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Riassunti Completi Diritto Ue, Manuale Strozzi G., Mastroianni R. (2020)., Appunti di Diritto dell'Unione Europea

Riassunti completi in cui vengono trattati gli argomenti del Manuale richiamato in modo dettagliato, in vista di uno studio completo ed efficace.

Tipologia: Appunti

2022/2023

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Scarica Riassunti Completi Diritto Ue, Manuale Strozzi G., Mastroianni R. (2020). e più Appunti in PDF di Diritto dell'Unione Europea solo su Docsity! Riassunti Diritto UE CAP. I : Origini e sviluppo dell’integrazione dell’integrazione europea La cooperazione europea Nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale ha inizio il processo di organizzazione della cooperazione tra gli stati europei, volto a mettere in atto forme di unione dotate di strutture istituzionali a carattere intergovernativo con competenze in settori specifici. Il processo di integrazione Europea si discosta dal quadro classico delle unioni di stati e dalla cooperazione intergovernativa. Tale processo inizia nel 1950, quando il ministro degli esteri francese Schuman propose di : “mettere in comune la produzione franco-tedesca del carbone e dell'acciaio in un'organizzazione aperta alla partecipazione di altri stati europei”. L'obiettivo immediato era quello di ancorare stabilmente la Germania all'Europa ed eliminare le rivalità fra Germania e Francia. I negoziati, aperti a Parigi tra 6 stati (Belgio - Olanda - Lussemburgo - Francia - Germania - Italia) portarono alla firma del trattato di Parigi istitutivo della Comunità Europea del carbone e dell'acciaio (CECA). L'elemento di novità era rappresentato dal conferimento di poteri decisionali autonomi ad una istituzione capace di decidere in modo indipendente dal consenso unanime degli Stati membri, tanto da indurre a parlare di carattere sovranazionale dell'organizzazione. NON fu coronata da successo un'altra iniziativa che prevedeva la creazione di un'armata europea integrata sottoposta ad un comando unificato, in quanto il trattato istitutivo della Comunità Europea di difesa NON entrò in vigore a causa del rifiuto da parte del parlamento francese di autorizzazione della ratifica. Questo INSUCCESSO portò ad un momento di riflessione sulla via dell'integrazione. Il rilancio dell'idea europeista si ebbe con la conferenza di Messina dei ministri degli Esteri della Ceca ove fu dato incarico a una commissione di esperti di studiare le iniziative opportune per proseguire il percorso dell'integrazione, prediligendo un approccio di natura prevalentemente economica. La commissione elaborò un progetto più ampio e ambizioso che prevedeva la creazione di un mercato comune generalizzato e un progetto più circoscritto riguardante la creazione di una comunità per l'energia atomica. I progetti furono entrambi approvati e condussero alla firma dei Trattati di Roma istitutivi della comunità economica europea per l'energia atomica. Alla comunità economica europea fu assegnato il compito di promuovere lo sviluppo armonioso delle attività economiche nell'insieme della comunità, ma avendo come obiettivo generale un'unione più stretta fra i popoli europei. Il cammino dell'integrazione incontrò ben presto varie difficoltà a seguito della politica del generale de Gaulle ostile ad ogni aspetto di sovranazionalità nel funzionamento delle istituzioni europee, “politica della sedia vuota”, culminata con l’opposizione della Francia a utilizzare il voto a maggioranza in seno al consiglio e che portò al compromesso di Lussemburgo con cui venne generalizzata la prassi della votazione all'unanimità. Il cambiamento della politica francese con l'avvento di Pompidou alla presidenza della Repubblica diede nuovo impulso al processo di integrazione e fu introdotto un meccanismo finanziario, “il serpente monetario”, rivolto a limitare i margini di fluttuazione tra le monete nazionali al fine di impedire che sorgessero ostacoli valutari alla libera circolazione delle merci ed esso venne poi sostituito dal sistema monetario europeo. Inoltre ebbe inizio il progressivo ampliamento della comunità ad altri Stati che avevano presentato domanda di adesione. Trattato di ROMA Il Trattato di Roma ha come obiettivo immediato “l'instaurazione di un mercato comune e il graduale ravvicinamento delle politiche economiche degli Stati membri come mezzo per il conseguimento di una espansione equilibrata e stabile”. Il mercato comune si instaura progressivamente nel corso di un periodo di 12 anni, diviso in tre tappe, che si è concluso nel 1968. La prima fase di integrazione negativa, caratterizzata dalla creazione di una zona di libero scambio all'interno della quale eliminare tutti tavoli tecnici agli scambi commerciali tra gli stati partecipanti, è stata accompagnata dalla creazione di un'unione doganale tra i paesi membri e poi di un mercato comune all'interno del quale consentire la libera circolazione delle merci, delle persone, dei servizi e dei capitali. L'aspetto più significativo del Trattato di Roma è quello di aver previsto l'attuazione di alcune politiche comuni strategiche e una serie di misure al fine di realizzare un'effettiva integrazione economica. Libera circolazione delle MERCI La libera circolazione delle merci comporta l'abolizione fra gli stati membri dei dazi doganali all'importazione e all'esportazione, nonché restrizioni quantitative e altre misure di effetto Negli anni ‘80 si assiste a numerose iniziative tendenti a rilanciare il processo di integrazione Europea: il Parlamento Europeo elaborò nel 1984 un progetto di trattato di Unione Europea in cui si prefigurava una struttura istituzionale profondamente rinnovata. Il progetto NON ebbe favorevole accoglienza da parte di alcuni stati e non ebbe seguito. il Consiglio Europeo di Milano nel 1985 decise di convocare una conferenza intergovernativa che diede vita all'atto unico europeo firmato da 9 stati ed entrato in vigore nel 1987. L'atto unico europeo ha introdotto rilevanti modifiche di carattere istituzionale tra le quali: - la formalizzazione del Consiglio Europeo che opera sia nel sistema comunitario che in quello della cooperazione politica - il ristabilimento della votazione a maggioranza qualificata nel consiglio per le misure di armonizzazione relative al mercato interno - il rafforzamento del ruolo del Parlamento Europeo nel procedimento decisionale introducendo: la procedura di cooperazione e la procedura del parere conforme - la previsione di una giurisdizione di primo grado che affianca la Corte di Giustizia - ha fissato una data vincolante per attuare il completamento del mercato interno L'atto unico europeo enunciava, nel preambolo, di voler trasformare l'insieme delle relazioni tra gli stati membri in un'Unione Europea e conferiva alla Cooperazione politica europea un inquadramento giuridico formale che prima non aveva. Nonostante la rilevanza delle modifiche apportate dall'atto unico ben presto queste si sono rivelate inadeguate a perseguire quelli ulteriori sviluppi avvertiti come indispensabili per proseguire verso una Unione Europea. In particolare risultava debole il ruolo del Parlamento Europeo: occorreva garantire la coerenza tra sistema comunitario e politica estera. Si avvertiva anche l'esigenza di giungere ad un'unione economica e monetaria quale indispensabile presupposto per l'unione politica. Il Consiglio Europeo di Dublino nel 1990 decise di manifestare la volontà di trasformare progressivamente la comunità in una unione Europea e di estenderne le competenze. Il Consiglio Europeo di Maastricht nel 1991 approva i testi sull'unione politica e sulla l'unione economica e monetaria Il Trattato sull’Unione Europea (TUE) Ai sensi del trattato sull'Unione Europea: “l'unione si fonda da un lato sulle comunità europee, dall'altro sulle politiche e sulle forme di cooperazione instaurate in materia di politica estera nonché in materia di giustizia e affari interni. Può definirsi l'unione come una costruzione a 3 pilastri collegati tra loro da una architrave e dalla base: il primo pilastro è costituito dall'ordinamento comunitario il secondo dalle politiche e le forme di cooperazione instaurate dalla politica estera (PESC) il terzo dalle politiche in materia di giustizia e affari interni (GAI) Particolarmente significativa è stata l'introduzione della cittadinanza dell'Unione per il valore ideale e simbolico che essa contiene. Essa è riconosciuta a tutti i cittadini degli stati membri, comporta il diritto di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli stati membri e il diritto per ogni cittadino dell'Unione ha residente in uno Stato membro di cui non è cittadino di votare e di essere eletto alle elezioni comunali e a quelle per il Parlamento Europeo alle stesse condizioni dei cittadini dello Stato ospite. La novità più rilevante è costituita dall'instaurazione dell'Unione economica e monetaria da realizzarsi attraverso tre fasi con l'istituzione di alcuni temi specifici, tra i quali assume importanza la Banca Centrale Europea. L'ultima fase ha segnato il passaggio ad una politica monetaria affidata interamente alla comunità, almeno per quegli stati che sono riusciti a rispettare alcune condizioni essenziali per l'adozione di una moneta unica. politica estera e di sicurezza comune: Il trattato dell'Unione Europea riprende il regime della cooperazione politica europea rielaborandolo: il titolo V prevede l'istituzione di una politica comune estesa a tutti i settori della politica estera e della sicurezza instaurando una cooperazione sistematica tra gli stati membri ma anche ponendo azioni comuni nei settori di comune interesse. Il consiglio definisce una posizione comune ogni volta che lo ritenga necessario: gli stati membri si impegnano a condurre le loro politiche nazionali In conformità a tale posizione comune. La presidenza che rappresenta l'unione: - esprime la sua posizione nelle organizzazioni internazionali - ha la responsabilità dell'attuazione delle azioni comuni - ad essa incombe il compito di provvedere all'unità, alla coerenza e all'efficacia dell'azione dell’unione. cooperazione nei settori della giustizia e degli affari interni: Il titolo VI mira a instaurare una Cooperazione nei settori della Giustizia e degli affari interni finora perseguita in modo occasionale. Il consiglio può adottare posizioni comuni che comportano un obbligo per gli Stati membri di conformarvisi sul piano sia interno che internazionale, o azioni comuni nel rispetto del principio di sussidiarietà portate avanti dall'Unione e le cui misure di applicazione possono essere decise a maggioranza qualificata del Consiglio. Tra le questioni considerate di interesse comune in questo in questo settore rientrano in particolare: la politica d'asilo - la politica di immigrazione - la lotta contro la tossicodipendenza - la cooperazione giudiziaria in materia civile e penale. Tali materie vengono trattate nel rispetto della convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e della convenzione sullo status dei rifugiati. Esse formano oggetto di consultazione reciproca e di un'azione coordinata degli Stati membri. Allargamento UE L'allargamento dell'Unione Europea ad altri paesi è stato uno dei nodi cruciali posti all'attenzione degli Stati membri in una fase di integrazione caratterizzata da mutamenti significativi storico-politici sulla scena internazionale. La fine della guerra fredda segna una tappa fondamentale verso la realizzazione di una europa senza più divisioni. Infatti, il Consiglio Europeo del 1997 introduce una decisione storica quale l'allargamento della comunità/Unione ad 11 paesi candidati, considerata una pietra miliare per il futuro dell'Unione. Il Consiglio Europeo decise di avviare i negoziati bilaterali di adesione con solo 6 stati ma istituì una conferenza europea che riunisce gli stati membri dell'Unione e i paesi europei che aspiravano ad aderirvi e condividevano i valori e gli obiettivi su cui è fondata l'Unione. All'interno della conferenza europea si è svolto il processo di adesione, attraverso il nuovo strumento della strategia rafforzata di preadesione, che aveva lo scopo di porre i paesi candidati nelle condizioni di adeguarsi all’acquis comunitario, Trattato di AMSTERDAM Il Consiglio Europeo del 1994 aveva istituito un gruppo di riflessione incaricato di preparare la conferenza intergovernativa con il compito di formulare proposte di modifica del TUE con particolare riguardo ad alcune questioni istituzionali. Il Consiglio Europeo è l'organo che impartisce i principi e gli orientamenti generali e decide strategie comuni nei settori in cui gli stati membri hanno interessi in comune, le quali fissano gli obiettivi, la durata e i mezzi che l'unione e gli stati membri devono mettere a disposizione e assumono valore vincolante per il consiglio. Nell'ambito del consiglio gli stati membri si consultano per realizzare una convergenza delle loro azioni. Esso adotta azioni comuni e posizioni comuni : - Le prime (azioni) affrontano specifiche situazioni che richiedono un intervento operativo dell'Unione. Qualora uno Stato membro incontra rilevanti difficoltà nell’applicazione di un'azione comune, ne informa il consiglio che delibera ricercando le soluzioni appropriate in modo conforme agli obiettivi e all’efficacia dell'azione. - Le posizioni comuni definiscono l'approccio dell'Unione su una questione particolare di natura geografica o tematica, sono obbligatorie per gli Stati membri che ad esse dovranno conformare le loro politiche nazionali. In linea generale, le decisioni del consiglio sono deliberate all'unanimità, salvo alcuni casi espressamente previsti ove la deliberazione può venire a maggioranza qualificata. Al fine di dare un maggiore impulso alla PESC, è prevista la figura dell'Alto rappresentante per la politica estera e di sicurezza comune, impersonata dal segretario generale del consiglio, che assiste il consiglio contribuendo alla formulazione, preparazione e attuazione delle decisioni politiche. Per quanto riguarda il Parlamento, è previsto che esso sia consultato dalla presidenza sui principali aspetti e sulle scelte fondamentali della politica estera e della sicurezza comune e che le sue opinioni saranno debitamente prese in considerazione. La commissione è pienamente associata ai lavori nei settori della politica estera della sicurezza comune: può chiedere una riunione d'urgenza del consiglio ed è abilitata a presentare ad esso qualsiasi proposta relativa alla PESC per assicurare l’attuazione di un'azione comune; 5. La cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale: l'unione si prefigge di sviluppare un'azione comune nel settore della cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale, terzo Pilastro, operando per prevenire e reprimere il razzismo e la xenofobia, la criminalità organizzata e il terrorismo. Per quanto riguarda la cooperazione di polizia è prevista un'azione comune che si sviluppa tramite la cooperazione tra le autorità competenti degli Stati membri. In particolare tramite: europol = per il coordinamento e l'effettuazione di specifiche operazioni investigative e azioni operative con riguardo a talune forme di criminalità organizzata che riguardino due o più stati membri per la raccolta e gestione di dati e informazioni. Per quanto riguarda la cooperazione giudiziaria in materia penale, l'azione comune comprende la facilitazione della cooperazione tra autorità giudiziarie degli Stati membri. Si contempla e si formalizza l’esistenza di un nuovo organo denominato: eurojust = composto di pubblici ministeri, magistrati o funzionari di polizia di pari competenza distaccati da ogni Stato membro al fine di agevolare il coordinamento tra le autorità nazionali responsabili dell'azione penale e di prestare assistenza nelle indagini relative ai casi di criminalità organizzata. A tale organo sono attribuiti compiti specifici per la lotta alla criminalità. L'azione comune è diretta anche a: prevedere i compiti di giurisdizione tra stati membri fissare norme relative agli elementi costitutivi dei reati e alle sanzioni per quanto riguarda la criminalità organizzata, il terrorismo e il traffico di droga. Ricade sul consiglio il compito di promuovere e realizzare la cooperazione in questo settore adottando all'unanimità vari strumenti. Quali: ● Posizioni comuni : definiscono l'orientamento dell'Unione in merito a una questione specifica, esse sono vincolanti per gli Stati membri in forza del principio di leale Cooperazione. ● Decisioni-quadro : di armonizzazione per il ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri. Le decisioni-quadro sono sprovviste di efficacia diretta e sono vincolanti riguardo al risultato da ottenere, salvo restando la competenza delle autorità nazionali in merito alla forma e ai mezzi. ● Altre decisioni : vincolanti ma senza efficacia diretta, che non possono comunque avere per fine il ravvicinamento delle legislazioni degli Stati membri. ● misure di attuazione delle decision i. ● convenzioni internazionali di cui il consiglio raccomanda l'adozione agli Stati membri. Il Consiglio delibera normalmente all'unanimità. Il ruolo del parlamento risulta Tuttavia rafforzato: Esso deve essere tenuto regolarmente informato dei lavori svolti dal consiglio ed è chiamato ad esprimere un parere preventivo in merito all'adozione delle decisioni quadro, decisioni e delle convenzioni e deve rilasciare il suo parere entro un termine di tre mesi. La commissione è pienamente associata ai lavori riguardanti la materia del terzo Pilastro, ma il suo potere di iniziativa non è più esclusivo e si è condiviso con gli stati membri per l'adozione degli atti del consiglio. La Corte di Giustizia vede ampliata la sua competenza alla maggior parte delle disposizioni del terzo Pilastro: essa esercita una competenza pregiudiziale sulla validità e sull'interpretazione delle decisioni quadro e delle decisioni. La corte ha competenza a esercitare un controllo di legittimità delle decisioni quadro e delle decisioni nei ricorsi promossi da uno Stato membro o dalla Commissione. La corte è competente a pronunciarsi sulle controversie tra stati membri riguardanti l'interpretazione e l'applicazione di tutti gli atti adottati nell'ambito del terzo pilastro qualora il consiglio, preventivamente adito da uno Stato membro, non abbia risolto detta controversia nei successivi 6 mesi. La Corte ha affermato che la decisione quadro deve essere interpretata in modo tale che siano rispettati i diritti fondamentali e che anche per le decisioni quadro non eseguite sussiste l'obbligo del giudice nazionale di interpretare il diritto interno. 