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Le riserve di legge costituzionali: procedimento, interessi e effetti, Sintesi del corso di Diritto Amministrativo

Il procedimento per le leggi costituzionali di riserva, la distinzione tra interessi primari e secondari, l'efficacia e l'esecutorietà dei provvedimenti amministrativi, e l'invalidità derivata. Il documento illustra anche i requisiti strutturali per l'annullabilità di un atto amministrativo e i mezzi di impugnazione contro le sentenze dei tribunali amministrativi regionali.

Tipologia: Sintesi del corso

2011/2012

Caricato il 24/01/2012

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Scarica Le riserve di legge costituzionali: procedimento, interessi e effetti e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Amministrativo solo su Docsity! RIASSUNTO CAP.N.1 DEL LIBRO: LINEAMENTI DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO di CERULLI IRELLI VINCENZO CAP.1 L'AMMINISTRAZIONE PUBBLICA E IL DIRITTO AMMINISTRATIVO dalla pag.2 alla pag.22 1. IL PROBLEMA DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO 1.1.1 PUBBLICA AMMINISTRAZIONE E DIRITTO AMMINISTRATIVO Quando si parla di amministrazione si intende la cura concreta di interessi o meglio risolvere problemi quotidiani , se intendiamo parlare di amministrazione domestica,condominiale,di città ecc...Comunque sia tali organizzazioni consistono in attività più o meno complesse articolate tra di loro di azioni giuridiche o materiali volte ad affrontare particolari situazioni determinate al fine di raggiungere degli obiettivi o risultati anche politici. Si sa che in ogni organizzazione sociale,quale che sia,(anche lo Stato Italiano è un organizzazione) la funzione di amministrazione è fondamentale e ineliminabile perchè senza di essa non si potrebbero curare gli interessi del gruppo, della comunità delle persone,risolvere i conflitti,far applicare le regole...L'insieme delle attività che compongono la funzione amministrativa non può mai mancare nell'ambito di una qualsivoglia organizzazione sociale altrimenti l'organizzazione sociale non potrebbe esistere. Data la sua utilità la funzione amministrativa, storicamente, venne considerata come esercizio dell'autorità per cui pare quasi naturale che tale funzione sia stata applicata mediante strumenti giuridici e materiali diversi, a seconda dei diversi contesti storici e che in ogni epoca storica tale funzione sia stata produttiva di effetti non regolatori rispetto al diritto comune. Il problema del diritto amministrativo è cosa antica e la vicenda formativa del diritto amministrativo moderno si snoda attraverso itinerari diversi. All'origine il diritto amministrativo era disciplina giuridica delle manifestazioni autoritative della funzione amministrativa dotata di propri caratteri sia sul piano sostanziale sia sul piano giurisdizionale. 1.1.2 DIRITTO AMMINISTRATIVO E DIRITTO PUBBLICO Il diritto amministrativo è branca del diritto pubblico ma ci sono anche attività di amministrazione disciplinate dal diritto comune,per le quali si applica la normazione del diritto privato. Tuttavia esistono delle attività di amministrazione tipiche del diritto privato quali l'affitto,la compravendita,l'appalto che in virtù di specifiche disposizioni normative sono esercitate dal diritto pubblico. Per cui non è corretto dire che il diritto amministrativo è diritto dell'amministrazione pubblica. Il diritto amministrativo è disciplina giuridica che concerne l'organizzazione,i mezzi e le forme delle attività della P.A, nonchè i rapporti tra la P.A e gli altri soggetti dell'ordinamento,sia quando agisce con poteri autoritativi sia quando usa strumenti e forme del diritto privato. Per Pubblica Amministrazione (P.A) si intendono i soggetti deputati all'esercizio dell'amministrazione. Sono organizzazioni in genere dotate di personalità giuridica disciplinate dal diritto pubblico. La P.A si intende in senso oggettivo quando si parla di funzione amministrativa quale cura concreta di interessi pubblici o in senso soggettivo quando si fa riferimento alla sede dell'attività amministrativa,ovvero il soggetto che quell'attività svolge. 1.2.LE FONTI DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO 1.2.1 DIRITTO EUROPEO E DIRITTO NAZIONALE (presenti integrazioni col diritto costituzionale) Quando si parla di fonti del diritto amministrativo si parla di fonti di due separati ordinamenti:quello nazionale/generale e quello europeo. In caso di conflitto è assicurata la prevalenza della normazione europea.(ART.308 Tratt.CE). L'ordinamento europeo si fonda prima di tutto sui trattati i quali sono conclusi per una durata illimitata e costituiscono le cd. fonti originarie o primarie del diritto comunitario; e poi sul complesso di norme adottate sulla base dei trattati,seguendo il procedimento di produzione fissato nel TCE. Sono queste norme le cd. fonti derivate le quali,ovviamente,devono essere compatibili coi trattati sia sotto il profilo formale sia sotto il profilo sostanziale:hanno dunque,rispetto ai trattati,carattere secondario. La tipologia degli atti comunitari, che costituiscono il diritto comunitario derivato, è elencata nell'art.249 del Trattato CE e sono: 1. regolamento:atto di portata generale,obbligatorio in tutti i suoi elementi e direttamente applicabile in ciascuno degli stati membri. I giudici nazionali li applicano direttamente eventualmente anche al posto delle disposizioni interne incompatibili. 2. direttiva:atto che vincola lo stato membro per quanto riguarda il risultato da raggiungere,salva restando la competenza degli organi nazionali in merito alla forma ed ai mezzi; 3. decisione:atto obbligatorio in tutti i suoi elementi per i destinatari da esso indicati.Non hanno portata generale ma servono a disciplinare fatti concreti e sono rivolte perciò a destinatari specificatamente individuati. 4. raccomandazioni e pareri:atti non vincolanti. Hanno valenza di indirizzo ma non fanno sorgere nei destinatari diritti ed obblighi. L'ordinamento nazionale si compone delle seguenti fonti del diritto: FONTI COSTITUZIONALI 1. la Costituzione e leggi costituzionali e di revisione costituzionale FONTI PRIMARIE(sono soggette soltanto alla Costituzione) 2. le fonti comunitarie(originarie e derivate) 3. leggi ordinarie dello Stato,atti aventi forza di legge quali decreti legge e legislativi(artt.70- 76-77) 4. refrendum abrogativo (art.75) 5. i regolamenti parlamentari (art.64) 6. legge regionale(art.117) e statuti delle regioni speciali (art.116)e delle regioni ordinarie(art.123) 7. fonti legislative specializzate(sono fonti atipiche:legge di esecuzione dei Patti lateranensi,leggi di amnistia e indulto,leggi che staccano una provincia o un comune da una regione per aggregarli ad un'altra,leggi che disciplinano i rapporti fra Stato e altre confessioni religiose...) 8. fonti di espressione di autonomia degli organi costituzionali(Regolamenti parlamentari,della Corte Costituzionale,della Presidenza della Repubblica) FONTI SECONDARIE 9. regolamenti dell'esecutivo(regolamenti governativi e ministeriali) 10. del diritto regionale( regolamenti) 11. del diritto degli enti locali(comune e provincia)(regolamenti e ordinanze) 12. fonti di espressione di autonomia collettiva(CCNL) 13. le fonti esterne riconosciute(diritto internazionale privato) conseguenza dell'applicazione di tale criterio.Tutti gli atti normativi successivi entrano in vigore nell'ordinamento giuridico e cominciano a produrre efficacia e valgono di norma solo per il futuro cioè non hanno effetto retroattivo.Il divieto di efficacia retroattiva(art.11 Preleggi) è derogabile secondo lo stesso criterio cronologico per effetto di una legge successiva che disponga diversamente. La retroattività della legge non è mai assoluta in quanto essa riguarda non tutti i rapporti del passato ma solo quelli pendenti,ossia suscettibili di essere ancora regolati. Il divieto di retroattività invece è assoluto ed inderogabile per le leggi in materia penale, essendo previsto dall'art.25 c.2 Cost ”nessuno può essere punito se non in forza di una legge che sia entrata in vigore prima del fatto commesso”. L'abrogazione può essere di tre tipi: espressa:disposta direttamente dal legislatore per incompatibilità:quando l'interprete o il giudice rilevano il contrasto tra le due disposizioni dal contenuto incompatibile,sicchè si tratta di scegliere tra l'una e l'altra; abrogazione per nuova disciplina dell'intera materia:già regolata da una legge anteriore,per cui la nuova legge si sostituisce alla precedente. criterio gerarchico:quando le norme provengono da fonti diverse.Nel nostro ordinamento,infatti, le fonti si collocano a livelli diversi, per cui le norme successive poste da fonti di rango inferiore,che siano in contrasto con norme provenienti da fonti di rango superiore,sono invalide(viziate per non aver rispettato l'ordine gerarchico delle fonti).Come tale ,le norme viziate devono essere annullate ad opera dei competenti organi giurisdizionali:in caso di contrasto tra Costituzione e legge(o atto avente forza di legge),la legge invalida può essere dichiarata costituzionalmente illegittima dalla Corte Cost.ricorrendone i presupposti;in caso di contrasto tra legge e regolamento all'annullamento provvede il giudice amministrativo. L'invalidità a differenza dell'abrogazione determina l'eliminazione dall'ordinamento dell'atto e la caducazione di ogni sua efficacia non solo ex nunc ma anche ex tunc. criterio della competenza:quando le antinomie devono essere risolte dando applicazione alla norma posta dalla fonte competente a disciplinare la fattispecie concreta con esclusione di qualsiasi altro atto fonte.Il rapporto tra norme contrastanti è un rapporto tra norma valida e norma invalida sicchè la norma non competente,come la norma gerarchicamente sottordinata,è una norma invalida,che deve essere eliminata dall'ordinamento mediante l'annullamento. Come già anticipato le norme vigenti possono essere dislocate su tre ordini gerarchici con diverse articolazioni interne:le fonti costituzionali,le fonti primarie e le fonti secondarie. FONTI COSTITUZIONALI La Costituzione è la massima fonte sulle fonti nel senso che essa legittima tutti i processi di produzione del diritto. La Costituzione detta i criteri per individuare le fonti del diritto e detta le regole per la produzione. Nel rispetto di tale principio il sistema delle fonti deve considerarsi un sistema chiuso perchè:  non sono configurabili atti fonte primari al di fuori di quelli espressamente previsti dalla Costituzione stessa (art.138)(vedi sopra schema del sistema delle fonti)  ciascun atto normativo non può disporre di forza normativa maggiore di quella che la Costituzione ad esso affida. Alle fonti primarie è riconosciuta forza di legge cioè capacità di abrogare o modificare atti fonte equiparati o subordinati,inoltre di resistere all'abrogazione o alla modifica di atti fonte che non siano dotati della medesima forza. Caratteristica principale della Costituzione è la sua rigidità essendo atto supremo dell'ordinamento. Rigidità costituzionale che significa garanzia contro ogni modificazione;tale garanzia è assicurata attraverso la disciplina di uno speciale procedimento di revisione costituzionale. L'art 138 Cost. prevede tra le fonti del diritto di rango costituzionale anche le leggi costituzionali e le leggi di revisione costituzionale perchè per entrambe le categorie è previsto il medesimo procedimento di formazione. La differenza è solo materiale: a) le leggi di revisione costituzionale hanno come oggetto la modifica,mediante aggiunta,emendamento o soppressione di parti di testo della Costituzione; b) le leggi costituzionali sono quelle espressamente richiamate da disposizioni della Cost. per integrare la disciplina di alcune materie cd. casi di riserva di legge costituzionale;sia quelle che il Parlamento decide di deliberare nelle forme di cui all'art.138 Cost. La formazione delle leggi di rango costituzionale è diverso rispetto al procedimento di approvazione delle leggi ordinarie e viene chiamato procedimento aggravato e prevede duplice lettura da parte di ciascuna Camera,la seconda a distanza non inferiore a tre mesi e maggioranze qualificate(richiesta solo in seconda deliberazione). FONTI PRIMARIE:LEGGE ORDINARIA DELLO STATO La legge ordinaria dello Stato è fonte a competenza generale nel senso che,salvo il disposto dell'art.117 Cost., disciplina le materie che riguardano interessi e valori generali riferiti al popolo italiano nella sua totalità.E' atto- fonte abilitato a produrre norme primarie e dotato di forza di legge. Alla legge la Cost. affida importanti materie le cd. riserve di legge:tale istituto consiste in una espressa limitazione della potestà normativa all'esecutivo,operata dalla Costituzione a favore del legislatore appunto in determinate materie affinchè quest'ultime siano regolate soltanto mediante legge e non con altri atti normativi(regolamenti ecc.) Esistono diversi tipi di riserve di legge:  riserve implicite:quando non sono espressamente previste dalla Costituzione(es.art.72)  riserve rinforzate:quando la Costituzione,nel riservare la materia alla legge,determina anche ulteriori limiti di contenuto(es.art.16)  assolute:quando al legislatore è imposto di disciplinare la materia in modo tendenzialmente compiuto,per cui ai regolamenti può essere lasciata la sola disciplina di dettaglio,meramente esecutiva  relative:affidano al legislatore la disciplina degli aspetti fondamentali della materia,assicurando maggior spazio al potere regolamentare e alla discrezionalità dei pubblici poteri.La distinzione si fonda spesso su dati letterali,in quanto le riserve relative sono introdotte da espressioni come “in base alla legge”,mentre quelle assolute da termini come “nei casi previsti dalla legge”  riserve di legge costituzionale:quando la materia è affidata a leggi costituzionali.In tal caso la riserva di legge è sempre assoluta  formale:quando si riferiscono solo alla legge formale approvata dal Parlamento e non agli atti equiparati alla legge o alla legge regionale es.art.77-78 FONTI PRIMARIE:DECRETI LEGGE E DECRETI LEGISLATIVI O DELEGATI La Costituzione in deroga al principio della separazione dei poteri attribuisce poteri normativi di rango primario anche al Governo che può deliberare i decreti legge o legislativi.Entrambi sono emanati dal Presidente della Repubblica. Tali atti hanno la stessa forza formale delle leggi ordinarie. La potestà primaria del Governo non è autonoma né ordinaria nel senso che la Costituzione ha previsto comunque l'intervento del Parlamento in funzione di garanzia del potere governativo. Il Governo,infatti,non può adottare i decreti legislativi senza una previa legge di delegazione,mentre i decreti legge,adottati solo in casi di urgenza e necessità,hanno efficacia provvisoria e devono essere convertiti in legge dalle Camere.La conversione in legge delle Camere deve avvenire entro 60gg altrimenti decadono con effetto ex tunc. FONTI PRIMARIE:LEGGE REGIONALE Sono leggi emanate dalle Regioni,nell'esercizio della potestà legislativa riconosciuta loro dalla Costituzione(art.117 Cost) e soggette alla Costituzione ed ai vincoli derivanti dall'ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali. L'individuazione delle materie di competenza regionale deve tener conto del nuovo testo dell'art.117 Cost, il quale,dopo aver individuato le materie di competenza esclusiva della Legge dello Stato provvede ad elencare le materie di competenza concorrente fra Stato e Regioni stabilendo infine che con riferimento “ad ogni materia non espressamente riservata alla legislazione dello Stato”alle regioni spetta una potestà legislativa esclusiva(art.117.4) 1.2.4 FONTI SECONDARIE:I REGOLAMENTI STATALI,NON STATALI E ORDINANZE (integrato con diritto costituzionale) pag.15 Per definizione le fonti secondarie sono subordinate alle fonti primarie e consistono in una categoria eterogenea di atti normativi di competenza del governo,dei ministri e degli organi centrali e periferici dell P.A,delle regioni e degli enti locali. Da non confordersi con gli altri atti normativi che hanno il medesimo nomen iuris:trattandosi di fonti subordinate alle fonti primarie,le fonti secondarie sono distinguibili dai regolamenti comunitari e dai reg.parlamentari. Le fonti secondarie si dividono in :regolamenti,ordinanze e statuti Quindi sono atti formalmente amministrativi, perchè emanati dall'esecutivo ma anche da enti locali territoriali, ed aventi forma normativa perchè concernenti norme idonee ad innovare l'ordinamento giuridico con caratteri di generalità ed astrattezza. La generalità e l'astrattezza sono due principi della norma giuridica dove per generalità si intende che il precetto contenuto in una disposizione normativa deve avere efficacia erga omnes,astrattezza nel senso che la norma prende in considerazione casi astratti a cui dovranno ricondursi tutte le fattispecie concrete che presentino gli stessi caratteri contemplati a livello di previsione teorica.La dottrina ha poi aggiunto anche il carattere delll'innovatività cioè l'attitudine a determinare una modificazione dell'ordinamento. I REGOLAMENTI: Il fondamento della potestà regolamentare trova collocazione nelle seguenti disposizioni della Costituzione: art.87.5 prevede che il Presidente della Repubblica ”emana i regolamenti” artt.121.4 e 123.1 che stabiliscono,rispettivamente,che il presidente della giunta reg.”emana i regolamenti regionali” e lo statuto regionale ne regola la pubblicazione l'art .117.6 distribuisce la potestà regolamentare fra Stato,regioni ed enti locali. Anche se le fonti secondarie non costituiscono un sistema chiuso come le fonti primarie,la potestà regolamentare,per essere legittimamente esercitata,deve trovare fondamento,in una norma di legge che attribuisca al titolare il relativo potere(principio di legalità). Sono quindi espressione delle P.A e del potere di Governo necessari per disciplinare la loro organizzazione e la loro azione. I regolamenti possono essere emanati da: (titolarità della potestà regolamentare) 1. organi statali (Governo e singoli ministri) 2. regioni:la riforma del titolo V della parte II della Cost. affida alle regioni potestà regolamentare nelle materie di legislazione concorrente,residuale di cui all'art.117 e nelle materie in cui lo Stato ha potestà legislativa esclusiva e per le quali abbia delegato alle regioni la normazione secondaria. 3. provincie e comuni 4. altri enti o organi.:l'ordinamento contempla anche potere regolamentare ad altre autorità,quali le autorità portuali,i prefetti e delle amministrazioni indipendenti (VEDI CAP.3),aziende speciali del comune,camere di commercio. Per quanto riguarda il Governo i regolamenti sono disciplinati dall'art.17 della L.400/1988 ,(tale legge per la prima volta ha previsto la potestà regolamentare dei ministri), che distingue tra regolamenti governativi,ministeriali e interministeriali.(regolamenti statali) a) regolamenti governativi:sono approvati dal consiglio dei ministri,sentito il parere del Consiglio di Stato che deve pronunciarsi entro 45 gg. dalla richiesta,e sono emanati con la forma del decreto misure di esecuzione che ciascuno stato membro può adottare secondo la propria normativa. Tali norme hanno valore primario alla stregua delle leggi in quanto si immettono automaticamente nel nostro ordinamento. Esse,inoltre si sottraggono anche al sindacato della Corte Costituzionale.(primato del diritto comunitario) Questa esenzione trova il suo fondamento nell'art.11 Cost:”l'Italia in condizioni di parità con gli altri Stati,consente alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia fra le nazioni”.Di conseguenza,il contrasto tra diritto comunitario e diritto interno viene risolto sulla base del principio di necessaria applicazione del regolamento comunitario da parte del giudice comune,anche se in contrasto con disposizioni legislative nazionali. Quindi,se un giudice si trova di fronte ad una norma di legge e un regolamento comunitario deve applicare il reg.comunitario e non applicare la norma interna difforme.Si badi però:il principio suddetto non significa che il diritto interno eventualmente contrastante debba considerarsi abrogato o invalido. Partendo dal presupposto che quello comunitario e quello italiano sono ordinamenti separati ma coordinati la Corte considera il diritto interno semplicemente non applicabile quando esiste una disciplina comunitaria. 1.3 FORMAZIONE STORICA DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO omisiss RIASSUNTO CAP.2 DEL LIBRO “LINEAMENTI DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO” di Cerulli Irelli Vincenzo dalla pag.49 alla pag.n.78 2.1.L'AMMINISTRAZIONE PUBBLICA NELLA COSTITUZIONE  principio dell'autonomia art.5:l'amministrazione è affidata agli enti reg. e locali tendenzialmente più vicini agli interessi da soddisfare,secondo il principio di sussidiarietà,differenziazione ed adeguatezza. Secondo l'art.118 Cost. la sussidiarietà può essere in senso verticale,in base alla quale ogni funzione pubblica deve esercitata sulla base di una legge,al livello territoriale più vicino ai cittadini o in senso orizzontale. La sussidiarietà in senso orizzontale significa che ciò che gli enti locali ritengano debba essere fatto,a tutela e promozione degli interessi della comunità,può essere lasciato o affidato all'autonoma iniziativa dei privati.(liberalizzazione delle attività private)  principio del decentramento art.5 Cost.:le funzioni amm.ve devono essere decentrate nel territorio nazionale,o a livello burocratico o a livello istituzionale(attraverso enti autonomi come le camere di commercio);  riserva di legge  principio di legalità art.25,101,113 Cost.:l'attività amm.va deve mantenersi nei binari stabiliti dalla legge o altre forme normative,statali o regionali o locali ed anche comunitarie  principio del giusto procedimento:tende a garantire la retta formazione della volontà dell'amministratore,che deve svolgersi in forme tipiche,osservare determinate procedure,garantire talune forme di pubblicità e trasparenza ed assicurare l'intervento di soggetti coinvolti,sia destinatari che non,del provvedimento stesso;  principio del buon andamento e imparzialità art.97:l'attività amm.va deve essere svolta nel rispetto del principio dell'efficienza,efficacia ed economicità e soddisfare gli interessi pubblici sacrificando anche se necessario taluni interessi privati.Prevede il divieto di operare discriminazioni prive di giustificazioni,l'obbligo di astenersi da parte dei dipendenti interessati al procedimento amm.vo  principio di responsabilità art.28 Cost.:dei funzionari e i dipendenti delle amministrazioni sono direttamente responsabili,secondo le leggi civili e penali,degli atti compiuti in violazione dei diritti. In tali casi la responsabilità civile si estende allo Stato ed agli enti pubblici  principio dell'accesso per concorso agli impieghi pubblici art.97.3 Cost.  Art.98 Cost. “i pubblici impiegati sono al servizio della Nazione” principio questo che conferisce loro un particolare status differente da quello del lavoratore privato che è al servizio del proprio datore di lavoro e non al pubblico. I dipendenti pubblici hanno un dovere in più come ufficiali della Nazione. Da qui la particolare etica cd. etica pubblica che contraddistingue la loro posizione. 2.2 FUNZIONI AMMINISTRATIVE E LIVELLI DI GOVERNO LOCALE 2.2.1 FUNZIONI PROPRIE E FUNZIONI FONDAMENTALI Per funzioni amministrative si devono intendere le attività di amministrazione come quelle intese alla cura concreta degli interessi della collettività. Esse consistono sia in attività propriamente giuridiche(contratti,provvedimenti amministrativi) sia in attività materiali(prestazioni).Tra le funzioni aministrative non sono comprese le funzioni regolamentari.L’art. 118 Cost. enuncia i 3 principi in base ai quali le funzioni amministrative devono essere attribuite ai diversi enti di governo:sussidiarietà, differenziazione,adeguatezza. Altro principio importante è quello della titolarità necessaria delle funzioni proprie: la legislazione quando attribuisce funzioni amministrative agli enti deve anche determinare l’ambito funzionale, oltre che il rispetto dei suddetti principi.Le Funzioni Proprie, indicano l’ambito identificativo dell’ente locale dal punto di vista funzionale, che deve essere rispettato da ogni legislatore. La nozione rappresenta una sorta di garanzia generale dell’effettività dell’autonomia locale, nel senso che assicura in capo a province e comuni un nucleo essenziale di funzioni da esercitare sotto la propria responsabilità. Diverse sono le Funzioni Fondamentali dell'art.117 cioè quelle che devono essere determinate dalla legge dello Stato per l’attribuzione a ciascuna categoria di enti locali.Sono attribuite necessariamente e riguardano sia funzioni tecniche sia servizi pubblici locali.L'inclusione di una attività nel novero delle funzioni fondamentali sottrae la disponibilità del legislatore regionale all'attività stessa a pena di illegittimità delle relative leggi emesse in ambito di quella attività 2.2.2 SUSSIDIARIETA' DIFFERENZIAZIONE ED ADEGUATEZZA L'articolo 118 Cost.ha introdotto nel nostro ordinamento ulteriori e pregnanti principi; recita il primo comma dell'articolo: «Le funzioni amministrative sono attribuite ai Comuni salvo che, per assicurarne l'esercizio unitario, siano conferite a Province, Città metropolitane, Regioni e Stato, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza.» Il principio di sussidiarietà si potrebbe riassumere nella formula: se un ente che sta "più in basso" è capace di fare qualcosa, l’ente che sta "più in alto" deve lasciargli tale compito e sostenerne l’azione. Detto in altri termini il principio di sussidiarietà stabilisce che le attività amministrative vengono svolte dall'entità territoriale amministrativa più vicina ai cittadini (i comuni), ma esse possono essere esercitate dai livelli amministrativi territoriali superiori (Regioni, Province, Città metropolitane, Stato) solo se questi possono rendere il servizio in maniera più efficace ed efficiente. Si parla di sussidiarietà verticale quando i bisogni dei cittadini sono soddisfatti dall'azione degli enti amministrativi pubblici, e di sussidiarietà orizzontale quando tali bisogni sono soddisfatti dai cittadini stessi, magari in forma associata e\o volontaristica.Il principio di sussidiarietà può essere inteso come criterio di ripartizione delle funzioni pubbliche e amministrative fra enti di diversi livelli territoriali di gestione della cosa pubblica.Precedentemente all'introduzione nella Costituzione dell'art. 118 di tale principio vigeva il cosiddetto principio del parallelismo, in virtù del quale spettavano allo Stato e alle regioni le potestà amministrative per quelle materie per le quali esercitavano la potestà legislativa; questo principio non è più in vigore. Il principio di adeguatezza,stabilisce che l'entità organizzativa che è potenzialmente titolare di una potestà amministrativa, deve avere un'organizzazione adatta a garantire l'effettivo esercizio di tali potestà; l'adeguatezza va considerata sia rispetto al singolo ente, sia rispetto all'ente associato con altri enti, per l'esercizio delle funzioni amministrative. Il principio di adeguatezza è citato nell'ordinamento italiano all'art.118. Dal combinato di questo principio con il principio di sussidiarietà, si ricava che se l'ente territoriale a cui è affidata una funzione amministrativa, che per il principio della sussidiarietà dovrebbe essere quello più vicino al cittadino amministrato, non ha la struttura organizzativa per rendere il servizio, questa funzione deve essere attribuita all'entità amministrativa territoriale superiore. Il principio di differenziazione, stabilisce che nell'assegnare una potestà amministrativa, si devono considerare le caratteristiche degli enti amministrativi riceventi; queste sono caratteristiche demografiche, territoriali, associative, strutturali che possono variare anche in misura notevole nella realtà del paese. 2.3 PRINCIPIO DI LEALE COLLABORAZIONE,ORGANI DI RACCORDO E POTERI SOSTITUTIVI Si manifesta in obblighi di collaborazione reciproca nell’esercizio delle funzioni amministrative di competenza dei diversi enti di governo. Questo principio si estrinseca nella necessaria istituzione, tanto a livello statale quanto a livello regionale, di organi di coordinamento e di raccordo tra i diversi livelli di governo, deputati all’esercizio di attività di interesse comune o al raggiungimento RIASSUNTO CAP.3 DEL LIBRO “LINEAMENTI DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO” di Cerulli Irelli Vincenzo dalla pag.79 alla pag.n.159 LE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI COME ORGANIZZAZIONI 3.1. ORGANIZZAZIONI PUBBLICHE E PERSONE GIURIDICHE 3.1.1 CONCETTO DI ORGANIZZAZIONE Le organizzazioni sono sistemi coordinati di uomini e di mezzi appositamente predisposti dall’ordinamento per il perseguimento di determinati fini e per lo svolgimento di determinati compiti. Possono essere organizzazioni compatte (entità formalmente unitaria nonostante la pluralità di uffici), disaggregate (caratterizzate al loro interno di una pluralità di diverse organizzazioni),pubbliche(Stato,Regioni...) oppure private come la spa,una fondazione un sindacato Le organizzazioni pubbliche si distinguono per diverse caratteristiche: 1. sono volute direttamente dalla legge e disciplinate dal diritto pubblico 2. sono organizzazione necessarie e rigide(costituite dalla legge) poste al servizio della collettività 3. la loro organizzazione è oggetto di previsione normativa 4. sono definite anche organizzazioni formali:sono macchine che servono per decidere ed operare curando nel modo migliore ed efficiente gli interessi collettivi e i fini a cui sono preposte. 