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Riassunti dei saggi per l'esame di Marketing industrie Creative - Gloria Dagnino, Dispense di Marketing

In questo documento sono presenti i riassunti dei seguenti saggi: - Il concetto di industrie creative (Richeri) - Economia e cultura (Throsby) - La coda lunga (Anderson) - Shoptainment: verso il marketing dell'esperienza (Codeluppi) - Media mutations (Bisoni) - Dagli spot al branded entertainment: trent'anni di tendenze integrative (Dagnino) - Il mercato delle location cinematografiche (Cucco, Richeri) - I media e la moda (D'aloia, Pedroni)

Tipologia: Dispense

2021/2022

In vendita dal 03/03/2023

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4.2

(13)

20 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunti dei saggi per l'esame di Marketing industrie Creative - Gloria Dagnino e più Dispense in PDF di Marketing solo su Docsity! IL CONCETTO DI INDUSTRIE CREATIVE – RICHERI (2009) Il concetto di “industrie creative” ha riscosso un grande successo da quando il governo del primo ministro britannico, Tony Blair, lo ha utilizzato in una serie di documenti ufficiali del Department for Culture, Media and Sport  si intendeva rappresentare un gruppo di attività in forte crescita e indicarle come un nuovo fronte capace di garantire lo sviluppo economico, la crescita occupazionale e la competitività internazionale del Regno Unito, allo scopo di elaborare strategie politiche conseguenti. Il concetto di industrie creative può includere o escludere attività e settori, tutto dipende da chi lo usa, dal contesto di riferimento, dagli obiettivi del progetto. 1. I tredici settori delle industrie creative Il concetto di industrie creative prende forma nel corso degli anni ‘90 nel mondo anglosassone, sostituendo quello di industria culturale grazie alla notorietà data dal documento Creative Industries Mapping Document pubblicato dal Ministero della Cultura inglese (1998). Il documento ne descrive le componenti e misura le loro dimensioni economiche. Si tratta dei tredici settori seguenti: 1. Pubblicità 2. Antiquariato 3. Architettura (progettazione d'immobili e pianificazione territoriale) 4. Artigianato (tessuto, ceramica, gioielli, vetro, ecc.) 5. Design 6. Moda 7. Film 8. Musica registrata 9. Spettacolo dal vivo 10. Editoria a stampa 11. Software professionale e d'intrattenimento 12. Radio 13. Televisione Sono tutte attività caratterizzare dall'intreccio di creatività, cultura ed economia, che vanno oltre i confini delle industrie culturali, senza però definirne dei nuovi con sufficiente precisione. All'interno di uno stesso settore, però ci sono spesso grandi differenze, es. settore dell'editoria a stampa, grande differenza tra i giornali e i libri scolastici. Ciò nonostante l'idea unificante proposta è che ognuna delle industrie creative elencate abbia al centro uno stesso modello commerciale basato sull'invenzione di idee dotate di un valore espressivo da vendere in forma di prodotto o di servizio  idee che producono beni materiali o immateriali che accrescono la nostra conoscenza, stimolano le nostre emozioni e arricchiscono la nostra vita. Queste idee non sono relegate alle sole attività artistiche e creative tradizionali  es. creazione di software informatico / videogiochi / nuove forme di marketing / prodotti con design e funzioni innovative ecc… Da queste idee possono nascere dei contenuti materiali o immateriali, non importa se realizzati in forma artigianale o industriale, capaci però di generare conoscenza ed emozioni insieme a nuove transazioni commerciali. 1 2. Industrie creative e Industrie culturali A prima vista non sembra che ci fosse la necessità di inventare un nuovo termine per indicare i tredici settori citati: quasi tutti rientravano sotto l'etichetta di Industrie culturali già usata da tempo. Chi sostiene la necessità di adottare la nuova etichetta considera le industrie creative come cugine delle industrie culturali, ovvero attività distinte ma appartenenti alla stessa famiglia. Il fattore distintivo sta nel fatto che ciò che producono le industrie creative ha contemporaneamente un alto grado espressivo e funzionale, cose che non necessariamente hanno i prodotti delle industrie culturali  es. la pubblicità deve essere capace di vendere prodotti, ma funziona meglio se il suo contenuto è in grado di creare emozioni e di esprimere anche cultura / gli edifici devono essere belli ma anche funzionali ecc… La doppia presenza del valore espressivo / culturale e di quello funzionale non è necessaria per ogni singolo edificio, annuncio pubblicitario, vestito o design, ma è anche vero che le industrie creative sono più redditizie tanto più i loro prodotti sono espressioni culturali valide e insieme assolvono bene alle loro funzioni. 3. I caratteri distintivi Abbiamo finora individuato due elementi che ci aiutano a definire le imprese creative: 1. I tredici settori elencati sopra 2. La compresenza del valore espressivo / culturale e del valore funzionale A questi se ne aggiunge un terzo: 3. Le risorse economiche delle industrie creative (capacità di produrre risultati economici / commerciabilità) che derivano dalla commercializzazione del valore espressivo dei loro prodotti e servizi e dalla loro originalità creativa  quindi tutte le attività tradizionalmente comprese nell'ambito delle industrie culturali che stanno in piedi soltanto grazie ai finanziamenti pubblici non dovrebbero essere considerate parte delle industrie creative 3.1. Le dimensioni del valore espressivo secondo David Throsby Valore espressivo: una qualsiasi dimensione in grado di allargare il significato e la comprensione culturale. Le principali dimensioni del valore espressivo con cui le industrie creative si confrontano sono state esemplificate da David Throsby nel seguente elenco:  Valore estetico: riflette bellezza, armonia, forma ecc… capaci di generare emozioni  Valore spirituale: può essere sia laico che religioso e riguarda il senso spirituale condiviso dall'insieme degli esseri umani  Valore sociale: capacità del lavoro artistico di creare legami tra individui che altrimenti sarebbero separati  Valore storico: capacità del lavoro artistico di fornire legami con il passato e di far percepire il presente come continuità del passato  Valore simbolico: riguarda il significato che un oggetto è in grado di rappresentare e proporre al consumatore 3.2. La commerciabilità del valore espressivo 2 Secondo questa teoria inoltre l'utilità marginale di un bene diminuisce con l'aumentare del suo consumo  si può formulare una teoria della domanda che, insieme alla teoria dell'offerta, fornisce un modello per la determinazione dei prezzi nei mercati concorrenziali. La teoria dell'utilità marginale è stata molto criticata, infatti alcuni autori sostengono che i consumatori possono formulare delle preferenze esclusivamente in base ai loro bisogni individuali, senza farsi influenzare dall'ambiente istituzionale, né dall'interazione sociale e dai processi che regolano lo scambio. Secondo questa teoria il prezzo di un prodotto è un importante indicatore del valore dello stesso, ma non sempre è così, i prezzi possono dipendere da altri fattori, es. mercati imperfettamente concorrenziali / informazioni incomplete ecc…  quindi nella migliore delle ipotesi i prezzi sono un indicatore di valore ma non necessariamente una misura diretta del valore. 2. Valutazione economica dei beni e dei servizi culturali Consideriamo ora come il concetto di valore economico possa essere applicato ai beni e ai servizi culturali. Per farlo dobbiamo distinguere tra:  Prodotti culturali in quanto beni privati, per i quali esistono almeno potenzialmente prezzi di mercato  Prodotti culturali considerati come beni pubblici, per i quali non vi sono prezzi osservabili Molti beni e servizi culturali sono in realtà misti, sia privati che pubblici  es. quadro di Van Gogh, può essere comprato come un oggetto d'arte il cui valore in quanto bene privato è godibile solo da chi lo possiede o lo ammira. Al tempo stesso il quadro, in quanto elemento di storia dell'arte, presenta tutte le caratteristiche di un bene pubblico per gli storici, gli amanti dell'arte e il pubblico in generale.  Consumo individuale di beni culturali privati: possiamo misurare ciò a cui i consumatori sono pronti a rinunciare per poter acquistare tali beni e costruire una funzione di domanda. Quando le funzioni di domanda sono combinate con le funzioni di offerta, che riflettono i costi marginali affrontati per produrre i beni, un mercato privato potrebbe raggiungere l'equilibrio. Il consumo culturale può essere interpretato come un processo che contribuisce sia alla soddisfazione immediata sia all'accumulazione di conoscenza e di esperienza che guiderà il consumo futuro  dunque la domanda può influenzare il prezzo secondo criteri che vanno oltre l'immediata valutazione del bene in questione. Al tempo stesso dal lato dell'offerta le condizioni standard che determinano il prezzo nei mercati concorrenziali non sempre si verificano nel mercato dei beni culturali  es. i produttori (specialmente gli artisti creativi) potrebbero non essere interessati a massimizzare il profitto. Quindi nonostante il prezzo sia solo un indicatore limitato del valore economico dei prodotti culturali privati di mercato, viene spesso utilizzato in quanto è l’unico indicatore disponibile  per questo motivo si sono compiuti notevoli sforzi per giungere a formulare delle stime del valore di diversi beni e servizi culturali nelle economie di mercato del mondo. L'impatto economico delle organizzazioni culturali sulle economie locali, regionali e nazionali viene valutato facendo riferimento ai prezzi di mercato e ai volumi di prodotto (gli incassi dei botteghini per le compagnie teatrali / la vendita di biglietti d'ingresso per i musei e le gallerie ecc…)  Consumo collettivo dei beni culturali pubblici: anche in questo caso è possibile utilizzare le procedure standard delle misurazioni economiche così come nuove tecniche quali il metodo della valutazione contingente (MVC)  cerca di attribuire un valore economico alle esternalità o beni pubblici valutando quale sarebbe la funzione della domanda se fosse espressa attraverso i normali 5 canali di mercato. Quando si valuta la domanda di beni pubblici nascono dei problemi a causa dei limiti delle stesse tecniche di misurazione  es. nonostante la MVC abbia fatto progressi notevoli negli ultimi anni, rimangono alcune difficoltà metodologiche, come la natura ipotetica degli scenari di mercato. Studio del 1983: è stata calcolata la disponibilità a pagare dei consumatori australiani (in termini di tassazione) per le opere d’arte pubbliche  il valore economico medio che i contribuenti australiani attribuivano superava quello delle tasse che dovevano pagare per finanziare il sostegno pubblico alle arti in quello stesso anno. Per concludere: nonostante le limitazioni teoriche e pratiche, è possibile utilizzare i metodi di valutazione convenzionali per stimare il valore economico dei beni pubblici culturali  i risultati ottenuti possono essere accettati quali indicatori. 