE AMMINISTRATIVA. A differenza dei rapporti tra soggetti privati, in cui è ravvisabile un fondamento contrattuale del potere, nei rapporti di diritto pubblico l’Amministrazione dispone di poteri che non hanno un fondamento contrattuale, bensì legislativo33. L’azione amministrativa è esercitata secondo i principi rigorosamente enunciati dall’art. 1, l. 241/1990, ampliati con l’introduzione del comma 1 bis, riferito all’attività non autoritativa dellap.A. Si è detto come l’unilateralità sia il primo tratto riferibile all’attività amministrativa, ma tale circostanza non esclude per ciò solo la possibilità che esista una parte dell’azione amministrativa che, pur perseguendo in via unilaterale un interesse pubblico, esuli dal campo dell’esercizio di un potere autoritativo (ovviamente al di fuori delle indubbie ipotesi in cui la p.A. agisce iureprivatorum). C’è dunque da chiedersi se il tradizionale carattere dell’unilateralità possa essere minato dalla circostanza per cui il nuovo agere amministrativo si caratterizza anche per l’adozione di moduli contrattuali. La premessa necessaria è che il potere della p.A. deve sempre e comunque esplicarsi nel rispetto dei principi di legalità e di imparzialità (oltre che naturalmente di salvaguardia del terzo), tanto che si parla di autonomia negoziale “limitata” in quanto i fini dell’azione devono necessariamente coattivamente, le situazioni di vantaggio che col provvedimento nascono a favore dell’Amministrazione, in Diritto amministrativo, cit., 280. 32 Lo stesso M.S. GIANNINI , nelle sue Lezioni, 1950, 78 ss, ci dice che «non tutta l’attività amministrativa è manifestazione del momento di autorità» e che «se essa avesse carattere solamente imperativo, ne resteremmo tutti soffocati». 33 Si veda G. CORSO, Manuale di diritto amministrativo, Torino, 2006. L’Autore rileva come “il contratto significa consenso”; l’interesse pubblico non potrebbe essere soddisfatto con un contratto quando la parte che dovrebbe concorrere rifiuta di prestare il proprio consenso. 26 essere predeterminati dalla legge -e dunque non sono disponibili dalla p.A.- e perseguiti secondo canoni di doverosità econtinuità34. L’agire secondo norme di diritto privato non sembra perciò implicare una rinuncia all’agire funzionale della p.A., tanto da aver meritato l’appellativo di attività privata di interessepubblico35. L’articolo 1 della legge 241/90, nell’indicare il nucleo essenziale per la definizione dei principi guida dell’azione amministrativa, prevede al comma 1 che l’Amministrazione debba agire conformandosi ai fini individuati dalla legge, avendo riguardo ai principi di economicità, efficacia, pubblicità, e secondo i principi dell’ordinamentocomunitario. Il comma 1 bis, come introdotto dalla novella del 2005 dispone successivamente che la p.A., nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo norme di diritto privato, salvo che la legge disponga diversamente. A questo punto si svolgono alcune brevi considerazioni per comprendere la scelta del legislatore di collocare all’interno dell’art. 1 l’ipotesi di attività amministrativa secondo il diritto privato. Tale norma può essere indifferentemente interpretata sia come disposizione volta a introdurre in via generalizzata la possibilità per la p.A. (nonché per i soggetti privati preposti all’esercizio di attività amministrative, di cui al comma 1 ter) di ricorrere a strumenti di diritto privato nella cura dell’interesse pubblico alternativamente al modello provvedimentale, sia come facoltà di rivisitazione degli istituti amministrativi in chiave civilistica laddove la scelta tra provvedimento e contratto non siapossibile36. 34 Sivedano:F.LEDDA,Ilproblemadelcontrattoneldirittoamministrativo,Torino,1960,orain Scrittigiuridici,Padova,2002,103ss;F.BENVENUTI,Appuntididirittoamministrativo,Padova,1959; U. ALLEGRETTI, L’imparzialità amministrativa, Padova, 1965; L. MONFERRANTE, La disciplina privatistica nell’adozione degli atti di natura non autoritativi della p.A., in www.giustamm.it. Per un opportuno approfondimento sulla doverosità, si rinvia a quanto si dirà infra, §2.c). 35 S. GIACCHETTI, Giurisdizione esclusiva, Corte costituzionale e nodi di Gordio, in Cons. Stato, II, 2004, 1647 ss. Si veda anche U. DI BENEDETTO, Attività non autoritativi della p.A.: quali regole, quali finalità, quali tutele?, relazione al Convegno di Sperlonga, 21-22 ottobre 2005, in www.giustizia- amministrativa.it. 36 L. MONFERRANTE, op. cit. 27 A fronte della rivisitazione dell’azione amministrativainchiave “consensuale”, si deve perciò indagare su quanto rimangadellaconnotazione del provvedimento amministrativo inteso comedeterminazioneautoritativa37. Perquantoattieneall’unilateralità,ovveroallacapacitàdiincideresu situazionisoggettiveindipendentementedalconsensodeldestinatario38,siè variamenteargomentatoperlopiùinriferimentoagliattidiscrezionali, residuandoviceversaalcunidubbiperciòcheattieneallatipologiadegliatti vincolati. Mentre si è concordi nel ritenere che gli atti discrezionali sfavorevoli sono espressione dell’incidenza del potere amministrativo sulle sfere giuridiche dei consociati, tale incidenza è stata spesso esclusa per i provvedimenti ampliativi39. In realtà il beneficio recato al privato da autorizzazioni, concessioni e altri atti ampliativi della sfera giuridica, non sembra poter legittimamente attrarre tali atti nella categoria degli atti non autoritativi e ciò soprattutto avendo riguardo agli effetti che tali atti, seppur favorevoli per il destinatario, esplicano nei confronti dei terzi. A sostegno di quanto detto si è fatto riferimento, in un’ottica economica, al potere amministrativo in chiave di allocazione di utilità giuridiche, con funzione distributiva sia dei sacrifici che delle utilità, per cui gli stessi provvedimenti attributivi di un vantaggio a un determinato soggetto imprimerebbero un sacrificio di pari grado della sfera giuridica dei terzi (si pensi al caso di esclusione dal godimento di beni pubblici già dati in concessione)40. 37 M.S. GIANNINI, (voce) Atto amministrativo, in Enc. dir., IV, 1959; F. LEDDA, La concezione dell’atto amministrativo e dei suoi caratteri, in (a cura di) U. ALLEGRETTI, A. ORSI BATTAGLINI, D. SORACE, Diritto amministrativo e giustizia nel bilancio di un decennio di giurisprudenza, Rimini, 1987, II, 777 ss. 38 Si ricorda il tentativo di costruzione unitaria della “teoria dei diritti pubblici soggettivi”, tesa a descrivere il legame tra cittadino e potere pubblico in chiave di diritto soggettivo-obbligo; nonché la concezione dell’interesse legittimo come riflesso dell’interesse pubblico, la cui protezione era pertanto accordata solo in via indiretta e riflessa. 39 Per opportuni approfondimenti si rinvia al Titolo secondo, capitolo secondo, § 4. 40 M.S. GIANNINI, op. cit.; F.G. SCOCA, La teoria del provvedimento dalla sua formulazione alla legge sul procedimento, in Dir. amm., 1995, 1 ss. Contra D. SORACE, C. MARZUOLI, Concessioni 30 2. c) LA DOVEROSITÀ DELLA FUNZIONE AMMINISTRATIVA. Un’altra considerazione da cui non può prescindersi è quella per cui l’Amministrazione impronta notoriamente la propria azione al dovere di perseguire l’interesse pubblico47. Lo studio del principio di doverosità rileva perciò per l’incidenza che la valorizzazione di tale profilo ha necessariamente sullo svolgimento della funzione amministrativa e dunque sull’esercizio del potere pubblico48. E cioè, poiché la realizzazione del fine pubblico come obiettivo primario dell’azione della p.A. ha plasmato il potere, rendendolo limitato e funzionalizzato, ai fini di uno studio sulle forme di potere pubblico si impone una preliminare valutazione dei rapporti che intercorrono tra potere e dovere; se cioè si deve configurare l’attività amministrativa in chiave prioritariamente potestativa o piuttosto doverosa49. cittadino mentre la Costituzione invoca il principio del buon andamento (art. 97) esclusivamente in virtù del legame che esso ha con l’interesse pubblico. Sul punto si vedano A. CELOTTO, a cura di, Processo costituente europeo e diritti fondamentali, Torino, 2004 e M.A. SANDULLI,I, Buona amministrazione e costituzione europea, ivi. 47 Tanto che si ritiene che il fondamento dell’autoritatività dell’atto amministrativo deve porsi non tanto nella potestà di sovranità dello Stato quanto nell’asservimento della p.A. agli interessi della collettività, così Cons. Stato, sez. VI, 3 aprile 1990, n. 435, in Juris data, Giuffrè. 48 Sul principio di doverosità si vedano A. CIOFFI, Dovere di provvedere e pubblica amministrazione, Giuffrè, 2005; F. GOGGIAMANI, La doverosità della pubblica amministrazione, Torino, 2005, secondo cui la doverosità è causa, oltre che scopo della potestà pubblica. Solo recuperando la posizione del dovere quale prius logico del potere, la potestà risulta vincolata, per così dire, da due estremi: “l’amministrazione più che detentrice di un potere vincolato nel fine è obbligata da un dovere eventualmente potestativo nel mezzo”. Solo con lo Stato di diritto, e dunque con l’avvento dei principi di separazione dei poteri e di legalità, si ha l’effettivo riconoscimento del principio di doverosità, garantito dalla circostanza per cui i fini pubblici vengono definiti da un potere diverso di quello chiamato a realizzare i medesimi. Al vincolo di indisponibilità così creato conseguono limitazioni più o meno ampie nell’esercizio del potere. Si veda anche G. CORSO, Manuale di diritto amministrativo, Torino, 2006, 168. Nella maggior parte dei casi l’esercizi del potere amministrativo appare essere doveroso. Così l’art. 2, l. 241/1990 statuisce che «ove il procedimento consegua obbligatoriamente ad una istanza, ovvero debba essere iniziato d’ufficio, la pubblica amministrazione ha il dovere di concluderlo mediante l’adozione di un provvedimento espresso». Il dovere di attivarsi è pertanto imposto dalla legge o consegue (almeno nella maggior parte dei casi) all’istanza del privato (si pensi ai numerosi casi di autorizzazione, concessione, abilitazione etc), rimanendo del tutto marginali i casi in cui la p.A., pur non essendo tenuta a iniziare un procedimento, decida di avviarlo (si pensi agli atti di secondogrado). 49 Nelle concezioni assolutistiche del potere pubblico il sovrano non rispondeva del proprio operato in ragione di un dovere nei confronti del suddito. Molto distante da una concezione doverosa, il potere sovrano, assoluto e perpetuo, anche quando concepito come ius promovendo salutem publicam, trovava un proprio limite solo ed esclusivamente nelle leggi divine e naturali. L’unico vincolo riconosciuto era quello per cui «il principe deve al suddito giustizia, tutela e protezione.. (Bodin). 31 Indubbiamente il binomio dovere-potere esprime una priorità logica, essendo la potestà il mezzo per l’adempimento delle funzioni cui un soggetto è preposto. Ma vediamo ora i riflessi pratici, ovvero le conseguenze che la preminenza del potere sul dovere può avere sulle forme di manifestazione della potestà pubblica. Non vi è dubbio che una esasperazione del carattere dell’autoritatività porterebbe a una contrazione della sfera della doverosità e viceversa. E’ vero dunque che la doverosità, che sia intesa quale prius logico o piuttosto come un mero attributo della potestà pubblica, incide necessariamente sulla configurazione di quest’ultima. Un soggetto titolare del potere può perciò avere la facoltà o il dovere di esercitarlo; in tal caso le norme possono vincolarne la direzione o la modalità diesercizio. Ebbene, deve forse primariamente ricordarsi che l’autoritatività non rende la p.A. un soggetto estraneo a qualsiasi vincolo, tanto meno a quelli di scopo. Il carattere della supremazia non va tanto riferito all’Amministrazione in sé (non sussistendo più un rapporto di “sudditanza” tra p.A. e amministrati), quanto piuttosto all’interesse pubblico, da considerare perciò appartenenteall’ordinamento50. In vista di tale interesse la p.A. soggiace a vincoli imposti dalla legge nonché a vincoli di ragionevolezza51. Non a caso la finalizzazione all’interesse collettivo vincola spesso il titolare del potere anche nella scelta relativa alle modalità del suo esercizio, 50 Per una riflessione sull’interesse pubblico, si veda M.R. SPASIANO, L’interesse pubblico e l’attività della p.a. nelle sue diverse forme alla luce della novella della l. 241 del 1990, in www.giustamm.it. E’ proprio in ragione del perseguimento dell’interesse pubblico che vengono predisposte le forme di intervento dei pubblici poteri. Neppure il ricorso a strumenti di tipo consensuale o privatistico pare poter porre in discussione il carattere indisponibile dell’interesse pubblico. La sua appartenenza all’ordinamento inteso in senso collettivo, rende possibile che per la tutela del medesimo possano agire non solo soggetti pubblici ma anche soggetti privati (e ciò spiega anche il ricorso a un diritto privato “speciale”). 51 A. SANDULLI, La proporzionalità dell’azione amministrativa, Padova, 1998; D.U. GALETTA, Principio di proporzionalità e sindacato giurisdizionale nel diritto amministrativo, Milano, 1998. 32 oltre che ad un equo bilanciamento tra l’interesse pubblico perseguito e gli interessi privati latistanti. Ciò è in linea con il costante insegnamento per cui la soddisfazione dell’interesse primario deve avvenire con il minor sacrificio di quelli secondari (come nei casi dei limiti posti all’espropriazione o alla revoca di un provvedimento costitutivo didiritti). Si pensi alla doverosità cd procedimentale, ovvero al dovere di procedere e di provvedere che grava in capo alla p.A. ai sensi dell’art. 2, l. 241/1990. L’esercizio della potestà pubblica attraverso l’attivazione di un procedimento volto all’adozione di un provvedimento espresso, spesso limitativo della sfera giuridica di taluni soggetti, impone di ragguagliare l’interesse perseguito a quello ad esso contrapposto, in primo luogo tramite la previsione di una serie di garanzie partecipative quali l’obbligo di comunicare l’avvio del procedimento, la motivazione del provvedimento etc52. Ancora, si pensi al silenzio dell’amministrazione, contro il quale è data al privato la possibilità di messa in mora e di eventuale ricorso, oppure al settore dei servizi e all’attività contrattuale della p.A., in cui la dimensione della doverosità dell’azione amministrativa acquista maggioreconcretezza. Al di là delle varie manifestazioni del principio di doverosità ciò che rileva è la sua strumentalità, ossia il vincolo di scopo cui esso è preordinato. Sembra dunque doversi concludere per l’imprescindibilità del legame tra potestà e doverosità, nonché per l’impossibilità di individuare una priorità logica di una rispetto all’altra perchè entrambe sono connotazioni di una azione funzionalizzata nei confronti della quale assumono una funzione servente reciproca. 