3.1.2 ORGANIZZAZIONI ED UFFICI Il criterio fondamentale per far fronte alle esigenze che deve perseguire un’organizzazione è quello della specializzazione del lavoro; infatti i compiti propri di un’organizzazione vengono distribuiti tra le differenti unità organizzative che la compongono: gli uffici. Questi sono consistenti di uomini e mezzi tra loro collegati e ordinati per assolvere ad un compito o ad una pluralità di compiti, ad una funzione predeterminata.Gli uffici designano realtà diverse anche sul piano dimensionale.Col termine uffici possono essere identificati sia le unità elementari dell'organizzazione sia ad aggregati di unità elementari a loro volta adibiti a compiti più complessi tra loro coordinati ed omogenei. Gli uffici possono ancora essere monopersonali(composti di una persona) o pluripersonali(composti da più persone).E' naturale che ad ogni modello di ufficio corrispondono diversi istituti giuridici circa la loro struttura ed il loro funzionamento. Ogni organizzazione ha una missione e, nell’ambito dell’organizzazione ciascun ufficio ha specifici compiti che gli sono assegnati nell’ambito del disegno organizzativo complessivo dell'organizzazione. 3.1.3 PERSONE GIURIDICHE PUBBLICHE Le organizzazioni pubbliche sono configurate come persone giuridiche dotate della piena soggettività giuridica, che indica l’attitudine all’imputazione degli effetti giuridici e si identifica con la capacità (giuridica) definita come la posizione generale del soggetto in quanto destinatario di effetti giuridici. La soggettività giuridica spetta al soggetto persona fisica ma, negli ordinamenti moderni, vengono riconosciute ai fini giuridici come soggetti anche delle organizzazioni (costituite ovviamente sempre da uomini) per il perseguimento mediato di determinati fini. Le organizzazioni pubbliche sono riconosciute come persone giuridiche nell'attuale sistema positivo. 3.1.4 PERSONE GIURIDICHE PUBBLICHE E CAPACITA' DI AGIRE Le Persone Giuridiche,oltre ad agire con i propri uffici (vedi.cap.3.1.2) agiscono mediante i loro organi. L’ufficio è il nucleo centrale dell’organizzazione che svolge tutte le attività umane necessarie attraverso i mezzi che gli sono assegnati. Organo è la persona o il complesso di persone preposto ad un centro di imputazione di competenza amm.va e che,pertanto esercita una pubblica potestà.Lo si può definire anche come quella parte dell'ente deputata al compimento di attività giuridica rilevante all'esterno e imputabile all'ente che non rappresenta un'entità distinta ma una parte costitutiva. La relazione che intercorre tra organo ed ente di cui è parte viene denominata rapporto organico. Il rapporto organico è definito come rapporto d'immedesimazione,per effetto della quale,gli atti compiuti dalla persona fisica preposta all'organo si ritengono compiuti dall'organo stesso ed imputati direttamente all'ente di cui l'organo è parte integrante. L’imputazione della responsabilità delle attività espletate avviene in capo alla persona giuridica (e non alle persone fisiche ).Il rapporto organico si differenzia al rapporto di servizio. L’ufficio organo è un ufficio che compie attività giuridica in senso proprio consistente in fattispecie produttive di effetti; la volontà, nel caso dell’organo, è della persona fisica titolare dell’organo. 3.1.5 ATTRIBUZIONE E COMPETENZA Le organizzazioni pubbliche sono create per il perseguimento di determinati fini ed hanno ciascuna una propria attribuzione. Per attribuzione si intende l’insieme delle funzioni e dei compiti che vengono conferiti all’organizzazione. Per le organizzazioni pubbliche l'attribuzione delle funzioni è stabilita dalla legge ed assume rilevante valore perchè la violazione delle norme, concernenti l'attribuzione delle funzioni a codesti enti, dà luogo a nullità degli atti emessi dagli stessi verso l'esterno. Nell’ambito dell’attribuzione di ciascuna P.A., ogni organo di essa è titolare di funzioni e compiti specificamente individuati dalla legge o dagli atti normativi secondari cui la legge rinvia. L’insieme delle funzioni e dei compiti propri di ciascun organo nell’ambito dell’attribuzione complessiva dell’ente o dell’organizzazione viene definita competenza.Il principio della competenza nel diritto amministrativo trova consacrazione nell'art.97 Cost.. La competenza viene distinta in tre categorie:competenza per materia,per territorio e per grado. per materia: quando la ripartizione fra gli organi avviene per compiti(per es.fra Ministeri) per territorio:quando ,ferma restando l'identità di competenza per materia,la ripartizione fra gli organi avviene con riferimento all'ambito territoriale di esercizio delle attribuzioni; per grado:quando ferma restando l'identità per territorio e materia,la ripartizione fra gli organi avviene con riferimento al livello che l'organo occupa all'interno di uno stesso ramo d'amministrazione. Tale competenza presuppone un rapporto di gerarchia,per cui certe funzioni sono affidate all'organo superiore ed altre all'organo inferiore. 3.1.6 DELEGAZIONE,AVVALIMENTO SOSTITUZIONE Le attribuzioni delle organizzazioni pubbliche nonché della competenza dei relativi organi, può essere modificato in virtù di atti assunti dallo stesso ente od organo competente ovvero in virtù di una determinazione esterna rispetto ad essi, in presenza di determinati presupposti. Ciò può avvenire attraverso la delega,per cui si parlerà di delegazioni delle funzioni o tramite avvalimento o sostituzione. La delega è un atto amministrativo con la quale un organo o un ente,investito in via originaria della competenza a provvedere in una determinata materia,conferisce ad un altro organo dello stesso ente(delega interorganica) o ad un ente pubblico distinto(delega intersoggettiva) l'esercizio di un potere di cui resta titolare. Il delegato,quindi non esercita un potere originario,ma un potere derivato nei limiti stabiliti dal delegante nell'atto di delega. Poichè le delega costituisce un'eccezione al principio dell'inderogabilità della competenza nell'ambito della P.A,questa è ammissibile solo quando ci sia una legge che l'autorizzi e sia conferita per iscritto. I poteri del delegante nei confronti del delegato,sorti a seguito della delega sono: 1. impartisce direttive circa gli atti da compiere 2. può sostituirlo in caso di inerzia 3. può annullare in sede di autotutela gli atti illegittimi eventualmente posti in essere dal delegato 4. può revocare la delega. La revocabilità è sempre possibile per atto scritto,mentre solo nel caso di delega interorganica è configurabile una revoca implicita (conservando l'organo delegante il potere di agire in ordine all'oggetto della delega). La delegazione si distingue dalla figura dell'avvalimento. Avvalimento: è una relazione tra due organizzazioni nella quale la prima,nell’esercizio di funzioni di cui sia titolare, utilizza, per il compimento di operazioni istruttorie, preparatorie, tecniche, esecutive, gli uffici dell’altra organizzazione. Sostituzione: In molti casi la normazione positiva prevede in capo ad un ente,nei confronti di un altro ente, il potere di sostituirsi ad esso nel compimento di determinate operazioni o nell’adozione di determinati atti che siano obbligatori in caso di inerzia di un organo gerarchicamente inferiore. 3.2 LE AMMINISTRAZIONI DELLO STATO 3.2.1 MINISTERI Premessa:I ministri,il Presidente del consiglio dei ministri e il consiglio dei ministri compongono il Governo. I ministeri rappresentano l'unità organizzativa dell'amministrazione centrale cui è preposto un ministro ed a cui è assegnata una missione fondamentale di ampia portata. Il ministro è organo individuale,capo di un dicastero e componente dell'organo collegiale di governo cerniera fra governo e amministrazione. I ministeri in funzione, del d.lgs n.300/99, sono n.14 come segue:(a fianco alcune delle loro attività) 1. ministero degli affari esteri:rapporti con gli altri stati e con le organizzazioni internazionali. 2. ministero dell'interno:ordine e sicurezza pubblica,difesa e protezione civile,cittadinanza. 3. ministero della giustizia: att.giudiziaria,rapporti con il CSM,compiti dei magistrati ord., 4. della difesa: difesa e sicurezza militare dello Stato 5. dell'economia e delle finanze:politica economica finanziaria e di bilancio,politiche fiscali 6. delle attività produttive:industria,commercio anche con l'estero,interv.di sviluppo econ. 7. delle comunicazioni: 8. per le politiche agricole e forestali:caccia,pesca e alimentazione 9. dell'ambiente e della tutela del territorio:tutela dell'ecosistema 10. delle infrastrutture e trasporti:assetto del territorio,reti infrastrutturali,politiche urbane 11. del lavoro:sviluppo dell'occupazione,tutela del lavoro,politiche sociali e previdenziali 12. della salute:tutela della salute umana,sanità veterinaria,tutela salute nei luoghi di lavoro 13. dell'istruzione ed università e ricerca:istruzione scolastica e ricerca scientifica e tecnologica 14. per i beni e le attività culturali :beni culturali e ambientali,spettacolo Presso ogni ministero è collocato (o costituito): o Un ufficio centrale del bilancio, che dipende dal Ministero dell’economia e delle finanze; o Un consiglio di amministrazione, presieduto dal Ministro o dal sottosegretario delegato e composto da esponenti della burocrazia ministeriale; o Una commissione di disciplina presieduta da un dirigente generale e composta da altri due membri scelti tra i funzionari del Ministero. Il ministeri sono organizzati secondo due differenti modelli: 1. Modello Dipartimentale: il Ministero si articola in dipartimenti, a loro volta articolati in uffici dirigenziali generali. I dipartimenti sono costituiti per assicurare l’esercizio organico ed integrato delle funzioni del Ministero; c’è un capo al vertice del dipartimento. Modello a Direzione Generale: il Ministero si articola in uffici dirigenziali generali, che vengono coordinati nella loro azione dal Segretario Generale del Ministero ,organo di vertice burocratico che ha la funzione di collegamento fra il ministro e la struttura amministrativa sottostante ed opera alle dirette dipendenze del Ministro. Nell’ambito di ogni circoscrizione provinciale è istituito un ufficio territoriale del Governo che prende il luogo delle tradizionali Prefetture, assorbendone tuttavia le funzioni. A questo ufficio sono attribuite competenze di coordinamento generale dell’attività amministrativa espletata in periferia dagli uffici dello Stato, garantendo “la leale collaborazione di uffici con gli enti locali”. controllo.La costituzione ha pienamente recepito e sugellato la sua posizione nell'ordinamento nell'art.100 cost,stabilendo che “esercita il controllo preventivo di legittimità sugli atti del governo più rilevanti e il controllo successivo sulla gestione del bilancio dello Stato.Partecipa,nei casi e enlle forme stabilite dalla legge,al controllo sulla gestione finanziaria degli enti a cui lo Stato contribuisce in via ordinaria”.L'art.103 aggiunge che la Corte dei conti “ ha competenza giurisdizionale nelle materie di contabilità pubblica e nelle altre materie indicate dalla legge.” L'art.99 della Cost. annovera tra gli organi di consulenza delle Camere e del Governo anche il Consiglio nazionale dell'economia e del lavoro nelle materie indicate dalla legge. E' composto da esperti rappresentanti delle categorie produttive; il Presidente è nominato dal Presidente della Repubblica. È un organo consultivo del Governo, delle camere,delle regioni in materia di politica economica e del lavoro; è organo anche di iniziativa legislativa, nonché preposto all’elaborazione di studi, ricerche e proposte nelle materie predette. 3.2.5 ORGANI DI RACCORDO INFRASTATALI Sono organi a struttura policentrica tipo gli uffici centrali del bilancio (o ragionerie centrali) adibiti al controllo preventivo degli atti di spesa e alla predisposizione dei documenti di bilancio;l’avvocatura dello Stato che provvede alla consulenza legale di tutte le amministrazioni dello Stato e alla difesa delle stesse in giudizio;il servizio di tesoreria centrale e provinciale dello Stato che provvede al servizio di cassa sia in entrata che in uscita per tutti gli uffici dell’amministrazione dello Stato. Un organo di raccordo infrastatale, previsto dal Decreto Brunetta ma non ancora istituito, è la Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche, che è preposta a valutare le performance delle differenti amministrazioni pubbliche. 3.3 GLI ENTI PUBBLICI 3.3.1 I CRITERI DI RICONOSCIMENTO L'art. 4 della L. 70/1975 dispone che nessun ente pubblico può essere riconosciuto o istituito se non per legge. Per gli enti istituiti prima di tale legge si pone il problema di individuare a quali debba essere riconosciuta la natura di ente pubblico. A questo proposito, la dottrina utilizza vari criteri: il criterio del fine pubblico (è pubblico l'ente che persegue fini pubblici), il criterio dei poteri pubblici (è pubblico l'ente dotato di poteri pubblici), il criterio della supremazia (è pubblico l'ente che gode di una posizione di supremazia rispetto ad altri soggetti). Il criterio più seguito, però, è quello del regime giuridico, per il quale è pubblico l'ente assoggettato al regime giuridico tipico degli enti pubblici, ovvero a un sistema di controlli pubblici, all'ingerenza dello Stato (o di altre Amministrazioni) nella nomina e nella revoca dei dirigenti, alle direttive statali nel perseguimento degli obiettivi, etc. 3.3.2 ENTI PUBBLICI ECONOMICI E NON L’ente è qualificato come economico se l’attività che svolge è ascrivibile alle attività d’impresa; un ente è sicuramente economico “se allo scopo di realizzare un fine di lucro e una finalità pubblica, esercita un’attività imprenditoriale diretta alla produzione e allo scambio di beni e servizi,ponendosi sullo stesso piano con gli imprenditori privati svolgenti analoghe attività ed utilizzando gli stessi strumenti del diritto privato”. Essi si pongono in concorrenza coi soggetti economici privati, ma realizzano fini pubblici che spesso non si identificano con i fini di lucro propri delle imprese private. Tuttavia, pur non essendo lo scopo di lucro un elemento essenziale degli enti pubblici economici, è necessario che l'ente operi secondo il criterio della obiettiva economicità, nel senso che l'impresa venga esercitata in modo tale che dall'attività si ricavi almeno quanto occorre per coprire i costi dei fattori di produzione impiegati. Riguardo al regime giuridico degli enti pubblici economici, occorre rilevare che: —sono soggetti all'iscrizione nel registro delle imprese ex art. 2201 c.c. e alla redazione del bilancio consolidato; —non sono assoggettabili al fallimento; —a seconda dell'oggetto sociale dell'impresa, stipulano con l'utenza contratti disciplinati dal codice civile; —operano in regime di concorrenza con gli altri imprenditori privati. 3.3.3. LIMITI COSTITUZIONALI OMISSIS 3.3.4 ENTI STRUMENTALI ED ENTI AD AUTONOMIA FUNZIONALE Gli enti pubblici si distinguono per la loro posizione istituzionale; segnatamente si possono in principio indicare in due grandi categorie: 1. Enti strumentali dello Stato costituiti dallo Stato per far fronte, mediante organizzazioni create ad hoc, a specifici compiti propri dello Stato stesso, in alternativa ad uffici della propria organizzazione. L’ente si trova in una posizione di dipendenza nei confronti dell’amministrazione dello Stato mentre lo Stato ha poteri di ingerenza circa l'attività dell'ente dipendente. 2. Enti ad autonomia funzionale, sono enti espressione di comunità di settore, esponenziali di interessi di categoria in genere nati per iniziativa stessa delle categorie; conservano una propria configurazione funzionale, come espressione degli interessi settoriali di cui sono portatori. Questi enti presuppongono una comunità di soggetti portatori di interessi;questa comunità si autogoverna. Questi enti sono collegati, in quanto enti pubblici, ad un’amministrazione dello Stato. Particolarmente significativi come enti di autonomia funzionale sono le camere di commercio. 3.3.5 MODELLI ORGANIZZATIVI In via generale tutti gli enti sono caratterizzati dai seguenti elementi:  Consiglio d’amministrazione e Presidente nominati dall’autorità di governo;  Gli enti sono sottoposti a poteri di indirizzo e direzione da parte del Governo;  Gli atti degli enti sono sottoposti ad approvazione da parte dell’amministrazione vigilante;  Gli enti sono sottoposti al controllo della Corte dei Conti. In virtù della normativa più recente si distinguono due tipi di categorie di enti ciascuno con un proprio modello organizzativo: enti sottoposti alla disciplina generale di cui al D.lvo.419/99  l'organo di vertice è il Presidente a cui spettano poteri di rappresentanza dell'ente ,o il consiglio d’amministrazione a cui spettano i poteri di indirizzo e controllo strategico  Gli uffici dirigenziali curano l'attività di gestione e sono responsabili degli obiettivi fissati dall'organo di vertice;  i poteri di vigilanza circa la nomina del presidente,del consiglio di amm.ne,approvazione dei bilanci e rendiconti,scioglimento degli organi sono a cura dell'Amministrazione statale;  sono sottoposti al controllo di un collegio di revisori. enti operanti nel settore previdenziale e assistenziale di cui al D.l.vo 479/94  il Presidente a cui spettano poteri di rappresentanza legale dell'Istituto  il consiglio d’amministrazione a cui spettano competenze generarli in materia di amministrazione  il direttore generale responsabile degli obiettivi e dei risultati ;  gli istituti sono sottoposti al controllo di un collegio di sindaci. 3.3.6 ENTI AD AUTONOMIA FUNZIONALE ED INTERESSI DI CATEGORIA A differenza degli enti strumentali, gli enti funzionali sono caratterizzati dalla rappresentatività degli interessi di categoria, tipo le camere di commercio ,l'università, è governati così anche da organi che sono espressione della stessa comunità eletti tramite procedimenti elettorali.Gli enti ad autonomia funzionale sono accumunati agli enti del governo territoriale con la differenza che quest'ultimi hanno come comunità di riferimento la comunità territoriale mentre i primi esprimono una comunità di settore.Hanno un rapporto con lo Stato diverso rispetto agli enti strumentali. 3.3.7 ENTI IN FORMA DI SPA Il fenomeno del conferimento di attività di amministrazione ad organizzazioni costituite in forma di S.p.A. vine denominato privatizzazione in senso formale. Indica il cambiamento della struttura organizzativa di un ente da pubblicistica (azienda autonoma, ente pubblico economico, ente gestore di partecipazioni statali) in privatistica (società per azioni), pur restando sotto il controllo della mano pubblica, dal momento che lo Stato rimane proprietario della totalità delle azioni oppure del pacchetto di maggioranza; è ciò che è avvenuto, ad esempio, col l'ex Azienda autonoma delle FF.SS., poi Ente Ferrovie dello Stato ed oggi Ferrovie dello Stato S.p.A.; vengono fatte rientrare nella privatizzazione in senso formale anche le trasformazioni di enti in aziende dal regime giuridico non privatistico, ma comunque meno soggetto al controllo politico rispetto al precedente, come nel caso della RAI o delle ex aziende municipalizzate, ora aziende speciali, dotate di un maggior grado di autonomia. Queste strane società sono: 1. soggette alla disciplina del codice per tutto ciò che riguarda la loro organizzazione,la contabilità e il bilancio 2. costituite per legge e titolari di funzioni di amministrazione in senso proprio e non esercenti attività di impresa ma affidatarie di interessi pubblici. 3. Sottoposte a particolari deroghe che riguardano:la costituzione con atto legislativo;il divieto di scioglimento se non per atto legislativo;la soggezione ai poteri dei rispettivi ministeri vigilanti;il regime pubblicistico dei beni costituenti il patrimonio delle società;l'inalienabilità delle azioni e la loro intrasmissibilità in assenza di autorizzazione ministeriale,la soggezione al controllo della corte dei conti. 3.3.8 ORGANISMI DI DIRITTO PUBBLICO Di derivazione comunitaria è la categoria ormai recepita nel nostro ordinamento degli organismi di diritto pubblico definiti dall'art.3 del D.lgs.163/2006 come qualsiasi organismo, anche in forma societaria, istituito per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale, dotato di personalità giuridica, la cui attività sia finanziata in modo maggioritario dallo Stato, dagli enti pubblici territoriali o da altri organismi di diritto pubblico. La normativa europea,quindi, individua la nozione alla stregua di tre parametri tutti necessari: 1. il possesso della personalità giuridica 2. il fine perseguito 3. la sottoposizione ad una influenza pubblica. La mera sottoposizione all'influenza dominate dell'ente pubblico non è tuttavia sufficiente perchè il soggetto possa considerarsi organismo di diritto pubblico. Occorre un elemento di tipo negativo prescrivendo che la persona giuridica sia istituita per soddisfare specificatamente esigenze di interesse generale, aventi carattere non industriale o commerciale”.Le tre categorie di requisiti devono sussistere in modo cumulativo. Il soggetto per essere ascritto a questa categoria può essere: finanziato in modo maggioritario dallo Stato, oppure la sua gestione può essere soggetta al controllo dello Stato oppure i suoi organi amministrativi possono essere costituiti da membri designati in via maggioritaria dallo Stato. 3.4 FORME ORGANIZZATIVE DELL'IMPRESA PUBBLICA 3.4.1 ENTI PUBBLICI ECONOMICI (VEDI ANCHE 3.3.2) Gli enti pubblici economici sono una particolare categoria di enti pubblici, i quali agiscono in regime di diritto privato. Il fatto che operino come soggetti privati non esclude che la disciplina che regola tali enti sia anche quella di diritto amm.vo:basti pensare all'autonomia statutaria e regolamentare nonché al potere di autorganizzazione riconosciuti a tali enti.  Svolgono in via principale o esclusiva attività di produzione per il mercato e di intermediazione diretto. Ha compiti di rappresentanza dell’ente, di emanazione dei regolamenti reg.e promulgazione delle leggi; inoltre, dirige le funzioni amministrative delegate dallo Stato alla Regione conformandosi alle istruzioni del Governo della Repubblica (art.121).Si aggiunge che qualora il presidente si dimetta o il consiglio reg.lo sfiduci,o in caso di morte del presidente, si torna a votare sia per il Presidente sia per il consiglio reg. Quasi tutti gli ord.regionali prevedono la figura del difensore civico anche se l'istituto non è previsto in nessuna legge statale è presente in altri ord.europei. Il difensore civico, è un organo monocratico, il cui titolare è eletto dal Consiglio Regionale tra persone dotate di particolari caratteristiche di professionalità. Esercita funzioni di controllo ,monitoraggio e di sollecitazione sulle attività delle amministrazioni regionali nell’interesse di cittadini utenti. Dispone poteri ispettivi,di sollecitazione di amministrazioni inadempienti,in determinati casi di poteri di nomina di commissari per l'adozione di atti dovuti. In ogni regione secondo l'art.123 Cost. deve essere costituito il Consiglio delle Autonomie Locali, come organo fondamentale di raccordo del governo regionale con il sistema degli enti locali. 3.5.4 ORGANIZZAZIONE REGIONALE L'organizzazione regionale ha caratteri differenti rispetto a quella statale.Nella regioni non esistono strutture organizzative separate e differenziate assimilabili ai ministeri ma tutti gli uffici composto un contesto organizzativo unitario. La dipendenza degli uffici dall’autorità politica è, in principio, imputata alla Giunta nella sua collegialità. 3.5.5 ENTI DIPENDENTI E ALTRE ORGANIZZAZIONI REGIONALI Tra le organizzazioni dipendenti dalla regione presentano particolare importanza le unità sanitarie locali (U.S.L.) o aziende sanitarie locali (A.S.L.). U.S.L. è un’azienda dotata di personalità giuridica pubblica ed autonomia imprenditoriale. Suo organo principale è il Direttore Generale che è titolare di tutti i poteri di gestione,coadiuvato da organi consultivi tecnico-sanitari. E' nominato dalla regione ed il suo rapporto di lavoro è regolato da un contratto di diritto privato soggetto a risoluzione in caso di violazioni di legge,per comportamenti di imparzialità e non rispetto del buon andamento dell'attività dell'Asl o per disavanzi gestionali. Il direttore generale nomina i responsabili delle strutture operative,ha la rappresentanza dell'ente,istituisce il controllo interno e nomina il Direttore Sanitario e quello Amministrativo; il primo dirige i servizi sanitari a fini organizzativi ed igienico- sanitari, il secondo dirige i servizi amministrativi. Il Collegio Sindacale verifica l’amministrazione economica dell’azienda ed è composto da cinque membri. Oltre alle U.S.L., l’organizzazione sanitaria regionale si articola nelle Aziende Ospedaliere che derivano dallo scorporo delle U.S.L. dagli ospedali di rilievo nazionale o interregionale. 3.5.6 COMUNI Il comune secondo l'art.3 T.U.E.L è l’ente locale che rappresenta la propria comunità, ne cura gli interessi e ne promuove lo sviluppo. Il comune rappresenta un'articolazione territoriale della Repubblica dotata di autonomia,di uno Statuto e di una sfera di poteri e funzioni secondo principi fissati dalla Costituzione (art.114).Il territorio dei comuni può essere modificato dalla regione con legge. Il comune appare come un microcosmo sociale, composto da individui e formazioni sociali che trovano in questo ente il loro organo rappresentante. La comunità di abitanti si identifica nella stessa collettività dei cittadini residenti nel comune, nella frazione e legati tra loro dal vincolo di abitare nel medesimo nucleo abitativo oppure in collettività parziali e settoriali nell’ambito di quella. Questa comunità può coincidere con l’intera comunità dei residenti del comune ovvero con gli abitanti di uno dei nuclei abitativi compresi nel territorio comunale. 3.5.7 ORGANIZZAZIONE COMUNALE Gli organi che costituiscono l'organizzazione comunale sono: 1. consiglio comunale:è l'organo di indirizzo e di controllo politico-amministrativo,con competenza esclusiva relativamente ad alcuni atti fondamentali per la vita dell'ente. E' organo politico formato da membri eletti dalla popolazione(consiglieri) ed è presieduto dal Sindaco; nelle sedute del consiglio funge da segretario il Segretario Generale.; 2. giunta comunale: compie tutti gli atti rientranti nelle funzioni degli organi di governo,che non siano riservate dalla legge al Consiglio e che non ricadano nelle competenze,previste dalle leggi e dallo statuto,del sindaco o degli altri organi di decentramento;collabora con il Sindaco nell'attuazione degli indirizzi generali del consiglio,riferisce annualmente a quest'ultimo sulla propria attività e svolge attività propositive e di impulso nei confronti dello stesso; 3. sindaco: è eletto a suffragio universale e diretto,rappresenta il Comune,convoca e presiede la Giunta, nonchè il Consiglio quando non è previsto un Presidente,e sovraintende al funzionamento dei servizi e degli uffici e all'esecuzione degli atti. Il Sindaco,che è membro del Consiglio comunale,nomina i componenti della Giunta e ne dà comunicazione al Consiglio. Il Sindaco provvede,sulla base degli indirizzi consiliari,alla nomina,designazione e revoca dei rappresentanti del comune presso enti,aziende e istituzioni varie; nonchè dei responsabili degli uffici e dei servizi dell'ente medesimo.(art.50 T.U.E.L).Il Sindaco ha la piena responsabilità dell'amministrazione del Comune,ma svolge anche funzioni di ufficiale di governo. Il Sindaco come ufficiale di governo sovrintende (art.54 D.lgs.267/2000 T.U.E.L) ): -all'emanazione degli atti che gli sono attribuiti in materia di ordine e sicurezza pubblica -allo svolgimento delle funzioni affidategli in materia di pubblica sicurezza e polizia giudiziaria; -vigilare su tutto quanto possa interessare la sicurezza e l'ordine pubblico -alla tenuta dei registri di stato civile e agli adempimenti in materia elettorale,leva militare e statistica -come titolare del potere di ordinanza può adottare provvedimenti contingibili ed urgenti al fine di prevenire ed eliminare gravi pericoli che minacciano l'incolumità; 4. Il Collegio dei Revisori: è composto di tre membri; è l’organo di consulenza del Consiglio Comunale in ordine alla gestione economico – finanziaria dell’ente, sulla cui regolarità esercita la vigilanza. 