3. Il valore culturale Le origini del valore in ambito culturale sono abbastanza diverse da quelle del valore in ambito economico. Qual è la natura del valore che una comunità attribuisce alle tradizioni che rappresentano la sua identità culturale? Es. a cosa ci riferiamo quando diciamo che gli affreschi di Giotto hanno un valore per la storia dell'arte? Non sembra appropriato parlare di gusti personali, di utilità o di prezzo. Per identificare il valore all'interno di un ampio contesto culturale bisogna cominciare dal suo principio fondamentale: che esso rappresenta caratteristiche positive piuttosto che negative, che il suo orientamento è verso ciò che è buono invece che cattivo  principio del piacere come guida delle scelte umane, ma al tempo stesso potrebbe risultare insufficiente identificare il valore culturale con il semplice edonismo. Una lunga tradizione del pensiero culturale sostiene che il vero valore di un'opera d'arte risiede nelle sue intrinseche qualità estetiche, artistiche o più in generale nel suo valore culturale  naturalmente i giudizi saranno diversi da individuo a individuo, sebbene vi possa essere un consenso sul valore culturale essenziale di certi elementi per garantire la loro promozione a canone culturale (il museo diventa depositario di questo valore culturale)  nel tempo le cose possono cambiare, opere che venivano considerate contro l'establishment sono entrate a far parte del canone. Nel periodo postmoderno le nuove metodologie hanno messo in discussione l'ideale tradizionale che l'armonia e la regolarità fossero l'aspetto centrale del valore culturale  il concetto di valore viene considerato mutevole e di più ampio significato. Tuttavia il postmodernismo non riesce ad offrire un quadro teorico soddisfacente di come il valore possa essere interpretato e valutato. A causa di tali incertezze la cultura contemporanea parla di una «crisi di valori». Si potrebbe uscire da questa condizione accettando le seguenti condizioni: 1. Ricordare la distinzione tra estetica e sociologia della cultura: dovrebbe essere possibile separare il giudizio puramente estetico ed individuale da un contesto sociale o politico più ampio in cui il giudizio sul valore viene elaborato 2. Dovrebbe essere possibile, dato un sufficiente livello di regolarità nelle risposte individuali, arrivare ad una soluzione consensuale in casi di un certo interesse  potrebbe accadere che la gente si trovi d'accordo in quanto condizionata dall'ambiente sociale o dalle influenze esterne 3. Non dovrebbe essere difficile ammettere che il valore culturale sia mutevole, presenti diverse sfaccettature e non possa essere limitato ad un solo settore 6 4. Si dovrebbe accettare il fatto che una misurazione del valore potrebbe non essere possibile, in quanto alcuni dei fenomeni considerati potrebbero non essere misurabili secondo i classici standard quantitativi o qualitativi A patto che queste condizioni generali vengano accettate, potremmo giungere ad una definizione più accurata del concetto di valore culturale. Si potrebbe descrivere un'opera d'arte secondo una serie di caratteristiche del valore culturale quali:  Il valore estetico: bellezza, armonia, forma ecc…  Il valore spirituale: si può riconoscere in un contesto religioso (l'opera ha un particolare significato culturale per i membri di una fede) o in un contesto secolare (qualità interiori condivise da tutti gli esseri umani). Gli effetti benefici del valore spirituale comprendono la comprensione, l'apertura mentale e l'intuito  Il valore sociale: l'opera può comunicare un senso di relazione con gli altri e contribuire alla comprensione della natura della società in cui viviamo  Il valore storico: connessioni dell’opera con la storia  Il valore simbolico: le opere d'arte esistono in quanto depositari e portatori di significato  Il valore di autenticità: si riferisce al fatto che l'opera è la vera, originale e unica Ciò nonostante, i problemi di valutazione restano. Per stabilire il valore culturale possono essere utilizzati diversi metodi di valutazione. che comprendono:  La mappatura: descrizione dell'oggetto studiato sotto forma di una mappatura fisica, geografica, sociale e antropologica, per fornire un quadro complessivo  La «thick description»: descrizione interpretativa di un oggetto culturale, di un ambiente o di un processo che inquadra fenomeni altrimenti inspiegabili, mettendo in luce i sistemi culturali in cui tali oggetti sono stati creati e che approfondisce la comprensione del contesto e del significato del comportamento osservato  L'analisi attitudinale: comprende diverse tecniche valutative, tra cui i metodi di ricerca sociale, le misurazioni psicometriche ecc…  L'analisi del contenuto: indicata per misurare varie interpretazioni del valore simbolico di un'opera  Il giudizio degli esperti: essenziale se si devono formulare dei giudizi estetici, storici e di autenticità, in cui le conoscenze specialistiche, la formazione e l'esperienza possono condurre ad una valutazione più competente. I metodi che abbiamo presentato possono offrire in certi casi qualche possibilità di misurare alcuni aspetti del valore culturale, ma in altri la valutazione può fallire non solo per mancanza di strumenti di misurazione, ma a causa della natura molteplice dei fenomeni stessi  In conclusione, può esserci un senso di crisi nella teoria contemporanea del valore culturale, ma questo non deve scoraggiarci dal cercare di articolare con maggiore chiarezza cosa sia il valore culturale e come si formi. Capitolo 6: Industrie culturali 7 Per molto tempo questi “non-hit” non sono neanche stati presi in considerazione, nonostante siano la stragrande maggioranza  la maggior parte dei film non diventa un successo / la maggior parte dei brani incisi non entra nella top 100 / la maggior parte dei libri non è composta da best-seller ecc… Ogni giorno che passa il mercato di massa si sta tramutando in una massa di nicchie è sempre esistita, ma oggi grazie a internet è molto più semplice per i consumatori trovarli  molti di questi prodotti sono sempre stati sul mercato, solo che non erano visibili o non erano facili da trovare, ora sono disponibili grazie a Netflix, iTunes, Amazon ecc…, il mercato invisibile è diventato visibile. Il nuovo mercato di nicchie non sta sostituendo il tradizionale mercato di hit, sta solo dividendo, per la prima volta, la scena con quest’ultimo. La regola del 98% All’origine di questo libro c’è una domanda cui diedi una risposta sbagliata: nel gennaio del 2004 ero nell’ufficio di Robbie Vann-Adibé, il direttore generale di Ecast, una società di “jukebox digitali”, dotati di una connessione a banda larga con internet, in cui i clienti possono scegliere tra le migliaia di brani scaricati e immagazzinati nell’hard disk locale. Durante la nostra conversazione, Vann-Adibé mi chiese di indovinare quanti, dei 10 000 album disponibili sui jukebox, avessero venduto almeno un brano a trimestre. Di norma la risposta corretta sarebbe stata il 20%, in base alla regola dell’80/20  il 20% dei prodotti genera l’80% delle vendite. Ma decisi di rischiare, e azzardai che ben il 50% aveva venduto almeno un brano a trimestre. Inutile a dirsi, ero molto lontano dalla risposta corretta, che era il 98%  più la società aggiungeva nuovi titoli alle proprie raccolte, addentrandosi nel mondo delle nicchie e delle sottoculture, e più vendeva. Credo che ciò esiga dei grandi cambiamenti da parte dei produttori di contenuti  se l’offerta è infinita, le nostre teorie circa i rispettivi ruoli di successi e nicchie sono completamente erronee. E se la somma complessiva dei non-hit equivalesse a un mercato grande quanto quello degli hit, se non di più? La risposta era evidente: avrebbe trasformato radicalmente alcuni dei più importanti mercati del mondo. Così mi imbarcai in un progetto di ricerca che mi avrebbe portato da tutti i leader dell’emergente industria digitale dell’intrattenimento, da Amazon a iTunes. Dovunque andassi, sentivo sempre la stessa storia: gli hit sono fantastici, ma sono le nicchie a emergere come nuovo grande mercato. La regola del 98% dimostrò una validità pressoché universale:  La Apple disse che ogni brano di iTunes aveva venduto almeno una volta  Netflix calcolò che il 95% dei suoi DVD veniva noleggiato almeno una volta a trimestre  Per quanto riguarda Amazon una ricerca accademica sulle vendite librarie suggerì che il 98% dei suoi 100 000 libri più importanti aveva venduto almeno una copia a trimestre. Mi resi conto che, per la prima volta, stavo guardando la vera forma della curva di domanda presente nella nostra cultura, una domanda non filtrata dall’economia della scarsità  è una curva strana, perché di solito quando pensiamo alla vendita al dettaglio pensiamo a cosa potrà vendere molto, es. ad un rivenditore tradizionale non interessa la vendita occasionale, perché un CD che vende una sola copia a trimestre occupa esattamente lo stesso centimetro di spazio sullo scaffale di un CD che ne vende 1000. Quel centimetro ha un valore (l’affitto, le spese fisse, i costi per il personale ecc…) che dev’essere ripagato da un certo tasso mensile di rotazione delle scorte. Ma se quello spazio non costa nulla, all’improvviso puoi riprendere in considerazione quelle vendite sporadiche, che cominciano così ad acquisire valore. Fu questa l’intuizione che accomunò Amazon, Netflix ecc…: se l’economia delle vendite tradizionali perdeva colpi, l’economia della vendita online continuava a marciare. Per tutta la prima metà del 2004 ho arricchito questa ricerca durante le mie conferenze, fino a che non rappresentai i dati con un grafico e mi accorsi di avere di fronte una curva che non avevo mai visto prima: cominciava come qualsiasi altra curva di domanda, ordinata in base alla popolarità  alcuni hit erano stati