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Riassunti del Massimiliano Papini - Arte romana, Schemi e mappe concettuali di Archeologia

Esclusi i capitoli 9, 12, 14, 15 e 17

Cosa imparerai

  • Come l'arte romana si distingue dall'arte greca?
  • Come l'arte romana ha evoluto attraverso i secoli?
  • Quali sono i filoni all'interno dell'arte romana?
  • Come le decorazioni architettoniche contribuirono allo sviluppo dell'arte romana?
  • Che periodo storico rappresenta la nascita dell'arte romana?

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2020/2021
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Caricato il 22/03/2022

agata_rizzi
agata_rizzi 🇮🇹

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Scarica Riassunti del Massimiliano Papini - Arte romana e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Archeologia solo su Docsity! 1 PAPINI – ARTE ROMANA CAP.1: È MAI ESISTITA UN’ARTE ROMANA? Le arti figurative non furono mai sentite come una consuetudine ancestrale dei romani, differenti a parole degli eccessi del loro godimento, un vano trastullo sei disgiunto da finalità etiche; la definizione di arte romana per Brendel può riferirsi alla città di Roma o all’arte dell’impero o a stili e temi prettamente romani, ma sarebbe meglio circoscrivere la produzione a Roma e entro i confini dello Stato romano: i fondamenti sono individuati nel I sec a.C., sotto Augusto, i Flavi e Traiano, anche se per alcuni studi si tende a partire dai primordi dell’età del Ferro, fino ad arrivare al Tardoantico nel periodo della tetrarchia nel IV secolo d.C., dunque non direttamente con la caduta dell’impero romano con la deposizione di Romolo Augustolo da parte di Odoacre. Il Winckelmann, pensando ad una evoluzione parabolica dell’arte antica, vede dall' arte ellenistica fino poi romani la decadenza dell’arte, ma grazie al Wickoff si evidenzia l’autonomia dell’arte romana e Diego introdusse la teoria del gusto o volontà d’arte in cui ogni fenomeno artistico è frutto della sua epoca pertanto rispecchia il gusto del suo ambiente; Bianchi Bandinelli sottolinea l’assenza di metodi consoni per affrontare il problema elativo alla storia dell’arte romana, tra cui il collegamento subordinato all’arte greca, la difficoltà di ridurre a un discorso logico un fenomeno discontinuo è differenziato, la persistenza di un concetto generico di decadenza è la lentezza con cui si era accolta la rivalutazione della scuola viennese per uscire dagli schemi neoclassici. Rodenwaldt in Rilievi romani, preludi al tardoantico, distingue due filoni all’interno della stessa arte romana, uno classicistico per l’arte statale e uno popolare che rispecchia la tradizione nazionale nella resa di ritratti e azioni sulle stelle funerarie non aristocratiche e nelle opere a rilievo di piccolo formato come i fregi dell’Ara Pacis, degli archi di Tito e Costantino a Roma e di Traiano a Benevento, di cui caratteristiche principali erano la frontalità dei personaggi, le composizioni simmetriche rispetto a un punto centrale, le dimensioni delle figure che variano a seconda dell'importanza e non della prospettiva o delle proporzioni naturali, la subordinazione degli elementi di contorno e la vivacità dei dettagli di azioni e oggetti. Con il pensiero di Bianchi Bandinelli negli anni 60-70 si era manifestato il rifiuto di un archeologia classica Intesa come storia dell’arte, dove l’esigenza di un’indagine dell’opera attenta non solo alla forma ma anche al contenuto è da correlare ha una realtà storica più ampia e ad un gruppo sociale, quindi l’opera diventa testimonianza diretta del quadro storico; ad oggi la storia dell'arte Romana si dedica allo studio della produzione di manufatti immagini quale strumenti di comunicazione è la presentazione dei vari tipi élite e dei cittadini comuni esaminando i valori emozionali per ricostruire la mentalità dei committenti e la recezione dei destinatari, in cui la pittura non consentiva una precisa derivazione meccanica da quadri greci, andati comunque perduti, e l'individuazione degli archetipi non è mai stata praticata con l’assenza intensità dello studio della scultura. I blocchi coesi nei singoli periodi dell’arte romana sono un’illusione. In ogni periodo si riscontrerebbe il fenomeno delle molteplicità tra i poli estremi dell’arte statale e di quella popolare, determinate da stili di genere dipendenti dai temi, dal medium adoperato e dai formati delle opere. In ogni periodo domina o sembra dominare uno stile d’epoca risultante dalla predominanza di un determinato stile di genere sugli altri: fu Otto Brendel nel 1953 a prendere atto della varietà di libere scelte possibili a espressione di pubbliche aspirazioni e di sentimenti privati, di oscillazioni di gusto o di interessi e avversità da parte di artisti e fece propria anche la definizione di stili di genere, condizionati dai soggetti delle opere, dalle loro finalità e importanza nei contesti architettonici nonché dall’appartenenza alle sfere pubblica o privata, la 2ª rivalorizzata anche in considerazione del numero di documenti più 2 caratterizzati da uno schietto ellenismo. A quella di stili di genere sono subentrate le nozioni del linguaggio figurativo tipologico quale mezzo di comunicazione visiva e del pluralismo nella scelta dei modelli (greci) destoricizzati, utilizzati per nuovi contesti romani in modo non condizionato dalle loro origini, modelli che potevano variare addirittura su uno stesso monumento, come l’ara Pacis, esempio massimo di linguaggio tipologico. CAP. 2: IL SISTEMA DELLE IMMAGINI NELL’ARTE DI