5. Il Difensore Civico: organo facoltativo e monocratico, svolge un ruolo di garante dell’imparzialità e del buon andamento della P.A. comunale o provinciale, segnalando abusi, disfunzioni, ritardi della P.A. nei confronti dei cittadini. E' comunque lo Statuto a determinare,oltre i modi di elezione,le prerogative e i mezzi del difensore civico,nonchè i suoi rapporti col Consiglio comunale. 6. Il Segretario Comunale: è un funzionario pubblico posto al vertice amministrativo dell’ente e sovrintende allo svolgimento delle funzioni dei dirigenti e dei responsabili degli uffici e ne coordina l’attività salvo il caso in cui sia stato nominato un direttore generale. 7. Circoscrizione di decentramento: data l'entità demografica dell'ente o la presenza nel territorio comunale di più nuclei abitativi nel Comune, viene distinto il nucleo abitativo principale (capoluogo), che in genere dà il nome al comune, dagli altri nuclei (frazioni) che vengono individuati e delimitati dal comune stesso. Inoltre l’articolazione territoriale può modificare attraverso la costituzione delle circoscrizioni di decentramento, obbligatoria per i comuni con popolazione superiore a 250'000 abitanti e facoltativa pe ri comuni con popolazione tra i 100000 e i 250000 abitanti. È un organismo di partecipazione, di consultazione e di gestione dei servizi di base, nonché di esercizio delle funzioni delegate dal Comune. La modalità del loro funzionamento e di organizzazione sono definite dallo statuto comunale e in apposito regolamento. 3.5.8 I SERVIZI PUBBLICI LOCALI Con l'espressione “servizi pubblici locali” si intende generalmente il complesso delle prestazioni di interesse collettivo rimesse alla gestione degli enti locali e suscettibili di essere erogate tanto dagli enti pubblici stessi,quanto da operatori privati.I servizi pubblici devono avere ad oggetto la produzione di beni ed attività rivolte alla realizzazione di fini sociali nonché a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali. Purtroppo la distinzione fra servizi di rilevanza economica e servizi sociali non è mai agevole. In generale i servizi sociali(o detti anche servizi pubblici privi di rilevanza economica) sono un complesso di prestazioni erogate a soddisfazione di taluni “diritti sociali” individuati dalla Costituzione.(diritto alla salute,diritto alla studio...). Si tratta di prestazioni che non individuano nel lucro la finalità preminente del gestore che è mosso piuttosto da motivazioni di carattere ideale.(valori etici,culturali,religiosi) Sono tipologie di servizi calibrati sulle effettive caratteristiche delle persone che ne beneficiano.I servizi a rilevanza economica sono,invece, erogati a favore di una platea indifferenziata di utenti e costituiscono prestazioni fungibili e standardizzate che possono essere gestiti in forma d’impresa cioè attraverso una modalità di gestione delle attività definita di tipo “economico”che consentirebbe agli enti la completa copertura dei costi con i ricavi. 3.5.9 FORME ORGANIZZATIVE DEI SERVIZI PUBBLICI LOCALI Art. 112. Servizi pubblici locali 1. Gli enti locali, nell'ambito delle rispettive competenze, provvedono alla gestione dei servizi pubblici che abbiano per oggetto produzione di beni ed attività rivolte a realizzare fini sociali e a promuovere lo sviluppo economico e civile delle comunità locali. La gestione dei servizi di rilevanza economica può essere conferita:  a società di capitali individuate attraverso gare ad evidenza pubblica  a società miste i cui soci privati siano scelti sulla base di procedure ad evidenza pubblica  a società con capitale interamente pubblico,purchè svolgano la parte più importante della loro attività proprio con l'ente pubblico titolare del capitale e quest'ultimo eserciti su di esse un controllo analogo alla gestione diretta. L'art.23 bis del D.L.112/2008 ha introdotto delle modifiche circa la gestione dei servizi pubblici a rilevanza economica stabilendo che il conferimento della gestione dei suddetti servizi debba avvenire: a) in via ordinaria a favore di terzi individuati mediante procedure competitive ad evidenza pubblica nel rispetto dei principi del trattato CE e dei principi generali relativi ai contratti pubblici; b) in deroga a quello ordinario nel rispetto della disciplina comunitaria,per situazioni che,a causa di peculiari caratteristiche economiche,sociali,ambientali,non permettano un efficace ed utile ricorso al mercato.(è concesso in altre parole l'affidamento diretto in favore di soc. a capitale interamente pubblico cui l'ente pubblico titolare del servizio partecipa). La gestione dei servizi non di rilevanza economica,come da art.113bis T.U, possono essere affidati direttamente(quindi senza procedere a gare pubbliche):  ad istituzioni  ad aziende speciali  a società di capitali interamente pubblico,a condizione che gli enti pubblici titolari del capitale soc. esercitino su di esse un controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi e che la società realizzi la parte più importante della propria attività con l'ente o gli enti pubblici che la controllano. Si parla in questo caso di gestione in house. Art. 114 Aziende speciali ed istituzioni T.U.di stretta pertinenza sindacale e di quelle che il Sindaco esercita in qualità di ufficiale di governo. Anche gli atti del presidente della Provincia assumono la veste di ordinanza;per le contravvenzioni alle ordinanze vale l'applicazione dell'art.7 del D.lgs.267/2000 ovvero la sanzione pecuniaria da 25 a 500 euro. La città metropolitana è un ente del governo territoriale proprio delle aree metropolitane, che raggruppa in sé le funzioni della provincia e dei comuni compresa nell’area stessa. 3.5.12 I MUNERA NELL'AMMINISTRAZIONE PUBBLICA L’amministrazione in senso sostanziale non sempre è esercitata dalle organizzazioni pubbliche mediante loro uffici. Si danno casi in cui l’esercizio di funzioni amministrative è attribuito dalla legge a soggetti esterni alle organizzazioni pubbliche e in genere privati, a loro volta persone fisiche o giuridiche: uffici privati – munera. In tali casi, il soggetto esterno diviene titolare di un munus (compito) pubblico; il munus non è parte dell’organizzazione pubblica. È un soggetto che esercita le funzioni che gli sono conferite mediante la propria organizzazione e i propri mezzi e, in corrispettivo, riceve un compenso(in denaro) da parte dell’amministrazione pubblica ovvero direttamente dai cittadini o dagli utenti cui la funzione si riferisce. L’attività compiuta dal munus è interamente ad esso imputata e gli effetti si imputano ai soggetti terzi destinatari della funzione. Ci sono casi in cui il munus agisce in nome e per conto dell’organizzazione pubblica e ad essa imputa determinati effetti (rappresentanza).Giuridicamente il munus è soggetto distinto dagli enti nei quali si articola l’organizzazione pubblica e non può essere in alcun modo considerato organo di esse. Nell'esercizio del munus,le persone fisiche ad esso deputate non sono ascrivibili alla categoria dei pubblici ufficiali,ai fini della legge penale,ma a quella degli incaricati di pubblico servizio. I munera possono essere:  Legali: sono persone fisiche inquadrate in determinate posizioni professionali alle quali la legge conferisce direttamente determinate caratteristiche e funzioni. Nell’ambito di questi munera emerge la figura del notaio e il sistema organizzativo del notariato che è deputato all’esercizio di funzioni pubbliche di primaria importanza nella vita di relazione.  Necessitati: si hanno quando la legge autorizza le P.A. ad avvalersi di professionisti esterni per collocarli nella titolarità di uffici pubblici, in genere previsti per far fronte a situazioni di necessità. Sono costituiti con provvedimento amm.vo ed hanno sempre durata temporanea.(es. gestioni sostitutive coattive)  Convenzionali: sono soggetti privati costituiti in munera dall’autorità amministrativa con scelta discrezionale, di regola attraverso provvedimenti concessori o atti convenzionali. Esempio di munera convenzionale e la figura del concessionario di pubblici servizi. CAP.N.4 DISCIPLINA GENERALE DELL'ORGANIZZAZIONE PUBBLICA DAL LIBRO “LINEAMENTI DEL DIRITTO AMMINISTRATIVO” di CERULLI IRELLI VINCENZO dalla pag.n.161 alla pag.n.230 4.1 QUADRO DELLA DISCIPLINA GENERALE Le pubbliche amministrazioni sono sottoposte a disciplina differenziata rispetto alle organizzazioni di diritto comune,dettata dalla legge o da atti normativi secondari adottati in base alla legge. Le P.A non nascono per iniziativa privata, salvo eccezioni previste di riconoscimento come ente pubblico di un ente all'origine privato. Ma anche in tal caso il riconoscimento ne trasforma la natura e assoggetta l'ente alla disciplina della legge. La presenza di questa differenziata disciplina è la ragione per la quale si pone sul piano pratico il problema di stabilire se una determinata organizzazione sia ascrivibile al diritto pubblico o a quello privato,in altre parole, cercare di risolvere il cd.”problema dell'ente pubblico”.La disciplina generale delle P.A. consta di una serie di istituti rapportabili direttamente o indirettamente al principio costituzionale del buon andamento,“cardine della vita amministrativa e quindi condizione dello svolgimento ordinato della vita sociale”.Infatti sono considerati costituzionalmente legittimi codesti istituti solo se risultino conformi a tale principio del buon andamento. 4.1.1 BUON ANDAMENTO Tale principio costituzionale è disciplinato dall’art 97 Cost.come segue “i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione”.Come specificato nel cap.1 e 2,nel rispetto di tale principio, l'attività amm.va deve essere svolta secondo efficienza,efficacia ed economicità e soddisfare gli interessi pubblici sacrificando anche se necessario taluni interessi privati. Prevede il divieto di operare discriminazioni prive di giustificazioni,l'obbligo di astenersi da parte dei dipendenti interessati al procedimento amm.vo. In particolare: o Garantisce l’indipendenza e la neutralità della P.A. da influenze politiche sia sotto il profilo attivo (buona amministrazione: raggiungimento più opportuno, congruo dei fini della P.A.) che passivo (imparzialità della P.A. verso i cittadini, impiegati, funzionari, etc.). o Si indirizza immediatamente e programmaticamente al legislatore, dettando i principi fondamentali che devono ispirare la legislazione, e alla P.A. sulle quali grava il dovere di provvedere alla cura dei pubblici bisogni. Per garantire il rispetto del buon andamento occorre che l'amministrazione efficiente per garantirsi tale deve distribuire correttamente le competenze tra i diversi uffici,utilizzare in maniera adeguata il personale in relazione agli obiettivi attribuiti ai medesimi uffici,calibrare la propria dotazione organica sull'effettiva entità dei propri servizi indispensabili nonché adottare tutti gli strumenti necessari per evitare paralisi dell'azione amm.va. 4.1.2 PERFORMANCE E CONTROLLI DI GESTIONE Il principio del buon andamento ha avuto, in via legislativa, un’importante declinazione dal recentissimo D. Brunetta, nel principio di trasparenza. Questo viene definito come accessibilità totale delle informazioni concernenti ogni aspetto dell’organizzazione allo scopo di favorire forme diffuse di controllo del rispetto dei principi di buon andamento e imparzialità. Fondamentale, in ordine al corretto funzionamento degli uffici, è assicurare le migliori prestazioni da parte del personale (performance) che devono essere oggetto di attenta programmazione al fine di premiare i dipendenti meritevoli e capaci. La performance si articola in un sistema diviso in varie fasi,tra cui occorre citale la definizione degli obiettivi da raggiungere, il monitoraggio della performance,individuale e organizzativa,in corso di esercizio e la rendicontazione dei risultati raggiunti,spettante ai competenti organi di indirizzo politico-amministrativi nonché ai competenti organi esterni,ai cittadini,ai soggetti interessati,agli utenti e ai destinatari dei servizi. La riforma Brunetta indica gli strumenti di valutazione del merito e i metodi di incentivazione della produttività e della qualità della prestazione lavorativa,sulla base dei principi di selettività e di concorsualità nelle progressioni di carriera nonché al riconoscimento degli incentivi. Le P.A. Redigono annualmente il piano della performance che è un documento programmatico nel quale sono definiti indirizzi ed obiettivi strategici ed operativi, indicatori per la misurazione e valutazione della performance. Entro il 30 giugno di ogni anno, l’amministrazione, adotta la relazione sulla performance nel quale sono rilevati i risultati raggiunti rispetto agli obiettivi programmati nel corso dell’anno precedente. I soggetti direttamente chiamati all’attività di misurazione e valutazione della performance sono soggetti esterni rispetto alle responsabilità direttive dell’amministrazione dotati di capacità tecniche e di credibili requisiti di indipendenza. Il D. Brunetta prevede, a tal fine, organismi dislocati a due livelli: 1. Organismo indipendente di valutazione della performance: costituito presso ogni amministrazione pubblica e sostituisce i servizi di controllo interno; svolge una serie di compiti di monitoraggio circa il funzionamento complessivo dell’amministrazione,comunica le criticità riscontrate e garantisce la correttezza dei processi di misurazione e valutazione. E' nominato dall'organo di direzione politica dell'Amministrazione per un periodo di tre anni è può essere monocratico o collegiale di tre membri dotati ovviamente di professionalità ed esperienza. 2. Commissione centrale per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche:un organo indipendente e separato rispetto alle singole amministrazioni pubbliche;ha il compito di indirizzare, coordinare e sovrintendere all’esercizio indipendente delle funzioni di valutazione, di garantire la trasparenza dei sistemi di valutazione. E' composto da cinque membri di elevata professionalità nominati secondo un procedimento inteso a garantire l'indipendenza del Governo. La commissione è dotata di potestà regolamentare circa organizzazione e personale. Tutte le amministrazioni pubbliche sono soggette al controllo della Corte dei Conti riguardo la gestione dell'amministrazione accertando in sede di ulteriori controlli la rispondenza dei risultati dell'attività amm.va agli obiettivi stabiliti dalla legge,valutando costi,modi e tempo dello svolgimento dell'azione amm.va. 4.2 ISTITUTI DI DEMINUTIO E PRIVILEGIO La qualificazione di un ente come pubblico è importante perché comporta conseguenze giuridiche di rilievo.In primo luogo, la qualificazione di un apparato come Amministrazione pubblica comporta, in generale, che è destinatario dell’insieme di norme che possono considerarsi svolgimento di quegli specifici principi costituzionali che fondano il diritto amministrativo, e che hanno come riferimento il fatto che il compito di ogni Amministrazione è la realizzazione di pubblici interessi. Così, la prima categoria comprende i c.d. “istituti di deminutio della capacità”, che comportano l’incapacità in capo all’ente a porre in essere determinati atti, ovvero obblighi di compiere determinati atti od operazioni, in deroga al diritto comune. Tra questi istituti uno dei più importanti (tanto da essere considerato il carattere più qualificante del regime degli enti pubblici) è la perdita della capacità di disporre di sé stessa da parte della preesistente organizzazione, cioè l’indisponibilità della propria esistenza. Tale carattere necessario dell'ente pubblico comporta innanzitutto l’impossibilità per l’ente di autoscioglimento, o di decisione autonoma di privatizzazione, come l’impossibilità di sottrarre i beni alla loro destinazione. Gli enti pubblici sono tenuti al rispetto di determinate norme per quanto riguarda redazione del bilancio, utilizzo dei mezzi finanziari, assunzione di personale. La loro attività deve conformarsi alle norme del D. Lgs.vo n. 165/2001, recante “norme generali sull'ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche”, per quanto riguarda l’organizzazione degli uffici e i rapporti di impiego. Le persone fisiche legate da un rapporto di servizio con un ente pubblico sono tenute al rispetto del segreto d’ufficio e sono soggette ad un particolare regime di responsabilità penale, civile ed espressione di volontà del singolo membro del collegio manifestata in segreto; la determinazione degli eletti avviene attraverso il meccanico conteggio dei voti. Per essere nominati o eletti alla titolarità di uffici pubblici occorrono requisiti soggettivi stabiliti dalla legge; un primo ordine di requisiti concerne qualità proprie della persona, in tal caso si parla di requisiti di accessibilità d’ufficio (es. cittadinanza italiana, requisito dell’età, etc.). Un altro ordine di requisiti concerne situazioni nelle quali si trova la persona, la cui presenza è ritenuta incompatibile con l’ufficio di cui si tratta; in tali casi si parla di incompatibilità. 4.4.5 ILLEGITTIMITA' DELL'ATTO DI INVESTITURA Esistono due tipi di illegittimità dell'atto di investitura: di alcuni membri del collegio: in tal caso si ritiene legittimamente avvenuta l'investitura del collegio se il numero dei membri la cui nomina risulti legittima superi il quorum strutturale; nel caso di collegi perfetti (se il quorum strutturale è uguale alla totalità dei membri necessari per la sua costituzione ) la nomina illegittima, anche di un solo membro del collegio,vizia l'investitura dell'intero collegio. investitura illegittima del titolare nell’ufficio (per es. per esistenza di un rapporto di servizio viziato) si ha il fenomeno denominato funzionario di fatto. Secondo i principi dell'autotutela amm.va l'atto di investitura può essere annullato con effetto retroattivo. Gli atti eventualmente assunti dal funzionario,antecedenti all'annullamento, di fatto possono essere a loro volta annullati su ricorso dei soggetti contro interessati o anche in via di autotutela ove ne sussistano i presupposti, per illegittimità derivata dall’atto di nomina del titolare dell’organo che li ha emanati. Per quanto concerne il regime giuridico degli atti compiuti dal funzionario di fatto si ritiene che, una volta decorsi i termini per l’impugnativa dell’atto di investitura, gli atti sono validi, fatta salva sempre la loro impugnabilità per un vizio diverso da quello di incompetenza. 4.4.6 SOSTITUZIONE NELLA TITOLARITA' DELL'UFFICIO Il titolare dell’ufficio si può trovare, nel corso del rapporto, in situazioni di temporanea incapacità alla tenuta dell’ufficio. Alla temporanea vacanza dell’ufficio si fa fronte mediante gli istituti della supplenza e della reggenza, intesi ad assicurare la necessaria continuità dell’ufficio pubblico, che in nessun caso può rimanere “scoperto” per mancanza del titolare. Supplenza, è l’istituto mediante il quale un soggetto, titolare di altro ufficio nell’ambito dell’amministrazione, subentra al titolare nella titolarità dell’ufficio durante la temporanea vacanza di questo. Il supplente subentra nell’ufficio in via automatica senza atto di nomina. Reggenza, è l’istituto mediante il quale altro soggetto, titolare di altro ufficio, viene nominato a ricoprire l’ufficio per il tempo necessario (incarico interinale).Il titolare sia esso supplente o reggente subentra con piene funzioni le stesse del titolare principale. 4.4.7 CESSAZIONE DEL RAPPORTO D'UFFICIO E SISTEMA DELLE SPOGLIE La cessazione del rapporto di ufficio può avvenire per molteplici cause: 1. morte, impedimento permanente del titolare; 2. dimissioni, che devono essere espressamente accettate dall’Amministrazione in un tempo “congruo”; 3. scadenza del termine nei rapporti a termine; 4. rimozione; 5. il sopravvenire di una causa di incompatibilità. Il rapporto di ufficio dirigenziale è sempre a termine e cessa, quindi, per regola cessa allo scadere del termine stabilito o per risoluzione consensuale delle parti ma può essere rinnovato salvo in mancanza del raggiungimento degli obiettivi prefissati. La titolarità di funzioni dirigenziali apicali viene a cessare alla scadenza del mandato politico dell'organo che ha conferito l'incarico ,ovvero, entro termine stabilito dalla legge a far data da questa scadenza (cd.spoils system).Ciò significa che dovrà provvedere il nuovo organo politico a riconfermare il precedente titolare o nominare un incaricato “diverso” col criterio del “intuitus personae”. 4.4.8 VACANZA E PROROGATIO In conseguenza della cessazione del rapporto di ufficio si verifica la vacanza dell’ufficio (definitiva e permanente). Ciò rende necessario provvedere alla nomina o all’elezione del nuovo titolare da parte dell’Amministrazione competente in tempi rapidi. Nelle more, la continuità dell’ufficio, è assicurata mediante gli istituti della supplenza o della reggenza. Per gli uffici a titolarità politica( sindaci,consigli reg.li,...) la vacanza dell'ufficio è disciplinata da norme speciali diversificate a seconda delle diverse tipologie di organo tanto da provvedere la permanenza in carica degli organi scaduti per determinati periodi con competenze limitate. Diversamente Per gli uffici a titolarità onoraria opera il principio della prorogatio, secondo il quale, il titolare scaduto resta in carica in attesa del nuovo titolare investito dell’ufficio come per legge. La prorogatio risulta essere un istituto eccezionale. Nel periodo di prorogatio,(il legislatore ha previsto che il regime di prorogatio degli organi amm.vi dello Stato è limitata soli 45 gg.dalla scadenza), gli organi possono adottare esclusivamente atti di ordinaria amministrazione, nonché atti urgenti ed indifferibili. Gli atti adottati dall'organo in regime di prorogatio opera pleno jure nei limiti stabiliti dalla legge e sono perfettamente validi. Decorso il termine di proroga, i precedenti titolari, decadono in toto dalla titolarità dell’ufficio ed gli atti straordinari compiuti dagli organi in regime di proroga,al pari di quelli emanati dopo lo scadere del predetto termine di 45gg.,sono nulli. 4.5 TIPOLOGIA DEGLI UFFICI 4.5.1 UFFICI MONOPERSONALI E COLLEGIALI Gli uffici si distinguono in monopersonali (monocratici) e pluripersonali, a seconda che siano composti da una persona fisica ovvero da una pluralità di persone fisiche. Per quanto concerne gli organi, si deve tuttavia avvertire che la titolarità pluripersonale, significa necessariamente collegialità. Organo Monocratico: agisce attraverso una persona fisica che forma la sua volontà secondo il processo naturale – psichico proprio di tali persone, in quanto soggetti dotati della capacità di agire. Organo Collegiale: la formazione e l’espressione della volontà collegiale necessita di un’apposita disciplina giuridica che consente al collegio di agire. Il collegio può essere definito come una pluralità di presone fisiche individuata nel numero e nella qualificazione dei suoi membri, chiamate ad agire non in maniera indifferenziata e separata ma in maniera unitaria. 4.5.2 DISCIPLINA DELLA COLLEGIALITA' La collegialità come forma organizzativa è molto diffusa nell'amministrazione pubblica tra gli organi che hanno funzione consultiva,decisoria e procedimentale.Le ragioni della collegialità sono molteplici : 1. l'esigenza di riunire diverse competenze anche tecniche per l'esercizio delle proprie funzioni; 2. il vantaggio di consentire un confronto immediato e diretto fra i componenti 3. permette un risultato deliberativo sicuramente più congruo Una volta nominati o eletti tutti i suoi membri, il collegio, è in astratto costituito: da questo momento esso,come titolare dell'organo, può costituirsi in concreto ed iniziare a funzionare. Per la costituzione in concreto i membri del collegio devono essere espressamente convocati in un luogo in una data prestabilita tramite comunicazione scritta che deve contenere il cd.ordine del giorno.La convocazione in alcuni casi è atto dovuto del Presidente oppure imposta dalla legge o richiesta dalla maggioranza dei membri del collegio. Perché il collegio sia formalmente costituito, occorre che siano fisicamente presenti un certo numero di membri (quorum strutturale). In assenza di esplicita previsione sul punto, il quorum strutturale si ritiene formato con la presenza della metà dei componenti il collegio più uno. In alcuni casi la legge prevede che per la formale costituzione del collegio occorre la presenza di tutti i suoi membri (collegi prefetti).Nel collegi perfetti sono spesso previsti i membri supplenti chiamati a sostituire i membri effettivi. Una volta costituito formalmente il collegio, il membro Presidente, che ha il compito di dirigere i lavori, sottopone al collegio i singoli argomenti previsti nell’ordine del giorno. Su ogni punto dell'o.d.g il procedimento deliberativo avviene come segue: 1. Il presidente o altro membro del collegio presenta una proposta di deliberazione; 2. la discussione della proposta o modifica della stessa tramite emendamenti di ciascun membro del collegio; 3. votazione palese o segreta a seconda della disciplina di legge 4. formazione della deliberazione. I membri possono anche astenersi dall’esprimere il voto anzi, in alcuni casi l’astensione è dovuta (quando il membro del collegio si trova in situazione di incompatibilità rispetto all’oggetto della deliberazione). La presenza di estranei alla discussione è considerata viziante la legittimità della deliberazione ma è ammessa la presenza alla seduta di persone con attività servente. 4.5.3 DELIBERAZIONE COLLEGIALE La volontà collegiale è assunta con la deliberazione che deve essere tradotta in forma scritta; questa attività si denomina verbalizzazione. Il segretario redige un verbale nel quale descrive la discussione, per sunto, e trascrive precisamente il contenuto letterale di ciascuna deliberazione formatasi. La deliberazione che nasce dal verbale è atto del collegio e produttivo di effetti in quanto dotato della capacità di produrre certezza pubblica. Si considera inesistente quella deliberazione priva di verbalizzazione essendo quest'ultima lo strumento di esternalizzazione della volontà dell'organo collegiale. 4.6 LE RELAZIONI TRA GLI UFFICI 4.6.1 EQUIORDINAZIONE E GERARCHIA Tra uffici e organi di una stessa organizzazione pubblica intercorrono rapporti giuridici articolati e e stabili fondate sulla posizione delle singole strutture che compongono la stessa organizzazione una sorta di status organizzativo di esse. Esistono due tipi di relazione:la gerarchia e la equiordinazione. L'equiordinazione prevede organi tra loro in posizione paritaria, cioè nessuno di essi ha poteri di supremazia nei confronti degli altri. La gerarchia è la relazione di sovraordinazione e subordinazione che esiste tra organi di grado diverso all'interno, in genere,di uno stesso ramo di amministrazione con competenze omogenee: l’organo sovraordinato è dotato, nei confronti del subordinato, di una serie di poteri a fronte dei quali quest’ultimo si trova in una posizione di soggezione. 4.6.2 GERARCHIA IN SENSO STRETTO E IN SENSO LATO La gerarchia si sostanzia nella subordinazione di un organo(cd.gerarchicamente inferiore)rispetto ad altro organo (cd.gerarchicamente superiore) e si manifesta con un potere di supremazia riconosciuto al superiore sull'inferiore. Si parla di gerarchia in senso stretto quando l'organo gerarchicamente superiore è investito di una serie di poteri quali:  posizione di supremazia generale rispetto all'organo subordinato che si manifesta col determinare il contenuto di ogni singola azione che l'organo subordinato deve porre in essere;  potere di direzione dell'attività dell'org.inferiore che si manifesta con l'emanazione di circolari,istruzioni o direttive;  potere di delegare all'organo inf. l'esercizio dei propri poteri nei casi consentiti dalla legge  potere di risolvere i conflitti di competenza tra organi gerarchicamente inferiori.  potere di vigilanza dell'attività dell'org.inferiore che si manifesta con l'emanazione di ispezioni o inchieste,diretto ad accertare l'adempimento di tutti gli obblighi ad essoimputati dalle norme generali ed in particolare a sorvegliare sull'osservanza delle ddisposiozioni di D.lgs.165/2011 che ha integrato e modificato il D.Lgs.29/2/93 contribuendo a quel faticoso processo di avvicinamento del lavoro pubblico a quello privato. Col decreto n.165/2001 è stata realizzata infatti la cd. Privatizzazione del pubblico impiego,espressione con la quale si designa: 1. l'estensione delle norme del diritto privato al rapporto di pubblico impiego spostando la relativa disciplina dall'ambito amministrativo a quello privatistico; 2. la diretta applicabilita' della disciplina della contrattazione collettiva; 3. l'attribuzione del datore di lavoro pubblico degli stessi poteri di gestione del rapporto propri del datore di lavoro privato. Restano escluse dalla nuova normativa,continuando il loro rapporto ad essere regolato in regime di diritto pubblico le specifiche categorie individuate dall'art.3 del suddetto decreto(magistrati, gli avvocati e procuratori dello Stato, il personale militare e di polizia...) 