52 Cfr. G. PASTORI, Il procedimento amministrativo tra vincoli formali e regole sostanziali, in (a cura di) U. ALLEGRETTI, A. ORSI BATTAGLINI, D. SORACE, Diritto amministrativo e giustizia amministrativa nel bilancio di un decennio di giurisprudenza, Rimini,1987. 35 scienza, unilaterali o bilaterali, nonché i meri comportamenti, la distinzione tra atti di imperio e atti di gestione54 era finalizzata a precisare l’ambito di applicazione delle norme relative alla competenza e ai poteri del giudice ordinario. Gli impulsi venuti dallo sviluppo della scienza giuridica e dalle nuove norme processuali hanno indotto implicitamente a “procedimentalizzare” l’attività amministrativa, vista come un processo decisionale sequenziale55. Ancora oggi l’atto amministrativo, pur nelle sue molteplici qualificazioni (si vedano G. Jellinek, Otto Mayer etc), rappresenta l’espressione che caratterizza qualunque forma di potere pubblico56. La rinnovata attenzione prestata al provvedimento amministrativo, che già nasceva come strumento primario per l’affermazione del diritto amministrativo e della sua specialità, consentì allo stesso di assumere caratteristiche peculiari quali l’unilateralità, l’esecutorietà e l’esecutività, di cui si è già accennato57. Il potere pubblico dunque, sotto forma di atti unilaterali, esecutori ed esecutivi, ha fatto pensare per lungo tempo che la situazione del privato risultasse necessariamente cedevole dinanzi a tale autorità. Tale deduzione era dovuta alla convinzione che l’esercizio del potere pubblico avrebbe comportato una compressione della sfera delle libertà individuali, sicchè solo dalla recessione del momento autoritativo sarebbe derivato un effetto “espansivo” a favore della situazione giuridica soggettiva del privato58. 54 Per opportuni approfondimenti sulla tematica della distinzione tra atti di imperio e atti di gestione, si rinvia al §§ 2. 55 Per una ricostruzione storica dettagliata, cfr. B.G. MATTARELLA, op.cit., 73 ss. 56 La differenza tra la costruzione francese e quella tedesca risiedeva proprio nel fatto che in quest’ultima la nozione di atto amministrativo era posta al centro dell’intero sistema di diritto amministrativo; posizione che valse all’atto amministrativo un frequente accostamento con gli altri atti aventi natura autoritativa (quali la legge e la sentenza). Mayer recepì tale indirizzo, identificando l’atto amministrativo nell’espressione della supremazia dell’Amministrazione. 57 Si veda M.S. GIANNINI, (voce) Atto amministrativo, Enc. Dir., IV, 157. 58 M.S. GIANNINI, Diritto amministrativo, Milano, 1993, 228. 36 La fase “provvedimentale” dell’azione amministrativa è stata indubbiamente valorizzata con la successiva codificazione del procedimento amministrativo, avvenuta con la legge 241/1990 e s.m.59. Pur in presenza di queste nuove caratteristiche dell’azione amministrativa, essa sembra però non abbandonare, almeno nella sostanza, la sua originaria connotazione. Una amministrazione concertata non è una amministrazione la cui attività è “meno autoritativa”. Si pensi agli interventi sui beni pubblici, di cui all’art. 24 del Codice dei Beni culturali, che disciplina la possibilità che gli interventi da eseguire da parte delle amministrazioni dello Stato (delle regioni o di altri enti pubblici territoriali) sui beni culturali possa avvenire tramite autorizzazione espressa nell’ambito di accordi tra il Ministero e il soggetto pubblicointeressato. Nonostante l’esplicita valorizzazione degli strumenti di esercizio del potere in forma concordata tra i soggetti istituzionali, si ritiene che la modalità concertata costituisca una applicazione dei principi generali che presidiano l’azione amministrativa nel quadro di una semplificazione, ma che tale modus agendi nulla toglie alla forza e al vigore dell’attorisultante60. La fungibilità tra strumenti di diritto pubblico e strumenti di diritto privato sembra perciò indicare piuttosto una nuova categoria di vesti che si affiancano a quelle tradizionali, il cui contenuto è tuttavia pariordinato a quello disposto con forma provvedimentale. La sostanza del provvedimento, ovvero la capacità di imporsi su situazioni soggettive, rimane invariata anche laddove il privato (o il pubblico stesso, come nella precedente ipotesi) decida di stipulare un accordo, 59 Si vedano le disposizioni sulla partecipazione del privato, quelle in tema di autotutela, la positivizzazione non solo dei principi generali, da sempre riconosciuti fonte integrativa dell’azione amministrativa, ma anche a quelli comunitari, ormai recepiti tramite la previsione di cui all’art. 1, etc. 60 Il processo di semplificazione amministrativa è passato attraverso una serie di interventi normativi quali: l’art. 48 della legge 5 agosto 1978, n. 457 (norme per l’edilizia residenziale), che realizza uno snellimento delle procedure per l’esecuzione di opere di manutenzione straordinaria; la legge n. 94 del 1982, che introduceva un regime semplificato per il rilascio della concessione edilizia; l’art. 26 della legge 28 febbraio 1985, n. 47, che consente l’esecuzione di qualsivoglia opera interna con la mera presentazione di una relazione tecnica asseverata, e altri interventi che hanno contribuito a snellire le procedure per il rilascio di titoli abilitativi, con l’unico scopo di deflazionare i procedimenti edilizi. Si veda il nuovo T.U. in materia di edilizia. 37 sostitutivo di detto provvedimento, qualora tale accordo realizzi due obiettivi: far venir meno il presupposto per l’esercizio del potere in via unilaterale e realizzare un interesse pubblico ultroneo rispetto a quello che si realizzerebbe comunque tramite l’adozione della forma provvedimentale qualora il privato non acconsentisse a “patteggiare” con l’Amministrazione. Il provvedimento dunque, o l’accordo stipulato in funzione sostitutiva, laddove realizzato, mantiene il suo carattere tipico dovuto all’appartenenza a un diritto per così dire speciale. Si pensi alle convenzioni di lottizzazione, con le quali si ammette il negoziato nell’esercizio del potere pubblico, tanto da esser considerate veri e propri contratti ad oggetto pubblico inseriti in un procedimento amministrativo a carattere pianificatorio. Viene da domandarsi in proposito se il contratto di diritto pubblico sia equiparabile al negozio giuridico privato e, in caso di risposta negativa, quale sia la sua collocazione nelle categorie generali del diritto e la sua disciplina; ovvero se esista piuttosto una sorta di diritto comune attenuato. Sotto tale profilo vengono inevitabilmente all’attenzione sia la facoltà di recesso di cui gode la p.A. in tema di accordi, che è spesso assimilata a una revoca della volontà pubblica espressa nell’accordo stesso.61 2. ATTIDIIMPERIOEATTIDIGESTIONE:CENNI. Le radici della distinzione tra le diverse tipologie di atti, che ebbe tanta fortuna prima in Francia e successivamente in Italia, sono state spesso ravvisatenelpensierodigranditeoriciqualiGrozio,DeLucaeWolffe,più 61 Si pensi al potere di revoca dell’incarico dirigenziale ai sensi della legge 15 luglio 2002, n. 145, nonostante la contrattualizzazione del rapporto di lavoro, solo recentemente dichiarato incostituzionale con sentenza della Corte Cost. del 23 marzo 2007, n. 103, in www.lexitalia.it., con note di G. VIRGA, Breve storia di un trapianto con crisi finale di rigetto e L. OLIVIERI, Revirement della Consulta sullo spoil system: per la prima volta se ne rileva l’incostituzionalità. Quello che la sentenza non dice. Sul tema, si veda anche N. DURANTE, L’adozione di atti di natura non autoritativi, con elettivo riferimento alla tematica del conferimento e della revoca dell’incarico di funzione dirigenziale nell’ambito del rapporto di lavoro con l’amministrazione dello Stato, Seminario su Modifiche ed integrazioni alla legge 241 del 1990, Salerno, 5 maggio 2005. L’opinione sullo spoil system aveva indotto la dottrina a qualificare a ragion veduta il conferimento dell’incarico dirigenziale quale esercizio di un potere amministrativo autoritativi, preordinato alla provvista del personale da collocare nella struttura burocratica e, come tale, soggetto alle regole del dirittopubblico. 40 Validità ed efficacia sono due distinti attributi, indipendenti l’uno dall’altro, del provvedimento amministrativo, ed è proprio nell’efficacia, ancor prima che nella validità, che risiede l’autorità tipica del provvedimento amministrativo65. Non a caso l’inefficacia è stata autorevolmente definita come il non acquisto di efficacia per non avveramento del fatto giuridico da cui conseguirebbe l’efficacia del provvedimento66. Ciò significa che l’efficacia del provvedimento costituisce il principio di ordine generale che può subire deroghe solo ed esclusivamente in determinate circostanze67. Vi sono addirittura dei casi in cui il profilo dell’efficacia è addirittura potenziato, come avviene nelle ordinanze contingibili e urgenti che, esprimendo un provvedimento necessitato, accentuano determinati aspetti propri del provvedimento stesso per cui consentono l’imposizione di obblighi di fare a carico di soggetti privati, purchè ovviamente la situazione di “pericolo” non sia fronteggiabile mediante gli ordinari strumenti di amministrazione. L’Amministrazione cioè, sulla base di una valutazione di opportunità, può ricorrere a provvedimenti di carattere “speciale”68. Peraltro tali provvedimenti hanno avuto un raggio di applicazione sempre crescente, per far pronte a circostanze di ogni tipo; si pensi alla casistica, estremamente varia, che va dalla loro utilizzazione per far fronte all’interruzione del servizio pubblico di trasposto dei soggetti disabili da e per 65 Lo stesso M.S. Giannini individua tra gli effetti della disgiunzione fra validità ed efficacia i seguenti: a) rendere effettiva l’imperatività del provvedimento; b) permettere che taluni provvedimenti i quali sarebbero invalidi, giusta una rigorosa applicazione dei principi, possano invece essere salvati in quanto sostanzialmente conformi al pubblico interesse; c) permettere il controllo immediato del provvedimento emesso, sospendendone medio temporel’efficacia. 66 M.S. GIANNINI, op. cit., 276. 67 Si veda N. PAOLANTONIO, Considerazioni su esecutorietà ed esecutività del provvedimento amministrativo nella riforma della legge 241/1990, www.giutamm.it, 2005, 3. Secondo l’A. l’attività di esecuzione dei provvedimenti è ascrivibile all’ambito dell’autotutela intesa nella sua accezione ampia. Tale constatazione nasce anche dal confronto con altri ordinamenti. Si pensi all’esperienza tedesca, la cui disciplina contempla un articolata tipologia di fattispecie esecutive e in cui l’azione amministrativa è graduata secondo livelli che tengono conto della natura (fungibile o infungibile) e del contenutodell’obbligo. 68 Si veda A.M. SANDULLI, Scritti giuridici, Jovene, 1990. 41 i centri di riabilitazione -in ragione della potenziale lesività della situazione, soprattutto per coloro che sarebbero esposti alla lesione della propria integrità fisica-69, alle ipotesi in cui tali ordinanze hanno la veste di formale diffida rivolta al locatario di un appartamento a porre sistemi di insonorizzazione per eliminare emissioni provenienti da un pianoforte durante le esercitazioni eseguite70. Peraltro in tale ultima vicenda si è confermato l’orientamento giurisprudenziale che nega la necessità di una previa comunicazione dell’inizio del procedimento nel caso di ordinanze contingibili e urgenti, sia per la necessità di un intervento tempestivo, sia per l’assenza di disposizioni che prevedano un contraddittorio tra gli interessati (nel caso specifico nel procedimento di accertamento dell’intensità del rumore). Dunque ci troviamo di fronte a provvedimenti che l’Amministrazione, in situazioni contingenti e previa una valutazione di opportunità e urgenza, ha la facoltà di adottare e, attraverso i quali, alla ricorrenza dei relativi presupposti, può ordinare l’esecuzione di un facere necessitato e non realizzabile in altro modo, superando così i limiti normalmente imposti allo stesso potere mediante l’adozione di atti ad efficacia, per così dire, oltremodo rafforzata71. 3 a) L’ESECUTORIETÀ. Con tale termine si indica comunemente non solo l’idoneità del provvedimento amministrativo a produrre automaticamente i propri effetti (si pensi ai provvedimenti ablatori), ma soprattutto la sua attitudine ad essere eseguito tramite la possibilità di esercitare concretamente e in via diretta il potere coercitivo nei confronti dei destinatari del provvedimento in modo tale 69 T.A.R. Puglia, Bari, sez. II, sentenza 11 maggio 2007, n. 1331, in www.giustamm.it. 70 T.A.R. Basilicata, Potenza, 19 maggio 2004, n. 331, in www.giustamm.it. 71 Si pensi al caso dell’ordine del Sindaco di eseguire interventi di manutenzione e riparazione sulla retefognariaeidricasuun’areaoggettodiprecedenteconvenzionedilottizzazioneconunprivato (T.A.R. Calabria, Catanzaro, sez. II, 11 febbraio 2004, n. 297). Si veda anche Cons. Stato, sez. V, 11 dicembre2007,n.6366,inwww.lexitalia.it;Id.,sez.IV,24marzo2006,n.1537,ivi;Id.5settembre 2005,ivi;Id.sez.V,8maggio2007,n.2109,ivi;CGA,2marzo2007,n.97,ivi;T.A.R.Campania, Napoli,sez.V,15gennaio2007,n.273,ivi;T.A.R.Lazio,Roma,sez.II,14febbraio2007,n.1352, ivi; T.A.R. Veneto, sez. III, 30 novembre 2007 n. 3807, ivi. 42 che, a fronte del rifiuto del privato di cooperare per la realizzazione del fine, l’amministrazione può comunque conseguire il risultato pratico voluto72. Non a caso nelle prime teorie ricostruttive relative al tema dell’esecutorità dell’atto amministrativo, l’elemento legittimante venne ravvisato nella supremazia dell’amministrazione, da intendersi strettamente connessa al carattere imperativo dei suoi atti, fino a sintetizzare in esso il regime giuridico dell’atto amministrativo. L’esecutorietà, che trova tradizionalmente il proprio fondamento nella presunzione di legittimità degli atti amministrativi per cui essi si presumono conformi a legge fin quando non intervenga un altro atto che, dichiarandoli illegittimi, li annulli, esprime il potere pubblico in virtù del nesso di causalità funzionale intercorrente tra atto e rapporto amministrativo73. Ciò implica su un piano pratico che, al di fuori delle ipotesi di annullamento d’ufficio, l’onere della prova grava sempre sul privato che voglia vedere caducato il provvedimento illegittimo. Non vale a sminuire il carattere dell’esecutorietà neppure la previsione expressis verbis delle ipotesi di nullità degli atti amministrativi per difetto dei caratteri strutturali che, secondo alcuni avvicinerebbero invece l’atto amministrativo alla categoria generale dell’atto giuridico, affievolendone la natura imperativa74. 