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Riassunto Procedura Civile - Balena 3 volume, Sintesi del corso di Diritto Processuale Civile

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Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

In vendita dal 03/03/2020

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Scarica Riassunto Procedura Civile - Balena 3 volume e più Sintesi del corso in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! BALENA VOL III (mancano separazione e divorzio) CAPITOLO I IL PROCEDIMENTO SOMMARIO DI COGNIZIONE 1. Profili generali. Una delle innovazioni più significative della riforma del 2009 è l'introduzione del procedimento sommario di cognizione, all'art. 702-bis ss. Il legislatore ha inteso mettere a disposizione dell'attore, nelle controversie meno complesse, un procedimento più snello e semplificato rispetto a quello ordinario, ma che allo stesso tempo conduca ad un provvedimento idoneo, se non impugnato, ad acquisire l'autorità di cosa giudicata ai sensi dell'art. 2909 c.c. L'ambito di applicazione di questo rito non è delimitato in ragione di una specifica materia, essendo liberamente utilizzabile dall'attore, salvo successivo controllo del giudice, per qualunque tipo di domanda, purché si tratti di cause in cui il tribunale giudica in composizione monocratica (quindi sono esclusi sia giudice di pace che corte d'appello come giudice di unico grado), escludendo quindi le cause regolate all'art. 50- bis e quelle attribuite alla competenza del giudice di pace. Se ne esclude l'applicabilità relativamente alle cause assoggettate ad un rito a cognizione piena diverso da quello ordinario (es. cause del lavoro, previdenziali o locatizie). 2. La fase introduttiva. La domanda si propone con ricorso, sottoscritto ex art. 125 (da difensore munito di mandato o parte abilitata a stare in giudizio personalmente), e contenente tutti gli elementi all'art. 163 co 3, compreso l'avvertimento di cui al n. 7. Il deposito del ricorso determina la litispendenza e segna il momento della costituzione dell'attore. Il cancelliere forma il fascicolo d'ufficio e lo presenta senza ritardo al presidente del tribunale, il quale designa il magistrato cui è affidata la trattazione del procedimento. Il magistrato incaricato fissa con decreto l'udienza di comparizione ed assegna il termine per la costituzione del convenuto, indicato dall'art. 702-bis in non oltre 10 giorni prima dell'udienza. L'attore deve avvertire il convenuto che, qualora non si costituisca almeno dieci giorni prima dell'udienza fissata con decreto, incorrerà nelle decadenze di cui all'art. 702-bis (uguali all'art. 167). La notificazione del ricorso e del decreto sono a cura dell'attore il quale non è sottoposto a particolari limiti temporali, purché rispetti il termine dilatorio di almeno 30 giorni prima della data fissata per la costituzione del convenuto (cioè 40 1 giorni prima della data dell'udienza di comparizione), affinché il convenuto possa approntare tempestivamente le proprie difese. La disciplina della costituzione del convenuto è analoga a quella del processo ordinario. Il convenuto nella comparsa di risposta deve: – proporre le sue difese e prendere posizione sui fatti posti dal ricorrente a fondamento della domanda, indicando anche i mezzi di prova di cui intende avvalersi e i documenti che offre in comunicazione e formulando le sue conclusioni; – a pena di decadenza, proporre le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non sono rilevabili d'ufficio; – a pena di decadenza, dichiarare se intende eventualmente chiamare un terzo in garanzia, chiedendo nel contempo al giudice designato lo spostamento dell'udienza. Nessuna specifica limitazione temporale è prevista relativamente alle richieste istruttorie e la produzione di documenti. Se il convenuto ha dichiarato di voler chiamare in causa un terzo, il giudice, con decreto da comunicarsi alle parti costituite, fissa la data della nuova udienza nonché il termine perentorio entro cui il convenuto deve provvedere alla citazione del terzo. Il terzo deve costituirsi con le stesse modalità prescritte per la costituzione del convenuto: il terzo è tenuto a costituirsi almeno 10 giorni prima della nuova udienza, il termine assegnato al convenuto per la notificazione della citazione del terzo deve scadere almeno 40 giorni prima di tale udienza. Il convenuto è tenuto a depositare la citazione notificata entro i dieci giorni successivi. 3. I possibili esiti dell’udienza di prima comparizione. Art. 702-ter: all'udienza di comparizione il giudice deve preliminarmente accertare che sussistano i presupposti specifici a cui è subordinata l'utilizzazione del procedimento sommario di cognizione, se ritiene che la domanda principale o quella riconvenzionale non rientri tra quelle indicate ex art. 702-bis, la dichiara inammissibile con ordinanza non impugnabile. È possibile che il giudizio di mero rito sia immediatamente definibile, quando il giudice reputi fondata una questione processuale sollevata dal convenuto o rilevata d'ufficio (es. relativamente alla competenza o al difetto di giurisdizione). Il giudice deve verificare, con un giudizio prognostico ed approssimativo, se le difese svolte dalle parti non richiedano eventualmente un'istruzione non sommaria, cioè se la causa si presti o no ad essere convenientemente trattata ed istruita col rito semplificato. Qualora tale valutazione sia negativa, il giudice, con ordinanza non impugnabile, dispone che il processo prosegua col rito ordinario, a norma dell'art. 163 ss., fissando l'udienza di trattazione dell'art. 183 (non è però previsto un termine ulteriore a favore del convenuto, nonostante i termini ristretti del rito sommario). In questo caso, quantunque il convenuto abbia potuto usufruire di un termine più breve di quello 2 cumulate. È lecito ritenere che essa sia impugnabile anche in via differita, previa riserva. 7. L’impugnazione. L'art. 702-quater prevede che l'ordinanza che definisce il procedimento possa impugnarsi con l'appello, in linea di principio quindi si applicherà la disciplina ordinaria, di cui all'art. 341 ss., in particolare dalla disposizione per cui l'appello si propone con citazione, contenente tutte le indicazione prescritte per il processo di primo grado dall’art. 163. Vi sono, però, alcune differenze, dato che l’art. 702- quater apporta alcune deroghe: – la decorrenza del termine breve per l'impugnazione, di 30 giorni, è ricollegata, alternativamente alla notificazione o alla comunicazione del provvedimento, a seconda di quella che interviene prima. Rimane ferma l'applicabilità del termine lungo semestrale, nell'eventualità che siano omesse sia la comunicazione che la notificazione; – è prevista la possibilità che il presidente del collegio deleghi la sola assunzione dei mezzi istruttori ad uno dei componenti del collegio (e non anche l'ammissione); ma oggi, in seguito ad una modifica apportata dalla l. n. 283/2011, tale possibilità è espressamente prevista anche per l’appello ordinario. – relativamente alle nuove prove e ai nuovi documenti, l'art. 702-quater menziona distintamente i nuovi mezzi di prova o documenti che il collegio ritenga indispensabili ai fini della decisione e quelli che la parte dimostri di non aver potuto proporre nel corso del procedimento sommario per causa ad essa non imputabile. Nel rito sommario è possibile che il giudice riservi immediatamente la causa per la decisione, senza concedere alle parti alcuno spazio per l'integrazione delle iniziali richieste istruttorie, in questo caso si comprende l'opportunità di consentire tale integrazione in appello, attraverso l'offerta di nuove prove o documenti che siano semplicemente rilevanti per la decisione dell'impugnazione. Se invece il giudice di primo grado ha di fatto consentito ulteriori richieste istruttorie e produzioni documentali nel corso del procedimento, l'ammissione di nuove prove e documenti in appello deve intendersi subordinata alla dimostrazione che la loro tardiva deduzione è dipesa da causa non imputabile alla parte. CAPITOLO II LE CONTROVERSIE DI LAVORO E PREVIDENZIALI 8. Introduzione. 5 Il rito delle controversie individuali di lavoro è l'unico rito regolato in maniera realmente organica ed in larga misura autonoma rispetto a quello ordinario. Le controversie di lavoro e previdenziali, sommate tra loro, raggiungono un numero di poco inferiore a quello di tutti gli altri processi a cognizione piena che seguono il rito ordinario. Il rito del lavoro ha vissuto nel tempo una considerevole espansione: a tutte le controversie agrarie e all'intera materia della locazione e del comodato di immobili urbani e dell'affitto di aziende. Tra il 2006 e il 2009 era esteso anche alle cause di risarcimento danni per morte o lesioni conseguenti ad incidenti stradali. 9. Le caratteristiche fondamentali del rito speciale. Le principali peculiarità della disciplina del rito del lavoro in senso stretto, ossia di quello che trova applicazione nelle controversie individuali di lavoro menzionate dall’art. 409, che lo differenziano dal processo ordinario sono: – la competenza, prescindendo dalle controversie attribuite alle sezioni specializzate agrarie, spetta sempre al tribunale in composizione monocratica ed è disciplinata, quanto al territorio, con norme inderogabili; – il giudizio inizia con ricorso, anziché con citazione, e l'instaurazione del contraddittorio fra le parti si realizza in un momento successivo, presupponendo un provvedimento di fissazione dell'udienza da parte del giudice; – il processo dovrebbe essere marcatamente orale (tenuto conto che gli scritti difensivi, successivi ai rispettivi atti introduttivi, dovrebbero trovarvi posto in via eccezionale) ed estremamente concentrato, potendosi in teoria esaurire nella prima udienza o comunque in pochissime udienze ravvicinate tra loro, ed essendo esplicitamente vietate le udienze di mero rinvio; – la concentrazione del processo viene perseguita con un sistema particolarmente drastico e generalizzato di preclusioni, tendenzialmente ricollegate agli atti introduttivi delle parti, con modestissime possibilità di nuove allegazioni, richieste istruttorie e produzioni documentali nel corso del processo; – a fronte di questa severa limitazione temporale dei poteri processuali delle parti, il giudice gode di ampi poteri istruttorii autonomi, potendo utilizzare d'ufficio quasi tutti i mezzi di prova normalmente riservati alle parti, perfino in ipotesi in cui essi non sarebbero ammissibili secondo le regole ordinarie; – la decisione della causa avviene sempre, senza soluzione di continuità, al termine della discussione orale e viene resa immediatamente nota alle parti attraverso la lettura in udienza del dispositivo e della motivazione. Nel caso in cui il giudice differisca la stesure della motivazione e si tratti di condanna favorevole al lavoratore, il solo dispositivo costituisce già titolo idoneo per iniziare il processo di esecuzione forzata. 6 10. La materia cui si applica: le controversie individuali di lavoro. La materia delle cause cui si applica il rito del lavoro è individuata dall'art. 409: – rapporti di lavoro subordinato privato, anche estranei all'esercizio di impresa (ad es. lavoro domestico). Anche se lo stesso articolo 409 assoggetta alla disciplina processuale in esame anche alcuni rapporti di lavoro che sono un po’ al confine tra lavoro autonomo e subordinato, essendo formalmente autonomi. Nell’ambito di tale materia, le controversie aventi ad oggetto l’impugnativa dei licenziamenti, nelle ipotesi di cui all’art. 18 St. Lav., sono stare recentemente assoggettate ad una disciplina speciale (il cd. Rito Fornero, che diverge in parecchi profili da questo, al fine di offrire al lavoratore una tutela processuale particolarmente rapida ed efficace; – controversie in materia di contratti agrari oppure conseguenti alla conversione dei contratti associativi in affitto, che sono attribuite però alle sezioni specializzate agrarie del tribunale; – rapporti di agenzia o rappresentanza commerciale, nonché altri rapporti di collaborazione che si concretino in una prestazione di opera continuativa e coordinata, prevalentemente personale, anche se non a carattere subordinato (rapporti di lavoro parasubordinato, caratterizzati mancata subordinazione ma marcata dipendenza economica, da cui deriva, non di rado, una certa sudditanza, del prestatore di lavoro rispetto al committente, l quale, in questi casi, è solitamente imprenditore. Ad es. il rito del lavoro si applica alle controversie riguardanti il rapporto tra le a.s.l. ed i medici convenzionati, oppure tra l’amministratore o il sindaco e la società controllata); – rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici economici, cioè quelli che svolgono istituzionalmente, in via esclusiva o prevalente, un'attività economica (ad es. l’Anas, o in passato l’Enel o all’Ente Poste Italiane, prima della loro trasformazione in società per azioni e dunque in soggetti di diritto privato); – rapporti di lavoro dei dipendenti di enti pubblici non economici ed altri rapporti di lavoro pubblico, semprechè non siano devoluti dalla legge ad altro giudice: questo gruppo di controversie si è enormemente ampliato verso la fine degli anni 90’ in seguito al trasferimento del giudice ordinario del contenzioso relativo ai rapporti di lavoro alle dipendenze di pubbliche amministrazioni. Altre specifiche disposizioni di legge attribuiscono al tribunale, in funzione di giudice del lavoro, anche le controversie latu sensu collettive previste dal nostro ordinamento. 11. L’eventuale tentativo preventivo di conciliazione. Il legislatore del 1998, ha generalizzato e reso obbligatorio, per le cause di lavoro, un tentativo di conciliazione preventivo, nell’intento di creare una sorta di filtro e di arginare l’inevitabile incremento del carico di lavoro dei tribunali. In tal modo questo 7 Il rito del lavoro si differenzia nettamente dal rito ordinario in considerazione del fatto che tutte le principali attività difensive, incluse l'offerta di mezzi di prova e la produzione di documenti, sono ancorate, in linea di principio, ai primi atti rispettivi delle parti, con limitatissime possibilità di variare o integrare le allegazioni e le richieste istruttorie iniziali nel corso del processo. La rigidità del sistema che ne deriva, nonostante qualche temperamento escogitato dalla prassi(praeter legem o addirittura contra legem), è particolarmente gravosa per l’attore, coincidente nella maggior parte dei casi col lavoratore) il quale, può partire in un certo senso, con un handicap non trascurabile, poiché si vede costretto a scoprire fin dal primo momento tutte le proprie risorse istruttorie, indicando già nel ricorso ogni mezzo di prova e documento di cui dispone; senza poter attendere la costituzione dell’avversario e senza dunque poter contare sui fatti che quest’ultimo potrebbe ammettere o non contestare. Il convenuto invece pur essendo soggetto a preclusione del tutto analoghe, ha l’indubbio vantaggio di poter regolare la propria strategia difensiva su quanto il ricorrente ha indicato nell’atto introduttivo, sfruttando i punti deboli in esso eventualmente individuabili e sapendo che l’attore, a quel punto, non ha più alcuna possibilità di recupero. Nell’ottica del legislatore questa materiale disparità tra le parti doveva trovare un importante fattore di riequilibrio nei cospicui poteri istruttorii autonomi conferiti al giudice del lavoro, virtualmente idonei a sopperire alle eventuali carenza probatorie delle parti, ma i poteri in questione sono sempre stati utilizzati dai giudici con grande circoscrizione e parsimonia, sì da non poter validamente compensare le gravi limitazioni temporali cui le part soffrono nell’esercizio del diritto di prova. 14. Il ricorso introduttivo e gli adempimenti successivi al suo deposito. Il processo del lavoro si instaura con un ricorso, il cui contenuto è disciplinato all'art. 414: indicazione del giudice adito, generalità ed altri dati circa l'individuazione delle parti, oggetto della domanda, fatti ed elementi di diritto sui quali la domanda si fonda, con le relative conclusioni, mezzi di prova richiesti e documenti offerti in comunicazione. Una prima peculiarità del’atto introduttivo potrebbe essere rappresentata dall’ovvia mancanza degli elementi concernenti la vocatio in ius del convenuto, che si verifica in un momento successivo rispetto a quello in cui il processo ha inizio, attraverso un’attività combinata dell’ufficio e dello stesso attore-ricorrente. Pur non essendo menzionata, è necessaria l'indicazione delle generalità del difensore e la procura a lui conferita (ex art. 125). Se si prendono in realtà in considerazione i soli elementi riguardanti la editio actionis, ossia la formulazione della domanda in senso stretto, non si coglie alcuna apprezzabile differenza tra il ricorso in questione e l’atto di citazione introduttivo del processo ordinario. La peculiarità rispetto all'art. 163 attiene al diverso e maggiore rilievo che assume l'indicazione specifica dei mezzi di prova e in particolare dei documenti che si offrono in comunicazione. La giurisprudenza non dubita che anche il ricorrente, come 10 il convenuto, abbia l'onere di indicare nell'atto introduttivo, a pena di decadenza, ogni mezzo di prova richiesto o documento prodotto, nonostante l'art. 414 non lo preveda espressamente. Soluzione che trova conforto nell’art 420, 5 che consente alle parti di dedurre direttamente all’udienza di discussione i soli mezzi di prova nuovi che non abbiano potuto disporre prima. Il ricorso completato e sottoscritto deve essere depositato nella cancelleria del giudice adito insieme con i documenti in esso eventualmente indicati. Si determina così la litispendenza e ogni effetto processuale e sostanziale della domanda, a meno che non si tratta di un effetto( ad es. l’interruzione della prescrizione del diritto dedotto in giudizio) che presuppone per propria natura un atto recettizio; nel qual caso esso si produrrà solamente quando il ricorso verrà successivamente notificato al convenuto, a cura del ricorrente, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza di discussione. La pronuncia del decreto di fissazione dell'udienza di discussione dovrebbe avvenire da parte del giudice (designato dal presidente della sezione del tribunale incaricata di trattare le controversie di lavoro e previdenziali) entro i 5 giorni successivi al deposito in cancelleria. L'udienza dovrebbe aver luogo non oltre 60 giorni (80 se la notifica va effettuata all'estero) dal momento del deposito del ricorso, ma non prima che siano decorsi almeno 30 giorni (40 se la notifica avviene all'estero) dalla data in cui ricorso e decreto sono notificati al convenuto. L'attore può provvedere a tale notifica entro 10 giorni dalla pronuncia del decreto. In concreto, l'unico termine realmente cogente è l'intervallo minimo che deve separare l'udienza di discussione dalla notifica del ricorso e del decreto (normalmente 30 giorni). Prescindendo da questo termine infatti, tutti gli altri termini sono meramente ordinatori, e vengono assai spesso superati dalla prassi e non possono da luogo, di per sé, a nullità del procedimento. 15. Segue: i vizi del ricorso e della fase introduttiva. Manca una disposizione ad hoc nel caso si verifichino vizi nella fase introduttiva del giudizio. Con la riforma del 1990 che ha diviso la disciplina della nullità della editio actionis da quella della vocatio in ius, non si può più escludere che l'art. 164 possa applicarsi anche ai vizi riguardanti la formulazione della domanda in senso stretto, attinenti all'individuazione delle parti, del petitum e della causa petendi, all'esposizione dei fatti sui quali si fonda la domanda, consentendo, ad es., in caso di costituzione del convenuto, che la nullità venga sanata attraverso la semplice integrazione della domanda da parte del ricorrente. Per quel che riguarda i vizi della vocatio in ius, l'art. 164 rileva solo indirettamente, contribuendo ad individuare i vizi formali dai quali può derivare una nullità del procedimento nella fase preordinata al’effettiva instaurazione del contraddittorio, successiva al deposito del ricorso. 11 La violazione del termine minimo indicato dall'art. 415, essendo affine alla violazione del termine minimo a comparire dell'art. 163-bis, deve rendere l'atto inidoneo al raggiungimento dello scopo e quindi nullo; così come è privo di nullità anche la pronuncia di un decreto privo della data dell'udienza; si tratta di vizi sanabili con efficacia retroattiva, poiché non toccano il ricorso introduttivo del processo, di per sé regolare, né gli effetti sostanziali e processuali della domanda che ha già prodotto. Il giudice dovrà ordinare la rinnovazione dell'atto invalido. Al di fuori di tali ipotesi, quando la notificazione sia comunque avvenuta, ancorché in ritardo rispetto al termine ordinatorio previsto dalla legge, gli unici vizi rilevanti potrebbero derivare dalla nullità della notificazione stessa o dal mancato rispetto del termine minimo di comparizione previsto dall’art. 415,5 che renderebbe in ogni caso doverosa la rinnovazione della vocatio in ius, previa fissazione di una nuova udienza di discussione. 