4.7.2 ISTITUTI PUBBLICISTICI NEL RAPPORTO DI LAVORO ALLE DIPENDENZE DELLE PUBBLICHE AMMINISTRAZIONI. Il rapporto di lavoro alle dipendenze delle P.A resta soggetto comunque ad alcuni istituti pubblicistici che possono essere raggruppati sulla base di tre principi che vanno a caratterizzare tutta l’organizzazione pubblica tranne le P.A che assumono la forma di S.p.A. I° Principio: le P.A. non hanno autonoma disponibilità della risorsa di personale che deve essere predeterminata dalla legge. La legge limita la capacità delle stesse nell'assumere personale o a tempo indeterminato addirittura ne fa divieto,salve specifiche eccezioni stabilite dalla legge e deroghe espressamente autorizzate. L'amministrazione usufruisce del personale non liberamente ma sulla base di un atto amministrativo a contenuto generale che ogni amministrazione è tenuta ad adottare,secondo procedimenti e criteri di legge denominata dotazione organica o organico. Nella dotazione organica è stabilito il ruolo del personale secondo le qualifiche ricoperte,l'elenco delle persone in servizio secondo un ordine di anzianità di servizio. 4.7.3 CONCORSO PUBBLICO II° Principio: al rapporto di lavoro con le P.A. si accede per concorso pubblico come stabilito dalla Costituzione in applicazione del principio del buon andamento delle P.A. Il concorso è un procedimento amm.vo a tutti gli effetti e la sua disciplina resta pubblicistica anche a seguito della privatizzazione del rapporto di lavoro alle dipendenze delle P.A. Il procedimento per tutte le sue fasi resta oggetto alla giurisdizione amm.va anche laddove si tratti di concorsi interni,cioè banditi per la progressione di carriera, anche se riservati a soggetti già in servizio presso la stessa Amministrazione. Il concorso si sviluppa in in tre fasi: 1. Bando attraverso il quale la P.A. rende noto che intende procedere all’assunzione di determinate unità di personale. Coloro che hanno le qualità indicate nel bando possono presentare la domanda all’Amministrazione. 2. Selezione degli aspiranti avviene mediante valutazione tecnica dei titoli e mediante prove di esame da parte di una commissione. 3. Formazione della graduatoria da parte della commissione che deve essere approvata dagli organi competenti dell’Amministrazione che ha bandito il concorso. Sulla base della graduatoria approvata dall’Amministrazione questa procede alle assunzioni di personale mediante contratti individuali secondo la disciplina del rapporto di lavoro. 4.7.4 POSIZIONE ORGANICA E STABILITA' DEL RAPPORTO III° Principio: una volta assunto mediante contratto individuale, l’impiegato viene inserito in una determinata posizione nell’ambito dell’organico dell’Amministrazione. A questa posizione corrisponde una determinata qualifica(ora si parla di categoria economica) ed un corrispondente trattamento retributivo (posizione organica). Nell'ambito di ciascuna categoria sono individuate particolari posizioni organizzative a cui corrispondono diversi livelli retributivi. Un'area separata da quella impiegatizia è quella riservata alla dirigenza a cui si accede mediante procedure specifiche previste dalla legge. L’impiegato,inquadrato nella sua posizione organica, acquista, il diritto a svolgere le mansioni proprie di quella qualifica e non altre e non può accedere a categorie professionali superiori se non attraverso procedure concorsuali. Lo svolgimento di mansioni superiori da parte dell'impiegato è irrilevante ai fini della progressione di carriera, fermo restando il diritto alla retribuzione superiore per il periodo di svolgimento delle stesse. Il rapporto di lavoro può essere a tempo indeterminato o determinato. Per regole è a tempo indeterminato a differenza degli incarichi di funzione che sono per regola a tempo determinato. Nelle P.A. è prevista,inoltre, la mobilità ordinaria del personale tra P.A. Altra forma di mobilità è prevista per il caso di eccedenze di personale rilevate nelle P.A.: il personale in disponibilità viene iscritto in appositi elenchi e riceve, per un certo periodo di tempo, un’indennità determinata dalla legge. Trascorso questo tempo il rapporto di lavoro s’intende definitivamente risolto. Il rapporto di lavoro pubblico cessa solo per cause previste dalla legge, o imputabili al lavoratore stesso(dimissioni,sanzioni disciplinari,assenza prolungata dal servizio) e l’impiegato non può essere privato del suo ufficio, tranne nei casi previsti dalla legge (diritto d’ufficio). 4.7.5 DOVERI DI UFFICIO I dipendenti pubblici hanno degli obblighi e doveri nei confronti dell'ente a cui prestano servizio e nel rispetto del principio del buon andamento e imparzialita' dell'azione amm.va. L'impiegato è al servizio del pubblico e dei cittadini e tutta la sua attività deve essere intesa ad assicurare il migliore andamento,efficienza ed efficacia del servizio cui è adibito. Questi principi trovano riscontro nella Costituzione e sono riuniti nel codice di comportamento dei dipendenti delle Pubbliche Amministrazioni. I principi possono essere così riassunti:  obblighi d’imparzialità: correttezza, collaborazione e trasparenza nei confronti dei cittadini e dell’utenza;  obblighi di efficienza nello svolgimento delle proprie funzioni e dell’organizzazione del lavoro nell'interesse dei cittadini assicurando parità di trattamento tra i cittadini;inoltre non deve prendere impegni né fare promesse in ordine a decisioni o azioni dell'ufficio se ciò possa generare o confermare sfiducia nell'amministrazione.  divieto di sfruttare nella vita sociale la posizione pubblica ricoperta e di non utilizzare a fini privati le informazioni di cui dispone per ragioni di ufficio;  astenersi da dichiarazioni pubbliche che possano arrecare danno all’immagine dell’amministrazione;  divieto di partecipazione ad organizzazioni la cui attività possa arrecare danni all’amministrazione;  divieto nell'accettare da soggetti diversi dall'amministrazione retribuzioni o altre utilità pre prestazioni alle quali è tenuto per lo svolgimento dei propri compiti 4.8 PRINCIPI DELLA GESTIONE FINANZIARIA Le organizzazioni pubbliche hanno bisogno di mezzi finanziari per la loro sussistenza organizzativa nonché per lo svolgimento all’esterno delle attività cui sono tenute. L’enorme aumento dei compiti pubblici, ha prodotto un incremento elevatissimo dell’ammontare complessivo della spesa pubblica, e quindi la necessità di mezzi finanziari sempre più ingenti da parte dell’organizzazione pubblica nel suo complesso. Le entrate con le quali le pubbliche Amministrazioni fanno fronte alle loro spese, provengono in massima parte da prestazioni patrimoniali cui tutti i cittadini sono tenuti ad adempiere in ragione della loro “capacità contributiva”. Ci troviamo dunque di fronte, ad una finanza da tributi nella quale il versante dell’entrata è pressoché interamente, salve entità trascurabili, rappresentato dai mezzi raccolti mediante il prelievo tributario. Nonostante l'art.119 Cost.prevede autonomia finanziaria delle regioni attraverso l'istituzione di tributi propri e quote di tributi erariali,il sistema fiscale italiano è caratterizzato dall’accentramento del prelievo tributario nello Stato. Durante gli anni, si è affermata una tendenza a rafforzare i poteri fiscali delle regioni e degli enti locali (fenomeno noto come federalismo fiscale) per ampliare la loro autonomia e responsabilità tributaria volta a garantire la diminuzione della loro dipendenza da trasferimenti statali . Questo tende a sostituire i trasferimenti erariali statali in favore di regioni ed enti locali, con entrate proprie degli enti. 4.8.2 VINCOLI DELLA SPESA E BILANCIO PREVENTIVO Le P.A. sono tenute al rispetto degli obblighi di finanza pubblica stabiliti ogni anno dalla legge finanziaria dello Stato; questi corrispondono al conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica stabiliti in sede di UE nell’ambito del patto di stabilità. Questo contiene parametri di riferimento in materia di debito e di indebitamento degli Stati membri. Tutte le P.A., in un esercizio finanziario, devono adottare un documento contabile chiamato bilancio preventivo redatto in termini di competenza, per l'anno successivo, osservando i principi di unita', universalita' ed integrita', veridicita'.In esso sono rappresentate tutte le entrate e tutte le spese suddivise in capitoli che l’ente prevede di acquisire o effettuare nel corso dell’esercizio (coincidente con l’anno solare). Il bilancio preventivo può essere espresso in termini di competenza e in termini di cassa. Il bilancio di competenza è quello in cui sono rappresentate le entrate che si prevede vengano accertate nel corso dell’esercizio, e le spese che si prevede vengano impegnate da parte dell’ente. Nel bilancio di cassa le previsioni di entrata e di spesa sono riferite rispettivamente alla riscossione e al pagamento. I vincoli derivanti dalle previsioni di cassa e di competenza sono i seguenti:  non possono essere pagate, nel corso dell’esercizio, per un determinato oggetto somme eccedenti rispetto a quanto impegnato nel capitolo di spesa;(la spesa che “sfondi” un capitolo è illegittima)  non possono essere impegnate per quel determinato oggetto somme maggiori di quanto è fissato o disponibile nel capitolo. Se durante l'anno finanziario di copertura del bilancio di competenza(dal 1/1 al 31/12) le entrate preventivamente accertate o le spese preventivamente impegnate non vengono totalmente rispettivamente riscosse o pagate si generano i cd residui attivi o passivi. I vincoli di bilancio non si estendono ai bilanci pluriennali che hanno contenuto meramente previsionale con scopi essenzialmente di programmazione. 4.8.3 PROCEDIMENTI DI SPESA Le spese dell'ente vengono registrate nel bilancio in termini di impegno o di pagamento e possono variare nel corso dell'esercizio finanziario con determinate procedure contabili. La spesa può essere sostenuta dall'ente solo si realizzino le fasi determinate nell' atto amm.vo denominato procedimento di spesa (impegno,liquidazione, ordinazione e pagamento),obbligatorio procedimento contabile per le organizzazioni pubbliche. Il procedimento amm.vo si concretizza dapprima con la registrazione dell'impegno di spesa nel capitolo di bilancio. In caso in cui non fosse registrato un impegno contabile a garanzia del pagamento della spesa si troveremmo di fronte ai cd.debiti fuori bilancio. Una volta effettuata la registrazione dell'impegno in bilancio,cioè determinata la somma da pagare,può avvenire la liquidazione, cioè si determina la somma certa e liquida da pagare nei limiti dell'ammontare dell'impegno definitivo assunto infine l'ordinazione della spesa,attraverso l'emanazione di ordinativi di pagamento e il pagamento attraverso il tesoriere. 4.8.4 RENDICONTO Gli enti pubblici hanno l'obbligo di redigere a fine esercizio un documento contabile chiamto rendiconto o bilancio consuntivo. Il rendiconto viene presentato nei primi mesi dell'anno successivo a quello di riferimento e contiene tutte le entrate effettivamente accertate e le spese effettivamente impegnate, le entrate e le spese incassate e pagate nonchè l'accertamento dei residui,riferiti all'esercizio finanziario chiuso. Il rendiconto segue l’approvazione del bilancio preventivo del successivo esercizio; questo documento oltre ad essere di rilevo contabile è anche considerato uno strumento di rilievo politico-amministrativo per valutare l'efficienza e la funzionalità dell'ente dal momento che dall'analisi dei suoi contenuti traspare tutta l'attività dell'ente. determina; infatti, ogni amministrazione è costituita con una particolare missione cui essa deve attendere in tutta la sua azione. Il principio del vincolo nel fine comporta necessariamente dell'amministrazione nell’ambito della sua discrezionalità debba essere sempre correlata al fine che ad essa è imposto; perciò di ogni scelta debbano essere evidenziate le ragioni circa la necessità e opportunità di essa in relazione a quel fine cd. principio dell’obbligo di motivazione come affermato dall'art.3 L.241/90 e in diritto europeo dall'art.41 Carta dei diritti U.E. 5.2.4 RAGIONEVOLEZZA Il principio di ragionevolezza è strettamente legato al principio di imparzialità stabilito dalla Costituzione art.97 e dalla Costituzione europea. Ragionevolezza significa non arbitrarietà delle scelte. Mentre un privato è libero di perseguire con la propria azione i fini che vuole ciò non può avvenire per le Amministrazioni. Esse non possono agire secondo modalità ed assumendo scelte diverse anche del tutto arbitrarie perchè il loro agire è finalizzato alla cura degli interessi altrui cioè quelli dell'intera collettività. La violazione di detto principio comporta un vizio di eccesso di potere. 5.2.5 IMPARZIALITA' Il principio di imparzialità significa agire in termini di lealtà con soggetti terzi non sacrificando ingiustamente i loro interessi ed adottando altresì il divieto di discriminazione per garantire la migliore amministrazione. 5.2.6 PROPORZIONALITA' Il principio di proporzionalità rappresenta una declinazione dei principi di ragionevolezza e imparzialità. E' presente nel diritto europeo e proprio in ambito comunitario postula che le Autorità comunitarie e nazionali non possono imporre, né con atti normativi, né con atti amministrativi, obblighi e restrizioni alle libertà del cittadino, in misura superiore, cioè sproporzionata, a quella strettamente necessaria (necessity) nel pubblico interesse per il raggiungimento dello scopo che l’Autorità medesima è tenuta a perseguire.(suitability) 5.2.7 PUBBLICITA' Principio di pubblicità equivale parlare del principio di trasparenza. Ai fini della tutela dei propri interessi nei confronti dell'esercizio del potere occorre che gli atti che compongono il procedimento amministrativo debbano poter essere conosciuti dai singoli soggetti terzi portatori degli interessi, i quali hanno perciò il diritto di accedere ai fascicoli e ai documenti d’ufficio. 5.2.8 LEGITTIMO AFFIDAMENTO Secondo questo principio, una situazione di vantaggio assicurata in capo a una persona, o a un’impresa, da un atto dell’autorità amministrativa, non può essere successivamente rimossa se non a fronte di insuperabili e motivate esigenze di interesse pubblico. E in ogni caso salvo indennizzo. 5.2.9 AZIONABILITA' Ogni interesse giuridicamente protetto che venga sacrificato ingiustamente nell’esercizio in concreto del potere, deve trovare tutela davanti a un giudice terzo ed imparziale che esercita la sua giurisdizione nei modi stabiliti dalla legge. Il principio di azionabilità è strettamente connesso a quello di pubblicità. 5.2.10 BUON ANDAMENTO E BUONA AMMINISTRAZIONE Buon andamento significa buona amministrazione, cioè un’amministrazione capace di produrre risultati utili per la collettività, i migliori servizi con i mezzi disponibili. Ciò può avvenire mediante moduli di diritto pubblico ovvero di diritto privato purchè il buon andamento soddisfi gli interessi della collettività. 5.2.11 ECONOMICITA',EFFICACIA E PRECAUZIONE Economicità significa la produzione dei migliori risultati compatibilmente alle risorse disponibili, dove per risorse si intendono sia quelle finanziarie sia umane. Al principio di economicità è collegato l’obbligo di non aggravare il procedimento, se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell’istruttoria (principio del non aggravamento). Il principio dell'efficacia designa l’attitudine di una singola azione amministrativa o di un complesso di azioni, alla produzione dei risultati pratici stabiliti (da non confondere però con l'efficacia giuridica degli atti); programmati dalla stessa amministrazione o imposti dalla legge. Al buon andamento è rapportabile il principio di precauzione, per cui a fronte di determinate situazioni di rischio per alcuni settori (per es. ambientale) l’Amministrazione può adottare provvedimenti di cautela che producono effetti sino a che la situazione non risulti definitivamente chiarita dal punto di vista della sussistenza dei rischi. Questo principio a differenza degli altri di origine comunitaria pone in primo piano la tutela degli interessi pubblici preminenti,rispetto a situazioni private che,sul piano cautelare, debbono essere sacrificate per far fronte a situazioni di rischio. 5.3 IL MODULO TIPICO DI ESERCIZIO DEL POTERE E I RAPPORTI GIURIDICI DI DIRITTO PUBBLICO 5.3.1 POTERE AMMNISTRATIVO E IMPERATIVITA' Il potere amministrativo è una posizione soggettiva di un’autorità amministrativa che le consente (e impone) di adottare determinati atti giuridici, produttivi di determinati effetti, al fine di curare determinati interessi collettivi cui l'autorità amm.va è preposta. Gli atti giuridici,nelle quali il potere si esprime,sono tipici perchè espressamente previsti dalla norma, e costituiti,modificati nel loro contenuto ed estinti esclusivamente dalla norma.Per questo ogni potere amministrativo può essere configurato come una capacità speciale conferita dalla norma alla singola autorità amministrativa. Mentre non esiste una capacità generale di diritto pubblico.Il potere non può essere esercitato per il soddisfacimento di interessi diversi da quello per la cui cura è stato attribuito a quella determinata autorità. Il contenuto dispositivo dei relativi atti giuridici d’esercizio è il risultato della unilaterale volontà dell’autorità amministrativa titolare del potere che a sua volta è tenuta a determinarsi in funzione esclusiva del soddisfacimento dell’interesse pubblico (imperatività). 5.3.2 RAPPORTI GIURIDICI DI DIRITTO PUBBLICO: L'INTERESSE LEGITTIMO L’esercizio del potere instaura concreti rapporti giuridici con soggetti terzi portatori di interessi propri protetti dalla legge ed identificati come portatori di interessi legittimi. L’interesse legittimo è una situazione soggettiva attiva o di vantaggio individuale avente la struttura di una pretesa alla legittimità dell'attività amministrativa,riconosciuta ad un soggetto,che rispetto ad un dato potere della P.A.,si trovi in una particolare posizione differenziata rispetto agli altri soggetti .Il fondamento giuridico degli interessi legittimi viene sancito in tre norme della Costituzione gli artt.24,103,113. Peraltro nessuna delle tre norme fornisce una definizione positiva della figura in esame. I soggetti terzi possono trovarsi in posizione di:  Soggezione, è la situazione di colui che deve subire gli effetti dell’atto di esercizio del potere che si producono nella sua sfera giuridica prescindendo dall’apporto della sua volontà.  Onere, è la situazione del soggetto che dell’atto di esercizio del potere ha bisogno per il soddisfacimento di un suo interesse che, in genere, si realizza mediante l’acquisto di un diritto, di uno status, di una facoltà o di altra situazione di vantaggio. Fino a pochi anni fa, la lesione di un interesse legittimo a opera di un provvedimento amministrativo illegittimo trovava tutela esclusivamente attraverso l'azione di annullamento da proporre innanzi al giudice amministrativo. In seguito a una storica sentenza della Corte di cassazione (500/1999), è venuto meno il principio tradizionale che limitava l'area della risarcibilità nei rapporti tra cittadino e pubblica amministrazione alla lesione di diritti soggettivi. L'azione risarcitoria può essere dunque proposta, come prevede ora espressamente la normativa sulla giustizia amministrativa, anche in caso di lesione dell'interesse legittimo. Giurisprudenza: La sentenza della Cassazione SS.UU., 22.7.99 n. 500, definita storica da molti studiosi ed esperti del settore, ha sovvertito la regola della irrisarcibilità dell'interesse legittimo. La tesi dell'irrisarcibilità si fondava sull'assunto dell'inapplicabilità della normativa contenuta nell'art. 2043 del codice civile rispetto ai casi di lesione di interessi legittimi. I motivi dell'inapplicabilità sono giustificati dal punto di vista del diritto processuale nel senso che unico giudice competente a dichiarare il risarcimento è il G.O. che però è competente per i diritti soggettivi e non per gli interessi legittimi, e ciò perché, dal punto di vista del diritto sostanziale, l'interpretazione - classica - data dell'art.2043 del c.c. è stata orientata solo verso la risarcibilità dei diritti e non degli interessi. In questo modo, una tutela risarcitoria indiretta degli interessi legittimi, veniva riconosciuta dalla giurisprudenza solo in relazione ai c.d. "interessi legittimi oppositivi" (interessi legittimi che sorgono per il privato nei confronti di un atto amministrativo sfavorevole) e non anche in difesa degli interessi legittimi "pretensivi". inoltre, doveva prima intervenire l'annullamento dell'atto illegittimo da parte del G.A. (c.d. condizione di pregiudizialità amministrativa) e solo successivamente si poteva proporre domanda al giudice ordinario per ottenere il risarcimento del danno da lesione dell'interesse legittimo. La sentenza della Cassazione SS.UU. 500/99 ha invece recepito un orientamento che, dapprima solo espressione dell'elaborazione dottrinale, era stato successivamente accolto nell'ordinamento giuridico con il D.lgs n.80/1998, che ha previsto, per la prima volta, la risarcibilità dell'interesse legittimo leso, nei campi dell'edilizia, dell'urbanistica e dei servizi pubblici. Tale sentenza afferma che è legittimo chiedere al G.O. il risarcimento del danno causato da lesione di interesse legittimo, indipendentemente dal preventivo annullamento dell'atto stesso da parte del G.A. Per la prima volta anche gli interessi legittimi pretensivi ricevono tutela, infatti, anche per essi è possibile ricorrere al G.O. per il risarcimento. Infine, nel caso di materia attribuita alla giurisdizione esclusiva del G.A., la tutela risarcitoria per gli interessi legittimi pretensivi e oppositivi, è affidata allo stesso giudice. 5.3.3 SPECIE DI INTERESSI COME SITUAZIONI PROTETTE Per interesse si intende lo stato di aspirazione di un soggetto verso un bene ritenuto idoneo o utile a soddisfare un bisogno. Gli interesse possono essere di diverso genere:conservativi di un bene, estintivi della proprietà,costitutivi tipo l'interesse nel costruire una casa da qui il bisogno di un soggetto nell'avere l'atto autorizzatorio del Comune. Si distinguono così due categorie di interessi: l'interesse oppositivo e l'interesse pretensivo. INTERESSE OPPOSITIVO è quella posizione soggettiva di colui che mira a mantenere una utilità già acquisita ed è costituito dall'interesse alla conservazione di un bene I poteri pubblici ed i relativi provvedimenti che incidono negativamente sulla sfera giuridica del privato sono eterogenei, e possono riguardare:  il diritto di proprietà(espropriazione,servitù..);  il diritto di iniziativa economica ;  la libertà individuale (ordinanze in materia di igiene e sanità, di circolazione stradale, ecc.) La Costituzione sicuramente riconosce e garantisce tali posizioni di vantaggio,(art.24) ma poi demanda alla legge ordinaria il compito di definirle e delimitarle, subordinandole ad altri interessi super-individuali come la funzione sociale della proprietà, l'utilità sociale dell'iniziativa economica, la tutela dell'incolumità individuale, ecc. INTERESSE PRETENSIVO: è un interesse all'acquisizione di un bene perchè il soggetto mira ad ottenere una posizione di vantaggio grazie ad un'attività della Pubblica Amministrazione che incida in modo favorevole sulla sua situazione soggettiva. L'interesse legittimo pretensivo è una posizione giuridica molto affine al diritto soggettivo, con il quale ha diversi punti di contatto. Il confine ontologico tra le due figure addirittura scompare nell'ambito della giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo. Sostanzialmente, l'interesse pretensivo consiste nel potere di pretendere una utilità derivante dal legittimo esercizio di una pubblica potestà. La normativa costituzionale assicura a tutti la facoltà di agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi e proclama sempre ammessa contro gli atti della P.A. La tutela giurisdizionale dei diritti e degli interessi legittimi. Infatti, a fronte di un determinato episodio di esercizio del potere tutti coloro che sono portatori di interessi qualificati hanno una certa protezione dall’ordinamento. 5.3.4 PARTI NECESSARIE E PARTI EVENTUALI DEI RAPPORTI GIURIDICI DI DIRITTO PUBBLICO I portatori di interessi secondo la normativa sul procedimento amm.vo si distinguono in parti giuridica, come nel caso del soggetto espropriato che si oppone al provvedimento di esproprio. La dottrina ha elaborato vari criteri distinti gli tra interessi legittimi e diritti soggettivi. Un primo criterio, elaborato dal Guicciardi, si basa sulla natura della norma. Questa tesi parte dal presupposto che le norme si dividano in due categorie: norme di relazione che, attraverso un giudizio di relazione tra interessi diversi dei soggetti dell’ordinamento, tracciano una netta linea di demarcazione, tra sfera giuridica della P.A. e sfera giuridica dei privati. Verrà a configurarsi violazione di un diritto soggettivo nel caso in cui la P.A. violi quella linea di demarcazione invadendo la sfera del privato. Le norme di azione invece regolano l’esercizio di un potere della P.A. (precedentemente attribuito attraverso le norme di relazione). Si avrà violazione di un interesse legittimo nel caso in cui la P.A. violi questo tipo di norme. Il secondo criterio si fonda sulla natura vincolata o discrezionale dell’attività esercitata. Nei confronti di un’attività vincolata, il privato vanterà un diritto soggettivo. Al contrario, nel caso di attività discrezionale il cittadino può vantare solo un interesse legittimo. L’ultimo criterio è basato sulla distinzione tra carenza di potere o cattivo esercizio del potere: tutte le volte in cui si lamenti un cattivo uso del potere, si farà valere un interesse legittimo. Mentre nel caso in cui si voglia contestare l’esistenza stessa del potere in capo all’amministrazione, si farà valere un diritto soggettivo. 5.4. LA DISCREZIONALITA' NELL'ESERCIZIO DEL POTERE 5.4.1 DISCREZIONALITA' AMMINISTRATIVA L'esercizio del potere amm.vo consente al soggetto o all'organo titolare di adottare tutti gli atti previsti dalla norma per la tutela e la cura degli interessi della collettività in base ad una propria discrezionalità. Discrezionalità amm.va significa che l'amministrazione ha una facoltà di scelta fra più comportamenti giuridicamente leciti per il soddisfacimento dell’interesse pubblico e per il perseguimento di un fine rispondente alla causa del potere esercitato. L'esercizio del potere di dice vincolato nel fine dove il fine è rappresentato dall'interesse pubblico. Il potere discrezionale attribuito alla P.A. può avere una differente ampiezza, la P.A. può avere: o Una discrezionalità piena, cioè può scegliere sia se e quando emanare l’atto, sia circa il contenuto dello stesso; o Una discrezionalità parziale, cioè può scegliere se emanare o meno l’atto, mentre il contenuto è vincolato oppure può scegliere il contenuto da dare all’atto, mentre la sua emanazione è fissata dalla legge a precisi presupposti. 