ETÀ ROMANA Lo studio delle forme di comunicazione attraverso le immagini è subentrato allo studio della forma in cui le immagini sono riprodotte, sia per adeguarsi alla mentalità di lettura del loro destinatario che per comprendere il messaggio del produttore delle immagini; l’arte romana non rappresenta mai il punto di vista dei vinti, ma solo dei vincitori, anche quando sembra esserci una simpatia nei riguardi di un nemico, mentre la partecipazione emotiva è frutto solo di interpolazione moderna, non ha niente a che vedere con la volontà con cui volevano enfatizzare l’ardimento dei nemici, la difficoltà dell’impresa e il valore romano. Il concetto di stile d’epoca, ovvero che in ogni Stato nazionale ogni periodo storico abbiamo avuto un suo stile specifico, nel senso che si riconoscerebbe nel linguaggio artistico un’inconfondibile denominatore comune che permette di stabilire la contemporaneità delle opere d’arte senza una sicura cronologia basata su documenti incontrovertibili, che ha dominato nell'ambito della letteratura storico artistica per buona parte del XX secolo si ripropone su nuove basi culturali, ad esempio i rilievi Riad operati dell’arco di Costantino, il quale risulta un mosaico di stili anche se la rilavorazione di tutte le teste degli imperatori sui pannelli non lascia campo equivoci su chi sia il personaggio celebrato. Con i concetti di arte aulica e arte popolare, lo stile d'epoca era una novità creata con i crescenti nazionalismi e la concezione di un carattere peculiare del popolo che si identifica in una nazione si è unita a quella dell'esistenza di determinati caratteri ed espressione figurativa che trascendono gli individui vincolando nelle scelte, permeando tutte le forme culturali artistiche di una nazione in un momento storico, dunque ha un carattere specifico di un popolo avrebbero corrisposto a forme di espressioni appartenenti solo ad esso. Il concetto di volontà artistica di Riegl, o meglio di kunstwollen, spiega al meglio il fenomeno per giungere alla constatazione che i vari stili d'epoca non sono confrontabili e né possono giudicare le opere con il giudizio formale di un altro periodo storico, rivalutando anche alcuni periodi dell’arte romana che, nella logica del giudizio comparativo, erano considerati di decadenza. L’esame dell’opera d’arte giudicata come parte integrante e costruttiva della cosiddetta sfera del vivere appare come una soluzione idonea per evitare l'approccio formale incapace di offrire un giudizio rispetto alla mentalità dell'epoca di riferimento virgola, non solo definendo l'opera d’arte ma il rapporto diretto con la visualità che ne determina l'identità. Rodenwaldt aveva definito le differenze tra arte greca e romana, l’una pervasa da un eccessivo naturalismo e tesa a costruire rappresentazioni secondo una ferrea logica dove ogni evento è relazionato al mito, l’altra tendente all’astrazione e al simbolismo, e indica gli elementi fondanti dell’arte popolare fino al tardo antico, frontalità, composizione centralizzata, rapporto proporzionale dei personaggi secondo l’importanza, separazione della figura principale dalla sua attività o trasformazione della stessa in attributo. Esempio di arte popolare è il blocco superstite di un alto rilievo a Praeneste (pg 46), forse pertinente al monumento dedicato al divo Traiano per il trionfo sui Parti dopo il 117 d.C., dove l’imperatore è sul carro trionfale con torso frontale e testa girata di ¾, decorato con una Vittoria alata che regge palma e corona, tirato da 4 cavalli non proporzionali e 2 littori sulle ruote, e un servo che gli pone la corona gemmata; davanti al carro un giovane voltato all’indietro e sul retro una duplice fila con 8 littori frontali disposti in doppia fila paratattica in duplice fila dei 5 I romani concepivano la successione degli atti necessari a fondare una città prima come realtà immateriali (pomerium) e poi con strutture complementari materiali (mura): richiedeva l’allontanamento di presenze luminose nell’area prescelta (liberatio) e la sua descrizione declamandone i limiti (effatio), si pregava Giove per acconsentire la trasformazione di parte della città (urbs) e la sua volontà si rivelava attraverso l’interpretazione del volo degli uccelli con un sacerdote, dunque lo spazio veniva inauguratus e il suo limite era una cinta simbolica segnalata da cippi a intervalli regolari detto pomerium. Nel limite giuridico-sacrale vigevano diversi tabù, come il divieto di essere armati, venerare divinità infere o dalla Grecia e dal Oriente è bruciare o seppellire i cadaveri; il pomerium fu allargato da Servio Tullio dal solo Palatino a tutte le alture cinte con nuove mura, escluso l’Aventino e l’arx e dalla 2ª età regia esiste ma l’obbligo di pagare una tassa sulle merci importate, dei cippi murari ne vengono ritrovati 4 esemplari del 175 d.C. corrispondenti ai percorsi dei pomeria di periodo Imperiale. luoghi sacri corrispondevano al limite di una zona esterna, effata, liberata e non inaugurata ma legata all'urbs piuttosto che all’ager. Le mura impedivano l’accesso alla città, ne definiscono l’estensione e il perimetro e la annunciavano a chi vi si recava la loro costruzione presuppone va un rito specifico con l’aratura antioraria per determinarne il tracciato, in cui l'aratro con il vomere in bronzo veniva sollevato nei luoghi corrispondenti alle future porte, definendone l’inviolabilità e l’inamovibilità. Le mura Palatine sopravvissero due secoli prima di essere distrutte, sepiolite e riproposte nelle porte, ma la fortificazione di Servio Tullio inizio a