16. La costituzione del convenuto. La costituzione dell'attore coincide col momento del deposito del ricorso; il convenuto deve costituirsi almeno 10 giorni prima dell'udienza tramite il deposito in cancelleria di una memoria difensiva (art. 416), che rappresenta l’equivalente della comparsa di risposta per il rito ordinario. Niente esclude che il convenuto si costituisca in un momento successivo, direttamente all'udienza o nel corso del processo (qualora questo non sia definito nella stessa prima udienza), dopo esser stato dichiarato contumace, ma, siccome il legislatore ha inteso disincentivare la costituzione tardiva per far si che il giudice e le altre parti possano avere un quadro completo della materia del contendere fin dalla prima e potenzialmente unica udienza, il convenuto che non rispetti tale termine subisce pesanti limitazioni nei proprio poteri processuali, in conseguenza delle preclusioni che ne derivano. In particolare l'art. 416 prevede che il convenuto debba, a pena di decadenza: – formulare le eccezioni processuali e di merito che non siano rilevabili d'ufficio. Anche in questo caso, come per il processo ordinario, il legislatore lascia intendere che per le eccezioni cd. In senso lato non è prevista alcuna specifica barriera preclusiva; – proporre eventuali domande riconvenzionali: a garanzia dell'attore è previsto che il convenuto, nella memoria difensiva e sempre a pena di decadenza, deve chiedere al giudice lo spostamento della data dell'udienza di discussione, attraverso un nuovo decreto che deve essere pronunciato entro 5 giorni e notificato all'attore unitamente alla memoria difensiva, entro i successivi 10 giorni, a cura dello stesso ufficio. La nuova data dell'udienza dovrebbe essere fissata in modo tale che l'intervallo tra la proposizione della domanda riconvenzionale e l'udienza non superi i 50 giorni (70 se la notifica del decreto all'attore debba effettuarsi all'estero), e che all'attore sia assicurato un termine non minore di 25 giorni tra la data in cui gli viene notificato il provvedimento e quella dell'udienza (35 se la notifica avviene all'estero); 12 B) Modificazione delle domande ed eccezioni originarie. È esclusa, in linea di principio, la proposizione di domande nuove ed anche della mutatio libelli, ossia la trasformazione radicale della domanda di taluno dei suoi elementi identificativi. È sempre possibile, in presenza di gravi motivi e previa autorizzazione del giudice, la sola modificazione delle domande e delle conclusioni originariamente formulate (emendatio libelli). Deve invece ammettersi la libera allegazione di nuovi fatti estintivi, impeditivi o modificativi che il giudice potrebbe rilevare d'ufficio. Deve comunque consentirsi all'attore, anche in mancanza di una disposizione ad hoc, di proporre, almeno nella prima udienza di discussione, ogni domanda riconvenzionale che trovi la propria ragione d'essere nelle domande, eccezioni o difese formulate dal convenuto nella memoria difensiva. C) Decisione immediata sulle questioni preliminari o pregiudiziali. Quando, essendo fallito il tentativo di conciliazione, la causa risulti già matura per la decisione nel merito, oppure siano sorte questioni attinenti alla giurisdizione o alla competenza o ad altre pregiudiziali la cui decisione può definire il giudizio, il giudice dovrebbe dare immediato ingresso alla fase decisoria, invitando le parti alla discussione e pronunciando sentenza, eventualmente anche non definitiva. L'orientamento prevalso in giurisprudenza ritiene che, indipendentemente dalla natura della questione preliminare o pregiudiziale, di rito o di merito, il giudice possa optare, a propria discrezione, tra la decisione immediata ed anticipata, anche con sentenza non definitiva, ed il differimento della decisione stessa al momento in cui la causa, conclusa con l'eventuale istruttoria, sarà matura anche per il merito. D) Provvedimenti relativi all’ammissione dei mezzi di prova. Nella prima udienza, salvo che la causa non sia già matura per la decisione senza necessità di istruttoria, il giudice dovrebbe decidere sull'ammissione dei mezzi di prova chiesti dalle parti nei rispettivi atti introduttivi, disponendo, se possibile, per la loro immediata assunzione. Non sono consentite di regola nuove richieste istruttorie, a meno che non si tratti di prove che le parti non abbiano potuto proporre prima, nel qual caso il provvedimento di ammissione delle nuove prove deve assegnare all'altra parte un termine perentorio di 5 giorni per dedurre, a sua volta, gli ulteriori mezzi di prova che si rendano necessari in relazione a quelli ammessi. Anche la prova documentale è soggetta a tali limiti. Se non sia possibile provvedere all'assunzione immediata dei mezzi di prova ammessi, il giudice deve fissare una nuova udienza a non oltre 10 giorni dalla prima, eventualmente concedendo alle parti, ove ricorrano giusti motivi, un termine perentorio non superiore a 5 giorni prima di tale udienza per il deposito in cancelleria di note difensive. 20. L’intervento, volontario o coatto, di terzi. L'intervento di terzi presenta delle peculiarità: l'intervento volontario è ammesso solo entro il termine di costituzione del convenuto, cioè fino a 10 giorni prima dell'udienza 15 di discussione (art. 419), a meno che non riguardi un litisconsorte necessario pretermesso, nei cui confronti sarebbe comunque indispensabile integrare il contraddittorio. L'intervento si realizza con il deposito in cancelleria di una memoria contenente gli elementi prescritti dagli art. 414 e 416: le domande che il terzo eventualmente propone nei confronti delle parti originarie, con le relative richieste istruttorie e l'indicazione dei documenti prodotti. Il giudice è tenuto a fissare una nuova udienza, nel rispetto del termine minimo previsto all'art. 415 co 5, disponendo che tale provvedimento, entro 5 giorni, sia notificato all'interveniente nonché, con la memoria del terzo, alle parti originarie, le quali hanno tempo fino a 10 giorni prima della nuova udienza per il deposito della loro memoria, contenente nuove domande, allegazioni e richieste istruttorie giustificate dall'intervento. L'intervento coatto su ordine del giudice può disporsi invece in qualunque momento del giudizio di primo grado. La chiamata del terzo su istanza di parte si ritiene possa essere richiesta dal convenuto nella sola memoria difensiva di costituzione, e dall'attore entro la prima udienza di discussione, a patto che l'esigenza dell'intervento possa ricondursi alle domande o alle difese del convenuto. La chiamata di terzo deve sempre essere autorizzata dal giudice, previa verifica della sussistenza dei presupposti ex art. 106, tenuto conto che implica la fissazione di una nuova udienza di discussione e la notifica al chiamato, entro 5 giorni, del relativo provvedimento e del ricorso introduttivo e della memoria di costituzione del convenuto. A tutte le notificazioni e comunicazioni occorrenti per la chiamata del terzo o del litisconsorte necessario pretermesso provvede la cancelleria. 21. L’assunzione dei mezzi di prova e i poteri istruttorii del giudice. La fase istruttoria in senso stretto, per ciò che attiene all’assunzione dei mezzi di prova, non presente nel rito del lavoro peculiarità degne di rilievo. È previsto che tale fase debba esaurirsi in un'unica udienza o al più, in caso di necessità, in udienza da tenersi nei giorni feriali immediatamente successivi (art. 420), ed è possibile, in teoria, che l'assunzione abbia inizio nella stessa prima udienza. Ciò che invece contraddistingue molto più nettamente il processo in esame è rappresentato dal fatto che il giudice è dotato di poteri autonomi in misura molto ampia, tanto in primo grado quanto in appello; poteri dei quali si è rivelata spesso problematica la convivenza con le rigide limitazioni temporali previste per le iniziative probatorie delle parti. Tra i poteri del giudice, egli può indicare alle parti in ogni momento le irregolarità degli atti e dei documenti che possono essere sanate assegnando un termine per provvedervi, salvo gli eventuali diritti quesiti (art. 421). Altri poteri di iniziativa istruttoria attribuiti al giudice sono: – il giudice può disporre d'ufficio in qualsiasi momento l'ammissione di ogni mezzo di prova, anche fuori dai limiti stabiliti dal codice civile, con la sola 16 eccezione del giuramento decisorio, il cui deferimento è riservato alle parti, e dell'accesso al luogo del lavoro, che costituisce una forma specifica di ispezione e può essere disposto solamente su istanza di parte a condizione che sia necessario al fine dell'accertamento dei fatti. Tutte le limitazioni probatorie connesse alla forma richiesta dalla legge per determinati atti devono valere anche per il giudice del lavoro, così come le limitazioni derivanti dall'efficacia vincolante che debba riconoscersi ad una prova legale già disponibile. La deroga risulta quindi circoscritta ad alcune limitazioni normalmente applicabili alla prova testimoniale e quelle relative all'uso delle presunzioni semplici da parte del giudice. – Quando lo ritenga necessario, il giudice può disporre la comparizione personale anche di quelle persone che, ai sensi degli artt. 246 e 247 non potrebbero essere assunte quali testimoni, per interrogarle liberamente sui fatti di causa. Il divieto a testimoniare è stato di recente dichiarato incostituzionale, quindi il coniuge e gli altri soggetti indicati possono essere ora sentiti come veri e propri testimoni. 22. Segue: il problema dei limiti dei poteri officiosi. Cominciando dalle finalità a cui tali poteri devono ricondurre, si può escludere che essi debbano essere utilizzati dal giudice ad esclusivo vantaggio della parte normalmente più debole, ossi del lavoratore; mentre si ritiene che alla base dell’istituto vi sia l’intento di favorire, in questo tipo di cause ed in ragione della peculiare natura dei diritti coinvolti la cd. Ricerca della verità materiale, ossia un accertamento dei fatti particolarmente attendibile, che non sia eccessivamente condizionato da regole formali. L'esercizio dei poteri istruttorii del giudice non incontra particolari limitazioni temporali, essendo ammesso anche in appello e anche quando la richiesta di nuove prove sarebbe già preclusa alle parti, che se così non fosse, il giudice non avrebbe alcuna possibilità di farvi ricorso. Si potrebbe al massimo dubitare che essi possano essere impiegati per porre rimedio alla specifica decadenza nella quale sia incorsa una delle parti(la quale, ad es., abbia omesso di provvedere alla tempestiva intimazione dei testimoni di cui aveva chiesto l’escussione), ma si tratta di una deduzione tutt’altro che certa. Vale anche nel rito del lavoro il divieto al giudice di utilizzare la propria scienza privata e il principio per cui l'allegazione dei fatti principali è riservata di regola alle parti, il che esclude che i poteri istruttorii del giudice possano essere esercitati con finalità inquisitorie, per andare alla ricerca di fatti diversi da quelli effettivamente allegati dalle parti e tra loro controversi. Il giudice non può mai spingersi fino al punto di sostituirsi integralmente all'iniziativa probatoria di una parte, quando questa sia stata totalmente carente. I poteri istruttorii hanno un ruolo meramente integrativo rispetto ai mezzi di prova esperiti su istanza delle parti, 17 di primo grado sia per l'eventuale inibitoria, riferendosi alla disciplina comune. Per il datore di lavoro il solo dispositivo non è esecutivo. Per le sentenze che pronunciano condanna a favore del lavoratore per crediti derivanti dai rapporti di cui all'art. 409, ferma restando la provvisoria esecutività di diritto della condanna, il lavoratore può iniziare immediatamente l'esecuzione forzata, sulla base di una copia del dispositivo letto in udienza, senza dover attendere il deposito della sentenza in cancelleria, eventualmente differita dal giudice in un momento successivo. Tale efficacia del dispositivo permane pure dopo lo spirare del termine, anche quando il deposito della sentenza in cancelleria sia già avvenuto. La sentenza sarà titolo esecutivo. È consentito che il soccombente chieda al giudice d'appello l'inibitoria, ossia la sospensione dell'esecuzione della sentenza impugnata, ma tale sospensione può essere accordata solamente quando dall'esecuzione possa derivare alla parte impugnante un gravissimo danno. L'inibitoria può anche riguardare sol una parte della somma per cui è stata pronunciata la condanna, ed anzi non può mai essere totale giacché resta autorizzata l'esecuzione provvisoria fino all'importo di 258, 23 euro. La richiesta di inibitoria presuppone che vi sia un giudice investito dell'appello, e che quindi il datore di lavoro abbia già impugnato. L'art. 433 co 2 prevede l'ipotesi di esecuzione forzata iniziata prima della notificazione della sentenza, consentendo di proporre appello con riserva di motivi (quindi solo sulla base del dispositivo), che dovranno essere presentati, a pena di decadenza, entro il termine ordinario dell'appello (30 giorni). 26. Cenni sulla disciplina specifica delle cause di lavoro alle dipendenze di pubbliche amministrazioni. Le controversie di lavoro alle dipendenze di pubbliche amministrazioni hanno una disciplina parzialmente autonoma. Si ha un preventivo tentativo obbligatorio di conciliazione, che si svolge davanti ad un collegio di conciliazione ad hoc, istituito presso la Direzione provinciale del lavoro e composto dal direttore, che lo presiede, da un rappresentante del lavoratore e da un rappresentante dell'amministrazione. L'adesione alla proposta di bonario componimento formulata dal collegio non può mai dar luogo a responsabilità amministrativa a carico del funzionario che rappresenta la pubblica amministrazione. Il termine per l'espletamento del tentativo di conciliazione è 90 giorni, fermo restando che, trascorso tale termine, la domanda diviene procedibile. In caso di mancato espletamento del tentativo di conciliazione, il giudice deve sospendere il giudizio ed assegnare alle parti un termine perentorio di 60 giorni per il promovimento del tentativo. La parte convenuta ha la possibilità di modificare o integrare, qualora la causa sia riassunta successivamente all'espletamento del tentativo 20 di conciliazione, le proprie difese e proporre nuove eccezioni processuali e di merito, che non siano rilevabili d'ufficio. Nell'ipotesi in cui nel processo sorga una questione concernente l'efficacia, la validità l'interpretazione delle clausole di un contratto o accordo collettivo nazionale sottoscritto dall'ARAN (agenzia per la rappresentanza negoziale delle pubbliche amministrazioni), da cui dipenda la decisione della causa, il giudice, con ordinanza non impugnabile nella quale indica la questione da risolvere, deve rinviare l'udienza di discussione di almeno 120 giorni e disporre la comunicazione degli atti all'Aran, affinché questa, convocate le organizzazioni sindacali firmatarie, possa promuovere un accordo circa l'interpretazione autentica del contratto o accordo collettivo, oppure circa la modifica della clausola controversa. In assenza di tale accordo il giudice decide la questione con sentenza non definitiva, che è impugnabile esclusivamente con ricorso immediato per cassazione, da proporsi entro 60 giorni dalla comunicazione dell'avviso di deposito della sentenza. La proposizione dell'impugnazione determina la sospensione automatica del processo in cui è stata pronunciata la sentenza, ma consente anche la sospensione, a discrezione del giudice, degli altri processo la cui definizione dipenda dalla risoluzione della stessa questione. La decisione della Cassazione vincola direttamente, in caso di annullamento, il solo giudice che aveva pronunciato la sentenza cassata, ma gli altri giudici davanti ai quali venga sollevata la stessa questione, qualora non ritengano di uniformarsi alla soluzione recepita dalla Cassazione, non possono investire nuovamente l'Aran, ma devono decidere con sentenza. All'Aran e alle organizzazioni firmatarie dei contratti collettivi sono riconosciute la possibilità di intervenire volontariamente nel processo, anche oltre il termine ex art. 419, quella di impugnare autonomamente, in seguito all'intervento, le sentenze pronunciate su una delle questioni viste, e, anche quando non siano intervenute, la facoltà di presentare memorie sia nel giudizio di merito sia in quello di cassazione. 27. L’appello in generale, la sua fase introduttiva e l’appello incidentale. Per l’appello in questione è per molti motivi applicabile la normativa ordinaria contenuta negli art. 339- 359 (si pensi, ad es., all’art. 340 concernente la riserva d’appello differito nei confronti delle sentenze non definitive); nei limiti, ovviamente, in cui essa non risulti incompatibile con le caratteristiche del rito speciale. Trovano piena applicazione le disposizioni generali sulle impugnazioni di cui agli artt. 323- 3388 (così, ad es., sebbene l’art. 434,2 preveda per l’appello solamente un termine di 30 giorni dalla notificazione, è pacifico che valga anche per il rito del lavoro il termine cd. Lungo ora semestrale previsto dall’art 327. . L'atto introduttivo riveste, anche in appello, la forma del ricorso (entro 30 giorni dalla notifica della sentenza), e deve contenere, oltre alle indicazioni prescritte dall'art. 414, l'esposizione sommaria dei fatti e dei motivi specifici dell'impugnazione; dev'essere depositato nella 21 cancelleria della corte d'appello territorialmente competente, in funzione di giudice del lavoro. Fermo restando che l'udienza di discussione dovrebbe aver luogo entro 60 giorni dalla data di deposito del ricorso e che l'appellante deve provvedere alla notifica del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza entro 10 giorni dalla pronuncia del decreto, il termine minimo che deve intercorrere tra tale notifica e l'udienza è di 25 giorni, elevato a 60 quando la notifica sia da farsi all'estero. Il decreto di fissazione dell'udienza compete al presidente della corte e contiene la nomina del giudice incaricato della relazione al collegio. Poiché il processo inizia con il deposito del ricorso, ogni eventuale nullità della vocatio in ius non può incidere sulla valida e tempestiva proposizione dell'appello, implicando solamente la necessità di una rinnovazione degli atti viziati nonché di una nuova notificazione del ricorso e del decreto di fissazione dell'udienza. Mentre l'appellante è costituito per effetto del deposito del ricorso introduttivo, l'appellato deve costituirsi almeno 10 giorni prima dell'udienza, depositando in cancelleria il proprio fascicolo e una memoria difensiva contenente la dettagliata esposizione di tutte le sue difese (art. 436), nonché, a pena di decadenza, l'eventuale appello incidentale ed i motivi specifici sui quali esso si fonda. L'impugnazione incidentale dovrà considerarsi tempestiva o tardiva a seconda che sia stata proposta prima o dopo lo spirare dei termini per l'appello, ma deve essere in ogni caso notificata alla controparte almeno 10 giorni prima dell'udienza. 