scaricati un gran numero di volte, e corrispondevano alla “testa” della curva, che poi si abbassava 10 drasticamente con i brani meno popolari. Ma la cosa veramente interessante era che non raggiungeva mai lo zero. Per quanto potessi vedere, c’era sempre domanda: all’estremità più lontana della curva, i brani venivano scaricati solo quattro o cinque volte al mese, ma la curva, comunque, non era a zero  in statistica queste curve sono dette distribuzioni a coda lunga, perché la “coda” della curva è molto lunga rispetto alla “testa”. Perciò non feci altro che concentrarmi su quella coda e darle la dignità di un nome: era nata la coda lunga. Quando La coda lunga uscì su “Wired”, nell’ottobre del 2004, diventò in breve tempo l’articolo più citato mai pubblicato dalla rivista. Le tre osservazioni principali: 1. La coda della varietà disponibile è molto più lunga di quanto pensiamo 2. Oggi è a portata di mano dal punto di vista economico 3. Tutte quelle nicchie, se aggregate, possono equivalere a un mercato significativo Code dappertutto Uno degli aspetti più incoraggianti dell’entusiasmo con cui venne accolto il pezzo di “Wired” fu che se ne parlò in ambienti molto diversi. Originariamente l’articolo era un’analisi della nuova economia dell’industria dei media e dell’intrattenimento, ma i lettori videro la coda lunga dappertutto (politica / spartiti musicali / sport universitari ecc…) Sebbene questo fenomeno sia più evidente nell’intrattenimento e nei media, basta andare su eBay per vederlo in azione in altri ambiti  è chiaro che la storia della coda lunga riguarda l’economia dell’abbondanza, ovvero ciò che succede quando gli imbuti che nella nostra cultura tengono lontane offerta e domanda cominciano a scomparire e tutto diventa disponibile a chiunque. Spesso mi viene chiesto di nominare una categoria che sfugga all’economia della coda lunga  inizialmente pensavo alla merce indifferenziata, dove la varietà non solo è assente, ma indesiderata, es. la farina, poi mi capitò di entrare in un grosso negozio di alimentari e mi accorsi del mio errore: oggi i negozi espongono più di venti tipi diversi di farina  esiste una “coda lunga delle farine”. L’economia del XXI secolo: un’anticipazione Prima della pubblicazione del libro ero solito analizzare molti temi insidiosi sul mio blog  io scrivevo un pezzo provvisorio sul modo in cui sta cambiando la regola dell’80/20, e decine di lettori rispondevano con commenti, e-mail, oppure con un loro pezzo, per suggerire aggiustamenti o migliorie. In qualche modo questo brainstorming pubblico è riuscito ad attrarre una media di oltre 5000 lettori al giorno. La mia speranza è che da questo stesso processo sia scaturito un libro migliore, o perlomeno più aderente alla realtà. Vorrei però sottolineare che è vero che sono stato io a coniare l’espressione “la coda lunga”, ma non è mia l’idea di usare l’efficiente economia della vendita online per aggregare un grande inventario di articoli che si vendono relativamente poco. Quel merito va a Jeff Bezos (1994 circa)  la maggior parte delle cose che ho appreso deriva dai miei colloqui con lui. In questo caso, i veri inventori sono questi imprenditori, quel che ho cercato di fare è di sintetizzare i risultati in uno schema. Capitolo 1 - La coda lunga: Come la tecnologia sta trasformando i mercati di massa in milioni di nicchie Nel 1988 Joe Simpson scrisse un libro intitolato “Touching the Void”, un resoconto di una scalata quasi fatale sulle Ande peruviane. Nonostante le recensioni positive, l’opera ebbe un successo modesto, e finì presto nel dimenticatoio. Dieci anni dopo, “Into Thin Air” di Jon Krakauer, un altro libro su una tragedia alpina, divenne un caso editoriale. All’improvviso, Touching the Void ricominciò a vendere, all’inizio del 11 2004 la IFC Films fece uscire un film ispirato al libro di Simpson e le vendite di Touching the Void surclassarono quelle di Into Thin Air (con un rapporto di due copie a una)  Cos’era successo? Quando Into Thin Air venne pubblicato, alcuni lettori scrissero delle recensioni su Amazon evidenziando le similarità con il meno noto Touching the Void, che coprirono di lodi. Altri utenti lessero le recensioni, andarono a vedere il libro e lo aggiunsero al carrello della spesa. Ben presto il software dei librai online notò uno schema ricorrente nel comportamento dei clienti e cominciò a raccomandare i due libri accoppiati. Una decina di anni fa i lettori di Krakauer non sarebbero mai venuti a sapere del libro di Simpson, e in ogni caso non avrebbero potuto trovarlo. Le librerie online hanno cambiato tutto ciò, grazie alla combinazione di uno spazio espositivo infinito e un’informazione in tempo reale sui trend di acquisto e sull’opinione pubblica. La scelta illimitata ci sta rivelando delle verità su quello che i consumatori vogliono e su come vogliono ottenerlo: la gente si immerge nel catalogo e più trovano, più sono soddisfatti. Allontanandosi dalla strada battuta, scoprono che il loro gusto non è mainstream come pensavano  se l’industria dell’intrattenimento del XX secolo ruotava intorno agli hit, quella del XXI ruoterà attorno alle nicchie. La dittatura della localizzazione I venditori tratteranno solo gli articoli in grado di generare sufficiente domanda da autosostentarsi (es. CD che vendono almeno 4 copie all’anno), inoltre possono contare solo su una limitata popolazione locale (es. qualche km). Nel secolo scorso l’intrattenimento ha offerto una facile soluzione a queste costrizioni: dedicarsi a sfornare hit  sono l’effetto della combinazione tra conformità e passaparola. Ciononostante la maggior parte di noi vuole qualcosa di più, più esploriamo le alternative, più ne siamo attratti. Sfortunatamente, fino a pochi anni fa, quelle alternative erano relegate ai margini. L’economia incentrata sugli hit è la creazione di un’epoca in cui mancava lo spazio per offrire tutto a tutti: non abbastanza scaffali per contenere tutti i CD, DVD e videogiochi prodotti / non abbastanza schermi per proiettare tutti i film disponibili ecc…  questo è il mondo della scarsità. Ora, con la distribuzione e la vendita online, stiamo entrando nel mondo dell’abbondanza. Mercati senza fine Per capire meglio il mondo dell’abbondanza, torniamo al negozio di musica online Rhapsody, un servizio streaming fruibile grazie ad un abbonamento. La figura sottostante è un grafico che illustra le 25 000 tracce più scaricate da Rhapsody nel dicembre 2005. La prima cosa che salta agli occhi è che tutta l’attività sembra limitarsi a un minuscolo numero di brani sulla parte sinistra del diagramma (le hit)  se foste voi a gestire un negozio musicale (es. Walmart) e aveste una 12 La maggioranza nascosta Più del 99% degli album musicali oggi sul mercato non è disponibile da Walmart / di oltre 200.000 tra film, programmi televisivi, documentari e altro materiale video distribuito commercialmente, un Blockbuster medio ne tratta sì e no 3000. Lo stesso vale per qualsiasi altro rivenditore di punta e praticamente per qualsiasi altro articolo, dai libri agli accessori per la cucina. La grande maggioranza dei prodotti non è disponibile nel negozio sotto casa  per necessità l’economia di vendita tradizionale, fondata sugli hit, limita la scelta. SHOPTAINMENT: VERSO IL MARKETING DELL’ESPERIENZA - CODELUPPI 1. Il marketing che produce esperienze I luoghi d’acquisto stanno diventando la più importante frontiera di evoluzione delle strategie aziendali: ciò avviene non soltanto perché il tempo che gli individui dedicano allo shopping sta sempre più aumentando, ma anche perché le imprese si stanno orientando verso una nuova concezione del marketing che è stata definita «estetica» ed «esperienziale»  insieme di strategie che cercano di far sperimentare al consumatore delle sensazioni fisiche ed emotive durante l’esperienza con il prodotto e la marca, stimolate dall’aspetto dei nuovi spazi di vendita. Tutto ciò è nato nel ‘700 con la comparsa della vetrina, un fondamentale mezzo di comunicazione che prevede una continua produzione di innovazioni in grado di suscitare un effetto sorpresa. Al processo di crescita sul piano quantitativo delle dimensioni dei luoghi del consumo si è perciò affiancato un processo teso a far assumere a tali luoghi anche dei ruoli e dei significati particolari, a trasformarli cioè in potenti «macchine per comunicare» che operano su un piano prevalentemente spettacolare  si punta sempre più massicciamente sullo sfruttamento di uno specifico tema, ovvero sulla «tematizzazione», che dovrebbe essere già conosciuta dal fruitore e consentire pertanto di ottenere un elevato coinvolgimento di quest’ultimo. Mark Gottdiener ha sviluppato una classificazione dei temi che sono stati sinora più impiegati in tale ambito: lo status, il paradiso tropicale, il selvaggio West, le civiltà classiche, la nostalgia, la fantasia araba, il motivo urbano, il modernismo e il progresso ecc… Fondamentale è presentare il tema scelto in modo da dare vita ad un’esperienza. Non è più possibile ragionare impiegando soltanto categorie del marketing tradizionale come i benefit dei prodotti in un’epoca in cui essi sono resi sempre più simili dall’elevato tasso di concorrenzialità presente nei mercati. Per differenziare i prodotti, è necessario poter offrire in più al consumatore l’emozione di un’esperienza, che non annulla i benefit e le funzioni dei prodotti, ma li integra in una nuova sintesi che tiene conto della complessa articolazione della personalità di ogni consumatore  le esperienze infatti «forniscono valori sensoriali, emozionali, cognitivi, comportamentali e relazionali». 