essere violata e la città inglobò il proprio limite fino ad annullarlo, dunque edifici privati si addossarono alla cinta dal II sec a.C., ci cui sempre più ampi tratti furono smantellati per dare spazio agli horti, di proprietà che, insieme ad alcune praedia (possedimenti) e alle aree di utilizzo funerario, formavano una cintura verde intorno alla città tra i più importanti ricordiamo quelli Lamiani, Liciniani, Spei Veteris che poi entrarono nel Palatium Sessorianum di Elena. Gli horti si dividevano in due categorie, sviluppandosi in aree pianeggianti o disposti su pendii, talora con grande estensione, recintati con muri, siepi o cippi, e alla loro articolazione contribuivano varie strutture tra cui di un’ora opulente, impianti sportivi, fontane e ninfei, veramente posti sotto la protezione di Venere e ubicati spesso in prossimità di luoghi di culto. Sepolcri e necropoli non sono annoverate tra gli elementi del paesaggio urbano, ad eccezione di legibus soluti per persone dispensate dal senato dall’osservanza di specifiche norme quali eroi repubblicani e imperatori, difatti già le leggi delle XII Tavole vietavano di cremare o seppellire i cadaveri all’interno del pomerium. Nell'età del bronzo è nella prima del ferro sono noti piccoli gruppi di tombe a incinerazione sparse nel fondovalle, sulle pendici e sulla sommità delle alture tra Campidoglio, Quirinale, Palatino e Velia, mentre nel corso del IX sec si utilizzò come necropoli la pendice S dell’Esquilino, sviluppando poi nella fascia suburbana il paesaggio sepolcrale che circondò la città su ogni lato e si estese fino a occupare le terre del demanio nella pianura tra Pincio, Quirinale, Campidoglio e Tevere. CAP. 4: USI E DESTINAZIONI DEGLI SPAZI URBANI Il forum romanum, detto anche magnum, viene creato a fine VIII sec a.C. con i suoi margini luoghi pubblici e politici necessari alla prima città-stato, mentre dalla metà del secolo la parte più alta della valle tra Palatino e Campidoglio vede due nuovi luoghi di culto ai margini dedicati a Vesta e a Vulcano uniti dalla Sacra via; il centro istituzionale è sacro, la radura è il bosco del santuario diversa, dea del fuoco sacro, fu poi incendiato nel 64 d.C. e vi fu realizzata una grande casa delle Vestali annessa al tempio della dea, nel cui penus, ossia il locus intimus, si custodiva il Palladio, simulacro di Atena che Zeus aveva donato a Dardano. A fine VIII sec si realizzò la pavimentazione tra Campidoglio e Palatino e all’estremità NW 6 della piazza vicino il santuario di Vulcano vi era il Comizio, luogo di riunione dell’assemblea delle firme (comitia curiata), ma dal VII sec in una nuova sede del senato, la curia Hostilia. Le case sul lato S della piazza erano precedute da tabernae i macellai e, dal momento che il futuro era incluso nel pomerium, l'assemblea gli uomini in armi creata da Servio Tullio (comitia centuriata) doveva svolgersi in Campo Marzio; con l’età della Repubblica si edificarono il tempio di Saturno alle pendici del Campidoglio, il tempio dei Castori all’angolo E della piazza vicino la sorgente di Giuturna, mentre pedane definirono l'area del Comizio, il tribunal dal quale il pretore amministrava la giustizia, la pedana per gli oratori rostra per gli speroni delle navi e la Graecostasis dove gli ambasciatori stranieri assistevano alle attività comiziali. Nel 318 i macellai furono poi allontanati dalla piazza e le botteghe sostituite dalle tabernae argentariae dei banchieri ai quali vennero consegnati gli scudi dorati per ornare il foro da L. Papirio Cursore nel 310 a.C. con la vittoria sui Sanniti, 296 vennero dedicate la statua della lupa con i gemelli fondatori per ordine degli edili Ogulni e quella del Sileno Marzia, simbolo della libertas secondo fonti tardoantiche. Nel 145 a.C. l’antico comizio accoglieva ancora i comitia curiata ma lo spazio era ormai troppo ristretto per ospitare una assemblea legislativa in cui il popolo era convocato in base alla tribù di appartenenza (comitia tributa) e venne quindi spostata in piazza circondata a NES da pozzetti. Durante le guerre civili alla fine della repubblica impianto del Foro sparì e le pedane ad eccezione dei rostra vennero coperte da una pavimentazione con un lastricato in marmo nero (lapis Niger) per ricordare il locus funestus dello squartamento di Romolo ad opera dei senatori, mentre la riforma di Silla con cui i componenti del senato passavano a 600, richiese la costruzione della curia Cornelia di dimensioni maggiori La Fenice capitolina divenne sede del tabularium, edificio realizzato tra 78 e 65 da Q. Lutazio Catulo come archivio pubblico posto su una platea di sostruzione a tre livelli. Nel 52 brucia la curia e la piazza del senato vennero ricostruiti soltanto con Cesare con una nuova pedana rostrata sul lato E e sul lato S la basilica Giulia, mentre la nuova sede della curia venne realizzata da Ottaviano con un tempio per il divo Giulio sul lato E vicino al tempio della Concordia, in cui era stato cremato Cesare, e furono eretti l’arco trionfale di Azio (tra il tempio di Giulio è quello dei Castori) in onore della restituzione delle insegne militari ai Romani da parte del re dei Parti. In età Imperiale si edificò il tempio per Vespasiano, completato quando iniziano con un fregio raffigurante utensili sacrificali e simboli sacerdotali, un tempio per Faustina Maggiore e il divo Antonino Pio. Tempi CAP. 5: L’ITALIA E ROMA DAL X AL I SEC A.C. Dopo l’età del bronzo la specificità della cultura laziale compare dal X sec a.C. con la produzione ceramica e bronzea: per la prima si assiste a un salto