28. Segue: la disciplina dei nova. In base all'art. 437: a) vige egualmente il divieto di nuove domande (senza ulteriori specificazioni), che un orientamento opinabile estende, anzi, anche alla mera emendatio libelli; anche in questo caso devono ammettersi le modestissime deroghe previste dall’art. 345, 1; in linea di principio, le cd. Mere difese, in diritto o in fatto (eccezioni improprie). b) sono perentoriamente escluse le nuove eccezioni, senza alcun distinguo tra quelle processuali e quelle di merito, né tra quelle in senso stretto e quelle in senso lato: nonostante la diversa opinione manifestata da una parte della dottrina e delle giurisprudenza la soluzione più conforme alla volontà del legislatore è nel senso di escludere l’allegazione di qualunque nuovo fatto estintivo, impeditivo o modificativo, indipendentemente dalla circostanza che sia rilevabile solo dalle parti o anche d’ufficio. Ciò non toglie al giudice debba ritenersi consentito rilevare di propria iniziativa l’effetto di fatti che erano stati già allegati o comunque acquisiti agli atti del processo di primo grado; né esclude che siano liberamente proponibili dalle parti in linea di principio, le cd. Mere difese, in diritto o in fatto (eccezioni improprie). c) anche per i nuovi mezzi di prova la regola è quella della preclusione, che oramai, secondo la giurisprudenza più recente, deve intendersi estesa anche ai nuovi 22 E) La sentenza è comunque esecutiva per legge, l'art. 447 consente al solo lavoratore di iniziare l'esecuzione forzata sulla base del solo dispositivo; ma non è chiaro se tale facoltà, nelle controversie ora considerate, debba essere riconosciuta soltanto al lavoratore che si sia visto riconoscere determinate prestazioni previdenziali o assistenziali, oppure, senza distinzione alcuna, ad ogni parte vittoriosa. F) L'art. 152 disp. att. esclude, nei giudizi promossi per ottenere prestazioni previdenziali o assistenziali, e fuori dalle ipotesi di responsabilità aggravata per lite temeraria, la condanna alle spese della parte soccombente il cui reddito imponibile IRPEF sia inferiore ad un determinato importo, e, con una limitazione di dubbia costituzionalità, prevede che le spese, competenze ed onorari liquidati dal giudice nei giudizi per prestazioni previdenziali non possano superare il valore della prestazione dedotta in giudizio, che deve a tal fine risultare, a pena di inammissibilità del ricorso, da un’apposita dichiarazione , inserita nelle conclusioni dell’atto introduttivo. Un regime del tutto peculiare è stato recentemente previsto per le controversie in materia di invalidità civile, cecità civile, sordità, handicap e disabilità, nonché di pensione di inabilità e di assegno di invalidità, nelle quali è imposto, quale condizione di procedibilità della domanda giudiziale, l’obbligatorio e previo esperimento di un accertamento tecnico, ai sensi dell’art. 696-bis, per l verifica preventiva delle condizioni sanitarie legittimanti la pretesa fatta valere. In altre parte, tenuto, tenuto conto che l’esito di queste cause dipende il più delle volte dagli accertamenti e dalle valutazioni demandati al consulente tecnico d’ufficio, il legislatore tenta di evitare l’instaurazione del giudizio di merito, nella speranza che la controversie possa trovare una composizione sostanzialmente bonaria in questa fase preliminare, qualora le parti siano disposte ad accettare le conclusioni cui perviene il consulente tecnico. Il ricorso per l’accertamento tecnico preventivo deve essere presentato al tribunale, in funzione di giudice del lavoro, del luogo di residenza dell’attore e produce l’effetto interruttivo dell’operazione. Una volta terminate le operazioni del consulente tecnico designato il giudice fissa con decreto il termine perentorio non superiore a 30 giorni entro il quale le parti devono eventualmente dichiarare l’intenzione di contestare le conclusioni cui è pervenuto il consulente. La sentenza che definisce tale giudizio è inappellabile. 25 CAPITOLO III LE CONTROVERSIE IN MATERIA DI LOCAZIONE O COMODATO DI IMMOBILI E DI AFFITTO D’AZIENDE 31. Le modeste differenze rispetto al rito del lavoro. Con la riforma del 1990 le cause di locazione di immobili urbani sono state attribuite alla competenza per materia del giudice togato ed assoggettate ad un rito che ricalca il modello delle controversie individuali di lavoro. Il legislatore ha assimilato alle cause di locazione quelle in materia di comodato di immobili urbani e quelle di affitto di aziende. Tali controversie sono disciplinate attraverso un esplicito rinvio alla maggior parte delle disposizioni dagli art. 414 a 441, in quanto applicabili (art. 447-bis), con alcune differenze: – la competenza per territorio spetta in ogni caso al giudice del luogo in cui è situato l'immobile o l'azienda, è nulla ogni diversa pattuizione tra le parti; – il giudice può disporre d'ufficio, in ogni momento, l'ispezione della cosa e l'ammissione di ogni mezzo di prova, ad eccezione del giuramento decisorio, nonché la richiesta di informazioni, scritte o orali, alle associazioni di categoria indicate dalle parti; ma senza poter superare i limiti di ammissibilità previsti dal codice civile; – è possibile la pronuncia dell'ordinanza di pagamento delle somme non contestate ma non quella sul pagamento di una somma a titolo provvisorio nel caso in cui il giudice ritenga il diritto accertato e nei limiti per cui ritiene già raggiunta la prova; – all'esecuzione della sentenza può sempre procedersi con la sola copia del dispositivo in pendenza del termini per il deposito della sentenza, e l'inibitoria può essere disposta dal giudice ad quem senza limitazioni quantitative ed ancor prima che l'esecuzione sia iniziata, quando da questa possa derivare alla parte soccombente un gravissimo danno; – è esclusa l'applicazione dell'art. 429 co 3 della rivalutazione automatica dei crediti di lavoro. CAPITOLO IV I PROCESSI DI SEPARAZIONE PERSONALE E DIVORZIO (dal libro) 26 CAPITOLO V I PRESUPPOSTI DELL’ESCUZIONE FORZATA 42. Il titolo esecutivo. Perché possa darsi inizio all'esecuzione forzata è necessario che sussista un titolo esecutivo. Il legislatore attribuisce tale qualità ad atti molto eterogenei, l'unico criterio utilizzabile resta quello formale, per cui sono titoli esecutivi esclusivamente i documenti che la legge definisce tali. L'art. 474 prende in considerazione tre diverse categorie di titoli esecutivi: – le sentenze, i provvedimenti e gli altri atti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva; sono detti titoli giudiziali, che costituiscono il gruppo più numeroso, poiché non comprendono solo le sentenze di condanna, ma anche le non poche ordinanze o decreti aventi un contenuto analogo, cui il legislatore attribuisce la medesima qualità (si pensi al decreto ingiuntivo dichiarato esecutivo). Tra gli “altri atti” si include il verbale di conciliazione o anche l’accordo stipulato a seguito di una procedura di negoziazione assistita, e gli altri titolo esecutivi stragiudiziali come ad es. il ruolo d'imposta, che fonda la cd. Esecuzione esattoriale utilizzata come forma di riscossione coattiva ordinaria per le entrate dello stato e degli altri enti pubblici non economici; – le scritture private autenticate, limitatamente alle obbligazioni di somme di denaro in esse contenute, le cambiali e gli altri titoli di credito ai quali la legge attribuisce espressamente la stessa efficacia (ad es. assegno bancario o circolare); sono titoli stragiudiziali, idonei a fondare esclusivamente l'esecuzione per espropriazione forzata (altrimenti detta generica); – gli atti ricevuti da notaio o da altro pubblico ufficiale autorizzato dalla legge a riceverli. L’espressa menzione dell’atto pubblico rispetto alla scrittura privata si spiega per il fatto che il primo, a differenza della seconda, può dar luogo, per espressa previsione dell’art. 474, 3, anche all’esecuzione in forma specifica per consegna o rilascio. Il diritto risultante dal titolo esecutivo, a norma dell'art. 474, deve essere certo, liquido ed esigibile. La liquidità si riferisce ai soli diritti aventi ad oggetto la dazione di denaro o di cose fungibili, che devono essere quantificati in una determinata somma o quantità risultante dallo stesso titolo esecutivo. Non di rado ci si imbatte in provvedimenti giudiziali di condanna nei quali manca una diretta quantificazione della somma dovuta, che deve essere ottenuta facendo riferimento ad elementi ad essa esterni (ad es., alla sentenza che nel condannare il datore di lavoro al pagamento di retribuzioni arretrate, ometta di 27 esecutivo è utilizzabile, a fortiori, pure contro il successore il cui acquisto sia posteriore alla formazione del titolo nei confronti del suo dante causa. La legittimazione del successore a titolo particolare concorre, in linea di principio, con quella della parte originaria., tanto più che, se la successione si verifica dal lato passivo, il creditore procedente ben potrebbe ignorarla senza alcuna sua colpa. Non essendo previsto nessun controllo preventivo circa la legittimazione attiva del creditore o quella passiva del soggetto contro cui l’esecuzione viene intrapresa, l’effettiva verifica di tale legittimazione resta subordinata all’eventualità che il debitore la contesti tramite un’opposizione all’esecuzione. Nel caso in cui il mutamento della titolarità del diritto o dell'obbligo risultanti dal titolo si realizzi nel corso del processo esecutivo: – per quel che concerne la successione universale, il contraddittorio deve proseguire indisturbato, pur quando si tratti di successione mortis causa, non trovando applicazione l'istituto dell'interruzione, ferma restando la possibilità che il successore eserciti nel procedimento i poteri processuali che sarebbero spettati al suo dante causa ( ad es per contestare, tramite un’opposizione, la legittimità dell’esecuzione o per chiedere la conversione del pignoramento, nel caso in cui si tratti di legittimazione passiva). In base all’opinione più persuasiva, deve ritenersi anzi che il successore abbia diritto ad essere sentito nelle medesime ipotesi in cui sarebbe necessaria l’audizione della parte originaria; – quanto alla successione a titolo particolare, si è soliti ammettere che, se il trasferimento del diritto recato dal titolo avviene a processo esecutivo già iniziato, la legittimazione attiva e passiva delle parti originarie, di regola, non ne risenta, mentre maggiori dispute sorgono a riguardo i poteri e le prerogative processuali del successore, soprattutto nell'ipotesi in cui la successione si realizzi dal lato del debitore esecutato. 46. Gli atti preliminari all’inizio dell’esecuzione: notificazione del titolo esecutivo e precetto. Salvo la legge disponga altrimenti, l'inizio dell'esecuzione forzata deve essere preceduto dalla notificazione del titolo in forma esecutiva e dalla notificazione del precetto (art. 479). La notificazione del titolo esecutivo ed il precetto non appartengono ancora all'esecuzione forzata, ma rappresentano atti ad essa preliminari. L'esecuzione deve essere iniziata entro 90 giorni dalla notifica del precetto (termine che resta automaticamente sospeso qualora sia proposta opposizione), altrimenti diventerebbe inefficace e dovrebbe essere reiterato (art. 481). il precetto può essere redatto di seguito al titolo esecutivo e può essere notificato, di regola, unitamente ad esso, per entrambi la notificazione deve essere indirizzata alla parte personalmente, ex art. 137. Quando il titolo è rappresentato da sentenza, la sua 30 notifica diretta al difensore del soccombente ed occorrente per far decorrere il termine breve per l’impugnazione, non sarebbe idonea ai fini dell’esecuzione forzata. In alcuni casi la notificazione del precetto deve essere necessariamente successiva a quella del titolo in forma esecutiva, essendo soggetta ad un termine dilatorio. In particolare, quando l'esecuzione sia promossa contro gli eredi della parte indicata nel titolo, la notificazione del precetto, che deve essere comunque diretta agli eredi stessi, esige che siano trascorsi almeno 10 giorni dalla notificazione del titolo, che può essere eseguita, entro un anno dalla morte, agli eredi collettivamente ed impersonalmente, presso l'ultimo domicilio del defunto. Analogamente, quando l'esecuzione sia diretta contro un'amministrazione dello Stato o un ente pubblico non economico, il creditore deve attendere almeno 120 giorni prima di poter notificare il precetto. Tali disposizioni mirano ad evitare al debitore che adempia tempestivamente le maggiori spese che derivano dal precetto. Per alcuni titoli esecutivi(come quelli per i quali la legge non prescrive la spedizione in forma esecutiva, giacché il creditore non possiede l’originale), non è prevista l’autonoma notificazione, solitamente rimpiazzata da una trascrizione integrale del titolo medesimo all’interno dell’atto di precetto. Il precetto consiste, a norma dell'art. 480, nella formale intimazione di adempiere all'obbligo risultante dal titolo esecutivo entro il termine, non minore di 10 giorni, indicato dal creditore, con l'avvertimento che, in mancanza, si procederà ad esecuzione forzata. Il presidente del tribunale competente per l'esecuzione, o un giudice da lui delegato, può dispensare dall'osservanza di tale termine dilatorio ed autorizzare l'esecuzione immediata, eventualmente subordinandola alla prestazione di cauzione, con decreto scritto in calce all'originale del precetto e trascritto nella copia da notificare, qualora ricorra pericolo nel ritardo. Elementi essenziali dell’atto di precetto, richiesti a pena di nullità, sono l'indicazione delle parti e della data di notificazione del titolo esecutivo, qualora sia avvenuto separatamente. Se si tratta di titoli per i quali non è prescritta la notificazione ma la trascrizione integrale nello stesso precetto, la corrispondenza di tale trascrizione all'originale deve essere certificata dall'ufficiale giudiziario prima della notificazione del precetto, dietro esibizione del titolo da parte del creditore istante. L'art. 480 richiede anche la dichiarazione di residenza o l'elezione di domicilio della parte istante nel comune in cui ha sede il giudice competente per l'esecuzione a norma dell'art. 26, che serve ad agevolare l’esecuzione delle notificazioni e delle comunicazioni dirette al creditore. La sua omissione non incide sulla validità del precetto, ma implica che le eventuali opposizioni al precetto spetteranno alla competenza del giudice del luogo in cui il precetto è stato notificato e le notificazioni dirette all'intimante potranno farsi presso la cancelleria di tale giudice. Il precetto deve essere sottoscritto a norma dell'art. 125, dalla parte personalmente oppure dal difensore munito di procura. 31 La notificazione del precetto determina l'interruzione della prescrizione del diritto risultante dal titolo. CAPITOLO VI L’ESPROPRIAZIONE FORZATA SEZIONE I L’ESPROPRIAZIONE FORZATA IN GENERALE 47. Funzione e struttura dell’espropriazione. L'espropriazione è la forma statisticamente più frequente di esecuzione forzata. Essa ha come obiettivo finale quello di dare attuazione ad un credito pecuniario ed implica molteplici attività di varia natura, materiale o giuridica, dirette in primo luogo ad individuare i beni del debitore da destinare al soddisfacimento del creditore, e poi alla trasformazione in denaro dei beni medesimi, quando il creditore o taluno di esse non ne chieda l’assegnazione datio in solutum, e, infine, alla ripartizione del ricavato tra i più creditori. Il titolo II del libro III del codice detta una disciplina generale e comune dell’espropriazione nelle varie fasi e nei sui aspetti essenziali: il pignoramento, l’intervento dei creditori, l’assegnazione e la vendita, la distribuzione del ricavato etc., disciplina che va poi integrata con quella analitica propria di ciascuna forma di espropriazione, a seconda del tipo di bene del debitore che essa aggredisce. I modelli di tale processo esecutivo sono tre: l'espropriazione mobiliare presso il debitore, che riguarda i beni mobili in genere, compresi quelli iscritti in pubblici registri e quelli immateriali; l'espropriazione mobiliare presso terzi, che solitamente investe un credito del debitore; l'espropriazione immobiliare; L’espropriazione di beni indivisi e quella contro il terzo proprietario. 48. Il giudice dell’espropriazione e le disposizioni generali concernenti l’espropriazione. Il giudice competente per l'espropriazione forzata è in ogni caso, in base agli art. 9 e 26, il tribunale, territorialmente individuato: a) con riguardo al luogo in cui si trovano i beni mobili o immobili assoggettati all'esecuzione; b) oppure, quando l'espropriazione riguardi autoveicoli, motoveicoli o rimorchi o espropriazione di crediti nei confronti del debitore diverso da una p.a., al luogo di residenza, domicilio, dimora o sede del debitore. c) in relazione al luogo di residenza, domicilio, dimora o sede del terzo debitore, se l’espropriazione ha per oggetto dei crediti ed è diretta nei confronti di una p.a. 32 All'art. 492 co 4 è previsto che, quando i beni pignorati appaiano insufficienti o non siano reperiti beni utilmente pignorabili, ovvero per essi appare manifesta la lunga durata della liquidazione, l'ufficiale giudiziario inviti il debitore ad indicare ulteriori beni utilmente pignorabili, nonché i luoghi in cui essi si trovano ovvero le generalità dei terzi debitori, avvertendolo della sanzione prevista all'art. 388 co 6 c.p. per il caso ometta di rispondere entro 15 giorni o renda una falsa dichiarazione. Art. 492 co 5, dalla dichiarazione del debitore, che deve essere raccolta in un processo verbale da lui sottoscritto, scaturiscono, quando è positiva, effetti diversi a seconda della natura dei beni ulteriori in essa indicati. Qualora si tratti di beni mobili in possesso dello stesso debitore, si considerano senz'altro pignorati fin dal momento della dichiarazione, fermi restando gli ulteriori adempimenti dell'ufficiale giudiziario relativi alla loro materiale apprensione e custodia. Se invece l'indicazione riguarda crediti oppure cose mobili del debitore che siano in possesso di un terzo, il pignoramento si considera immediatamente perfezionato nei soli confronti del debitore, il quale, tra l'altro, è costituito custode della somma o della cosa, qualora il terzo, non avendo ancora ricevuto la notificazione dell'atto di pignoramento prevista dall'art. 543, gli effettui successivamente il relativo pagamento o gli restituisca la cosa. Se vengono indicati beni immobili, il creditore procede, provvedendo al relativo pignoramento secondo le specifiche modalità previste per l'espropriazione immobiliare. Lo stesso invito può essere rivolto al debitore, su sollecitazione del creditore procedente, quando, in seguito all'intervento di altri creditore, i beni pignorati siano divenuti insufficienti. Secondo l'art. 492 co 7 ai fini della ricerca di cose o crediti da sottoporre ad esecuzione, l'ufficiale giudiziario può chiedere l'assistenza della forza pubblica, qualora lo ritenga necessario, e può, su richiesta del creditore procedente, chiedere informazioni ai soggetti gestori dell'anagrafe tributaria e di altre banche dati pubbliche, nonché, quando il debitore sia un imprenditore commerciale, invitarlo ad indicare il luogo in cui sono conservate le scritture contabili, nominando un commercialista o un avvocato o un notaio per esaminarle al fine dell'individuazione di cose e crediti pignorabili. Se emergono beni non indicati dal debitore tutte le spese saranno a suo carico e il provvedimento di liquidazione è titolo esecutivo contro di lui. Il debitore esecutato ha l'obbligo di collaborare. 51. Segue: la ricerca con modalità telematiche dei beni da pignorare. 52. Segue: gli effetti del pignoramento. Secondo l'art. 2913 ss. c.c. non hanno effetto, in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori che intervengano nell'esecuzione, gli atti di alienazione, nonché gli altri 35 atti latu sensu dispositivi dei beni sottoposti a pignoramento, che egualmente potrebbero vanificare il soddisfacimento dei creditori partecipanti all'espropriazione. Al debitore non è fatto divieto di disporre giuridicamente dei beni pignorati, sicché un eventuale atto di disposizione sarebbe valido e produttivo di effetti tra le parti, ancorché inopponibile al creditore pignorante e agli altri creditori intervenuti nell'espropriazione (si parla a tal riguardo di inefficacia relativa), i quali potrebbero proseguire nell'esecuzione come se il bene appartenesse ancora al debitore. Della suddetta inefficacia si giovano non solo il creditore pignorante, ma anche tutti gli altri creditori intervenuti o che interverranno nel processo esecutivo; ed è per questa ragione che per descrivere gli effetti del pignoramento, si è parlato di vincolo a porta aperta, contrapposto al vincolo a porta chiusa, che invece può discendere dal sequestro conservativo. Per quanto riguarda gli atti colpiti da questa inefficacia relativa, accanto alle alienazioni, l’art. 2915,1 prende espressamente in considerazione gli atti che importano vincoli di indisponibilità dei beni pignorati. Tale disposizione impone di intendere in modo ampio il termine alienazioni, includendovi non solo gli atti traslativi del diritto di proprietà, ma anche quelli costitutivi di diritti reali limitati (servitù, usufrutto ecc.) ovvero di diritti di godimento meramente personali. Rispetto ai beni mobili non iscritti in pubblici registri, l'art. 2913 fa salvi gli effetti del possesso in buona fede, che determina l'acquisto della proprietà a titolo originario e pertanto è opponibile anche ai creditori che partecipano all'espropriazione. L'art. 2914 c.c. prevede che siano inefficaci nei confronti di tali creditori, ancorché anteriori al pignoramento: – le alienazioni di beni immobili o di beni mobili iscritti in pubblici registri la cui trascrizione sia successiva a quella del pignoramento; – le alienazioni di beni mobili ovvero di universalità di mobili che non abbiano data certa anteriore al pignoramento; – le cessioni di credito notificate al debitore ceduto o da questi accettate in un momento successivo al pignoramento. A tali disposizioni si è aggiunto l’art. 2929-bis il quale prevede che, nel caso in cui il creditore sia pregiudicato da un atto a titolo gratuito del debitore, che abbia costituito vincoli di indisponibilità o abbia alienato beni immobili o beni mobili registrati e sia successivo al sorgere del credito, l’azione esecutiva prescinde dal previo accoglimento dell’azione revocatoria, a condizione che il pignoramento venga trascritto entro un anno dalla trascrizione dell’atto pregiudizievole. In altre parole, gli atti a titolo gratuito trascritti entro l’anno anteriore alla trascrizione del pignoramento sono ipso iure inefficaci nei confronti del creditore, che può aggredire il bene come se fosse libero da vincoli d’indisponibilità e anche nei confronti del terzo acquirente, fermo restando che tanto il debitore quanto il terzo possono contestare attraverso l’opposizione 36 all’esecuzione, non solo i presupposti specifici di applicazione dell’art. 2929-bis ma anche l’eventus damni e la scientia damni da parte del debitore, che costituiscono condizioni per l’accoglimento dell’azione revocatoria rispetto agli atti di disposizione compiuti a titolo gratuito. L'art. 2916 prevede che nella distribuzione del ricavato non si tenga conto dei diritti di prelazione derivanti da ipoteche, anche se giudiziali, iscritte dopo la trascrizione del pignoramento, ovvero da privilegi soggetti ad iscrizione in pubblici registri ed iscritti dopo il pignoramento, o infine da privilegi relativi a crediti sorti dopo il pignoramento. 