5.4.2 INTERESSI PRIMARI E SECONDARI L’amministrazione deve agire per il soddisfacimento dell’interesse pubblico la cui cura le viene affidata dalla legge,si parla in questo caso di salvaguardia di interessi primari quelli per la cui cura il potere stesso è attribuito. Detto interesse primario convive con altri interessi degni di tutela e coinvolge una serie di interessi dei quali l’autorità, nel suo agire, deve tener conto. Questi interessi sono chiamati secondari. Gli interessi secondari da ponderare sono pubblici, collettivi e privati.; l’interesse primario è sempre un interesse pubblico. Quindi, nell’esercitare la facoltà di scelta, anche se diretta al raggiungimento dell’interesse pubblico (primario), l’amministrazione non può non considerare gli altri interessi in gioco (secondari); essa, nel momento in cui esercita il potere discrezionale è tenuta a compiere una ponderazione comparativa degli interessi in ordine all’interesse primario, al fine di conseguire il fine prefissato con il minor sacrificio di tutte le altre posizioni, pubbliche o private, che con quello vengono ad interferire (c.d. principio del minimo mezzo che connota l’esercizio di qualsiasi potere anche privato). Due esempi renderanno chiaro detto principio. Nel caso di potere discrezionale attribuito alla p.a. per individuare il rimedio più efficace al fine di salvaguardare l’integrità fisica dei cittadini minacciata da un edificio pericolante, senza dubbio l’interesse pubblico primario che il legislatore prende in considerazione nell’attribuire detto potere è la pubblica incolumità. L’amministrazione, quindi, deve cercare di individuare la soluzione più adatta alla tutela di detto bene: demolire l’immobile o adottare gli accorgimenti tecnici per evitare il crollo. Nell’effettuare una scelta la p.a. dovrà tenere conto di tutti gli interessi coinvolti. Il secondo esempio, relativo all’espropriazione per pubblica utilità, chiarisce ulteriormente il senso della discrezionalità come ponderazione comparativa di interessi. La p.a. è titolare di un ampio potere discrezionale nella scelta dell’area da espropriare per realizzare un’opera pubblica. Anche in questo caso l’interesse pubblico alla costruzione dell’opera è prioritario rispetto a quello del proprietario del bene, l’amministrazione, però, deve contemperare gli interessi in gioco. Infatti ciò non toglie, peraltro, che, nell’esercizio di questo potere discrezionale, l’amministrazione non deve sacrificare la posizione del privato espropriando l’area di sua proprietà, senza valutare possibili soluzioni alternative, in ogni caso soddisfacenti per l’interesse primario. Ne consegue che va considerato viziato da eccesso di potere il provvedimento amministrativo ove di dimostri che l’opera pubblica avrebbe potuto comodamente essere realizzata senza espropriare l’area di proprietà privata o senza espropriarla per intero. Quindi, se si dimostra che l’amministrazione, pur potendo scegliere tra una soluzione satisfattiva dell’interesse pubblico di cui è portatrice che non sacrifica o sacrifica solo in parte l’interesse privato e una soluzione che, al contrario, soddisfa in egual misura l’interesse pubblico sacrificando l’interesse privato, opta per la seconda, si è in presenza di una ipotesi di esercizio funzionale del potere; si è cioè al cospetto di un esercizio della discrezionalità che non comporta un’attenta ed equa comparazione dell’interesse pubblico con l’interesse privato” . A seguito dell’emanazione della legge 241/90 sul procedimento amministrativo, la nozione di discrezionalità, come ponderazione comparativa di interessi, ha assunto una maggiore valenza con l’introduzione dello strumento della partecipazione. Ciò consente una migliore valutazione in sede di procedimento amministrativo, degli interessi coinvolti nelle scelte che la p.a. si accinge ad effettuare, nel quadro, peraltro, di una attività amministrativa improntata ai criteri dell’efficienza. Con la partecipazione, quindi, il privato ha la possibilità di evidenziare la rilevanza dei propri interessi ed indicare, all’occorrenza, soluzioni alternative idonee a scongiurare il sacrificio dei propri interessi all’interno del procedimento. Il giudizio si sostanzia nell’individuazione e nell’analisi dei fatti e degli interessi, primario e secondari, sulla base di un’istruttoria da condurre secondo i principi della legge citata. Con la scelta, invece, l’amministrazione, in base alle risultanze del giudizio, adotta la soluzione che ritiene più opportuna e conveniente per la realizzazione del fine primario.La scelta che costituisce l’essenza della discrezionalità amministrativa, per non essere arbitraria, deve essere effettuata nel rispetto di determinati parametri, quali il rispetto dell’interesse pubblico primario, il perseguimento del fine rispondente alla causa del potere esercitato, il rispetto dei principi di logica, imparzialità e ragionevolezza ed, infine, un’adeguata istruttoria, posta in essere da uffici competenti (principio dell’esatta e completa informazione). Il mancato rispetto di questi parametri, oltre che, come visto in precedenza,la mancata considerazione degli interessi dei soggetti coinvolti dall’azione amministrativa, comporta l’illegittimità dell’atto amministrativo sotto il profilo dell’eccesso di potere (l’amministrazione non può, per esempio, esercitare il potere per un fine diverso da quello per il quale il potere stesso le è stato attribuito). 5.4.3 INDIVIDUAZIONE DELL'INTERESSE PUBBLICO L’individuazione dell’interesse pubblico concreto nel quale si esprime la scelta nell’ambito lasciato aperto dalla norma deve avvenire secondo criteri di ragionevolezza (ogni scelta deve essere ragionevole). L’individuazione in concreto del grado di massimizzazione dell’interesse primario a fronte degli interessi secondari emersi deve essere consequenziale rispetto ai dati. 5.4.4.DISCREZIONALITA' E RAGIONEVOLEZZA Il criterio di ragionevolezza si articola in un’analisi in concreto delle scelte effettuate in sede di esercizio del potere. L’amministrazione è tenuta ad acquisire nella loro completezza, e a valutare con il massimo approfondimento tutti gli interessi presenti nella situazione concreta nella quale l’esercizio del potere va ad incidere in quanto tali. Inoltre, l’amministrazione è tenuta a valutare comparativamente tra loro gli interessi e a soddisfare l’interesse primario la cui cura è ad essa attribuita. La scelta nella quale si estrinseca il potere si estende su tutto l’ambito “lasciato libero” dalla legge: fin dove le norme prescrivono non c’è possibilità di scelta; dove le norme tacciono si estrinseca la scelta. 5.4.5 DISCREZIONALITA' E MERITO Nella cura dell’interesse, l’Amministrazione si muove sempre in un più o meno ampio ambito di scelta; in questo ambito si esprime l’esercizio del potere e l’amministrazione può agire entro i limiti posti dalla discrezionalità. La discrezionalità amministrativa è il criterio che orienta l'azione della Pubblica Amministrazione nella scelta tra più comportamenti giuridicamente leciti per il perseguimento dell'interesse pubblico. Secondo la dottrina prevalente la discrezionalità amministrativa si concretizza nel contemperamento tra più interessi secondari (pubblici e privati) e l'interesse primario perseguito. Nell'ambito della discrezionalità amministrativa, la fase della ponderazione dei vari interessi coinvolti costituisce il merito ed è sottratta al sindacato del G.A. La discrezionalità amministrativa consta, dunque, di due fasi, la prima è quella ricognitiva dei vari interessi coinvolti e la seconda è quella che, sulla base della ponderazione comparativa degli stessi, procede alla scelta provvedimentale. La discrezionalità amministrativa va mantenuta distinta dalla discrezionalità tecnica che si caratterizza per il momento discrezionale della valutazione e del giudizio sui fatti supportato da regole tecniche e dall'assenza della successiva fase decisionale. In ogni caso la discrezionalità amministrativa non può trasmodare nell'arbitrio ed è vincolata al limite costituito dal perseguimento dell'interesse pubblico rispondente alla causa del potere esercitato, nonchè dal rispetto dei criteri di ragionevolezza, imparzialità e logica e da un'informazione esatta e completa da conseguirsi attraverso un'adeguata istruttoria. All’Amministrazione si presentano più scelte concrete nell’ambito delle quali essa potrà muoversi con libertà: preferire l’una o l’altra diventa questione di merito amministrativo. Il merito amministrativo coincide con l’opportunità e cioè la conformità della scelta discrezionale dell’atto alle regole di buona amministrazione, regole non giuridiche. Tale concetto è contrapposto a quello di legittimità e cioè la corrispondenza dell’atto alle norme giuridiche che regolano l’azione della Pubblica Amministrazione. Tale merito indica l'ambito della libertà di scelta insito in ogni esercizio di potere amm.vo. Comunque la scelta finale deve essere motivata. 5.4.6 POTERI AMMNISTRATIVI NON DISCREZIONALI Si hanno quando l’Amministrazione non è chiamata a valutare, a fronte di esigenze di cura di determinati interessi, la migliore soluzione tra una pluralità di scelte possibili ma, semplicemente, ad acclarare la sussistenza di fatti al fine di adottare determinati atti e, perciò, produrre determinati effetti stabiliti dalla legge. 5.4.7 DISCREZIONALITA' TECNICA Nell'ambito dell'azione amministrativa, la discrezionalità tecnica consiste nella valutazione dei fatti supportata dalle regole tecniche tratte dalle scienze interessate dal particolare tipo di valutazione; in tal senso la discrezionalità tecnica può consistere nell'applicazione al caso concreto di nozioni e concetti generali derivanti da diverse discipline scientifiche caratterizzate da un più o meno alto grado di certezza in ordine ai risultati derivanti dall'applicazione dei relativi parametri. La discrezionalità tecnica è, dunque, caratterizzata da un momento valutativo, peraltro imperniato sull'utilizzo di regole e concetti di specifiche discipline scientifiche, cui non s'accompagna il momento della scelta successivo. Il momento afferente all'esercizio della discrezionalità tecnica, poi, è sovente servente rispetto ad un successivo esercizio di discrezionalità amministrativa qualora la scelta del migliore assetto di interessi debba fondarsi sulle risultanze di una precedente valutazione tecnica; in tale caso si usa discorrere di discrezionalità mista. E' invece possibile che la scelta risulti integralmente vincolata rispetto alla valutazione tecnica preliminare. L'assenza del momento della scelta, nonchè la particolare natura del momento valutativo imperniato su regole situazioni di estrema urgenza e di particolare delicatezza sul piano economico e sociale. Per es. l'immigrazione clandestina,l'estorsione l'usura. 5.5. CARATTERI E LIMITI DEL POETRE DI ORDINANZA Presupposto per l’esercizio dei poteri di ordinanza è la situazione di necessità verificatasi in concreto. L’ordinanza deve essere adottata “con atto motivato e nel rispetto dei principi generali dell’ordinamento giuridico”. L’esercizio del potere di ordinanza non può dar luogo ad effetti che si pongano in contrasto con norme o principi costituzionali, né con norme di legge in materia di legge coperte da riserva di legge assoluta. L'ordinanza deve essere adottata con atto motivato e nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico e possono derogare a norme di fonte regolamentare nonché a norme di fonte legislativa in materie non coperte da riserva di legge;in materie coperte da riserva di legge relativa nell'ambito di detti limiti. L'applicazione di questi limiti comporta che il potere di ordinanza non possa essere usato per l'emanazione di provvedimenti lesivi della libertà personale, mentre le prestazioni patrimoniali disposte con ordinanza devono essere indennizzate secondo legge. Riassunto del cap. 6 “Il procedimento amministrativo” dalla pag.305 alla n.368 del libro “Lineamenti del diritto amministrativo di Cerulli Irelli Vincenzo 6.1.Il principio del procedimento 6.1.1 Azione procedimentalizzata Il potere amministrativo si esercita attraverso un procedimento, cioè una serie coordinata e collegata di atti e fatti imputati ad organi e soggetti diversi tendenti, nel loro insieme, alla produzione di un effetto giuridico. Sta in questo la differenza dell'attività amministrativa di diritto pubblico con l'attività amministrativa di diritto comune: nella prima ,attraverso il procedimento trova sempre la sua definizione formale in un atto al cui compimento è collegata direttamente la produzione degli effetti (di regola il provvedimento), nella seconda la fattispecie giuridica si esaurisce nell'atto cui la produzione giuridica è direttamente imputata es. il contratto. In conclusione l'azione amm.va amministrativa risulta sempre azione procedimentalizzata (principio del procedimento) e l’atto finale e conclusivo del procedimento può essere oggetto di impugnazione da parte degli interessati con la conseguente cessazione dei suoi effetti giuridici. 6.1.2 Giusto procedimento Il procedimento amm.vo è regolato da principi il primo dei quali è il giusto procedimento. Il procedimento deve essere “giusto” : nel senso che devono essere rispettati i principi dell'imparzialità e della giustizia cioè ogni esercizio del potere amministrativo deve essere preceduto da adempimenti che consentono ai soggetti portatori di interessi di partecipare all'azione amministrativa avanzando istanze, osservazioni e proposte a tutela dei loro interessi medesimi. Inoltre devono essere rispettati anche gli altri principi e regole: 2. principio di trasparenza, obbligo di motivazione del provvedimento amministrativo, di individuare il responsabile del procedimento, diritto di accesso ai documenti amministrativi riconosciuto in capo ai cittadini; 3. principio di semplificazione, introduzione di istituti volti a rendere più celere l’azione amministrativa (es. silenzio-assenso, denuncia in luogo di autorizzazione, etc.). 4. Regole fondamentali: 1. economicità (rapporto tra risorse impiegate e risultati ottenuti) efficacia (rapporto tra risultati ottenuti e obiettivi prestabiliti) e pubblicità (strumento di attuazione del principio di trasparenza, realizzazione diritto di accesso); 2. divieto di aggravamento del procedimento, “la P.A. non può aggravare il procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell’istruttoria”, art. 1 comma 2; 3. obbligo di conclusione esplicita del procedimento, la P.A. deve concludere il procedimento amministrativo con l’adozione di un provvedimento finale espresso, art. 2; 4. obbligo generale di motivazione del provvedimento amministrativo, in applicazione del principio di legalità, dà la possibilità di conoscere l’iter formativo che ha portato all’adozione di quel determinato provvedimento, art. 3. 6.1.3 Avvio formalizzato e necessitato del procedimento La prima fase del procedimento amm.vo è l'avvio formalizzato e necessitato.( Il carattere formalizzato e necessitato significa che l'avvio non può essere casuale, ma deve necessariamente corrispondere o al verificarsi di specifiche condizioni di legge o al verificarsi di una situazione tale da rendere necessario l'esercizio del potere.Tale per cui una volta che si concretizzano queste situazioni, il potere deve essere esercitato l’Amministrazione è la facoltà diventa obbligo di procedere. ) Tale prima fase significa “aprire la pratica” in gergo burocratico. Con l’apertura del procedimento un determinato ufficio dell’ente o dell’organizzazione cui il potere è attribuito, assume su di sé il compito di seguire il procedimento, di predisporre tutti gli adempimenti necessari al fine dell’esercizio del potere. L’Amministrazione cui il potere è attribuito è detta procedente, e non sempre coincide con l’organo cui formalmente è imputato l’atto finale del procedimento. 6.1.4 Necessaria istruttoria Dopo aver avviato il procedimento si apre una preliminare istruttoria di competenza dell'amministrazione procedente denominata necessaria istruttoria. Questa fase consiste nell'acquisizione e valutazione di tutti gli elementi di fatto e di diritto della situazione reale della quale l’esercizio del potere è richiesto e sulla quale esso incide nonché di tutti gli interessi privati,collettivi,pubblici che sono in gioco. 6.1.5 Fonti legislative omissis 6.2.Fase dell'iniziativa 6.2.1 Apertura del procedimento L’apertura del procedimento può avvenire in due modi: 1. A richiesta di parte o ad iniziativa privata: si verifica quando un soggetto interessato sollecita l’esercizio in concreto del potere mediante l’emanazione di un atto. Gli atti tipici sono: a) istanze:domande dei privati interessati,rivolte ad ottenere un provvedimento a loro favore;quando non genera obblighi per la P.A viene definito esposto. b) denunce: sono dichiarazioni presentate dai privati ad un'autorità amm.va al fine di provocarne l'esercizio dei poteri,e ottenere in tal modo l'emanazione di un provvedimento.La presentazione della denuncia può costituire una facoltà o un onere o un obbligo(denuncia dei redditi). c) ricorsi:sono dei reclami intesi a provocare un riesame di legittimità o di merito degli atti della P.A. ritenuti lesivi di diritti o interessi legittimi. Senza la domanda del soggetto legittimato il procedimento non può essere aperto, ma la presentazione della domanda stessa ne impone l’apertura e l'obbligo di procedere da parte dell'ente(vedi cap.6.2.2.).Inoltre ai procedimenti ad istanza di parte, l’art.20 della stessa legge, prevede la possibilità che il procedimento termini mediante silenzio-assenso, e cioè quando all’inattività dell’amministrazione, corrisponde la produzione degli stessi effetti del provvedimento richiesto dalla parte. "Nei procedimenti ad istanza di parte per il rilascio di provvedimenti amministrativi il silenzio dell'amministrazione competente equivale a provvedimento di accoglimento della domanda", (ex art.20, l.241/1990), se l’amministrazione entro il termine di 90 giorni non comunichi all’interessato il provvedimento di diniego o indica una conferenza dei servizi. In sostanza, l’amministrazione provvede espressamente laddove voglia emanare un provvedimento di diniego, potendo altrimenti optare per un comportamento inattivo. 2. Ad iniziativa dell’ufficio: in questi casi l’Amministrazione non appena si configura in concreto l’esigenza di cura dell’interesse, deve dare avvio all’esercizio del relativo potere (cioè aprire il procedimento).L'iniziativa è: a) autonoma:quando l'attività propulsiva promana dallo stesso organo competente per l'emissione del provvedimento centrale o conclusivo;l'atto di iniziativa in questa ipotesi è incorporato nel primo atto del procedimento;può tuttavia essere un atto a sé,come avviene nel caso della contestazione degli addebiti,che è il primo atto del procedimento disciplinare. b) Eteronoma:quando l'atto propulsivo promana da un organo diverso da quello competente ad emettere il provvedimento finale;essa si attua attraverso: i. richieste:sono atti amm.vi consistenti in manifestazioni di volontà con cui un'autorità amm.va si rivolge ad un'altra autorità per sollecitare l'emanazione di un atto che,senza quella richiesta,non potrebbe essere emanato; ii. proposte:sono manifestazioni di giudizio dell'organo propulsivo circa il contenuto da dare all'atto. Una volta aperta la fase d'iniziativa la legge sul procedimento amministrativo ha previsto tre obblighi incombenti sull'amministrazione procedente: dell'identità del responsabile e di controllarne l'operato; 2. responsabilizzano i funzionari preposti alla gestione del procedimento,eliminando le situazioni di anonimato che aveva caratterizzato il precedente sistema e favorendo in tal modo ex art.28 Cost. l'irrogazione di sanzioni penali, civili e amministrative 3. rendono possibile una maggiore celerità del procedimento, individuando l'unità preposta a concluderlo nel più breve tempo possibile. Responsabile del procedimento (artt. 4-6 ) è il soggetto cui è affidata la gestione del procedimento amministrativo. Il nome del funzionario che gestisce il procedimento deve essere messo a conoscenza degli interessati (prima della legge 241/90 tale figura e modalità di comunicazione non era prevista). La P.A. ha l’obbligo di individuare per ciascun tipo di procedimento l’unità organizzativa responsabile dell’istruttoria, di ogni altro adempimento procedimentale e dell’adozione del provvedimento finale; deve altresì rendere pubblica la scelta del responsabile. Il Dirigente di ciascuna unità organizzativa assegna a se stesso o ad altro dipendente dell’unità la responsabilità del procedimento. Fino a quando quest’ultimo non è stato individuato, si considera responsabile del procedimento il funzionario preposto all’unità organizzativa. La P.A. ha l’obbligo di comunicare l’unità organizzativa e il nominativo de responsabile del procedimento ai soggetti nei cui confronti il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti, a quelli che per legge debbono intervenire nel procedimento e, su richiesta, a chiunque vi abbia interesse. Il responsabile del procedimento deve: 1. valutare, ai fini istruttori, le condizioni di ammissibilità, i requisiti di legittimazione e i presupposti rilevanti per l’emanazione del provvedimento finale; 2. compiere tutti gli atti di istruttoria necessari, es. accertamenti tecnici, ispezioni, richiesta di documenti; 3. proporre l’indizione o, avendone la competenza, indire le conferenze di servizi di cui all’art. 14; 4. curare le comunicazioni, pubblicazioni e notificazioni previste dalle leggi e dai regolamenti; 5. adottare, se ne ha competenza, il provvedimento finale, ovvero trasmettere gli atti all’organo competente per l’adozione. 6.4 La fase istruttoria 6.4.1 Caratteri generali della fase istruttoria L’istruttoria è la fase strutturale del procedimento volta all’accertamento dei fatti e dei presupposti del provvedimento ed all’acquisizione e valutazione degli interessi implicati dall’esercizio del potere ai fine dell'emanazione dell'atto. L'attività istruttoria è normalmente di competenza della stessa autorità cui spetta l'adozione del provvedimento finale, attraverso il responsabile del procedimento, e deve concludersi con una relazione scritta, che viene formalmente a condizionare la decisione finale. Il privato può collaborare all'emanazione dell'atto finale indicando i mezzi di prova o rispondendo a quesiti e questioni o integrando con documentazioni di elementi di giudizio acquisiti dal responsabile. La relazione scritta del responsabile del procedimento può essere adeguata all'istruttoria oppure discostarsi dalle risultanze dell'istruttoria,in questo caso deve contenere le ragioni del dissenso. Le attività dell'istruttoria tendono:  all'acquisizione dei fatti(vedi cap.6.4.3)  all'acquisizione degli interessi  all'elaborazione dei fatti e interessi acquisiti nella quale rientra anche la richiesta di pareri. All'istruttoria si applicano i seguenti principi fondamentali:  il principio inquisitorio  principio della libera valutazione delle prove da parte della P.A.  principio del non aggravamento del procedimento se non per straordinarie e motivate esigenze imposte dallo svolgimento dell’istruttoria. 6.4.2 Previa comunicazione di provvedimento negativo La legge n.15/2005 ha inserito l'art 10bis alla legge sul procedimento amministrativo, una norma che rafforza gli istituti di partecipazione e contemporaneamente comporta un aggravamento dei procedimenti ad istanza di parte modificando anche la disciplina dell'istruttoria. Se l’Amministrazione, esaminata l’istanza di parte e conclusa su di essa l’istruttoria, non accoglie l’istanza medesima è tenuta ad esprimere all’interessato, prima dell’emanazione del provvedimento negativo, il suo convincimento e a comunicare i motivi che ostacolano l’accoglimento dell’istanza. Successivamente a tale comunicazione l’Amministrazione aprirà una nuova istruttoria alla quale partecipano gli istanti che presentano osservazioni e documenti riferiti alle motivazioni negative dell’Amministrazione. 6.4.3 Acquisizione dei fatti e dei documenti L’Amministrazione procedente è tenuta ad acquisire i fatti, cioè i singoli elementi dei quali la realtà si compone. È il responsabile del procedimento che accerta i fatti, semplici o complessi che siano. I fatti semplici, in genere, risultano dalla documentazione esistente presso gli uffici o dalla documentazione che, nei processi ad iniziativa di parte, i richiedenti esibiscono a corredo della domanda. I fatti complessi si concretizzano nella verifica delle condizioni di ammissibilità (posizione legittimante,interesse a ricorrere), alla verifica dei requisiti di legittimazione (cittadinanza,titolo di studio) alla conoscenza delle circostanze di fatto (rilevabili con accertamenti semplici quali ispezioni, inchieste). 6.4.4.Certificazioni Secondo l'art.18 della Legge sul procedimento amministrativo: 1. “le amministrazioni interessate adottano le misure organizzative idonee a garantire l’applicazione delle disposizioni in materia di autocertificazione e di presentazione di atti e documenti da parte di cittadini a pubbliche amministrazioni di cui alla legge 4 gennaio 1968, n. 15, e successive modificazioni e integrazioni.” 2. I documenti attestanti atti, fatti, qualità e stati soggettivi, necessari per l'istruttoria del procedimento, sono acquisiti d'ufficio quando sono in possesso dell'amministrazione procedente, ovvero sono detenuti, istituzionalmente, da altre pubbliche amministrazioni. L'amministrazione procedente può richiedere agli interessati i soli elementi necessari per la ricerca dei documenti. 3. Parimenti sono accertati d’ufficio dal responsabile del procedimento i fatti, gli stati e le qualità che la stessa amministrazione procedente o altra pubblica amministrazione è tenuta a certificare. L’art. 18 sancisce l’attuazione del principio dell’autocertificazione in base al quale la P.A. solleva il cittadino dall’onere di certificare riconoscendo la validità delle c.d. autocertificazioni. Trattasi di principio entrato nel nostro ordinamento già nel 1968 in virtù della legge n. 15, principio che però è di fatto rimasto inattuato fino all’avvento delle leggi Bassanini, le quali hanno provveduto ad individuare le tipologie di certificati che possono essere sostituite con dichiarazione del privato. E’ stata così attuata una grande rivoluzione nella Pubblica Amministrazione e data una grande spallata alla eccessiva burocrazia che la caratterizzava. Sempre nel quadro della semplificazione amministrativa è prevista all’art. 19 la possibilità per i privati di intraprendere l’esercizio di un’attività sulla base di una mera denuncia – dichiarazione sostitutiva – senza dover conseguire il prescritto titolo autorizzativo. Sono escluse le concessioni edilizie e le autorizzazioni previste dalle leggi 1089/39, 1497/39, 431/85. Altra figura importante, nell’ottica della liberalizzazione dell’attività dei privati e di miglioramento del rapporto tra P.A. e cittadini, è quella del silenzio- assenso (art. 20), secondo la quale la stessa P.A. deve individuare i casi in cui la domanda di rilascio di un provvedimento autorizzatorio, al fine di esercitare un’attività privata, si considera accolta qualora non venga comunicato all’interessato il provvedimento di diniego entro un dato termine (fissato per categoria di atti in relazione alla complessità del rispettivo procedimento). Le modifiche apportate al testo dell’art. 18 L. 241/1990, consistenti nella sostituzione del c. 2 del medesimo, comportano, da un lato, una maggiore facilità di rapporto del cittadino con l’Amministrazione ma, dall’altro, se male interpretate, possono comportarne anche un certo appesantimento. La differenza fondamentale fra il vecchio ed il nuovo testo dell’art. 18 L 241/1990, infatti, consiste nella previsione del fatto che, in precedenza, l’obbligo per il funzionario responsabile del procedimento di provvedere d’ufficio all’acquisizione di documenti o copie di documenti presso altre Amministrazioni era esteso a tutti i casi in cui tali documenti o copie fossero “in possesso” di queste ultime; nel testo novellato, invece, l’obbligo sorge allorché tali documenti o copie siano “detenuti istituzionalmente” da altre Pubbliche Amministrazioni. Fermo restando che nulla cambia in ordine all’obbligo di acquisire ex officio i documenti già in possesso dell’Amministrazione procedente, la dizione usata dal legislatore – resa peraltro necessaria dall’esigenza di coordinare nel miglior modo possibile le disposizioni di cui alla L. 241/1990 con quelle di cui al D. Lgs. 196/2003 in materia di privacy – potrebbe comportare un appesantimento degli adempimenti a carico dei cittadini richiedenti l’emanazione di un atto amministrativo i quali saranno tenuti ad individuare specificamente l’Amministrazione titolata al legittimo trattamento dei dati. 6.4.5.Acclaramenti tecnici Acclaramenti tecnici o valutazioni tecniche sono dichiarazioni di scienza redatti da uffici tecnici delle Amministrazioni, che non devono essere necessariamente effettuati dall'amministrazione procedente. Il responsabile può chiedere acclaramenti tecnici ad altri uffici o servizi tecnici di altre Amministrazioni o tramite professionisti esterni qualora le competenze tecniche richieste per una determinata valutazione non siano presenti all'interno dell'ente. La disciplina sul procedimento pone un termine entro i quali gli atti medesimi devono essere rilasciati:90 gg. dal ricevimento della richiesta. Se l'ufficio competente per le valutazioni tecniche abbia espresso esigenze istruttorie la scadenza viene prorogata di ulteriori 15gg e per una sola volta dal momento della ricezione da parte dell'uff.stesso degli atti istruttori richiesti. 6.4.6 Ispezioni e Inchieste Alcune volte i fatti da accertare a fini istruttori riguardano persone o cose e accadimenti ma di pertinenza dei soggetti terzi; allora si inserisce nell’ambito dell’istruttoria un vero e proprio procedimento con effetti esterni. Questi procedimenti si denominano: ispezioni e inchieste. Ispezioni: determinati funzionari o agenti delle Amministrazioni (ispettori) si recano presso il luogo nel quale l’ispezione deve essere effettuata oppure convocano presso un determinato luogo le persone che devono essere sentite. In ordine alle cose e alle persone effettuano i necessari acclaramenti: di questi redigono processo verbale; questo atto viene acquisito all’istruttoria del procedimento. Inchieste: vengono condotte da organi straordinari i cui poteri sono delimitati dall’atto di nomina della commissione d’inchiesta e si riferiscono ad eventi parimenti straordinari. I risultati dell’inchiesta vengono poi acquisiti all’istruttoria del procedimento attraverso verbale d’inchiesta. 6.4.7 Determinazioni L’Amministrazione procedente deve acquisire le determinazioni delle diverse Amministrazioni circa i vari interessi pubblici coinvolti in un procedimento amministrativo, prevedendo a riguardo uno strumento di applicazione generale (conferenza di servizi). 