qualitativo e tecnologico con l’introduzione del tornio veloce, l’argilla depurata (maestranze euboico – cicladiche e la decorazione dipinta, per la seconda si svilupparono beni di prestigio depositati nelle tombe principesche; le esigenze delle committenze emergono soprattutto nei bronzi laminari e decorazioni a sbalzo, nell’introduzione di forme vascolari per nuove abitudini come il vino nei banchetti, il vasellame a impasto inciso e dipinto a copertura bianca e pittura rossa. Plinio il Vecchio e Plutarco attribuiscono a Numa Pompilio la 1ª organizzazione di artigiani in collegi e le prime testimonianze di bronzistica a partire dai 12 ancilia, scudi di intaglio sinuoso custoditi nella Regia dal collegio sacerdotale dei Sali, tra cui 11 erano copie di Mamurio Veturio da un singolo originale caduto dal cielo per salvare la città da una pestilenza ed evitare che fosse rubato da un ladro, ma avrebbero distolto i romani dalla venerazione dei veri ancilia. In Etruria dalla Casa del Fosso dalla necropoli di Veio del 2° quarto del VIII sec 7 derivano 6 dischi in bronzo e 4 di dimensioni maggiori deposti sul corpo del defunto come prototipo degli ancili. La nascita di strutture statali portò al consolidamento della compagine urbana con la regolamentazione delle acque dei fossi e la bonifica degli acquitrini, la canalizzazione della Cloaca Maxima, pavimentazione e livellamento del foro romano per funzione politica e religiosa, erezione cinta muraria (serviana), produzione di laterizi e rivestimenti fittili, sparizione lusso privato, incisione su bronzo o pietra dei documenti come il lapis Niger con i versi saturni del regolamento dei sacrifici nel santuario di Vulcano, monumentalizzazione dei culti, introduzione dei libri sibillini da Cima (rotoli di papiro in greco con raccomandazioni rituali consultati dai sacerdoti) e ellenizzazione dell’iconografia degli dei. Nel VI sec il tempio si definì come categoria architettonica autonoma: si chiamano etruschi quelli a 3 celle, mentre si ritengono ancora etrusco – italici quelli che conservano la larghezza considerevole nel rettangolo, il podio elevato isola l’edificio dall’area circostante, l’accesso frontale con la gradinata in facciata permette al sacerdote/magistrato di avere visione panoramica verso l’esterno per la previsione degli auspici; tra questi rientrano quelli ad alae con la cella centrale affiancati da 2 corridoi aperti o il periptero sine postico con solo colonne in facciata e sui lati (es. tempio di Giove sull’Esquilino a 3 celle fu avviato da Tarquinio Prisco e completato dal Superbo). Questi edifici avevano il fronte aperto senza timpano e lo spazio vuoto riempito in parte da lastre di rivestimento in terracotta inchiodate alle estremità della trave centrale e laterali, mentre dal IV sec adottarono un frontone chiuso con soggetti mitologici ma sul margine N del foro Boario lungo il Tevere, nell’area di s. Omobono, il tempio della Mater Matura (dea del Mattino e dell’Aurora) ad alae vanta già un frontone greco chiuso con 2 felini affrontati ai lati e una Gorgone in corsa ≈ al timpano del tempio di Artemide a Corrida (Corinto). Dal VII sec le coperture in strame di paglia vengono rimpiazzate da tegole e decorazioni fittili per templi e residenze gentilizie, come nel sistema di tipo Roma - Campania – Etruria del 590 a.C. o di tipo Veio – Roma – Velletri dal 530 a.C.: i fregi figurati realizzati a stampo da matrici raffigurano processioni di carri trionfali, corse di cavalieri e bighe o banchetti, includendo anche temi mitici. Prima struttura in muratura risalente ad una casa con corte dall’area del tempio d'i Vesta di fine VIII – inizio VII sec, ma l’architettura in pietra di ambito domestico si diffonde in Etruria S e nel Lazio dalla 2ª metà del VII come negli edifici palaziali Murlo e nell’acropoli di Satricum o in strutture minori articolate in vani affiancati preceduti da un vestibolo esterno ≈ casa a pastàs greca. Nuovo modello abitativo a Roma dato da un edificio sulle pendici N del Palatino con vari ambienti su un asse longitudinale, forma canonica sviluppatasi che dimostrandone la domus poté già svilupparsi dal VI – V sec a.C. per diffondersi alle colonie. Le più antiche attestazioni artigiane riguardano stranieri giunti in Italia col commercio aristocratico con Euchino, Diopo, Eugrammo e Ecfanto come accompagnatori del mercante Damarato, membro dei Bacchiadi che si trasferì a Tarquinia; il primato di Veio nella coroplastica è confermato dal santuario di Portonaccio con acroteri e gruppi votivi di vari Maestri di VI sec, tra cui lo stesso di s. Omobono con un gruppo di Ercole e Minerva e il “Maestro dell’Apollo” del 510 a.C. con una selva di statue sul tetto in funzione di acroteri di colmo e di falda con episodi del mito, lo stesso personaggio a cui furono commissionate le quadrighe acroteriali del tempio capitolino o forse solo quella di Giove (Plutarco). Alla fase iniziale della Repubblica risale, nonostante alcune proposte di datazione medievale, il monumento della Lupa Capitolina (pg.141), di cui si rimarcando le tangenze stilistiche e iconografiche persiane, mentre fino al IV sec a.C. la cultura figurativa accolse le coeve conquiste greche in modo non sistematico, definendo l’attardamento delle innovazioni tra le 10 La ritrattistica continua a riflettere le molteplici opzioni figurative degli artefici e le scelte dei committenti, di cui si conoscono riproduzioni di teste identificate con certezza, ad esempio Pompeo avevo una ciocca di capelli appena sollevata sulla fronte e gli occhi vivaci ≈ ritratti di