15 Ma quali sono gli elementi che una marca può utilizzare per produrre un’esperienza per il consumatore? Schmitt li indica come Sem (Strategic Experiential Modules), e li definisce come segue:  Sense: tutto ciò che stimola i cinque sensi dell’individuo  Feel: ciò che consente di creare emozioni positive  Think: ciò che consente di sviluppare esperienze razionali e «problem solving», ma in grado comunque di coinvolgere  Act: mostra come fare e dice di fare qualcosa, presenta cioè uno stile di vita  Relate: collega il singolo individuo alle altre persone e alla cultura sociale più in generale 2. L’esempio dei concept store, ovvero il negozio a tema Quello che è stato detto vale per tutti i punti vendita, ma esiste una particolare categoria di luoghi d’acquisto per la quale risulta particolarmente evidente: i concept store  le aziende di produzione stanno allargando il loro ambito di attività, affiancando all’attività produttiva anche quella di distribuzione diretta dei prodotti ai consumatori (riduzione dei costi e comunicazione migliore dell’identità dei prodotti e delle marche anche nel momento dell’acquisto). A partire dagli anni ‘80 molte aziende hanno incominciato a creare dei punti vendita tematici come i concept store, dei luoghi in cui le componenti ruotano tutte attorno ad un’unica tematica e dove ciò che si vuole vendere è la gratificante esperienza che il consumatore può provare nel negozio stesso, che deve esprimere una vera e propria «filosofia» dell’azienda. Una delle prime aziende a credere sino in fondo nelle potenzialità dei concept store è stata quella dello stilista Ralph Lauren  il tema era quello dell’americanità legata al passato, la nostalgia nasce proprio dal bisogno di certezze. Più o meno negli stessi anni l’azienda d’abbigliamento Banana Republic furoreggiava con i suoi altrettanto spettacolari concept store (oggi scomparsi), ispirati alle esotiche avventure dell’eroe filmico Indiana Jones / Timberland incominciava ad aprire i suoi punti vendita tematici che richiamano direttamente i boschi e le fattorie del New England e che rimandano inoltre ai quattro elementi naturali. Tra le tante catene di concept store che si sono sviluppate negli ultimi anni si possono ricordare anche gli Original Levi’s Store, i Diesel Store, i Disney Store ecc… Un discorso particolare meritano i luoghi creati da Sony, che nel 1995 ha aperto a New York uno spazio con legni pregiati, eleganti mobili imbottiti e molto velluto, che fanno da contrasto al minimalismo essenziale dei prodotti elettronici dell’azienda / oggi sono anche a San Francisco, a Berlino e a Tokio. Ma, dal punto di vista della tematizzazione, sono soprattutto interessanti i dieci negozi Nike Town aperti nel corso degli anni ’90. Quello di New York è un luogo adatto all’esposizione, più che alla vendita, il posizionamento degli ascensori sulla destra invitano le persone ad entrare e le portano in alto: più i clienti vengono sospinti nei meandri del magazzino, più aumentano le probabilità che comprino. Nell’atrio è presente un gigantesco orologio sportivo che esegue un conto alla rovescia di trenta minuti: quando arriva al minuto 00.00 un immenso telone discende per tutta la lunghezza dell’atrio e viene proiettato uno spot pubblicitario della Nike  il trucco è che il cliente rimarrà nel centro commerciale per la proiezione successiva. Il cliente può usare il sistema digitale di misura NGAGE per eseguire un accurato scanning a raggi infrarossi dei propri piedi. E se uno decide di comprare un paio di scarpe, queste vengono trasportate dallo scantinato al negozio in un tubo trasparente. Ci sono vetrine “tocca e senti” interattive per i tessuti Nike e i materiali per le suole  i clienti acquistano con più probabilità vestiti che è possibile provare. Inoltre non è stato trascurato il fondamentale aspetto della relazione sensoriale con il consumatore, con un sofisticato sistema di suoni, immagini e luci. Nel negozio di Chicago, troviamo ad esempio uccelli che cinguettano nel reparto dell’outdoor, palline che rimbalzano nel reparto del tennis, rumori di scarpe che corrono e di rimbalzi del pallone nel reparto del basket ecc… Sono riusciti inoltre a trasmettere al meglio la fascinazione esercitata dal mondo del grande sport  non mancano collezioni d’oggetti appartenuti ad atleti sponsorizzati da Nike e «oggetti culto» dei più grandi campioni. Ovviamente viene comunicata con forza anche l’identità della marca 16 Nike, come testimonia la pervasività dello «swoosh», presente dappertutto: negli espositori dei prodotti, negli ascensori, nelle maniglie delle porte e nella balaustra delle scale. Ed è inoltre ripreso ed amplificato anche attraverso l’ampia presenza di forme ellittiche nel punto vendita (sedili, espositori, oblò). Il tema che Sephora ha scelto di sviluppare è il minimalismo, il quale viene proposto attraverso un raffinato mix di estetica giapponese e filosofia New Age. Gli spazi di vendita si sviluppano solitamente in lunghezza e presentano un arredamento attraversato da righe orizzontali bianche e nere, i codici cromatici che distinguono la marca sul piano visivo. Ma, in generale, l’attenzione per l’immagine di marca è elevata, es. le venditrici, vestite con una divisa nera di sapore orientale, indossano un lungo guanto nero al braccio destro. Per ragioni funzionali (non lasciare impronte sul vetro dei flaconi) ma anche per ragioni d’immagine: le due braccia, infatti, riprendono il succedersi di fasce bianche e nere dell’ambiente circostante. 3. Il caso di Starbucks Coffee Tra tutti gli esempi possibili, però, spicca soprattutto quello di Starbucks Coffee, azienda che è riuscita nella difficoltosa impresa di fare apprezzare l’esperienza del caffè all’italiana agli statunitensi, arrivando ad aprire oltre 2.000 luoghi di vendita, concentrati soprattutto negli Stati Uniti ma sempre più diffusi anche nel resto del mondo. La principale ragione del suo successo è che vuole offrire la possibilità di degustare le sue bevande in locali piacevoli, caldi e rilassanti. Tali luoghi sono tutti diversi tra loro, ma conservano comunque dei tratti d’identità comuni, a cominciare dal mix ben pianificato di materiali organici e materiali prodotti dall’uomo. Starbucks, inoltre, presenta il caffè come una salutare alternativa all’alcol, ma soprattutto come un prodotto con una profonda cultura alle spalle che è necessario conoscere e valorizzare. In generale comunque la proposta di Starbucks è basata sul valore del calore e dell’accoglienza, è quasi uno spazio mentale regressivo e materno, dove è piacevole perdersi. Al fine di preservare il buon odore del caffè, nei suoi locali è vietato fumare, sono banditi i cibi cotti o fritti e al personale viene consigliato di non impiegare profumi troppo intensi, che potrebbero compromettere l’aroma che dev’essere dominante: quello del caffè. Ma l’esperienza olfattiva viene associata anche alla vista, alla fruizione dell’ambiente, dove i silos di vetro che stanno dietro il bancone e contengono i chicchi di diversa provenienza sostanziano anche visivamente la promessa di una buona tazzina di caffè. Non è un caso, allora, che i colori delle lampade, dei muri e dei tavoli imitino le tonalità del caffè, dal verde al marrone chiaro e scuro. Inoltre, anche il tatto è un senso che viene sollecitato dall’estetica proposta nei locali di Starbucks: le confezioni che contengono il caffè sono lisce e soffici al tatto, sebbene con un supporto rigido. E da Starbucks non manca anche la possibilità di fare un’esperienza sonora importante, la musica di sottofondo è scelta per associarsi con facilità al profumo di caffè, ma ad essa si aggiungono anche i rumori tipici della macchina, il colpo del filtro, la discesa dei chicchi nei contenitori di vetro, il sobbollire del latte riscaldato, ecc… 17 Tratti pertinenti Attraverso le tre diverse modalità di progettazione si creano oggetti complessi che possono essere considerati ecosistemi narrativi. Il caso della progettazione a ecosistema è evidentemente quello più palese, poiché un prodotto seriale viene progettato fin dall'inizio come una costellazione di contenuti e di narrazioni fruibili dagli utenti secondo modalità e tempistiche molto diverse tra loro. Ma gli ecosistemi narrativi possono essere originati anche in seno agli altri modelli di progettazione illustrati in precedenza. I testi seriali sono stati a lungo considerati come prodotti progettati per un supporto specifico, ma il concetto di ecosistema narrativo dimostra che essi sono prodotti per un pubblico attivo, che può accedere a questi contenuti attraverso dispositivi diversi. Gli ecosistemi narrativi presentano le seguenti caratteristiche:  Sono sistemi aperti, abitati da forme narrative, personaggi, fruitori, che si modificano nello spazio e nel tempo  Sono strutture interconnesse che si configurano attraverso meccanismi di rimediazione e di intermedialità  rimando / citazione / sequel /prequel / spin-off / crossover  Tendono a raggiungere e a mantenere nel tempo un certo equilibrio, orchestrando un mondo durevole anche al di fuori dello spazio ristretto dello schermo, pur modificandosi secondo linee di sviluppo difficilmente prevedibili  Sono sistemi non procedurali: la materia narrativa è un universo percorribile dall'utente e in cui l'esperienza può essere riconfigurata in maniera non predeterminata ≠ le forme narrative procedurali sono soltanto locali (singolo episodio) o confinate ai singoli archi narrativi  Gli ecosistemi narrativi sono formati da una componente abiotica e da una componente biotica (secondo il modello degli ecosistemi naturali). La componente abiotica è rappresentata dal contesto mediale, mentre la componente biotica è rappresentata dalle forme narrative. La materia narrativa è prevalente ed è una materia viva, soggetta a processi di competizione, adattamento, cambiamento; mentre la componente abiotica è data dal sistema dei media in cui le forme seriali sono inserite Ambienti da abitare Abitare un ecosistema narrativo è un'esperienza distribuita che genera partecipazione e sollecita ulteriore consumo. La narrazione non possiede più un unico centro d'irradiazione, tende piuttosto a svilupparsi su strade diverse. Oltre alla serialità vi sono altre aree in cui il modello ecosistemico della comunicazione digitale è emergente, es. case study proposto da Kai Pata sulle comunità di scrittura online: ha monitorato due gruppi, nel primo caso di dodici studenti estoni e due supervisori per più di un mese, nel secondo caso un campione più numeroso, per una settimana. I partecipanti dovevano disporre di una dotazione tecnologica minima (computer, fotocamera digitale, smartphone) e caricare almeno una volta al giorno una foto su Flickr o siti simili, accompagnandola con un commento narrativo sulla loro "esperienza estone"  ha dato vita a un ecosistema caratterizzato da una collaborazione narrativa (contenuti autonomi, commenti a contenuti precedenti o a storie di altri partecipanti, aggiunta di materiali visivi a racconti di altri partecipanti ecc…) Le comunità di scrittura on line avevano già ricevuto attenzione da parte degli studiosi dei media, es. Henry Jenkins studia l'attivazione di scritture partecipate a proposito di Harry Potter. Ma il caso studio di Kai Pata differisce per una serie di motivi: 20  Non c'è un testo matrice che fa da albero