72 Si veda A.M. SANDULLI, Note sul potere amministrativo di coazione, in Riv. trim. dir. pubb., 1964, 822: “l’Amministrazione può assicurare l’osservanza coi mezzi coattivi che sono messi a sua disposizione per conseguire gli obiettivi posti a base dei doveri di diritto pubblico di cui essa è custode”. L’Autore tuttavia chiarisce che la coercizione amministrativa non si identifica né con l’esecutorietà degli atti amministrativi, né con l’esecuzione forzata amministrativa. Quest’ultima viene in rilievo solo allorquando occorre tradurre la realtà giuridica in realtà di fatto; in modo tale che gli originari obblighi di dare, facere e pati diventino un pati debere. L’esecuzione forzata presuppone cioè la trasgressione di un obbligo e costituisce la misura per garantire l’esecuzione di detto obbligo. In sostanza l’esecutorietà indica quello che Orlando definiva come “diritto di coercizione” dello Stato, volto a garantire l’adempimento degli ordine dell’autorità attraverso la “coazione fisica esterna sulla persona o sui beni deisudditi”. 73 Si veda G. SANTANIELLO, Trattato di diritto amministrativo, Padova, 2005, 21. L’Autore definisce il rapporto amministrativo una conseguenza necessitata di quella auctoritas che viene unanimemente riconosciuta nel comando giuridico contenuto nell’atto amministrativo inteso come norma speciale. L’atto assume, secondo l’Autore, la funzione di disciplina del rapporto amministrativo, disciplina autoritativa espressa dall’amministrazione mediante la scelta, variamente discrezionale, del modo in cui curare nel caso concreto il pubblico interesse. 74 In tal senso cfr. P. FORTE, Appunti in tema di nullità ed annullabilità dell’atto amministrativo, in G. CLEMENTE DI SAN LUCA, (a cura di), La nuova disciplina dell’attività amministrativa dopo la riforma 45 procedimenti autorizzatori etc), per i quali cioè la comunicazione assume valore esterno al processo di formazione dell’atto76. Le prospettazioni sono state tra le più varie ma per lo più tutte riconducibili alla considerazione della comunicazione alla stregua di una condizione sospensiva, infatti, se non si ritiene che la comunicazione sia parte integrante, segmento costitutivo, della fattispecie provvedimentale (perché smentito da più esempi), essa deve necessariamente qualificarsi come momento integrativo dell’efficacia, con conseguente assegnazione al provvedimento, anteriormente alla sua comunicazione, di una efficacia recettizia imperfetta77. 4. LA DISCREZIONALITÀ NEI DIVERSI SISTEMI GIURIDICI: ALCUNI MODELLI A CONFRONTO PER UNO SPUNTO RICOSTRUTTIVO DEL CONCETTO DIAUTORITATIVITÀ. La manifestazione più immediata del potere amministrativo è la sua espressione in forma discrezionale, che, non a caso, ha portato alcuni a ravvisare proprio in essa il tratto fondante della distinzione tra poteri amministrativi autoritativi e attività non autoritativa della p.A.78. Ciò anche in considerazione del fatto che, mentre l’imperatività caratterizza indistintamente tutti i poteri dello Stato, e dunque anche quelli legislativo e giudiziario, la discrezionalità connota unicamente l’attività amministrativa. 76 Si ricordano le autorevoli opinioni di A.M. SANDULLI, secondo cui la comunicazione è una mera operazione rispetto all’atto che ne costituisce l’oggetto, e di M.S. GIANNINI, che lo definisce alla stregua di un procedimento dichiarativo, per così dire integrativo dell’efficacia. 77 L’efficacia ex nunc e non ex tunc, come invece prevede la regola generale della retroattività della condizione di cui all’art. 1360 c.c., si spiega, nel primo caso per il fatto che essa è derogata dalla norma specifica sugli atti amministrativi limitativi della sfera privata; nel secondo caso perchè essa risulterebbe inapplicabile, trattandosi di condicio iuris e non condiciofacti. 78 Secondo P. LAZZARA, in Autorità indipendenti e discrezionalità, Padova, 2002, ciò che caratterizza il diritto amministrativo non sarebbe il “potere giuridicamente autoritativo”, bensì il concetto stessodi discrezionalità. L’Autore distingue l’attività amministrativa in: a) attività autoritativa, in cui la p.A. esercita un potere di supremazia; b) attività consensuale, in cui è equiparata ai privati nel compimento di atti negoziali; c) neutra, quando si avvicina alla funzione arbitrale propria del potere giudiziario (tripartizione che ricalca quella proposta da A. SANDULLI, in La proporzionalità dell’azione amministrativa, Padova, 1998). 46 Non a caso per lungo tempo la discrezionalità ha significato l’esistenza di uno spazio di insindacabilità all’interno dell’azione amministrativa, con evidenti conseguenze sotto il profilo della tutela giurisdizionale79. Da qui la primaria necessità della configurazione di quello che sembra essere un connotato fisiologico dell’attività amministrativa, nonché degli aspetti ad esso connessi. E’ opportuno adottare come punto di partenza il confronto tra il sistema giuridico nazionale e alcune esperienze estere, con particolare riferimento al sistema tedesco e quello austriaco.. Quanto al primo dei due, il legislatore tedesco non ha mai definito la discrezionalità, se non in negativo con riferimento ai suoi vizi80. Questo perché, quando l’Amministrazione può scegliere, il cittadino non ha il diritto di ottenere il bene cui aspira, ma solo un generico “diritto al corretto esercizio della discrezionalità”. In questi termini è evidente il rapporto tra il potere, esercitato nella forma di attività amministrativa discrezionale, e il diritto del singolo. Nel modello tedesco il fondamento del potere riservato all’amministrazione è rintracciabile nell’art. 20 del Grundgesetz tedesco che, 79 O. BACHOF, Burteilungsspielraum, Ermessen und unbestimmter Rechtsbegriff in Verwltungsrecht, in JZ, 1955. L’Autore fu il primo a parlare di “autonomo spazio di valutazione” per indicare uno spazio amministrativo decisionale sottratto al sindacato giurisdizionale. Detta costruzione ha avuto diverse ramificazioni. Ad essa pure è ascrivibile la teoria di Wolff (in J. WOLFF, O. BACHOF, R. STOBER, Verwaltungsrecht, Bd. 1, 11, Aufl., Munchen, 2000; 31) che parla di “prerogativa di valutazione” in riferimento a concetti giuridici indeterminati (tradizionalmente collocati dalla dottrina tedesca nell’ambito della fattispecie normativa, cfr. C.H. ULE, Verwaltungsprozeþrecht, Munchen, 1987, 9) con forte valenza politica - il chè avviene soprattutto nelle leggi di pianificazione o di programmazione- la cui attuazione viene per lo più demandata al governo. Al contrario della dottrina, la giurisprudenza è sempre stata incline ad affermare la piena sindacabilità dei concetti giuridici indeterminati. 80 La dottrina tedesca ha elaborato una tripartizione di tali vizi della discrezionalità, riferendo i primi due all’inosservanza dei limiti di legge e l’ultimo al mancato rispetto del vincolo del fine. I primi due attengono rispettivamente: 1) alla violazione “per difetto” dei limiti posti dal legislatore mediante un esercizio insufficiente del potere discrezionale; b)il superamento dei limiti del potere discrezionale quando l’amministrazione, violando i limiti esterni del dettato normativo, conferisce al provvedimento un contenuto diverso o ulteriore da quello previsto dalla norma, o in violazione del principio di proporzionalità. La terza categoria si concreta invece nell’uso scorretto, o peggio, nell’abuso del poterediscrezionale. 47 affermando il primato della legge, prescrive la legittimazione normativa del potere e degli atti della p.a.81 La discrezionalità amministrativa sarebbe dunque costituita dallo spazio residuo tra i principi e le barriere giuridiche che il legislatore ha volutamente introdotto82. Si badi, tale spazio, prima assai ristretto sotto il profilo del sindacato giurisdizionale, in Germania ha assunto una estensione maggiore nel corso degli anni anche in considerazione dei poteri di integrazione normativa della p.A., ossia la facoltà riconosciuta a quest’ultima di emanare prescrizioni amministrative in attuazione di disposizioni normative, non sindacabili da parte del giudice amministrativo. Non si può dimenticare che il tema della discrezionalità si lega inevitabilmente a quello del silenzio e, in misura maggiore, al tipo di sindacato ammesso nel relativogiudizio. Senza soffermarci su tale sindacato, va detto che l’ordinamento tedesco, seppur privo di un apposito rimedio avverso il silenzio opposto dalla p.A. alla istanza privata volta all’adozione di un provvedimento, prevede una sorta di “azione di adempimento”83. 81 L’art. 20, c.3, così recita: “Il potere legislativo è vincolato dall’ordine costituzionale, il potere esecutivo e giudiziario sono vincolati dalla legge e dal diritto”. Dunque sia i tribunali che la p.A. non sono tenuti a rispettare esclusivamente la disciplina positiva, ma anche i principi immanenti all’ordinamento giuridico. 82 Si è soliti dividere tra barriere interne ed esterne. Mentre tra le prime devono essere annoverati i principi generali fondamentali cui deve conformarsi l’azione amministrativa, le seconde impongono la stretta osservanza del dettato legislativo (si parla a tal proposito di pflichtgemäßes Ermessen, che evidenzai la doverosità dei pubblici poteri). Sulla sindacabilità dell’operato della p.A. da parte del giudice, si vedano già le pronunce del Tribunale costituzionae BVerfG 83, 130 del 27/11/1990 e 17/4/1991. La Corte ha distinto tra la sussunzione di un fatto sotto un concetto giuridico indeterminato, espressione di un processo interpretativo e attuativo della legge (kognitives Ermessen) e la discrezionalità (volitives Ermessen), ritenendo che sia pienamente estensibile il sindacato giurisdizionale, anche nella seconda ipotesi, in presenza di interessi particolarmente rilevanti. La teoria della discrezionalità amministrativa è stata rivalutata agli inizi degli anni 70 con la cd. teoria dell’essenzialità, secondo cui solo le decisioni fondamentali per la società civile andavano lasciate alla disciplina legislativa. Nell’ordinamento tedesco sussiste anche una forma peculiare di discrezionalità, cd “pianificatoria”, che si caratterizza quantitativamente per la minore incisività dei vincoli normativi e, qualitativamente, per il perseguimento di obiettivi implicanti un particolare sforzo di creatività da parte dell’amministrazione e il contemperamento di numerosi interessi variegati. In tal caso oggetto del sindacato giurisdizionale è la giustificazione dell’attività pianificatoria (una importante componente del sindacato è pertanto l’analisi prognostica dell’attivitàamministrativa). 83 Cd. Verpflichtungsklage. Essa nasce dall’azione di annullamento e, solo successivamente al secondoconflittomondiale,haassuntounapropriafisionomia.Dettaazioneèstataconcepitaper 50 Sezione II LE CONNOTAZIONI DEL POTERE PUBBLICO. SOMMARIO: 1. Provvedimento amministrativo: espressione del momento autoritativo della funzione pubblica? 2. Effetti dell’imperatività del provvedimento: degradazione dei diritti, esecutività e inoppugnabilità. Alcune riflessioni. 1. PROVVEDIMENTO AMMINISTRATIVO: ESPRESSIONE DEL MOMENTO AUTORITATIVO DELLA FUNZIONEPUBBLICA? Nel delineare la natura e i caratteri del provvedimento amministrativo, occorre però domandarsi se ogni provvedimento gode della autoritarietà delineata oppure se, vuoi per la natura vincolata, vuoi per la veste privatistica, ve ne siano alcuni che esulano dal novero degli atti cd autoritativi. Per quanto riguarda la forma degli atti occorre una breve premessa. Si pensi alla d.i.a., strumento di semplificazione dell’azione amministrativa ormai diffusissimo, da alcuni classificato come atto pubblico, da altri come atto privato in virtù della forma sostitutiva degli atti di autorizzazione, licenza, permesso o nulla osta, nonché dalla preferenza assegnata proprio alla dichiarazione resa dell’interessato qualora il rilascio dipenda esclusivamente dall’accertamento dei requisiti e della sussistenza dei presupposti di legge (o di atti amministrativi)88. Presentata tale dichiarazione e decorsi trenta giorni senza alcun intervento in opposizione dell’amministrazione, detta attività si considera 88 Sulla d.i.a. come atto privato, si veda tra le più recenti T.A.R. Lombardia, Milano, II, 14.04.07 n. 1775, in www.giustizia-amministrativa.it. In dottrina si vedano, M. FILIPPI, La nuova d.i.a. e gli incerti confini con il silenzio-assenso, www.giustamm.it, 6, 2005; M.A. SANDULLI, Denuncia di inizio attività, inRiv.Giur.edil.,2004,3;G.LAVITOLA,Denunciadiinizioattività,Padova,2003;AAVV.,acuradi V. ITALIA e A. ROMANO, La denuncia di inizio attività edilizia nel Testo Unico sull’edilizia, in Enti locali, Milano, 2003; . LAIS, Il permesso di costruire e la denuncia di inizio attività nel nuovo testo unico dell’edilizia (D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380), in www.giustamm.it; F. LIGUORI, Note su diritto privato, atti non autoritativi e nuova denuncia di inizio dell’attività, in www.giustamm.it ; S. SCARLATELLI, Autorizzazione edilizia e denuncia di inizio attività in una prospettiva evolutiva, www.giustamm.it; V. CERULLI IRELLI, Note critiche in tema di attività amministrativa secondo moduli negoziali, in Dir. amm., 2, 2003. Per opportuni approfondimenti sul punto, si rinvia, infra, capitolo secondo, §3.a). 51 assentita, salvo comunque il potere dell’amministrazione competente di assumere, in ogni tempo, determinazioni in via di autotutela89. Questa clausola di salvezza sembra voler raffigurare l’istituto della denuncia di inizio attività quale mero strumento di semplificazione e non piuttosto quale mezzo per sottrarre all’amministrazione le attività che le sono proprie, la cui permanenza è fatta salva in primo luogo tramite il controllo in ordine alla sussistenza dei presupposti e, in seconda istanza, attraverso un potere (il cui esercizio è caratterizzato dall’illimitatezza temporale) di revisione. Ancora, si pensi al sistema di certificazione di qualità. L’istituzione di società organismi di attestazione (S.O.A.) e la dilagante operatività del sistema di certificazioni di qualità, attraverso le quali le imprese operanti in settori peculiari vengono certificate da organismi formalmente privati cui è stato conferito il potere di rilasciare attestazioni, è sicuramente improntato alla medesima ratio semplificativa cui sono state rivolte tutte le più recenti riforme del sistema amministrativo90. 89 Art. 19, l. 7 agosto 1990, n. 241. 