Alessandro Magno, mentre Cesare ha capelli piatti e il viso smonto con le rughe sul collo oppure per Cicerone spicca la fronte altissima con le pieghe e la bocca appena aperta; Aule Meteli o Arringatore (pg.160) rappresentava il membro della nuova aristocrazia municipale ritratto con un gesto di allocuzione, un bronzo in toga prenesta e scarpe chiuse con strisce di cuoio, dedicato in un santuario sul Trasimeno nell’89 a.C. CAP. 6: I A.C. – I D.C. SEC DAGLI IMPERATORI GIULIO – CLAUDI ALLA DINASTIA FLAVIA Per Svetonio la struttura urbanistica e architettonica di Roma ereditata da Augusto non corrispondeva alla grandiosità dell’impero, difatti era spesso soggetta a inondazioni e incendi, per cui si tentò di ridurre i fattori di rischio con l’istituzione di numerose curatele e corpi di sicurezza incaricati di controllare il corso urbano del Tevere e la costituzione di sette coorti di vigili del fuoco con 1000 uomini ognuna, rifornendo anche la città di idonee risorse idriche con la costruzione di più imponenti acquedotti grazie a M. Vipsanio Agrippa. Principale progetto di Augusto fu il ridisegno dell’area del Campo Marzio N dominata da un importante edificio funerario a carattere dinastico che era stato iniziato da Ottaviano sul Tevere, trasformato nel suo Mausoleo, circondato da boschetti, mentre l’area centrale del Campo Marzio, luogo dove si raccoglievano gli uomini atti alle armi e vi scomparve Romolo, fu monumentalizzata ricostruendo gli edifici civili più importanti e aggiungendone di nuovi: i saepta Iulia con due porticati ricchi di opere d’arte, la porticus Meleagri e la Argonautarum; il diribitorium per lo spoglio dei voti, il cui tetto era realizzato con travi di 100 piedi × 1 ½ piede di h; il Pantheon a pianta circolare dedicato nel 25 a.C. dove Romolo era stato assunto in cielo; le terme di Agrippa con lo stagnum Agrippae, un laghetto; tutte strutture inserite in una maglia ortogonale con asse portante il rettilineo tra mausoleo e Pantheon, nel cui spazio nel 10 a.C. venne eretto un obelisco al Sol da Eliopoli in Egitto, lo gnomone di una meridiana che nel compleanno di Augusto (23/09) puntava l’ombra verso l’ara pacis. Il trionfatore sui Giudei nel 34 a.C. Sosio per onore di dedicare il nuovo tempio di Apollo Medico che imporrà la morfologia del tempio periptero o pseudo – periptero (semicolonne sui lati lunghi) sine prostico, come nel tempio di Apollo Palatino del 36 a.C. e quello di Giove Statore nel portico di Ottavia, dove compare sempre più un uso massiccio del marmo al posto del tufo/travertino stuccato; nel tempio di Apollo Medico (pg.169) lo spazio interno della cella è ritmato da un doppio ordine di colonne in marmo africano alle pareti tra cui vi erano un serie di edicole con statue, fregi e frontoncini di pavonazzetto della Frigia, di giallo antico e di portasanta da Chio con modanature rosso antico, il soffitto in stucco dorato e la pavimentazione in opus sectile con fasce perimetrali in cipollino dell’Eubea. Il foro di Augusto (pg.170) viene votato nello 42 alla vigilia della battaglia di Filippi, ha una piazza centrale come spazio porticato quadrangolare con alti attici e un tempio sul fondo, i porticati avevano pavimenti a lastre di bardiglio, africano e giallo antico, le lesene sul fondo presentavano edicole con da un lato le statue dei re di Alba Longa e degli antenati Iuli e dall’altro quelle dei grandi magistrati, le due esedre alle spalle dei porticati erano visibili oltrepassando un ordine di pilastri con semicolonne in cipollino sormontate da altre in africano; la pavimentazione a scacchiera con lastre rettangolari era in marmo africano e giallo antico, sui muri altre colonne in cipollino e giallo antico incorniciavano edicole con altre statue degli antenati e dei magistrati, di cui quella centrale conteneva il gruppo con Enea che portava in salvo Anchise e il figlio Ascanio e nell'altro Romolo con i trofeo della Vittoria sui 11 Ceninensi. Il tempio di Marte Ultore ebbe funzione trionfale fino alla svolta del tempio di Giove capitolino, vi si assegnavano le province ai magistrati e prima della partenza e del ritorno alla conclusione del mandato si offrivano sacrifici ≈ al ritorno dell’imperatore a Roma. Come sede Ottaviano scelse il Palatino, dove la domus era il risultato dell’acquisizione di più case che non avevano un assetto architettonico unitario, collegate al santuario di Apollo Palatino; la dimora era ricca di valenze sacrali accentuate dopo il trasferimento del culto di Vesta nel foro poiché egli nella sua veste di pontifex massimo non poteva abitarle lontano, anche se le case erano di modesta entità poiché Augusto tentava di mostrarsi al popolo come fedele servitore dello stato. La Villa della Farnesina ai bordi del Tevere fu invece costruita seguendo le più lussuose ville repubblicane, con una grande esedra affacciata sul fiume, per gli stili, porticati, criptoportici e ambienti con affreschi del II stile della pittura romana, Ha un giardino suburbano lungo le mura serviane. Sotto Tiberio Caligola e Claudio non vi sono grandi novità dal punto di vista urbanistico e architettonico: il primo ricostruire il tempio della Concordia e dei Castori nel foro, dove prevale la professione dei dettagli ornamentali, al secondo si deve la dedica del tempio del Divo Augusto alle pendici del Palatino che con un ponte doveva collegare la dimora col tempio di Giove e a cui si assegnano una serie di rilievi minuti in più copie con professioni femminili e danze religiose; all'età di Claudia appartengono invece monumenti che seguirono le vittorie in