6. La cooperazione rafforzata: la disciplina in materia prevista dal Trattato di Amsterdam è stata rivista mediante l'inserimento di un complesso di norme denominato cooperazioni rafforzate per quanto concerne: le condizioni generali - la cooperazione nell'ambito del trattato della comunità Europea - nell'ambito del trattato dell'Unione Europea con riguardo alla PESC e alla cooperazione di polizia e giudiziaria in materia penale. La Corte di Giustizia è competente per verificare se le cooperazioni rafforzate siano conformi alle competenze e agli obiettivi della comunità e dell'Unione e per controllare il rispetto delle condizioni previste per il loro avvio. Trattato che adotta una COSTITUZIONE per l’europa Il Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa, per brevità l”a Costituzione Europea”, fu finalmente raggiunto sotto la presidenza irlandese nel 2004 e fu firmato a Roma. Il Trattato in questione si distingue per l'ambizione di formare una Costituzione Europea introducendo alcuni principi fondamentali tra cui: - i valori e gli obiettivi dell'Unione - l'enfasi sulla duplice legittimità su cui si fonda l'unione - il maggiore risalto conferito alla cittadinanza Europea I referendum indetti da Francia e Olanda in merito alla ratifica del trattato costituzionale hanno dato esito negativo, affossando l'ambizioso progetto avviato con tanta enfasi. Si aprì un lungo periodo di riflessione durante il quale i governi degli Stati membri si sono attivamente consultati nell'ottica di preparare una nuova proposta di riforma dei trattati vigenti. La Corte Internazionale di Giustizia ha approvato un nuovo progetto di trattato di riforma che è un firmato a Lisbona da 27 stati membri nel 2007. Tutti gli stati membri avevano espresso la decisione di arrivare alla ratifica solo dopo l'autorizzazione parlamentare. In Irlanda il referendum del trattato di Lisbona ebbe esito negativo sbloccando così una ancora una volta il progetto di riforma dei trattati. Le alternative per superare tale blocco sembravano solo due: 1. richiedere e attendere che il popolo irlandese si pronuncia ancora una volta sperando in un esito positivo 2. studiare dei meccanismi in grado di consentire all'irlanda di rimanere ai margini della nuova Unione Europea senza escluderla o addirittura estrometterla. Il governo irlandese si impegnò a perseguire la ratifica del Trattato di Lisbona. Il secondo referendum, indetto nel 2009, dette finalmente esito positivo consentendo la ratifica dell'Irlanda e l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Il nuovo sistema dei trattati si articola in 2 parti: - il nuovo trattato che modifica il Trattato sull'Unione Europea - il Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea (TFUE) entrambi con identico valore giuridico. Il Trattato di Lisbona non si sostituisce ai trattati già esistenti MA si limita a modificarli. Ad essi si aggiunge la carta dei Diritti fondamentali che assume valore giuridicamente vincolante e una serie di protocolli e dichiarazioni che incidono profondamente su alcune norme dei trattati. Il presente trattato modificativo recepisce sostanzialmente le novità più importanti sancite nel trattato costituzionale. Quanto alle modifiche introdotte dal Trattato di riforma, si segnala che: - è stata mantenuta la fusione dell'Unione Europea e della comunità europea con personalità giuridica unica; - è di fatto soppresso il terzo Pilastro; Per il secondo pilastro non può dirsi lo stesso perché la politica estera e di sicurezza comune mantiene una sua natura specifica. Tale carattere separato dalle altre politiche è confermato anche dall'art. 40 TUE che sancisce “la distinzione tra procedure e attribuzioni delle istituzioni per l'esercizio delle competenze dell'Unione”. Sono rilevabili significative modifiche formali che sono indicative di un certo atteggiamento con cui gli stati membri hanno affrontato la riforma: - La modifica più significativa è la soppressione della parola costituzione e di ogni riferimento costituzionale dei testi: si tratta di una modifica formale priva di conseguenze giuridiche pratiche. - Scompaiono dal trattato modificativo “il preambolo, i simboli dell'Unione e il riferimento alla volontà dei cittadini”. - Vengono interamente mantenute le enunciazioni relative ai principi democratici su cui si fonda l'unione. - Viene significativamente rafforzato il fondamentale ruolo dei parlamenti nazionali. - Vengono eliminati i termini legge e legge quadro europee: la portata di questa modifica è essenzialmente simbolica, in quanto rimane la distinzione tra atti legislativi, atti delegati e atti di esecuzione. - Il principio della libertà di concorrenza scompare dal Trattato modificativo: la portata giuridica del cambiamento è limitata: in quanto l'espressione economia di mercato aperta e in libera concorrenza continua ad essere presente. Tale principio ricompare in un protocollo sul mercato interno e sulla concorrenza, dove si afferma che “il mercato interno comprende un sistema che assicura che la concorrenza non sia falsata”. Deve valutarsi positivamente l'inserimento tra gli obiettivi dell'Unione di un nuovo paragrafo che recita: “l'unione istituisce un'unione economica e monetaria la cui moneta è l'euro”. L'unione economica e monetaria rappresenta il completamento necessario al mercato interno. Viene eliminato il principio relativo al primato del diritto dell'Unione Europea. Ma contemporaneamente una dichiarazione allegata ottiene lo stesso risultato confermando che “il diritto dell'Unione prevale sul diritto degli stati membri e si afferma che la preminenza del diritto comunitario è un principio fondamentale dell'ordinamento comunitario stesso”. Il principio del primato continuerà ad essere un principio fondamentale dell'integrazione europea. La logica di questa operazione è quella di dare un segnale volto a rafforzare la sovranità statale nei confronti dell'Unione. Sembra seguire la stessa logica l'esclusione formale della carta dei diritti fondamentali dal trattato modificativo e l'inserimento del protocollo sull'applicazione dei diritti fondamentali a Polonia e Regno Unito, dove si precisa che la “carta di Nizza enuncia i diritti e le libertà riconosciuti nell'Unione ma non crea nuovi diritti o principi e si esclude la competenza della corte a sindacare gli atti normativi di Polonia e il Regno Unito alla luce dei diritti fondamentali dell'Unione”. Per quanto riguarda le politiche dell'Unione ci limitiamo a segnalare il loro ampliamento attraverso l'introduzione di specifiche basi giuridiche per nove materie, Competenze dell'Unione: il Trattato di Lisbona affronta il problema della ripartizione delle competenze tra Unione e stati membri. Nell'ambito delle competenze concorrenti, gli stati membri esercitano le loro competenze nella misura in cui l'unione non ha esercitato la propria ed essi possono anche decidere di ridurre le competenze attribuite. Quando l'Unione agisce in un determinato settore rientrante nella competenza concorrente, il campo di applicazione di questo esercizio di competenza copre gli elementi disciplinati dall'atto dell'Unione e non copre l'intero settore, dunque il resto della materia rimane nella competenza degli Stati membri. La COOPERAZIONE RAFFORZATA L'esigenza di un integrazione flessibile fra alcuni stati membri maggiormente pronti a realizzarla in determinate politiche o settori di intervento dell'Unione Europea ha trovato conferma nel Trattato di Lisbona ove ha ricevuto una disciplina più omogenea. Le condizioni generali previste per l'instaurazione di una cooperazione rafforzata sono le seguenti: - deve essere diretta a rafforzare il processo di integrazione e promuovere la realizzazione degli obiettivi dell'Unione; - deve rispettare i trattati e il diritto dell'Unione; - deve rimanere nei limiti delle competenze dell'Unione; - non deve arrecare pregiudizio né al mercato interno né alla questione economica, sociale e territoriale, né costituire un ostacolo per gli scambi tra gli stati membri o provocare distorsioni alla concorrenza; - deve rispettare le competenze, i diritti e gli obblighi degli Stati membri che non vi partecipano; devono parteciparvi almeno 9 stati membri; - deve essere aperta fin dall'inizio a tutti gli stati membri. PROCEDURA: La richiesta di instaurare una cooperazione rafforzata è trasmessa alla commissione, che può presentare al consiglio una proposta in merito. L'autorizzazione è concessa con visione del consiglio, che delibera a maggioranza qualificata, su proposta della commissione e previa approvazione del Parlamento Europeo. Uno Stato membro può sottrarsi all'applicazione di una decisione-quadro e si può astenere dal voto con una dichiarazione formale motivata, residuando l'obbligo di non contrastare l'azione dell'Unione basata su tale decisione. Se gli stati membri, che motivano in tal modo la loro astensione, rappresentano almeno un terzo degli Stati membri che totalizzano almeno un terzo della popolazione dell'unione, la decisione NON è adottata. Il Consiglio delibera a maggioranza qualificata per l'adozione di decisioni che definiscono un'azione o una posizione dell'Unione. Allora il consiglio, in assenza di una soluzione accettabile per lo stato interessato ricercata dall' alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri, può chiedere, a maggioranza qualificata, che della questione sia investito il Consiglio Europeo in vista di una decisione all'unanimità. Questa figura funge come una sorta di organo di appello. L'introduzione della maggioranza qualificata costituisce un notevole passo avanti che risulta temperato dalla disposizione che conferisce allo stato che intende opporsi all'adozione della decisione a maggioranza qualificata, una sorta di diritto di veto. Il Parlamento Europeo è solo consultato sui principali aspetti e sulle scelte fondamentali della politica estera e di sicurezza comune, è informato sull’evoluzione di tali politiche dall'alto rappresentante, il quale provvede affinché le sue opinioni siano prese in debita considerazione: può rivolgere interrogazioni o formulare raccomandazioni al consiglio e all'alto rappresentante e svolge 2 volte l'anno un dibattito sui progressi compiuti nell'attuazione della PESC. La commissione svolge in materia un ruolo marginale: essa può soltanto sottoporre al consiglio questioni relative alla PESC e presentare proposte. La Corte di Giustizia non ha alcuna competenza in questa materia, salvo quella di controllare il rispetto delle attribuzioni delle istituzioni previste dai trattati per l'esercizio delle competenze dell'Unione e la legittimità di talune decisioni, ossia quelle che prevedono misure restrittive nei confronti di persone fisiche o giuridiche adottate dal consiglio. Un comitato politico e di sicurezza controlla la situazione internazionale nei settori della PESC, sorveglia sull’attuazione delle politiche concordate, fatte salve le competenze dell'Alto rappresentante, e contribuisce a definire le politiche formulando pareri per quest'ultimo e per il consiglio. Inoltre, un rappresentante speciale per problemi politici specifici può essere nominato dal consiglio su proposta dell'Alto rappresentante. Le missioni diplomatiche degli Stati membri e le delegazioni dell'Unione presso gli stati terzi si concertano per garantire il rispetto e l'attuazione delle decisioni adottate dal consiglio. Una novità è l'espressa previsione della possibilità, per il consiglio, di adottare anche misure restrittive nei confronti di persone fisiche o giuridiche tramite una decisione presa in ambito PESC. Fa parte integrante della PESC la politica di sicurezza e di difesa comune, la quale è rivolta ad assicurare che l'unione possa disporre di una capacità operativa ricorrendo a mezzi civili e militari di cui può avvalersi per svolgere missioni a suo esterno al fine di garantire il mantenimento della pace, la prevenzione dei conflitti e il rafforzamento della sicurezza internazionale. Le decisioni in tale settore sono adottate dal Consiglio all'unanimità su proposta dell'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri o su iniziativa di uno Stato membro. Viene poi introdotta anche in questo una sorta di cooperazione rafforzata: Gli stati membri che rispondono a criteri più elevati in termini di capacità militare possono instaurare tra loro una cooperazione strutturata permanente: essa è istituita con una decisione del consiglio a maggioranza qualificata che si pronuncia sulla richiesta avanzata dagli Stati interessati, previa consultazione dell'alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri. Significativa è l'introduzione di un'apposita norma dedicata alla clausola di solidarietà: qualora uno Stato membro sia oggetto di un attacco terroristico o sia vittima di una calamità naturale o provocata dall'uomo, l'unione mobilita tutti gli strumenti di cui dispone per prevenire la minaccia terroristica sul territorio degli stati membri e proteggere le istituzioni democratiche e la popolazione civile. Si deve segnalare inoltre la creazione in materia dell'agenzia Europea per la difesa, posta sotto l'autorità del consiglio, aperta agli Stati membri che desiderino parteciparvi: essa ha il compito di individuare gli obiettivi di capacità militari degli Stati membri, promuovere l'armonizzazione delle esigenze operative, proporre progetti multilaterali per il conseguimento degli obiettivi in termini di capacità militare. La COOPERAZIONE DI POLIZIA E GIUDIZIARIA IN MATERIA PENALE La cooperazione di polizia si sviluppa attraverso “l'associazione di tutte le autorità competenti degli Stati membri”. Misure deliberate secondo la procedura legislativa ordinaria possono riguardare il trattamento e lo scambio delle informazioni, di personale e di attrezzature. Un ruolo centrale è svolto da Europol, organo chiamato a sostenere e potenziare l'azione delle autorità di polizia degli Stati membri e la reciproca collaborazione nella prevenzione e lotta contro le forme gravi di criminalità. Il suo funzionamento e i suoi compiti sono stabiliti con regolamenti, che fissano le modalità di controllo della sua attività da parte del Parlamento Europeo. La cooperazione giudiziaria, è fondata sul principio del riconoscimento reciproco delle decisioni giudiziarie e include il ravvicinamento delle disposizioni legislative e regolamentari degli Stati membri. Sostanziali progressi possono registrarsi in particolare nel settore della cooperazione penale per quanto riguarda: il riconoscimento delle sentenze, la cooperazione tra le autorità giudiziarie degli Stati membri in relazione all'azione penale. L'iniziativa normativa può provenire, oltre che dalla Commissione, anche da un quarto degli Stati membri. I parlamenti nazionali sono chiamati a vigilare sul rispetto del principio di sussidiarietà con riguardo alle proposte legislative presentate. Eurojust ha il compito di sostenere e potenziare la cooperazione tra le autorità nazionali responsabili delle indagini e dell'azione penale contro la criminalità grave interessante più stati membri che richiedono un'azione penale su basi comuni, anche con l'ausilio di Europol. Il Parlamento e il consiglio, deliberando secondo la procedura legislativa ordinaria, possono stabilire, mediante direttive, norme minime riguardo l'ammissibilità reciproca delle prove tra gli stati membri, i diritti delle persone nei procedimenti penali, i diritti delle vittime della criminalità. Qualora uno Stato membro ritenga che è un progetto di direttiva incida su aspetti fondamentali del proprio ordinamento giuridico penale, può chiedere che sulla questione sia investito il Consiglio Europeo e la procedura legislativa ordinaria è sospesa: “freno di emergenza” che è in sostanza un diritto di veto motivato. Entro 4 mesi, quest'ultimo previa discussione e in caso di consenso, rinvia il progetto al consiglio ponendo fine alla sospensione della procedura legislativa ordinaria o richiede un nuovo progetto. Qualora il Consiglio Europeo non deliberi nel termine dei 4 mesi o un nuovo progetto non sia adottato entro dodici mesi, almeno 9 stati membri possono instaurare un'azione rafforzata sulla base di quel progetto di direttiva e l'autorizzazione a farlo è ritenuta accordata senza bisogno di un'ulteriore decisione del consiglio. Tali disposizioni costituiscono una base giuridica autonoma per un intervento dell'Unione anche nella sfera del diritto penale negli Stati membri e contribuiscono a recepire e superare la pregressa giurisprudenza della Corte di Giustizia, la quale aveva escluso che le norme interne penali possano comunque limitare le libertà fondamentali garantite dall'ordinamento comunitario e aveva riconosciuto una competenza del legislatore comunitario in materia Il parlamento europeo ha approvato una risoluzione relativa alla questione ungherese conclusasi con la proposta dello stesso parlamento di avviare la procedura di cui all'art. 7 per grave deterioramento dello stato di diritto e dei diritti fondamentali. Le disposizioni finali del Trattato di Lisbona disciplinano anche la procedura del recesso. Il Trattato di Lisbona introduce espressamente la possibilità per gli Stati membri di recedere dall'Unione Europea, notificando tale intenzione al Consiglio Europeo. L'unione negozia con tale stato un accordo dove si definiscono le modalità del recesso, che viene concluso dal Consiglio Europeo, a maggioranza qualificata, previa approvazione del Parlamento Europeo. I trattati cessano di essere applicabili allo stato che recede a decorrere dalla data in vigore dell'accordo di recesso. Se l'accordo non viene concluso, entro 2 anni dalla notifica della decisione di recedere, i Trattati cessano di essere applicabili realizzando il recesso unilaterale dello Stato. L'applicazione dell'art. 50 TUE si concretizza con il referendum indetto dal Regno Unito nel 2016, che ha sancito la volontà del popolo britannico di recedere dall'Unione, a cui è seguita una formale notifica di recesso avvenuta nel 2017. Le negoziazioni per la stipula di un accordo di recesso hanno avuto un andamento tortuoso, delineando un quadro di grande incertezza e instabilità fino alla definitiva entrata