90 Sul nuovo volto della p.A., si vedano, fra i tanti, AA.VV. , a cura di F. CARINGELLA, D. DE CAROLIS, G. DE MARZO, Le nuove regole dell’azione amministrativa dopo le leggi n. 15/2005 e n. 80/2005, Milano, 2005; E. BRUTI LIBERATI, Consenso e funzione nei contratti di diritto pubblico tra amministrazioni e privati, Milano, 1996; P. CARPENTIERI, Autorità e consenso nell’azione amministrativa, in www.giustamm.it; V. CERULLI IRELLI, Brevi considerazioni sugli effetti della nuova disciplina sull’azione amministrativa in ambito processuale, www.astrid-online.it, 13, 2005; ID., Note critiche in tema di attività amministrativa secondo moduli negoziali, in Dir. amm., 2, 2003; ID., Pubblico e privato nell’organizzazione amministrativa”, in S. RAIMONDI, R. URSI (a cura di), Fondazioni e attività amministrativa, Torino, 2006; ID, Verso un più compiuto assetto della disciplina generale dell’azione amministrativa. Un primo commento alla legge 7 agosto 1990, n. 241, www.astrid-online.it, 4, 2005; S. CIVITARESE MATTEUCCI, Contributo allo studio del principio contrattuale nell’attività amministrativa, Torino, 1997; CLEMENTE DI SAN LUCA, La persistente rilevanza del ruolo dell’interesse pubblico dopo la l. 15/2005 e la sua effettiva consistenza, in G. CLEMENTE DI SAN LUCA (a cura di), La nuova disciplina dell’attività amministrativa dopo la riforma della legge sul procedimento, Torino, 2005; G. DE MARZO, Attività consensuale e attività autoritativa della P.A., www.dottrinaediritto.ipsoa.it, 4, 2005; U. DI BENEDETTO, Attività non autoritativa della P.A.: quali regole, quali finalità, quali tutele?, Relazione al Convegno di Sperlonga 21-22 ottobre 2005, in G.CLEMENTE DI SAN LUCA (a cura di), La nuova disciplina dell’attività amministrativa dopo la riforma della legge sul procedimento”, Torino, 2005; M. DUGATO, Atipicità e funzionalizzazione nell’attivitàamministrativapercontratti,Milano,1996;V.ITALIA,Legge11febbraio2005,n.15, «modifiche ed integrazioni della legge 7 agosto 1990 n. 241, concernenti norme generali sull’azione amministrativa», in A.A.V.V., L’azione amministrativa. Commento alla legge 7 agosto 1990 n. 241, modificata dalla l. 2005, n. 15 e dal d.l. 14 marzo 2005, n. 35, Milano, 2005; F. MANGANARO, Principio di legalità e semplificazione dell’attività amministrativa, edizione scientifiche italiane, Napoli, 2000; F. MASTRAGOSTINO, La riforma del procedimento amministrativo e i contratti della della p.A. (Considerazioni sull’art. 1, comma 1 bis della legge 241/1990 e ss.mm.), in 52 Anche in tal caso ciò che rileva è la progressiva procedimentalizzazione finalizzata al conseguimento degli obiettivi prefissati in sede di pianificazione delle risorse. Tale procedimentalizzazione interessa i soggetti privati, designati però dalla stessa Amministrazione a perseguire fini pubblici, ed è in quest’ottica che ad essi vengono attribuite potestà di natura spiccatamente pubblicistica quali l’attività dicertificazione. Altro problema è poi quello che attiene alle forme di esercizio del potere – questa volta sotto un profilo oggettivo - ovvero all’esercizio del potere vincolato, nel qual caso taluni hanno ritenuto di escludere la possibilità di configurare un atto di autorità sul presupposto per cui sarebbe la stessa legge ad imporsi e non la p.A., relegata a coprire un ruolo meramente esecutivo della voluntaslegis91. In realtà sembra esserci un equivoco di fondo. Deve anzitutto considerarsi che, al di là della “misura di discrezionalità consentita”, la p.A. esercita la propria azione, sia sub specie di attività vincolata chediscrezionale. Peraltro, se si considera come autoritativo un atto che incide sulla sfera giuridica altrui92, prescindendo dal consenso del titolare della situazione giuridica incisa, indubbiamente anche gli atti vincolati sembrano poter essere annoverati tra gli attiautoritativi. La particolare forza dell’atto deriva dal fine cui esse è preordinato, oltre che dalla fonte di attribuzione del potere (ovvero la legge sia per gli atti discrezionali che per quelli vincolati). Tanto il provvedimento vincolato quanto quello discrezionale sono infatti in grado di esplicare l’efficacia propria dei provvedimenti amministrativi. www.lexitalia.it; A. MASUCCI, Trasformazione dell’attività amministrativa e moduli convenzionali: il contratto di diritto pubblico, Napoli, 1988; P. CHIRULLI, Autonomia pubblica e diritto privato nell’amministrazione. Dalla specialità del soggetto alla rilevanza della funzione, Padova, 2005. 91 Per un opportuno approfondimento si rinvia, infra, capitolo secondo, § 1. 92 Si ricorda a tal proposito, A.M.SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, cit., 613, che riferisce l’attributo dell’autoritarietà “prima di tutto alla possibilità di produrre unilateralmente nella sfera giuridica di altri soggetti le modificazioni giuridiche previste dalle proprie statuizioni”. 55 Non aiuta certo la previsione secondo cui la giurisdizione esclusiva, caratterizzata dall’esercizio di una attività autoritativa, sarebbe terreno di incontro tra le diverse posizioni giuridiche soggettive. Non è neppure indicativa la possibilità in concreto che la posizione giuridica del privato in alcune ipotesi si collochi per così dire a metà strada tra il diritto soggettivo e l’interesselegittimo. Ed invero, in tema di sovvenzioni da parte della p.A., la posizione del privato nella fase successiva all’emanazione del provvedimento attributivo del beneficio può assumere una diversa configurazione: di interesse legittimo nel raffronto con il potere amministrativo di ritirare in via di autotutela il provvedimento attributivo del beneficio per i suoi vizi di legittimità ovvero per il suo contrasto con il pubblico interesse; di diritto soggettivo sia nei riguardi della concreta erogazione del beneficio, sia della susseguente conservazione della disponibilità della somma percepita di fronte alla contraria posizione assunta dalla p.A. con provvedimenti di revoca, decadenza etc., adottati in funzione dell’asserita inosservanza., da parte del beneficiario, della disciplina che regola ilrapporto97. Si pensi agli effetti degli atti amministrativi illegittimi. C’è da chiedersi se l’effetto “degradante” esplicato dall’esercizio del potere pubblico sulla sfera privata non faccia venire in rilievo come meri comportamenti gli effetti che si sono medio tempore prodotti in esecuzione di atti espressione di una posizione di autorità e cadutati per effetto di una pronuncia giudiziale di annullamento. In particolare occorre domandarsi quale sia la posizione giuridica che si configura dinanzi a tale situazione o a fronte dell’attività vincolata della p.A. E’ evidente che la risposta ad un simile quesito consente di indirizzare i mezzi di tutela apprestati dall’ordinamento e dunque di delineare i poteri cognitori che caratterizzano le varie tipologie di giudizio. 97 Tar Sardegna, 21 novembre 2006, n. 2415; Cons. Stato, sez. IV, 30 giugno 2005, n. 3446; Cons. Stato, sez. IV, 1 aprile 2002, n. 19891; Cons. Stato, sez. V, 27 marzo 2000, n. 1765; Tar Sardegna, 1 febbraio 2002, n. 98; Cass., SU, 12 febbraio 1999, n. 57. 56 Se si ha riguardo ai caratteri dell’esecutività e dell’inoppugnabilità, che come si è detto concorrono a delineare i provvedimenti amministrativi, sembra che si debba necessariamente rifluire sempre e comunque nella sfera degli interessilegittimi. Ciò tuttavia è escluso sia in ordine a quanto detto in merito all’attività vincolata, sia in virtù dell’esistenza della giurisdizione esclusiva, cui è connaturata proprio la presenza di diritti. Ancor più dopo la celebre sentenza 204, la giurisdizione esclusiva è diventata il terreno di incontro tra diritti soggettivi e potere pubblico. 57 CAPITOLO SECONDO ATTIVITÀ AUTORITATIVA E ATTIVITÀ ESECUTIVA DELLAP.A. SOMMARIO: 1. Possibile criterio di distinzione: atti amministrativi discrezionali eattivincolati.Critica.2.Gliattiparitetici.3.Attivitàamministrativa“di confine”: esemplificazioni. 3. a) La d.i.a. 3. b) Gli accordi. 3. c) I comportamenti e i “quasi-comportamenti” della p.A. Rinvio. 3)c) (segue):Ilsilenziosignificativo:unadelleformedieserciziodellapotestà pubblica? 4. Gli atti a contenuto favorevole. 5. Gli atti adautoritatività c.d. «attenuata».Rinvio. 1. POSSIBILECRITERIODIDISTINZIONE:ATTIAMMINISTRATIVI DISCREZIONALI E ATTI VINCOLATI.CRITICA. Il primo ostacolo da affrontare nella ricostruzione del concetto di potestà pubblica, nonché dei suoi limiti, è quello relativo alla possibilità di individuare il discrimine tra il potere autoritativo e il potere che tale non è, nel carattere discrezionale o vincolato del provvedimento amministrativo. Ciò porterebbe indubbiamente dei vantaggi sotto il profilo ricostruttivo perché creerebbe uno spartiacque sufficientemente certo e senza dubbio agevole nell’ambito dell’attività amministrativa. Se si ritiene che il potere pubblico si caratterizzi per la definizione discrezionale del proprio contenuto, la categoria degli atti vincolati, in quanto finalizzata a dare attuazione a disposizioni legislative già definite nei contenuti, esula dall’ambito di indagine dei provvedimenti autoritativi98. 98 Si veda sul punto F. LIGUORI, L’attività non autoritativa tra diritto privato e diritto pubblico. A proposito del comma 1 bis, cit, 20 ss. L’Autore, interpretando il testo dell’art. 11 come una equazione fra l’oggetto pubblico e la discrezionalità amministrativa, riconduce al novero degli atti autoritativi tutti quegli atti che contengono scelte relative all’assetto di interessi pubblici, ovvero ogni scelta discrezionale (“salvo che la legge non disponga diversamente attribuendo a fattispecie vincolate carattere provvedimentale riservato”). Si veda anche L. IANNOTTA, L’adozione di atti autoritativi secondo il diritto privato, in (a cura di) G. CLEMENTE DI SAN LUCA, La nuova disciplina dell’attività amministrativa dopo la riforma della legge sul procedimento”, Torino, 2005, secondo cui l’autorità (daauctoritas)emergedallacorrispondenzaallaradiceaugeo(aumentareaggiungere),pertantodeve 60 Ciò rileva ai fini della tutela, tanto più se si pensa che spesso nei contrasti su determinazioni paritetiche trovano la propria fonte pretese di tipo patrimoniale. Si veda la recente vicenda relativa alla revoca di contributi erogati ex d.l. 22 ottobre 1992, n. 415, convertito con l. n. 488 del 1992, per fatto imputabile al beneficiario, che riconosce la giurisdizione del giudice ordinario, a prescindere dall’accertamento se detti finanziamenti erano stati concessi in via provvisoria odefinitiva103. Tale orientamento conferma il principio secondo cui “il destinatario di finanziamenti o sovvenzioni pubbliche vanta, nei confronti dell’Autorità concedente, una posizione tanto di interesse legittimo (rispetto al potere dell’Amministrazione di agire in via di autotutela, annullando i provvedimenti di attribuzione di benefici per vizi di legittimità, quale ad esempio la mancanza di un requisito necessario per ottenere il finanziamento, ovvero revocandoli per contrasto originario con l’interesse pubblico) quanto di diritto soggettivo (relativamente alla concreta erogazione delle somme di denaro oggetto del finanziamento e alla conservazione degli importi a tale titolo già riscossi o da riscuotere), con la conseguenza che il giudice ordinario è competente a conoscere le controversie instaurate per ottenere gli importi dovuti o per contrastare l’Amministrazione che, servendosi degli istituti della revoca, della decadenza o della risoluzione, abbia ritirato il finanziamento o la sovvenzione definitivamente concessi, adducendo l’inadempimento da parte del beneficiario, degli obblighi imposti dalla legge o dagli atti concessivi del contributo”104. 103 TAR Lazio, Roma, sez. III ter, 29 gennaio 2008, n. 645. 104 C.Cass.,SU,8gennaio2007,n.117;Id.,12febbraio1999,n.57;Id.,7luglio1988,n.4480;Id., 28maggio1986,n.3600;Cons.St.,Sez.VI,22novembre2004,n.7659;Id.,sez.IV,15novembre 2004, n. 7384; Id. 1 aprile 2004, n. 1822; Id., sez. VI, 3 novembre 2003, n. 6826; Id., 20 giugno,2003, n. 7659; Id., 9 maggio 2002, n. 2539. Nel caso citato il giudice non ha ritenuto rilevante la distinzione tra il caso in cui il contributo revocato sia stato erogato in via provvisoria (ipotesi in cui si riconosceva in capo al beneficiario un interesse legittimo alla sua conservazione e, quindi, la giurisdizione del giudice amministrativo a risolvere la relativa controversia e quello in cui il contributo sia stato corrisposto in via definitiva, nel qual caso il beneficiario era ritenuto titolare di un vero e proprio diritto soggettivo tutelabile innanzi al giudice ordinario. 61 Ancora, si pensi alla ricostruzione economica delle carriere dei pubblici dipendenti; essa si fonda su un riscontro meramente fattuale volto alla verifica della corrispondenza di dati che l’Amministrazione acquisisce dall’esterno. Il tema delle sovvenzioni rileva peraltro sotto il profilo della loro eventuale revoca, nonché delle posizioni soggettive che possono configurarsi a fronte diessa. Una recente sentenza del T.A.R. Puglia, avente ad oggetto una controversia su sovvenzioni e contributi, e sulla revoca dei medesimi, erogati dalla p.A. in favore delle imprese produttive – sovvenzioni per l’imprenditoria femminile-, ha affermato che il potere di ritiro della sovvenzione concessa, riconosciuto in capo alla p.A. per l’ipotesi di inadempimento o inosservanza degli obblighi assunti dal beneficiario, non può essere configurato alla stregua di un potere di diritto privato speciale, ma deve essere qualificato come una potestà pubblicistica di carattere sanzionatorio-ripristinatorio rientrante nell’ampio concetto di autotutela, conferita alla p.A. nel prevalente interesse pubblico, finalizzata a tutelare il medesimo interesse di settore istituzionalmente curato con i provvedimenti di erogazione delle risorse finanziariepubbliche105. La vicenda traeva origine dall’impugnazione di una delibera dell’Assessorato allo sviluppo economico con la quale erano state revocate le agevolazioni finanziarie concesse a una impresa tramite l’erogazione (provvisoria) di un contributo in conto capitale. In tale circostanza il T.A.R. non solo ha qualificato come potestà pubblicistica (sia pure vincolata) il potere di ritiro di cui dispone la p.A. in caso di inosservanza degli obblighi assunti, ma ha altresì affermato la giurisdizione del giudice amministrativo sulla controversia inoggetto, «nonostante l’esistenza di un acclarato orientamento giurisprudenziale che riconduce le controversie relative alla fase procedurale dell’ammissione alle sovvenzioni/finanziamenti in favore di un soggetto privato da parte dellap.A. 105 T.A.R. Puglia, Lecce, sez. I, 6 marzo 2007, n. 798. 