Bretagna, la monumentalizzazione dei fornici dell'acquedotto sulla via Lata per il decennale del principato e la realizzazione di un ara pietatis monumentale. Con Nerone, dopo l'incendio di una vasta area della città nel 64 tra Palatino ed Esquilino, si riplasma parte della città con la nuova grande dimora Imperiale, il cui progetto è attribuito a Severo e Celere, la domus Aurea (pg.174), con una strada principale d’accesso corrispondente a un tratto della via sacra circondata da porticati e vani; un vestibolo conteneva la gigantesca statua di Nerone/Sol, un edificio palaziale era affacciato su un lago rettangolare con porticato e terrazze, un ninfeo fungeva da terrazza del Celio dove si stava realizzando il tempio di Claudio (finito da Vespasiano); una delle sale sul colle oppio era ottagonale con una cupola in opera cementizia, al cui centro vi era un oculus per la luce, chi poteva ruotare per mezzo degli schiavi secondo le ore del giorno. Con gli imperatori della dinastia Flavia l’architettura romana raggiunge il vertice grazie al miglioramento delle tecniche edilizie, come il cementizio alleggerito dalle anfore o l'uso di nervature negli archi di laterizio, permettendo di gettare volte a botte, a crociera, a padiglione OA cupola molto più grandi dei precedenti. Il Colosseo (pg.175) fu realizzato durante il Principato di Vespasiano e di Tito fino a Domiziano con la realizzazione del reticolo di vani sottostanti all'arena che però impedì gli spettacoli di naumachia: realizzato in travertino all'esterno e in marmo all’interno sedili della cavea, i corridoi e gli ingressi laterali e ispirato a modelli teatrali e anfiteatrali preesistenti, vede la facciata esterna a ordini sovrapposti di arcate sui pilastri vengono applicate semicolonne tuscaniche, ioniche e corinzie, mentre il massiccio attico a coronamento è scandito da paraste con capitelli corinzi a foglie lisce tra cui si alternano una finestra e un clipeo di metallo; cercate vi sono centinaia di statue di dei ed eroi a cui corrispondono le sedute degli spettatori secondo il loro ceto, accessibili attraverso scale incrociate che portavano ad una serie nei corridoi anulari con volte stuccate, mentre la cava era distinta in cinque settori con il superiore in sedili di legno e interno al portico colonnato. A Vespasiano si deve anche la realizzazione del templum Pacis del 71 d.C., la vasta area recintata con la facciata interna ha grandi colonne in marmo africano, porticati su tre lati con colonne di granito rosa è un giardino centrale come si canali d’acqua circondati da rose, mentre al centro del porticato SW la facciata del tempio della Pax Augustea aveva colonne monolitiche in granito rosa e il tempio era destinato a contenere la 12 statua di culto e il bottino della guerra giudaica, tra cui la menorah e le trombe d'argento del distrutto tempio di Gerusalemme. Il foro del Transitorio (pg.176) o di Nerva, poiché è dedicato dopo la morte di Domiziano, era la monumentalizzazione del tratto che collegava la Subura al foro romano, più simile a un corridoio scenografico le cui pareti laterali erano scandite da colonne e trabeazioni a risalto sormontate da un pesante attico, che presenta un forte chiaroscuro nelle decorazioni architettoniche ottenuto grazie a un gioco di traforo del trapano corrente. La domus Augustana sul Palatino (pg.177) di offrire un assetto unitario ai palazzi Imperiali, con una partizione precisa tra ambienti di rappresentanza e di residenza, di cui abbiamo esempio nell’aula regia, con alle pareti delle trabeazioni e colonne a due ordini in marmo portasanta e pavonazzetto con capitelli composti da volute ioniche sugli spigoli e foglie d’acanto corinzie, grandi edicole a due ordini con sculture colossali in basanite bronzea e la copertura a capriate di legno nascosta da soffitto a cassettoni in stucco, o l’aula ottagonale, un ingresso alla parte chiamata domus Flavia con pareti scandite da una doppia fila di esedre rettangolari e semicircolari alternate e copertura con volta a cupola. La cultura artistica Augustea eredita caratteri della corrente classicistica nata ad Atene, a partire dall’Ara Pacis (pg.179-181), monumento decretato nel 13 a.C. per il ritorno di Augusto delle province occidentali e dedicato nel 9, che consta di un recinto perimetrale in cui vi è l'altare su cui magistrati, i sacerdoti e le vergini vestali sacrificavano; all'interno nella parte inf. vi è la raffigurazione del tavolato ligneo a delimitazione dello spazio inaugurato dei templa minora creati dagli auguri, nel reg. sup. con festoni e bucrani intervallati da patere e coppe si rimanda alla decorazione sulla recinzione linea, con le scene che prevedono a N e S un corteo di personaggi storici per l’avvento di Augusto a Roma accolto dai consoli e sui lati delle porte a E Roma vittoriosa seduta su armi e a W il sacrificio di Enea a Lavinio davanti ai Penati, l’allattamento dei gemelli nel Lupercale sotto lo sguardo di Marte e di Faustolo con al centro il ficus Ruminalis (≈ fregio del Partenone e la tomba del Convegno di Tarquinia di III sec a.C.), dove ogni soggetto è disposto secondo schemi figurativi dell’arte greca ma diversificati nello stile. Nella fascia inf. con il fregio a girali d'acanto abbiamo immagini ad altorilievo in primo piano e sul fondo arrivo a bassissimo quasi sfumato, con elementi vegetali resi in maniera più descrittiva, anche se irrigiditi in uno schema geometrico. I rilievi Grimani dal ninfeo nel foro di Preneste (pg.181) applicati sulle pareti con dei pannelli con la rappresentazione di femmine di animali