in vigore avvenuta il 1 febbraio 2020, data in cui il Regno Unito è divenuto formalmente uno stato terzo rispetto all'Unione Europea. L’accordo definitivo di recesso raggiunge un difficile compromesso su temi assai delicati: In primo luogo, l'accordo prova a dare adeguata tutela dei diritti fondamentali dei cittadini europei residenti nel Regno Unito e cittadini del Regno Unito residenti nell'Unione Europea che “potranno continuare ad esercitare diritti attualmente garantiti dalle normative europee sulla base dei principi di parità di trattamento e di non discriminazione”. In secondo luogo, affronta la delicata questione della liquidazione finanziaria, che obbliga il Regno Unito a onorare tutti gli obblighi finanziari dovuti per la sua partecipazione all'Unione Europea fino al 2020, data di scadenza dell'attuale quadro finanziario biennale di bilancio dell'Unione Europea. In terzo luogo, regola la questione del confine tra Irlanda e Irlanda del Nord e resta il mantenimento della libertà di circolazione delle persone, mentre per le merci contempla un regime articolato che prevede l'assorbimento dell'Irlanda del nord nel territorio doganale del Regno Unito. Infine, si occupa della giurisdizione della Corte di Giustizia dell'Unione Europea, la quale manterrà una serie di competenze. L'entrata in vigore dell'accordo di recesso, comporta l'inizio dei negoziati per il successivo accordo sulle future relazioni tra Unione Europea e Regno Unito. La CITTADINANZA europea Lo status di cittadino dell'Unione si acquisisce in modo automatico in quanto consegue al possesso della cittadinanza di uno degli Stati membri. La cittadinanza Europea non si sostituisce alla cittadinanza Nazionale, ma ne costituisce un complemento. Il Trattato di Lisbona conferisce carattere di maggiore autonomia a tale status precisando che la cittadinanza Europea si aggiunge a quella Nazionale. Da ciò derivano 2 conseguenze: - solo coloro che hanno la cittadinanza di uno Stato membro possono ritenersi anche cittadini europei; - ogni Stato membro rimane solo competente nello stabilire i requisiti necessari per l'acquisto o la perdita della cittadinanza Nazionale. La Corte di Giustizia ha precisato che la competenza degli Stati membri in materia di cittadinanza deve esercitarsi nell'osservanza del diritto dell'Unione e che l'attribuzione o la privazione della cittadinanza non può risultare in violazione di tale diritto. Un'interessante questione (causa rottmann), riguardante l'individuazione dei limiti all'esercizio delle competenze nazionali in materia di cittadinanza in relazione all'esigenza del rispetto dei diritti fondamentali attribuiti dall'Unione, è stata sollevata da una rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia: essa riguarda la compatibilità con il diritto dell'Unione Europea della conseguenza giuridica consistente nella perdita della cittadinanza dell'Unione risultante dal fatto che la revoca, di una naturalizzazione come cittadino di uno Stato membro, dolosamente ottenuta, conduce ad una situazione di apolidia; Ci si chiede inoltre se riconosciuta tale incompatibilità, lo Stato membro che intende revocare la naturalizzazione: 1. debba astenersi pienamente o temporaneamente da tale revoca 2. o se l'altro Stato membro della precedente cittadinanza sia tenuto ad interpretare o anche a modificare il diritto nazionale in modo da evitare il verificarsi di una situazione di apolidia. La sentenza della Corte, pronunciata nel 2010, conclude che “la naturalizzazione, in quanto ottenuta con atti fraudolenti, poteva essere legittimamente revocata per un motivo di interesse pubblico, lasciando intendere che non ogni motivazione è legittima, solo perché confermato da uno Stato nell'ambito della sua competenza in materia, e può essere sottoposta a sindacato”. La Corte precisa che: l'apprezzamento del giudice del rinvio deve essere ispirato al principio di proporzionalità, ossia occorre verificare se la perdita della cittadinanza dell'Unione sia giustificata in rapporto alla gravità della violazione commessa dal interessato nonché alla possibilità per questi di recuperare la propria cittadinanza d'origine. Allo status di cittadino europeo, disciplinato dagli artt. 20 e ss. TFUE, viene collegata l’attribuzione automatica di alcuni diritti. La sentenza Zambrano, dimostra come “i diritti connessi alla cittadinanza Europea assumono una dimensione autonoma e svincolata dalle effettivo esercizio di una libertà economica prevista dal Trattato”. La Corte ha affermato che uno Stato membro non può rifiutare il permesso di soggiorno ad un cittadino di uno Stato terzo che abbia a proprio carico i figli in tenera età, in possesso della cittadinanza del medesimo Stato membro. L'art. 20 TFUE NON è automaticamente invocabile per contestare il diniego di un permesso di soggiorno ad un cittadino di uno Stato terzo, familiare di un cittadino europeo. I diritti del cittadino europeo sono invocabili solo quando l'individuo si trova in una situazione di rilevanza per l'unione e non puramente interna, poiché “la cittadinanza Europea non ha lo scopo di ampliare la sfera di applicazione del trattato anche a situazioni nazionali che non abbiano alcun collegamento con il diritto comunitario”. Lo status di cittadino europeo comporta che ogni ostacolo giuridico che possa condizionarlo o farlo venire meno, indipendentemente dalla materia trattata, non può sfuggire al sindacato della Corte in quanto rientra per sua natura e per le sue conseguenze nella sfera del diritto dell'Unione. I diritti connessi allo status di cittadino europeo sono enunciati all'articolo 20: elencazione non esaustiva, perché suscettibile di ampliamento e perché ai trattati enunciati si devono comunque aggiungere altri diritti tipici dei cittadini degli stati membri: ● Diritto di libera circolazione e di soggiorno nel territorio degli stati membri (art. 21 TFUE): l'esercizio di tale diritto si trova svincolato dallo svolgimento di un'attività economica ed è fatto discendere direttamente dallo status di cittadino europeo, con la possibilità di farlo valere in modo autonomo in qualsiasi contesto. membro e quindi di quella dell'Unione, purché sussistono stretti legami tra quei cittadini non comunitari e lo Stato membro che estende loro il diritto di voto. Può verificarsi anche il caso inverso, in cui ad alcuni cittadini non è riconosciuto dallo Stato di appartenenza il diritto di voto. ● Diritto di petizione: ogni cittadino dell'Unione ha diritto di presentare una petizione al Parlamento Europeo su qualsiasi materia che rientri nel campo di attività dell'Unione e che lo concerna direttamente. Tale diritto non è esclusivo dei cittadini europei, ma anche di ogni persona fisica o giuridica che risieda o abbia la sede sociale in uno Stato membro. ● Diritto di ricorrere al mediatore europeo: ogni cittadino dell'Unione ha diritto di rivolgere al mediatore una denuncia in cui lamenti di essere vittima di un caso di cattiva amministrazione nell'azione dell'Unione. I cittadini europei hanno diritto di rivolgersi alle istituzioni e agli organi consultivi dell'Unione e di ricevere una risposta, nonché il diritto di accesso ai documenti del Parlamento, del Consiglio, della commissione, al fine di consentire un controllo e una maggiore trasparenza dell'attività delle istituzioni. La trasparenza contribuisce a conferire alle istituzioni una maggiore legittimità agli occhi dei cittadini europei e ad accrescere la fiducia nelle stesse. ● Protezione diplomatica e consolare all'estero: ogni cittadino dell'Unione può godere della tutela da parte delle autorità diplomatiche e consolari di qualsiasi Stato membro nel territorio di un paese terzo nel quale lo Stato membro di cui ha la cittadinanza non è rappresentato. Tale diritto riguarda l'assistenza che le autorità diplomatiche e consolari forniscono ai propri cittadini in uno stato estero. CAP. II : Le istituzioni dell’UE SISTEMA ISTITUZIONALE Il quadro istituzionale Il quadro istituzionale dell'Unione Europea si è arricchito di molteplici istituzioni e altri organi; soprattutto appare più omogeneo, a seguito dell'abolizione della distinzione fra i tre pilastri. Sono dunque le medesime istituzioni Parlamento Europeo, Commissione, Consiglio e Corte di Giustizia, che operano nell'ambito dell'Unione Europea con il compito di promuovere i valori e perseguirne gli obiettivi nel rispetto: - degli interessi degli Stati membri (consiglio) - degli interessi propri dell'Unione (commissione) - degli interessi dei popoli degli Stati membri (Parlamento europeo) - nell’osservanza della legalità (Corte di Giustizia) in un rapporto dialettico di reciproca cooperazione. Consiglio e Commissione sono chiamati ad assicurare la coerenza tra le varie azioni necessarie per il perseguimento degli obiettivi dell'Unione. Sulle istituzioni ricade principalmente il compito di provvedere alla realizzazione e alla salvaguardia del processo di integrazione Europea, avvalendosi anche dell'opera di altri organi previsti per affiancare la loro azione. Al quadro istituzionale originario si è aggiunta, con il Trattato di Amsterdam, la corte dei conti. Infine, il trattato di Lisbona ha qualificato come istituzione anche la Banca Centrale Europea. Il rispetto dell'equilibrio istituzionale nell'esercizio delle proprie competenze da parte di ogni istituzione costituisce un principio fondamentale del sistema giuridico dell'Unione, che ha affermato a più riprese la Corte di Giustizia, la cui violazione può determinare l'illegittimità degli atti adottati. Altro principio fondamentale rilevato dalla corte è quello di leale cooperazione tra le istituzioni, che comporta un dovere di agevolare e non ostacolare l'esercizio delle competenze a ciascuna attribuite. Nella configurazione originale dei poteri: la “funzione legislativa” era affidata per l'essenziale all'organo formato dagli degli esecutivi nazionali = il consiglio la “funzione esecutiva” all'organo indipendente = la commissione Al parlamento = residuava solo un “potere di controllo politico”. Le comunità europee si distinguevano rispetto alle organizzazioni intergovernative di tipo classico per la previsione di un organo indipendente dagli Stati membri chiamato a perseguire l'interesse dell'Unione e di un organo direttamente rappresentativo delle istanze provenienti dalla base sociale, entrambi dotati di autonomi poteri. A ciò si aggiunga la creazione di un organo giurisdizionale dotato dei più ampi poteri di controllo sul corretto esercizio delle competenze comunitarie, accessibile anche ai soggetti privati. Ancora oggi risulta determinante il ruolo del consiglio e quindi la volontà degli Stati membri nel processo decisionale: ruolo assai attenuato e ridimensionato in quanto viene svolto con la partecipazione del Parlamento Europeo , in quanto il principio maggioritario ha sostituito il consenso unanime degli stati nelle votazioni in seno al consiglio. A completamento della struttura istituzionale, si aggiungono altri organi con competenze soltanto consultive, oltre ai nuovi organi creati per la realizzazione dell'Unione economica e monetaria, nonché la Banca europea per gli investimenti. Le competenze Le istituzioni esercitano le loro competenze in base al “principio di attribuzione”, ossia esclusivamente nei limiti di quelle espressamente conferite dai Trattati per realizzare gli obiettivi stabiliti e nel rispetto dei principi di sussidiarietà è di proporzionalità. Qualsiasi competenza non attribuita all'Unione resta, come principio generale, agli Stati membri. Sono gli stati membri a conferire all'Unione le competenze per conseguire i loro obiettivi comuni. La competenza dell'Unione si presenta come eccezione rispetto alle competenze nazionali e i suoi poteri hanno carattere derivato, non originari, riposando sul trasferimento ad essa, volontariamente effettuato, dagli Stati membri di porzioni del loro potere sovrano. La Corte di Giustizia è chiamata a vigilare che gli atti delle istituzioni si mantengono entro il corretto esercizio delle competenze attribuite. Una volta accertato che una determinata competenza è attribuita all'Unione resta da chiarire quali siano la sua natura e ampiezza, se cioè aspetti unicamente alle istituzioni europee esercitarla o se coesiste con le competenze degli Stati membri. Nel sistema vigente, anteriormente al Trattato di Lisbona, le competenze non erano indicate espressamente pertanto l'estensione e l'incisività delle competenze delle istituzioni risultavano variabili a seconda del campo d'azione e in funzione delle finalità perseguite, ovvero seguivano IL PRINCIPIO DI FUNZIONALITÀ. Ciò rendeva problematica e complessa la determinazione della ripartizione di competenze tra comunità e stati membri. Il Trattato di Lisbona ha conferito maggiore organicità e chiarezza alla materia. Esso ripartisce le competenze in 3 categorie e procede anche ad una loro elencazione: ● i settori di COMPETENZA ESCLUSIVA = le materie rientranti nella competenza esclusiva dell'unione sono indicate in modo tassativo: - unione doganale - definizione delle regole di concorrenza necessarie al funzionamento del mercato interno politica monetaria per gli Stati membri che abbiano adottato l'euro - conservazione delle risorse biologiche del mare nel quadro della politica comune della pesca, politica commerciale comune nella sua azione al fine di non vanificare l'effetto utile del trattato e delle libertà fondamentali da questo garantite. Criteri regolatori dell’esercizio delle competenze dell’Unione: I trattati istitutivi non contenevano alcun criterio generale per regolare l'esercizio delle competenze della comunità o per definire l'ampiezza e l'intensità dell'azione che essa poteva esercitare. Il “principio funzionale” e “la teoria dei poteri impliciti” apparivano insufficienti a tal fine, contribuendo a rendere più fluida e incerta ogni distinzione in proposito. Il Trattato di Maastricht ha introdotto alcuni criteri destinati a regolamentare l'esercizio delle competenze ai vari livelli, in seguito confermati e rafforzati dal Trattato di Lisbona. Sussidiarietà Nell'atto unico europeo il principio di sussidiarietà ha trovato per la prima volta esplicito riconoscimento nell'ambito della politica ambientale: “la comunità agisce nella misura in cui gli obiettivi possano essere meglio realizzati a livello comunitario piuttosto che a livello dei singoli stati membri”. In questo caso il principio assume una funzione essenzialmente positiva, tesa a giustificare l'intervento comunitario. Già il Parlamento Europeo sottolinea l'importanza del principio come guida politica per definire l'ambito di esercizio delle competenze comunitarie nei settori oggetto di competenze concorrenti e per legittimare il trasferimento di competenze dagli Stati membri alla comunità. Ma qui appariva già più netta l'esigenza di attribuire al principio di sussidiarietà la funzione prevalente di mantenere nella sfera degli Stati membri il maggior numero di competenze e di garantire la e specificità degli enti territoriali autonomi nell'ottica del maggiore decentramento possibile. Il principio ha trovato formale consacrazione nell'atto sull'Unione Europea ed ora è ripreso nel Trattato di Lisbona, ma con un chiaro significato restrittivo, ossia è configurato più come limite all'ampliamento delle competenze dell'Unione che come principio generale. Infatti, l'articolo 5 TUE recita: “In virtù del principio di sussidiarietà, nei settori che non sono di sua esclusiva competenza, l'unione interviene soltanto se e in quanto gli obiettivi dell'azione prevista non possono essere conseguiti in maniera sufficiente dagli Stati membri, ma possono essere conseguiti meglio a livello di unione”. Una duplice condizione viene richiesta per l'esercizio delle competenze da parte dell'unione: 1. occorre non solo dimostrare che la sua azione realizza meglio le finalità perseguite 2. anche che gli stati membri non siano in grado di farlo al loro livello, tanto interno che regionale o locale. Ne consegue che gli stati mantengono la competenza primaria, nelle materie oggetto di competenza concorrente, rispetto all'azione dell'Unione. La commissione aveva emanato una comunicazione nella quale tentava di conferire maggiore precisione al concetto di sussidiarietà e di eliminare la sua ambiguità. Ne risulta un accezione del principio in chiave riduttiva e restrittiva dell'azione dell'Unione, nel senso che “le competenze nazionali sono la regola e quelle dell'Unione l'eccezione”. Tuttavia questa impostazione suscitò preoccupazioni di segno opposto: sottolineando il rischio, per il futuro sviluppo dell'integrazione, di considerare il principio solo nella sua funzione negativa: esso avrebbe potuto prestarsi ad abusi da parte degli Stati per bloccare delle politiche comuni già assegnate alla competenza dell'Unione. Il principio di sussidiarietà, può ormai configurarsi sempre più decisamente come un principio costituzionale dell'integrazione europea: esso rappresenta il criterio fondamentale chiamato a regolare la ripartizione dell'esercizio delle competenze tra Unione e stati membri nei settori di competenza concorrente, escludendo che la prima posso intervenire in tali materie salvo quando si verifica la duplice condizione ricordata. Tale principio innesta una procedura di controllo sullo sviluppo delle competenze dell'Unione. La disciplina sovranazionale può riguardare anche solo alcuni aspetti della materia e deve anzi limitarsi a quelli per cui l'azione dell'Unione si dimostri necessaria. Gli altri aspetti permangono a pieno titolo nella sovranità degli Stati membri. operando soltanto nel quadro delle competenze concorrenti, ove gli stati non si spogliano dei loro poteri, se ne ricava che “il principio di sussidiarietà non può determinare alcuna attribuzione formale e definitiva di competenze nella materia interessata”. Se correttamente intesa, la sussidiarietà opera come criterio di smistamento o di distribuzione dell'esercizio di determinate competenze tra i vari livelli, in relazione alle esigenze concrete che si pongono con riferimento alla specifica azione o al singolo aspetto da disciplinare. Si tratta di un criterio sostanziale e dinamico che può certamente favorire lo sviluppo dell'azione dell'Unione Europea, ma può anche portare a un suo ridimensionamento o abbandono, riattribuendo la competenza ai livelli inferiori. Evidente è che non potrà parlarsi di