dal quale partono le diramazioni: le conversazioni intorno a Harry Potter sono regolate dalla fonte istituzionale di produzione di un messaggio. Nell' ecosistema di scrittura ibrido studiato da Pata invece non c'è un testo centrale di partenza, ci sono invece svariati punti di accesso a diverse storie  il sistema è policentrico, abitato da racconti e gruppi di storie "sparse" nell'ecosistema stesso, è un sistema a nicchie equidistribuite  Scarto tecnologico rispetto all'uso generico dei programmi per creazione di contenuti, grazie alla diffusione di sistemi mobili integrati e alle tecnologie di geolocalizzazione: nell’esperimento ci si è accorti che spesso le storie più seguite erano quelle in cui il narratore non solo aveva caricato una foto di un luogo con un racconto di una propria esperienza legata a esso, ma aveva anche reso possibile cercare quello stesso luogo fisico su Google Maps o altri sistemi di localizzazione  Enfasi maggiore sull'elemento spazio-ambientale: chi accede al sistema può "scegliere" delle storie, seguirne l'evoluzione e contribuire al loro sviluppo  per farlo deve spostarsi nell'ambiente, privilegiando certi percorsi rispetto ad altri (diventa così un'esperienza di percorso spaziale più che un semplice percorso narrativo), l'ecosistema studiato da Pata è un campo da gioco L'approccio a ecosistema mette in luce gli aspetti rilevanti della produzione mediale contemporanea: la complessità (non è catturata da schematizzazioni narrative canoniche) e la dinamicità (universi narrativi durevoli). Flussi Un aspetto importante consiste nel chiedersi come interagiscano i sottoinsiemi, gli attori e gli elementi interni, quali siano le tipologie di flusso che si sviluppano negli ecosistemi mediali. Finora sono state descritte soprattutto due dinamiche di flusso: 1. Verticale: legata al broadcasting 2. Orizzontale: legata alle dinamiche grassroots L'insufficienza di questo modello bidirezionale è stata di recente messa sotto osservazione da Scaglioni, il quale considera la televisione italiana un medium ancora dotato di una notevole centralità nell'industria nazionale dei media. Scaglioni invita a considerare il medium televisivo in una prospettiva integrata, cioè in grado di connettere fra loro i diversi flussi che attraversano il sistema convergente dei media. Il medium televisivo si organizza intorno a quattro poli: 1. Istituzionale 2. Testuale 3. Tecnologico 4. Del pubblico Ogni polo è legato agli altri da dinamiche specifiche e dalla presenza di elementi che interagiscono tra loro in modo non lineare. Dunque parlare di flussi significa anche avere a che fare con problemi di logistica  attività di organizzazione, gestione, movimentazione, coordinamento di flussi di materiali e informazioni lungo una rete produttiva e distributiva articolata. Parametri di usability, nuovi modelli di business, policies 21 Il sapere narrativo offre all'utente non tanto delle storie, quanto piuttosto delle user experience  parallelismo con le tendenze del marketing contemporaneo: abbiamo a che fare con narrazioni, piuttosto che con prodotti. Diventa allora importante chiedersi quanto incidano il design e l'ergonomia (rapporto tra oggetto e anatomia e psicologia umana) sull' utilizzo che si fa dei contenuti mediali. Negli ecosistemi il ruolo del design narrativo modella gli oggetti sulla base delle conoscenze e delle abilità necessarie a fruirli  es. Lost, presenza di elementi di ridondanza narrativa interna al testo per orientarsi meglio nel mondo complesso. Esperienze ponte: esperienze in cui l'utente si muove attraverso molteplici canali di comunicazione, oggetti e formati. Le esperienze ponte emergono dalla necessità di collegare direttamente le attività che si verificano nel mondo digitale con quelle che hanno luogo nel mondo fisico, al fine di costruire relazioni durevoli tra l'utente e l'oggetto del suo interesse. Una caratteristica di alcuni modelli narrativi è una matrice da cui si irradiano una serie di oggetti collegati, spesso fruibili su diverse piattaforme  concept capaci di favorire forme di riproducibilità che, dal punto di vista economico, sembrano comportare rischi minori in funzione di un pubblico già parzialmente acquisito. Le prospettive di business e di redditività dei prodotti sono cambiate molto negli anni, negli ecosistemi gli utenti diventano parte integrante del funzionamento del sistema sia dal punto di vista narrativo (strategie di engagement) sia dal punto di vista economico e dei modelli di business (forme di crowdsourcing e crowdfunding). Nel panorama contemporaneo il consumo di prodotti mediali non è più orientato al consumo semplice del singolo oggetto (il film, la serie tv), si è trasformato in un consumo di beni-esperienza, per cui l'attività di consumare e quella di fare esperienza di un determinato prodotto mediale sono diventate sovrapponibili. La redditività per i produttori non viene più dal singolo oggetto narrativo, ma dal sistema complesso all'interno del quale esso è inserito (es. merchandising, prodotti ancillari ecc…). Lo scenario che si delinea è dunque quello tipico dei two-sided market  reti economiche in grado di agire su almeno due distinti gruppi di utenti interrelati in modo diverso tra loro: il mercato degli utenti finali e quello degli inserzionisti. I nuovi modelli di business stanno generando nuove policies da parte degli attori istituzionali (stati, organismi sovranazionali, broadcaster) per affrontare i problemi legati alla logistica dei flussi  es. con siti come YouTube il problema della pirateria si fa ancora più serio e complesso. Per tutte le ragioni che abbiamo visto finora ci pare auspicabile che la prospettiva ecosistemica trovi spazio nell'ambito dei media studies: un'inclusione che allarga l'osservazione a oggetti di studio e metodi di analisi in grado di affrontare la complessità che abbiamo cercato di descrivere fin qui. 22 può esercitare sul prodotto finale è totale  tra i primi marchi italiani ad aver adottato questa forma di comunicazione c'è Pasta Garofalo che, dal 2008 ha prodotto sei cortometraggi d'autore, le cui storie si intrecciano a quella del pastificio e del suo territorio. Conclusioni Le forme di comunicazione commerciale analizzate in questa sezione sono alternative e complementari ai formati pubblicitari basati sull'interruzione dei contenuti. Riprendendo lo slogan felliniano, si può dire che product placement e branded entertainment non solo non interrompono le emozioni, ma sono essi stessi fonte di emozione per lo spettatore. Nell'ecosistema mediale contemporaneo i contenuti prodotti dalle aziende si trovano a competere per l'attenzione del pubblico con quelli prodotti dai broadcaster, le case di produzione e, in generale, tutte le media companies. In questo senso, dunque, agli advertiser non basta più raggiungere il target. Nell'era della neo-televisione, caratterizzata dalla separazione, gli spot assolvevano per lo più alla funzione fatica ≠ nell'era post-televisiva dell'integrazione la funzione principale del branded entertainment è quella poetica, che pone l'enfasi sul contenuto e sulla forma del messaggio. Da un punto di vista economico, si stima che il mercato italiano del branded entertainment valeva 240 milioni di euro nel 2015, con previsioni di crescita fino a 350 milioni nel 2017. Sono sempre di più le aziende che, accanto o in alternativa alle forme di pubblicità tradizionali, scelgono quelle basate sulla produzione di contenuti originali (soprattutto quelle appartenenti al settore alimentare). Il valore non solo economico ma anche creativo di queste forme di comunicazione è testimoniato dalla creazione, nel 2012, di una categoria "branded entertainment' nell'ambito del Festival internazionale della creatività Cannes Lions. IL MERCATO DELLE LOCATION CINEMATOGRAFICHE CUCCO, RICHERI COME FUNZIONA UNA FILM COMMISSION 1. La scelta delle location: push factors vs. pull factors La mobilità delle produzioni audiovisive è il risultato di una combinazione di Push factors e Pull factors: Push factors: portano un produttore ad abbandonare le tradizionali sedi di riprese e a indirizzarsi verso altri luoghi al fine di conseguire benefici di diversa natura. Le motivazioni possono essere tre: 1. Scelte artistico-creative del regista: opta per una determinata location perché ritiene che questa possa aggiungere un particolare valore al prodotto. 2. Necessità di copione / realismo: es. film tratti da eventi realmente accaduti o da celebri romanzi, dunque il produttore decide di effettuare le riprese nell’ambientazione prevista dal soggetto per conferire al prodotto finale una maggiore autenticità e credibilità. 3. Motivazioni economiche: il produttore sceglie il luogo in cui effettuare le riprese in base a due considerazioni:  Risparmio: risparmio economico che la scelta di una determinata location consente di conseguire  si prendono in considerazione il costo della manodopera locale, la disponibilità di servizi e 25 competenze professionali, le spese di trasferta e di soggiorno della troupe, gli incentivi economici. 1. Guadagno: quanto la scelta di una data location possa contribuire al successo della pellicola  es. location spettacolari, esotiche o inedite consente infatti di conferire ai prodotti un valore aggiuntivo. Tale utilizzo delle location è particolarmente importante all’interno dei prodotti seriali (es. cinepanettoni: che ogni anno ripropongono gli stessi attori, lo stesso contesto delle vacanze natalizie e lo stesso spirito goliardico in location sempre differenti), oppure dei blockbuster statunitensi (i sequel o prequel vengono solitamente girati in un numero superiore di location rispetto all’episodio che li ha preceduti). Sul fronte televisivo il fenomeno si manifesta soprattutto con una proliferazione di serie gemelle a partire dal medesimo franchise, es. CSI: ambientato in tante città diverse. Se nei processi decisionali che sottendono la scelta di una location prevalgono motivazioni di natura artistica e di realismo geografico non si crea nessuna forma di competizione tra i territori, mentre se la produzione adotta come criterio di scelta quello del risparmio e/o del guadagno economico, allora si innesca un processo competitivo che porta varie regioni a concorrere tra loro per attirare le riprese sul proprio territorio. Per attrarre una produzione audiovisiva le istituzioni locali possono adottare diverse misure, tra cui la creazione di una film commission. Pull factors: misure adottate dagli attori locali per attrarre i produttori nei propri territori. 