6.4.8 Conferenza di Servizi L’istituto della conferenza dei servizi è regolato dall’art. 14 della L. 241/90 e successive modifiche, esso non è altro la conferenza delle pubbliche amministrazioni in un tavolo comune, per poter meglio risolvere i problemi e confrontarsi su tematiche comuni, semplificando e razionalizzando così i procedimenti. L’utilità di una entità organizzativa come la conferenza di servizi assume, quindi, particolare importanza relativamente alle ipotesi di concorso di Amministrazione appartenenti a distinti apparati, insuscettibili di coazione mediante direttive vincolanti emesse da un organo di vertice. La complessità dei procedimenti segue alla complessità degli interessi sui quali incidere e alla pluralità degli organismi amministrativi, ciascuno dei quali ricollegabili anche a distinti centri di potere, alieni da organizzazioni di tipo gerarchico. La conferenza di servizi è, dunque, uno strumento utile per favorire la contestualità delle decisioni, mediante l’apporto contemporaneo delle singole Amministrazioni, a distinti titoli competenti, essa, peraltro, non equivale al superamento della distribuzione delle competenze. La L. 241/90 prevede, secondo una ormai consolidata distinzione dottrinale, due forme di conferenza di servizi, la conferenza 1. la comunicazione di avvio del procedimento:la comunicazione deve contenere l’oggetto del procedimento, l’amministrazione competente, il responsabile del procedimento, la data entro cui deve concludersi lo stesso e i rimedi esperibili in caso di inerzia della P.A.,l'ufficio presso cui è possibile prendere visione degli atti. La comunicazione va effettuata: ai soggetti nei confronti dei quali il provvedimento finale è destinato a produrre effetti diretti;ai soggetti che per la legge debbono intervenire ;ai soggetti individuati o facilmente individuabili che possono subire un pregiudizio dal provvedimento. 2. il diritto di partecipare al (o intervenire nel) procedimento,art.9: "qualunque soggetto, portatore di interessi pubblici o privati, nonché i portatori di interessi diffusi costituiti in associazioni o comitati, cui possa derivare un pregiudizio dal provvedimento, hanno facoltà di intervenire nel procedimento". 3. il diritto di accesso agli atti del procedimento:si esercita mediante richiesta motivata rivolta all’amministrazione che ha formato il documento per esaminarlo o estrarne copia. La P.A. ne caso in cui ritenga di non dover accogliere la richiesta può respingerla se la stessa abbia ad oggetto documenti esclusi dal diritto di accesso, limitarla in riferimento ad alcuni dei documenti richiesti e differirla laddove la conoscenza dei documenti possa impedire o gravemente ostacolare lo svolgimento dell’azione amministrativa. 4. il c.d. preavviso di rigetto con riferimento ai procedimenti su istanza di parte; 5. gli accordi con i privati per la determinazione del contenuto del provvedimento ovvero in sostituzione dello stesso. (In accoglimento di osservazioni e proposte presentate dai partecipanti e dagli intervenienti al procedimento l’amministrazione, senza pregiudizio dei diritti dei terzi, e in ogni caso nel perseguimento dell’interesse pubblico può stipulare accordi integrativi con gli interessati all’azione amministrativa al fine di determinare il contenuto discrezionale del provvedimento finale o comunque in sostituzione dello stesso(accordo sostitutivo del provvedimento) La stipula dei suddetti accordi è manifestazione di diritto pubblico e gli stessi devono essere stipulati per atto scritto a pena di nullità, salvo che la legge disponga diversamente. Ad essi ad ogni modo si applicano i principi del codice civile in materia di obbligazioni e contratti in quanto compatibili. I soggetti portatori di interessi del procedimento sono parti di diritto pubblico nel quale si articola il singolo episodio di esercizio del potere. Questa qualità di parte del rapporto conferisce al soggetto un potere di partecipazione al procedimento; questi soggetti possono distinguersi in due categorie:  Portatori degli interessi: sono i titolari del potere di partecipazione al di là delle “parti necessarie”.(art.7)  Soggetti pubblici ed organizzazioni pubbliche: sono interpellati dal responsabile del procedimento al fine di acquisire le determinazioni, ma in via generale essi hanno sempre il potere di intervenire nel procedimento (di cui hanno notizia) per rappresentare le esigenze proprie dell’interesse pubblico loro imputato. 6.4.13 Tipologia degli interessi nel procedimento L'art 9 L.241/90 distingue tre tipi di interessi i cui portatori hanno facoltà di partecipare al procedimento: Interesse pubblico: è quello che attiene alla comunità nazionale o alle comunità minori, territoriali e non nelle quali si articola la plurisoggettività dell’ordinamento. Interessi collettivi: emergono dalla concretezza della vita sociale come propri di un gruppo o di una categoria sociale di una comunità indifferenziata di soggetti che si autorganizzano un centro di riferimento e di cura dell’interesse comune al gruppo medesimo. Gli interessi collettivi sono, dunque, quegli interessi legittimi che fanno capo ad un ente esponenziale di un gruppo non occasionale, mentre gli interessi diffusi fanno capo ad una formazione sociale non organizzata e non individuabile autonomamente. Interesse privati : interessi comuni ad una pluralità diversa di soggetti portatori di interessi diffusi. L'interesse collettivo e privato sono da qualificare come portatori di interessi legittimi:partecipano al procedimento nella gestione di un interesse proprio e personale. 6.4.14 Portatori degli interessi I portatori di interessi privati e collettivi sono portatori di interessi legittimi e partecipano al procedimento nella gestione di un interesse proprio e personale, di una situazione soggettiva. I portatori di interessi pubblici sono portatori di interessi della collettività dei quali ad essi ne è stata affidata la cura. I portatori pubblici, a fronte di questi interessi, hanno un dovere – potere, una potestà di provvedere (sono parti necessarie del rapporto). 6.4.15 Intervento nel procedimento Tutti i soggetti hanno, dunque, la facoltà di intervenire nel procedimento. Questa partecipazione consiste nella rappresentazione di fatti e di interessi propri del soggetto dei quali l’Amministrazione deve tener conto ai fini della decisione da assumere. I soggetti portatori di interessi hanno diritto:  Di prendere visione degli atti del procedimento, salvi i limiti generali al “diritto di accesso”;  Di presentare memorie scritte e documenti che l’Amministrazione ha l’obbligo di valutare ove siano “pertinenti all’oggetto del procedimento”. 6.4.16 Atti della partecipazione La rappresentazione della partecipazione del soggetto avviene per atti scritti che egli sottoscrive e presenta all’Amministrazione procedente; ovvero mediante documenti scritti non imputati al soggetto ma in suo possesso. L’Amministrazione deve valutare le memorie e i documenti presentati dagli interessati specificando “ove siano pertinenti all’oggetto”. 6.4.17 Limiti alla partecipazione La normativa della L. sul Proc. Amm. concernente la partecipazione degli interessati, non si applica all’attività amministrativa “diretta all’emanazione di atti normativi, amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione”; ed altresì non si applica “ai procedimenti tributari” nonché ad alcuni procedimenti aventi ad oggetto la tutela della pubblica sicurezza. 6.4.18 Procedimenti Segreti e Riservati I procedimenti segreti sono quelli che hanno ad oggetto la “segretazione” di atti o documenti perché coperti dal segreto di Stato. Qui, l’applicazione degli istituti di partecipazione è sicuramente esclusa, e neppure il contenuto del provvedimento finale può essere esternato. I procedimenti riservati possono sussistere quando si rinvengono delle esigenze che non si esauriscono in quelle di “celerità”, né sono risolvibili con l’adozione di provvedimenti cautelari. 6.5 Il “Diritto di Accesso” ai documenti Amministrativi 6.5.1 Diritto di Accesso Il diritto di accesso rappresenta principio generale dell’attività amministrativa. L’art.22 della legge sul procedimento specifica che tale principio "costituisce principio generale dell'attività amministrativa al fine di favorire la partecipazione e di assicurarne l'imparzialità e la trasparenza, ed attiene ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ai sensi dell'articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione. L’accesso, in effetti, costituisce uno strumento attraverso il quale il privato può verificare l’esistenza di eventuali errori o illegittimità nel procedimento amministrativo e tentare di indurre l’amministrazione procedente a correggere il suo operato. Per converso, l’accesso non può essere inteso quale strumento teso ad operare un controllo generalizzato sull’operare delle amministrazioni. Secondo tale articolo il diritto di accedere ai documenti amministrativi compete a tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento. La legge sul procedimento afferma che "è considerato documento amministrativo ogni rappresentazione grafica, fotocinematografica, elettromagnetica o di qualunque altra specie del contenuto di atti formati o comunque utilizzati ai fini dell'attività amministrativa dall'istituto". I soggetti passivi, obbligati a consentire l’esercizio del diritto di accesso, secondo quanto prevede l’art.23 sono: le pubbliche amministrazioni, le aziende autonome e speciali, gli enti pubblici e i gestori di pubblici servizi. Il diritto di accesso nei confronti delle Autorità di garanzia e di vigilanza si esercita nell'ambito dei rispettivi ordinamenti. L’art.24 prevede due limiti al diritto di accesso: limiti facoltativi, sanciti dai soggetti passivi, che hanno l’effetto di differire l’accesso agli atti fino a quando la conoscenza dei documenti possa impedire o gravemente ostacolare lo svolgimento dell’azione amministrativa. Limiti tassativi, sono stabiliti in forma discrezionale dalla P.A. e producono un differimento all’accesso dei documenti. I soggetti che intervengono nel procedimento hanno il diritto di prendere visione degli atti del procedimento. Il diritto ad una buona amministrazione comprende, infatti, “il diritto di ogni persona di accedere al fascicolo che la riguarda, nel rispetto dei legittimi interessi, della riservatezza e del segreto professionale”. 6.5.2 Contenuto del Diritto di Accesso Il diritto di accesso si esercita mediante richiesta motivata rivolta all’amministrazione che ha formato il documento per esaminarlo o estrarne copia. La P.A. ne caso in cui ritenga di non dover accogliere la richiesta può respingerla se la stessa abbia ad oggetto documenti esclusi dal diritto di accesso, limitarla in riferimento ad alcuni dei documenti richiesti e differirla laddove la conoscenza dei documenti possa impedire o gravemente ostacolare lo svolgimento dell’azione amministrativa. Il diritto di accesso può riguardare ogni documento, di qualunque forma, in possesso dell’Amministrazione, purché inerente ad attività qualificabili come amministrative. L’accesso ai documenti non è consentito solo alle P.A. e ai gestori di pubblici servizi, ma ad ogni soggetto (anche di diritto privato) purché agente nell’ambito di determinate attività. 6.5.3 Legittimazione all’accesso La legge n. 15/2005, all’articolo 22, comma 1, lett.b) definisce “per interessati, tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso”. Dalla definizione così riportata emerge come il legislatore abbia esteso la qualifica di ‘interessati’ ai soggetti privati ‘portatori di interessi diffusi’. La lettera C del primo comma dell'articolo 22 definisce “controinteressati” tutti i soggetti privati, compresi quelli portatori di interessi pubblici o diffusi, che abbiano un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l'accesso. A fronte di una richiesta di accesso, quindi, possono apparire dei soggetti contro interessati all'accesso stesso, tutti quei soggetti, individuati o facilmente individuabili in base alla natura del documento richiesto, che dall'esercizio dell'accesso vedrebbero compromesso il loro diritto alla riservatezza. La attribuzione ad un soggetto della qualifica di contro interessato è subordinata alla esistenza di un interesse collegato e derivante dalla sopravvivenza dell'atto impugnato, così come il contro interessato deve essere un soggetto ben individuato o, comunque, individuabile . Il contro interessato deve essere, quindi, un soggetto le cui generalità si desumono, direttamente o indirettamente, dagli atti di cui si chiede l'accesso. Da notare che il contro interessato può esercitare un opposizione all'accesso solo in determinate materie: epistolare, sanitario, professionale, finanziario, industriale e commerciale. In altre parole il contro interessato è il soggetto titolare del diritto alla riservatezza che verrebbe compromessa dando seguito alla istanza di accesso; va però sottolineato che il diritto alla informazione non ha come contraltare il diritto alla riservatezza e, quindi, allorché viene espressa una decisione negativa all'accesso questa ha un valore in quanto tale e non quale riconoscimento del diritto alla tutela dei dati personali. I contro interessati devono essere avvisati dell'avvio del procedimento ai sensi dell'art. 7, comma 1 ,al fine di consentire loro di parteciparvi. A tale proposito, il contro interessato diventa parte necessaria del Il silenzio-diniego: quando la legge collega all’inerzia della P.A. il significato di un diniego dell’istanza, ci troveremo nel caso di silenzio-diniego. Ci sono pochi esempi, nel nostro ordinamento da ricollegare a questa fattispecie. Ad esempio, l’art.53, co.10 del d.lgs.165/2001, prevede che l’autorizzazione richiesta da dipendenti pubblici "deve essere richiesta all'amministrazione di appartenenza del dipendente dai soggetti pubblici o privati, che intendono conferire l'incarico (…). In tal caso il termine per provvedere è per l'amministrazione di appartenenza di 45 giorni (…) Decorso il termine per provvedere, l'autorizzazione (…) si intende definitivamente negata" Il silenzio-devolutivo: si configura quando il silenzio di una pubblica amministrazione determina l’attribuzione della competenza ad un’altra autorità. Secondo quanto prevede l’art.17, co.1, l.241/1990, infatti "ove per disposizione espresse di legge o di regolamento sia previsto che per l'adozione di un provvedimento debbano essere preventivamente acquisite le valutazioni tecniche di organi od enti appositi e tali organi ed enti non provvedano o non rappresentino esigenze istruttorie di competenza dell'amministrazione procedente nei termini prefissati dalla disposizione stessa o, in mancanza, entro novanta giorni dal ricevimento della richiesta, il responsabile del procedimento deve chiedere le suddette valutazioni tecniche ad altri organi dell'amministrazione pubblica o ad enti pubblici che siano dotati di qualificazione e capacità tecnica equipollenti, ovvero ad istituti universitari" questa regola non si applica in caso di valutazioni che debbano essere prodotte da amministrazioni alla tutela ambientale, paesaggistico-territoriale e della salute dei cittadini. Il silenzio-inadempimento: si ha in tutte quelle ipotesi in cui, nonostante la richiesta di provvedimento, la P.A. abbia omesso di provvedere e la legge non contenga nessuna indicazione da attribuire al silenzio dell’amministrazione. Si tratta di situazioni in cui la P.A. ometta di provvedere a conclusione di provvedimenti concernenti il patrimonio culturale e paesaggistico, l’ambiente e la difesa nazionale, la pubblica sicurezza, l’immigrazione, la salute e la pubblica incolumità, nel caso in cui la normativa europea imponga di adottare un provvedimento espresso e in relazione a quei procedimenti individuati con uno o più decreti del Presidente del Consiglio dei Ministri, su proposta del Ministro della funzione pubblica, di concerto con i ministri competenti. Il silenzio-facoltativo: è un tipo di silenzio a carattere procedimentale. Si configura in tutte quelle ipotesi in cui sia richiesto un parere di tipo facoltativo. Trascorso il termine per emettere il parere, l’amministrazione potrà andare avanti con gli atti successivi senza attendere più l’atto facoltativo. 6.6.2 Silenzio Inadempimento È un mero fatto e si realizza allorché l’Amministrazione sulla quale grava il dovere giuridico di agire emanando un atto amministrativo, ometta di provvedere senza che vi sia una particolare attribuzione legislativa di significato a tale inerzia. La P.A. è obbligata a concludere il procedimento amministrativo con un provvedimento finale espresso entro un termine ragionevole (generalmente 30 gg); nel caso in cui l’Amministrazione lasci decorrere il termine senza adottare alcun atto si parla di silenzio inadempimento. L’inerzia della P.A. vede quale possibile e sicura conseguenza la possibilità di impugnare il silenzio innanzi all’autorità giurisdizionale al fine di far accettare la sussistenza dell’obbligo di provvedere da parte della P.A. e la conseguente illegittimità del suo comportamento omissivo. 6.6.3 Pluralità di amministrazioni e termini procedimentali Con la legge 241/90, viene introdotto il termine unitario finale del procedimento, e viene sancito il principio dell’obbligo di conclusione espressa del procedimento ex articolo 2 comma 1 entro un termine certo individuato in un sistema a tre livelli dall’articolo 2 c.2 e 3: termine predeterminato dalla legge o da un regolamento; termine stabilito da ciascuna amministrazione per i singoli procedimenti che ad essa fanno capo; termine residuale di 30 giorni in difetto di ogni altra previsione. Vige ora il principio della certezza dei tempi dell’azione amministrativa. Il dovere di provvedere si trasforma e specifica nell’obbligo di provvedere espressamente, distinguibile in obbligo di concludere il procedimento e obbligo di provvedimento espresso. Da decorso del tempo ragionevole si passa a scadenza del termine certo, ed il ricorso al silenzio come categoria giuridica non è più necessario in nessuna delle forme tradizionalmente elaborate. Riassunto del cap. 7 “LA FASE DECISORIA” dalla pag.369 alla n.419 del libro “Lineamenti del diritto amministrativo” di Cerulli Irelli Vincenzo 7.1 Fase decisoria provvedimentale 7.1.1 Decisione Monostrutturata e Pluristrutturata I fatti e gli interessi acquisiti al procedimento sono gli elementi sui quali deve fondarsi la decisione. Secondo l'art.3 della legge sul procedimento amm.vo per decisione si intende il contenuto di un atto o di più atti nei quali il procedimento si conclude, come quello nel quale l’Amministrazione competente assume le proprie determinazioni in ordine all’oggetto del procedimento stesso. In termini generali con la fase decisoria si emana l'atto che diviene immediatamente efficace sotto l'aspetto giuridico. Il provvedimento deve sempre contenere le motivazioni di fatto e le ragioni giuridiche sulle quali è basato, eccetto che per gli atti normativi e quelli a contenuto generale, e, quando le ragioni della decisione risultano conseguenza di un altro atto amministrativo, indicando l'atto a cui ci si richiama. La fase decisoria provvedimentale non sempre è semplice (monostrutturata) perché spesso si articola in una pluralità di volontà tra loro in vario modo collegate ed espresse in una pluralità di atti (fase decisoria pluristrutturata). Fase decisoria monostrutturata: si ha laddove la decisione del procedimento si risolve nella manifestazione di volontà di un organo monocratico (ministro,dirigente,prefetto); in tali casi, il titolare dell’organo, forma la sua volontà nel caso concreto, una volta prese in considerazione e valutate le risultanze dell’istruttoria e, comunque tutte le acquisizioni procedimentali. In tale fase quindi la volontà dell'organo monocratico è sempre procedimentalizzata nel senso che in ogni caso essa presuppone l'osservanza obbligatoria della fase istruttoria del procedimento che vincola la decisione finale. Si tratta perciò di una volontà non libera dove l'ambito di discrezionalità è molto ridotto. Fase decisoria pluristrutturata: è caratterizzata da manifestazioni di più volontà espresse in più atti che attengono a più interessi e sono adottati da più amministrazioni. La legge prevede che le amministrazioni coinvolte dagli interessi in gioco partecipino in questa fase co-decidendo. 7.1.2 Modelli di decisioni pluristrutturate: deliberazione collegiale Un tipo di decisione poli-strutturata è quella dell’organo collegiale che prende il nome di deliberazione, che è un unico atto di decisione al quale partecipano i vari membri del collegio che sono portatori di vari interessi. La procedimentalizzazione di questa decisione è scandita nelle seguenti fasi: convocazione dell’organo e fissazione dell’ordine del giorno; segue la riunione per la quale è richiesto un quorum strutturato perché sia validamente costituito l’organo collegiale; si ha poi la formulazione delle proposte a cui segue una fase di discussione che si conclude con la votazione, svolta in modi diversi e con vari criteri, con cui si approva o meno la proposta stessa, che implica un quorum funzionale; infine la fase di verbalizzazione che è indispensabile perché la decisione sia resa per iscritto. Questo modello è piuttosto semplice ma si complica nel caso di una deliberazione collegiale a cui si aggiunge un atto ulteriore di esternazione, assunto da parte di un organo monocratico. Questo ulteriore atto di esternazione permette il perfezionamento della fase decisoria e gli effetti si producono (modello della deliberazione preliminare). 7.1.3 Approvazione È un modello in cui la fase decisoria si snoda per due momenti, entrambi consistenti in atti monocratici; un primo atto propriamente decisorio e il secondo atto di approvazione del primo (esso non è un atto di controllo, ma l’atto che perfeziona il procedimento decisorio con contenuto assimilabile a quello degli atti di controllo,di legittimità e a volte di merito). 7.1.4 Pluralità di atti nella fase decisoria: decisione su proposta Vi sono casi in cui un determinato atto di decisione viene assunto su proposta di altro organo; si tratta di proposta necessaria e formalizzata e proposta come atto terminale di un procedimento che effetti vincolanti per le parti, ovvero che si perfeziona con una determinazione motivata e conclusiva del procedimento, salvo gli effetti del dissenso, e rappresenta la vera funzione dell’istituto, che è quella di acquisire intese, concerti, nullaosta, assensi o atti di consenso comunque denominati. Per quanto attiene all’iniziativa dell’indizione, questa è normalmente rimessa, salvo diversa espressa previsione di legge, in capo all’amministrazione competente all’adozione del provvedimento finale che deve definire il procedimento. Salvo diversa disposizione, il potere di convocare la conferenza spetta (come per la conferenza istruttoria) al responsabile del procedimento, se competente per l’adozione del provvedimento finale, altrimenti il responsabile si limita a proporre al dirigente competente l’indizione della conferenza (art. 6, comma 1, lett. C, della l. n. 241/90). Bisogna ricordare che, nella normativa precedente alla l. n. 340/2000, l’indizione della conferenza decisoria, a differenza di quella istruttoria, non aveva carattere obbligatorio. Infatti, nel testo della norma compariva l’inciso “…la conferenza di servizi può essere indetta…”, con la conseguenza che l’indizione era assoggettata ad una valutazione di opportunità da parte dell’amministrazione procedente. L’articolo 9 della legge n. 340 del 2000 ha poi modificato il comma 2 dell’art. 14 della legge n. 241, rendendo la conferenza obbligatoria. Ciò è facilmente desumibile dal testo stesso della norma , la quale dispone che ogni qual volta sia necessario acquisire assensi da parte di altre amministrazioni, la Pubblica Amministrazione procedente “deve” indire la conferenza. Sul punto, inoltre, è intervenuto l’art. 8 della legge di riforma n. 15/2005 che ha opportunamente chiarito l’esatto momento a partire dal quale comincia a decorrere il termine previsto per l’obbligatoria indizione della conferenza di servizi, precisando che i trenta giorni (e non più quindici) decorrono (anziché genericamente dall’inizio del procedimento) dalla ricezione della richiesta di indizione da parte dell’amministrazione competente. 7.1.8 Svolgimento e conclusione della Conferenza di Servizi (decisoria) La convocazione e lo svolgimento dei lavori della conferenza può avvenire col tramite dei mezzi informatici,con accordo delle Amministrazioni coinvolte, e nel rispetto della disciplina dettata nel codice delle amministrazioni digitale.La prima riunione della Conferenza di Servizi deve essere convocata 15 giorni o in caso di particolare complessità dell’istruttoria 30 giorni dalla data dell’indizione. La convocazione per via telematica deve pervenire almeno 5 giorni prima. Sono convocati i soggetti proponenti il progetto da esaminare e possono partecipare anche i concessionari e gestori dei pubblici servizi, nonché le Amministrazioni preposte alla gestione delle misure pubbliche di agevolazione. La conferenza di servizi è obbligata a determinare all'inizio dei lavori il termine per l'adozione della decisione conclusiva,che comunque non può superare i 90 giorni. Decorsi questi termini l'Amministrazione adotta la determinazione motivata di conclusione del procedimento tenuto conto delle posizioni prevalenti emerse in conferenza.(Questa possibilità riconosciuta dalla legge consente di portare comunque a compimento il procedimento nonostante l’assenza o il dissenso di una o più amministrazioni coinvolte a patto che queste posizioni non siano prevalenti nell’ambito della conferenza stessa. Esistono però alcuni dissensi qualificanti, provenienti da vari tipi di amministrazioni indicate espressamente dalla legge. In tal caso all’amministrazione procedente si aprono due possibilità: o archivia il procedimento oppure se adotta il provvedimento fa sorgere un conflitto la cui decisione è rimessa al Consiglio dei ministri, se si tratta di amministrazioni statali, oppure a una conferenza stato-regioni o a conferenze stato- regioni-città a seconda del tipo di enti coinvolti.) Ai fini della decisione finale ad ogni Amministrazione partecipante corrisponde un voto; la conferenza si conclude con la determinazione motivata di conclusione, da parte dell’Amministrazione procedente, che può essere adottata, sia alla conclusione dei lavori sia una volta scaduti i termini previsti della norma come detto sopra. 7.1.9 Dissensi qualificati Sono quelli che non possono essere superati in sede di Conferenza di Servizi, e la cui espressione produce l’effetto di rimettere la decisione oggetto della conferenza ad altro e superiore livello di governo. Il Consiglio di Stato ha chiarito che la conferenza, una volta investita, a seguito del motivato dissenso espresso da Amministrazioni preposte alla tutela degli interessi sensibili indicati dalla legge, adotta una decisione sostitutiva, la quale prende il luogo della determinazione conclusiva del procedimento. 7.2 Il Provvedimento 7.2.1 Individuazione del provvedimento Tutti i menzionati atti della fase decisoria hanno contenuto “provvedimentale”, sono cioè dichiarazioni di volontà ovvero di scienza o di giudizio, assunte nell’esercizio di un potere amministrativo da parte di un’autorità amministrativa e intese a produrre determinati effetti. Il provvedimento, in senso formale, è l’atto che perfeziona una determinata fattispecie di esercizio del potere. Sul punto si pone il problema di carattere formale,che è quello di identificare tra i diversi atti della fase decisoria quello che si può considerare provvedimento in senso formale. Infatti individuare il provvedimento finale rispetto a quelli parziali nelle decisioni polistrutturate è molto importante perché esso segna il momento a partire dal quale si producono gli effetti giuridici, decorrono i tempi per una eventuale impugnativa, si determina la disciplina legislativa applicabile. Inoltre l'individuazione del provvedimento spesso non coincide con l'atto dell'autorità che a conclusione della fase istruttoria compie delle scelte perchè autorità decidenti sono tutte quelle che hanno partecipato con propri atti alla fase decisoria del procedimento . 7.2.2 Atti presupposti A volte l’esercizio del potere si articola a sua volta in più procedimenti ciascuno dei quali si conclude con un atto di tipo provvedimentale anch’esso produttivo di effetti sia pure parziali o interinali. Si tratta degli atti presupposti che vanno considerati, per quanto concerne gli effetti loro propri, provvedimenti amministrativi autonomi ai fini dell’impugnazione. 7.2.3.Comunicazione del provvedimento Il provvedimento deve essere comunicato agli interessati, unitamente alla sua motivazione art3 c.3 della legge sul procedimento amm.vo ,condizione per l'acquisto di efficacia dello stesso; la comunicazione del provvedimento infatti ha finalità garantista perchè serve per attivare l’esercizio dell’interesse legittimo nella sua manifestazione più pregnante, come strumento di tutela. Il provvedimento amm.vo deve considerarsi comunicato allorchè una copia sia pervenuta alla conoscenza del destinatario ovvero costui era in grado di conoscerla. Il difetto di motivazione configura violazione di legge. 