violazione del principio di sussidiarietà quando l'Unione interviene in materie oggetto di competenza concorrente mediante atti che non risultano lesivi o invasivi delle competenze statali. Il problema centrale è rappresentato dall'individuazione di meccanismi di controllo che garantiscano una corretta applicazione del principio di sussidiarietà. Fino al Trattato di Lisbona l'unica garanzia azionabile restava il ricorso alla corte di giustizia da parte di uno Stato membro, di una istituzione o di un privato, abilitati ad impugnare l'atto normativo per eccesso di potere sostenendo il mancato rispetto dei limiti posti dal diritto dell'Unione all'esercizio del potere normativo, tra i quali rientra il principio di sussidiarietà. Oppure per violazione del diritto dell'Unione. si possono avanzare alcuni dubbi sulla possibilità che il ricorso alla Corte di Giustizia sia idoneo per garantire un efficace controllo sul rispetto del principio. In tal modo la corte, investita del compito di verificare se l'azione dell'Unione sia necessaria e idonea per una migliore realizzazione dell'obiettivo previsto, viene chiamata ad esprimere una valutazione di merito e di opportunità. Si tratta di un giudizio che non richiede solo un'indagine assai complessa e articolata, ma presuppone anche di trovarsi nell’improbabile condizione di padroneggiare e apprezzare un insieme di dati e di elementi collegati alle diversificate situazioni presenti nei vari ordinamenti giuridici degli Stati membri. Pertanto, pur non negandosi la natura giuridica del principio di sussidiarietà, inserito dal trattato tra i principi comuni, la sua applicazione comporta anche un'indagine che è fortemente dipendente da fattori o considerazioni d'ordine politico o di merito, più che strettamente di valore giuridico. I Il vizio derivante da una violazione del principio di sussidiarietà potrà essere sollevato: 1. se sussistono gli estremi per ricorrere ad esso 2. se la misura si collochi nell'ambito delle competenze esclusive o concorrenti 3. se non sia viziata da errore manifesto 4. se la scelta di intervenire a livello dell'Unione sia adeguatamente motivata e giustificata alla luce del fine perseguito e del principio di proporzionalità. Ad oggi nessun atto dell'Unione è stato annullato dalla corte per violazione del principio di sussidiarietà. Nei casi in cui è stata chiamata ad intervenire, essa ha manifestato una particolare prudenza nel verificare la sussistenza dei requisiti richiesti. Sull'applicazione dei principi di sussidiarietà e di proporzionalità si conferma l'impiego politico degli Stati membri affinché sia garantita la stretta osservanza di tali principi da parte delle Il principio di proporzionalità ha un campo di applicazione più vasto del principio di sussidiarietà: esso viene in considerazione a proposito di un atto già emanato, e ha lo scopo di valutare la sua adeguatezza e consentire il controllo di conformità con gli obiettivi del trattato; il principio di sussidiarietà, invece, incide nell'ambito delle sole competenze concorrenti, in un momento antecedente, come parametro di legittimità dell'azione avviata dall'Unione in ragione della sua necessità ed efficacia in luogo di quella degli Stati membri. Anche la scelta del tipo di atto da adottare deve rispondere al principio di proporzionalità: ciò comporta che “se l'unione può scegliere tra diversi mezzi d'azione nell'esercizio di una sua competenza, dovrà seguire quello che lascia maggiore libertà agli stati e ai singoli”. Proporzionalità e sussidiarietà si integrano a vicenda: l'esercizio di una competenza concorrente che non rispetti il principio di sussidiarietà è qualificabile come non congrua, indipendentemente da una corrispondenza tra i mezzi e il fine se questo può essere raggiunto dagli Stati membri con sufficiente efficacia, lasciando impregiudicate le loro libertà ed esigenze specifiche. La Corte di Giustizia ha esteso l'applicazione del principio anche agli Stati membri quando provvedono all'attuazione del diritto dell'Unione. È opportuno richiamare un altro principio che deve guidare l'azione dell'Unione Europea: il principio di prossimità secondo cui “le decisioni devono essere prese il più vicino possibile ai cittadini”. Risponde all'esigenza di avvicinare maggiormente i cittadini europei all'Unione. Il principio di prossimità concerne il concreto esercizio delle competenze dell'Unione, sia esclusive che condivise. Esso è rivolto a: - realizzare il decentramento nella gestione dell'azione dell'Unione - tutelare le specificità nazionali - rispettare l'identità e la diversità proprie di ciascuno Stato membro - valorizzare le peculiari esigenze interne che rilevano solo a livello delle amministrazioni nazionali, regionali o locali e che solo a quel livello possono essere garantite in modo soddisfacente e con la necessaria autonomia. Il principio di prossimità tende a completare il principio di sussidiarietà: “il criterio dell'efficacia dell'azione deve conciliarsi con il criterio della vicinanza ai cittadini”. Tali principi (sussidiarietà - proporzionalità - prossimità) possono costituire, per la Corte di Giustizia, validi parametri di riferimento quando si tratta di verificare se essi possano giustificare l'emanazione o il mantenimento di una normativa nazionale difforme rispetto alla disciplina dettata dall'Unione. LE ISTITUZIONI PARLAMENTO EUROPEO Il Parlamento Europeo è un'istituzione inizialmente dotata di minori poteri, ma certamente ritenuta la più significativa per uno sviluppo equilibrato dell'integrazione europea. Essa avrebbe dovuto costituire l'organo democratico dell'apparato istituzionale comunitario. Nel disegno istituzionale originario: il Parlamento Europeo NON deteneva il potere legislativo, ma si limitava a svolgere una funzione consultiva e ad esercitare poteri politici di controllo sull'operato delle altre istituzioni. Questa situazione ha posto l'esigenza di colmare il deficit democratico del sistema comunitario. In tale contesto si è innescato un processo di recupero di quella legittimità democratica carente nel disegno originario del sistema istituzionale comunitario, attraverso un rafforzamento del ruolo del parlamento nel procedimento normativo e nelle relazioni esterne e un ampliamento dei suoi poteri di controllo: processo che conosce ulteriori passi avanti con l'entrata in vigore del Trattato di Lisbona. Composizione Il suffragio universale ha conferito al Parlamento Europeo nuova autorevolezza, avvicinando questa istituzione ai cittadini degli stati membri e conferendole un carattere di maggiore rappresentatività. Originariamente, il Parlamento Europeo, era formato dai delegati designati dai parlamenti nazionali fra i propri membri. Come segnale di svolta, il Trattato di Maastricht enunciò che “i suoi componenti sono i rappresentanti dei popoli degli Stati membri nella comunità.” Ora il Trattato di Lisbona usa la nuova espressione “rappresentanti dei cittadini dell'Unione” a sottolineare il rapporto diretto che dovrebbe instaurarsi tra l'unione e i suoi cittadini. Gli stati non sono ancora riusciti a convenire sull'adozione di una procedura elettorale uniforme: pertanto ogni stato segue proprie regole circa i requisiti di eleggibilità, i modi di scrutinio e la presentazione delle candidature. Il “progetto di istituire una procedura elettorale uniforme”, adottato dal Parlamento Europeo nel 1993, non ha mai ricevuto l'approvazione degli Stati membri. In tal proposito, il Trattato di Lisbona, prevede che “il consiglio, deliberando all'unanimità su iniziativa del parlamento, previa approvazione di questi a maggioranza dei membri, stabilisce le disposizioni necessarie per consentire le elezioni dei membri del Parlamento a suffragio universale diretto secondo una procedura uniforme in tutti gli stati membri”. La decisione del consiglio n. 2002/772/Ce ha intanto stabilito che le elezioni si svolgono con il metodo proporzionale lasciando gli stati membri liberi di stabilire i requisiti per l'eleggibilità attiva e passiva, di disciplinare la procedura elettorale e di adottare lo scrutinio di lista o uninominale preferenziale, purché senza pregiudicare il carattere proporzionale del voto. Precisa che quando la legislazione di uno Stato membro sancisce la decadenza del mandato di un membro del Parlamento Europeo, il suo mandato scade in applicazione delle disposizioni nazionali; dunque il Parlamento Europeo non deve pronunciarsi in proposito. Viene stabilita l'incompatibilità della qualità di membro del Parlamento Europeo con il mandato di parlamentare Nazionale. I deputati sono eletti per 5 anni. il loro status è così regolato: in primo luogo, nessuna restrizione di carattere amministrativo o di altro genere può essere apportata alla libertà di movimento dei membri del Parlamento Europeo che si recano al luogo di riunione del Parlamento Europeo o ne ritornano. I deputati europei NON possono essere ricercati, detenuti o perseguiti a motivo delle opinioni o dei voti espressi nell'esercizio delle loro funzioni. Infine con riferimento a qualsiasi altro procedimento giudiziale, essi godono sul territorio del paese in cui sono eletti “delle medesime immunità riconosciute ai membri dei rispettivi parlamenti nazionali”; Sul territorio degli altri Stati membri, “dall'esenzione da ogni provvedimento di detenzione ed a ogni procedimento giudiziario”. L'immunità può essere revocata dallo stesso Parlamento Europeo a seguito di richiesta avanzata dalla autorità competente di uno Stato membro. La composizione del Parlamento ha rappresentato, nel tempo, uno dei nodi principali da risolvere. Tale composizione avrebbe dovuto essere rappresentativa dell'entità della popolazione di ciascuno stato. Il Trattato di Amsterdam stabilì che il numero dei membri del Parlamento non potesse essere comunque superiore a 700: ma nessuna regola era indicata per definire i criteri per la ripartizione dei seggi tra gli stati membri; si introduceva solo il principio che “in caso di modifiche della vigente composizione, il numero dei rappresentanti eletti in ciascuno Stato membro dovesse assicurare un'appropriata rappresentanza dei popoli degli Stati riuniti nella comunità”. Il Trattato di Nizza fissò il numero dei parlamentari europei in 732; infine il numero massimo dei parlamentari europei fu elevato a 736 a partire dall'inizio della legislatura 2009-2014. Il progetto dell'ordine del giorno è distribuito ai deputati assemblea, la quale adotterà l'ordine del giorno definitivo. Il Trattato prevede che il parlamento deliberi a maggioranza assoluta dei suffragi espressi; il numero legale è raggiunto quando si trovino nell'assemblea un terzo dei Deputati che lo compongono: le deliberazioni sono valide se il presidente non constata che il numero legale non è raggiunto. Maggioranze aggravate sono poi previste su specifiche materie. Il voto è personale e non è delegato: si manifesta per “alzata di mano oppure per appello nominale o a scrutinio segreto”. Potere di iniziativa Il Trattato sull'Unione Europea attribuisce il diritto di proposta normativa, nel quadro decisionale, solo alla commissione. MA il Parlamento, già da tempo, aveva insistito nell' attribuirsi un potere di iniziativa , almeno indiretto, prevedendo la possibilità di adottare risoluzioni con le quali ha chiesto alla commissione di procedere all'adozione di una proposta normativa relativamente a svariate materie rientranti nell'ambito delle attività della comunità. A partire dal Trattato di Maastricht un siffatto potere di iniziativa è consacrato nel testo dei trattati: l'articolo 225 TFUE riconosce al parlamento la “facoltà di chiedere alla commissione di presentare adeguate proposte legislative su ogni questione per la quale ritenga necessaria l'adozione di un atto dell'Unione ai fini dell'attuazione dei trattati”. Il Parlamento può anche fissare un termine per la presentazione della proposta da parte della commissione. A tal proposito rimane aperta la questione “se il Parlamento possa adire la corte di giustizia in carenza nel caso che la commissione non presenti la proposta richiesta”: qualora la commissione non presenti una proposta dando seguito alla richiesta del parlamento, essa deve comunicarne le motivazioni al parlamento. Un reale potere di iniziativa legislativa del Parlamento è peraltro previsto in casi limitati: ad esempio, “quando si tratta di elaborare un progetto volto a stabilire le disposizioni per permettere l'elezione dei suoi membri a suffragio universale secondo una procedura uniforme in tutti gli stati membri.” Su un piano più generale, il Parlamento, su richiesta di un gruppo politico o di almeno 40 deputati, può aprire una discussione straordinaria su un argomento di notevole rilevanza connesso alle politiche dell'Unione Europea che si conclude senza l'approvazione di una risoluzione. Ogni deputato può presentare una proposta di risoluzione su un argomento rientrante nell'ambito delle attività dell'Unione; La commissione competente decide sulla procedura e può decidere di elaborare una risoluzione. Pur sprovviste di qualsiasi efficacia giuridica, tali risoluzioni possono costituire un mezzo non trascurabile per indirizzare l'azione dell'Unione o per sollecitare la commissione ad occuparsi di certi problemi. Poteri di controllo Il controllo parlamentare trova la sua legittimazione già nei trattati istitutivi, dove operava nei confronti della sola commissione prevedendo: - il dovere di questa di rispondere alle interrogazioni parlamentari - di sottoporre annualmente al parlamento un rapporto della sua attività e contemplando la mozione di censura nei suoi confronti. Ma la sua funzione di controllo si è progressivamente estesa. La commissione è tenuta a presentare: - annualmente al parlamento una relazione generale sull'attività dell'Unione che pubblica almeno un mese prima dell'apertura della sessione del Parlamento: essa costituisce l'occasione per un esame critico retrospettivo della sua azione. - Presenta inoltre un rapporto annuale sulla applicazione del diritto dell'Unione negli Stati membri che viene trasmesso alle commissioni interne interessate. - Infine presenta un programma di lavoro per l'anno successivo sul quale il Parlamento si pronuncia con una risoluzione ove esplicita le proprie valutazioni. Il Parlamento può procedere alla verifica della base giuridica delle proposte della commissione e di ogni altro documento legislativo e qualora ne contesti la legittimità : il presidente la deferisce alla commissione competente che svolgerà una relazione contenente gli eventuali emendamenti e un progetto di risoluzione legislativa; ugualmente il Parlamento verifica la compatibilità finanziaria delle proposte della commissione e degli altri atti di carattere legislativo. Il controllo del parlamento sì è poi esteso anche al consiglio che presenta, tramite il suo presidente, il programma di lavoro ogni 6 mesi all'inizio di ciascuna presidenza e sul quale si ha un dibattito che si conclude con una votazione. Il consiglio è tenuto altresì a presentare una relazione concernente l'attività svolta al termine dei sei mesi di presidenza. Anche il Consiglio Europeo presenta al parlamento una relazione dopo ciascuna delle sue riunioni dando luogo a un dibattito politico. Altro efficace strumento di controllo politico sono le interrogazioni alla commissione, ed anche il Consiglio Europeo e il consiglio possono essere uditi secondo le modalità fissate dal loro regolamento interno. Ciascun autore dell'interrogazione dispone di 5 minuti per svolgerla e un membro dell'istituzione risponde. Per concludere la discussione sull'interrogazione, una commissione, un gruppo politico possono presentare una proposta di risoluzione da sottoporre a votazione. Ciascun deputato può rivolgere interrogazioni con richiesta di risposta scritta al Presidente del Consiglio Europeo, al consiglio e alla commissione o dell'alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza e anche alla BCE. Le interrogazioni prioritarie devono ricevere una risposta entro tre settimane, le altre entro sei settimane. Altro istituto ampiamente utilizzato è quello del tempo delle interrogazioni: un periodo di tempo è riservato, in ciascun periodo di sessione, alle interrogazioni che un deputato può rivolgere alla commissione o al consiglio su questioni circoscritte e specifiche con brevi interventi e brevi risposte immediate. Censura: Lo strumento di controllo politico più radicale è la mozione di censura che il parlamento può adottare nei confronti della commissione. Tale potere ha carattere eccezionale e presenta scarse possibilità di utilizzazione concreta sia per le gravi conseguenze che comporta, sia perché non era ancora accompagnato da un corrispondente potere del Parlamento di incidere sulla designazione della nuova commissione. La censura rappresenta un'arma di dissuasione più per la sua semplice previsione che per la sua effettiva possibilità di utilizzazione. Sulla mozione di censura il Parlamento si pronuncia a scrutinio pubblico ma non prima che siano trascorsi 3 giorni dal suo deposito. Il regolamento interno prevede ulteriori garanzie: essa deve essere presentata al Presidente del Parlamento da almeno un decimo dei Deputati; la discussione può avvenire solo dopo decorse almeno 24 ore dalla comunicazione ai deputati e il voto per appello nominale non prima di 48 ore dall'apertura del dibattito: - Se approvata provoca la “dimissione collettiva di tutti i membri della commissione, anche qualora riguardi l'operato di un solo commissario”. Anche l'alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri si dimette dalle funzioni che esercita in seno alla commissione potendo continuare però a svolgere le sue funzioni di Presidenza del Consiglio Affari Esteri e nell'ambito della politica estera e di sicurezza comune. - Se sfiduciata, occorrerà procedere alla nomina di una nuova commissione per la restante durata del mandato. La corte ha avuto occasione di porre al parlamento una serie di quesiti e delle sue risposte essa ha tenuto debito conto. Il rappresentante del Parlamento è stato anche invitato a partecipare alla fase orale del procedimento. Dunque, anche il Parlamento quando ne sia il caso, può presentare memorie e osservazioni scritte qualora si autore dell'atto di cui si contesta la validità o si chiede l'interpretazione. Il riconoscimento del diritto a presentare direttamente un ricorso in carenza