62 alla cognizione del g.a. e quelle concernenti i provvedimenti di revoca, risoluzione e decadenza inerenti al beneficio concesso al g.o., trattandosi di situazioni connesse a una posizione di vero e proprio diritto soggettivo alla conservazione delle somme erogate». Il T.A.R. ha ritenuto, in altra circostanza, che si verte nell’ipotesi di attività paritetica, con conseguente giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo, qualora la controversia investe la revisione dei prezzi in un contratto di durata106. La vicenda aveva ad oggetto un contratto d’appalto per lavori di manutenzione dell’impianto di pubblica illuminazione, impugnato dal ricorrente per il riconoscimento del diritto alla revisione del canone in base agli indici Istat e per l’aumento del prezzo originariamente pattuito in misura proporzionale all’incremento dei punti luce. Il ricorso conteneva perciò due distinte domande: l’una riconducibile all’emanazione di un atto paritetico della p.A. e l’altra (aumento del corrispettivo per l’ampliamento del numero dei punti luce) riferibile a posizioni paritetiche negoziali, che come tale esulano dalla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo perché la cognizione si riferisce a posizioni aventi natura e consistenza di diritto soggettivo, perciò demandate all’autorità giudiziaria ordinaria. Per ciò che attiene alla domanda di incremento su base Istat del canone originariamente convenuto, il ricorrente invocava, nel silenzio del contratto sul punto, la previsione di cui all’art. 6, comma 4, della legge 24 dicembre 1993, n. 537 (e s.m.), in virtù del quale “tutti i contratti ad esecuzione periodica o continuativa debbono recare una clausola di revisione periodica del prezzo. La revisione viene operata sulla base di una istruttoria condotta dai dirigenti responsabili della acquisizione di beni e servizi sulla base dei dati di cui al comma 6”, che si riferisce alla previsione degli indici Istat quale strumento offerto alle Amministrazioni per l’individuazione del miglio prezzo dimercato. 106 T.A.R. Campania, Sez. I, 18 aprile 2007, n. 4075, in www.giustizia-amministrativa.it. 65 In caso contrario la cognizione in ordine a un’eventuale controversia sarebbe preclusa di fatto al giudice amministrativo. Anche dalle forme di tutela apprestate al terzo possono desumersi alcune indicazioni sulla natura della denuncia di inizio attività111. E’ pur vero che la denuncia non è autonomamente impugnabile ma il terzo controinteressato, leso dall’intervento, può agire in caso di inerzia dell’Amministrazione sollecitata all’esercizio dei poteri inibitori, repressivi e ripristinatori che detiene, avverso il silenzio dalla stessa serbato112. 111 Contro la configurazione della d.i.a. come provvedimento amministrativo (in senso sostanziale), si veda Cons. Stato, sez. VI, 4 settembre 2002, n. 4453, in www.giustizia-amministrativa.it; T.A.R. Liguria, sentenza 22 gennaio 2003, n. 113, ivi,; T.A.R. Abruzzo, sez. Pescara, sentenza 23 gennaio 2003, n. 197, ivi. In giurisprudenza si distinguono tre orientamenti: a) secondo un primo orientamento la d.i.a. costituisce un atto soggettivamente e oggettivamente privato che, in presenza di determinate condizioni e all’esito di una fattispecie a formazione complessa, attribuisce al privato una legittimazione ex lege allo svolgimento di una determinata attività, che sarebbe così liberalizzata; secondo questo primo orientamento, pertanto, colui che si oppone all’intervento autorizzato tramite d.i.a., una volta decorso il termine senza l’esercizio del potere inibitorio, e nella persistenza del generale potere repressivo degli abusi edilizi, sarebbe legittimato a chiedere al Comune di porre in essere i provvedimenti sanzionatori previsti, facendo ricorso, in caso di inerzia, alla procedura del silenzio-rifiuto (Cons. St., sez. IV, 22 luglio 2205, n. 3916); b) secondo un’altra tesi la d.i.a. si tradurrebbe direttamente nell’autorizzazione implicita all’effettuazione dell’attività in virtù di una valutazione legale tipica, con la conseguenza che i terzi potrebbero agire innanzi al giudice per chiedere l’adempimento delle prestazioni che la p.A. avrebbe omesso di svolgere (TAR Lombardia, Brescia, 1 giugno 2001, n. 397) o l’annullamento della determinazione formatasi in forma tacita (Cons. St., VI, 10 giugno 2003, n. 3265; Id., 20 gennaio 2003, n. 172) o comunque per contestare la realizzabilità dell’intervento (Cons. St., VI, 16 marzo 2005 n. 1093); c) secondo un ulteriore indirizzo, il terzo sarebbe legittimato (entro il termine di decadenza) all’instaurazione di un giudizio di cognizione, tendente ad ottenere l’accertamento della insussistenza dei requisiti e dei presupposti previsti dalla legge per il legittimo inizio dei lavori a seguito di d.i.a. (TAR Liguria, sez. I, 22 gennaio 2003 n.113).. 112 A favore della qualificazione alla stregua di un atto privato, non impugnabile dinanzi al giudice amministrativo, in cui la tutela del terzo passa attraverso il rito speciale disciplinato dall’art. 21 bis della legge 1034/1971 in ragione del fatto che la norma sulla d.i.a. non prende in considerazione la posizione del terzo per qualificarla in senso legittimante, si veda T.A.R. Lazio, Latina, 73/2007, in www.giustizia-amministrativa.it. Il Collegio ritiene di dover seguire la tesi sviluppata dal T.A.R. Abruzzo, Pescara, con decisione 1 settembre 2005, n. 494, che qualifica la d.i.a. come atto abilitativi tacito. A favore di tale prospettazione, il Collegio adduce i seguenti argomenti. Un primo elemento viene desunto dagli artt. 38, comma 2 bis e 39, comma 5 bis, del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380, sconfessando in tal modo l’opposto orientamento per cui non potrebbe assegnarsi rilevanza decisiva a tali disposizioni poiché riguardano le ipotesi di d.i.a. cosiddetta alternativa al permesso di costruire. La novella del 2005 valorizza il principio di legalità e di autoresponsabilità, fissa il carattere sostitutivo della d.i.a. rispetto al provvedimento, aggiunge al potere inibitorio quello di autotutela e individua come ambito naturale di cognizione delle relative controversie la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. E’ evidente che di per sé il solo meccanismo sostitutivo non è sufficiente a configurare l’istituto esclusivamente in chiave privatistica. Posto quindi che può convenirsi con una ricostruzione in termini di legittimazione ex lege, sul piano della produzione degli effetti rilevano anche le vicende ubblicisticamente connotate e connesse al potere inibitorio e di autotutela. L’iniziativa insita nella d.i.a. perciò non sostituisce da sola il provvedimento, concorrendo ad un tale effetto anche le vicende connesse al potere inibitorio.Si veda anche M.A. SANDULLI, op. cit. 66 La situazione in cui si trova il dichiarante è stata variamente argomentata in chiave di interesse legittimo pretensivo, sino a decorrenza del termine decadenziale assegnato all’Amministrazione per l’esercizio del potere inibitorio (viceversa si sarebbe potuto configurare alla stregua di un diritto sospensivamente o risolutivamente condizionato all’intervento della p.A., rispettivamente nel termine di trenta giorni ovvero a decorrenza di esso)113. La d.i.a. è certamente uno strumento di semplificazione dell’azione amministrativa; si pensi al largo utilizzo che ne è stato fatto ad esempio in materia edilizia alternativamente al permesso di costruire, per interventi di nuova costruzione, inseriti in piani attuativi o di diretta esecuzione di strumenti urbanistici generali etc, con facoltà delle Regioni di ampliare ulteriormente o ridurre l’ambito degli interventi sottoposti alla d.i.a. piuttosto che in termini di istanza oggettivamente privata. Essa costituisce una dichiarazione di intenti; un atto con cui il privato rende noto alla p.A. che intende eseguire l’intervento denunciato. A questo punto, se si trattasse di un atto negoziale, dovrebbe ipotizzarsi un unico possibile risvolto: la p.A. potrebbe decidere di aderire, anche tacitamente per decorso del termine. Ma ciò non spiegherebbe la possibilità di un intervento postumo, sia in ragione della necessaria certezza dei rapporti giuridici, sia in virtù della presunta parità delle parti, per cui non vi può essere un intervento unilaterale in un arco temporale non definito, volto a modificare la situazione giuridica della parte che ad essa sioppone. 113 Per una riflessione sui due opposti orientamenti si vedano, a titolo indicativo, Cons. Stato, sez. V, 22 luglio 2005, n. 3916, in www.giustizia-amministrativa.it e Cons. Stato, sez. V, 22 febbraio 2007, n. 948, in www.lexitalia.it. Con la prima il Collegio ha sostenuto l’impossibilità che la d.i.a. diventasse atto amministrativo, escludendo pertanto l’impugnabilità tanto della d.i.a. quanto degli effetti da essa prodotti, nonché affermando l’inammissibilità di un ricorso avverso il silenzio serbato dall’Amministrazione. Nell’arco temporale in cui è data alla p.A. la possibilità di far leva sui propri potere inibitori, il terzo non dispone di alcuna posizione legittimante; in seguito invece egli, in quanto titolare di un interesse legittimo, potrà attivare l’esercizio di misure repressive mettendo in mora la p.A. Con la seconda pronuncia indicata, il Consiglio di Stato afferma a chiare lettere che l’unico rimedio esperibile da parte del soggetto che si ritenga eso da una denuncia di inizio attività nei riguardi della quale l’Amministrazione non abbia esercitato alcuna potestà repressiva, consiste nel rivolgere una formale istanza all’Amministrazione e nell’impugnare l’eventuale silenzio-rifiuto su di essa formatosi. Il Collegio ritiene che, nei rapporti tra denunciante e amministrazione, la denuncia di inizio attività assuma la veste di atto di parte che, pur in assenza di un quadro normativo di vera e propria liberalizzazione dell’attività, consente al privato di intraprendere una attività in correlazione all’inutile decorso di untermine. 67 Esso sembra perciò configurare piuttosto un titolo sostitutivo a contenuto vincolato, formatosi in assenza di un potere esplicito dell’Amministrazione, il cui intervento è tuttavia reso possibile, seppur successivamente e solo eventualmente, tramite l’esercizio dei poteri a contenuto oppositivo. Ancora qualche considerazione. E’ prevista la possibilità che l’Amministrazione agisca in autotutela; ebbene, senza voler sindacare la scelta del rinvio agli art. 21 quinquies e 21 nonies, si conferisce ad essa la possibilità di esercitare, senza limiti di tempo, i propri poterirepressivi. Inoltre il nuovo testo dell’art. 19, l. 241/1990, attribuisce alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie concernenti l’oggetto, la procedura e gli effetti della d.i.a. Una lettura congiunta della citata disposizione e della celebre sentenza della Corte Cost. n. 204/04 porta a concludere che la dichiarazione di inizio attività (come del resto gli accordi, di cui si dirà) è ricollegabile, seppur in via mediata, all’esercizio della potestà amministrativa. Si noti peraltro che nel caso di d.i.a. edilizia, l’art. 22 del TU114, al comma 7 dispone che «è comunque salva la facoltà dell’interessato di chiedere il rilascio di permesso di costruire per la realizzazione degli interventi di cui ai commi 1 e 2, senza obbligo del pagamento del contributo di costruzione(…)». Tale articolo, in ossequio al dibattuto diritto al provvedimento, stabilisce l’alternatività in materia di d.i.a. edilizia; cioè la facoltà per il privato di rinunciare alla d.i.a. “pretendendo” il rilascio di un titolo tradizionale115. Altra questione è poi quella relativa all’accertamento del fatto complesso; laddove cioè la p.A. esercita nella verifica dei presuppostiil 114 D.P.R. 6 giugno 2001, n. 380. Sul punto si veda M. FILIPPI, La nuova d.i.a, cit, 1323 e M.A. SANDULLI, op. cit, Id, Testo Unico dell’edilizia, (D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 modificato con D.lg. 27 dicembre 2002 n. 31), Milano, 2004. 115 Sul punto si veda M. FILIPPI, La nuova d.i.a, cit, 1323 e M.A. SANDULLI, op. cit, Id, Testo Unico dell’edilizia, (D.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 modificato con D.lg. 27 dicembre 2002 n. 31), Milano, 2004. . 70 Deve peraltro accennarsi alla possibilità, prospettata da alcuni Autori, di ricondurre la d.i.a. al novero degli atti cd. ad autoritatività attenuata (o autoritatività eventuale), di cui si darà conto nel seguito del presente lavoro, e cioè di tutti quei fenomeni accomunati da una “graduazione dell’imperatività” per concorrenza del potere privato119. 3. b) GLIACCORDI. Il rapporto che intercorre tra la formula consensuale e il potere non è sempre ascrivibile a una relazione di contrapposizione, ed invero spesso coinvolge atti posti all’estremo confine dell’esercizio di una potestà pubblica, di cui ne assorbono pur tuttavia il contenuto. Il presupposto dell’indagine è evidentemente la natura “pubblica” dell’accordo de quo. A conferma si pensi alla posizione giuridica fondata da detti accordi, alla configurabilità di un diritto soggettivo alla adozione del provvedimento conforme al contenuto dell’accordo integrativo, alla possibilità per la p.A. di raggiungere il medesimo scopo per via provvedimentale, ai presupposti per la stipula di detti accordi, alla natura dei relativi vizi e, infine, alla disciplina giuridica del recesso. Tramite il contenuto dell’accordo il privato, per così dire, “dispone” del potere pubblico, partecipando al suo esercizio120. 