53. La conversione e la riduzione del pignoramento. Art. 494 prevede che il debitore può evitare il pignoramento versando nelle mani dell'ufficiale giudiziario la somma per cui si procede, con l'incarico di consegnarlo al creditore. Se non è fatto con riserva di ripetizione (che non riconoscerebbe il debito) ha effetti liberatori immediati. Se il pignoramento è già avvenuto, l'art. 495 consente al debitore esecutato di sostituire alle cose o ai crediti pignorati una somma di denaro corrispondente al totale dei crediti del creditore pignorante e dei creditori intervenuti, maggiorato dai relativi interessi e spese nonché delle spese dell'esecuzione. La relativa richiesta può essere avanzata prima che sai disposta la vendita ed una sola volta; deve essere accompagnata dal deposito in cancelleria di una somma pari ad ameno un quinto del totale di tali crediti, dedotti gli eventuali versamenti già effettuati, di cui deve essere fornita prova documentale; e diviene improcedibile dopo l'aggiudicazione, anche provvisoria, o l'assegnazione dei beni pignorati (art. 187-bis disp. att.). L'importo globale della somma occorrente per la conversione è determinato con ordinanza dal giudice dell'esecuzione, previa audizione delle parti in udienza entro 30 giorni dal deposito dell'istanza; e con essa, se il pignoramento riguarda beni immobili e sussistono giustificati motivi, può essere concessa una rateizzazione mensile del pagamento entro un termine massimo di 18 mesi, con applicazione dei relativi interessi scalari. Qualora l'istanza di conversione sia accolta, il provvedimento dispone che i beni siano liberati dal pignoramento e la somma sia ad essi sostituita. L'effettiva liberazione dal pignoramento presuppone il versamento integrale di tale somma, eventualmente rateizzata allorché si tratti di immobili. Se invece il debitore non adempie al versamento, oppure, essendo stato ammesso alla rateizzazione, omette o ritarda di oltre 15 giorni di pagare anche una sola delle rate, il giudice, su richiesta del creditore procedente o di altro creditore intervenuto che sia munito di titolo esecutivo, dispone senza indugio la vendita delle cose pignorate. Non si sospende la vendita. È possibile anche la riduzione del pignoramento, che il giudice può disporre anche d'ufficio, sentiti il creditore procedente e i creditori eventualmente intervenuti, quando 37 Il ricorso del creditore interveniente deve essere depositato in cancelleria prima che sia tenuta l'udienza in cui è disposta la vendita o l'assegnazione ai sensi degli artt. 530, 552 e 569 (art. 499), e deve contenere l'indicazione del credito e del relativo titolo, nonché la domanda di partecipare alla distribuzione della somma ricavata dall'espropriazione e la dichiarazione di residenza o l'elezione di domicilio nel comune in cui ha sede il giudice competente per l'esecuzione. Qualora l'intervento riguardi un credito non assistito da titolo esecutivo, ma risultante dalle scritture contabili di cui all'art. 2214 c.c., il creditore deve allegare al ricorso, a pena di inammissibilità, un estratto autentico notarile delle scritture stesse. Il creditore privo di titolo esecutivo deve notificare al debitore, nei 10 giorni successivi al deposito, copia del ricorso, eventualmente accompagnata dall'estratto autentico delle scritture contabili se l'intervento si fonda su di esso. Il debitore deve infatti essere messo nella condizione di disconoscere, in tutto o in parte, i crediti non risultanti da titolo esecutivo (il riconoscimento del credito vale comunque solo per questo processo). Il giudice, con la stessa ordinanza con cui dispone la vendita o l'assegnazione dei beni pignorati, deve fissare un'apposita udienza di comparizione del debitore e dei creditori privi di titolo esecutivo, da tenersi non oltre 60 giorni dalla data del provvedimento, disponendo la notifica di quest'ultimo a cura di una delle parti. All'udienza il debitore deve dichiarare quali di tali crediti intende riconoscere, anche solo parzialmente; se non compare, tutti i crediti si intendono riconosciuti, seppure ai soli effetti dell'esecuzione. I creditori i cui crediti siano stati riconosciuti partecipano alla distribuzione del ricavato dell'espropriazione, nei limiti dell'importo riconosciuto; quelli i cui crediti siano stati disconosciuti hanno solo il diritto ad un accantonamento temporaneo (non superiore a 3 anni) delle somme loro potenzialmente spettanti, a condizione che ne facciano istanza e poi, nei 30 giorni successivi all'udienza, dimostrino di aver proposto l'azione di cognizione tendente a conseguire il titolo esecutivo. Art. 499 co 4: in caso di intervento tempestivo di creditori chirografari, muniti o meno di titolo esecutivo, il creditore pignorante ha la facoltà di indicare loro, con la notifica di un atto ad hoc o direttamente all'udienza in cui è disposta la vendita o l'assegnazione, l'esistenza di altri beni del debitore utilmente pignorabili, invitandoli ad estendere su di essi il pignoramento, qualora si tratti di creditori muniti di titolo esecutivo, o altrimenti ad anticipare le spese occorrenti per l'estensione del pignoramento. Se i creditori intervenuti non provvedono a tale estensione, senza giusto motivo, entro 30 giorni, il creditore pignorante acquista il diritto di essere loro preferito in sede di distribuzione del ricavato. 56. La vendita forzata o l’assegnazione dei beni pignorati. La possibile chiusura anticipata dell’espropriazione. 40 Perché l'espropriazione forzata possa concretamente soddisfare i creditori ammessi al concorso, è necessario procedere alla vendita forzata ovvero, quando ne sussistano le condizioni, all'assegnazione dei beni o dei crediti pignorati. Occorre a tal fine un'apposita istanza, del creditore procedente o di un altro munito di titolo esecutivo, da proporsi non prima di 10 giorni dal pignoramento (salvo si tratti di cose deteriorabili) e non oltre il termine di 90 giorni, che farebbe venir meno l'efficacia del pignoramento stesso. Le modalità della vendita forzata sono autonomamente disciplinate nell'ambito di ciascun tipo di espropriazione, ma il codice prevede che possa avvenire con o senza incanto. Nel primo caso le operazioni di vendita si svolgono ed esauriscono in un unico contesto, nel luogo e nel giorno fissati nel provvedimento di vendita, attraverso offerte successive al rialzo ed aggiudicazione al miglior offerente. Nel secondo caso le offerte di acquisto, sempre nel rispetto del prezzo minimo, possono liberamente intervenire nell'arco di tempo determinato dal provvedimento di autorizzazione alla vendita, e può essere prevista, in caso di pluralità di più offerte, una gara partendo dall'offerta più alta. La preferenza del legislatore è per la vendita senza incanto, che l’esperienza ha rivelato essere solitamente più proficua. L’art. 503 infatti prevede che l’incanto possa disporsi solamente quando il giudice ritiene probabile che la vendita con tale modalità possa fruttare un prezzo superiore della metà rispetto al valore di stima del bene. La dottrina distingue due tipi di assegnazione: - una prima assegnazione satisfattiva, consistente in una datio in solutum, per cui il creditore accetta, in luogo della somma di denaro cui avrebbe diritto, che gli venga trasferita la proprietà di taluno dei beni pignorati, eventualmente pagando un conguaglio in denaro quando l'importo del suo credito sia inferiore al valore del bene. Una sottospecie di tale figura può ravvisarsi nell'assegnazione del credito pignorato prevista nell'espropriazione presso terzi, che realizza una cessione del credito pro solvendo per cui non è neppure richiesta l'accettazione del creditore assegnatario. - Una seconda assegnazione è l'assegnazione-vendita, che prevede il pagamento del valore del bene da parte del creditore assegnatario e si risolve in una aggiudicazione per un prezzo predeterminato. Tale prezzo non può essere inferiore all'importo totale delle spese di esecuzione e dei crediti aventi diritto di prelazione anteriore a quello dell'assegnatario, affinché il ricavato sia almeno sufficiente a soddisfare i creditori a lui anteposti; fermo restando che alla ripartizione dell'eventuale eccedenza concorrono sia l'assegnatario sia gli altri creditori, secondo le rispettive cause di prelazione. Nell'espropriazione mobiliare presso il debitore, l'assegnazione può essere richiesta in via alternativa alla vendita solo per i beni che abbiano un valore risultante da listini di borsa. Nell'espropriazione immobiliare l'assegnazione può essere chiesta solo dopo l'esito negativo della vendita con incanto. La l. 24/2010 introduce la vendita con modalità telematica ed abroga la vendita per contanti. 41 57. Gli effetti e la stabilità della vendita e dell’assegnazione. Sia la vendita forzata sia l'assegnazione realizzano un trasferimento coattivo della proprietà del bene assoggettato all'espropriazione. La natura coattiva della vendita non esclude che si tratti di un trasferimento a titolo derivativo, cui deve applicarsi il principio per cui nemo plus iuris ad alium transferre potest quam ipse habet. L'art. 2919 c.c. stabilisce che la vendita forzata trasferisce all'acquirente i diritti che sulla cosa spettavano a colui che ha subito l'espropriazione, salvi gli effetti del possesso in buona fede: il trasferimento del diritto di proprietà in favore dell'acquirente presuppone sempre, di regola, che tale diritto sussistesse in capo al debitore esecutato, a meno che, trattandosi di beni mobili acquistati in buon fede, non risulti applicabile l'art. 1153 c.c., che configura un acquisto a titolo originario. L'art. 2919 c.c. prevede che non sono opponibili all'acquirente i diritti acquisiti da terzi sulla cosa, se tali diritto non hanno effetto in pregiudizio del creditore pignorante e dei creditori intervenuti nell'esecuzione. Sono inefficaci rispetto al creditore procedente e ai creditori intervenuti nell'esecuzione gli atti di alienazione dei beni pignorati ed in genere tutti gli atti loro pregiudizievoli posteriori al pignoramento, e di tale inefficacia si giova anche l’acquirente del bene espropriato, il quale si può dire che acquisti il bene dal debitore nella medesima situazione giuridica in cui esso si trovava alla data del pignoramento. Può accadere che l'acquirente in vendita forzata subisca successivamente l'evizione, totale o parziale, del bene, allorché un terzo ne rivendichi vittoriosamente, nei suoi confronti, la proprietà o un diverso diritto reale. In tal caso egli può ripetere il prezzo pagato per l'acquisto, ovvero una parte proporzionale di esso in caso di evizione parziale, se questo non è stato ancora distribuito, oppure può ripetere da ciascun creditore la parte rispettivamente riscossa e dal debitore l'eventuale residuo, conservando il diritto di agire nei confronti del creditore procedente per i danni e le spese (art. 2921 c.c.). L'art. 2927 c.c. prevede una disciplina analoga per il creditore assegnatario che, in caso di evizione, può ripetere quanto abbia eventualmente pagato agli altri creditori, ferma restando la possibilità di agire nei confronti del creditore procedente per i danni e per le spese e conservando integre le proprie ragioni di credito nei confronti del debitore esecutato. In caso di vendita di cosa mobile, l'acquirente in buona fede prevale su chi poteva vantare la proprietà o un diverso diritto reale sul bene pignorato: l'art. 2920 c.c. gli consente di far valere le proprie ragioni sulla somma ricavata dalla vendita, ma solo fino al momento in cui essa viene distribuita ai creditori: dopo tale momento non potrà ripetere dai creditori quanto hanno ricevuto, ma può agire per il risarcimento dei danni e per le spese, nei confronti del creditore procedente, allorché questi sia stato in mala fede, nonché nei confronti del debitore stesso per ingiustificato arricchimento 42 all’art. 499 subordina l’intervento dei creditori e comunque il loro diritto a partecipare alla distribuzione; per sostenere, che ad es., l’esecutività della sentenza di primo grado sulla quale l’intervento si fonda è stata sospesa dal giudice d’appello. Per entrambi i profili la contestazione deve ritenersi ammissibile anche rispetto ai crediti non assistiti da titolo esecutivo ma riconosciuti espressamente o tacitamente, dal debitore ai sensi dell’art. 499, sicché altrimenti il creditore resterebbe inerme di fronte ai possibili accordi fraudolenti del debitore e dell’altro creditore in suo danno. Quanto al debitore esecutato, egli non avrebbe interesse a contestare l’esistenza di una certa prelazione in favore di taluno dei creditori, mentre può contestare l’esistenza o l’ammontare di qualunque credito vantato dai creditori muniti di titolo esecutivo, alfine di ottenere l’eventuale somma avanzata dopo la distribuzione o di evita che venga soddisfatto un credito in tutto od in parte inesistente. Nel caso in cui si tratti di creditori privi di titolo esecutivo il debitore può semplicemente disconoscere in tutto od in parte il relativo credito. Un ultimo problema da considerare è quello relativo alla stabilità della distribuzione. Si discute se le attribuzioni patrimoniali che ne scaturiscono possano essere o no rimesse in discussione, successivamente, al di fuori del processo esecutivo, in particolare attraverso un’azione per ripetizione d’indebito o invece debbano considerarsi irreversibili, per un fenomeno analogo al giudicato. Si discute se le attribuzioni patrimoniali che ne scaturiscano, in favore dei creditori ammessi al concorso, possano essere o no rimesse in discussione, successivamente, al di fuori del processo esecutivo, in particolare attraverso un'azione per ripetizione di indebito, o debbano considerarsi irreversibili. Appare opportuno distinguere: relativamente ai rapporti meramente processuali tra i diversi creditori, l'esaurimento della fase di distribuzione e la preclusione relativa alle eventuali impugnazioni determina una situazione non più modificabile, in conseguenza dell'irrevocabilità del provvedimento che pone fine al processo esecutivo. Per quel che riguarda invece i rapporti tra debitore esecutato e creditori partecipanti alla distribuzione, è difficile ammettere che la conclusione del processo esecutivo possa produrre di per sé una preclusione in grado di impedire eventuali azioni di ripetizione d'indebito. SEZIONE II L’ESPROPRIAZIONE MOBILIARE PRESSO IL DEBITORE 59. L’individuazione dei beni da pignorare e i relativi limiti. La ricerca e l'individuazione dei beni o dei crediti utilmente pignorabili nell'espropriazione mobiliare che si attua presso il debitore competono all'ufficiale giudiziario, che gode a tal riguardo di poteri coercitivi specifici. 45 L'ufficiale giudiziario, munito di titolo esecutivo e del precetto, può effettuare la ricerca delle cose da pignorare nella casa del debitore e in tutti gli altri luoghi a lui appartenenti, nonché, con le opportune cautele, sulla stessa persona del debitore. Eventualmente può ricorrere all'uso della forza (art. 513). Su autorizzazione del presidente del tribunale o di altro giudice da lui delegato, che ne sia stato richiesto dal creditore procedente, l'ufficiale giudiziario può anche pignorare cose determinate che non si trovano in luoghi appartenenti al debitore, ma delle quali egli può direttamente disporre; es. autovettura in un garage di proprietà di terzi, cui il debitore può liberamente accedere. Se invece manca tale potere di disposizione diretta sul bene da parte del debitore, è necessario ricorrere alle diverse e più complesse forme dell'espropriazione presso terzi, a meno che il terzo possessore non accetti di esibire volontariamente il bene all'ufficiale giudiziario. L'individuazione delle cose da assoggettare ad espropriazione incontra alcune limitazioni a salvaguardia della dignità e del decoro del debitore e per la stessa sopravvivenza sua e del suo nucleo familiare. L'art. 514 riguarda, oltre ai casi previsti da speciali disposizioni di legge, una serie di beni mobili che sono sottratti all'espropriazione in ragione della loro particolare destinazione (es. cose sacre o necessarie per l'esercizio di culto, armi che il debitore abbia l'obbligo di conservare per l'adempimento di un pubblico servizio) o perché ritenuti indispensabili alle esigenze basilari del debitore e della sua famiglia (es. arredi fondamentali dell'abitazione, quantità commestibili e combustibili necessarie per un mese). Lo stesso regime compete ai beni giuridicamente inalienabili. L'art. 515 e 516 riguardano beni che possono essere autonomamente pignorati soltanto in determinate circostanze ed entro certi limiti: es. gli strumenti, gli oggetti e i libri indispensabili per l'esercizio della professione, fino ad un massimo di un quinto del loro valore, quando il valore di presumibile realizzo degli altri beni rinvenuti dall'ufficiale giudiziario appaia insufficiente; oppure si tratti di frutti non ancora raccolti o separati dal suolo, nelle 6 settimane anteriori al tempo della loro maturazione. Entro questi limiti la scelta dei bene da pignorare è essenzialmente discrezionale, ancorché l'art. 517 imponga all'ufficiale giudiziario di preferire in ogni caso il denaro contante, gli oggetti preziosi, i titoli di credito ed ogni altro bene che appaia di sicura realizzazione, nonché le cose che ritiene di più facile e pronta liquidazione. L'impignorabilità assoluta può essere motivo di opposizione all'esecuzione ex art. 615, non rilevabile d'ufficio. L'impignorabilità relativa può invece esser fatta valere con opposizione agli atti esecutivi. 60. Le modalità del pignoramento. Per procedere al pignoramento è necessaria una richiesta da parte del creditore interessato, che deve fornire all'ufficiale giudiziario competente il titolo esecutivo e l'originale debitamente notificato dell'atto di precetto. L'ufficiale giudiziario deve 46 verificare la propria competenza, l'esistenza del titolo esecutivo e l'avvenuta notificazione. Il creditore può, al momento della richiesta, dichiarare che intende partecipare personalmente alle relative operazioni, nel qual caso l'ufficiale giudiziario deve comunicargli con preavviso la data e l'ora dell'accesso, e il creditore può farsi rappresentare o assistere da un difensore o da un esperto. Il pignoramento può essere eseguito solo nei giorni feriali e nell'arco di tempo indicato all'art. 147; si attua in forma orale, ma ne viene redatto processo verbale, nel quale si dà atto dell'ingiunzione e delle ulteriori formalità prescritte dall'art. 492 (invito al debitore alla dichiarazione di residenza o all'elezione di domicilio; avvertimento sulla possibile conversione del pignoramento; eventuale invito ad indicare ulteriori beni pignorabili), nonché di tutte le operazioni all’uopo effettuate dall’ufficiale giudiziario. Per agevolare la descrizione delle cose pignorate, è previsto che possa compiersi mediante rappresentazione fotografica ovvero altro mezzo di ripresa audiovisiva. È necessaria una stima approssimativa del presumibile valore di realizzo dei beni pignorati; a tale stima può provvedere lo stesso ufficiale giudiziario, eventualmente avvalendosi, ove lo ritenga utile o gli sia richiesto dal creditore, di un esperto stimatore da lui scelto, che presti giuramento e che ha diritto ad un compenso, successivamente liquidatogli dal giudice dell'esecuzione. L'ufficiale giudiziario può anche limitarsi a redigere un primo verbale di pignoramento, differendo le operazioni di stima ad un momento successivo, nel qual caso dovrà poi procedere alla definitiva individuazione dei beni da pignorare, sulla base dei valori indicati dall'esperto, e senza indugio e comunque nel termine perentorio di 30 giorni. Il creditore può successivamente contestare il valore attribuito alle cose pignorate, per ottenere che il pignoramento venga esteso ad altri beni. A tal fine può, entro il termine previsto per il deposito dell'istanza di vendita, rivolgere istanza al giudice dell'esecuzione, il quale, nominato ove appaia opportuno uno stimatore, ordina l'integrazione del pignoramento se ritiene che il presumibile valore di realizzo dei beni pignorati sia inferiore a quello stimato in sede di pignoramento, ed in tal caso l'ufficiale giudiziario deve riprendere senza indugio l'operazione di ricerca dei beni. Nel verbale di pignoramento devono essere indicate le disposizioni date per conservare le cose pignorate, comprensive di quelle concernenti la custodia delle stesse. Quando il debitore non sia presente al pignoramento, l'ingiunzione è rivolta ad una delle persone indicate all'art. 139 (una persona di famiglia o addetta alla casa), cui viene consegnato un avviso dell'ingiunzione destinato al debitore. Se mancano tali persone l'avviso è affisso alla porta dell'immobile in cui è stato eseguito il pignoramento. Concluse le operazioni, l’ufficiale giudiziario deve consegnare senza ritardo al creditore procedente il verbale di pignoramento, con il titolo esecutivo e il precetto, deve essere depositato in cancelleria entro le 24 ore successive al compimento delle 47 In linea di principio, l'intervento dei creditori deve avvenire non oltre la prima udienza fissata per l'autorizzazione della vendita o per l'assegnazione; dopo tale momento e prima del provvedimento di distribuzione, si considera tardivo ed il credito dell'interveniente, salvo che sia assistito da un diritto di prelazione, viene posposto a quello degli altri creditori, potendo soddisfarsi solo sull'eventuale somma residua. L'art. 525 co 2° anticipa il limite temporale dell'intervento tempestivo quando il valore dei beni pignorati non superi 20.000 euro (valore indicato nel verbale di pignoramento): in tal caso si fa riferimento alla data di presentazione del ricorso con cui è stata chiesta la vendita o l'assegnazione. Se la costituzione è tardiva, anche se munito di titolo esecutivo, il creditore verrà posposto. 