è stato riconosciuto dalla corte. La corte, successivamente, ammette anche il diritto del parlamento a promuovere un ricorso in annullamento per tutelare le proprie prerogative purché si fondi su motivazioni attinenti alla violazione di queste ultime. Si trattava però di un riconoscimento parziale in quanto tale ammissibilità era subordinata alla dimostrazione di un interesse ad agire e tale diritto di azione non si estendeva al rispetto della legalità comunitaria in generale ma era limitato al solo rispetto delle sue prerogative parlamentari. La nuova formulazione dell'articolo 263 TFUE sancisce “la piena legittimazione del parlamento a promuovere le azioni di annullamento senza più dover dimostrare l'esigenza di dover salvaguardare le proprie prerogative”. Resta invece ancora esclusa la legittimazione del parlamento a promuovere ricorsi per inadempimento nei confronti degli Stati membri che abbiano violato gli obblighi loro imposti dal diritto dell'Unione, trattandosi di una competenza attribuita in via esclusiva alla commissione. La volontà del parlamento di assumere un suo ruolo più incisivo nella procedura normativa e contenziosa si è sostanziata con la creazione di un'apposita commissione interna per gli affari giuridici competente a verificare la correttezza della base giuridica delle proposte normative e il rispetto del principio di sussidiarietà. Ad essa è riconosciuto anche il compito di curare la tutela giurisdizionale dei diritti e delle prerogative del Parlamento. Poteri in materia di bilancio In materia di bilancio il parlamento esercita un ruolo determinante, in quanto, trattando da una posizione di parità con il consiglio, le due autorità di bilancio, riesce a far pesare la sua volontà in un settore vitale per tutta l'attività dell'Unione. La sua competenza rimane solo consultiva per quanto riguarda la determinazione del sistema delle risorse proprie dell'Unione che sono deliberate con decisione unanime dal consiglio secondo una procedura legislativa speciale. La procedura di bilancio ha subito un'evoluzione profonda in relazione alla modifica del regime finanziario e al riconoscimento di maggiori poteri al parlamento in questa materia. Alcune importanti innovazioni nella procedura di bilancio sono state introdotte con il Trattato di Lussemburgo e poi con il Trattato di Bruxelles, i quali hanno accresciuto i poteri del Parlamento e gli hanno attribuito la competenza per l'adozione finale del bilancio. In occasione della negoziazione di quest'ultimo, fu emanata la prima dichiarazione comune delle tre istituzioni che introduceva la procedura di concertazione. Successivamente la dichiarazione comune delle tre istituzioni, consiglio - commissione - Parlamento, assicurava un migliore svolgimento della procedura di bilancio, in particolare regolando la distinzione tra spese obbligatorie e non obbligatorie. L'accordo interistituzionale sulla disciplina di bilancio precisava che il margine di aumento delle spese non obbligatorie era consentito al parlamento. Questo complesso di provvedimenti ha finito per conferire al parlamento un circoscritto potere di codecisione. Finché ORA, con il Trattato di Lisbona, il Parlamento Europeo assume un ruolo determinante per l'approvazione del bilancio dell'Unione, “adottato secondo una procedura legislativa speciale ed essendo stata eliminata la distinzione tra spese obbligatorie e non obbligatorie”. Partecipazione al processo di formazione delle norme dell’unione I trattati istitutivi includevano sin dall'origine il Parlamento nel procedimento normativo comunitario. Riservavano ad esso un ruolo marginale, cioè solo consultivo e non deliberativo. Il dibattito sviluppatosi in merito mirava alla rivalutazione dei suoi poteri nel quadro delle riforme istituzionali imponendosi a partire dal “progetto di Unione Europea approvato dal Parlamento Europeo nel 1984” noto come progetto Spinelli. Tale processo è culminato con l'introduzione delle procedure di cooperazione del parere conforme nonché della nuova procedura di codecisione stabilita dal Trattato di Maastricht: il Parlamento ha visto così attribuirsi poteri certamente più incisivi nel procedimento normativo comunitario, ma non generali. Il Trattato di Lisbona provvede ora a sancire definitivamente un generale ruolo fondamentale e paritario del parlamento nel procedimento normativo, stabilendo che esso esercita congiuntamente al consiglio la funzione legislativa e la funzione di bilancio. Permane l'esclusione del parlamento dalla fase dell'iniziativa legislativa, salvo quando si tratti di elaborare un progetto volto a stabilire le disposizioni necessarie per permettere l'elezione dei suoi membri a suffragio universale o di stabilire lo statuto e le condizioni per l'esercizio delle funzioni dei suoi membri è fatta salva la sua facoltà di richiedere alla commissione di presentare una proposta normativa. Nel quadro della politica estera e di sicurezza comune, il Parlamento continua a vedersi attribuito un ruolo solo marginale di semplice consultazione. Competenze in materia internazionale Il Trattato di Roma attribuiva alla comunità il potere di concludere accordi internazionali, nei settori di competenza, secondo una procedura che vedeva coinvolto anche il Parlamento. La consultazione del parlamento avveniva dopo la firma del progetto di accordo e prima della conclusione definitiva, in pratica privandolo di ogni potere reale di incidere sui negoziati. Tuttavia Il Parlamento si è sforzato di accrescere la sua influenza, così nel caso di consultazione obbligatoria: Aveva ottenuto di essere informato regolarmente dalla commissione sull'andamento dei negoziati e di essere consultato prima della firma dell'accordo = procedura Luns Nonché di essere consultato anche quando il Trattato non richiedeva il suo parere, come nel caso degli accordi commerciali = procedura Westerterp. Tali procedure furono codificate nel regolamento interno del parlamento anche per gli accordi in settori specifici, con l'ulteriore precisazione che esso potesse chiedere al consiglio di essere consultato anche sul mandato a negoziare che questi intendesse affidare alla commissione prima che iniziassero i negoziati per la conclusione, il rinnovo o la modifica dell'accordo. La commissione si era dichiarata disposta a informare il Parlamento sulla sostanza dei negoziati che intendeva condurre prima di formulare la raccomandazione al consiglio. L'atto unico ha introdotto la procedura del parere conforme del parlamento per gli accordi di associazione e per le domande di adesione. Il Trattato di Lisbona prevede ora la previa approvazione del Parlamento Europeo per gli accordi di associazione di adesione oltre che per altre ipotesi. Negli altri casi è prevista la consultazione obbligatoria del parlamento prima della conclusione degli accordi internazionali. Viene riconosciuta al parlamento la facoltà di chiedere alla corte un parere riguardo la compatibilità di un accordo internazionale con le disposizioni del trattato. Nel settore relativo alla politica estera e di sicurezza comune: è prevista la consultazione del parlamento e la sua informazione periodica da parte dell'Alto rappresentante per gli affari esteri e la politica di sicurezza sui principali aspetti e sulle scelte fondamentali. CONSIGLIO EUROPEO Il Consiglio Europeo decide seguendo le stesse regole previste per la votazione in seno al Consiglio dell'Unione, nelle ipotesi previste dai trattati. Il Presidente del Consiglio Europeo e il presidente della commissione non partecipano al voto, trovando così conferma il carattere preminentemente intergovernativo dell'organo. Viene, infine, attribuito al Consiglio Europeo, il potere di adottare all'unanimità varie decisioni. Gli atti che il Consiglio Europeo adotta sono ora soggetti a un controllo di legittimità da parte della Corte di Giustizia quando destinati a produrre effetti giuridici nei confronti di terzi. L'estensione del principio maggioritario anche alle deliberazioni del Consiglio Europeo costituisce una novità di grande rilievo con riguardo a un organo considerato fino ad ora esterno al quadro istituzionale dell'Unione, svincolato dalle procedure codificate nei trattati e con funzioni solo di orientamento delle politiche generali e di sviluppo dell'Unione. In definitiva il Consiglio Europeo sembra destinato ad accentuare il suo ruolo nel quadro e nel sistema dell'Unione Europea. CONSIGLIO Il consiglio è l'unica istituzione composta da rappresentanti degli Stati membri, organo tipicamente intergovernativo, e che è diretta espressione dei loro interessi a livello dell'Unione Europea. Esso è investito della Funzione legislativa generale, che esercita congiuntamente al Parlamento Europeo, mediante l'adozione di regolamenti, direttive, decisioni ed esercita la funzione di bilancio; detiene per l'essenziale il potere decisionale. Inoltre il consiglio ha il compito di assicurare il coordinamento delle politiche generali alle condizioni stabilite nei trattati. Il consiglio esprime una volontà propria, distinta da quella degli Stati che lo compongono. Infatti, uno stato può impugnare una decisione del consiglio anche se il suo rappresentante abbia votato a favore. Il consiglio si comporta come una normale conferenza diplomatica in cui i rappresentanti degli Stati adottano deliberazioni in tale veste e non in qualità di membri del Consiglio: tali atti sono frutto di un coordinamento della volontà degli Stati sovrani e non trovano una base giuridica nei trattati. Rimane salva la competenza della Corte ad accertare la vera natura dell'atto. Essi seguono la pura logica della cooperazione intergovernativa, ma presentano la caratteristica di conservare uno stretto legame con il sistema istituzionale. Composizione - funzionamento L'articolo 16 TUE stabilisce che il “consiglio è formato da un rappresentante di ciascuno Stato membro a livello ministeriale abilitato a impegnare il governo di detto stato”. La modifica apportata già dal Trattato di Maastricht al testo originario, “il consiglio è composto dai rappresentanti degli Stati membri; ogni governo vi delega un suo membro”, è stata voluta al fine di consentire la partecipazione di persone che non facciano parte del governo centrale dello Stato. La formazione del consiglio è variabile essendo composto dai ministri di volta in volta competenti per le materie iscritte all'ordine del giorno. Il Trattato di Lisbona prevede le seguenti formazioni: - il consiglio affari generali che prepara le riunioni del Consiglio europeo e ne assicura il seguito; - il consiglio affari esteri che lavora l'azione esterna dell'Unione secondo le linee strategiche definite dal Consiglio Europeo. - Altre formazioni sono stabilite dal Consiglio Europeo a maggioranza qualificata: tra queste assume rilievo il consiglio degli affari economici e finanziari che si che si riunisce per trattare del Coordinamento delle politiche economiche degli Stati membri. La presidenza è esercitata a turno da ciascuno Stato membro per 6 mesi. Secondo il Trattato di Lisbona, la “presidenza delle formazioni del consiglio” è determinata dal Consiglio Europeo con votazione a maggioranza qualificata, secondo un sistema di rotazione paritaria alle condizioni che saranno stabilite da una decisione del Consiglio Europeo adottata a maggioranza qualificata. Viene individuato un gruppo di 3 stati membri per un periodo di 18 mesi: ciascun membro di tale gruppo esercita, a turno, la presidenza delle formazioni del consiglio per 6 mesi, gli altri due membri lo assistono nello svolgimento dei suoi compiti. Il consiglio si riunisce dietro convocazione del presidente, su iniziativa sua o di uno Stato membro o della commissione. Le sedute sono pubbliche quando delibera su un progetto di atto legislativo, mentre l'obbligo della pubblicità non vige quando svolge attività non legislative. Di conseguenza ciascuna sessione del consiglio è divisa in due parti, destinate rispettivamente alle deliberazioni su atti legislativi e alle attività non legislative. Il presidente stabilisce l'ordine del giorno provvisorio di ogni sessione: esso comprende gli argomenti per i quali è stata chiesta l'iscrizione dei membri del consiglio o dalla Commissione. L'ordine del giorno è diviso in due parti, A e B: A = sono iscritti nella prima i punti sui quali l'approvazione del consiglio può avvenire senza dibattito; ma il punto può essere ritirato dall'ordine del giorno se è un dibattito si rivela necessario o su richiesta di un membro del consiglio o della commissione. B = i punti inseriti nella parte B esigono un dibattito. Il segretariato generale assiste l'istituzione nell'esercizio delle sue funzioni, sorveglia la correttezza della procedura seguita per l'adozione delle decisioni, assicura la continuità e il coordinamento dei lavori. Procedura di voto Il consiglio procede alla votazione su iniziativa del presidente. Le decisioni relative ad affari urgenti possono essere adottate, al di fuori di una riunione, a mezzo di votazione espressa per iscritto (procedura scritta normale) se il consiglio decide all'unanimità in tal senso; Occorre anche il consenso della commissione quando il voto verte su una materia in cui il consiglio delibera su iniziativa della commissione. L'inosservanza del unanimità comporta l'annullamento dell'atto per violazione delle forme sostanziali. Una procedura scritta semplificata o procedura di approvazione tacita può essere utilizzata per “adottare il testo di una risposta ad un'interrogazione scritta - per nominare i membri del comitato economico e sociale e del comitato delle regioni”: la proposta è ritenuta adottata alla scadenza del termine fissato dalla presidenza in funzione dell'urgenza. Per la validità delle deliberazioni NON è precisato alcun quorum, se non la presenza della maggioranza dei membri del consiglio aventi diritto al voto: le astensioni dei membri del consiglio non ostano all'adozione delle deliberazioni; l'assenza di un membro è da ritenersi, che blocchi l'adozione della deliberazione, quando è richiesta l'unanimità. I sistemi di votazione previsti dai trattati sono 3 : ● MAGGIORANZA SEMPLICE = ormai trova scarsa applicazione ed essa è calcolata sul numero dei membri che compongono il consiglio, e non sui presenti; ● L'UNANIMITÀ = si riferisce ai votanti. Le astensioni dei membri presenti o rappresentati non costituiscono ostacolo all'adozione delle deliberazioni. La votazione all'unanimità ha trovato generale applicazione a partire dal Compromesso di Lussemburgo quando i membri del consiglio convennero che, in tutte le ipotesi in cui fossero coinvolti, vi fossero importanti interessi nazionali di uno o più stati membri e che la discussione 6. il comitato per la protezione sociale a carattere consultivo : promuove la cooperazione tra gli stati membri e la commissione in materia di protezione sociale. Comitato dei rappresentanti permanenti (COREPER) Un ruolo divenuto essenziale nel funzionamento del consiglio è svolto dal comitato dei rappresentanti permanenti degli stati membri (COREPER). Previsto dall'articolo 240 TFUE è composto dai rappresentanti permanenti dei governi degli Stati membri aventi rango di ambasciatori. Si tratta di un organo intergovernativo, in cui i membri agiscono su istruzione dei rispettivi governi. Poiché essi operano collegialmente, il comitato si colloca all'interno della struttura istituzionale dell'Unione. Il suo compito principale è quello di preparare i lavori del consiglio e di eseguire i mandati che quest'ultimo gli affida. Questo organo acquistato un posto di primo piano nel processo decisionale, svolgendo una funzione di mediazione tra le posizioni dei governi e rappresentando una sede di dialogo e di confronto. Esso dirige e controlla i lavori dei numerosi gruppi di lavoro, formati da esperti dei governi nazionali, che operano il consiglio. Il comitato dei rappresentanti permanenti è presieduto dal rappresentante permanente dello Stato che esercita la Presidenza del Consiglio. Il presidente assicura i collegamenti con la commissione e funge da portavoce del comitato in seno al consiglio. Il COREPER si riunisce a due livelli: 1. gli ambasciatori rappresentanti permanenti per trattare gli affari di rilievo politico, economico e finanziario; 2. a livello di rappresentanti permanenti aggiunti per trattare gli affari correnti, di procedura o essenzialmente tecnici. I due livelli operano in modo indipendente. La distribuzione degli affari fra i due livelli è operata dal Presidente. Alle riunioni partecipa anche il segretario generale del consiglio che assicura la continuità dei lavori di fronte a una presidenza che cambia ogni 6 mesi. La proposta della commissione viene trasmessa dal Consiglio direttamente al COREPER per il suo esame. Terminata questa fase di preparazione, il COREPER passa alla sua discussione sulla base del rapporto presentato dal gruppo di lavoro. Questo negoziato si svolge alla presenza di rappresentanti della commissione. Se si raggiunge l'unanimità dei consensi, la questione viene iscritta al punto A dell'ordine del giorno del consiglio, il quale approva la decisione senza passare dalla discussione. L'intervento del consiglio ha solo valore formale. Se qualche membro del consiglio, la stessa Commissione, sollevano obiezioni, la questione viene inviata al COREPER. Il COREPER prepara un rapporto per il consiglio con l'indicazione di tutti gli elementi utili per la discussione e la questione viene iscritta al punto B dell'ordine del giorno del consiglio. In sostanza il COREPER è diventato l'interlocutore principale e diretto della commissione. COMMISSIONE Le istituzioni che maggiormente sono state coinvolte dal dibattito sulle forme istituzionali sono il Parlamento Europeo e la Commissione: quest'ultima rappresenta il perno del sistema dell'Unione essendo chiamata a esprimere il principio di sovranazionalità e a rappresentare e garantire l'interesse generale dell'Unione in piena indipendenza rispetto sia gli stati membri, sia ad ogni altra istituzione. Alla commissione spetta il compito di sorvegliare sulla corretta applicazione del diritto dell'Unione, di promuovere l'interesse dell'Unione. La commissione inoltre assicura la rappresentanza esterna dell'Unione, da esecuzione al bilancio, esercita funzioni di coordinamento, di esecuzione e gestione. Composizione - nomina I membri della commissione sono scelti fra i cittadini degli stati membri: uno per ciascuno stato, in base alla loro competenza generale e al loro impegno europeo e devono offrire garanzie di indipendenza. Originariamente era previsto che i suoi membri fossero in numero di 9: secondo una regola non scritta, i grandi stati nominavano due membri ciascuno. A seguito dei successivi allargamenti della Comunità Europea, il numero dei componenti la commissione è variato nel tempo stabilendosi che: “comprendesse un solo cittadino di ciascuno Stato membro”. La composizione della Commissione è stata ed è tuttora uno dei punti più delicati in discussione. Tra le varie proposte avanzate vi è stata quella di eliminare il secondo membro attribuito ai grandi stati, oppure di ridurre il numero dei suoi componenti. La seconda soluzione era quella maggiormente conforme al carattere proprio della commissione ma è apparsa subito difficilmente perseguibile, essendo improbabile che alcuni stati rinunciassero a designare il loro commissario. Il Trattato di Lisbona prevede una riduzione della sua composizione: ha disposto che, a decorrere dal 1 novembre 2014, essa sarà composta da un numero di membri, compreso il presidente e l'alto rappresentante dell'Unione, corrispondente ai due terzi del numero degli Stati membri, a meno che il consiglio non decida di modificare tale numero. I componenti della commissione saranno scelti in base ad un sistema di rotazione, secondo un principio di assoluta parità tra gli stati membri e facendo in modo che: - il numero totale dei mandati di cittadini di uno Stato non sia mai superiore di una unità al numero dei mandati di cittadini in un altro stato; - ciascuna delle commissioni successive sia costituita in modo da riflettere anche la molteplicità demografica e geografica degli Stati membri. Si indica la soluzione per tentare di denazionalizzare la composizione della Commissione e di eliminare il rischio di una dimensione intergovernativa dell'istituzione che resta altrimenti alto. Tale prospettiva sembra allontanarsi: infatti il Consiglio Europeo di Bruxelles ha convenuto che sarà adottata una decisione affinché la commissione continua a comprendere un cittadino di ciascuno Stato membro. Nomina: Anche la procedura di nomina della commissione ha subito nel tempo rilevanti variazioni. Originariamente, i membri erano nominati unicamente dai governi degli Stati membri di comune accordo. Successivamente nella prassi, dietro pressione del parlamento, era intervenuto il voto di fiducia con la discussione del programma. Il Trattato di Maastricht ufficializzava l'associazione del parlamento alla procedura di nomina. Questa procedura conferiva maggiore efficacia e consistenza al controllo politico che il Parlamento è chiamato ad esercitare nei confronti della commissione. Il Trattato di Amsterdam ha variato la procedura: la novità era rappresentata dal fatto che il controllo politico del Parlamento Europeo su tale istituzione era rinforzato da un meccanismo di doppia investitura: Infatti il Parlamento era chiamato ad approvare la designazione del presidente fatta di comune accordo tra gli stati membri. La designazione degli altri Stati membri della commissione era fatta dai governi di comune accordo con il presidente designato; questa era soggetta a un voto di approvazione da parte del parlamento, previa audizione dei singoli componenti. L'art. 17 TUE prevede la seguente procedura: Il Consiglio Europeo, deliberando a maggioranza qualificata, propone al Parlamento Europeo un candidato alla carica di presidente della commissione, dopo aver effettuato le appropriate consultazioni e tenuto conto delle elezioni del Parlamento Europeo. Questa ultima precisazione introduce un nuovo elemento di valutazione d'ordine politico nella designazione del candidato formazione degli atti legislativi dell'Unione, durante la quale è in grado di esercitare la sua costante influenza. L'articolo 17 TUE stabilisce in linea generale che: “un atto legislativo dell'Unione può essere adottato solo su proposta della commissione”. L'articolo 293 TFUE attribuisce particolare valore alla proposta della commissione stabilendo che “il consiglio non può emanare un atto che costituisca suo emendamento se non all'unanimità, mentre è sufficiente la maggioranza prevista per approvare la proposta”. Questa disposizione ha lo scopo di rafforzare l'interesse dell'Unione manifestato nella proposta, impedendo che una maggioranza di stati possa far prevalere i propri interessi sulla posizione della commissione. Finché il consiglio non delibera, la commissione può sempre modificare la sua proposta iniziale. La proposta è il modo normale attraverso cui si esprime l'iniziativa normativa, MA questa può anche consistere in una raccomandazione. Nell’elaborazione delle sue proposte la commissione si fa coadiuvare da alcuni comitati composti da esperti nazionali o indipendenti. La proposta deve contenere l'indicazione della base giuridica su cui si fonda. Dopo l'introduzione del principio di sussidiarietà, la commissione è tenuta a giustificare sempre la conformità della sua proposta tale principio. Il carattere esclusivo del potere di iniziativa normativa della commissione si trova scalfito: atti legislativi possono essere adottati anche su iniziativa di un gruppo di stati membri. Inoltre, il Parlamento Europeo può chiedere alla commissione di presentare adeguate proposte su questioni per le quali reputano l’elaborazione di un atto dell'Unione. La commissione è sempre tenuta a giustificare il motivo per il quale ritenga di non dare seguito alla richiesta. Infine, nell'ambito del principio di democrazia rappresentativa, si contenta la possibilità che “i cittadini dell'Unione possano prendere l'iniziativa di chiedere alla commissione di presentare una proposta su materie per le quali ritengono necessario un atto giuridico dell'Unione ai fini dell'attuazione dei trattato”: la cosiddetta iniziativa dei cittadini europei. Le procedure e le condizioni necessarie per la presentazione di tale iniziativa popolare sono demandate dai successivi regolamenti adottati dal Parlamento Europeo e dal Consiglio secondo la procedura legislativa ordinaria. L'iniziativa deve provenire da almeno un milione di cittadini appartenenti ad almeno un quarto degli Stati membri. La proposta di iniziativa da parte una comitato di organizzatori viene registrata dalla Commissione, qualora essa non la ritenga manifestamente estranea alle competenze dell'Unione. La commissione può rifiutare la registrazione se la proposta è contraria ai valori dell'Unione. La decisione di rifiuto della registrazione può essere oggetto di impugnazione dinanzi al giudice dell'Unione. Entro 12 mesi, il comitato proponente raccoglie le dichiarazioni di sostegno dei firmatari. Successivamente la commissione, entro tre mesi, le esamina, esprime il suo parere in proposito e indica l'eventuale azione che intende adottare e le motivazioni che la inducono o meno ad agire. Ugualmente può riscontrarsi un ridimensionamento del ruolo della commissione nel processo decisionale. La commissione si trova emarginata di fronte alla ricerca di un accordo che intercorre direttamente tra consiglio e parlamento nella procedura legislativa ordinaria, la quale diviene procedura normale generale per l'adozione degli atti normativi. Infine non si può ignorare la prassi seguita dalla Commissione di prenegoziare le sue proposte con il consiglio attraverso trattative dirette o attraverso lo strumento delle comunicazioni al fine di sondare in via preliminare gli orientamenti di quest'ultimo. Nell'ambito della politica estera, il ruolo della commissione si trova ancora più attenuato: essa può solo appoggiare l'alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri nel sottoporre al consiglio questioni relative alla politica estera. Alla commissione, inoltre, viene attribuita una funzione consultiva: nel caso della cooperazione rafforzata nell'ambito della politica estera, la commissione è tenuta esprimere un parere al consiglio. Potere decisionale Un limitato, ma incisivo, potere autonomo di decisione è riconosciuto alla commissione, in particolare, nell'ambito della politica della concorrenza. Il Trattato di Lisbona prevede che la commissione possa adottare atti a portata generale su delega di un atto legislativo, al fine di integrare o modificare determinati elementi non essenziali dell'atto stesso. Potere di esecuzione Nella disciplina precedente all'entrata in vigore del Trattato di Lisbona, era previsto che “il consiglio potesse delegare alla commissione la competenza per l'esecuzione degli atti normativi da esso adottati”. La commissione non era titolare di un potere autonomo di esecuzione. Si dava la facoltà al consiglio di fissare le modalità a cui subordinare l'esercizio del potere delegato: in tale ottica esso ha introdotto la procedura dei comitati chiamati ad affiancare e controllare la commissione nell'esercizio dei poteri attribuiti. La Corte di Giustizia ha riconosciuto la legittimità di tale procedura. Le modalità cui subordinare l'esercizio delle competenze delegate sono: La prima, procedura consultiva = prevedeva l'intervento di un comitato di rappresentanti degli Stati membri a carattere puramente consultivo: la commissione sottoponeva le misure da prendere al Comitato, che emanava un parere nel termine fissato dal presidente e del quale essa doveva tenere la massima considerazione. La seconda e terza procedura, procedura di gestione e procedura di regolamentazione = prevedevano di affiancare alla commissione dei comitati e comportanti ciascuna due varianti a seconda che la commissione si fosse confermata o meno al parere espresso dai comitati: Nella procedura di gestione : la decisione della commissione aveva carattere operativo. La procedura di regolamentazione era più severa per la commissione: in caso di parere negativo del comitato, la commissione sottoponeva immediatamente al consiglio una proposta in merito alle misure da prendere e ne informava il Parlamento. Il consiglio poteva deliberare sulla proposta, a maggioranza qualificata, entro il termine massimo di 3 mesi. Il Parlamento ha manifestato una netta opposizione al sistema dei comitati di gestione e soprattutto di regolamentazione tanto da a proporre un ricorso in annullamento contro la decisione dei comitati. Il risultato di queste procedure è quello di riattribuire la competenza di esecuzione al consiglio stesso. In questa ottica di rafforzamento del ruolo del Parlamento Europeo, una recente decisione del Consiglio del 2006 ha istituito un altro tipo di modalità di esecuzione che prevedeva l'intervento di un comitato, procedura di regolamentazione con controllo, e che trovava applicazione rispetto alle misure di esecuzione di portata generale intese a modificare elementi non essenziali di atti adottati con la procedura di codecisione. Essa consentiva al parlamento di bloccare le misure predisposte della commissione nel caso in cui si riteneva che eccedessero le sue competenze. La procedura dei comitati è stata oggi adeguata alla disciplina prevista dal Trattato di Lisbona in merito alla materia di attuazione degli atti derivati. La disciplina attuale appare sicuramente più semplice e lineare: essa opera in proposito una netta differenziazione: Nei confronti delle altre istituzioni, la commissione può richiamarle al rispetto dei trattati sia azionando il ricorso in annullamento di atti dell'Unione o il ricorso in carenza, sia utilizzando la competenza consultiva della Corte di Giustizia in materia di conclusione di accordi internazionali. In determinati settori, la commissione dispone del potere di emanare sanzioni pecuniarie nei confronti delle imprese o dei privati che abbiano violato gli obblighi loro imposti dalle norme dell’Unione. Le decisioni della commissione possono essere impugnate davanti alla corte di giustizia dell'Unione Europea. Relazioni esterne Un importante ruolo è svolto dalla commissione nel quadro delle relazioni internazionali. In primo luogo, il Trattato di lisbona affida alla commissione la rappresentanza esterna dell'Unione Europea. Insieme al consiglio, deve garantire la coerenza tra i vari settori dell'azione esterna dell'Unione e tra questi e le altre politiche. Essa negozia gli accordi tra Unione e stati terzi o organizzazioni internazionali nell'ambito delle direttive stabilite dal consiglio. Viene incaricata altresì di assicurare ogni utile forma di cooperazione con gli organi delle Nazioni Unite e con i suoi istituti specializzati. La commissione stabilisce relazioni diplomatiche con paesi terzi, accredita sue delegazioni presso le organizzazioni internazionali e gli stati terzi, alle quali vengono riconosciuti gli stessi privilegi e immunità di cui beneficiano le altre missioni diplomatiche. LA CORTE DEI CONTI Creata con il Trattato di Bruxelles del 1975 e operativa dal 1977, la Corte dei Conti figura ormai tra le istituzioni dell'Unione, come previsto dall'articolo 13 TUE. Essa è incaricata di effettuare il controllo contabile esterno alle singole istituzioni e l'esame del bilancio dell'Unione. La Corte dei Conti è composta da un cittadino di ogni Stato membro. I suoi membri sono scelti a titolo individuale, tra le personalità che appartengono o abbiano appartenuto alle istituzioni di controllo esterno dei rispettivi paesi. Il Consiglio, sentito il parere del Parlamento Europeo, adotta l'elenco dei membri In conformità alle proposte presentate da ciascuno Stato membro. Inoltre la Corte dei Conti può istituire nel suo ambito delle sezioni per adottare talune categorie di relazioni o di pareri alle condizioni previste dal suo regolamento interno che deve essere approvato dal Consiglio. I membri della Corte dei Conti durano in carica per sei anni e il loro mandato è rinnovabile. Devono svolgere il loro ufficio in piena indipendenza. Il presidente viene eletto dai membri e dura in carica tre anni. Sono previste alcune incompatibilità e doveri specifici come: - il divieto di esercitare qualsiasi attività professionale remunerata o meno - il dovere di onestà e di delicatezza nell'accettare incarichi dopo la cessazione delle loro funzioni. L'attività della corte è collegiale: il lavoro svolto Individualmente dai membri responsabili dei vari settori viene esaminato dal collegio che decide sul seguito che dovrà loro essere dato e stabilisce il testo definitivo dei pareri e delle relazioni. La Corte dei Conti ha competenza generale per il controllo esterno della gestione finanziaria dell'Unione: esamina i conti di tutte le entrate e le uscite delle istituzioni e di ogni altro organismo creato dall'Unione. Il controllo riguarda la legalità e la regolarità di tutte le operazioni; La Corte accerta la sana gestione finanziaria. La Corte dei Conti può chiedere alle autorità nazionali interessate, che sono tenute a fornirle, la documentazione e le informazioni che ritenga necessarie: assiste il Parlamento e il consiglio nella loro funzione di controllo sull’esecuzione del bilancio mentre è sprovvista di poteri diretti di sanzione. I risultati dei lavori della Corte formano annualmente oggetto di una relazione in cui essa attesta l'affidabilità, la legittimità e regolarità delle relative operazioni. La Corte la redige dopo la chiusura di ogni esercizio finanziario per poi trasmetterla entro il 30 novembre direttamente al Parlamento e al consiglio. La relazione viene pubblicata nella Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea. Questa relazione costituisce un elemento di informazione essenziale per il Parlamento nella procedura di discarico. Infine la corte svolge anche una rilevante funzione consultiva, potendo presentare di sua iniziativa proprie osservazioni su questioni specifiche. dopo la sua promozione a rango di istituzione e sarà possibile per la Corte dei Conti: - agire in carenza - intervenire nelle controversie davanti alla corte di giustizia - essere chiamata a rispondere per responsabilità extracontrattuale - promuovere un'azione in annullamento per la salvaguardia delle proprie prerogative. ISTITUZIONI GIUDIZIARIE CORTE DI GIUSTIZIA DELL’UNIONE EUROPEA Nell'ambito dell'unione, la funzione giudiziaria è svolta dalla Corte di Giustizia dell'Unione Europea, con sede a Lussemburgo. Essa ha il compito di assicurare il rispetto del diritto nell'interpretazione e nell'applicazione dei trattati. In realtà la corte, attraverso la sua giurisprudenza pretoria, ha avuto modo di precisare il contenuto delle norme comunitarie e di adeguarle alle nuove esigenze, ma soprattutto è giunta ad elaborare e imporre nuovi principi e regole al di là del testo scritto, dando origine a un diritto giurisprudenziale che ha avuto un peso determinante per l'evoluzione del sistema giuridico dell'Unione Europea. Ha contribuito a imprimere un impulso decisivo al processo di integrazione, rimediando ai ritardi dei meccanismi decisionali, alla carenza di volontà politica degli Stati membri. Il suo attivismo giuridico ha incontrato varie resistenze e diffidenze da parte di questi ultimi. Ma ha finito per ricevere un sostanziale rispetto. L'innovazione più rilevante, introdotta dal Trattato di Lisbona, è data dall'aver configurato la Corte di Giustizia dell'Unione come istituzione unica, articolata in più organismi giudiziari: essa comprende ora: la Corte di Giustizia - il tribunale - i tribunali specializzati. Giurisdizione Il sistema di tutela giurisdizionale dell'ordinamento dell'Unione si articola su due livelli: 1. il primo contempla un controllo diretto da parte della Corte di Giustizia dell'Unione Europea sulla legittimità degli atti e dei comportamenti delle istituzioni dell'Unione : giurisdizione contenziosa. Vi rientrano: - l'azione di annullamento = per il controllo di legittimità sugli atti adottati congiuntamente dal Parlamento e dal Consiglio, sugli atti del Consiglio, della commissione, della BCE; - l'azione in carenza = con cui tende ad accertare l'illegittima inerzia delle istituzioni; - l'eccezione incidentale di invalidità = nell'ambito di un procedimento già pendente dinanzi alla corte; tribunale. Le conclusioni degli avvocati generali sono pubblicate con le relative sentenze. Quando prendono servizio, i giudici e gli avvocati generali prestano giuramento in seduta pubblica impegnandosi ad esercitare la loro funzione in piena imparzialità. Il loro mandato si conclude con lo spirare del termine, a seguito di dimissioni volontarie o pronunciate dalla corte, quando