119 Sul puntosi vedano G. PERICU, Le sovvenzioni come strumento di azione amministrativa, Milano, 1967, I; V. SPEGNUOLO VIGORITA, Problemi giuridici dell’ausilio finanziario pubblico a privati, Napoli, 1964; ora in Opere giuridiche, Napoli, 2001; F. LIGUORI, cit. 120 Sulla possibilità di ricorrere agli accordi anche nel caso di procedimenti finalizzati all’adozione di provvedimenti di natura sostanzialmente vincolata (nel caso di specie, autorizzazioni inmateria edilizia), si veda Cons. Stato, sez. IV, 10 dicembre 2007, n. 6344, in www.lexitalia.it. Con tale decisione, il Collegio ha sottolineato la sussistenza, anche nell’attività vincolata, di fasi in cui l’Amministrazione deve esercitare poteri chiaramente discrezionali, quanto meno sotto il profilo tecnico, attinenti al quantum, al quomodo e al quando degli adempimenti da eseguire; anche in tali ipotesi quindi risulterebbe pienamente configurabile la stipulazione di un apposito accordo procedimentale ai sensi dell’art. 11 della legge 241 del 1990, costituendo l’accordo uno strumento di semplificazione, idoneo a far conseguire a tutte le parti una utilità ulteriore rispetto a quella che sarebbe consentita dal provvedimento finale. Peraltro la formazione di un accordo sostitutivo del provvedimento non preclude all’Amministrazione il successivo esercizio di poteri autoritativi, per ragioni di pubblico interesse, essendo peraltro espressamente prevista anche la possibilità per l’Amministrazione di recedere unilateralmente per motivi di pubblico interesse e salva la corresponsione di un indennizzo. In dottrina, sulla capacità di disciplinare fenomeni giuridici nuovi e sulfavoreriscontratoingiurisprudenza comecategoriageneraleidoneaa ricomprendereistituti 71 Al contrario, sulla natura del potere esercitato dall’Amministrazione con la stipula degli accordi, ovvero se si tratti di esercizio del potere amministrativo discrezionale o piuttosto di esercizio bilaterale del potere di autonomia privata ex art. 1322 c.c., trovano spazio alcune riflessioni121. giuridici preesistenti, fornendo un fondamento razionale e sistematico, oltre che una più chiara e compiuta disciplina, si veda S. PENSABENE LIONTI, Gli accordi con la pubblica amministrazione nell’esperienza del diritto vivente, Torino, 2007, 14. La disciplina degli accordi è stata vista come il primo riconoscimento normativo del contratto di diritto pubblico, categoria che da tempo è oggetto di dibattito dottrinale (si vedano E. GUICCIARDI, Le transazioni degli enti pubblici, in Arch, dir. pubb., 1936; M. GALLO, I rapporti contrattuali nel diritto amministrativo, Padova, 1936; G. ZANOBINI, Diritto amministrativo, II, Milano, 1988; M.S. GIANNINI, Il pubblico potere, Bologna, 1984; A. AMORTH, Scritti giuridici, Milano, 1999; V. GULLO, Provvedimento e contratto nelle concessioni amministrative, Padova, 1965; G. FALCON, Le convenzioni pubblicistiche, Milano, 1984; E. STICCHI DAMIANI, Attività amministrativa consensuale e accordi di programma, Milano, 1992; R. FERRARA, Intese, convenzioni e accordi amministrativi, in Dig. Disc. Pubbl., Torino, 1993; M. D’ALBERTI, Le concessioni amministrative, Napoli, 1981; G. FALCON, Convenzioni e accordi amministrativi, in Enc. Giur., Milano, 1988). Deve tuttavia ricordarsi che, in più occasioni, la Corte di Giustizia ha posto significativi limiti all’attività consensuale o negoziale dei pubblici poteri, rimarcando l’infungibilità dello strumento pubblicistico, tanto a garanzia di diritti sociali che della dimensione della libertà d’impresa che è data dalla possibilità di competere concorrenzialmente sul mercato. Si veda a tal proposito C.G.C.E., sez. VI, sentenza 12 luglio 2001, in causa C-399/98, in Corr. Giur., 2002, 176. Tale decisione ha stabilito che i principi di diritto comunitario ostano alla normativa nazionale in materia urbanistica che, al di fuori delle procedure previste dalla direttiva appalti, consenta al titolare di una concessione edilizia o di un piano di lottizzazione approvato, la realizzazione diretta di un’opera di urbanizzazione a scomputo totale o parziale del contributo dovuto per il rilascio della concessione, quando il valore superi la soglia comunitaria. Sul punto e, in particolare, sulla non equipollenza tra accordi e provvedimenti amministrativi, si veda G. TULUMELLO, Il nuovo regime di atipicità degli accordi sostitutivi: forma di Stato e limiti all’amministrazione per accordi, in www.giustamm.it. 121 Tra gli Autori che accedono ad una ricostruzione contrattuale degli accordi, visti come esercizio del potere amministrativo discrezionale, si vedano E. BRUTI LIBERATI, Consenso e funzione nei contratti di diritto pubblico tra amministrazioni e privati, Milano, 1996, 70 ss e V. CERULLI IRELLI, Corso di diritto amministrativo, III, Torino, 1994, 125 ss; contro, ovvero per una ricostruzione in termini di esercizio del potere di autonomia privata della pubblica amministrazione, N. PAOLANTONIO, Autoregolamentazione consensuale e garanzie giurisdizionali, in Cons. Stato, 2000, II, p. 793 ss e G. MANFREDI,Accordieazioneamministrativa,Torino,2001,94ss.SivedanoinoltreCGA,4.11.1995n. 336,inCons.Stato,1995,I,1607;Cons.Stato,VI,20gennaio2000n.264,inRiv.Trim.app.,2000, 523; Cons. Stato, IV, 9.11.2004 n. 7254, in Cons. Stato, 2004, I, 2332; Cons. Stato, IV, 22.06.2004 n. 7180, in Cons. Stato, 2004, I, 2324, in cui, in una ipotesi di impugnazione di un protocollo aggiuntivo ad un patto territoriale che prevedeva la riduzione di un finanziamento precedentemente stanziato, nel negare la possibilità di contestare il contenuto del patto aggiuntivo, stante il suo carattere vincolante, il Collegio ha precisato che potrebbe ipotizzarsi una impugnativa del contratto d’area per errore del privato ma non anche una impugnativa fondata su pretesi errori della p.A. e della banca concessionaria, come avverrebbe nel caso in cui ci si trovasse dinanzi all’impugnativa di un provvedimento amministrativo; ciò poiché in tema di accordi la disciplina codicistica (1425 ss c.c.) sostituirebbe integralmente quella dell’annullabilità propria del provvedimento amministrativo. Tali interpretazioni, secondo cui l’accordo esaurirebbe il potere discrezionale della p.A. per consumazione la discrezionalità amministrativa, qualificano come “pattizia” o “paritetica” la natura delrecesso. 72 Certo è che se essi fossero solo atti di espressione di autonomia cui l’ordinamento giuridico assegna un riconoscimento, non si potrebbe parlare di partecipazione del privato alla composizione degli interessi pubblici. Se di potere si parla, deve aversi riguardo pur sempre ad una attività di carattere autoritativo. Non a caso la p.A. stipula detti accordi in vista di un miglior soddisfacimento del pubblico interesse. Alla base della disciplina degli accordi tra pubbliche amministrazioni e privati vi è infatti la consapevolezza da parte dell’ordinamento dell’opportunità di “fare spazio” ad istituti che consentano di avvalersi della disponibilità del privato ad offrire un volontario appoggio alla realizzazione dell’interessepubblico. Detta disponibilità è destinata a manifestarsi sia quando il privato si dichiara pronto a offrire il sostegno a interessi pubblici che senza il suo apporto rimarrebbero del tutto inappagati, sia quando, sul punto di venir investito da un provvedimento unilaterale di per sé pregiudizievole, il privato proponga all’Amministrazione procedente di assumere su di sè gli oneri occorrenti per il passaggio ad un assetto alternativo, allo stesso tempo vantaggioso per il privato e capace di realizzare più proficuamente quello stesso interesse pubblico che la p.A. avrebbe altrimenti realizzato in via unilaterale. Nel primo caso rientra il fenomeno delle sponsorizzazioni e del project financing che conducono il privato, confidando rispettivamente nel corrispettivo di vantaggiose ricadute d’immagine e nei redditi della futura gestione, a sostenere interventipubblici. Si pensi invece, nella seconda ipotesi, alle fattispecie nelle quali il privato, per evitare ad esempio la perdita per esproprio di immobili di sua proprietà in favore della realizzazione di una opera pubblica, si dichiari disponibile ad offrire gratuitamente altri terreni contigui per la realizzazione del medesimo progetto che avrebbe in tal modo caratteristiche strutturali e funzionali di maggior livello. In tal modo si consegue una relazione sinergica tesa a realizzare contemporaneamente entrambi gli interessi: pubblico e privato. 75 riportate da parte della dottrina alla nozione di contratto di diritto pubblico, intendendosi per tale quel contratto «caratterizzato e condizionato dalla compresenza di profili pubblicistici quali – a seconda dei casi- il radicamento in un procedimento amministrativo ovvero la rilevanza della sopravvenuta modifica (o modificata valutazione) del pubblico interesse»128. La questione semmai sorge laddove la disciplina convenzionale regolatrice del rapporto tra privato e pubblica Amministrazione offra in via esclusiva l’intero assetto, senza necessità di interventi di carattere formalmente autoritativo (cd. accordi sostitutivi del provvedimento)129. Anzitutto devono individuarsi i seguenti tratti caratterizzanti la disciplina degli accordi. In primo luogo gli accordi, anche quando non vengono trasfusi in provvedimenti, sono soggetti ai medesimi controlli previsti per questi ultimi. Per di più la norma prevede che essi vengano assoggettati alla disciplina codicistica in materia di obbligazioni e contratti, seppur con i dovutitemperamenti. Tale richiamo risulta “frenato” dal fatto che esso non concerne le prescrizioni nella loro totalità ma solo i principi posti alla base, peraltro a 128 Cfr. S. PENSABENE LIONTI, op. cit., 16. In giurisprudenza, a titolo indicativo, sulla categoria del contratto di diritto pubblico, si vedano, per le cessioni volontarie, C. Cass., sez. I, 11 marzo 2006, n. 5390; Id., 17 marzo 2006, n. 6003; Id., S.U., 4 novembre 1994, n. 9130, Cons. Stato, sez. VI, 14 settembre 2005, n. 4735; per le convenzioni urbanistiche, Cons. Stato, sez. V, n. 1327/00, C. Cass., 3 febbraio 1994, n. 1125. Non sembra invece riferire l’applicazione dell’accordo di cui all’art. 11, l. 241 del 1990 alla tradizionale categoria del contratto di diritto pubblico, la Sez. IV del Consiglio di Stato, che con decisione n. 264 del 2000 ha ricondotto all’art. 11 la previsione di un accordo concluso tra il gruppo Eridania e il Ministero dell’Agricoltura con cui, a fronte della volontà dell’Eridania di chiudere lo zuccherificio di Rignano Garganico e di attuare una riconversione industriale, l’Eridania si impegnava a consentire l’integrazione delle quote di altre società saccarifere operanti nelmeridione. 129 Il fatto che gli accordi sostitutivi potessero operare solo, anteriormente alla riforma, nei soli casi previsti dalla legge, è probabilmente da ricondurre a un equivoco incorso in occasione dell’elaborazione del disegno di legge. Si pensò infatti che l’accordo sostitutivo fosse rivolto ad offrire un assetto alternativo retto da norme di diritto comune. Su questo presupposto, nella preoccupazione che potesse riconoscersi alla discrezionalità amministrativa la possibilità di decidere in ogni momento il passaggio dal regime pubblicistico a quello di diritto privato, fu inserito nell’art. 11 un inciso rivolto a consentire l’operatività degli accordi sostitutivi (e dunque il passaggio dal regime pubblicistico a quello di diritto privato)nei soli casi previsti dalla legge. Deve tuttavia rilevarsi che gli accordi sostitutivi partecipano degli stessi caratteri di quelli endoprocedimentali, salvo il fatto estrinseco della loro non ricezione in atti amministrativi. Non avrebbe avuto perciò alcuna logica una norma che avesse disposto per gli accordi endoprocedimentali spazio in ogni ambito dell’attività amministrativa e la contestuale previsione della limitata operatività di quelli sostitutivi. In entrambi i casi gli accordi trovano luogo se la natura degli interessi pubblici in causa loconsente. 76 condizione che non risultino dettate prescrizioni (anche patrizie) di diverso tenore e che i principi civilistici non si manifestino incompatibili con i caratteri della disciplinaspeciale. Con riferimento ad ipotesi di sopravvenienza di ragioni di pubblico interesse ostative alla prosecuzione del rapporto, si riconosce all’amministrazione la facoltà di recedere unilateralmente, salva la corresponsione di unindennizzo. Come accennato, è peraltro prevista in tema di accordi la giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Per quanto riguarda poi le possibili ipotesi di inadempienza, va detto che per contrastare l’inottemperanza del privato devono ritenersi esperibili da parte della p.A. sia le azioni rivolte a conseguire la prestazione promessa sia la risoluzione dell’accordo (entrambe accompagnate dalla richiesta di risarcimento deidanni). E’ evidente che, nel caso in cui gli accordi prendano il posto di atti unilaterali dell’Amministrazione risulta più proficuo, per ridurre gli effetti pregiudizievoli del comportamento del privato, l’azione di risoluzione piuttosto che quella di esatto adempimento. In tal caso infatti la p.A. farà venir meno l’assetto concordato recuperando gli originari poteri unilaterali. Per le stesse ragioni deve invece escludersi il potere (e l’opportunità) del privato, nel caso in cui l’Amministrazione si renda inadempiente, di esperire una azione di risoluzione nel caso di accordi volti a ridurre l’incidenza dell’atto unilaterale; in tal caso infatti il privato rimarrebbe esposto alla originaria situazione di assetto a sé pregiudizievole che l’accordo avevaneutralizzato. Altrettanto difficile appare orientarsi nella possibilità di ammettere la facoltà del privato di esperire l’azione di inadempimento nei confronti dell’Amministrazione. Si è detto che gli accordi hanno l’effetto di rendere “disponibile” attraverso un atto consensuale il potere amministrativo, rimuovendo il limite legale che ne impedisce ogni forma di negoziabilità. 77 In realtà si può parlare solo impropriamente di una forma di negoziazione del potere amministrativo in quanto gli effetti si producono solo laddove l’amministrazione reputi opportuno addivenire alla conclusione di un accordo sia vantaggioso per la realizzazione dell’interesse pubblico. Ciò lo si desume sia dalle forme di tutela apprestate al terzo sia dalla libera determinazione rimessa all’Amministrazione in ordine alla conclusione di un accordo, senza possibilità per il privato di influire su tale scelta e senza perciò alcuna giustiziabilità nel caso di una eventuale decisionenegativa. L’Amministrazione dunque è pienamente libera di autodeterminarsi alla stipula dell’accordo, tanto da poter rifiutare la proposta avanzata dal privato e, qualora decida di aderire, gode di un diritto di recesso ad nutum130. 3.c) I COMPORTAMENTI E I “QUASI-COMPORTAMENTI” DELLA P.A. RINVIO. Dopo la pronuncia della Corte (204/04) non residuano più dubbi in merito all’impossibilità di attrarre i comportamenti della p.A. alle modalità di esercizio del potere pubblico. Essi sono stati formalmente espunti dall’ambito di cognizione del giudice amministrativo in sede di giurisdizione esclusiva proprio per l’assenza di momenti indicativi dell’esplicazione del pubblico potere131. Se la nozione di comportamento è certa, rimangono tuttavia da definire quelli che potrebbero essere indicati come “quasi-comportamenti”, ovvero quella zona grigia entro la quale spesso si muove la p.A., per lo più riferibile alle ipotesi di sopravvenuta carenza di potere che talvolta vengono ricondotte dalla giurisprudenza a veri e propri comportamenti, mentre altre volte vengono invece associate a forme di esercizio di unpotere. 130 Tale diritto di recesso può esser desunto, secondo parte della giurisprudenza, anche per facta concludentia dall’adozione di altri atti incompatibili con la persistenza del vincolo contrattuale, come nel caso di variante al piano regolatore in presenza di una convenzione di lottizzazione precedentemente stipulata. 