domestici e selvaggi e la loro prole, sono realizzati a un quindicennio di distanza nella stessa officina dell'Ara, ma questi rilievi con la rappresentazione dell’amore materno in un ambiente idillico – agreste lo rappresentano in maniera simbolica ma non meno naturalistica nei dettagli, ponendosi al vertice del discorso Augusteo sul tema della pace della fertilità. I romani in età giulio - claudia fecero largo uso nelle loro dimore di originali greci e copie da illustri opere greche, ma in un differente con testo che ne mutava l’originaria valenza, ad esempio di rilievi funerari attici e ionici erano inseriti nei giardini, limitazione non era mai fine a se stessa, era emulazione e volontà di realizzare qualcosa al pari livello, come l'Afrodite del tipo Louvre – Napoli, copia di una statua di culto in bronzo gli sculture argivo che fuse la ponderazione policletea con la trasparenza leggera del chitone dell’arte postfidiaca ed emulata da uno scultore anonimo con la ponderazione rovesciata a specchio. Dalle scuole di Pasitele e Arcesilao dai età pompeiana – cesariana, Stefano ha firmato una statua di efebo biondo, prima ritenuta copia di un originale greco di stile severo, poi un’emulazione originale, nata da una lettura dei capolavori policletei in cui l'impianto chiastico è trasposto con l'allungamento degli arti e la morbidezza della struttura anatomica. Nel I sec il gusto per le forme patetiche a Roma aveva subito un ridimensionamento con la diffusione della corrente neoattica e un linguaggio barocco fu usato per determinati soggetti 15 mitologiche, le quali in alcuni casi sono di più grande misura; in altri casi le pareti sembrano ricoperte da arazzi monocromi, gonfiati dal vento e riccamente ornati ai bordi con nastri simili a merletti o trine e all’interno una piccola scena figurata. Dalla Casa dei Vettii a Pompei, lo schema della parete ricorda il III stile, ma ai lati dell’edicola centrale senza profondità, le 2 torri laterali diventano un gioco di spazi aperti e chiusi con dei finestroni - loggiati che permettono di osservare altre architetture di colore chiaro proiettate verso il fondo simmetricamente, mentre le superfici dei muri, le balaustre, gli spazi vuoti sono ricoperti o da pannelli decorativi o da nature morte che derivano dalla riproduzione di xenia, doni alimentari che ogni buon padrone di casa riservata ai propri ospiti; significativi gli affreschi trovati nel settore del colle Oppio sotto le terme di Traiano e contiguo al padiglione della Domus Aurea con edifici a carattere monumentale in cui vi è la veduta ad affresco di una città spopolata, della quale si scorgono a volo d’uccello le mura, il porto con una darsena laterale, un’acropoli affacciata sul mare, un teatro con un tempio di Apollo, quartieri di abitazioni vicino alle mura e due piazzali, uno con il teatro circondato da case e l’altro con un tempio sul fondo. CAP. 7: II SEC D.C. E I BUONI IMPERATORI Roma Traiano si concentra su molti progetti di natura infrastrutturale e di pubblica utilità, l'ampliamento del circo Massimo, il potenziamento della rete stradale dei porti, l'intensificazione dei traffici e la regolarizzazione del flusso delle derrate alimentari verso l’urbe, ed avvio anche una politica imperialistica aggressiva, con i cui bottini di guerra costruì il suo foro (pg.206) inaugurato nel 112 d.C.: il limite S vedeva al centro una corte porticata che lo metteva in comunicazione col foro di Augusto, la sala a 3 segmenti si articolava verso il foro con 16 colonne corinzie in marmi colorati e sormontata da un carro a 6 cavalli; la piazza pavimentata in marmo lunense è inquadrata tra portici rialzati su 3 gradini con colonne in pavonazzetto e 2 emicicli sui lati lunghi, mentre sull’attico della trabeazione dei portici laterali vi erano sculture di prigionieri daci in marmo bianco e colorato e grandi clipei in marmo con le effigi di membri della famiglia imperiale. A N vi era la basilica Ulpia (amministrazione della giustizia civile e penale) pavimentata in lastre di pavonazzetto giallo antico e articolata in cinque navate, divise da file di colonne corinzie in granito grigio egiziano, e al di sopra una trabeazione centrale in marmo lunense, ed era accessibile attraverso 3 avancorpi colonnati; sul lato E si estendeva il complesso di edifici in laterizio noto come mercati di Traiano, articolato in terrazze su 6 livelli è in plurime corpi di fabbrica, forse anche sede di uffici di una prefettura o caserma dei vigili. Al centro del foro viene eretta la colonna (pg.207) per decisione del senato e del popolo, ma con la sollecitazione dello stesso imperatore, composta da 29 rocchi monolitici in marmo di Luni, su una modanatura a toro ornata di foglie d’alloro e capitello dorico: viene denominata anche coclide per una scala ellittica interna e lo sviluppo del fregio che la decorava, su cui ricorre quasi 60 volte la sua figura in plurimi ruoli, ed i rilievi sono disposti a nastro in narrazione continua (dopo la morte viene posta nel basamento, decorato all’esterno con cataste di armi barbariche, un’urna d’oro con le ceneri) sulle campagne militari in Dacia, una rielaborazione dei dati storici per mezzo del ricorso ripetitivo di temi topici visualmente e concettualmente efficaci per lo slogan ideologico, come sacrifici, discorsi ufficiali, disboscamenti, costruzioni di accampamenti, marce e viaggi, battaglie e ricevimenti di ambascerie o prigionieri, con alcune corrispondenze verticali, come quella tra la Vittoria Alata che separa la 1ª dalla 2ª campagna e il suicidio di Decebalo. Solo le prime 