essi non siano più in possesso dei requisiti richiesti per lo svolgimento delle loro funzioni o abbiano mancato ai loro obblighi. Organizzazione Il presidente della Corte di Giustizia viene eletto dai giudici per 3 anni a scrutinio segreto e a maggioranza assoluta dei voti espressi ed è rinnovabile. Esso dirige i lavori della Corte. Al presidente è stato affiancato un vicepresidente competente ad esercitare una serie di funzioni indicate dal regolamento della Corte, nonché chiamato a sostituire il presidente in caso di impedimento o di assenza. Secondo la nuova disciplina, la Corte solo eccezionalmente si riunisce in seduta plenaria. Normalmente essa si riunisce in sezioni composte ciascuna da 3 a 5 giudici che eleggono i loro presidenti in base a una rotazione annuale. La Corte può riunirsi in grande sezione, quando lo richiede uno Stato membro o un'istituzione che sia parte in causa. Procedura L'attività della Corte di Giustizia è regolata dalle disposizioni del trattato, dallo statuto della Corte, dal regolamento di procedura, dal regolamento addizionale, dalle istruzioni al cancelliere. Le parti devono farsi rappresentare. Le istituzioni e gli stati nominano un agente per ciascuna causa, le altre parti devono essere rappresentate da un avvocato. La procedura comporta una fase scritta e una orale: Nelle procedure contenziose, i ricorsi diretti, la prima (SCRITTA) si apre con l'istanza trasmessa al cancelliere, prosegue con lo scambio di memorie e contro memorie e può essere completata da provvedimenti istruttori. Il presidente nomina il giudice relatore, mentre il primo avvocato generale designa l'avvocato generale incaricato della causa. Al termine della procedura scritta, il giudice relatore presenta alla corte una relazione preliminare che riassume i termini della causa e le posizioni delle parti e contiene l'eventuale richiesta di misure istruttorie. La fase ORALE è consacrata all’audizione delle parti alle quali è concesso un tempo limitato per la discussione. Nel corso della discussione, le parti possono essere interrogate dai giudici e dall'avvocato generale. Quest'ultimo presenta le sue conclusioni in un’udienza pubblica successiva e alle parti non è consentito replicare ma solo chiedere alla corte di riaprire eccezionalmente la procedura orale. La decisione assunta dalla Corte in camera di consiglio è pronunciata in seduta pubblica. Quanto al regime linguistico, nei ricorsi diretti la lingua di procedura è quella scelta dal ricorrente. (Nella procedura pregiudiziale la lingua è quella del giudice di rinvio.) La sentenza viene pubblicata sul sito internet della Corte il giorno stesso della pronuncia e successivamente sulla raccolta della giurisprudenza della Corte in tutte le lingue ufficiali. La sentenza ha carattere definitivo; Tuttavia la stessa può essere oggetto di mezzi di impugnazione straordinari: l'opposizione di un terzo può essere presentata a cura di uno Stato membro, di un'istituzione o di ogni persona fisica o giuridica contro le sentenze che pregiudicano i loro diritti quanto rese senza essere stati chiamati in causa. La revocazione delle sentenze può essere chiesta in caso di scoperta di un fatto nuovo. Inoltre le parti o le istituzioni, che dimostrino di avervi interesse, possono chiedere alla corte l'interpretazione della sentenza quando questa risulti oscura nel senso o nella portata. La richiesta, presentata dall'autorità giudiziaria nazionale, è comunicata agli Stati membri, alle parti, alla commissione, nonchè ad altre istituzioni qualora siano autrici dell'atto normativo. La procedura orale può essere soppressa se nessuno degli interessati la richiede. La sentenza è notificata al giudice nazionale e a tutti i destinatari della comunicazione. TRIBUNALE Secondo organo giudiziario dell'Unione, il tribunale è stato istituito, con decisione del consiglio nel 1988, con la denominazione di “tribunale di primo grado”. La sua creazione ha risposto alla necessità di introdurre un doppio grado di giurisdizione nel sistema giudiziario dell'Unione e anche all'esigenza di alleggerire e così rendere più efficiente il lavoro della Corte. Con il Trattato di Lisbona ha assunto la denominazione semplice di “tribunale”. Il tribunale stabilisce il proprio regolamento di procedura di concerto con la corte. Tale regolamento è sottoposto all'approvazione del consiglio. Il tribunale è composto da almeno un giudice per Stato membro. Si prevede un meccanismo più elastico, che consente di adattare il numero dei giudici alle esigenze del contenzioso e dunque al carico di lavoro. I componenti del tribunale sono scelti e nominati secondo criteri analoghi a quelli previsti per la corte, per la durata di 6 anni, con rinnovo ogni tre anni. I giudici designano al loro interno il presidente per 3 anni. Alcuni di essi possono essere chiamati a esercitare la funzione di avvocati generali. La presenza di un avvocato generale è prevista come obbligatoria quando il tribunale si riunisce informazione plenaria. Quando il tribunale giudica in sezione, questa può chiedere l'assistenza di un avvocato generale qualora la richiedano la difficoltà in diritto o la complessità in fatto della causa. Il giudice chiamato ad esercitare la funzione di avvocato generale non può prendere parte alla decisione relativa a quella causa. I giudici del tribunale prestano giuramento davanti alla corte e questa sola può privarli dei privilegi ed immunità che a loro competono. Il tribunale si riunisce eccezionalmente in seduta plenaria. Di regola in sezioni composte di tre o cinque giudici. Sono previste, Inoltre, per determinati casi anche la formazione della grande sezione nonché la formazione del giudice unico nella persona del giudice relatore. Il tribunale gode di ampia discrezionalità nell'individuazione della formazione più idonea rispetto alle caratteristiche della causa. Agli Stati membri e alle istituzioni è riconosciuto il potere solo di opporsi all'assegnazione di una sezione composta di tre giudici o al giudice unico. Quanto alla competenza del tribunale, essa era in un primo tempo limitata ai ricorsi dei funzionari dell'Unione contro le istituzioni e ai ricorsi individuali. Il consiglio, su richiesta della Corte, ha ampliato le sue competenze anche a tutti i ricorsi diretti proposti da persone fisiche o giuridiche. Restava sempre esclusa la competenza pregiudiziale. Nel sistema attuale, il tribunale acquisisce piena autonomia come organismo giurisdizionale facente parte della Corte di Giustizia dell'Unione Europea. Oggi è configurato come giudice di diritto comune dell'ordinamento dell'Unione in quanto investito di una competenza generalizzata in primo grado. Diviene organo di secondo grado rispetto alle decisioni assunte dai Tribunali specializzati. Per quanto riguarda la competenza pregiudiziale si ammette ora , in via eccezionale, la competenza del tribunale a conoscere delle questioni pregiudiziali in materie specifiche e determinate dallo statuto. Comitato delle regioni Organo a carattere consultivo, il comitato delle regioni è stato istituito dal Trattato di Maastricht. la sua creazione rappresenta il punto di arrivo di un processo di rivendicazioni tendenti a dare spazio alla collettività sub-statale regionale e locale ogni volta che determinate azioni dell'Unione siano destinate ad incidere sulle loro competenze. Il comitato delle regioni è composto da rappresentanti della collettività regionali e locali, nominati per 5 anni, rinnovabili dal Consiglio In conformità alle proposte presentate dagli Stati membri, i quali operano la scelta in piena autonomia. I suoi membri devono essere titolari di un mandato elettorale nell'ambito di una collettività regionale o locale oppure politicamente responsabili dinanzi ad una responsabilità eletta. Alla scadenza del loro mandato interno essi decadono automaticamente. Il comitato designa il suo presidente per la durata di due anni e mezzo. Il comitato è consultato obbligatoriamente dal Parlamento Europeo, dal consiglio o dalla Commissione nei casi previsti dal Trattato ma può formulare pareri anche di sua iniziativa. Il consiglio e la commissione possono assegnargli un termine per la presentazione del parere. La sua consultazione è prevista in materia: di istruzione, di cultura, di sanità pubblica. Quando il comitato economico e sociale è consultato, il comitato delle regioni è informato della richiesta di parere e può mettere un proprio parere. Il comitato delle regioni è incluso, dal Trattato di Lisbona, tra i soggetti legittimati a proporre un ricorso in annullamento davanti alla corte di giustizia degli atti dell'Unione al fine di salvaguardare le proprie prerogative oppure per violazione del principio di sussidiarietà. Banca centrale degli investimenti (BEI) La Banca europea degli investimenti NON può considerarsi rientrare tra le istituzioni, anche se ha fatto parte della struttura dell'Unione Europea. Ad essa si applicano le competenze della Corte di Giustizia entro limiti specifici ed è parificata alle altre istituzioni in materia di responsabilità extracontrattuale potendo essere chiamata a rispondere davanti alla corte di giustizia per i danni cagionati da essa o da i suoi agenti. Dotata di personalità giuridica e di autonomia finanziaria. Agisce in modo indipendente sui mercati finanziari internazionali con il compito di contribuire ad uno sviluppo equilibrato senza scosse del mercato interno nell'interesse dell'Unione. Inoltre è chiamata a facilitare il finanziamento di progetti per la valorizzazione delle regioni meno sviluppate. Ogni Stato membro è membro della banca centrale degli investimenti; Questa è amministrata e gestita da: - un consiglio di governatori : composto dai ministri degli Stati membri. Le deliberazioni del Consiglio dei governatori sono adottate di norma a maggioranza dei membri che lo compongono. - un consiglio di amministrazione - un comitato direttivo : con funzioni esecutive. Unione economica e monetaria (UEM) La politica economica e la politica monetaria fanno parte integrante delle politiche dell'Unione. Dette politiche si configurano in un sistema particolare: Le banche centrali nazionali sono integrate nel sistema europeo delle banche centrali e sono chiamate ad eseguire le istruzioni degli organi della Banca Centrale Europea. Il sistema europeo delle banche centrali si configura come indipendente sia dagli Stati membri che dalle altre istituzioni dell'Unione. In questa materia assume un ruolo centrale il consiglio: esso definisce gli indirizzi di massima per le politiche economiche degli Stati membri e dell’unione. ll consiglio sorveglia l'evoluzione economica e il rispetto di tali indirizzi da parte degli Stati membri, nonché la coerenza con essi delle politiche economiche nazionali. Analogo meccanismo di sorveglianza è previsto in merito al dovere degli Stati membri di evitare disavanzi pubblici eccessivi. Nel 2011 è stato adottato un “patto di stabilità e crescita” consistente in 5 regolamenti e una direttiva che prevedono modalità di sorveglianza preventiva, di controllo e di sanzioni sia nel caso di disavanzi eccessivi che nei riguardi di sforamenti dei limiti stabiliti al debito pubblico in aggiunta a tali strumenti. Al fine di fronteggiare la grave crisi finanziaria che ha investito l'Europa, sono stati stipulati 2 accordi internazionali firmati a Bruxelles: 1. il primo : concluso tra gli stati facenti parte dell'eurozona istituisce il meccanismo europeo di stabilità. 2. il secondo : noto come Fiscal Compact riguarda la stabilità, il coordinamento e la governance dell'Unione economica e monetaria. Essi sono tipici accordi internazionali sottoposti alla ratifica degli Stati membri e attribuiscono alle istituzioni dell'Unione competenze e poteri ulteriori rispetto a quelli previsti dai Trattati allo scopo di rafforzare la governance Europea dell'economia. Nel 2016 è entrata in vigore la direttiva del Parlamento Europeo e del consiglio denominata Bank recovery and resolution directive che detta regole per prevenire e gestire le crisi di banche operanti negli Stati membri: essa prevede di utilizzare anche risorse private e presenti all'interno delle banche in difficoltà. In caso di crisi di un istituto bancario, le autorità di risoluzione potranno avviare la procedura di risoluzione e applicare una serie di misure tra cui il Bail-in: gli azionisti e i creditori della banca possono essere chiamati a contribuire con i propri fondi all'assorbimento delle perdite. In questo settore: molte decisioni sono prese dal consiglio su raccomandazione della commissione e non dietro sua proposta: il che comporta che il consiglio non sia tenuto a trovare l'unanimità qualora intenda discostarsi dalla posizione della commissione. Su di essa ricade il compito di sorvegliare sul rispetto da parte degli Stati membri degli indirizzi di politica economica definiti dal consiglio. Il Parlamento Europeo esercita un potere di codecisione. La politica monetaria viene decisa per l'essenziale dalla Banca Centrale Europea. La realizzazione dell'Unione monetaria è stata prevista in 3 fasi : 1. la prima, iniziata con il Trattato di Maastricht, aveva per oggetto la totale liberalizzazione della circolazione dei capitali. 2. la seconda, ha avuto inizio nel 1994, avente per finalità principale quella di adeguare le situazioni economiche degli Stati membri sulla base dei parametri di convergenza. 3. la terza fase prevede la sostituzione dell'Euro alle monete nazionali sulla base di tassi di cambio predefiniti. A quest'ultima fase partecipano solo 19 stati membri (la eurozona) . Altri stati hanno scelto di avvalersi della clausola di opting out ovvero usufruiscono dello status di Stati membri con deroga. Gli organi: Banca centrale europea La Banca Centrale Europea ( BCE), dotata di personalità giuridica, è caratterizzata da una assoluta Indipendenza con competenze consultive e normative. Essa risulta essere l'organo centrale dell'Unione Economica e monetaria, al quale spetterà la gestione della moneta unica europea. La commissione vedeva ridotto il suo ruolo alla funzione di mediare e negoziare le diverse posizioni tra le due istituzioni. L'iniziativa normativa proveniva dalla commissione che presentava la sua proposta sia il consiglio sia al parlamento. Il Consiglio deliberava a maggioranza qualificata durante tutta la procedura di codecisione sia per l'adozione di una posizione comune, sia sugli emendamenti proposti dal Parlamento sia sull'eventuale progetto comune approvato da un comitato di conciliazione convocato per la ricerca di un accordo tra le posizioni delle due istituzioni. Il progetto non poteva essere adottato se il Parlamento respingeva a maggioranza assoluta la posizione comune del consiglio, o se una delle due istituzioni non approvava il progetto comune elaborato dal comitato, o se questo non riusciva ad elaborare un progetto di accordo condiviso. L'introduzione della procedura di codecisione ha testimoniato una volontà degli Stati membri di rispondere alle richieste di riconoscere all'organo rappresentativo dei popoli competenze più incisive. Risulta da questa procedura che i poteri del Parlamento in questa direzione si sono notevolmente rafforzati: avendo esso il potere di impedire l'adozione di atti Privi del suo sostegno. PROCEDURA DEL PARERE CONFORME: questa procedura è stata prevista dall'atto unico europeo nella stessa ottica di associare in modo più determinante il Parlamento all'adozione di alcuni atti: essa richiedeva il parere conforme del parlamento per l'esame delle domande di adesione di altri Stati europei. Tale procedura ha trovato conferma nel Trattato di Maastricht che la estesa anche a quei trattati che creano un quadro istituzionale specifico organizzando procedure di cooperazione e a quelli che hanno ripercussioni finanziarie notevoli per la comunità. Si trattava di un potere di codecisione trovandosi consiglio e Parlamento su un piano di parità. Il Trattato di Lisbona innova profondamente in merito alle procedure di formazione degli atti normativi dell'Unione, secondo la nuova visione che pone il Parlamento Europeo in una posizione paritaria con il consiglio nel procedimento di adozione degli atti normativi come legislatore dell'Unione: Il Parlamento Europeo esercita congiuntamente al consiglio la Funzione legislativa. I procedimenti normativi possono subire delle varianti previste dalle singole disposizioni del trattato che abilitano all'adozione dell'atto. Se la procedura legislativa ordinaria pone I due co-legislatori su un piano di parità, quella speciale attribuisce poteri decisionali ad uno solo dei due, solitamente il consiglio, potendo l'altro, solitamente il Parlamento, esprimere solamente un parere non vincolante. L'utilizzo di una procedura legislativa porta all'adozione di atti legislativi. In alcuni casi limitati, il consiglio può decidere anche senza consultazione del Parlamento Europeo o previa consultazione di altri organi consultivi. Ciò avviene, Ad esempio, in materia di unione doganale. Inoltre si ricorda che atti di esecuzione possono essere adottati dalla commissione o dal consiglio per assicurare l'esecuzione uniforme di un atto di base ma anche atti a portata generale, integrativi o modificativi di atti legislativi, possono essere adottati dalla Commissione su delega del legislatore secondo una procedura semplificata. La possibilità di adottare atti legislativi è esclusa per il Consiglio europeo e non è prevista nella materia della politica estera e di sicurezza comune. La procedura seguita per l'adozione degli atti normativi NON influisce sul loro valore formale. La corte ha precisato che la distinzione tra atti legislativi e atti non legislativi non trova giustificazione nella esigenza di determinare una relazione gerarchica tra gli stessi, ma in quella di sottoporre una porzione dell'attività di produzione normativa a determinate regole di trasparenza. Resta da vedere i rapporti che possono intercorrere tra atti legislativi e atti emanati dalle singole istituzioni qualora entrino tra loro in conflitto. Appare evidente che l'atto successivo prevalga. MA ciò rischia di compromettere il valore della nuova procedura legislativa: infatti vi è la possibilità che il consiglio adotti un atto che modifichi un atto legislativo in precedenza adottato. Una gerarchia degli atti normativi può riscontrarsi solo con riguardo agli atti delegati rispetto all'atto legislativo