64. L’assegnazione o la vendita dei beni (cenni) e la distribuzione del ricavato. Su ricorso del creditore pignorante o di un altro creditore intervenuto che sia munito di titolo esecutivo, proponibile dopo che sia decorso il termine dilatorio dell'art. 501, il giudice dell'esecuzione fissa l'udienza per l'audizione delle parti, per decidere circa l'assegnazione, allorché ne sussistano i presupposti, o la vendita dei beni pignorati. Tale udienza, in cui le parti possono fare osservazioni circa l'assegnazione, circa il tempo e le modalità di vendita, costituisce l'ultima occasione per le opposizioni agli atti esecutivi nei confronti degli atti anteriori all'udienza stessa, ammesso che la decadenza non si sia già prodotta. Se non c'è opposizione i vizi restano sanati. Se non vi sono opposizioni o le parti comparse raggiungono l'accordo, il giudice dell'esecuzione dispone con ordinanza l'assegnazione o la vendita, altrimenti deve prima decidere sulle opposizioni con sentenza. Nel caso della piccola espropriazione di cui all'art. 525 co 2°, il giudice provvede con decreto, senza fissare l'udienza, allorché fino alla presentazione dell'istanza di vendita o di assegnazione non siano intervenuti altri creditori; in caso contrario provvede con ordinanza, secondo le modalità indicate, dopo l'audizione dei soli creditori intervenuti tempestivamente. Il giudice può scegliere liberamente tra la vendita senza incanto e quella con incanto. Nel primo caso egli, col provvedimento autorizzativo della vendita fissa il prezzo minimo della vendita stessa (salvo il valore dei beni risulti da listino di borsa o di mercato) e l'importo globale al cui raggiungimento la vendita deve arrestarsi; le cose pignorate sono affidate all'istituto vendite giudiziarie o, con provvedimento motivato, ad altro soggetto specializzato nel settore di competenza, affinché proceda alla vendita in qualità di commissionario (art. 532). Se però la vendita non avviene entro un mese dal provvedimento autorizzativo ed i creditori non concordano nel chiedere una proroga del termine, il commissionario è tenuto a riconsegnare i beni affinché si proceda alla loro vendita all'incanto (art. 533). 50 Nel caso di vendita all'incanto (consentita solamente quando appare probabile che tale modalità frutti un prezzo superiore di almeno la metà rispetto al valore di stima del bene), il giudice deve fissare, sentito uno stimatore, il prezzo di apertura dell'incanto e stabilire giorno ed ora in cui la vendita deve avvenire, affidandone l'esecuzione al cancelliere o all'ufficiale giudiziario o ad un istituto all'uopo autorizzato. Se la cosa resta invenduta, il soggetto incaricato della vendita fissa un nuovo incanto ad un prezzo base inferiore di un quinto rispetto a quello precedente (art. 538). È preclusa la possibilità dei creditori concorrenti di chiedere l'assegnazione dei beni mobili invenduti. Quando la vendita riguardi beni mobili iscritti in pubblici registri, l'art. 534-bis consente al giudice, nel disporre la vendita con o senza incanto, deleghi le relative operazioni ad un istituto autorizzato o ad un notaio, un avvocato o un commercialista iscritti negli appositi elenchi all'art. 179-ter disp. att. Art. 490 la vendita deve essere resa pubblica mediante affissione per 3 giorni di un avviso nell'albo dell'ufficio giudiziario presso il quale si svolge il procedimento esecutivo, nonché, quando si tratti di espropriazione di beni mobili registrati di valore superiore a 25.000 euro, mediante inserimento dell'avviso in appositi siti internet almeno 45 giorni prima della scadenza del termine per la presentazione delle offerte o della data dell'incanto. L'art. 534 salva la possibilità che il giudice, nell'autorizzare la vendita, disponga forme di pubblicità straordinaria, ex art. 490 (pubblicazione su stampa). Quanto alla distribuzione del ricavato, gli art. 541 e 542 prevedono che i creditori possano concordare un piano di riparto, che il giudice dopo aver sentito il debitore può senz’altro recepire nel proprio verbale. Qualora ciò non avvenga, oppure se il giudice non approva il piano concordato tra i creditori, ciascuno di questi, anche se privo di titolo esecutivo, può chiedere che sia il giudice stesso a provvedere alla distribuzione, tenendo conto delle rispettive cause di prelazione. Se il bene all'incanto resta invenduto è disposto un nuovo incanto. Nel caso in cui le cose pignorate risultino invendute dopo il secondo o terzo incanto o quando la somma assegnata non sia sufficiente, il giudice, ad istanza di uno dei creditori muniti di titolo esecutivo, ordina senz’altro l’integrazione del pignoramento attraverso la ricerca di ulteriori beni da parte dell’u.g.. Se tale ricerca è positiva il giudice dispone la vendita delle nuove cose pignorate, senza bisogno di una nuova istanza; altrimenti, salvo che non debbano completarsi le operazioni di vendita dei beni originariamente pignorati, dichiara d’ufficio l’estinzione del procedimento. SEZIONE III L’ESPROPRIAZIONE PRESSO TERZI 65. L’oggetto dell’espropriazione presso terzi e i limiti alla pignorabilità dei crediti. 51 L'espropriazione presso terzi può avere ad oggetto sia dei beni mobili di proprietà del debitore, che si trovino nella disponibilità di un terzo, sia dei crediti che il debitore vanti nei confronti di un terzo. Si ritiene che siano espropriabili non solo i crediti non ancora esigibili, poiché sottoposti a termine o condizione, ed i crediti illiquidi, ma anche quelli futuri ed eventuali, quando derivino da un rapporto giuridico già esistente. Il credito, al momento dell'assegnazione, deve possedere una capacità satisfattiva concretamente apprezzabile, così da essere oggetto di assegnazione e vendita. Alcuni crediti sono assolutamente impignorabili, l'art. 545 co 2° menziona i crediti aventi ad oggetto sussidi di grazia o di sostentamento a persone comprese nell'elenco dei poveri, oppure sussidi dovuti per maternità, malattie e funerali da casse di assicurazione, da enti di assistenza o da istituti di beneficenza. Vi sono poi limitazioni di carattere relativo, ossia casi in cui il credito è pignorabile soltanto per una parte o per il soddisfacimento di determinati altri crediti. L'art. 545 comprende: – i crediti alimentari, pignorabili esclusivamente a tutela di altri crediti alimentari, su autorizzazione del presidente del tribunale e nella misura da lui stabilita con decreto; – i crediti relativi a stipendi, salari o altre indennità derivanti da rapporto di lavoro privato, comprese quelle dovute a causa di licenziamento, che possono pignorarsi per crediti alimentari, nella misura autorizzata dal presidente del tribunale, ovvero nei limiti di un quinto per crediti di natura tributaria dello Stato, delle province o dei comuni ed in egual misura per ogni altro credito; con l'ulteriore limite massimo della metà credito, allorché concorrano simultaneamente più crediti di diversa natura (ad. Es.,un credito tributario ed un credito di altro genere). Per ciò che riguarda il pubblico impiego, il d.p.r. 180/1950 prevedeva un regime molto più restrittivo, consentendo il pignoramento, nei limiti di un quinto, esclusivamente a tutela di determinati crediti. Tale discriminazione è venuta meno in seguito ad un intervento della Corte costituzionale che ha stabilito che anche per i crediti del pubblico impiego vige il principio della pignorabilità nella misura di un quinto. --- Le somme da chiunque dovute a titolo di pensione, indennità che tengono luogo di pensione o di altri assegni di quiescenza. Tali somme sono assolutamente impignorabili per un importo pari ad una volta e mezza la misura massima mensile dell’assegno sociale ( 448,07 euro); mentre al di la di questo importo sono pignorabili entro i limiti di un quinto. La violazione dei divieti e dei limiti previsti nell’art. 545 ovvero da altre disposizioni di legge è causa parziale di inefficacia del pignoramento, rilevabile dal giudice anche d’ufficio. Discorso a parte è necessario in relazione ai crediti dello Stato e degli enti pubblici in genere; si è affermato il principio per cui, in assenza di deroghe derivanti direttamente dalla legge o dalla natura pubblicistica del credito, il vincolo di destinazione di un pubblico servizio non può valutarsi in astratto, per il solo fatto che le somme di denaro 52 – attraverso una dichiarazione esplicita del terzo, che si riconosce detentore della cosa mobile oggetto del pignoramento ovvero obbligato a pagare una determinata somma di denaro al debitore esecutato. Tale dichiarazione può essere comunicata per iscritto, con lettera raccomandata inviata al creditore procedente, tranne quando il pignoramento riguardi crediti di lavoro privato, oppure può essere resa all'udienza di comparizione indicata nell'atto di pignoramento. L'art. 547 prevede in entrambi i casi la dichiarazione possa provenire personalmente dal terzo o da un suo procuratore speciale, e deve specificare di quali cose o somme il terzo è debitore o si trovi in possesso e quando ne deve eseguire il pagamento o la consegna, gli eventuali sequestri o pignoramenti anteriormente eseguiti presso di lui e le cessioni a lui notificate o da lui accettate. Se il terzo rende una dichiarazione positiva, riconoscendo di essere in possesso di cose del debitore o di dovergli delle somme di denaro, e questa non viene contestata, può passarsi alla fase satisfattiva, l'assegnazione o la vendita delle cose mobili o dei crediti del debitore esecutato. Se invece la dichiarazione è oggetto di contestazioni, l’espropriazione potrà proseguire in quanto sia stata preventivamente accertata l’esistenza del bene o del credito pignorato. – oppure quando tale dichiarazione manchi, in seguito ad una sentenza resa a conclusione di un vero e proprio giudizio di cognizione. Se il terzo omette di comparire all'udienza o di rendere tale dichiarazione, o se tale dichiarazione è negativa o oggetto di contestazioni, l'espropriazione potrà proseguire in quanto sia preventivamente accertata l'esistenza del bene o del credito pignorato, nell'ambito di un giudizio a cognizione piena. L'art. 548 prevede che taluna delle parti espressamente faccia istanza, anche solo verbalmente in udienza, altrimenti il processo esecutivo si avvia ad estinzione. A tale istanza è legittimato solo il creditore pignorante e i creditori intervenuti muniti di titolo esecutivo, e non il debitore, che non avrebbe diritto di contestare in questa sede la veridicità delle dichiarazioni rese da terzi. Il terzo non ha un vero e proprio obbligo di rendere la dichiarazione, ma ha interesse a farlo, soprattutto per evitare di essere poi condannato, in caso di soccombenza, al pagamento delle spese dell'eventuale giudizio di accertamento promosso dal creditore procedente. Quando il terzo non provveda alla dichiarazione neanche nel corso del giudizio di primo grado, può trovare applicazione nei suoi confronti l'art. 232 che prevede la possibilità, valutato ogni altro elemento di prova, di ritenere come ammessi i fatti. Se il giudizio si conclude con l'accertamento dell'esistenza del bene o del credito pignorato, la stessa sentenza fissa alle parti un termine per la riassunzione del processo esecutivo, che passa alla fase satisfattiva. Il 3 comma dell’art 548 sta ad indicare che, laddove sussistano i presupposti ivi indicati(ossia la prova di non aver avuto tempestiva conoscenza ecc.) il terzo può anche far valere le proprie contestazioni attraverso un’opposizione tardiva, da proporre entro venti giorni dalla data in cui gli sia notificato, da parte del creditore assegnatario, il titolo esecutivo o il precetto. In altre parole, fermo restando che le contestazioni 55 possono investire qualunque aspetto del proprio obbligo verso il debitore esecutato, il terzo che non abbia avuto tempestiva conoscenza dell’ordinanza di assegnazione potrà far valere tali contestazioni anche in un momento successivo, ossia quando il creditore cui il credito è stato assegnato si rivolgerà a lui per ottenere, attraverso una nuova procedura esecutiva, l’adempimento. --- In seguito a una decisione che verifichi, a conclusione di una vera e propria parentesi di cognizione, l’esistenza e l’entità del credito del debitore esecutato nei confronti del terzo, ovvero il possesso, da parte di quest’ultimo, di un bene appartenente al debitore. Tale decisione si rende necessaria allorché la dichiarazione del terzo sia stata oggetto di contestazioni da parte del creditore, nonché quando, avendo il terzo omesso di rendere la dichiarazione e di comparire all’udienza, non risulti comunque possibile l’esatta identificazione del credito o dei beni del debitore in possesso del terzo. In entrambi i casi l’art. 549 prevede che sia lo stesso giudice dell’esecuzione, su istanza di parte, a compiere i necessari accertamenti del contraddittorio tra le parti e con il terzo, provvedendo con un’ordinanza che produce effetti ai fini del procedimento in corso e dell’esecuzione fondata sul provvedimento di assegnazione e nel contempo può essere impugnata nelle forme e nei termini di cui all’art. 617, ossia con un rimedio tipico del processo esecutivo (l’opposizione agli atti esecutivi) che instaura un giudizio a cognizione piena e si conclude con sentenza, a sua volta ricorribile per cassazione. L’attuale formulazione della norma in esame induce a pensare che il legislatore abbia inteso circoscrivere l’oggetto dell’accertamento alla sola assoggettabilità del credito pignorato all’espropriazione forzata. Quindi tanto l’ordinanza pronunciata in prima battuta dal giudice dell’esecuzione, quanto la sentenza che definisca l’eventuale opposizione agli atti esecutivi, devono soltanto accertare l’esistenza del credito o del bene mobile pignorato ai fini della possibile sua assegnazione, e dunque nei rapporti tra il creditore procedente ed il terzo. 68. L’intervento dei creditori. L'intervento dei creditori è soggetto alla stessa disciplina dell'espropriazione mobiliare presso il debitore, tenendo presente che si considera tempestivo l'intervenuto avvenuto entro la prima udienza di comparizione delle parti (art. 551), intesa come l'udienza destinata alla dichiarazione del terzo. 69. L’assegnazione o la vendita. A seguito della dichiarazione positiva del terzo o della sentenza resa a conclusione dell'apposito giudizio di cognizione promosso a norma dell'art. 548, una volta che sia accertata l'esistenza della cosa o del credito pignorato, si deve stabilire come 56 provvedere al soddisfacimento del creditore pignorante e degli altri creditori eventualmente intervenuti. Se il pignoramento riguarda una cosa mobile del debitore in possesso del terzo, si applicano le disposizioni in tema di assegnazione e vendita dettate per l'esecuzione mobiliare presso il debitore. Se si tratti di crediti, è necessario distinguere: se il credito è esigibile immediatamente o entro 90 giorni, il giudice l'assegna in pagamento, salvo esazione, ai creditori concorrenti, tenendo conto delle cause di prelazione; se il termine di esigibilità è maggiore o si tratti di censi o di rendite perpetue o temporanee, l'assegnazione è subordinata ad una richiesta concorde dei creditori, in mancanza della quale è necessario vendere il credito con modalità analoghe a quelle stabilite per la vendita forzata di cose mobili. Riguardo all'assegnazione del credito in pagamento, il diritto del creditore assegnatario nei confronti del debitore originario non si estingue per effetto della sola assegnazione ma in seguito all'effettivo pagamento di quanto dovuto dal terzo: in caso di mancata riscossione nulla impedirebbe all'assegnatario di promuovere una nuova procedura esecutiva nei confronti dello stesso debitore originario. Il provvedimento di assegnazione determina solamente un trasferimento coattivo del credito, senza fare stato sull'esistenza del credito stesso e senza costituire titolo esecutivo nei confronti del debitore, fermo restando che l'incontrovertibilità dell'esistenza del credito potrebbe derivare sia dalla sentenza a seguito di giudizio di cognizione sia dalla irretrattabilità della dichiarazione positiva del terzo. SEZIONE IV L’ESPROPRIAZIONE IMMOBILIARE 70. Il pignoramento. È il creditore procedente che deve individuare i beni immobili appartenenti al debitore da sottoporre al pignoramento. L'art. 555 prevede che il pignoramento di beni immobili si esegua attraverso al notificazione (personalmente) e successiva trascrizione di un atto, sottoscritto dal creditore pignorante ex art. 125, contenente l'esatta indicazione dei beni e dei diritti assoggettati ad espropriazione, con gli estremi catastali richiesti dal codice civile per l'individuazione dell'immobile ipotecato, oltre all'ingiunzione ex art. 492. E' nullo o inesistente l'atto che manchi di sottoscrizione. L'atto di pignoramento immobiliare si perfeziona con la trascrizione, alla cui data dovrà aversi riguardo per ciò che attiene agli effetti verso i terzi ma anche per stabilire 57 eventualmente interessati all'acquisto: lo stato di possesso dell'immobile, con l'indicazione, se occupato da terzi, del titolo della relativa occupazione, l'esistenza di formalità, vincoli ed oneri gravanti sul bene e destinati a rimanere a carico dell'acquirente, nonché di quelli che saranno cancellati o non saranno opponibili all'acquirente. La relazione deve essere trasmessa ai creditori e al debitore esecutato tramite posta ordinaria o elettronica, almeno 45 giorni prima dell'udienza; le parti possono depositare direttamente all'udienza delle note concernenti la relazione, purché le abbiano preventivamente trasmesse all'esperto almeno 15 giorni prima; nel caso l'esperto interviene all'udienza per rendere gli opportuni chiarimenti. Nella stessa udienza (termine ultimo per proporre opposizione agli atti) il giudice dispone la vendita, con ordinanza, se non ci sono opposizioni o se su di esse si raggiunge l'accordo delle parti comparse. In caso contrario, prima di dar via alla vendita, il tribunale deve decidere sulle opposizioni con sentenza. La riforma del 2005 ha previsto che in prima battuta debba necessariamente esperirsi la vendita senza incanto, nella quale chiunque, escluso il debitore, può presentare, entro il termine fissato dal giudice, una propria offerta di acquisto dell'immobile, nel rispetto del prezzo minimo e delle altre condizioni indicate nell'ordinanza di vendita. Si ricorre alla vendita all'incanto quando la vendita senza incanto non abbia sortito esito positivo oppure quando, essendo stata presentata un'unica offerta di acquisto che non supera il valore minimo dell'immobile aumentato di un quinto, ricorrano le condizioni all'art. 572. L'ordinanza che dispone la vendita senza incanto deve determinare, oltre al valore dell'immobile -(prezzo base che costituirà limite minimo per le offerte): --- se la vendita avverrà in un unico lotto o in più lotti; – il termine, non inferiore a 90 e non superiore a 120 giorni, in cui potranno proporsi le offerte di acquisto, stabilendo eventualmente che possano presentarsi anche a mezzo fax o email; --- l’offerta minima, pari al 75% del prezzo base; – le modalità con cui deve essere prestata la cauzione, che non può essere inferiore ad un decimo del prezzo offerto; – la fissazione, al giorno successivo alla scadenza del termine per la presentazione delle offerte, dell'udienza in cui, aperte le buste delle offerte stesse, si procederà alla deliberazione sull'unica offerta o all'eventuale gara tra più offerenti. --- il giorno, successivo alla scadenza del termine per la presentazione delle offerte, dell’udienza in cui si procederà alla deliberazione sull’unica offerta oppure sull’eventuale gara tra i più offerenti. L'art. 569 lascia intendere che il giudice con la stessa ed unica ordinanza, deve in ogni caso fissare già la data e gli elementi occorrenti per la vendita all'incanto, per l'eventualità in cui debba aver luogo, vuoi per la mancanza di offerte tempestive ed efficaci, vuoi per altre ragioni. Ma la vendita all’incanto può disporsi solamente 60 quando il giudice ritenga che essa potrà aver luogo ad un prezzo superiore almeno della metà rispetto al valore di stima dell’immobile. Il provvedimento che dispone la vendita mobiliare è sempre soggetto alle forme di pubblicità previste dall'art. 490, che prevede, oltre all'affissione, nel albo del tribunale presso cui si procede, di un apposito avviso contenente le indicazioni ex art. 570, l'inserimento di una copia dell'ordinanza e della relazione di stima redatta dall'esperto in appositi siti internet, almeno 45 giorni prima della scadenza del termine fissato per la presentazione delle offerte ovvero della data dell'incanto, la pubblicazione di avviso, una o più volte e nello stesso termine, sui quotidiani di informazione locale o nazionali indicati dal giudice ed eventualmente la divulgazione con le forme della pubblicità commerciale. 