2. Obiettivi e caratteristiche istituzionali delle film commission Le film commission sono degli organismi no-profit creati dalle istituzioni locali al fine di attrarre produzioni audiovisive in un determinato territorio e di offrire loro una serie di servizi gratuiti. L’obiettivo finale è di generare delle ricadute economiche sul territorio (es. aumento delle attività locali, dell’occupazione dei flussi turistici ecc…) che siano superiori alla spesa sostenuta per mantenere in attività la film commission. I servizi offerti dalla film commission vengono talvolta interpretati anche come delle iniziative volte a promuovere e sostenere una forma d’arte (il cinema) e a favorire l’espressione dei talenti locali presenti nel territorio  convinzione errata, la film commission non dispone di strumenti atti a sostenere talenti particolarmente bisognosi o progetti meritevoli che incontrano difficoltà lungo il processo produttivo. Quattro variabili che ci aiutano a comprendere quali sono le principali caratteristiche delle film commission: 1. La copertura territoriale 2. Il modello organizzativo 3. La forma giuridica 4. L’istituzione di afferenza 2.1 Copertura territoriale Una film commission può operare a più livelli di copertura territoriale:  Nazionale: sovraintendono spesso aree molto estese e rispondono per diversi aspetti a vari governi locali. In molti casi le film commission nazionali nascono (oppure erano già presenti ma vengono riconvertite) per coordinare le varie film commission presenti sul territorio, per svolgere un’attività 26 di rappresentanza presso le istituzioni nazionali e di promozione durante importanti appuntamenti internazionali (es. festival del cinema).  Regionale: è il tipo di copertura più diffusa ed esistono due modelli prevalenti: 1. Un’unica sede che gestisce direttamente le attività in tutta la regione 2. Una sede centrale che coordina una serie di uffici distribuiti nelle principali città o aree della regione  Comunale: nascono laddove si ritiene che una data città abbia una particolare vocazione per l’audiovisivo (es. capitali del cinema come Los Angeles / New York) o una rilevanza (storica, artistica, culturale o politica) tale da essere più che probabile un suo inserimento nella narrazione di film, serie televisive, documentari e pubblicità (es. le più importanti città del mondo, in grado di offrire monumenti e paesaggi facilmente riconoscibili). Per molte capitali europee spesso le due casistiche convergono  Locale: operano all’interno di aree non definite da confini geopolitici ma da una specifica omogeneità paesaggistica o da tratti identitari condivisi (es. Fiandre in Belgio / la Costa Azzurra francese)  il lavoro potrebbe essere più complesso in quanto le diverse zone dell’area in cui si opera potrebbero essere sottoposte a regolamentazioni differenti. Generalmente l’istituzione di una film commission è preceduta da un’analisi di vantaggi, svantaggi, opportunità e minacce (analisi SWOT). La valutazione prende in esame quanto il territorio è in grado di servire una produzione audiovisiva e in che misura la sua offerta si differenzia da quella predisposta da altri territori, soprattutto da quelli limitrofi. 2.2 Modello organizzativo È possibile scegliere tra due diversi modelli: 1. Sportello-cinema: è solitamente l’estensione di una struttura preesistente all’interno di un’amministrazione pubblica locale:  Fornisce informazioni di base  Adempie alle procedure burocratiche indispensabili per effettuare le riprese (permessi e autorizzazioni)  Mette in contatto la produzione con gli interlocutori di cui ha bisogno  Non si occupa di agevolazioni e incentivi per le produzioni audiovisive  Non promuove l’uso di professionisti e servizi locali  Non è attivo nella promozione del territorio  Il personale spesso svolge anche altre mansioni per l’amministrazione pubblica e non ha una formazione e delle competenze specifiche nel settore cinematografico 2. Vera e propria film commission (modello prevalente): soggetto che nasce come una nuova entità giuridica creata appositamente per promuovere l’afflusso di produzioni audiovisive nel territorio. La film commission ha una costituzione più complessa rispetto allo sportello cinema e di conseguenza richiede un maggior impegno economico da parte delle istituzioni, e quindi a monte una forte volontà politica di investire strategicamente nel settore dell’audiovisivo.  Collabora a stretto contatto con le istituzioni pubbliche, le aziende e i professionisti del territorio 27 2. Erogazione di borse di studio per seguire corsi di formazione e aggiornamento presso centri specializzati 3.6 Promozione dei servizi offerti Normalmente per far conoscere i propri servizi e l’offerta paesaggistica la film commission organizza una campagna promozionale su scala nazionale / internazionale. Gli strumenti adottati sono tre: 1. Sito web: è importante che sia ricco di informazioni, costantemente aggiornato e facilmente consultabile 2. Brochure: da distribuire in occasione dei più importanti eventi del settore (festival, mercati, convention), deve contenere le principali informazioni del territorio, una selezione di immagini, un elenco delle attività svolte dalla film commission e l’indicazione di eventuali strumenti di sostegno economico 3. Mailing-list: per annunciare le iniziative per inviare costanti aggiornamenti riguardo i servizi offerti e i risultati conseguiti Una particolare attenzione deve essere rivolta anche alla popolazione locale, alla quale lo svolgimento delle riprese può arrecare disturbo  la film commission li deve informare preventivamente in merito alle riprese in corso e alla loro durata, e soprattutto deve far comprendere i benefici (in termini di ricadute economiche e di immagine) che possono derivare. 3.7 Networking La film commission deve adoperarsi in un’intensa attività di networking, una risorsa utile è rappresentata dalle associazioni di film commission attive a diversi livelli territoriali, di cui l’AFCI costituisce la realtà più importante. Per potersi affiliare all’AFCI una film commission deve soddisfare i seguenti criteri:  Offrire una serie di servizi gratuiti  Garantire la propria autonomia rispetto a soggetti terzi che potrebbero nutrire interesse nell’attività svolta dalla film commission  Operare all’interno di un’area geografica circoscritta su mandato di un’istituzione pubblica nazionale o locale  Un membro della film commission deve seguire un corso di formazione organizzato dall’AFCI oppure svolgere uno stage presso una film commission già affiliata all’associazione L’AFCI organizza degli incontri annuali a cui tutte le film commission sono invitate e che rappresentano dei momenti privilegiati per discutere, confrontare esperienze e condividere best practice. Le film commission affiliate vengono inserite nel sito dell’AFCI, nella newsletter e all’interno di una rivista. Inoltre possono prendere parte al Locations Show, un evento ospitato ogni anno a Los Angeles durante il quale ogni film commission ha l’opportunità di presentare il proprio territorio e le proprie attività alla comunità dei produttori di Hollywood  queste forme di promozione sono molto importanti per le film commission, il cui budget è spesso limitato e non consente dunque di intraprendere campagne pubblicitarie ad ampio raggio. L’appartenenza all’AFCI costituisce inoltre una sorta di accreditamento internazionale della professionalità della film commission, che acquisisce il diritto di poter usare il logo dell’AFCI sulla propria documentazione e sul proprio materiale promozionale. 30 L’AFCI però non è l’unico network di film commission attivo, ne esistono altri su scala continentale e nazionale che offrono dei vantaggi molto simili. 3.8 Consulenza alle istituzioni per la promozione di politiche audiovisive Le film commission maturano col tempo una forte consapevolezza di quelli che sono i bisogni del settore e gli eventuali problemi che ne ostacolano lo sviluppo  possono sottoporre all’attenzione delle autorità locali i problemi del settore, valutare eventuali proposte elaborate per porvi rimedio e avanzarne di proprie. 3.9 Predisposizione di spazi Alcune film commission mettono a disposizione delle produzioni degli spazi da utilizzare a seconda delle necessità: uffici, sale riunioni, sale per proiezioni, sale casting, magazzini, posteggi, ecc…  consente alle produzioni di risparmiare tempo e denaro. 3.10. Valorizzazione e promozione del territorio La film commission aiuta le produzioni audiovisive a scoprire il patrimonio artistico, architettonico e paesaggistico del proprio territorio affinché questo venga inserito nelle riprese e gli sia data una buona visibilità. 3.11 Valorizzazione e promozione dell’offerta turistica La film commission collabora con l’ufficio del turismo locale per elaborare iniziative volte a valorizzare e promuovere l’offerta turistica. Gli strumenti promozionali più diffusi sono le movie map (si propongono itinerari volti alla scoperta dei luoghi in cui sono state girate le scene di un film) e le targhe poste nei luoghi che hanno ospitato le riprese. 3.12 Gestione di patrimoni audiovisivi e coordinamento di eventi A volte le istituzioni locali affidano alla film commission la supervisione e gestione di alcuni patrimoni audiovisivi (es. mediateche e cineteche) presenti sul territorio come mediateche o cineteche, con la speranza che esse riescano a dare loro nuova vitalità. In altri casi le istituzioni locali decidono di promuovere un proprio festival cinematografico, che può attrarre produttori e registi e convincerli ad ambientarvi i loro prossimi lavori  solitamente viene affidato alla film commission il compito di coordinare l’evento. 4. Le opportunità formative per il personale delle film commission Le uniche possibilità di formazione disponibili per lo staff di una film commission sono rappresentate dal confronto con altri film commissioner e dalle attività organizzate dall’AFCI. Quest’ultima si articola su due fronti: 31  Cineposium International Conference: incontro annuale delle film commission affiliate all’AFCI in cui vengono discussi i temi e i problemi più rilevanti, vengono organizzate delle presentazioni ed è possibile condividere esperienze, punti di vista e fare networking  AFCI University: corsi di diverso livello che consentono di conseguire, al termine del percorso, un titolo di master. I corsi si suddividono in quattro blocchi: 1. Film Commission Fundamentals: corso di base indirizzato a chi non ha alcuna conoscenza di come sia organizzata e di come funzioni una film commission, la partecipazione al corso è indispensabile per poter divenire membri dell’associazione. Il corso è offerto in forma telematica e prevede attività interattive, per un costo di 150 $ per i membri di film commission già aderenti all’AFCI e di 250 $ per tutti gli altri. 