7.2.4 Elementi del provvedimento Il provvedimento ,come atto giuridico, perchè sia produttivo di effetti giuridici deve essere esistente ed identificabile come tale. Esistente significa che l'atto deve consistere in una dichiarazione (espressione di volontà, di scienza o di giudizio) di un determinato soggetto a cui la legge ha attribuito l'esercizio del relativo potere; identificabile significa che l'atto deve necessariamente contenere elementi minimi la cui assenza impedisce al provvedimento di venire in vita. L'art 21 della Legge sul procedimento prevede la nullità del provvedimento in mancanza degli elementi essenziali e se emanato in carenza di potere cioè se viziato da difetto assoluto di attribuzione. Elementi essenziali sono: a) il soggetto, ovvero l'ente pubblico dotato di personalità giuridica cui è conferito il potere; b) il contenuto:il potere amministrativo consiste nella possibilità di produrre una determinata vicenda giuridica: questo è il contenuto dispositivo) del potere. La dottrina distingue tra contenuto necessario (consistente nella vicenda giuridica tipizzata dalla legge), accidentale (sono l'insieme delle disposizioni che la volontà dell'amministrazione può introdurre nell'atto per determinarne in vario modo gli effetti: condizione, termine, modo), contenuto implicito o naturale (disposizioni operanti per volontà della legge, pur se non richiamate nel provvedimento stesso) del provvedimento; c) l'oggetto del (potere o del) provvedimento e, cioè, il termine passivo della vicenda che verrà a prodursi in seguito dell'azione amministrativa. Esso deve essere lecito, possibile, determinato e determinabile. L'oggetto può essere, di volta in volta, il bene, la situazione giuridica o l'attività diretta a subire gli effetti giuridici prodotti dal provvedimento; d) la causa o scopo: il potere e il corrispondente provvedimento sono caratterizzati dalla preordinazione alla cura dell'interesse pubblico che è risultato vincente nel giudizio di bilanciamento tra valori diversi, risolto dalla norma di relazione; e) la forma:la legge attributiva del potere può prevedere che l'atto debba rivestire una certa forma (di solito quella scritta) a pena di nullità. f) Il destinatario, che è l’organo pubblico o il soggetto privato nei cui confronti si producono gli effetti del procedimento; Il provvedimento può contenere anche altri elementi chiamati accidentali. Gli elementi accidentali e cioè quelli solo eventuali, hanno la funzione di ampliare il contenuto dell’atto e possono essere inseriti solo negli atti discrezionali, a patto che non alterino il contenuto dell’atto Questi elementi sono il termine, che indica il momento dal quale deve avere inizio l’efficacia dell’atto o quello che indica la data di cessazione degli effetti dello stesso (termine iniziale e termine finale). Può essere apposto solo in quegli atti per cui la legge non predisponga diversamente. La condizione si può apporre a tutti gli atti di amministrazione attiva e di controllo, è diretta a subordinare l’inizio o la cessazione dell’efficacia dell’atto al verificarsi di un evento futuro e incerto. L’onere, si appone alle autorizzazioni, concessioni o licenze e cioè a tutti quegli atti che determinano un ampliamento della sfera giuridica del destinatario. Infine abbiamo le riserve, con cui la P.A. si riserva di adottare futuri provvedimenti in relazione all’oggetto dell’atto emanato. I requisiti possono invece incidere sull’efficacia o legittimità dell’atto. I requisiti di legittimità incidono sulla validità del provvedimento e possono determinare l’annullabilità dello stesso. Quelli di efficacia sono necessari affinché l’atto spieghi i suoi effetti. 7.2.5 Forma del Provvedimento In genere si afferma che per gli atti amministrativi vige il principio della libertà delle forme, ma alcune volte la legge ritiene determinante forme come richieste “ab substantiam” e se queste mancano, il provvedimento è privo di un suo elemento essenziale e, quindi, nullo. Laddove il difetto di forma non abbia inciso sostanzialmente sulla qualità della decisione finale, il provvedimento ancorché anomalo non è annullabile. Di norma la forma è scritta ma non mancano casi di esternazioni dell’atto in forma orale o, comunque, non scritta. 7.2.6 Atti in forma informatica L'art. 3, I. 39/93, stabilisce che gli atti amministrativi vengano di norma predisposti tramite sistemi informativi automatizzati: si tratta del cd. atto amministrativo informatico. L'art. 15, co. 2, i. 59/1997 prescrive che "gli atti, dati e documenti formati dalla pubblica amministrazione.. con strumenti informativi o telematici, i contratti stipulati nelle medesime forme, nonché la loro archiviazione e trasmissione con strumenti informatici, sono validi e rilevanti a tutti gli effetti di legge". La disciplina del documento informatico è contenuta negli arti 8 e ss. del d.p.r. 445/2000, T.U. delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, il quale dispone che il documento informatico, la registrazione su supporto informatico e la trasmissione con strumenti telematici sono validi e rilevanti a tutti gli effetti di legge se conformi alle disposizioni del presente testo unico; inoltre, il documento informatico, se sottoscritto con firma elettronica, soddisfa il requisito legale della forma scritta, mentre se è impiegata la firma elettronica avanzata, e ove la firma sia basata su di un certificato qualificato e generata mediante un dispositivo per la creazione di una firma sicura, il documento informatico fa piena prova, fino a querela di falso, della provenienza delle dichiarazioni da chi l'ha sottoscritto. La firma digitale sul documento informatico è il risultato di una procedura informatica che consente al sottoscrittore e al destinatario, attraverso chiavi crittografiche, di manifestare e di verificare la provenienza e l’integrità di uno o più documenti informatici. Essa sostituisce l'apposizione di timbri,marchi di qualsiasi genere. Un esempio di atto amministrativo informatico è cd mandato informatico attraverso il quale le Amministrazioni,mediante gli uffici della Tesoreria, effettuano il pagamento delle somme nei supremazia alla PA, è possibile evitare i rischi di un probabile contenzioso successivo al decreto di esproprio attraverso lo strumento della cessione volontaria. Si dice accordo integrativo invece quando il procedimento resta sempre e comunque definito da un provvedimento mentre l’accordo interviene a determinare solo, in tutto o in parte, il contenuto dispositivo del provvedimento. Si tratta di categorie positivizzate e contenute all’art. 11 della legge 241/90, non si tratta di norme astratte. Gli accordi, riguardo alla disciplina legislativa applicabile, saranno retti da norme anche di diritto privato, non potendosi applicare sempre e in ogni caso le norme del provvedimento. Come disciplina comune è richiesta la forma scritta, a pena di nullità, a meno che una legge di settore preveda diversamente. Alla formazione dell’accordo si arriva con la forma scritta. In caso di presenza di vizi, due sono le forme di patologia possibili: a) la nullità, che è una situazione per cui l’atto manca degli elementi essenziali alla sua esistenza; b) l’annullabiltà, che è una situazione in cui l’atto è in grado di produrre certi effetti. È stabilito, inoltre, che la stipula dell’accordo sostitutivo debba essere preceduta da una determinazione dell’organo nella quale: a) devono essere esplicitate le motivazioni che hanno indotto la PA ad utilizzare questo particolare strumento; b) deve essere definito anche il testo dell’accordo stesso a cui il privato è chiamato ad aderire; c) deve essere precisato che l’accordo persegue comunque il pubblico interesse, senza pregiudizio per i diritti di terzi. Di tutte queste cose si deve dare conto proprio nella determinazione che precede la stipula. La disciplina sostanziale dell’accordo prevede un rinvio al codice civile invece per quanto riguarda obbligazioni e contratti che ne scaturiscono. 7.3.3 Disciplina generale: tra diritto pubblico e privato Gli accordi devono essere stipulati per iscritto a pena di nullità, salvo che la legge disponga diversamente. L’amministrazione può procedere unilateralmente dall’accordo per sopravvenuti motivi di pubblico interesse “salvo l’obbligo di provvedere alla liquidazione di un indennizzo, in relazione agli eventuali pregiudizi verificatisi in danno del privato”. Le controversie in materia di formazione, conclusione ed esecuzione sono riservate alla giurisdizione esclusiva del giudice amministrativo mediante l'impugnazione dell'accordo stesso. Si badi bene,a tutela degli interessi legittimi di terzi, chè, quanto ai diritti, l'art.11 c.1.,stabilisce che l'accordo non possa concludersi in pregiudizio dei terzi per i quali resta ferma la tutela davanti al G.O. Agli accordi si applicano i principi del Codice Civile in materia di obbligazioni e contratti, in quanto compatibili. Inoltre è possibile anche l’autotutela, sebbene non completamente svincolata ma legata rispetto a determinate situazioni, quanto ad esempio alla forma, perché si tratta di recesso unilaterale. Infatti, dal contratto si può recedere anche se è previsto l’obbligo per la PA di provvedere alla liquidazione del danno eventualmente subito dal privato. A differenza invece del normale contratto di diritto privato da cui non è previsto il recesso come potestà assoluta di uno dei contraenti. 7.3.4 Recesso dall’accordo e “autotutela legata” Il recesso di cui all'art.11 della legge sul procedimento amm.vo costituisce un'ipotesi di autotutela legata,proprio in quanto il potere di recesso è legato nel suo esercizio alla ricorrenza di determinate condizioni. L’autotutela legata indica la capacità dell’Amministrazione di intervenire ex post sul provvedimento emanato e, perciò, sul rapporto da questo costituito per eliminarlo giuridicamente perché apparso, ad un riesame, siccome illegittimo oppure in contrasto con l’assetto concreto degli interessi pubblici. Per cui è precluso il potere di autotutela in esame per far valere l'annullamento dell'atto con effetti ex tunc. Il recesso è una forma di autotutela unilaterale e può avvenire per motivi di pubblico interesse. Il recesso può essere prodotto non per originari vizi di merito dell'accordo ma per un successivo contrasto venutosi a delineare tra il contenuto di questo e un nuovo assetto degli interessi pubblici in gioco successivamente emerso. Il potere di autotutela è legato perciò che concerne uno dei suoi effetti espressamente previsto dalla norma; e cioè, l’obbligo di indennizzare gli “eventuali pregiudizi verificatisi in danno al privato”.Le controversie in ordine all'esercizio del potere di recesso unilaterale sono attribuite alla giurisdizione amm.va. 7.3.5 Accordi integrativi La particolarità dell’accordo integrativo è che, nelle more dell’adozione del provvedimento finale, questo tipo di accordo produce effetti intermedi. Il privato resta legato all’oggetto dell’accordo sempre che il provvedimento venga adottato nei tempi stabiliti o almeno in tempi ragionevoli. La PA è tenuta ad adottare il provvedimento nei tempi e secondo le modalità pattuite; è un obbligo giuridico consentire al privato di adire il giudice amministrativo per ottenere l’adempimento. In questo caso non si ha una sentenza in luogo dell’atto, come per il negozio privato, ma una tutela più attenuata che obbliga la PA a stipulare l’accordo. Di un provvedimento che recepisce un accordo si esamina prima la parte coperta dall’accordo, per accertarsi se siano presenti vizi, e poi si passa alla parte provvedimentale che si cerca sempre di salvare. Sono infatti sempre contratti di diritto pubblico. Per arrivare a una tutela giurisdizionale, il privato deve sempre aspettare che si arrivi al provvedimento finale, che il solo atto che si impugna. In conclusione:l’accordo integrativo non elimina la necessità del provvedimento nel quale confluisce visto che, il procedimento, si conclude pur sempre con un classico provvedimento unilaterale produttivo di effetti. L’accordo integrativo si riversa nel provvedimento finale ed è ammissibile soltanto nell’ipotesi in cui il provvedimento sia discrezionale; questo fa sorgere un vincolo tra le parti. In particolare l’Amministrazione è tenuta ad emanare un provvedimento corrispondente al tenore dell’accordo; il provvedimento non è revocabile,almeno per quella parte che corrisponde all’accordo, in ordine alla quale si può esercitare il potere di recesso. 7.3.6 Accordi di Programma Le norme che originariamente hanno previsto la figura degli accordi di programma sono: l'art. 15 della legge n. 241/1990 che, in via generale, prevede la possibilità che le PP.AA. si accordino al fine di programmare consensualmente qualsivoglia tipologia di attività di interesse comune che implichi la valutazione di interessi facenti capo a soggetti pubblici distinti e l'art. 27 della L. n. 142/1990, confluito ora nell'art. 34 del D.Lgs. n. 267/2000, che, con disposizione più specifica, prevede che le Regioni, enti locali ed altre amministrazioni pubbliche possano accordarsi per l'esecuzione di opere, di interventi o programmi di interventi. Con riferimento agli accordi di programma, è, innanzitutto, da rilevarsi come, da essi, siano escluse le parti private che potranno vantare un mero interesse legittimo alla legittimità dell'azione amministrativa quale si estrinseca negli accordi medesimi. Sotto il profilo procedimentale, poi, gli accordi di programma tra PP.AA. di cui all'art. 34 del D.Lgs. n. 267/2000 implicano: 1-una fase di iniziativa, di competenza dell'amministrazione che vanta competenza primaria in ordine all'opera da realizzare e che si concretizza nell'invito delle amministrazioni territoriali o statali che vantino interessi concorrenti nella materia. 2-l'istruttoria che si conclude, dopo l'acquisizione degli interessi, con l'accordo in ordine alle modalità di realizzazione dell'opera. 3-la fase conclusiva, è di competenza dell'amministrazione titolare dell'interesse primario e che ha curato la fase dell'iniziativa ma si concretizza, in sostanza, nell'esternazione formale della volontà già formata consensualmente nella fase dell'istruttoria. 4-integrativa d'efficacia e si realizza con la pubblicazione dell'accordo nel Bollettino Ufficiale della Regione. Con l'accordo di programma le parti si impegnano vicendevolmente all'adempimento delle obbligazioni nascenti dall'accordo, sicchè, con riferimento ad esse, è ipotizzabile una responsabilità per inadempimento, la possibilità di sollevare l'eccezione d'inadempimento, l'intervento sostitutivo, l'impugnazione degli atti difformi dalle prescrizioni contenute nell'accordo. Sono, dunque, applicabili agli accordi di programma le norme relative alla giurisdizione esclusiva del Giudice Amministrativo, quella dell'applicabilità dei principi civilistici in materia di obbligazioni e contratti nei limiti della compatibilità e quella della soggezione ai medesimi controlli amministrativi cui soggiacciono i provvedimenti sostituiti. 7.4 Fase Decisoria Tacita 7.4.1 Silenzio Assenso L'art. 20 della L. n. 241/1990 disciplina, sempre in tema di autorizzazioni amministrative, il silenzio assenso, stabilendo che nei procedimenti ad istanza di parte volti al conseguimento di un determinato provvedimento amministrativo, l'inerzia della PA che si protragga oltre i termini di cui all'art. 2, commi 2 e 3 assume il significato implicito di accoglimento dell'istanza. Il silenzio acquista in questi casi contenuto desisorio .Anche in materia di silenzio assenso valgono le eccezioni per materia di cui all'art. 19, sicchè esso non si forma nei procedimenti in materia di sicurezza pubblica, di immigrazione, di difesa nazionale, di tutela della salute, del paesaggio, dell'ambiente, nonchè in materia di amministrazione della giustizia e delle finanze e in materia di atti imposti dalla normativa comunitaria. La disciplina in materia di silenzio assenso non si applica, inoltre, in tutti i casi in cui il silenzio della PA assuma il significato di silenzio rigetto (cfr. l'art. 25 della L. n. 241 del 1990 in tema di istanze ostensive). Ulteriori procedimenti esclusi dall'ambito d'applicazione dell'art. 19 della L n. 241 del 1990 possono essere individuati con decreto della Presidenza del Consiglio su proposta del Ministro della Funzione Pubblica, di concerto con i ministri competenti. S ritiene, in ogni caso, che la norma di cui all'art. 20 della L. n. 241 del 1990 non legittimi, per un verso, il consolidamento di posizioni in favore del privato che sia privo dei requisiti legali per l'esercizio dell'attività o che abbia formulato un'istanza allegando circostanze false e, per altro verso, non sia applicabile, ex art. 97 cost, a quei procedimenti autorizzatori o concessori relativamente ai quali il privato non sia in grado di allegare tutti i fatti e i documenti la cui acquisizione sia necessaria per l'adozione del provvedimento. A fronte di un'istanza volta al conseguimento di un provvedimento amministrativo, dunque, la PA potrà, entro il termine di cui ai commi 2 e 3 dell'art. 2 della L. n. 241 del 1990, emettere un provvedimento espresso di diniego ovvero indire una conferenza di servizi impedendo la formazione del provvedimento implicito d'assenso; in difetto potrà esclusivamente agire in forma di autotutela non potendo, in ogni caso, adottare il provvedimento di diniego tardivamente nè comportarsi come se l'autorizzazione implicita, con lo spirare del termine di cui ai commi 2 e 3 dell'art. 2 della L. n. 241 del 1990, non vi sia stata. I procedimenti del silenzio-assenso sono diffusi anche al di fuori dell'Amministrazione attiva,ad esempio,nell'ambito dell'attività di controllo dove il decorso del tempo produce l'effetto di conferire piena efficacia dell'atto sottoposto a controllo trasformandolo in definitivo. 7.4.2 Disciplina del Silenzio Assenso Chi tace acconsente! Questa è la regola per la pubblica amministrazione, secondo il decreto 35/2005. L'innovazione è contenuta nell'articolo 3 della legge e inverte la precedente equazione tra silenzio e diniego. Il silenzio assenso utilizza meccanismi simili a quelli delle varie dichiarazioni inizio attività. Nell'edilizia e nel commercio, presentando una D.i.a. e attendendo il trascorrere di 30 giorni, possono avere inizio le più varie attività. Il silenzio-assenso in corso di approvazione avrà un passo più lungo (90 giorni) e un contenuto più complesso rispetto a quanto si può ottenere con una Dia. Nell'ottica del privato il nuovo silenzio-assenso consente di avere una risposta a domande articolate, diverse dall'apertura di un negozio o dall'inizio di un'attività edilizia di ristrutturazione. Con la procedura di silenzio, il cittadino dovrà fornire agli sportelli pubblici tutti i dati necessari per ottenere provvedimenti favorevoli, dagli estratti degli atti di pianificazione fino a relazioni di conformità e asseverazioni di professionisti. L'istanza rivolta alla pubblica amministrazione dovrà quindi essere pronta a un esame da parte degli uffici.(se la domanda del richiedente è presentata diretta viene rilasciata ricevuta,se inviata tramite posta la ricevuta è costituita dall'avviso stesso debitamente firmato).Errori o omissioni impediscono il trasformarsi del silenzio in un provvedimento favorevole e l'amministrazione ne dà comunicazione al richiedente entro dieci giorni indicando le cause di irregolarità. Dinanzi a una pratica completa e compatibile con i presupposti di legge, le amministrazioni hanno una scelta obbligata: diniego, accoglimento o indipendentemente dall'acquisizione del parere. Della sospensione è data comunicazione all'interessato. 7.4.5 Silenzio Assenso e DIA: problemi di tutela dei terzi Silenzio assenso e DIA sono due strumenti di semplificazione dell’azione amministrativa, ma, essi tuttavia manifestano uno stato di disagio dell’Amministrazione, un’incapacità a provvedere espressamente, nei termini, a fronte delle richieste di parte anche se legittime. In qualche modo rappresentano una patologia dell’Amministrazione. La natura della DIA resta del tutto incerta perchè l'esigenza di piena liberalizzazione che costituisce la ratio dell'istituto si scontra con le concrete esigenze di tutela dei terzi che si trovano incisi nei loro diritti ed interessi legittimi da interventi di terzi anche di cospicuo impatto.Ciò ha indotto la giurisprudenza a riconoscere piena tutela al terzo sacrificato da interventi assentiti mediante DIA con azione di accertamento e sottoposta al regime dell'annullamento. I terzi controinteressati nel silenzio assenso possono partecipare al procedimento e impugnare il procedimento totale. Sotto questo profilo, la DIA è assimilata a un provvedimento tacito. Benché non lo sia effettivamente e realmente, viene considerata un atto amministrativo tacito proprio per dare tutela a privati terzi che sono interessati. Riassunto del cap. 8 “IL PROVVEDIMENTO AMMNISTRATIVO E LA SUA EFFICACIA” dalla pag.369 alla n.419 del libro “Lineamenti del diritto amministrativo” di Cerulli Irelli Vincenzo 8.1 L'efficacia del provvedimento amm.vo e teoria generale dell'efficacia degli atti amministrativi 8.1.1 Efficacia degli atti giuridici Efficacia di un atto amministrativo indica l’idoneità a produrre effetti giuridici nonché particolari conseguenze. L’efficacia dell’atto si verifica, per regola, al momento in cui esso si perfeziona, cioè quando si verificano le circostanze previste perché quel determinato tipo di atto produca i suoi effetti. Gli atti amministrativi esplicano l’efficacia nel tempo e nello spazio. 8.1.2 Tipi di efficacia giuridica Come detto sopra,per efficacia dell’atto giuridico si intende sia l’idoneità a produrre conseguenze e sia anche il complesso delle conseguenze prodotte da questo atto idoneo. Il momento in cui si perfeziona la fattispecie procedimentale, che culmina nel provvedimento finale, è quello in cui l’atto comincia a produrre effetti. Esistono tre tipi di efficacia: efficacia costitutiva, efficacia dichiarativa, efficacia preclusiva. a) efficacia costitutiva: l’atto o provvedimento finale, rivolto a certi destinatari, è diretto a far nascere una situazione giuridica ex novo, oppure indica anche la modificazione o l’estinzione di situazioni giuridiche preesistenti in capo a soggetti. b) efficacia dichiarativa: riguarda svolgimenti interni di situazioni giuridiche preesistenti, attraverso il rafforzamento, o specificazione, o affievolimento, o riduzione dell’originaria efficacia di una situazione giuridica preesistente.  Rafforzamento: si ha nei casi in cui l’atto, pur non producendo alcun effetto in ordine all’esistenza della situazione, produce un effetto di tipo rafforzativo.  Specificazione: si ha laddove l’effetto consiste nella semplice specificazione o determinazione del contenuto della situazione giuridica.  Affievolimento: è indicato come la riduzione dell’originaria efficienza della situazione giuridica. c) efficacia preclusiva: serve a rendere incontestabile una situazione giuridica, che presentava margini di incertezza, attraverso atti certificati o di accertamento che, per quello che attestano, precludono una contestazione che possa insorgere in futuro. Si tratta di atti certificativi dotati di una fede pubblica particolare per rimuovere i quali è necessario un procedimento giurisdizionale particolare, la cosiddetta querela di falso che permette di arrivare alla demolizione della fede pubblica di cui il provvedimento è dotato, eliminando in tal modo la certezza legale ad un determinato fatto. 8.1.3 Efficacia ed esecuzione L’efficacia è un volere, un dover essere; contempla un fatto che dovrà accadere in futuro ma non è detto che accada necessariamente. L’atto fa nascere situazione giuridiche in capo a soggetti determinati: uno chiamato ad adempiere, l’altro ad essere soddisfatto. L’adempimento a cui è tenuto il soggetto obbligato attiene alla fase della esecuzione. Se l’adempimento non si realizza è necessario obbligare il soggetto all’adempimento. L’atto amministrativo è un atto di volontà che deve produrre determinati effetti. In base alla legge la PA ha il potere di attuare coattivamente l’efficacia di questi atti. L'efficacia si distingue dalla validità del provvedimento che non attiene al profilo degli effetti ma al profilo della fattispecie produttiva degli effetti e, cioè, alla formazione del provvedimento ed ai requisiti di legittimità dello stesso. L’esecuzione di un provvedimento è il complesso dell’attività che traduce in fatto l’effetto giuridico del provvedimento. L’atto amministrativo è sempre connotato da una imperatività degli effetti ed è dotato di una certa esecutorietà, cioè l’attitudine ad essere attuato anche coattivamente contro il destinatario con atti che incidono sulla sua sfera giuridica. Per l’esecuzione dell’obbligo imposto al privato inadempiente la PA può avviare un procedimento esecutivo, o autotutela esecutiva, che serve a dare esecuzione agli effetti di un precedente atto amministrativo. 8.1.4 Efficacia nel tempo L'efficacia nel tempo si evidenzia nella fissazione del momento in cui gli effetti si producono ovvero in cui iniziano a prodursi. Vi sono atti ad efficacia istantanea i cui effetti si producono ad un determinato momento,nel quale l'efficacia stessa dell'atto si esaurisce(es.il provvedimento di espropriazione,una volta perfezionatosi nelle forme di legge produce il suo effetto tipico cioè la traslazione coattiva della proprietà da un soggetto all'altro) ed atti ad efficacia permanente (o durevole) i cui effetti iniziano a prodursi da un certo momento o si prolungano nel tempo sino al verificarsi di un altro momento(concessione di un pubblico servizio). In questi casi l’attività comincia a decorrere e si protrae nel tempo in modo continuativo ovvero mediante una dislocazione per successive scadenze. Il momento in cui gli effetti si producono, o iniziano a prodursi,coincide di regola con il momento del perfezionamento dell'atto giuridico ma la coincidenza non sempre si verifica;anzi in diritto amm.vo, molto spesso questa coincidenza non c'è. Tre sono i casi di non coincidenza tra momento di perfezionamento dell’atto e momento di produzione degli effetti: 1) gli atti recettizi, che devono essere portati a conoscenza del destinatario per cui gli effetti si producono nel momento in cui sono notificati al destinatario e non quando sono stati adottati, proprio perché incidono sulla sfera giuridica del soggetto privato, limitandolo; 2) gli atti con efficacia sottoposta a un termine iniziale o condizione sospensiva (la condizione opera con effetto retroattivo rispetto al termine iniziale previsto in cui cominceranno a decorrere gli effetti); 3) gli atti sottoposti a procedimento di controllo, al cui esito è subordinata l’efficacia positiva dell’atto. 8.1.5 Atti Recettizi Come è noto, l’art. 14 della legge n. 15/2005 ha introdotto nel corpo della legge n. 241/1990, l’art. 21-bis recante disposizioni in materia di “efficacia ed invalidità del provvedimento amministrativo. Il punto, oggetto della presente riflessione, riguarda, soprattutto, il primo periodo dell’articolo 21 bis che recita: “Il provvedimento limitativo della sfera giuridica dei privati acquista efficacia nei confronti di ciascun destinatario con la comunicazione allo stesso effettuata …” In altre parole gli atti recettizi non diventano efficaci se non al momento in cui pervengono alla conoscenza del destinatario. La L. sul Proc. Amm. individua la categoria degli atti recettizi in tutti quelli limitativi della sfera giuridica dei destinatari (quelli ablatori). Gli atti ablatori, sono provvedimenti d’autorità con cui il pubblico potere, per un vantaggio della collettività, sacrifica un interesse di un privato cittadino ad un bene della vita " (Giannini). Questi atti, deve essere data comunicazione ai destinatari affinché essi acquistino efficacia. Ad esempio, “un atto sanzionatorio, anche se sia conosciuto dal destinatario, non potrà esplicare i suoi effetti nei suoi confronti fino a quando non gli sia notificato nei modi di legge”. L’omessa comunicazione, nei modi di legge, del provvedimento recettizio comporta il mancato decorso dei termini di impugnativa e impedisce che l’atto diventi inoppugnabile, pregiudicandone, quindi, la stabilità degli effetti. Il rispetto del termine di conclusione del procedimento, come è noto, è estremamente rilevante, ed esso non coincide, negli atti recettizi, con la semplice data di adozione del provvedimento, ma con quella di comunicazione dello stesso. La comunicazione avviene per regola direttamente alla persona interessata,in caso di irreperibilità si procede con notificazione secondo le disposizioni del codice di procedura civile(art.140 e 60). Nel caso in cui “il numero dei destinatari sia tale da rendere impossibile o gravosa la comunicazione personale, l'amministrazione provvede mediante forme di pubblicità idonee di volta in volta stabilite dall'amministrazione medesima“. Pertanto, quando una disposizione prescrive un termine perentorio per concludere un dato procedimento, detto termine coincide, nel caso degli atti recettizi, con la comunicazione del provvedimento. Gli atti recettizi, prima della comunicazione, sono inefficaci e quindi possono essere ritirati senza incontrare i limiti derivanti dalla tutela delle legittime aspettative. Nel caso degli atti recettizi, l’atto di comunicazione o notificazione svolge due distinte funzioni: a) portare il provvedimento stesso a conoscenza legale dell’interessato venendo così a determinare una presunzione legale di conoscenza da parte di quest’ultimo a far data dall’avvenuta comunicazione