74. Le modalità della vendita senza incanto. Chiunque, tranne il debitore, è ammesso ad avanzare, personalmente o tramite avvocato munito di procura speciale, un'offerta di acquisto dell'immobile pignorato; e gli avvocati possono anche fare offerte per persone da nominare (art. 571 e 579). L'offerta consiste solitamente in una dichiarazione, da presentare in busta chiusa in cancelleria, contenente l'indicazione del prezzo, del tempo e del modo di pagamento e di ogni elemento utile per la sua valutazione; pena l'inefficacia, deve pervenire entro il termine fissato nel provvedimento autorizzativo della vendita, rispettando le modalità stabilite per la prestazione della cauzione (non inferiore ad un decimo del prezzo offerto). L'art. 173-quinques disp. att. prevede che il giudice, coll'ordinanza di vendita, possa anche autorizzare la prestazione della cauzione tramite bonifico o deposito su conto bancario o postale intestato alla procedura esecutiva (purché l'accredito avvenga almeno 5 giorni prima della scadenza del termine per le offerte) e la presentazione della relativa offerta tramite fax o email. L'offerta non può essere revocata prima che siano trascorsi 120 giorni dalla sua presentazione, a meno che il giudice non abbia ordinato la vendita all'incanto. L'esame delle offerte, previa apertura delle buste alla presenza degli offerenti, avviene ad udienza fissata nell'ordinanza di vendita, in cui hanno diritto di essere sentite sia le parti che i creditori iscritti non intervenuti. L'eventuale mancanza di offerte tempestive ed efficaci impone di dar corso all'incanto; si distingue se le offerte valide siano una soltanto o più (art. 572): se l'offerta è una soltanto, ma supera di almeno un quinto il valore dell'immobile così come determinato nel provvedimento di autorizzazione alla vendita, deve essere accolta; se invece l'offerta non raggiunge tale importo potrà essere accolta solamente a condizione che non vi sia dissenso del creditore procedente e che il giudice stesso non ritenga sussistere una seria possibilità di una vendita più vantaggiosa col sistema dell'incanto. Quando le offerte siano più d'una, il giudice invita gli offerenti ad una gara, prendendo 61 come base l'offerta più alta, e se questa gara non può aver luogo perché gli offerenti non vi prestano adesione, al giudice è rimessa la scelta tra l'accoglimento dell'offerta più alta e la vendita all'incanto. Quando un'offerta viene accolta, il giudice dispone con decreto il termine e le modalità di versamento del prezzo, e quindi, una volta avvenuto il pagamento, pronuncia un ulteriore decreto di trasferimento dell'immobile, contenente gli elementi dell'art. 586. Qualora l'aggiudicatario si renda inadempiente, il giudice con decreto dichiara la sua decadenza, pronuncia l'incameramento della cauzione a titolo di multa e dispone che si proceda alla vendita all'incanto (art. 574 e 586). 75. Le modalità della vendita all’incanto. Il giudice, nella stessa ordinanza in cui fissa le modalità iniziali di vendita senza incanto, deve stabilire, nel caso non vada a buon fine, la data e l'ora dell'incanto e gli altri elementi ex art. 576, tra cui l'ammontare della cauzione necessaria per partecipare all'incanto ed il termine per la sua prestazione, la misura minima dell'aumento da apportare alle offerte nel corso dell'asta, il termine (non superiore a 60 giorni) e le modalità per il deposito del prezzo da parte dell'aggiudicatario. La cauzione di regola viene immediatamente ed integralmente restituita dopo la chiusura dell'incanto, quando l'offerente non si sia reso aggiudicatario. L'art. 580 tuttavia prevede che ne venga trattenuto un decimo, come somma rinveniente a tutti gli effetti dall'esecuzione, quando l'offerente abbia omesso di partecipare all'incanto, eventualmente a mezzo di procuratore speciale, senza documentato e giustificato motivo. L'aggiudicazione avviene a favore di chi ha fatto l'ultima offerta, allorché entro 3 minuti non ne sopraggiunga una più elevata. Tale aggiudicazione è però provvisoria: l'art. 584, per assicurare la massima fruttuosità della vendita forzata, prevede che dopo la positiva conclusione dell'incanto siano ancora ammesse, entro il termine perentorio di 10 giorni, ulteriori offerte di acquisto da parte di chiunque, purché il prezzo offerto superi di almeno un quinto quello raggiunto nell'incanto e per il quale si era avuta l'aggiudicazione. Tali offerte si fanno secondo le forme previste all'art. 571 prestando però una cauzione pari al doppio di quella originariamente fissata (quindi un quinto del prezzo base dell'asta). Quando entro tale termine sia intervenuta almeno una offerta valida ed efficace, il giudice deve indire una gara, fissando il termine perentorio entro cui potranno essere formulate, con le stesse modalità, ulteriori offerte. A tale gara, cui dovrà darsi nuova ed autonoma pubblicità, potranno partecipare sia gli offerenti iniziali e l'aggiudicatario, ma anche tutti coloro che, avendo preso parte al precedente incanto, abbiano integrato l'originaria cauzione entro il termine fissato dal giudice. Se però alla gara non partecipa alcuno degli offerenti in aumento, l'aggiudicazione diviene definitiva e l'importo della cauzione che avevano prestato resta definitivamente 62 deliberazione sulle istanze di assegnazione. Quando sia avvenuto il versamento del prezzo da parte dell'aggiudicatario definitivo dispone il decreto di trasferimento da sottoporre alla firma del giudice e dopo la pronuncia del provvedimento, cura tutte le formalità connesse. Art. 591-ter il professionista agisce con autonomia, ferma restando la possibilità che si rivolga al giudice dell'esecuzione per avere chiarimenti e direttive quando sorgano difficoltà. Le parti possono proporre reclamo sia contro il decreto reso dal giudice su sollecitazione del professionista sia direttamente contro gli atti di questo. Su tale reclamo, inidoneo a sospendere le operazioni di vendita, decide lo stesso giudice dell'esecuzione con ordinanza, contro la quale è esperibile l'opposizione agli atti esecutivi. 78. La distribuzione del ricavato. Quando il ricavato della vendita debba essere ripartito tra più creditori, il giudice dell'esecuzione,o il professionista delegato provvede, entro 30 giorni dal versamento del prezzo, a redigere un progetto di distribuzione contenente la graduazione dei creditori concorrenti e a depositarlo in cancelleria, affinché possa essere consultato dai creditori e dal debitore, fissando l'udienza per l'audizione degli interessati, cui il provvedimento deve essere comunicato almeno 10 giorni prima dell'udienza stessa (art. 596). Se in tale sede il progetto viene approvato o si raggiunge accordo, si dà atto nel verbale dell'udienza e il giudice dell'esecuzione o il professionista possono dar corso alla distribuzione, ordinando il pagamento delle singole quote. La mancata comparizione alla prima udienza fissata per l'esame del progetto implica ex lege l'approvazione del progetto stesso (art. 597). Se invece ci sono contestazioni ed il progetto non viene approvato, la relativa controversia deve essere decisa ex art. 512. Il decreto di trasferimento è titolo formale dell'acquisto da parte dell'aggiudicatario. SEZIONE V L’ESPROPRIAZIONE CONTRO IL TERZO PROPRIETARIO 79. I presupposti. Vi sono casi in cui l'espropriazione può colpire legittimamente i beni appartenenti ad un soggetto diverso dal debitore esecutato, che subisce l'azione esecutiva pur senza essere titolare passivo dell'obbligazione risultante dal titolo. 65 L'art. 602 distingue due situazioni, a seconda che l'espropriazione riguardi – un bene la cui alienazione è stata revocata perché compiuta in frode dei creditori (art. 2901 c.c.) , – un bene gravato da pegno o ipoteca per debito altrui. Il primo caso si realizza in conseguenza del vittorioso esperimento dell'azione revocatoria da parte dei creditori dell'alienante, i quali ottengono così che il trasferimento sia dichiarato inefficace nei loro confronti e possono assoggettare il bene ad espropriazione come se appartenente ancora al debitore, pur dovendo dirigere l'azione esecutiva contro il terzo acquirente. L’art. 2929-bis (inserito dal d.l. 83/2015) anzi, prevede che, laddove si tratti dell’alienazione di beni immobili o di mobili iscritti in pubblici registri, compiuta a titolo gratuito successivamente al sorgere del credito, l’esecuzione forzata contro l’acquirente possa essere esercitata prescindendo dal previo esperimento della revocatoria, a condizione che il pignoramento sia trascritto entro un anno dalla trascrizione dell’atto pregiudizievole. Il secondo caso presuppone che il terzo abbia acquistato il bene già gravato dal diritto reale di garanzia oppure che abbia egli stesso concesso pegno o ipoteca a garanzia di un debito. L'acquirente di un bene ipotecato potrebbe anche evitare l'espropriazione rilasciando il bene stesso ai creditori iscritti o liberandolo da ipoteche ex art. 2889 c.c. La disciplina ora esaminata deve ritenersi applicabile per analogia anche alla peculiare ipotesi contemplata dall’art. 189, 2 in cui il creditore particolare di uno dei coniugi intenda agire esclusivamente, in via sussidiaria, sui beni della comunione legale, fino al valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato. Stando all’opinione prevalente, infatti, tale disposizione consente al creditore di uno dei coniugi di chiedere il pignoramento per l’intero di qualunque bene della comunione legale e conseguentemente di soddisfarsi sull’intero ricavato della vendita o dell’assegnazione del bene medesimo, con l’unico limite rappresentato dal valore della quota idealmente spettante al debitore obbligato sul complesso dei beni della comunione legale sicché la sua posizione corrisponde perfettamente a quella di un soggetto responsabile per un debito altrui. Presupposto implicito per applicare l'art. 602 è che l'acquisto del terzo sia anteriore al pignoramento o, nel caso di bene immobile, che la relativa trascrizione sia anteriore alla trascrizione del pignoramento, altrimenti l'espropriazione sarebbe legittimamente diretta contro il solo debitore e l'acquirente potrebbe far valere la sua successiva titolarità del bene per contestare eventuali vizi della procedura esecutiva o per partecipare alla parentesi di cognizione che dovessero scaturire da tale procedura. 80. La disciplina specifica. Il terzo, responsabile per un debito altrui, ha diritto di partecipare al processo esecutivo con poteri analoghi a quelli del debitore, ma non si applica a lui l'art. 579 che preclude al debitore la possibilità di fare offerte di acquisto dei beni pignorati. 66 Il titolo esecutivo e il precetto devono essere notificati anche a lui e nel precetto deve essere espressamente menzionato il bene del terzo che si intende assoggettare al pignoramento. Tutti gli atti dell'espropriazione si compiono nei confronti del terzo che ha diritto di essere sentito negli stessi casi in cui deve essere sentito il debitore, nonché di prendere parte, come litisconsorte necessario, all'eventuale giudizio di opposizione all'esecuzione o agli atti esecutivi. SEZIONE VI L’ESPROPRIAZIONE DI BENI INDIVISI 81. La funzione e i presupposti. Ex art. 599, il creditore ha diritto di espropriare anche i beni appartenenti pro indiviso, oltre che al debitore, a soggetti che non siano direttamente obbligati. In questo caso nel corso dell'espropriazione bisogna procedere alla separazione della quota spettante al debitore, che potrebbe rendere necessario un vero e proprio giudizio incidentale di divisione, destinato a concludersi con sentenza, e bisogna coinvolgere nel processo esecutivo tutti i comproprietari del bene indiviso. L'art. 189 co 2° c.c. prevede che il creditore particolare di uno dei coniugi che intenda soddisfarsi su beni oggetto della comunione legale, li assoggetti a pignoramento fino al valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato. 82. La disciplina specifica. L'esecuzione forzata si dirige esclusivamente contro il debitore, il titolo esecutivo e il precetto quindi si notificheranno solo a lui e lo stesso pignoramento si eseguirà esclusivamente nei suoi confronti, limitatamente alla quota di pertinenza del debitore, altrimenti i comproprietari non obbligati sarebbero legittimati a proporre opposizione ex art. 619. Il pignoramento si attua nelle stesse forme ordinariamente prescritte in relazione alla natura del bene espropriato, unica peculiarità è che il suo compimento deve essere notificato ai comproprietari (non debitori) da parte del creditore procedente, con avviso contenente le indicazioni ex art. 180 disp. att. Da tale avviso dipende il divieto, per gli altri comproprietari di lasciar separare dal debitore la sua parte delle cose comuni senza ordine del giudice, sicché la sua omissione consentirebbe loro di 67 Una complicazione abbastanza frequente può aversi allorché nell’immobile oggetto del rilasci osi trovino dei beni mobili, appartenenti alla parte esecutata o ad un terzo, che non devono essere consegnati. Per tale ipotesi l’art. 609 prevede che l’u.g. intimi all’esecutato o al terzo di asportare i beni dall’immobile entro un certo termine, scaduto tale termine, se la parte istante lo richiede, l’u.g. deve determinare il presumibile valore di realizzo dei beni, eventualmente avvalendosi di uno stimatore, indicando le prevedibili spese occorrenti per la loro custodia e per l’asporto: se il valore è superiore a tali spese, l’u.g. sempre su istanza e a spese della parte istante, nomina il custode e lo incarica di trasportare altrove i beni, per poi provvedere alla loro vendita senza incanto nelle forme previste per la vendita dei beni mobili pignorati, altrimenti, se mancano l’istanza o l’anticipazione delle spese occorrenti e non appare evidente l’utilità del tentativo di vendita, i beni si considerano abbandonati e l’u.g. ne dispone lo smaltimento o la distruzione, salvo diversa richiesta della parte istante. Fino alla vendita o smaltimento o distruzione il proprietario dei beni può sempre chiederne la riconsegna al giudice, previo pagamento delle spese e dei compensi per la custodia o per l’asporto. La l. 431/98 regola l'esecuzione per rilascio di immobili ad uso abitativo. Il giudice del processo di cognizione fissa la data dell'esecuzione e rilascio dell'immobile. Il termine massimo è 6 mesi, 12 in casi eccezionali, dalla data del provvedimento. In caso di riduzione del contratto di locazione per morosità, se nel giudizio è stato assegnato al conduttore un termine per sanare la mora e questo è decorso inutilmente, il termine non può essere fissato oltre 60 giorni dalla scadenza di quello concesso per il pagamento. Il provvedimento ha natura ordinatoria e non è impugnabile, ma è modificabile. Sia il locatore che il conduttore possono, prima della data dell'esecuzione, proporre opposizione al tribunale (decisa secondo le regole dell'opposizione agli atti esecutivi). Sempre la l. 431/98 disciplina l'esecuzione al rilascio di immobili ad uso non abitativo: si ha diritto all'indennità per la perdita da avviamento. L'esecuzione del provvedimento di rilascio è condizionato alla corresponsione dell'indennità, è condizione di procedibilità dell'azione esecutiva. Non è però di ostacolo alla notifica dell'atto di precetto ma condiziona solo l'inizio dell'esecuzione. CAPITOLO VIII L’ESECUZIONE DEGLI OBBLIGHI DI FARE O NON FARE 85. Rilievi introduttivi. 70 Traducendosi in un'attività di tipo sostitutivo e surrogatorio rispetto a quella che sarebbe richiesta al debitore, l'esecuzione forzata non è utilizzabile per l'attuazione di obblighi materialmente o giuridicamente infungibili. L'obbligo di non fare, in quanto tale, non è suscettibile di esecuzione forzata in forma specifica, potendo invece giustificare, in caso di inosservanza, una condanna a disfare, ossia a distruggere, (purché non sia di pregiudizio all'economia nazionale) ed un eventuale risarcimento danni, a spese dell’obbligato, per tutto ciò che era stato realizzato in violazione dell’obbligo. Spesso il confine tra obblighi fungibili e infungibili può risultare incerto, soprattutto quando la difficoltà di darvi attuazione in via di esecuzione forzata sia soltanto materiale e parziale( si pensi, ad es. all’obbligo di reintegrare nel posto di lavoro il lavoratore illegittimamente licenziato, che non a caso ha dato luogo a non poche disputa tra dottrina e giurisprudenza). Secondo l'opinione tradizionale, tale forma di esecuzione si ritiene consentita esclusivamente in presenza di un titolo esecutivo giudiziale, sul presupposto che la fungibilità dell'obbligo debba essere valutata, in via preventiva, dal giudice della cognizione. 