contenente i poteri di delega e atti di esecuzione rispetto all'atto di base con la conseguenza che la violazione dei secondi comporta l'illegittimità dei primi. Proposta della commissione La procedura di adozione degli atti dell'Unione inizia con una proposta della commissione che affida a tale istituzione l'iniziativa normativa. Il Trattato di Lisbona formalizza questa attribuzione rispetto agli atti legislativi indicando che “un atto legislativo dell'Unione può essere adottato solo su proposta della commissione, salvo che il trattato disponga diversamente”. Si tratta di una regola che conosce eccezioni: in alcuni casi il trattato prevede che l'iniziativa normativa possa provenire anche da un gruppo di stati, dal Parlamento Europeo o su richiesta della Corte di Giustizia. L'iniziativa della commissione può essere sollecitata dal Parlamento, dal consiglio e da un milione di cittadini dell'Unione appartenenti a più stati membri. La proposta della commissione può essere emendata dal consiglio solo all'unanimità, mentre può essere respinta qualora non si formi la maggioranza prevista per l'adozione dell'atto. Finché il consiglio non abbia deliberato, la commissione può modificare la propria proposta originaria. Al limite, le si deve riconoscere anche il diritto di ritirare la proposta. Invece la commissione NON ha alcun potere di iniziativa in materia di politica estera e di sicurezza comune e con riguardo agli atti normativi adottati dalla Banca Europea. Procedura legislativa ordinaria La procedura di codecisione diviene, con il Trattato di Lisbona, la procedura legislativa ordinaria con alcune innovazioni. La procedura legislativa ordinaria, disciplinata dall'articolo 294 TFUE, consiste nell'adozione congiunta di un atto normativo dell'Unione da parte del Parlamento Europeo e del consiglio. Essa INIZIA con la presentazione della proposta della commissione sia al Parlamento Europeo che al consiglio. Tuttavia il primo progetto dell'atto legislativo conseguente alla proposta della commissione proviene dal Parlamento, il quale è chiamato ad adottare la sua posizione e a trasmetterla al consiglio. Questi, o approva la posizione del Parlamento e allora l'atto è definitivamente adottato, oppure non la approva e adotta la sua posizione che trasmette al parlamento. Entro 3 mesi da tale comunicazione, il Parlamento: 1. o approva la posizione del consiglio oppure non si pronuncia, e allora l'altro è adottato nel testo formulato dal consiglio; 2. o respinge tale posizione a maggioranza dei suoi membri, e allora l'atto non viene adottato; 3. oppure propone emendamenti alla posizione del consiglio e comunica il testo così emendato al consiglio e alla commissione : questa formula un parere in proposito. normative comuni, la sua competenza a concludere accordi internazionali diviene esclusiva e gli stati membri non hanno più il potere di assumere obblighi internazionali in materia”. Non è necessario che la competenza sia espressamente prevista dalle norme dei trattati, potendo risultare dall'insieme delle loro disposizioni ed al diritto derivato o anche ricavarsi dei poteri impliciti della comunità. L'unione può concludere un accordo internazionale quando: i trattati lo prevedono o quando la sua conclusione sia prevista per realizzare uno degli obiettivi fissati dai Trattati o sia prevista da un atto giuridicamente vincolante dell'Unione. La competenza dell'Unione a concludere accordi internazionali può ritenersi esclusiva quando essi riguardano materie su cui si esercita la competenza interna esclusiva dell'Unione. Nelle materie di competenza concorrente, anche il potere dell'Unione di concludere accordi internazionali è condiviso con quello degli Stati membri. La procedura di conclusione degli accordi internazionali segue le seguenti modalità: la commissione rivolge al consiglio una raccomandazione con la quale chiede l'autorizzazione ad aprire i negoziati. Il consiglio adotta a maggioranza qualificata la decisione che autorizza l'avvio ai negoziati, accompagnandola dalla designazione del negoziatore, in funzione della materia, e dall'indicazione delle direttive da seguire per il loro svolgimento. Il consiglio può designare un comitato speciale, che deve essere consultato durante la conduzione dei negoziati. Una volta concordato il progetto del testo di accordo, il negoziatore lo sottopone al consiglio, che adotta una decisione per autorizzare la firma. Successivamente il consiglio, su proposta del negoziatore, adotta una decisione relativa alla conclusione dell'accordo e notifica alla controparte che sono terminate le formalità prescritte per l'entrata in vigore dell'accordo: questo atto contiene anche le modalità di esecuzione dell'accordo. La conclusione definitiva si ha con lo scambio o il deposito dell'atto di approvazione. Il Consiglio delibera a maggioranza qualificata, tuttavia l'unanimità è richiesta quando si tratta di accordi concernenti un settore per il quale è richiesta l'unanimità. Viene prevista anche una procedura semplificata: il consiglio può abilitare il negoziatore a concludere l'accordo con la semplice firma o ad approvare, a nome dell'unione, le modifiche dell'accordo se questo ne prevede l'adozione con una procedura semplificata. La decisione di conclusione, viene adottata previa consultazione del Parlamento Europeo: se questi non rilascia il parere, entro il termine fissato dal Consiglio esso può deliberare. Il Parlamento interviene nella procedura, seconda dei casi, o con l'approvazione, o con un parere obbligatorio e nonostante debba essere informato in tutte le fasi della procedura rimane al margine della stessa. Il consiglio NON può autorizzare l'apertura dei negoziati prima che il Parlamento si sia pronunciato sulla proposta di mandato a negoziare. Qualora il parere sia negativo, il Presidente del Parlamento può chiedere al consiglio di non concludere l'accordo in questione. Nel caso degli accordi relativi alla politica commerciale comune, di competenza esclusiva dell'Unione, si segue la medesima procedura con alcune varianti: i negoziati, autorizzati dal Consiglio, sono condotti dalla commissione in consultazione con un comitato speciale designato dal consiglio per assisterla. Il Consiglio delibera di regola a maggioranza qualificata, ma delibera all'unanimità per gli accordi nei settori degli scambi di servizi. Alla consultazione del Parlamento si aggiunge o sostituisce quella della Banca Centrale Europea per gli accordi internazionali conclusi nell'ambito della politica monetaria. Quando l'accordo verte su materie rientranti sia nella competenza dell'Unione che in quella degli Stati membri, si segue la prassi degli accordi misti o in forma mista: essi sono negoziati e conclusi congiuntamente sia dal consiglio in nome dell'Unione sia dagli Stati membri, i quali dovranno provvedere alla loro ratifica secondo le procedure costituzionali interne; l'unione può concludere l'accordo solo quando la totalità degli Stati membri la abbiano ratificato. Quanto all'interpretazione degli accordi misti la competenza dell'Unione non si può estendere alle disposizioni il cui oggetto risulta estraneo al diritto dell'Unione. Se l'accordo internazionale comporta emendamenti dei trattati, essi devono essere precedentemente adottati secondo la procedura di revisione dei trattati. La Corte di Giustizia può essere consultata da uno Stato membro, dal Parlamento, dal consiglio o dalla Commissione riguardo la compatibilità dell'accordo previsto con i trattati: il parere della Corte è richiesto in via preventiva, dunque prima della conclusione dell'accordo. Il fine è quello di evitare un contenzioso successivo all'avvenuta stipulazione. In caso di parere negativo della Corte esso non potrà entrare in vigore. Per cui, se permane la volontà di stipularlo comunque, l'accordo potrà essere concluso solo previa modifica delle disposizioni ritenute dalla corte incompatibili con i trattati. Il parere della Corte riveste carattere vincolante. Quanto ai loro effetti giuridici: gli accordi conclusi dall'Unione sono vincolanti per le istituzioni e per gli Stati membri. Dalle loro disposizioni possono discendere effetti diretti senza bisogno di firma o di ratifica, salvo per quanto riguarda gli accordi misti. Il testo degli accordi , è allegato agli atti di conclusione, che sono pubblicati sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione Europea. L’adozione del bilancio Tra i procedimenti interistituzionali merita un'attenzione specifica la procedura che porta all'adozione del bilancio dell'Unione. La disciplina del bilancio ha subito rilevanti variazioni con il trattato di Lisbona: In primo luogo, viene semplificata la procedura per la sua approvazione: il bilancio annuale dell'Unione è ora stabilito dal Parlamento Europeo e dal Consiglio secondo la procedura legislativa speciale. In secondo luogo è stata abolita la distinzione tra spese obbligatorie, ossia quelle che l'autorità di bilancio era tenuta ad iscrivere in bilancio come risultanti dai Trattati o dagli atti normativi derivati, e spese non obbligatorie. Abolita tale distinzione, le due autorità di bilancio sono ora poste sullo stesso piano e concorrono entrambe alla determinazione dell'insieme delle spese. Si deve rilevare come la condivisione dei poteri tra Parlamento e consiglio nell'adozione del bilancio, è totale per quanto riguarda la determinazione delle spese, non può dirsi altrettanto per quanto riguarda la determinazione delle entrate: Infatti le disposizioni relative al sistema delle risorse proprie dell'unione sono adottate con decisione del consiglio che delibera all'unanimità previa consultazione del parlamento. Le entrate iscritte a bilancio sono costituite da risorse proprie. Queste hanno sostituito i contributi volontari versati dagli Stati membri. Il nuovo sistema ha inteso conferire all'Unione un'autorità finanziaria totale e una sua libertà d'azione senza dipendere più dai contributi degli Stati membri. La formazione del bilancio è regolata dagli articoli 310-324 TFUE. L'esercizio finanziario va dal 1 gennaio al 31 dicembre. Il bilancio annuale dell'Unione deve rispettare il quadro finanziario pluriennale, volto ad assicurare l'ordinario andamento delle spese dell'Unione entro i limiti delle sue risorse proprie. Tale quadro pluriennale è determinato con regolamento del Consiglio, secondo una procedura legislativa speciale che delibera all'unanimità, previa approvazione del parlamento a maggioranza dei suoi membri. PROCEDURA DI ADOZIONE: Il bilancio annuale, che viene approvato dal Parlamento e dal Consiglio segue la seguente procedura: Il primato di questi strumenti deriva dalla loro natura di veri e propri accordi internazionali nel senso classico e la loro superiorità deriva dall'essere frutto della volontà congiunta degli Stati membri. Naturalmente, trattandosi di norme costitutive di un ordinamento giuridico autonomo, la loro applicazione e interpretazione dovranno svolgersi alla luce dei principi generali che lo caratterizzano, del contesto normativo dell'unione, delle finalità da questa perseguite. Accanto all'interpretazione sistematica e a quella teleologica, propriamente riconducibili a qualsivoglia trattato internazionale, la Corte di Giustizia ha anche valorizzato quella storico evolutiva che pare essere più congeniale ad un ordinamento come quello dell'Unione, per sua natura caratterizzato da un continuo e costante mutamento. nella giurisprudenza della Corte di Giustizia emergono altri principi ermeneutici: In primo luogo : in presenza di termini tecnico-giuridici nelle disposizioni di diritto dell'Unione, la corte valorizza la necessità di una loro interpretazione uniforme. Si parla, in proposito dei trattati istitutivi, di norme costituzionali dell'ordinamento dell'Unione, per indicare la loro posizione preminente in questo ordinamento e il loro valore inderogabile. In realtà tale carattere non può riconoscersi a tutto il complesso delle norme enunciate, ma solo ad alcune che rivestono un'importanza fondamentale. I trattati istitutivi, che costituiscono la Carta Costituzionale di base dell'Unione, hanno dato vita ad un ordinamento giuridico nuovo, dotato di proprie istituzioni a favore del quale, gli Stati che ne sono membri hanno limitato i propri poteri sovrani. La sfera di applicazione territoriale dei trattati si estende fin dove si esercita la giurisdizione degli Stati membri. I trattati prevedono un sistema di fonti di diritto derivato costituite dagli “atti normativi a carattere vincolante che le istituzioni dell'Unione hanno il potere di emanare e che si trovano in una posizione gerarchicamente subordinata rispetto ai primi”: i trattati prevalgono sulle norme derivate e quindi non possono subire modificazioni da parte degli atti emanati dagli organi dell'Unione, tanto che, se in contrasto con i primi, sono suscettibili di annullamento. I trattati non possono essere derogati da un accordo internazionale concluso dall'Unione. Le procedure di revisione - la clausola di flessibilità Le modifiche ai trattati istitutivi possono aver luogo nel rispetto delle formalità previste dai trattati stessi. Questi oggi distinguono diverse procedure: La procedura formale di revisione dei trattati è prevista dall'articolo 48 TUE. Secondo la procedura ordinaria: l'iniziativa può provenire da ogni governo degli Stati membri, dal Parlamento Europeo o dalla commissione che devono sottoporre i progetti di revisione al consiglio. Quest'ultimo poi li trasmette al Consiglio europeo e li notifica ai parlamenti nazionali. Qualora il Consiglio Europeo, previa consultazione del Parlamento e della commissione, si pronuncia maggioranza semplice in senso favorevole all'esame delle modifiche proposte, il Presidente del Consiglio Europeo convoca una convenzione . La convenzione adotta per consenso una raccomandazione trasmessa ad un'apposita conferenza dei rappresentanti dei governi degli Stati membri. Questa conferenza svolge la sua attività con lo scopo di stabilire le modifiche da apportare ai trattati. È anche possibile che il Consiglio Europeo decida di non convocare la convenzione. La conferenza conclude i suoi lavori con l'adozione di una decisione finale contenente il testo di un trattato nel quale sono recepite le modifiche concordate. Il Trattato entrerà in vigore dopo ratifica da parte di ogni Stato membro. L'articolo 48 contempla 2 procedure di revisione semplificata: 1. La prima è relativa alla modifica totale o parziale delle disposizioni della parte terza del Trattato sul “funzionamento dell'Unione Europea in materia di politiche e azioni interne dell'Unione”. Il Consiglio Europeo, deliberando all'unanimità previa consultazione del Parlamento e della commissione. adotta una decisione che modifica le disposizioni in materia. Questa decisione entra in vigore solo in seguito all'approvazione degli Stati. 2. La seconda procedura semplificata concerne l'utilizzo delle procedure di adozione degli atti e può aver luogo in due diverse ipotesi: - La prima trova applicazione quando il Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea o il titolo quinto del trattato sull'Unione Europea prevedono che per un settore o in un caso determinato il Consiglio delibera all'unanimità: A tal fine l'articolo 48 dispone che il Consiglio Europeo può adottare una decisione che consenta al consiglio di deliberare a maggioranza. - La seconda ipotesi comporta la possibilità che il consiglio adotti atti legislativi con la procedura legislativa ordinaria in luogo di quella speciale prevista dal Trattato sul funzionamento dell'Unione Europea. In entrambe le procedure descritte, le decisioni sono assunte dal Consiglio all'unanimità, previa approvazione del Parlamento Europeo. La proposta di modifica viene trasmessa ai parlamenti nazionali. Nel caso che, entro sei mesi dalla data di tale trasmissione, anche solo un parlamento nazionale si opponga, la decisione non può essere adottata. In assenza di opposizione il Consiglio Europeo potrà procedere all'adozione della decisione stessa. Le procedure di revisione semplificata possono trovare applicazione nel sistema di risorse proprie dell'Unione, nella clausola di flessibilità, nella procedura di sospensione dei diritti derivanti dall'appartenenza all'Unione. CLAUSOLA DI FLESSIBILITÀ: Pur non potendosi parlare di modifica in senso proprio dei trattati, tuttavia è possibile giungere ad un ampliamento o integrazione delle loro disposizioni rincorrendo all'articolo 352 tfue, la clausola di flessibilità, il quale “consente alle istituzioni l'esercizio delle competenze sussidiarie quando risultino necessarie per raggiungere uno degli obiettivi dell'Unione”. L'articolo 352 prevede che il consiglio adotti le disposizioni appropriate deliberando all'unanimità su proposta della commissione e previa approvazione del Parlamento Europeo. Questa disposizione ha carattere incisivo e innovativo potendo condurre all'attribuzione di nuovi poteri di azione a condizione che sia possibile dimostrare la loro necessità funzionale. Si tratta di una norma che ha suscitato varie perplessità per la possibilità di estendere le competenze dell'Unione oltre quanto previsto dai Trattati. La Corte di Giustizia ha evidenziato che esistono dei limiti oggettivi all'utilizzazione dell'articolo 352 precisando che: la comunità potesse disporre unicamente dei propri poteri attribuiti e che nessuna disposizione del trattato conferisce alle istituzioni comunitarie il potere di dettare norme in materia di diritti dell'uomo o di concludere convenzioni internazionali in detta materia. Non si sarebbe potuto fare ricorso a tale articolo in quanto tale disposizione costituendo parte integrante di un ordinamento istituzionale basato sul principio dei poteri attribuiti, non può costituire il fondamento per ampliare la sfera dei poteri della comunità di là dell'ambito generale risultante dal complesso delle disposizioni del trattato. La disposizione in particolare non può essere utilizzata quale base per l'adozione di disposizioni che condurrebbe ad una modifica del trattato che sfugga alla procedura prevista. dopo L'elevazione della sussidiarietà a rango di principio fondamentale e la sua formalizzazione, il suo rispetto rappresenta l'elemento essenziale e necessario anche per una corretta utilizzazione dell'articolo 352. L'articolo 352 pone ulteriori condizioni:
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