2. Film Commission Professional: il corso offre degli approfondimenti e si avvale delle testimonianze offerte da esponenti dell’industria. Il corso ha una durata di un giorno e viene offerto durante i Cineposium e i Locations Show. La partecipazione al corso è necessaria per l’affiliazione all’AFCI. 3. AFCI Professional Development Master Classes: l’offerta si compone di quatto corsi che offrono una conoscenza approfondita delle dinamiche che caratterizzano il lavoro delle film commission e più in generale l’industria dell’audiovisivo. I corsi vengo tenuti da esperti del settore e al termine (della durata di una giornata ciascuno) i partecipanti conseguono un diploma di master. Per poter accedere ai corsi i partecipanti devono aver seguito necessariamente i due programmi formativi di livello inferiore. 4. AFCI Certified Film Commissioner: l’offerta prevede la partecipazione a una serie di corsi e l’elaborazione di un testo scritto finale inerente il lavoro compiuto dalle film commission. Il conseguimento del diploma finale attesta il raggiungimento dei più alti livelli di professionalità contemplati per la figura del film commissioner. Solitamente i responsabili delle film commission europee seguono solo i primi livelli di formazione offerti dall’AFCI (quelli necessari per ottenere l’affiliazione della propria film commission)  questo perché secondo molti l’AFCI plasma la sua offerta formativa in funzione della sola realtà statunitense, dunque alcuni responsabili delle film commission europee scelgono di svolgere, ai fini dell’affiliazione all’AFCI, uno stage presso un’altra film commission riconosciuta dall’associazione e che opera all’interno di un paese vicino. 5. Gli ostacoli a una quantificazione del fenomeno La varietà di forme, dimensioni e attività delle film commission rende estremamente difficile monitorarne la presenza sul territorio, operazione resa ancor più complessa da una serie di considerazioni:  Differenti realtà governative  Differenti tipologie di film commission (es. spesso è difficile stabilire se un certo ente / organizzazione / sportello ecc… possa essere considerato una film commission o meno) Alcuni paesi (tra cui l’Italia) si sono dotati di un coordinamento nazionale a cui afferiscono larga parte delle film commission attive sul proprio territorio. L’affiliazione, vincolata solitamente a una quota associativa da versare annualmente, consente tra le altre cose di verificare se i vari organismi affiliati si mantengono attivi o se hanno abbandonato le proprie attività  l’affiliazione però non è obbligatoria, quindi anche queste reti non sono in grado di restituire una cartografia delle film commission attive con un sufficiente grado di approssimazione. 32  Incoraggiare la visita di turisti che hanno già visitato il territorio  Incoraggiare fenomeni di passaparola a beneficio del territorio  Incoraggiare permanenze più lunghe  Ampliare il target-market di riferimento del territorio  Innescare azioni di place marketing La consapevolezza delle potenzialità che i film possono avere sul piano del turismo trasforma il territorio anche in una meta turistica da proporre al pubblico delle sale cinematografiche composto da potenziali visitatori (e non solo ai produttori cinematografici)  ciò ha fatto maturare nuove tecniche di promozione del territorio, che si avvicinano molto alle iniziative di product placement, I vantaggi:  Entrare in contatto con un pubblico difficilmente raggiungibile con la pubblicità tradizionale  Raggiungere specifici target grazie a una segmentazione del pubblico per generi cinematografici  Raggiungere un pubblico potenzialmente globale  Effettuare un investimento a lungo termine grazie al ciclo di vita del film  Sfruttare il coinvolgimento degli spettatori verso le storie e i personaggi del film per generare un atteggiamento positivo nei confronti del prodotto  Fare inserzioni all’interno di un film caratterizzato da un basso livello di affollamento pubblicitario  Sfruttare l’immagine di personaggi famosi presenti all’interno della pellicola associando ad essi e al loro stile di vita il marchio o il prodotto che si intende promuovere  Integrare forme diverse di comunicazione a supporto della marca o del prodotto I territori e le loro attrazioni non costituiscono un brand o un prodotto e dunque non sono oggetto di trattative economiche, tuttavia i benefici che il territorio può trarre dal suo inserimento all’interno di un film sono uguali ai vantaggi conseguiti da un inserzionista pubblicitario ed elencati sopra  anzi, la promozione di location all’interno della narrazione può avere effetti maggiori rispetto all’inserimento di prodotti e marchi:  I luoghi in cui si svolgono le scene di un film non sono mai percepiti come un prodotto da pubblicizzare  È più facile che si giunga a casi di naming placement, potenziando l’effetto promozionale (es. Notting Hill, In Bruges, Basilicata coast to coast ecc…) La promozione delle location all’interno dei film ha tuttavia anche dei limiti rispetto alle tradizionali iniziative i product placement, in quanto la film commission e l’ente turistico locale hanno minori margini di trattativa  possono avanzare suggerimenti al produttore ma non hanno alcun potere di negoziazione. Se dunque in passato il turismo incentivato dal cinema era un fenomeno non pianificato, col tempo è divenuto un obiettivo perseguito e che ha spinto gli enti locali ad adeguare la propria offerta turistica  tentativo di sfruttare al meglio la visibilità raggiunta sul grande schermo per rilanciare la propria immagine e incentivare flussi turistici che si mantengano costanti. Di seguito alcune strategie che possono essere intraprese in base alla fase in cui ci si trova: 35 Oltre a queste possibili iniziative esistono degli strumenti per sottolineare il legame tra territorio e produzioni cinematografiche ospitate: 1. Targhe: gli enti turistici mettono dei cartelli nei luoghi in cui sono state girate delle riprese, utili sia per lo spettatore sulle tracce della propria meta, ma anche per farlo scoprire al turista di passaggio 2. Movie map: itinerari che invitano il turista-spettatore a ripercorrere una serie di luoghi in cui è stato ambientato un dato film Gli uffici turistici posso anche adoperarsi affinché le produzioni cinematografiche lascino sul territorio parte dei set per farne un’attrazione turistica. Sebbene la recente presa di coscienza del fenomeno del cineturismo abbia acceso molti facili entusiasmi, è opportuno ricordare la necessità di un approccio cauto al fenomeno  non è facile stabilire in che misura i film influenzino le motivazioni degli spettatori-turisti. Gli interrogativi che è necessario valutare sulle visite delle location cinematografiche sono numerose:  Il desiderio è passeggero o può portare a effettive prenotazioni?  Rafforza un desiderio di visita già presente oppure può anche accendere uno nuovo?  È una delle tante motivazioni che spingono a intraprendere un viaggio oppure è una motivazione in sé auto-sufficiente?  Il luogo era un’attrazione già da prima che divenisse il set di riprese?  Lo spettatore è arrivato di propria volontà oppure vi è stato condotto da un tour operator? Gli studi su come e quanto una pellicola possa influenzare le motivazioni di viaggio e i relativi comportamenti di consumo sono relativamente recenti e si focalizzano principalmente su specifici casi (un film o una serie televisiva):  I film sono un mezzo di promozione turistica di successo nella misura in cui la storia narrata dal film si intreccia con le location  I risultati al box-office non incidono sulla capacità del film di essere un buon vettore di promozione turistica  Il genere cinematografico non è una variabile rilevante nel determinare fenomeni di cineturismo  L’influenza esercitata da un film sui flussi turistici può essere riscontrata anche dopo la soglia di cinque anni dall’uscita del film nelle sale. Es. Tutti insieme appassionatamente (1965), è ancora oggi la ragione di visita per il 70% dei turisti d’oltreoceano che si recano a Salisburgo. Ciò è riconducibile anche alla capacità degli enti territoriali di aver saputo sfruttare il capitale simbolico che il film ha lasciato in dono 36 L’ospitalità offerta a una produzione può però determinare anche delle ripercussioni negative per il territorio, es. traffico, rumore, disagi per la mobilità ecc…, che possono presentarsi anche dopo la fine delle riprese a causa dei fenomeni turistici. I casi più ricorrenti sono tre: 1. La pellicola potrebbe veicolare un’immagine negativa del territorio che va a danneggiarne la reputazione e il potenziale flusso di turisti, es. film di mafia 2. La pellicola può veicolare un’immagine non veritiera del territorio, con il rischio che i turisti che si recano a visitare le location possano rimanere delusi dal viaggio e conservino poi un ricordo negativo della propria esperienza 3. L’uscita del film può provocare l’arrivo di flussi turistici non desiderati, oppure troppo consistenti in rapporto alla capacità di accoglienza del territorio I MEDIA E LA MODA – D’ALOIA, PEDRONI 2. IL FASHION FILM: UNA PROSPETTIVA ARCHEOLOGICA Il termine “fashion film” identifica un genere particolare di video promozionale nell'ambito della moda, del beauty e del lusso, spesso finanziato e prodotto dalle maisons, in cui le caratteristiche e i valori del prodotto / brand sono espresse soprattutto tramite elementi visivi e narrativi. Nel corso degli ultimi anni il fashion film 37 Le pubblicità condividono un simile utilizzo della figura del cerchio a scopo suggestivo, da un lato rievocandone l'impatto di lontana memoria già ricordato con l'uso del mascherino, dall'altro sintonizzandosi sul recente interesse per le forme geometriche promosse in vari ambiti visivi da designer e artisti. 