86. Il procedimento. Art. 612: il procedimento inizia dopo la notifica del titolo esecutivo e del precetto, con ricorso al giudice dell'esecuzione (individuato con riferimento al luogo in cui l'obbligo deve essere adempiuto, ex art. 26), nel quale si chiede che siano determinate le concrete modalità di esecuzione. Il titolo si limita infatti a determinare l'obiettivo che il creditore ha diritto di conseguire in virtù dell'obbligo di fare o disfare imposto al debitore (ad es. la realizzazione o la demolizione di un certo manufatto), senza stabilire come tale obiettivo debba essere raggiunto. L'opinione prevalente ammette che il giudice dell'esecuzione possa specificare ed integrare il comando eventualmente generico contenuto nel titolo, optando anche, discrezionalmente, tra le più soluzioni che dovessero essere in astratto praticabili per realizzare l'obiettivo. Si esclude che il giudice dell'esecuzione, nel provvedervi, possa travalicare i limiti del titolo esecutivo, stabilendo modalità che si pongano in contrasto con esso. Il giudice decide di regola con ordinanza, dopo aver sentito la parte obbligata. Nomina il pubblico ufficiale e le persone incaricate di compiere le opere o eliminarle. Su istanza dell'ufficiale giudiziario incaricato può impartire anche con decreto le opportune disposizioni occorrenti per superare le difficoltà sorte nel corso dell'esecuzione (art. 613). In entrambi i casi il provvedimento sarà soggetto all'opposizione agli atti esecutivi. Secondo un orientamento consolidato avrebbe natura di sentenza appellabile, indipendentemente dalla forma concretamente adottata per la pronuncia, il provvedimento con cui il giudice dell'esecuzione risolvesse questioni 71 attinenti all'interpretazione e alla portata del titolo esecutivo, ovvero, nel determinare le modalità di attuazione dell'obbligo in esso indicato, travalicasse i propri poteri. Su istanza di parte il giudice dell'esecuzione liquida le spese dell'esecuzione con decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo. 87. Le misure coercitive per l’attuazione di condanne non aventi ad oggetto il pagamento di tasse. La riforma del 2009 ha previsto all'art. 614-bis che il giudice, con il provvedimento di condanna, fissi su richiesta di parte, salvo ciò sia manifestamente iniquo, la somma di denaro dovuta dall'obbligato per ogni violazione o inosservanza successiva, ovvero per ogni ritardo nell'esecuzione del provvedimento; somma determinata tenendo conto del valore della controversia, della natura della prestazione, del danno quantificato e prevedibile e di ogni altra circostanza utile. Il relativo procedimento costituisce titolo esecutivo per il pagamento delle somme dovute per ogni violazione o inosservanza. L'iniquità è individuata come oggettiva impossibilità dovuta a causa di terzi o domanda di pagamento della somma palesemente sproporzionata e penalizzante. Il recente d.l. 83/2015 ha esteso enormemente l’ambito di applicazione dell’istituto, stabilendo che esso può essere utilizzato per garantire l’attuazione di qualunque provvedimento di condanna all’adempimento di obblighi diversi dal pagamento di somme di denaro; e dunque a fronte di obblighi di fare, non fare, di consegnare o rilasciare, indipendentemente dalla loro fungibilità o infungibilità. Si tratta di un istituto che non ha nulla a che fare con l’esecuzione forzata vera e propria, ne interessa la sola esecuzione degli obblighi di fare o disfare: si è in presenza di una misura coercitiva civile di carattere generale, mirante ad assicurare la collaborazione dell’obbligato per l’adempimento di un qualunque obbligo che non abbia ad oggetto il pagamento di una somma di denaro. L’applicazione di tale misura coercitiva compete esclusivamente al giudice della cognizione, e anzi l’imposizione della stessa deve aver luogo con lo stesso provvedimento di condanna cui accede, restando esclusa la possibilità di chiederne la pronuncia con un’azione successiva. Il capo relativo all’applicazione della misura coercitiva inoltre costituisce una statuizione accessoria rispetto alla condanna principale, concernente l’adempimento dell’obbligo di fare, non fare, consegnare o rilasciare; sicché ogniqualvolta quest’ultima sia caducata dal giudice dell’impugnazione, ne resterà automaticamente travolta anche la condanna comminata per l’ipotesi dell’inadempimento e sorgerà il diritto alla ripetizione delle somme eventualmente pagate in esecuzione della sentenza riformata. Relativamente all'ambito di applicazione dell'art. 614-bis, ne sono espressamente escluse, in base al primo comma, le controversie di lavoro subordinato, pubblico o privato, e quelle relative ai rapporti di collaborazione coordinata e continuativa di cui 72 nel corso della stessa, serve a contestare il diritto della parte istante a procedere ad esecuzione; – l'opposizione agli atti esecutivi (art. 617), esperibile anche prima dell'inizio dell'esecuzione o a processo esecutivo già iniziato, ma sempre entro un termine perentorio, serve a contestare la non regolarità del titolo esecutivo, del precetto o di atti del procedimento esecutivo; – l'opposizione del terzo all'esecuzione (art. 619), nel solo caso dell'espropriazione e presuppone che il pignoramento sia già stato eseguito; serve a far valere errori o vizi del procedimento esecutivo che pregiudichino il diritto di un terzo estraneo all'esecuzione. Secondo l'art. 615 l'opposizione all'esecuzione serve essenzialmente a contestare il diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata oppure, nel solo caso in cui si tratti di espropriazione forzata e sia già intervenuto il pignoramento, a far valere l'impignorabilità dei bene colpiti. Dall'art. 617 si deduce invece che l'opposizione agli atti esecutivi può riguardare l'irregolarità formale del titolo esecutivo e del precetto, oppure la legittimità di singoli atti di esecuzione. Tali singoli atti possono essere anche provvedimenti del giudice dell'esecuzione, che l'opposizione consente di censurare per qualunque aspetto, incluse le valutazioni meramente discrezionali. Mentre l'opposizione all'esecuzione investe l'an dell'esecuzione, mirando ad ottenere una pronuncia in cui si dia atto che la specifica azione esecutiva di cui si parla non può o poteva essere promossa o comunque non può essere proseguita, l'opposizione agli atti esecutivi attiene solo al quomodo dell'esecuzione e riguarda specifici atti o provvedimenti del processo esecutivo. 89. L’opposizione all’esecuzione: i motivi e la legittimazione. L'opposizione all'esecuzione può fondarsi o sulla mancanza, originaria o sopravvenuta, delle condizioni e dei presupposti specifici dell'azione esecutiva o sulla inesistenza, originaria o sopravvenuta, del diritto risultante dal titolo(nel qual caso si è soliti discorrere di opposizioni di merito). In particolare, nell’ambito del primo gruppo di ipotesi possono ricondursi: – assoluto difetto di un titolo esecutivo: si immagini un’esecuzione erroneamente intrapresa in base ad una cambiale non in regola con il bollo o in forza di una sentenza di mero accertamento o condanna generica; titolo che deve sussistere non solo al momento iniziale dell'esecuzione ma pure per tutto il suo corso; sicché l’opposizione potrebbe anche servire, ad es., a far valere l’intervenuta riforma della sentenza di condanna provvisoriamente esecutiva sula cui base era stato avviato il processo esecutivo; è rilevabile anche d'ufficio; 75 – inidoneità del titolo esecutivo a sorreggere un determinato tipo di esecuzione, ad es. un'esecuzione di consegna o rilascio avviata sulla base di una scrittura privata; – il difetto di legittimazione attiva o passiva all'azione esecutiva; – la violazione di divieti, magari temporanei, al promovimento dell'azione esecutiva (è il caso del divieto di azioni individuali su beni dell’imprenditore fallito); oppure sull'inesistenza, originaria o sopravvenuta, del diritto risultante dal titolo. In tutti questi casi si tratta di vizi che potrebbero emergere dallo stesso titolo esecutivo, possono essere rilevati d'ufficio, anche in mancanza di un'opposizione del debitore, sia dal giudice dell'esecuzione che dall'ufficiale giudiziario richiesto di dar corso all'esecuzione forzata; il quale ultimo, ad es., ben potrebbe rifiutarsi di eseguire il pignoramento in difetto di un idoneo titolo esecutivo. Quanto al secondo gruppo di ipotesi, nelle quali l'opposizione all'esecuzione tende a dimostrare che il diritto risultante dal titolo non è mai esistito o si è estinto, è necessario distinguere preliminarmente a seconda che il titolo esecutivo sia giudiziale o stragiudiziale: se è giudiziale i motivi deducibili con l'opposizione sono limitati, dovendosi tener conto, a seconda dei casi, sia della preclusione derivante dal giudicato che dell'ostacolo rappresentato dalla litispendenza, che impone di far valere nel giudizio di cognizione tutte le ragioni che potrebbero condurre ad una riforma del provvedimento posto a base dell'esecuzione forzata; in questi casi l'esperibilità dell'opposizione all'esecuzione resta circoscritta ai soli fatti estintivi, impeditivi o modificativi intervenuti successivamente alla formazione del giudicato o dopo l'ultimo momento utile per la loro allegazione nel processo di cognizione. Quando l'opposizione è rivolta contro un titolo stragiudiziale, non incontra particolari limitazioni, potrebbe fondarsi sia su fatti estintivi, impeditivi o modificativi ma anche sul difetto di fatti costitutivi del diritto sottostante. Altro motivo di opposizione riguarda l'impignorabilità dei beni o dei crediti, e presuppone un pignoramento già avvenuto. Attiene al modo in cui è iniziata l'espropriazione, senza contestare il diritto del creditore di procedere all'esecuzione. In questo caso la legittimazione ad avvalersi dell'opposizione all'esecuzione spetta al debitore, o a colui nei cui confronti l'esecuzione è diretta. 90. Segue: il procedimento. Se l'esecuzione non è ancora iniziata, l'opposizione si dirige contro il precetto e va proposta con atto di citazione davanti al giudice individuato con gli ordinari criteri di competenza per materia e valore. Si applica la disciplina del processo di cognizione, tenuto conto dell'eventuale rito speciale prescritto in ragione della materia. 76 Il giudice dell'opposizione può disporre, su istanza di parte ed in presenza di gravi motivi, la sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo, impedendo di utilizzarlo per avviare l'esecuzione. Ad esecuzione già iniziata invece, l'opposizione si propone con ricorso allo stesso giudice dell'esecuzione, che fissa con decreto l'udienza di comparizione delle parti davanti a sé e il termine perentorio entro cui l'opponente deve provvedere alla notificazione del ricorso e del decreto. Si applicano le norme del procedimento camerale. All'udienza si trattano le questioni preliminari, eventualmente la sospensione del processo esecutivo e i provvedimenti urgenti. Dopo tale fase introduttiva, che dovrebbe ridursi in un'unica udienza, si passa al giudizio di cognizione vero e proprio, applicando i criteri ordinari di competenza e lo specifico rito pertinente alla materia della causa. Il creditore convenuto può proporre domanda riconvenzionale per ottenere nuovi titoli esecutivi. L'art. 616 prevede due ipotesi: se i criteri ordinari portano ad affermare la competenza dello stesso ufficio giudiziario cui appartiene il giudice dell'esecuzione, questi fissa un termine perentorio per l'introduzione del giudizio di merito secondo le modalità previste in ragione della materia e del rito, previa iscrizione a ruolo, a cura della parte interessata, osservati i termini a comparire dell'art. 163-bis, ridotti alla metà; se invece risulta competente un diverso ufficio giudiziario, il giudice dell'esecuzione deve rimettere ad esso la causa, assegnando un termine perentorio per la riassunzione della causa stessa. Tale sentenza, dopo la riforma del 2009, è appellabile. 91. L’opposizione agli atti esecutivi. L'opposizione agli atti esecutivi riguarda il modo in cui si svolge l'esecuzione, può servire a contestare la regolarità formale del titolo esecutivo o del precetto, come pure la legittimità di ogni altro singolo atto del processo esecutivo o provvedimento del giudice dell'esecuzione. È legittimato ogni interessato. L'art. 480 co 2° contiene un'elencazione dettagliata delle possibili cause di nullità del precetto. L'opposizione agli atti esecutivi è assoggettata ad un termine di decadenza d 20 giorni, che decorrono: – dalla notificazione del titolo esecutivo o del precetto, quando riguardino vizi propri di tali atti; – dal primo atto di esecuzione, se attengono alla stessa notificazione del titolo esecutivo o del precetto ovvero nei casi in cui, pur investendo direttamente il titolo esecutivo o il precetto, sia stato impossibile proporre l'opposizione prima dell'inizio dell'esecuzione; – dal giorno del compimento dell'atto, quando il vizio riguardi un diverso atto o provvedimento: si ritiene che il dies a quo si identifichi col momento in cui 77 sentenza, la contestazione del terzo miri dichiaratamente ad ottenerne la riforma anche tra le parti (per es. quando si tratti di un litisconsorte necessario pretermesso oppure di un soggetto falsamente rappresentato nel giudizio in cui la sentenza è stata resa). CAPITOLO X LA SOSPENSIONE E L’ESTINZIONE DEL PROCESSO ESECUTIVO 93. Rilievi introduttivi sulla sospensione del processo esecutivo. La sospensione, nell'ambito del processo esecutivo, serve generalmente ad evitare che un'esecuzione forzata ingiusta o illegittima determini una situazione non reversibile in danno del debitore. Mira essenzialmente a coordinare il processo esecutivo alle varie parentesi di cognizione che possono innestarsi su di esso (in particolare, a seguito di opposizione all'esecuzione o di opposizione agli atti), oppure all'autonomo giudizio in cui si discuta, in sede di impugnazione, dell'esistenza del diritto risultante da un titolo di formazione giudiziale ( si pensi, ad es., all’ipotesi in cui, trattandosi di una sentenza di condanna di primo grado, essa sia stata appellata). Svolge una funzione cautelare. È rimessa al potere discrezionale del giudice. In caso di espropriazione forzata sono previste due autonome ipotesi di sospensione: la prima si riferisce specificamente alla fase di distribuzione del ricavato e presume che sia sorta controversia ex art. 512; la seconda riposa sulla volontà concorde dei creditori, ex art. 624-bis. Vi sono poi fattispecie di sospensione previste direttamente dalla legge o da essa desumibili; ad es. l'art. 549 da cui si deduce che l'espropriazione presso terzi è sospesa 80 per il tempo occorrente alla definizione dell'eventuale giudizio di accertamento dell'obbligo del terzo. A parte le eccezioni viste, la sospensione può derivare esclusivamente da un provvedimento del giudice dell'esecuzione o, trattandosi di un titolo esecutivo di formazione giudiziale, del giudice davanti al quale è stato impugnato. In questo caso è possibile ottenere in via preventiva la sospensione dell'efficacia esecutiva del titolo, la quale impedisce che l'esecuzione forzata abbia inizio e previene l'eventuale danno che al debitore deriverebbe. 94. La sospensione conseguente a un’opposizione all’esecuzione o agli atti esecutivi. La sospensione presuppone che sia stata proposta un'opposizione all'esecuzione, del debitore o di un terzo, che vi sia l'istanza della parte interessata e ricorrano i gravi motivi ex art. 624. Può scaturire anche da un'opposizione agli atti esecutivi, in questo caso è svincolata dalla sussistenza di gravi motivi e è rimessa alla discrezionalità del giudice. Sulla richiesta di sospensione il giudice provvede con ordinanza, soggetta al reclamo al collegio di cui all'art. 669-terdecies (reclamo contro i provvedimenti cautelari). Ma l’opinione prevalente ritiene giustamente che il richiamo debba estendersi all’opposizione a precetto, poiché la natura del provvedimento di sospensione, nelle due ipotesi, è la medesima, e pertanto un’eventuale loro discriminazione dal punto di vista dell’impugnabilità del provvedimento, sarebbe del tutto irrazionale. L'art. 624 co 2° prevede espressamente la reclamabilità del provvedimento di sospensione pronunciato ex art. 512 co 2°, cioè nell'ambito di controversie sulla distribuzione del ricavato, mentre non menziona la sospensione eventualmente disposta in seguito ad opposizione agli atti esecutivi, rispetto ai quali l'ammissibilità del reclamo è più controversa. Il provvedimento di sospensione può condurre, se nessuna delle parti si mostra interessata a procedere col giudizio di opposizione, all'estinzione del processo esecutivo. Quando sia stata proposta un'opposizione e il giudice dell'esecuzione abbia ritenuto di sospendere è possibile infatti che nessuno dei creditori muniti di titolo esecutivo intenda insistere sull'esecuzione forzata e che lo stesso opponente non abbia interesse a perseguire una sentenza sul merito della causa. L'art. 624 co 3° prevede in caso di sospensione che se la relativa ordinanza non viene reclamata o è confermata in sede di reclamo, e il giudizio di merito non è stato introdotto nel termine perentorio previsto all'art. 616, il giudice dell'esecuzione, anche d'ufficio, dichiara con ordinanza reclamabile l'estinzione del processo esecutivo e provvede sulle relative spese. Quindi una volta diventato definitivo il provvedimento di sospensione, il debitore o terzo opponente liberamente, entro il termine assegnatogli, può optare per l'introduzione o per la riassunzione del giudizio di merito, 81 cioè tra il proseguimento della causa relativa all'opposizione e l'estinzione del processo esecutivo. Anche il creditore procedente e gli altri creditori muniti di titolo esecutivo potrebbero nello stesso termine perentorio dare impulso al giudizio di opposizione per impedire l'estinzione del processo e dell'eventuale pignoramento. La stessa disciplina trova applicazione, in quanto compatibile, in caso di sospensione del processo disposta ai sensi dell'art. 618, cioè di opposizione agli atti esecutivi. Quando il giudizio di opposizione non venga portato avanti, il provvedimento di sospensione lascia impregiudicata ogni questione relativa all'esistenza del diritto di procedere all'esecuzione forzata, che potrebbe riproporsi nell'ipotesi di successiva reiterazione dell'azione esecutiva. 95. La sospensione su istanza dei creditori. Solo per l'espropriazione forzata, l'art. 624-bis prevede che il giudice dell'esecuzione, su istanza (entro 20 giorni dalla scadenza del termine per il deposito delle offerte di acquisto o nella vendita all'incanto fino a 15 giorni dall'incanto) di tutti i creditori muniti di titolo esecutivo e dopo aver sentito il debitore, possa discrezionalmente sospendere il processo esecutivo, solo una volta, per un periodo massimo di 24 mesi. L'ordinanza che dispone la sospensione è revocabile in ogni momento, anche su richiesta di uno soltanto dei creditori, sentito il debitore. Entro 10 giorni il giudice sospende e dà le pubblicità. La ripresa del processo deve avvenire entro i 10 giorni successivi alla conclusione del periodo di sospensione. In difetto di ripresa il processo si estingue. 96. La disciplina comune alle ipotesi di sospensione. Quando l'istanza di sospensione non sia già contenuta nel ricorso con cui si propone opposizione all'esecuzione o agli atti esecutivi, può essere avanzata con un ricorso autonomo o anche oralmente all'udienza (art. 486). Sull'istanza il giudice provvede con ordinanza, sentite le parti. Nei casi urgenti può disporre la sospensione con lo stesso decreto con cui fissa l'udienza di comparizione delle parti, nella quale udienza dovrà decidere con ordinanza, confermando o revocando il provvedimento preso inaudita altera parte (art. 625). L'ordinanza di sospensione è reclamabile sia nelle ipotesi art. 624 che ex art. 487. Gli effetti della sospensione del processo esecutivo si risolvono nel divieto di porre in essere alcun atto esecutivo, salva la possibilità di una diversa disposizione del giudice dell'esecuzione che potrebbe, ad es., autorizzare il compimento di atti urgenti o indifferibili. La ripresa del processo esecutivo deve effettuarsi con ricorso, da proporsi entro il termine perentorio eventualmente fissato dal giudice dell'esecuzione col provvedimento stesso che disponeva la sospensione, e in ogni caso, entro 6 mesi dal 82 CAPITOLO XI I PRINCIPALI PROCEDIMENTI SOMMARI: IL PROCEDIMENTO PER INGIUNZIONE 98. Caratteristiche principali. Ciò che contraddistingue in particolare il procedimento monitorio è l'assoluto difetto del contraddittorio nella sua prima fase: quando il giudice reputi fondata la domanda del creditore, tale fase si conclude con la pronuncia di un decreto, in cui viene ingiunto al debitore di pagare una certa somma di denaro (o di adempiere) entro il termine indicato nello stesso provvedimento (normalmente 40 giorni), con l'avvertimento che nello stesso termine gli è consentito proporre opposizione. Se il debitore, a cui deve essere notificato il decreto, non reagisce proponendo tempestiva opposizione, il provvedimento acquista stabilità analoga a quella di una sentenza passata in giudicato e diventa titolo esecutivo. Se invece l'opposizione viene proposta, si aprirà una nuova fase processuale che avrà natura di giudizio a cognizione piena, destinato a concludersi con sentenza. 99. L’oggetto dell’ingiunzione e i relativi presupposti, con particolare riguardo alla prova scritta del diritto. L'art. 633 prevede che il procedimento d'ingiunzione è utilizzabile per le domande di condanna aventi ad oggetto – il pagamento di una somma di denaro liquida, cioè determinata o determinabile nel suo ammontare ed esigibile; – la consegna di una determinata quantità di cose fungibili (il creditore deve indicare la somma che è disposto ad accettare in caso di mancata prestazione) (ad es. un quintale di legna da ardere); – la consegna di una cosa mobile determinata (ad es. un certo quadro) (è escluso il diritto al rilascio di beni immobili). Restano escluse dall'ambito di applicazione soltanto le domande sul rilascio di immobili o l'adempimento di obblighi di fare o disfare. Presupposto essenziale è che del diritto fatto valere si dia prova scritta, che i fatti costitutivi del diritto risultino da una prova documentale(per questo profilo si è soliti discorrere di procedimento monitorio documentale, in contrapposizione a quello monitori cd. Puro basato sulle allegazioni del creditore, senza alcuna verifica), non 85 essendo concepibile un'attività istruttoria diretta ad integrare la prova documentale offerta dal creditore. L'unica attenuazione a tale principio è nel caso in cui il diritto poso a base della domanda d'ingiunzione dipenda da una controprestazione o da una condizione: in questi casi è sufficiente che il ricorrente fornisca una prova indiretta, offrendo elementi atti a far presumere l'adempimento della controprestazione o l'avveramento della condizione. Il concetto di prova scritta è però ampio: ai soli fini della pronuncia del decreto ingiuntivo possono utilizzarsi anche dei documenti che non varrebbero come prova secondo le regole ordinarie. In particolare, la prova scritta può esser data: – dalle polizze e promesse unilaterali per scrittura privata e dai telegrammi; – limitatamente ai crediti relativi a somministrazione di merci e di denaro o a prestazioni di servizi effettuate da imprenditori esercenti un'attività commerciale, dagli estratti autentici delle scritture contabili prescritte dal codice civile o dalle leggi tributarie, purché bollate o vidimate e tenute secondo le norme stabilite. I libri e le scritture contabili dell'impresa sono ritenuti sufficienti anche quando il credito sia vantato nei confronti di persone che non esercitano attività commerciale; – per i crediti di una banca, dall'estratto conto, certificato conforme alle scritture contabili da uno dei dirigenti della banca interessata, che deve dichiarare che il credito è vero e liquido; – per i crediti dello Stato, o di enti o istituti soggetti a tutela o vigilanza dello Stato, dai libri o registri della pubblica amministrazione, a condizione che un funzionario autorizzato o un notaio ne attesti la regolare tenuta a norma delle leggi e dei regolamenti (art. 635 co 1°); – trattandosi di crediti derivanti da omesso versamento di contributi previdenziali o assistenziali obbligatori inerenti ai rapporti di lavoro, dagli accertamenti eseguiti dall'ispettorato del lavoro o dai funzionari degli enti creditori (art. 635 co 2°). Si ritiene che tali indicazioni abbiano carattere esemplificativo e che la prova scritta possa consistere in qualunque documento, proveniente dal debitore, che sia idoneo a dimostrare, in maniera incontrovertibile, l'esistenza dei fatti costitutivi del diritto vantato, anche quando difetti dei requisiti formali necessari in un giudizio a cognizione piena: si pensi, ad es., alla scrittura privata non autenticata nelle sottoscrizioni, o magari prodotta in copia fotostatica, la quale, potendo essere tranquillamente disconosciuta dal preteso debitore, non può ancora reputarsi legalmente riconosciuta ne possiede l’efficacia probatoria prevista dall’art. 2702. 