o pubblicazione; b) porsi come condizione perché il provvedimento possa esplicare la sua efficacia”. E' ovvio che permane facoltà conferita alla Pubblica Amministrazione di dare, comunque, immediata 2005. Il menzionato art. 21 ter prevede che i provvedimenti amministrativi siano provvisti del requisito dell'esecutorietà solo nei casi espressamente previsti dalla legge e che la PA possa procedere all'esecuzione coattiva degli obblighi posti a carico del terzo con il provvedimento amministrativo solo a seguito di diffida. Con riferimento alla diversa tipologia di obblighi che gravano sul privato per effetto del provvedimento esecutorio, poi, differenti sono le forme dell'esecutorietà. Occorre, in particolare, per gli obblighi diversi da quello di pagare una somma di denaro, distinguere i casi in cui la PA possa procedere all'esecuzione coattiva mediante i propri organi dai casi in cui debba procedere con la c.d. esecuzione in danno. In quest'ultimo caso, la prestazione che forma l'oggetto dell'obbligo inadempiuto da parte del destinatario del provvedimento esecutorio, sarà eseguita dal terzo ed il privato inadempiente sarà tenuto a rimborsare alla PA le somme corrisposte al terzo (in tal caso la problematica verterà sulla congruità della somma). L'esecuzione coattiva di obblighi che hanno per oggetto delle somme di denaro (sia che si tratti dell'oggetto originario, sia che costituisca la trasformazione di un'originaria obbligazione diversa per effetto di un'esecuzione in danno) segue la normativa che disciplina l'esecuzione coattiva dei crediti dello Stato a mente dell'art. 21 ter, secondo comma. Dall'esecutorietà, che rappresenta dunque un requisito eventuale e non necessario del provvedimento amministrativo deve essere mantenuto distinto il requisito della esecutività che, invece, è un requisito sempre presente. L'esecutività del provvedimento amministrativo è il requisito che ne indica l'idoneità ad incidere sulla sfera giuridica altrui in senso costitutivo, modificativo o estintivo,indipendentemente dalla volontà del destinatario la cui sfera giuridica viene concretamente ad essere incisa dal provvedimento medesimo ed indipendentemente dalla validità o dall'invalidità del provvedimento. L'esecutività non è sempre coincidente con il momento perfezionativo del provvedimento in quanto taluni provvedimenti, già perfezionati, non sono ancora idonei a produrre effetti in quanto difettano i requisiti di esecutività e, cioè, il controllo preventivo di legittimità o la comunicazione del provvedimento al destinatario. Dall'esecutività deve mantenersi distinto il requisito dell'eseguibilità che indica la possibilità giuridica e di fatto di eseguire un provvedimento; è possibile, cioè, che un provvedimento già esecutivo, in via d'eccezione, non sia eseguito immediatamente per motivi ostativi di fatto o di diritto o per ragioni d'opportunità valutate dalla PA. A tali ipotesi si riferisce l'art. 21 quater della L. n. 241 del 1990 che dispone: "per gravi ragioni e per il tempo strettamente necessario", l'esecuzione o l'efficacia del provvedimento possono essere sospese dallo stesso organo che lo ha emanato. In via generale, invece, "i provvedimenti amministrativi sono immediatamente eseguiti, salvo che sia diversamente stabilito dalla legge o dal provvedimento medesimo" (si discute se tale disposizione, che fonda la responsabilità da ritardo della PA, sia riferibile anche ai provvedimenti che hanno per oggetto un obbligo dei destinatari). L’esecutorietà non può più, per legge, essere considerata un attributo generale del provvedimento creativo di obblighi, il quale si caratterizzerebbe per la sua “attitudine ad essere eseguito coattivamente”, ma deve considerarsi come un distinto potere, che necessita di una espressa attribuzione e disciplina. Il 21 ter prevede che già nel provvedimento costitutivo di obblighi siano indicati termine e modalità dell’esecuzione da parte dell’obbligato. E che si possa provvedere, nei casi di legge, alla esecuzione “previa diffida”. La previsione del 21 ter dovrebbe superare la prassi, di cui si sono visti esempi in alcune amministrazioni, a ritenere necessario, dopo il provvedimento creativo di obblighi, un ulteriore provvedimento (nato come evoluzione provvedimentale della diffida ad adempiere) con il quale, constatato l’inadempimento del primo ordine, si reitera l’ordine e se ne delibera l’esecuzione, e se ne precisano termini e modalità, inadempiuti i quali segue la diffida vera e propria. Fra le “modalità” che la legge può prevedere in tema di esecuzione coattiva, può esservi, a seconda del tipo di obblighi nascenti dal provvedimento, anche la coazione fisica in personam (l’accompagnamento dello straniero espulso, la somministrazione di trattamento sanitario obbligatorio). 8.2.2.Esecuzione d’ufficio Requisito del provvedimento amministrativo può essere, come già visto, la sua esecutorietà. Con riferimento all'esecutorietà dei provvedimenti amministrativi occorre ulteriormente distinguere tra quei provvedimenti c.d. autoesecutivi produttivi, cioè, della modificazione giuridica a prescindere da qualsivoglia cooperazione da parte del destinatario ed i provvedimenti non autoesecutivi che necessitano di un'attività di esecuzione per armonizzare la situazione di fatto a quella di diritto costituita dal provvedimento medesimo. A mente dell'art. 21 ter della L. n. 241/1990 il requisito dell'esecutorietà non appartiene automaticamente a tutti i provvedimenti amministrativi costitutivi di obblighi nei confronti dei destinatari. Il citato articolo prevede, infatti, che la P.A. può solo nei casi e nei modi previsti dalla legge, imporre coattivamente l'adempimento di obblighi nei suoi confronti in caso di mancato spontaneo adempimento da parte del destinatario e previa, comunque, diffida nei suoi confronti. Una volta che il provvedimento sia divenuto efficace,sarà responsabilità dell'Amministrazione agente decidere se attivare il procedimento esecutivo ove questo sia previsto. L'esecutorietà non rappresenta, dunque, un elemento naturale del provvedimento amministrativo ma deve essere specificatamente prevista da una disposizione di legge che deve stabilire casi e modalità dell'esecuzione coattiva, previa diffida. In particolare, occorre distinguere l'esecuzione coattiva di obbligazioni pecuniarie dall'esecuzione coattiva di obbligazioni diverse. Per le prime si applicano le norme relative all'esecuzione coattiva dei crediti dello Stato ex art. 21 ter della L. n. 241 del 1990. Per le seconde occorre ulteriormente distinguere se l'amministrazione esegua, con propri organi, l'obbligazione non adempiuta dal privato (nel qual caso il rimborso dovrà essere specificatamente previsto dalla Legge) o se ponga in essere la c.d. esecuzione in danno, affidando a terzi l'esecuzione dell'obbligazione inadempiuta e convertendo l'obbligo inadempiuto del destinatario nell'obbligo pecuniario di rimborso delle somme corrisposte ai terzi, con l'applicazione, per il recupero delle somme, delle norme relative all'esecuzione coattiva dei crediti dello Stato. Il prcedimento di esecuzione d'ufficio è previsto da alcune norme: l'art. 832 cc in materia di tutela dei beni del demanio, con l'alternatività concessa alla P.A tra gli strumenti privatistici e quelli di natura pubblicistica; l'art. 7 LAC che prevede il potere di disposizione della proprietà privata della PA in caso necessità ed urgenza e di imprevedibilità dell'evento; l'art. 40 del TU sull'edilizia (D.Lgs. n. 380 del 2001) che prevede la possibilità di eseguire l'ordine di demolizione in caso di abuso edilizio ed in caso di mancata ottemperanza all'ordine di demolizione da parte del privato. 8.3 Tipologia dei provvedimenti per il contenuto dispositivo 8.3.1 Provvedimenti generali e puntuali Il contenuto dispositivo indica gli effetti che esso in concreto produce. Secondo questo contenuto i provvedimenti possono essere distinti a seconda che il contenuto stesso sia generale(circolari) o conformativi (tipo un bando di gara-piani territoriali,programmi) ovvero puntuale(atti di autolimitazione). I provvedimenti generali producono effetti riguardo ad una comunità indifferenziata che si caratterizza come oggetto del provvedimento. A loro volta i provvedimenti generali si distinguono in: atti normativi secondari, cioè i regolamenti, che contengono norme valide per una serie definita di situazioni; atti amministrativi a contenuto generale, atti applicativi rivolti ad una comunità indifferenziata; atti di programmazione dove la PA, a fronte di situazioni complesse, determina l’ordine e i contenuti dei soggetti coinvolti nell’esplicarsi dell’attività amministrativa. I provvedimenti puntuali producono effetti nei confronti di soggetti individuabili e determinabili, atti che trovano negli atti generali dei limiti e delle prescrizioni. Nella categoria dei provvedimenti puntuali ricadono i provvedimenti oblatori. Inoltre i provvedimenti possono distinguersi a seconda che gli effetti prodotti siano di tipo costitutivo, dichiarativo o preclusivo; e tra quelli costitutivi, a seconda che gli effetti siano di tipo ablatorio (espropriazioni,requisizioni,ordini) o accrescitivo (concessioni,autorizzazioni,certezze pubbliche). Il contenuto dispositivo generale di un atto indica che esso produce i suoi effetti nei confronti di una pluralità indifferenziata di oggetti.(persone,cose o rapporti). Atti di programmazione: sono atti attraverso i quali l’Amministrazione a fronte di una situazione complessiva valutata e presa in esame nella sua globalità, determina l’ordine e i contenuti dell’azione dei soggetti in essa coinvolti (metodo della programmazione). Atti di autolimitazione: sono atti non direttamente produttivi di effetti ma destinati a riflettersi sulla successiva attività amministrativa puntuale (sono procedimenti che trovano nell’atto generale limiti e prescrizioni). 8.3.2 Provvedimenti ablatori Tra i provvedimenti a carattere puntuale destinati a produrre effetti in ordine a determinate situazioni soggettive,a determinati rapporti con efficacia costitutiva si distinguono i provvedimenti ablatori e accrescitivi. Nei provvedimenti ablatori,(atti con cui la P.A. incide sulla sfera giuridica di soggetti privati, sacrificandone un interesse, a vantaggio della collettività. Questo particolare potere della P.A. trova la sua fonte nella Costituzione, agli artt. 23 e 42.Le forme e l'intensità del sacrificio imposto variano in relazione ai diversi provvedimenti: esso può consistere nella semplice limitazione di una facoltà (es.: divieto di transitare su di una strada), nell'imposizione di un obbligo (es.: servizio militare nelle forme residuali coattive) o nell'estinzione di un diritto del privato (es.: espropriazione),l’effetto si produce nella sfera altrui senza alcun apporto della volontà giuridica dello stesso. In questi tipi di provvedimento si presenta al massimo grado l’imperatività propria dell’attività amministrativa. Questi provvedimenti possono essere: -Reali, che sacrificano diritti reali (es.: espropriazione, servitù coattiva,occupazione d'urgenza) ed accomunati dall’effetto consistente nell’estinzione di un diritto circa una cosa in capo a un soggetto e la corrispondente costituzione del diritto stesso o di altro equiparato in capo ad altro soggetto cui viene imputato il perseguimento di un determinato fine di interesse pubblico. -Personali, che sacrificano un diritto di natura personale; tra questi emergono gli ordini, cioè procedimenti caratterizzati dal loro effetto tipico, l’imposizione coattiva di un obbligo di esecuzione d’ufficio della prestazione oggetto dell’obbligo. -Obbligatori, che incidono su rapporti di obbligazione (es.: imposizione tributaria); Gli aspetti più rilevanti che essi presentano sono: a)forza giuridica (autoritarietà), che consiste nell'imporre unilateralmente modificazioni nella sfera giuridica dei destinatari; b)esecutorietà: accanto all'esecutività (che è l'astratta attitudine dell'atto ad essere eseguito), i provvedimenti ablatori sono dotati anche di una particolare efficacia, che va sotto il nome di esecutorietà, consistente nella possibilità concessa alla P.A. di dare immediata e diretta esecuzione all'atto amministrativo sfavorevole, anche contro il volere del destinatario, senza previa pronuncia giurisdizionale. Non tutti i provvedimenti ablatori sono esecutori, ma soltanto quelli la cui esecutorietà sia espressamente prevista dalla legge; c)tipicità e nominatività: —la tipicità, nel senso che sono solo quelli previsti dall'ordinamento; —la nominatività, nel senso che a ciascun interesse pubblico particolare da realizzare corrisponde un tipo di atto previsto e definito (esplicitamente o per implicito) dalla legge. INTEGRAZIONE: L’espropriazione per pubblica utilità è l’atto ablativo più importante. Esso può essere definito come quell’istituto del diritto pubblico in base al quale un soggetto, previo versamento dell’indennizzo, può essere privato in tutto o in parte di uno dei suoi beni immobili di sua proprietà per una causa di pubblico interesse. L’espropriazione crea un vero e proprio rapporto di diritto pubblico, il rapporto d’esproprio in cui le parti sono, l’espropriante, che è il soggetto pubblico o privato a vantaggio del quale viene fatta l’espropriazione. Secondo soggetto del rapporto è l’espropriato, soggetto privato o pubblico a danno del quale viene fatto l’esproprio. Infine abbiamo l’autorità procedente: organo pubblico che esegue l’espropriazione. La normativa in materiA di esproprio per pubblica utilità è il Decreto del Presidente della Repubblica n.327 del 2001. L’oggetto dell’espropriazione può essere un diritto di proprietà o un altro diritto reale e il presupposto di legittimità di questo istituto è l’indennizzo che rappresenta il presupposto di legittimità del provvedimento espropriativo. È bene sottolineare che l’indennità d’esproprio non coincide con il prezzo del bene immobile espropriato. Per quanto riguarda la competenza, il soggetto c cui spetta coincide con l’autorità amministrativa competente per la realizzazione dell’opera di pubblica utilità, in base al cd. principio di simmetria. Il D.P.R. n. 327 del 2001 fornisce un unico modello di procedura espropriativa. Secondo quanto previsto dall’art.8, la procedura può essere suddivisa in varie parti. La prima fase riguarda l’apposizione del vincolo di esproprio che ha durata di cinque anni. Entro questo periodo può essere emanato il provvedimento di dichiarazione di pubblica utilità dell’opera. Se infatti non viene dichiarata la pubblica utilità dell’opera entro cinque anni il vincolo finalizzato all’esproprio decade anche se può essere reiterato con motivazione. Una volta apposto il vincolo interviene la dichiarazione di pubblica utilità, che può essere emessa fino a quando non decade il vincolo d’esproprio. Il provvedimento che dichiara "la pubblica utilità" del bene immobile deve inoltre prevedere un termine entro cui il decreto di esproprio va eseguito. Se tale termine manca, si ritiene che sia sempre di cinque anni. La terza fase del procedimento concerne la determinazione dell’indennità di esproprio. Questa fase può essere definita un vero e proprio subprocedimento per la determinazione dell’indennità. L’ultima fase riguarda il decreto di esproprio che determina il passaggio di proprietà dall’espropriato. L’esecuzione del decreto si attua attraverso l’immissione nel possesso del bene documentata con “atti registrati con riserva”. Siccome il Governo deve rispondere al Parlamento, in teoria questo potrebbe sfiduciare il Governo (non si è mai verificato). Solo gli atti di spesa che eccedono gli stanziamenti del bilancio non possono essere registrati con riserva. c) Viene stabilito un termine di 30 giorni dal ricevimento dell’atto da parte della Corte, allo spirare del quale i provvedimenti sottoposti al controllo acquistano efficacia. Gli atti trasmessi alla Corte dei Conti, per il controllo preventivo di legittimità, divengono in ogni caso esecutivi trascorsi 60 giorni dalla loro ricezione. 8.4.3 Controllo sugli atti delle Regioni E’ stato abolito definitivamente il controllo preventivo di legittimità che però è rimasto in vigore per le Regioni a statuto o autonomia speciale. Anche questo controllo viene svolto dalla Corte dei Conti (sezioni territoriali) e si svolge con lo stesso procedimento descritto prima. (esercitato dalla Corte dei Conti attraverso sezioni territoriali dislocate presso le singole regioni).In questi casi particolari (per le regioni speciali) non è ammessa la registrazione con riserva ammessa invece per gli atti del Governo.Il sistema di controllo resta differente per la Valle d’Aosta nel cui ordinamento il controllo di legittimità sugli atti è esercitato dalla stessa Commissione di coordinamento a composizione mista. 8.5 Vicende dell’efficacia durevole e procedimenti di revisione 8.5.1 Provvedimenti ad efficacia durevole L’efficacia durevole di un atto è destinata a terminare. Il termine finale indica il momento temporale in cui questa viene a cessare; la condizione risolutiva indica il fatto futuro ed incerto al cui avverarsi l’efficacia di un atto viene a cessare. Nei procedimenti di II° grado aventi ad oggetto precedenti provvedimenti, l’interesse pubblico curato e definito dal provvedimento, si realizza nell’esercizio continuato nel tempo di un’attività da parte dei soggetti e, in ordine agli oggetti definiti nel provvedimento. I provvedimenti ad efficacia durevole costituiscono un vero e proprio rapporto giuridico fra il soggetto tenuto alla prestazione dell’attività sulla base del provvedimento e l’Amministrazione che ha poteri funzionalizzati alla programmazione, all’indirizzo e al controllo dell’attività del soggetto terzo, in modo da assicurare la corretta applicazione del contenuto dispositivo del provvedimento. 8.5.2 Sospensione L’art. 21 quater, 2° comma, disciplina il procedimento di sospensione distinguendo la sospensione dell’efficacia (cioè degli effetti giuridici del procedimento), da quella dell’esecuzione (cioè dell’attività esecutiva materiale) secondo cui “l’efficacia ovvero l’esecuzione del provvedimento amministrativo può essere sospesa, per gravi ragioni e per il tempo strettamente necessario, dallo stesso organo che lo ha emanato ovvero da altro organo previsto dalla legge. Il termine della sospensione è esplicitamente indicato nell’atto che la dispone e può essere prorogato o differito per una sola volta, nonché ridotto per sopravvenute esigenze”. L’esecuzione ovviamente può riguardare sia l’attività che il privato è chiamato a porre in essere in base al provvedimento, sia la stessa attività che l’Amministrazione può porre in essere in caso di inottemperanza del primo. La sospensione in via amministrativa concreta un provvedimento di autotutela decisoria “di specie cautelare”. La sospensione può essere disposta per gravi ragioni, e per il tempo strettamente necessario; mediante la indicazione di un termine nel provvedimento di sospensione, termine che può essere prorogato o differito per una sola volta e può essere altresì ridotto per sopravvenute esigenze. La competenza in ordine al provvedimento di sospensione è in capo alla medesima autorità che ha emanato il provvedimento oggetto della sospensione; salvo che la legge espressamente conferisca questo potere ad altro organo. Il provvedimento di sospensione come gli altri di secondo grado, disciplinati dalla nuova normativa è provvedimento discrezionale, che deve essere espressamente motivato. Ovviamente esso può essere impugnato, da parte di soggetti portatori di interessi contrapposti alla sospensione del provvedimento da cui essi potevano trarre dei vantaggi; e sospeso, a sua volta, in sede giurisdizionale. Il provvedimento di sospensione può avere ad oggetto tanto provvedimenti ad efficacia istantanea (che per effetto della sospensione viene differita o dei quali viene differita l’esecuzione materiale), che provvedimenti ad efficacia durevole. In questo secondo caso il provvedimento di sospensione si inserisce nell’ambito di un rapporto in essere e viene a sospenderne le reciproche prestazioni, che riprendono corso una volta scaduto il termine della sospensione.La sospensione degli atti amministrativi non è un istituto di carattere generale (a differenza dell'autotutela), trattandosi di un potere tipico, esercitabile solo in presenza di una specifica norma che espressamente la preveda. Inoltre, anche nei casi in cui sia previsto l'esercizio del potere di sospendere l'efficacia di un provvedimento, la sospensione deve avere necessariamente un'efficacia limitata nel tempo, non essendo consentita una sospensione "sine die", che equivarrebbe a sostanziale ritiro dell'atto stesso. 8.5.3 Revoca L’art. 21 quinquies contiene la disciplina generale dell’istituto della revoca dei provvedimenti amministrativi che stabilisce come, per sopravvenuti motivi di pubblico interesse, sulla base di nuovi presupposti di fatto o di una nuova valutazione delle originarie circostanze di fatto, i provvedimenti amministrativi ad efficacia durevole possano essere revocati dagli organi amministrativi che li hanno adottati o da altri organi previsti dalla legge. Il potere di revoca è previsto in via generale, come quello di sospensione. Esso non necessita cioè di espressa previsione di legge: limitatamente, tuttavia, ai provvedimenti ad efficacia durevole. Questi possono essere revocati, da parte dello stesso organo emanante, salva espressa attribuzione del potere ad altro organo da parte della legge. L’espressione “legge” usata da questa norma come dall’altra sulla sospensione, è da intendere in senso lato come fonte di norme giuridiche. Ciò significa che anche il regolamento (sia regolamenti di organizzazione sia regolamenti sui diversi procedimenti amministrativi) può conferire poteri di revoca a determinati organi. Presupposti della revoca possono essere ,secondo la norma, molteplici e consente che essa possa essere adottata sia a fronte di sopravvenuti mutamenti nella situazione di fatto ovvero nell’assetto di interessi (come, ad esempio, previsto dall’art. 11 , 4° comma, a proposito del recesso dall’accordo), sia nel caso in cui si prospetti all’Amministrazione una “nuova valutazione dell’interesse pubblico originario”.In questo secondo caso, come è ben noto, il potere di revoca comporta una discrezionalità molto estesa che va attentamente controllata,caso per caso, nel suo corretto esercizio. Sul punto, sicuramente si pone un problema di conformità di questo istituto al principio dell’ordinamento comunitario, della legittima aspettativa (principio da intendere espressamente richiamato dall’art. 1, 1°comma). Infatti secondo questo principio, forti limitazioni sussistono alla rimozione (da intendersi comprensiva anche della revoca ex nunc) di precedenti provvedimenti che hanno costituito in capo a terzi situazioni di vantaggio (vested rights). Pacifica è l’efficacia ex nunc della revoca, esattamente individuata dalla norma come “la inidoneità del provvedimento revocato a produrre ulteriori effetti”. Una rilevante innovazione è contenuta nella norma laddove prevede l’obbligo generale di indennizzo delle situazioni di pregiudizio arrecate ai soggetti direttamente interessati, in conseguenza della revoca: “soggetti” sono da intendere come parti del rapporto costituito dal provvedimento ad efficacia durevole oggetto di revoca. A differenza dell'annullamento d'ufficio, la revoca non incide su atti amministrativi illegittimi ma su atti amministrativi inopportuni e ad effetti durevoli. Sotto tale profilo, dunque, la revoca non trova applicazione nei riguardi dei provvedimenti vincolati, ad effetti istantanei, a provvedimenti che abbiano consumato il potere o interamente eseguiti. La revoca è espressione dello ius poenitendi che viene riconosciuto in via generale alla PA; il relativo potere spetta, in via generale, all'organo che ha adottato l'atto di primo grado. Salvo il caso della competenza funzionale, poi, il potere di revoca spetta altresì all'organo sovraordinato gerarchicamente a quello che ha adottato l'atto amministrativo da revocare. 8.5.4 Proroga e Rinnovazione La proroga è il provvedimento con cui si protrae ad un momento successivo il termine finale dell’efficacia di un provvedimento durevole. Per essere produttiva di effetti, essa, deve intervenire necessariamente prima della scadenza del provvedimento di I° grado. La rinnovazione comporta un nuovo esercizio del potere amministrativo, in ordine al quale valutare la sussistenza di tutti gli elementi che ne legittimano l’adozione, comprese le sopravvenienze normative o amministrative. Riassunto del cap. 9 “IL PROVVEDIMENTO AMMNISTRATIVO E LA SUA EFFICACIA” dalla pag.467 alla n.511 del libro “Lineamenti del diritto amministrativo” di Cerulli Irelli Vincenzo 9.1 L’Invalidità degli atti Amministrativi e la teoria generale dell’Invalidità degli atti Giuridici 9.1.1 Invalidità Amministrativa e Teoria Generale. L’invalidità si ha quando l’atto è in contrasto con una norma imperativa. Tale affermazione a diversa connotazione in diritto amministrativo col diritto privato. Nel diritto privato l'invalidità può può essere derogata dalle parti salve eccezioni;nel diritto amministrativo la normazione sull'invalidità è e sull'esercizio dei poteri è sempre di carattere cogente e il contenzioso in questo caso,rispetto al diritto privato,risulta essere più ricco. L'invalidità amm.va può essere rilevata non solo quando il provvedimento è in contrasto con la normazione che lo concerne ma anche quando uno degli atti della fattispecie procedimentale risulta essere in contrasto con la legge. In sintesi quindi quando si parla di invalidità degli atti non si indica solo il contrasto con una norma imperativa ma anche qualcosa di diverso cioè il contrasto appunto della manifestazione di esercizio del potere realizzata negli atti stessi con i principi e criteri assunti a regola della discrezionalità amministrativa. L’esercizio in concreto dei poteri amministrativi è sottoposto non soltanto alla disciplina normativa che singolarmente concerne il potere stesso ma anche ad una serie di principi che attengono all’assunzione in concreto delle scelte affidate alla discrezionalità dell’Amministrazione. 9.1.2 Invalidità Totale e Parziale L’invalidità può essere totale o parziale a seconda che il vizio riguardi tutto l'atto amministrativo o solo una parte di esso (singole clausole o atti endoprocedimentali). Per regola, l’invalidità dei singoli elementi o clausole dell’atto producono l’invalidità dello stesso nella sua interezza, solo se essi hanno carattere essenziale ( senza quei elementi l'atto non potrebbe esistere o non sarebbe stato adottato). A questo punto va tenuto presente la distinzione tra provvedimenti scindibili e quelli inscindibili. Sono provvedimenti scindibili gli atti solo formalmente unici ma nella sostanza plurimi (cioè divisibili in una pluralità di atti); inscindibili quei atti sicuramente unici nella forma e nella sostanza. Con riferimento all'invalidità parziale occorrerà indagare se, a seguito dell'annullamento parziale del l'atto amministrativo, questo possa, per la parte residua, essere conservato; occorrerà, dunque, formulare una valutazione non dissimile da quella di cui all'art. 1419 C.C.(Art.1419 Nullità parziale:La nullità parziale di un contratto o la nullità di singole clausole importa la nullità dell'intero contratto, se risulta che i contraenti non lo avrebbero concluso senza quella parte del suo contenuto che è colpita dalla nullità. La nullità di singole clausole non importa la nullità del contratto, quando le clausole nulle sono sostituite di diritto da norme imperative) utilizzando, quale parametro di verifica dell'essenzialità della clausola annullata, la causa del potere esercitato. 9.1.3 Individuazione della Disciplina applicabile al fine di stabilire l’Invalidità del Provvedimento Per regola generale l'invalidità di un atto si determina con riferimento alla disciplina giuridica in vigore al momento in cui l'atto si perfeziona parimenti l'invalidità di un atto endoprocedimentale viene dedotta al momento in cui l'atto viene in essere e non in un momento successivo in cui si perfeziona il procedimento con l'adozione del provvedimento finale. Ci sono però eccezioni: una è in tema di atti sottoposti a controllo preventivo e in sede di esecuzione del giudicato amministrativo. Nel primo caso, l’Amministrazione sarebbe tenuta ad applicare le norme sopravvenute sino all’adozione dell’atto positivo di controllo.;nel secondo caso l'eccezione riguarda il caso di accoglimento del ricorso avverso il rifiuto di permesso di costruire. La normativa che l'Amministrazione deve successivamente applicare,in sede di rilascio del permesso,non è quella vigente a tale momento, ma quella anteriore al momento della decisione del giudice. Per regola, modificazioni successive della disciplina giuridica non incidono sulla validità dell’atto già perfezionato; vi possono essere, tuttavia, casi in cui ciò accade e si parla di invalidità sopravvenuta (per es. nelle norme retroattive,la cui entrata in vigore produce ex post l'invalidità degli atti che
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