131 Si vedano C. Cost. 204/04, confermata dalla 191/2006, che ha dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 53, comma 1, del d.lgs 8 giugno 2001, n. 325, trasfuso nel d.P.R. 8 giugno 2001, n. 327, nella parte in cui, devolvendo alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo le controversie relative ai “comportamenti delle pubbliche amministrazioni e dei soggetti ad esse equiparati”, non esclude i comportamenti non riconducibili, nemmeno mediatamente, all’esercizio di un pubblico potere. 80 Dalla norma riferita risulta che l’Amministrazione dispone oggi di un apposito congegno di carattere autoritativo per apprestare un titolo giustificativo, seppure postumo, per l’acquisizione delbene136. Al di fuori dei comportamenti della p.A., vi sono dunque “contegni” in cui è possibile, almeno a monte, ravvisare l’esercizio di un potere pubblico e che perciò sono demandati alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo in ragione del fatto che in essi è possibile individuare un “momento” di autorità. Le vicende che spesso hanno portato a decisioni contrastanti riguardano per lo più la possibilità o meno di ravvisare l’esercizio di un potere in presenza di un atto nullo137. Non può non darsi menzione della recente Adunanza Plenaria138 che si è pronunciata sull’appartenenza o meno alla giurisdizione del giudice amministrativo di una controversia avente ad oggetto l’impugnazione di un provvedimento di requisizione in uso di un immobile da destinare al temporaneo soddisfacimento di una situazione di emergenza abitativa, con destinazione degli alloggi a temporanea abitazione di nuclei familiari investiti da provvedimenti di sfrattoesecutivo. Il Consiglio di Stato, in tale circostanza ha ritenuto appartenere alla giurisdizione del giudice amministrativo, contrariamente alla giurisprudenza sino a quel momento dominante, la cognizione della controversia relativa al provvedimento di requisizione in virtù del fatto che la condotta successiva alla scadenza del termine 136 Ciò ha indotto alcuni ad escludere che l’accessione invertita possa trovare ancora oggi cittadinanza nel nostro ordinamento laddove l’Amministrazione debba necessariamente apprestare il provvedimento ablatorio di cui all’art. 43 cit. per acquisire il bene al suo patrimonio (viceversa si sarebbe in presenza di una res che ha formato oggetto di indebito impossessamento da parte dell’amministrazione di cui il privato può richiedere la reintegrazione in forma specifica o nella via del risarcimento deldanno). 137 L’equivoco spesso e volentieri è nato dal fatto che sia stato ricondotto alla categoria degli atti nulli e non piuttosto di quelli annullabili il provvedimento oggetto di impugnazione. Alcuni annifa l’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato (26 marzo 2003, n. 4, in Dir. proc. amm., 2003, con nota di A. D’ATTI, Il “diritto europeo” e la questione della cd. “ pregiudizialità amministrativa”) ha ribadito con fermezza la propria posizione, per cui “l’atto dichiarativo di pubblica utilità, privo dei termini di inizio e di fine dei lavori, è annullabile e non nullo. In questi termini non può parlarsi di carenza di potere in concreto, con la conseguenza che l’atto deve essere impugnato nei termini non potendosene invocare successivamente la disapplicazione da parte del giudiceamministrativo”. 138 Cons. Stato, Ad. Pl., 10/2007, in www.giustizia-amministrativa.it, alla quale è seguita la n. 12. 81 “trova occasione, collegamento e sviluppo nel medesimo provvedimento” illegittimo, esercizio del potere amministrativo139. 3.c) (segue): IL SILENZIO SIGNIFICATIVO: UNA DELLE FORME DI ESERCIZIO DELLA POTESTÀ PUBBLICA? Prescindendo dall’ipotesi di inerzia della p.A. che, seppur sollecitata, non esercita il proprio potere e ciò in palese violazione del principio di doverosità che caratterizza l’azione amministrativa, come tale illegittma, si deve piuttosto avere riguardo alle diverse ipotesi in cui al silenzio dell’Amministrazione interpellata venga riconosciuta comunque una valenzaprovvedimentale140. In capo alla p.A. grava il generico obbligo di concludere ogni procedimento con un provvedimento espresso; tale obbligo sancisce un vero e proprio diritto del privato alla conclusione del procedimento. Originariamente i casi in cui veniva ammessa una deroga all’adozione di un atto formale conclusivo del procedimento (casi nei quali le funzioni del provvedimento venivano legittimamente integrate da un comportamento inerte della p.A.) erano tassativamente previsti dalla legge e in tali casi il silenzio assumeva valore legale tipico. Con il decreto sulla competitività (35/05) il silenzio assenso, da regola residuale, assume una portata generale a fronte delle ipotesi tassativamente previste in cui opera il silenzio rifiuto (ambiente, sicurezza, immigrazione, patrimonio culturale e paesaggistico, salute e pubblica incolumità) per le quali si richiede l’adozione di un formale provvedimento amministrativo pena l’integrazione del silenzioinadempimento. 139 Per una opportuna analisi della vicenda e per una riflessione più approfondita, si rinvia alla parte seconda, § 3. 140 Si noti come anche nel caso di silenzio rifiuto la pretesa del privato possa essere tutelata attraverso la possibilità di azionare la relativa procedura di inadempimento in considerazione del fatto che si verte nell’ipotesi in cui è riscontrabile l’inadempimento da parte dell’autorità del preciso obbligo di provvedere sull’istanza con la quale il privato tende a sollecitare l’esercizio del pubblico potere e dunque l’emanazione di uno specifico provvedimento avente carattere autoritativo. E’ evidente che per attivare il ricorso avverso il silenzio serbato dall’Amministrazione è determinante che esso riguardi l’esercizio di una potestà amministrativa e che la posizione del privato che assume essere rimasto leso si configuri alla stregua di un interesse legittimo in quanto la diversa posizione di diritto soggettivo può essere tutelata in via diretta. Si veda a tal proposito Cons. Stato, Ad. Plen., n. 1 del 9.1.2002; T.A.R. Basilicata, Potenza, 8 giugno 2006 n.540. 82 Le ipotesi nelle quali al silenzio assenso è consentito operare sono quelle di regola a basso tasso di discrezionalità se non addirittura contrassegnate da fattispecie vincolate. Qualora non venga comunicato all’interessato il provvedimento entro il termine nel quale l’Amministrazione avrebbe dovuto pronunciarsi sull’istanza, l’ordinamento riconosce sopraggiunto per fictio iuris un provvedimento, favorevole all’interessato, con conversione in atto fittizio del progetto presentato. E’ da escludere pertanto che il silenzio rifiuto e il silenzio assenso possano essere ricondotti tra i “comportamenti” di cui si è detto, dovendo piuttosto assegnarsi a tali fattispecie valenza di atto autoritativo, seppur fittizio, alla stregua di un provvedimento amministrativo vero e proprio, con tutte le conseguenze che ne derivano. Per di più tale equiparazione avviene in assenza di tutte le quelle garanzie partecipative procedimentali che presiedono alla formazione del provvedimento esplicito. Assumendo valore legale tipico, il silenzio viene equiparato di fatto a un provvedimento anche dunque sotto il profilo degli effetti e, prima ancora, sotto il profilo della presunzione di legittimità che governa gli atti amministrativi e che impone la loro necessaria impugnazione per farne valere la legittimità. 4. GLI ATTI A CONTENUTOFAVOREVOLE. Il consenso del destinatario quale discrimine tra atti a carattere autoritativo e atti non aventi tale carattere implica l’adozione di una concezione restrittiva e piuttosto limitata alla dialettica autorità-libertà. Se è pur vero che il potere di emanare un atto favorevole può non concretarsi in un potere vero e proprio nei confronti del beneficiario dell’atto, esso può senz’altro andare ad incidere sulle situazioni giuridiche di soggettiterzi141. 141 Si pensi alla dottrina economica della allocazione delle utilità giuridiche della comunità. In tale contesto l’esercizio del potere pubblico discrezionale esercita una funzione allocativa di sacrifici e utilità tra i membri della collettività. In presenza di utilità giuridiche pubbliche limitate la loro attribuzione in godimento ad alcuni in via esclusiva presuppone un corrispondente sacrificio in capo a quanti si vedono privati della possibilità di fruire della medesima utilità, sicchè i provvedimenti in senso lato accrescitivi o ampliativi dispiegano di regola un effetto autoritativo nei confronti dei terzi esclusi dal relativo godimento. 85 Lo studio degli atti ad autoritatività cd “attenuata” è imposto non solo dall’esigenza di una analisi delle varie forme di potere, finalizzata alla ricostruzione della relativa nozione, bensì anche a spiegare fenomeni di recente formazione145. 145 L’attività pubblica che è stata definita “attenuata” congloba i fenomeni della regolazione, della possibile incidenza di provvedimenti amministrativi su rapporti intercorrenti tra privati e la casistica di soft law, per la quale si rinvia alla parte terza, §4, 86 CAPITOLO TERZO ATTIVITÀ NON AUTORITATIVA DELLA P.A. SOMMARIO: 1. La previsione del nuovo comma 1 bis dell’art. 1, l. 241/1990. 1.a) atti disciplinati dal diritto privato salva diversa previsione di legge. 1. b) il comma 1 bis: limite al potere amministrativo autoritativo? 1. LA PREVISIONE DEL NUOVO COMMA 1 BIS DELL’ART. 1, L. 241/1990. L’unico dato formale offerto dal legislatore in ordine alla disciplina dell’attività amministrativa, autoritativa e non, è l’art. 1 della legge 241 del 1990 così come modificato dalle ultime novelle146, a seguito delle quali, il comma 1 bis, recita: “La pubblica amministrazione, nell’adozione di atti di natura non autoritativa, agisce secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente”. Nell’inversione del rapporto di specialità, per cui la regola comune sembra essere quella per cui l’amministrazione agisce secondo norme di diritto privato, salvo che legge disponga diversamente, è stato ravvisata l’intenzione del legislatore di privatizzare l’azione amministrativa, assoggettandola alle norme di diritto comune. Se la predetta disposizione fosse realmente intesa come la manifestazione più evidente del mutato modus agendi della p.A., non si potrebbero tralasciare i riflessi che essa avrebbe sulla sfera di esercizio del potere pubblico, che ne risulterebbe a dir pocomenomata. Per introdurre una riflessione sui rapporti tra diritto pubblico e diritto privato nell’esercizio dell’azione amministrativa, si deve osservare in primo luogo che l’articolo de quo cade sotto la rubrica “principi generali dell’attività amministrativa”. 146 L. 11 febbraio 2005, n. 15 e d.l. 14 marzo 2005, n. 35, conv. con l. 14 maggio 2005, n. 80. 87 Dunque la norma si colloca nell’ambito per eccellenza deputato all’esercizio di un potere: l’azione amministrativa e il relativo procedimento. Essa però, con riferimento all’attività non autoritativa, statuisce che la p.A. agisce “secondo le norme di diritto privato salvo che la legge disponga diversamente”147. Al di là della capacità di agire iure privatorum, cui però non sembra volersi riferire la norma il questione, essa codifica il principio per cui nell’esercizio di attività non autoritativa (non meglio identificata) la p.A. agisce con strumenti di dirittoprivato148. Da ciò conseguono due possibili percorsi interpretativi. I più entusiasti hanno declamato la portata fortemente innovativa della previsione normativa, esaltando la presunta volontà del legislatore di spogliare la p.A. della propria veste di autorità e dei poteri unilaterali ad essa connessi (salvo che la legge non disponga diversamente). In realtà così si confonde il mezzo con gli effetti da esso prodotti. La pubblica amministrazione continua a perseguire interessi pubblici, ma con forme negoziali, che quasi mai valgono a sottrarle la potestà impositiva (così ad esempio nelle convenzioni urbanistiche e negli accordi in generale etc). Se si ha riguardo alla coercibilità che caratterizza anche i nuovi strumenti sembra più ragionevole supporre che la disposizione di cui all’art. 1, comma 1 bis, l. 241del 1990 abbia piuttosto voluto esternare il principio ormai consolidato della capacità della p.A. di ricorrere a moduli consensuali. Si dirà meglio di seguito sulla individuazione dell’attività non autoritativa della p.A149. 147 Nel progetto Cerulli si parlava invece di “poteri amministrativi conferiti dalla legge o dai regolamenti”. In tal caso la differenza tra diritto amministrativo e diritto privato avrebbe piuttosto riguardato l’applicabilità o la non applicabilità del principio di legalità. Si vedano V. CERULLI IRELLI, Il negozio come strumento di azione amministrativa, in www.giustamm.it e M. SPASIANO, Trasparenza e qualità dell’azione amministrativa, inwww.giustamm.it. 148 Sulla interpretazione della portata del comma 1 bis, si vedano, tra i tanti, L. IANNOTTA, L’adozione degli atti non autoritativi secondo il diritto privato, in (a cura di) G. CLEMENTE DI SAN LUCA, La nuova disciplina dell’attività amministrativa dopo la riforma delle legge sul procedimento”, Torino, 2005. L’Autore riconduce al novero dei poteri esecutivi il potere che si manifesta in atti non autoritativi in quanto manifestazioni di volontà inerenti all’esercizio di un potere e dotati di una propria autonomia funzionale che li rende capaci di incidere unilateralmente e direttamente nella sfera giuridica altrui. 149 Si rinvia al cap. secondo, § 2, relativo agli atti paritetici. 90 1.a) ATTI DISCIPLINATI DAL DIRITTO PRIVATO SALVA DIVERSA PREVISIONE DI LEGGE. Il comma 1 bis ha generalizzato a tal punto la facoltà della p.A. di svolgere una attività amministrativa “secondo il diritto privato”, da indurre molti a leggere tale disposizione come il passaggio da un sistema di diritto amministrativo a uno di tipo civile, che ravvisa cioè nell’uso di strumenti privati non più l’eccezione ma la regola generale151. Si rende però necessaria una specificazione. Si è già chiarita la distinzione tra autonomia privata, che non ricorre laddove l’attività della p.A. risulti comunque funzionalizzata al perseguimento di un interesse pubblico, e l’utilizzazione di moduli consensuali nell’esercizio del potere, in cui l’azione amministrativa permane orientata al perseguimento di bisogni di carattere collettivo152. Siamo al di fuori del campo “negoziale” e in presenza di quella parte dell’attività amministrativa che richiede un “diritto comune speciale”. La questione attiene dunque all’esercizio del potere in forma mediata ed è stata affrontata dalla C. Costituzionale con sentenza n. 204 del 2004, ai fini dell’individuazione del giudice competente a conoscere delle controversie nascenti da tali rapporti, che non può evidentemente prescindere da una verifica in concreto della sussistenza di unpotere. 151 Si veda F. LIGUORI, L’attività non autoritativa tra diritto privato e diritto pubblico. A proposito del comma 1 bis, in (a cura di) F. LIGUORI, Studi sul procedimento e sul provvedimento amministrativo nelle riforme del 2005, Bologna, 2007. 