100. Segue: il regime di favore previsto per alcuni crediti. L'art. 633 esenta dal presupposto della prova scritta i crediti riguardanti onorari per prestazioni giudiziali o stragiudiziali o rimborso spese fatte da avvocati, cancellieri, ufficiali giudiziari o da chiunque altro ha prestato la sua opera in un processo, nonché 86 quelli circa onorari o altri emolumenti spettanti ai notai a norma della loro legge professionale oppure ad altri esercenti una libera professione o arte, per la quale esiste una tariffa legalmente approvata (ad es. avvocati, geometri o ingegneri). Per tali crediti la domanda d'ingiunzione deve essere corredata della parcella delle spese e prestazione, sottoscritta dal ricorrente, e dal parere del competente consiglio dell'ordine professionale di appartenenza. Il parere non è necessario quando tali importi siano determinati in base a tariffe obbligatorie, stabilite in misura fissa. In questi casi la domanda si fonda essenzialmente sulle affermazioni dello stesso creditore, che asserisce di aver compiuto determinate prestazioni o sostenuto determinate spese, potendosi pensare che la prova scritta debba essere pur sempre fornita, trattandosi di credito professionale, in ordine all’effettivo conferimento dell’incarico. Per il resto il giudice parrebbe vincolato alla parcella quanto allo stesso parere dell’rodina professionale, cui deve attenersi nei limiti della somma domandata, salva la correzione degli errori materiali. 101. Il giudice competente e la domanda di ingiunzione. La competenza per la pronuncia del decreto ingiuntivo spetta, a seconda dei casi, al giudice di pace o al tribunale in composizione monocratica che avrebbe dovuto conoscere della domanda proposta in via ordinaria (art. 637). Il ricorrente, quando si tratti di un credito relativo a prestazioni fornite in occasione di un processo, può adire anche l'ufficio giudiziario che ha deciso la causa cui il credito si riferisce. Gli avvocati e i notai possono rivolersi anche al giudice competente per valore del luogo in cui ha sede il consiglio dell'ordine o il consiglio notarile di appartenenza. La domanda di ingiunzione va proposta con ricorso, contenente l'indicazione del giudice adito, le parti, l'oggetto e le ragioni della domanda, le conclusioni, e l'indicazione delle prove a supporto dell'istanza. Nei casi in cui il ricorrente possa stare in giudizio personalmente, deve essere dichiarata la residenza o l'elezione di domicilio nel comune in cui ha sede il giudice adito, ove questa manchi le notificazioni dirette al ricorrente saranno eseguite presso la cancelleria (art. 638 co 2°). Se invece il ricorrente si avvale di un difensore con procura, è sufficiente che i ricorso contenga l'indicazione dello stesso. Il ricorso deve essere depositato in cancelleria unitamente ai documenti allegati, che non potranno essere ritirati prima della scadenza del termine accordato al debitore per l'opposizione. 102. Il possibile rigetto della domanda. Il contenuto del decreto ingiuntivo e la sua notificazione al debitore. 87 L'opposizione introduce un giudizio a cognizione piena ed esauriente, destinato a sfociare in una sentenza destinata a sostituire il decreto ingiuntivo. Riguardo alla natura di tale giudizio si hanno più dubbi, può però affermarsi che si tratta di un processo di primo grado, nel quale dovrà accertarsi se sussistevano i presupposti per la pronuncia dell'ingiunzione e se la domanda di condanna posta a base del decreto sia fondata o no, con riferimento al momento in cui l'opposizione viene decisa e alla luce dei fatti allegati e delle prove assunte nel giudizio stesso. L'intimato ha l'onere di dare impulso al processo e di condurlo fino alla decisione, ma è il creditore-ricorrente che, avendo proposto la domanda, dovrà fornire la prova in via ordinaria dei fatti costitutivi del diritto. Quindi l'opposizione potrebbe portare ad una sentenza di condanna anche quando il decreto ingiuntivo non avrebbe dovuto essere concesso, per difetto dei relativi presupposti (ad es. per mancanza della prova scritta richiesta dall’art. 633); oppure, potrebbe concludersi col rigetto totale o parziale della domanda, o con una sentenza di cessazione della materia del contendere, quando il diritto, esistente al momento della pronuncia dell'ingiunzione, si fosse poi estinto (ad es. in conseguenza dell’avvenuto adempimento). In questi casi la legittimità o illegittimità del provvedimento sommario inciderà sulla ripartizione delle spese del giudizio o di quelle relative alla fase monitoria in senso stretto, ma non può impedire al giudice dell’opposizione di decidere sul merito della domanda di condanna in base alla situazione sostanziale così come accertata nel processo a cognizione piena. Le prove documentali utilizzate dal ricorrente per ottenere il decreto ingiuntivo potranno avere, nel giudizio di opposizione, esclusivamente l'efficacia loro attribuita dalle regole ordinarie, che in tale fase tornano ad avere piena applicazione. Così, ad es., se l’ingiunto, che non sia imprenditore, propone opposizione contro un decreto pronunciato in base ad un estratto autentico delle scritture contabili dell’impresa, contestando i fatti costitutivi del credito, l’imprenditore-creditore sarà tenuto a fornire aliunde la dimostrazione del proprio diritto, poiché l’art. 2709 e 2710 escludono che tale documento possa far provare, in favore dell’imprenditore, nei confronti di chi non è a su volta imprenditore. Il giudizio di opposizione opera come una vera e propria impugnazione del decreto pronunciato inaudita altera parte, e introduce però un ordinario processo di cognizione, avente ad oggetto la domanda di condanna già posta a fondamento del ricorso per ingiunzione, nonché le ulteriori domande ad essa connesse. Eventuale compensazione; se la domanda riconvenzionale eccede la sua competenza, il giudice di pace separa le cause trattenendo quella sull'opposizione. 106. Segue: le possibili relazioni con altri giudizi a cognizione piena (litispendenza, continenza e connessione). in alcuni casi la duplicità dell’oggetto del giudizio di opposizione emerge nettamente: 90 a) l’ipotesi di incompetenza del giudice che ha pronunciato il decreto ingiuntivo; b) quella in cui la domanda di condanna avanzata in via monitoria sia già stata anteriormente proposta in via ordinaria dinanzi ad un diverso ufficio giudiziario, dando luogo ad una situazione di litispendenza; c) il caso in cui la predetta domanda di condanna sia in relazione di continenza rispetto ad un’altra causa, anch’essa precedentemente proposta dinanzi ad un diverso ufficio giudiziario (es. il debitore che previene la richiesta di decreto ingiuntivo da parte del creditore, proponendo un’ordinaria azione di accertamento negativo del credito, o azione di nullità, annullamento o risoluzione del contratto da cui esso deriverebbe); d) le ipotesi in cui la domanda di condanna posta a base dell’ingiunzione sia semplicemente connessa ad un’altra domanda che è oggetto di un separato giudizio pendente dinanzi ad altro giudice oppure, essendo proposta nello stesso giudizio di opposizione, esorbiti la competenza del giudice adito (ad es. il caso della domanda riconvenzionale avanzata dall’opponente dinanzi al giudice di pace, che appartenga per materia o valore alla competenza del tribunale. L’opinione oggi prevalente ritiene che la competenza del giudice dell'opposizione in quanto tale è una competenza funzionale ed inderogabile, che non ammette deroghe per ragioni di connessione. In base all'art. 645 co 1° si ritiene che a dover decidere sulla legittimità e validità del decreto, cioè sulla ricorrenza dei presupposti per la relativa pronuncia, è sempre l'ufficio giudiziario al quale appartiene il giudice che ha emesso il decreto, mentre ciò che può trasmigrare presso altro giudice è solo la causa avente ad oggetto il merito dell’ordinaria azione di condanna virtualmente cumulata nel medesimo giudizio di opposizione. La prima ipotesi, definibile in termini di litispendenza, è di scarso rilevo pratico, poiché presuppone che lo stesso creditore abbia proposto dapprima il ricorso per ingiunzione e successivamente, senza neppure attendere la pronuncia del decreto e la sua notifica, l’azione in via ordinaria dinanzi ad un diverso giudice. La seconda è più rilevante, poiché accade non di rado che il debitore cerchi di prevenire l’azione del creditore proprio attraverso l’instaurazione di un giudizio di accertamento negativo del credito, oppure di nullità, annullabilità o risoluzione del contratto: tutte fattispecie che l giurisprudenza prevalente riconduce nel fenomeno della continenza di cause, affermando che la pendenza della causa introdotta dal ricorso per ingiunzione, una volta intervenuta la notificazione del ricorso e del decreto, debba farsi risalire alla data di deposito del ricorso medesimo, e affermando che nell’ipotesi considerata è il giudice della causa ordinaria a dover dichiarare la continenza in favore di quello adito in via monitoria. 107. Segue: la sua disciplina specifica. 91 Art 645 co 1°, il processo instaurato dall'opposizione si svolge, in teoria, secondo le norme del procedimento ordinario davanti al giudice adito. Vi sono però delle peculiarità: – l'art. 645 stabilisce che i termini di comparizione sono ridotti della metà; – le dimezzamento dei termini viene intesa dalla giurisprudenza nel senso che l'opponente sarebbe libero di usufruire o no dei termini ridotti e che però, quando si avvalga di tale facoltà, dovrebbe a sua volta costituirsi entro 5 giorni dalla notifica dell'atto di opposizione; – la mancata o tardiva costituzione dell'attore-opponente conduce all'improcedibilità dell'opposizione (art. 647), che a sua volta rende immutabile il decreto ingiuntivo. 108. L’esecutività provvisoria del decreto in pendenza del giudizio. Il decreto ingiuntivo può, di regola, acquistare efficacia di titolo esecutivo solo in seguito al rigetto dell'opposizione o all'estinzione del relativo procedimento. Gli artt. 648 e 649 prevedono che il giudice dell'opposizione, in presenza di certi presupposti, possa concedere la provvisoria esecuzione nella pendenza del giudizio e possa sospendere l'esecutività che fosse stata già concessa ai sensi dell'art. 642. Secondo l'art. 649 su istanza dell'opponente e in presenza di gravi motivi, sembrerebbe consentire solo la sospensione del processo esecutivo e non anche la revoca dell'esecutività provvisoria del decreto, neppure quando questa fosse stata concessa per errore, in assenza dei presupposti richiesti dalla legge; questa soluzione è contestata da parte della dottrina e della giurisprudenza perché penalizza il debitore, costringendolo a subire gli effetti negativi di un provvedimento illegittimo pronunciato in assenza di contraddittorio. L'art. 648 prevede, se il decreto ingiuntivo non è già esecutivo ex art. 642, che il giudice, discrezionalmente, provvedendo già nella prima udienza: – conceda l'esecuzione provvisoria parziale limitatamente alle somme non contestate, a meno che l'opposizione sia stata proposta per vizi procedurali, che prescindono dalla contestazione del credito vantato dal ricorrente; – possa concedere l'esecuzione provvisoria se l'opposizione non è fondata su prova scritta o di pronta soluzione; – debba concederla in ogni caso se l'istante offre cauzione per l'ammontare delle eventuali restituzioni, spese e danni. Tuttavia il giudice conserva il potere di valutare, ai fini della concessione della provvisoria esecuzione, gli elementi probatori di cui al co 1°, nonché la congruità della cauzione stessa. L'elemento decisivo per la concessione della provvisoria esecuzione pare esclusivamente il tipo di prova sulla quale si basa l'opposizione, cioè la circostanza che l'opponente non abbia fornito una prova documentale o di pronta soluzione, da cui il giudice possa agevolmente desumere la fondatezza delle eccezioni o delle ragioni che ha addotto per contestare la pretesa del ricorrente. In realtà si ritiene che il giudice 92 domanda, a meno che il credito sia manifestamente infondato o la domanda irricevibile. L'eventuale rigetto della domanda non è impugnabile ma non preclude una nuova istanza di ingiunzione. Se invece il ricorso è positivo, l'ingiunzione viene emessa con modulo standard che informa il convenuto della possibilità di proporre opposizione entro 30 giorni, del fatto che l'ingiunzione è emessa soltanto in base alle informazioni fornite dal ricorrente e non verificate dal giudice e che essa acquisterà forza esecutiva in caso di mancata opposizione. L'ingiunzione deve essere notificata al convenuto. Eseguita la notifica, il convenuto ha 30 giorni per proporre opposizione davanti al giudice che ha emesso l'ingiunzione, tale opposizione consiste in una mera contestazione del credito, che non esige né motivazione né rappresentanza legale. Il termine di opposizione è rispettato purché entro i 30 giorni la relativa domanda sia inviata, su supporto cartaceo o tramite qualsiasi mezzo di comunicazione, anche elettronico, accettato dallo Stato membro d'origine e di cui dispone il giudice d'origine. L'effetto dell'opposizione tempestiva è impedire che l'ingiunzione acquisti forza esecutiva e di far proseguire il procedimento davanti ai giudici competenti dello Stato membro d'origine, secondo le norme di procedura civile ordinaria. Se invece l'opposizione non è presentata nel termine, il giudice che aveva emesso l'ingiunzione la dichiara senza ritardo esecutiva; in questo caso è riconosciuta ed eseguita negli altri Stati membri, senza che sia necessaria alcuna procedura di exequatur e senza che sia possibile opporsi al suo riconoscimento. Sono poi disciplinate alcune ipotesi eccezionali in cui il convenuto, nonostante lo spirare del termine per l'opposizione, può chiedere il riesame dell'ingiunzione di pagamento, adducendo circostanze che gli abbiano impedito di contestare tempestivamente il credito o deducendo che l'ingiunzione risulta manifestamente emessa per errore, tenuto conto dei requisiti previsti dal regolamento o a causa di circostanze eccezionali. La mediazione non deve essere esperita, a pena di improcedibilità, prima dell'opposizione, ma in una fase successiva, dopo la pronuncia sulle istanze di concessione e sospensione della provvisoria esecuzione. Tale procedimento non deve essere esperito neanche prima della proposizione del ricorso per ingiunzione. CAPITOLO XII IL PROCEDIMENTO PER CONVALIDA DI LICENZA O SFRATTO 112. Caratteristiche generali. 95 Il procedimento per convalida di licenza o sfratto offre al locatore, che intenda agire per conseguire il rilascio dell’immobile locato, una possibile scorciatoia rispetto al processo ordinario. In esso il locatore può sperare di ottenere in maniera piuttosto rapida un provvedimento che gli consente di accedere al processo esecutivo. Il procedimento per convalida di licenza o sfratto, agli artt. 657 ss., offre al locatore, che intenda agire per conseguire il rilascio dell'immobile locato, una scorciatoia rispetto al processo ordinario (rito delle locazioni). Il locatore può sperare, qualora il conduttore non contrasti la domanda di rilascio o vi opponga eccezioni non supportate da prova scritta, di ottenere rapidamente un provvedimento che gli consente di accedere al processo esecutivo. Inizia con atto di citazione, assicurando un pieno contraddittorio tra le parti. La sua specialità consiste in: – se il convenuto omette di comparire alla prima udienza o non si oppone, il procedimento viene definito con una ordinanza non impugnabile, equivalente ad una sentenza di condanna esecutiva; – se il conduttore compare e si oppone, il giudizio deve necessariamente proseguire nelle forme e con le garanzie del processo a cognizione piena, definito con sentenza, ma intanto il giudice può pronunciare, in presenza di certe condizioni, un'ordinanza non impugnabile di condanna al rilascio con riserva delle eccezioni del convenuto. 113. Le ipotesi in cui è esperibile. Tramite questo procedimento si possono esperire due azioni: – art. 657 rilascio per finita locazione; – art. 658 sfratto per morosità. Nel rilascio per finita locazione il locatore può agire sia per intimare al conduttore lo sfratto, quando il contratto sia già scaduto, ed a condizione che la sua tacita rinnovazione sia esclusa o sia stata impedita con un atto ad hoc, sia in via preventiva, prima ancora della scadenza del contratto, chiedendo un provvedimento di condanna in futuro. In tal caso l’art. 657 gli consente di cumulare in un unico contesto tanto la licenza (ossia l’atto di natura sostanziale eventualmente necessario per evitare che il contratto stesso si rinnovi, quanto la citazione per convalida dell’intimazione, i cui elementi non sono troppo diversi da quelli normalmente prescritti per l’atto introduttivo del processo ordinario. L'art. 659 prevede che il procedimento sia utilizzabile anche quando trattandosi di immobile il cui godimento costituisce il corrispettivo, anche parziale, di un contratto di prestazione d'opera, tale contratto venga a sua volta a cessare per qualunque causa. Nel caso in cui sia intimato lo sfratto per morosità, invece, il locatore può anche chiedere nel medesimo atto che il giudice pronunci una separata ingiunzione per il pagamento dei canoni scaduti. Quando sia invece intimato lo sfratto per morosità, il locatore può 96 chiedere, nello stesso atto, che il giudice pronunci una separata ingiunzione per il pagamento dei canoni scaduti. 114. La fase introduttiva e la costituzione delle parti. La competenza spetta inderogabilmente al tribunale del luogo dove è ubicato l'immobile locato (art. 661). L'atto introduttivo riveste la forma della citazione, con alcune peculiarità (art. 660): – non sono richiesti tutti gli elementi dell'art. 163, ma quelli più generici all'art. 125, integrati dall'avviso a comparire nell'udienza indicata e dall'avvertimento che, in caso di mancata comparizione o di mancata opposizione, il giudice convaliderà la licenza o lo sfratto ex art. 663; – il termine minimo di comparizione è di 20 giorni e, su istanza dell'intimante, può essere abbreviato fino alla metà dal presidente del tribunale, quando si tratti di una causa che richieda pronta spedizione; – è esclusa la possibilità che l'intimazione sia notificata presso il domicilio eletto, e se l'atto non viene consegnato nelle mani proprie dell'interessato, è prescritto che l'ufficiale giudiziario lo avverta dell'avvenuta notifica tramite lettera raccomandata, la cui ricevuta deve essere allegata all'originale dell'atto. La costituzione delle parti può avvenire sia in cancelleria sia direttamente all'udienza. Il conduttore convenuto non ha neanche bisogno di una formale costituzione perché qualora voglia opporsi alla convalida e negare la propria morosità, contestare l'ammontare dei canoni richiesti dall'attore, potrà farlo comparendo personalmente all'udienza. Non trovano quindi applicazione le preclusioni dell'art. 167. 115. I possibili esiti: a) in caso di mancata comparizione del locatore. Se il locatore ometta di comparire all'udienza fissata nell'atto di citazione, l'art. 662 prevede che gli effetti dell'intimazione cessano, il procedimento viene definito in rito, indipendentemente dal fatto che il conduttore sia comparso o meno. La mancata comparizione del locatore non fa venir meno gli effetti sostanziali della licenza eventualmente contenuta nell'atto introduttivo, che conserverà la propria idoneità ad impedire la rinnovazione del contratto. 116. Segue: b) in caso di mancata comparizione o non opposizione del conduttore. Se il conduttore non si presenta all'udienza (costituisce piena ammissione dei fatti allegati dall'intimato) o vi compare e non si oppone all'intimazione, il giudice, ex art. 97
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