2.4 Industria tessile e pubblicità televisiva Tra gli anni ‘60 e ‘70 la pubblicità televisiva assume un ruolo di primo piano nelle campagne promozionali delle industrie tessili e avvicina i prodotti al quotidiano degli spettatori-consumatori. In Italia lo attestano i numerosi telecomunicati trasmessi prima con la formula del carosello e poi anche con quella dello spot breve. Facendo leva sulla commistione tra intrattenimento ed educazione tipica di Carosello, molte aziende inseriscono la promozione dei prodotti nel contesto di una più ampia formazione al consumo del pubblico di massa. Mentre il sintetico fa il suo ingresso anche nelle creazioni d'alta moda, sia in Italia che in Francia le ditte di confezioni ne valorizzano la presenza nei tessuti delle proprie linee di abbigliamento in termini di funzionalità e comfort. Anche quando destinata al medium televisivo, la promozione della moda ricorre spesso a diverse soluzioni di sollecitazione visiva e sensoriale (es. ibridazioni rappresentative e animazioni) in grado di amplificare l'impatto dei prodotti sugli spettatori-consumatori  questo capitolo ha inoltre evidenziato come la presentazione filmica della moda sia caratterizzata da una storia di lungo corso. BRAND COME MEDIA, CONSUMATORI COME AUDIENCE I media hanno da sempre giocato un ruolo centrale nel sistema della moda, ben prima dell'esplosione del fenomeno della comunicazione digitale. L'obiettivo di questo capitolo è mettere in evidenza il loro ruolo non tanto nel lavoro simbolico di rappresentazione e produzione discorsiva della moda, quanto nella loro funzione di ponte materiale, simbolico e affettivo tra consumatori e brand. La comunicazione di marca non più è riducibile alla sola forma tradizionale della pubblicità: soprattutto grazie alle piattaforme digitali si fa sempre di più diversificata oltre che multicanale, sperimentando nuove forme e nuovi linguaggi del comunicare e adeguando così i contenuti al nuovo scenario. In questo contributo metteremo in luce il modo in cui il mediascape contemporaneo abbia progressivamente suggerito un nuovo modo di intendere i brand e i consumatori cosi come le loro possibilità di interazione e collaborazione  trasformazione che ha delle conseguenze interessanti sia nei comportamenti dei brand che nelle pratiche dei consumatori (interagiscono con il brand non solo nel momento dell’acquisto e uso di un prodotto, ma anche ogni volta che consumano i contenuti di comunicazione prodotti dai brand stessi). Ci soffermeremo su due movimenti: 1. Da brand a media: generato dai brand che si avvicinano progressivamente ai propri consumatori attraverso l'ascolto attivo e la produzione di contenuti ed esperienze che sollecitano l'impegno e la partecipazione 2. Da consumatori ad audience: guidato dai consumatori che interagiscono in quanto audience con la produzione mediale dei brand, rafforzando il proprio senso di fiducia ed engagement e diventando co-creatori 40 9.1 Da brand a media: i brand come editori e intermediari culturali Il brand corrisponde al modo in cui l'insieme degli elementi grafici distintivi (logo, nome, payoff, colore ecc…) che identificano e contraddistinguono un'impresa viene interpretato dai consumatori  è fatta di percezioni, associazioni, sensazioni e sentimenti che i consumatori collegano a una determinata marca quando entrano in contatto con prodotti e/o servizi realizzati da una cerca azienda. Più il valore di un brand è alto, più i consumatori saranno disposti a investire risorse materiali e simboliche per relazionarsi con esso. Diversamente dal marchio, per esistere il brand necessita di consumatori che si attivino in un processo di interpretazione e significazione. Ogni brand si attiva dunque nella realizzazione di una serie di contenuti mediali riconducibili a un complesso ma coerente storytelling aziendale, sempre più transmediale (sito d'impresa, social media, carta stampata, cinema, televisione), in grado di garantire al consumatore un’esperienza d’intrattenimento. Da questa prima definizione emerge un'idea piuttosto inclusiva di comunicazione, intesa come un'attività che comprende tutti i comportamenti intrapresi da un'azienda per accompagnare i pubblici nell'interazione con il brand. Ricopre dunque un ruolo fondamentale il communication mix, che include tanto la pubblicità e la comunicazione promozionale più tradizionale, quanto la produzione di eventi, mostre, musica, film, così come il packaging. Nel nuovo ecosistema mediale, fortemente digitalizzato, i brand si trasformano in editori, cioè soggetti responsabili della produzione di contenuti. I brand vanno progressivamente rafforzando i loro tratti di intermediazione culturale  svolgono una funzione di divulgazione, creando dei collegamenti tra la sfera della produzione e del consumo, ma anche tra diverse fasce della società, ponendosi come produttori di valore simbolico e agenti di legittimazione non solo di prodotti, ma anche di stili di vita. Per comprendere questa trasformazione ci soffermeremo su due aspetti sempre più centrali rispetto al branding: il lifestyle brand e l'attivismo di marca. 9.2 Lifestyle brand e attivismo di marca I lifestyle brand descrivono chi siamo, ciò in cui crediamo, e la tribù alla quale apparteniamo. Essi comunicano il nostro status e le nostre aspirazioni, indicano il modo in cui conduciamo la novera vita e qualche volta riflettono il nostro inconscio  aiutano i consumatori a esprimere loro stessi. Es. Patagonia, Diesel, Vans: non si limitano a rappresentare un’idea di mondo, ma fanno di tutto per portare i consumatori a riconoscersi negli stessi valori e applicarli alle loro vite. Jasmine Bina ha identificato tre caratteristiche che i brand contemporanei dovrebbero possedere: 1. Capacità d’ascolto dei consumatori 2. Empowerment del pubblico: l’azienda deve fornirgli degli strumenti per aumentare la consapevolezza di sé e delle proprie scelte 3. Trasparenza e responsabilità nei confronti dei consumatori (si ricollega al concetto di attivismo di marca) Attivismo di marca: i brand sono impegnati nel supportare delle questioni sociali (spesso controverse) accendendo il dibattito pubblico o sfruttando la scia di quelli accesi da altri attori  i cittadini-consumatori chiedono ai brand una responsabilità condivisa su questioni politiche e sociali in cambio della loro fiducia e di una buona reputazione. Es. collaborazione tra Nike e Colin Kaepernic (quarterback): nel 2016, in segno di protesta contro le violenze e le discriminazioni subite dagli afroamericani negli Stati Uniti, si è inginocchiato durante l'inno nazionale, con il risultato di perdere il lavoro ma di diventare testimonial Nike. 41 Es. campagna di Diesel “Make Love Not Walls”: atto di sfida nei confronti del muro tra Stati Uniti e Messico voluto dal presidente Trump e più in generale contro il modo in cui alcuni paesi hanno trattato la questione dei migranti e dei rifugiati. Sempre più frequentemente i brand imparano a superare i limiti imposti dal puro ritorno economico per cogliere l'opportunità di diventare parte integrante della soluzione dei problemi della società e del pianeta  Le campagne di comunicazione dei brand stanno dunque abbandonando progressivamente la loro neutralità politica, impegnandosi in battaglie culturali rilevanti in ambito ambientale (cambiamento climatico) e sociopolitico (diversità culturale, migrazioni, libertà religiosa, ridefinizione del concetto di gender, pari opportunità, femminismo, matrimonio omosessuale, diritti LGBTQ) ecc… Indipendentemente dal giudizio che si voglia dare a questa evoluzione (pensandola come un gesto politico economicamente disinteressato o come l'ennesima strategia di marketing) resta l'evidenza che in un contesto di incertezza, l'impegno dei brand attivisti ha aperto la strada a campagne trasversali, intercettando temi che appassionano soprattutto le nuove generazioni  i brand svolgono la funzione di bussole, non solo nel guidare le scelte di acquisto dei consumatori, ma anche nel fornire loro un orientamento politico e culturale. Più i brand aiutano gli individui in questo processo, più acquisiscono importanza e valore 9.3 Da consumatori ad audience (e ritorno) Mediatizzazione della moda: non significa focalizzarsi sulla comunicazione della moda (cioè sui media come strumenti ancillari), ma sul modo in cui i media ridefiniscono e rinegoziano la produzione, la distribuzione e il consumo dei prodotti della moda  l'aspetto interessante non è l'idea di comunicare la moda attraverso i media, ma fare la moda attraverso i media. Questo approccio presenta almeno due implicazioni: 1. L'idea di fare moda attraverso i media ha prodotto un'intensificazione qualitativa e quantitativa delle potenzialità espressive della moda stessa  transmedia branding: i brand si comportano come editori e intermediari impegnati nella produzione di contenuti il cui innesco è la moda, ma in cui essa può anche limitarsi al ruolo di mandante, dando vita a esperienze inedite che risignificano il rapporto con il consumatore, ridefinendo così anche il significato stesso di moda. 2. La moda si sta sperimentando attraverso forme espressive e significati che non la limitano ai suoi prodotti materiali (abiti, accessori ecc…), ma che la ridefiniscono come un'esperienza complessa. Audience: individui e famiglie, comunità e gruppi pubblici, cittadini, consumatori, tutti costantemente impegnati nella rielaborazione del carattere simbolico della vita sociale, attraverso tecnologie mediali sempre più intrusive, che sono parte della nostra quotidianità  definizione in sintonia con il concetto di lifestyle brand descritto precedentemente, infatti i consumatori potranno sperimentare il proprio engagement nei confronti del contenuto mediale e della moda in esso rappresentata, appropriandosene simbolicamente e materialmente. Il consumo di moda e quello di media, dunque, operano all'interno della stessa piattaforma identitaria del soggetto come strumenti per la rappresentazione del sé  la moda diventa un prodotto simbolico, al pari di una serie televisiva o di un profilo Instagram. Un altro punto in cui possiamo notare la sovrapposizione tra il consumo di media e di moda è nel linking value: quello a cui i consumatori attribuiscono valore non è l'oggetto del consumo in sé, ma le interazioni che questo abilita con altri consumatori, percepiti come simili (es. fandom)  passaggio da un consumo domestico e privatizzato ad un consumo pubblico, in cui il consumo viene condiviso e discusso. I brand contemporanei appaiono impegnati nella ricerca non di semplici consumatori ma di fan, capaci di vivere in maniera attiva e partecipativa la propria esperienza di consumo. 42
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