152 A tal proposito si rende necessaria una breve digressione sui lavori parlamentari e sui diversi disegni di legge, non approvati, che si sono succeduti. Il d.d.l. n. 1281 del 2003, riprendendo i lavori parlamentari che originariamente prevedevano che “salvo che la legge disponga diversamente, le amministrazioni pubbliche agiscono secondo il diritto privato”, ha disposto che “per la realizzazione dei propri fini istituzionali le amministrazioni pubbliche agiscono utilizzando strumenti del diritto pubblico o privato. Le leggi e i regolamenti disciplinano, in entrambi i casi, i procedimenti per l’esercizio dei poteri amministrativi”. Anche in tal caso era mantenuta ferma la funzionalizzazione degli strumenti, di diritto pubblico o privato che fossero, nel perseguimento dei fini istituzionali delle amministrazioni pubbliche. Viene cioè mantenuto costante il riferimento alla fungibilità dei due strumenti che, seppur eterogenei, sono funzionalmente idonei alla soddisfazione dei fini istituzionali cui le amministrazioni sono preposte. A favore di tale tesi vi è anche il carattere imperativo della norma, per cui l’amministrazione agisce, il che connota un potere-dovere e non una mera facoltà. Un secolo fa Cammeo scriveva che il diritto amministrativo è diritto dell’amministrazione non nel senso che occorre comando, esercizio del potere di imperio, ma nel senso della disuguaglianza istituzionale della p.A. rispetto al privato dovuta alla superiorità dell’interesse pubblico rispetto a quello privato. 91 Dunque si tratta di capire se il comma 1 bis consacri il modulo paritario o se esso sia piuttosto riferibile allo schema degli atti unilaterali - seppure con una composizione negoziale degli interessi coinvolti - adottati dall’amministrazione come soggetto pubblico nell’esercizio del un potereamministrativo153. 1. b) IL COMMA 1 BIS: LIMITE AL POTERE AMMINISTRATIVO AUTORITATIVO? E’ opportuno svolgere ancora qualche riflessione sulla possibilità che il nuovo comma 1 bis dell’art. 1 definisca in negativo il campo di esercizio dell’attività autoritativa154. La disposizione si limita a ribadire l’utilizzabilità del diritto privato come strumento meramente ulteriore ed attuativo delle scelte pubblicistiche, che rimangono tuttavia indisponibili (così come avviene nel caso di cui all’art. 11 della medesimalegge)155. Dunque sembra proprio che le modifiche legislative non abbiano portato a una contrazione della sfera pubblica,tutt’altro156. E’ ormai pacifico il principio per cui “l’interesse pubblico di cui l’amministrazione è portatrice può essere perseguito mediante l’uso di moduli di diritto comune qualora siano congrui rispetto agli obiettivi prestabiliti”157. 153 Si veda A. TRAVI, Autoritatività e tutela giurisdizionale: quali novità?, in Foro amm. TAR, Supplemento, VI, 2005. L’Autore individua tre livelli sui quali si riflettono i cambiamenti delle disposizioni, e precisamente: a) rapporti non disciplinati in modo specifico dal diritto pubblico pur se ad esso attinenti (ad esempio l’utilizzo di beni demaniali per finalità diverse da quelle specificamente indicate nell’atto di concessione; in tali ipotesi in mancanza di una disciplina specifica si applicherebbe il diritto privato); b) scelte della pubblica amministrazione; c) rilettura globale degli istituti del diritto amministrativo, al fine di individuare ciò che deve necessariamente essere soggetto al dirittoamministrativo. 154 Sul punto si veda il contributo di L. IANNOTTA, L’adozione degli atti non autoritativi secondo il diritto privato, in www.giustamm.it, in cui l’Autore individua una vasta casistica di atti non aventi natura autoritativa. 155 Sulpuntosivedano,G.GRECO,Commentoall’art.11,inL’azioneamministrativa,acuradiV. ITALIA, Milano, 2005; E. STICCHI DAMIANI, Gli accordi amministrativi dopo la legge 15 del 2005,in Riforma della legge 241 e processo amministrativo, cit, 27 ss. 156 Si veda A. POLICE, L’adozione degli atti autoritativi secondo il diritto privato, cit. Secondo l’Autoreilcomma1bisèinrealtàun“fuord’opera(…)nonvolutomanecessitatodallaevoluzione che questa norma ha avuto nel continuo rimaneggiamento che essa ha subito ”. Si veda anche A. TRAVI, op. cit., in cui l’Autore rileva che il senso del comma 1 bis non può essere quello di dettare un cambio di indirizzo rispetto alla espansione dell’attività amministrativa poiché ciò sarebbe possibile solo in virtù di un interevento legislativo su determinatisettori. 92 L’art. 1 indica semplicemente l’interscambiabilità, nell’esercizio dell’attività amministrativa, della forma provvedimentale con quella negoziale, che non soggiace proprio per tale motivo alla disciplina di diritto privato “comune”. Quando infatti il ricorso al diritto privato avviene ad opera di una pubblica amministrazione come scelta alternativa all’uso del potere, esso subisce necessariamente l’influenza del diritto pubblico, diventando una sorta di diritto privato speciale (o per difetto parziale dell’elemento volontaristico in quanto la p.A. potrebbe comunque conseguire l’interesse voluto con un provvedimento meno favorevole per il privato, che solo in ragione di ciò decide di dar corso all’accordo, o per disparità tra le parti nei casi in cui è stabilità un regime nettamente favorevole per la p.A) . Mentre l’attività negoziale “pura” viene disciplinata interamente dal diritto privato, quella “sostitutiva”, che rimane pur sempre pubblica, è soggetta ad apposita disciplina, diretta a valorizzare i profili di rilievo pubblicistico158. La modifica legislativa è perciò ben lontana dall’accogliere una consacrazione del modellocontrattuale. Nel progetto Cerulli si parlava di “poteri amministrativi conferiti dalla legge o dai regolamenti”, per cui la differenza tra diritto amministrativo e diritto privato riguardava l’applicabilità o la non applicabilità del principio dilegalità. Il diritto privato doveva cioè applicarsi all’amministrazione salvi i casi suddetti; ciò in virtù della presunzione di esistenza di una attività amministrativa che, pur perseguendo fini pubblici, non costituisce esercizio di potere e perciò non rimarrebbe subordinata al principio di legalità, bensì soggetta alla disciplina di diritto privato. La nuova formulazione non tiene evidentemente conto di tale partizione. 157 T.A.R. Lombardia, Milano, n. 99 del 2005, intervenuta peraltro già prima della pubblicazione della novella legislativa. 158 Si pensi alle difficoltà e alle resistenze incontrate da alcuni istituti civilistici (quali la responsabilità precontrattuale ex artt. 1337-1338 c.c.; la disciplina sulle clausole vessatorie, di cui agli artt. 1341 ss c.c., oggi recepita nel codice del consumo etc) a trovare ingresso all’interno di moduli negoziali in cui fosse parte una p.A. Ancora, si pensi all’esasperazione del modello di “specialità” del diritto “amministrativo-privato”, che ha portato all’elaborazione di alcune categorie di riferimento quali quella delle obbligazioni pubbliche e del contratto di diritto pubblico. 95 CAPITOLO PRIMO L’AUTOTUTELA COME POTENZIAMENTO DEL MOMENTO AUTORITATIVO SOMMARIO: 1. La riedizione del potere pubblico: i procedimenti di secondo grado. 2. Il problema dell’incidenza del potere pubblico sulle situazioni giuridiche consolidate: legittimo affidamento e diritti quesiti. 3. Momento valutativo e giudizio di prevalenza dell’interesse pubblico: ius poenitendi e sopravvenienze. 4. Annullamento d’ufficio. 5. Revoca. 5.a) La “positivizzazione” del potere di revoca e il rinvio ai principi di diritto comunitario. 6. Il recesso: potere o facoltà? la disciplina degli accordi e la revoca del provvedimento. La tutela indennitaria. 7. La tutela indennitaria. 8. Autotutela pubblica e privata a confronto. 1. LA RIEDIZIONE DEL POTERE PUBBLICO: I PROCEDIMENTI DI SECONDO GRADO. L’analisi del potere pubblico è inestricabilmente connessa alla nozione di autotutela amministrativa o amministrazione attiva, che dir si voglia. I provvedimenti cosiddetti di secondo grado appartengono storicamente alla teoria generale del diritto e si inseriscono tra le fila delle facoltà inerenti al riesercizio del potere162. Che l’Amministrazione goda di un “super potere” che ammette l’esercizio, in seconda istanza, del medesimo o di altro potere da cui promana l’atto di primo grado, è cosa ormai certa163. 162 Sul fondamento del potere esercitato in seconda istanza le posizioni assunte dalla dottrina sono essenzialmente due: la prima configura tale potere alla stregua di una manifestazione del medesimo potere in forza del quale è stato emanato l’atto da annullare o revocare, cioè in chiave di riesercizio (si vedano A.M. SANDULLI, G. CORSO, A. AZZENA, A. CONTIERI), mentre un altro indirizzo lo configura come potere autonomo, con il conseguente problema della fonte di legittimazione (S. CASSESE, M.S. GIANNINI). Un terzo orientamento, relativo al potere di revoca, aveva individuato il suo fondamento nel combinato disposto degli artt. 1, comma 1 e 11, l. 241/1990 (M.IMMORDINO). 163 Sulla riconducibilità del potere di revoca alle manifestazioni delle potestà generali che l’Amministrazione possiede per dare ordine alla propria attività, che si esplica al fine di adeguare 96 Il fondamento di detto potere deve rinvenirsi nell’attribuzione di una potestà connessa all’esercizio della funzione amministrativa (e, più genericamente dunque, al potere pubblico anche qualora esso sia esercitato da soggetti terzi che partecipano all’esercizio della funzione pubblica, titolari dunque di potestà amministrative in senso sostanziale). I tratti distintivi che caratterizzano i procedimenti di riesame suggeriscono di indicare i medesimi come misure rafforzative ulteriori rispetto ai normali effetti che conseguono al potere esercitato in prima istanza dall’Amministrazione (riconducibile per lo più all’esecutorietà del provvedimento), che si esplicano sempre nel rispetto della legittima attribuzione della fonte di tale potere e dunque del principio di legalità che sorregge l’azione amministrativa nel suo interoraggio. La ragione giustificativa di un conferimento tale da consentire ad un potere esercitato in via unilaterale di incidere legittimamente su un assetto di interessi già prefigurato dalla stessa p.A. è evidentemente legata al fine perseguito164. L’autotutela designa sia il potere dell’autorità amministrativa di soddisfare da sé le proprie pretese (autotutela esecutiva), sia il potere della stessa autorità di riesaminare i propri atti (autotuteladecisoria)165. Facciamo un passo indietro. Per valutare in concreto quale sia il contenuto del legittimo esercizio del potere di autotutela, si deve avere riguardo anche ai rapporti che intercorrono tra l’annullamento d’ufficio e la revoca da permanentemente e congruamente situazioni giuridiche originate da precedenti atti a quello che è l’interesse pubblico attuale, mediante l’eliminazione con efficacia ex nunc della precedente determinazione, cfr. P. SALVATORE, Revoca degli atti, Enc. Giur. Treccani, Roma, 1991. L’Autore illustra la possibilità di configurare tale potestà come potestà di carattere generale con la quale la P.A., in piena autonomia e con procedimenti endogeni, adegua la sua azione al soddisfacimento delle ragioni di pubblico interesse al quale è preordinata la sua attività. Derivando da una attribuzione generica, implicita nell’uso del potere stesso, l’esercizio della facoltà di revoca non richiede la sua espressa previsione nelle singole disposizioni che disciplinano di volta in volta gli atti da revocare. Essa rimane pertanto concettualmente e concretamente autonoma rispetto alla potestà in base alla quale è stato adottato l’atto darevocare. 164 Sull’istituto, si vedano le seguenti voci enciclopediche: G. CORAGGIO, Autotutela (voce), Enc. Giur. Treccani, Roma, 1991; G. CORSO, (voce) Autotutela (dir. Amm.), in Diz. Dir. pubb., (a cura di) S. CASSESE,Milano,2006;P.SALVATORE,(voce)Revocadegliatti,Enc.Giur.Treccani,Roma,1991;per un raffronto con il diritto civile, L. BIGLIAZZI GERI, (voce) Autotutela (dir. civ.), Enc. Giur. Treccani, Roma,1991. 165 Così, G. CORSO, op. cit.; F.BENVENUTI , Autotutela, Enc. Dir.,Milano, 1958, 541. 97 una parte e le situazioni soggettive su cui essi incidono dall’altra, oltre che al loro confronto con gli altri poteri dello Stato. Sotto quest’ultimo profilo, va detto che la potestà pubblica, riconosciuta all’autorità amministrativa è stata spesso accostata ai provvedimenti giurisdizionali e legislativi, dai quali a ben vedere sembra piuttosto distante, tanto più oggi che si parla di attività amministrativa consensuale, di moduli e forme privatistiche, di “potere dialogato”, espressioni volte a indicare la (com)presenza del privato nell’esercizio di alcune funzioni amministrative primarie 166. Non si può peraltro sottovalutare il passaggio segnato dal recente e poco chiaro comma 1 bis dell’art. 1, legge 241/1990, che ha creato molte aspettative, inducendo i più entusiasti a ritenere che tale previsione normativa fosse il vessillo per la p.A. di una nuova azione amministrativa “consensuale” salvo che la legge disponga diversamente. In realtà la norma nulla dice in più di quanto già accadeva in passato, né scioglie alcun dubbio in ordine a quali atti debbano essere sottratti alla sua applicazione perché atti aventi carattere autoritativo. Dunque, se nulla aggiunge di nuovo e nulla toglie a quanto già avveniva, si potrebbe concludere per il carattere residuale e meramente enunciativo della previsione legislativa de qua. Ciò non significa ovviamente asserire l’immodificabilità del potere amministrativo e delle forme di esercizio del medesimo, quanto piuttosto suggerire l’analisi del suo cambiamento attraverso lo studio delle nuove modalità di esercizio della funzione pubblica, non senza chiedersi, per ciascuna di esse, se al di là delle forme di volta in volta assunte la sostanza dell’azione amministrativa cambi realmente o se piuttosto si tratti sempre di esercizio di un potere al cospetto del quale il privato destinatario del provvedimento continui a trovarsi in posizione di evidente disparità. 166 Si rinvia a B. G. MATTARELLA, L’imperatività del provvedimento amministrativo, Padova, 2000, in cui spiega come la connotazione del provvedimento amministrativo in termini di imperatività dello stesso consenta una riflessione sul parallelismo delle tre funzioni pubbliche per eccellenza: la legislazione, la giurisdizione e l’amministrazione. Ed è sicuramente al carattere imperativo del provvedimento amministrativo che va associata la potestà di revoca, che ne rafforza ulteriormente il contenuto.
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