6 spire di rilievi erano percepibili dal suolo (a meno che non si concepiscono visioni laterali dalla terrazze) ≈ al fregio della cella del Partenone (poco visibile per il colonnato è la fretta peristasi), per cui però alcuni doveva esprimere soltanto il fasto e la gloria del principe, per altri si cerca di dimostrare la possibilità di lettura secondo assi NW/SE; la miglior riuscita delle figure di morti morendo i barbari forniscono il pretesto per l’equivoco di una sorta di 16 compassione per i vinti, che in realtà è frutto di una corrente figurativa che dall'età ellenistica privilegiava l’espressione tragica. L’imperatore Adriano fece costruire numerose opere sulle quali non fece scrivere il proprio nome se non sul tempio dedicato al padre Traiano, resterò il Pantheon con un profluvio di marmi colorati, porfido dall’Egitto, giallo antico dalla Numidia, pavonazzetto dalla Frigia, serpentino dal Peloponneso, verde antico della Tessaglia, marmo pentelico per le cornici, gli architravi e gli archivolti, i capitelli in marmo lunense, le colonne monolitiche del portico in granito dall’Egitto, mentre la struttura circolare da diametro pari all'altezza della cupola (pg.212) emisferica, in opera cementizia e articolata nella calotta interna in 28 file di cassettoni rispetti verso l'alto è attribuita a Apollodoro; ripristino la basilica di Nettuno, il foro di Augusto e le terme di Agrippa, fondò nuove città come ha già Adrianopoli e Antinopoli. Nell’ager Vaticanus, negli horti di Domizia, ufficio costruire un mausoleo con un basamento quadrato, imponente tamburo cilindrico con peristasi sul podio e una rotonda centrale chiusa, forse per il culto imperiale, coronata sulla sommità della quadriga bronzea dell’imperatore, mentre ad Atene fu onorato come salvatore e fondatore e gli fu concesso il privilegio di una statua nella cella del Partenone accanto alla Atena fidiaca, completò l'Olympieion dei Pisistratidi, al centro della città istituì la biblioteca, una fortezza chiusa verso l'esterno ≈ fori imperiali con un enorme cortile delimitato da un muro in bugnato rustico e all’interno un portico colonnato e due auditoria, usato Forse come archivio e luogo di culto Imperiale; simbolo della fusione di componenti elleniche e romane è nelle sue statue lorica te l’immagine della Lupa ≈ Atena con la civetta e il serpente, animali sacri, o la presenza della barba, per nascondere le cicatrici giovanili ma soprattutto per sottolinearne la grecità. La Villa Adrianea, conosciuta come villa Tiburtis, (pg.217) viene costruita su un terreno collinoso su un precedente impianto di fine II sec e nelle varie parti Adriano vi aveva fatto scrivere i nomi più rinomati delle province e dei luoghi a cui si ispiravano le architetture, ad esempio Liceo, Canopo, Accademia, Pecile, Tempe ed anche una riproduzione degli Inferi; la costruzione fu interrotta a partire dal 118 su un progetto unitario con la stessa presenza dell'imperatore, appassionato di architettura: tanti edifici su terrazze artificiali, alternanza di spazi coperti e chiusi, sfondamento delle pareti con porte e finestre, ambienti mistilinei, utilizzo di curve e controcurve, colonnati liberi al posto dei muri portanti, copertura a volta, spazi verdi dentro e fuori edifici, ninfei, fontane e vasche. Tra le strutture più celebri si ricorda il Teatro Marittimo, soggiorno riservato dall’imperatore, un padiglione consistente di un’isola circondata da un canale a cui si accedeva da due ponti levatoi mobili, mentre l'edificio si articolava come una casa con atrio e tablino, cubicoli e terme; l’Edificio con tre ha una grande aula circondata da tre per i fili semicircolari è un portico a emiciclo con arcate sulle colonne inquadra un altro edificio circolare di ordine dorico identificato come tempio di Venere Cnidia; la Piazza d’oro era un edificio autonomo collegato allora centrale del palazzo con un lungo portico colonnato, in cui il giardino a peristilio, con un canale di fontane, presentava un quadriportico con doppio colonnato, fiancheggiato sui lati da lunghi corridoi con una serie di volte a crociera, e il padiglione d'ingresso è coperto da una volta a ombrello, a S una grande sala centrale polilobata, con colonnati e lati concavi e convessi, presentava sul fondo un ninfeo coperto a volta con nicchie per statue e scalette per le cascatelle, mentre un fregio con amorini in scene di caccia e corteo marino è attribuito alla trabeazione della corte del nucleo principale e dei vani adiacenti. Si recuperano resti di opus sectile parietale e pavimentale con tarsie marmoree di vari colori, con predominanza di marmi bianchi, giallo antico, pavonazzetto, rosso antico e portasanta, invece meno attestati i mosaici, molti dei quali in bianco e nero destinati a 10 secondari per il personale qualificato al posto dei pavimenti in cocciopesto (frantumi di laterizio con malta) 17 o in opus spicatum (mattoni disposti a spina di pesce) per gli schiavi; vengono riportate alla luce numerose statue in marmo pentelico, lunense e pario, oltre quelli bianchi e neri dalla Caria e della Frigia, delle quali rappresentano archetipi ellenistici o affini alla sera bacchica, che si conformavano agli spazi ameni della villa: i due centauri Capitolini di Aristeas e Papias (pg.221), di cui quello anziano in bigio morato, cavalcato e tormentato da un erote (orig. Bronzo di II sec a.C.) e su quello giovane la firma degli scultori. Il Canopo realizzato nel 123 era un altro artificiale, cioè un esedra con i quadrati a gradini per cascate e altre semicircolari, nel cui emiciclo si incurvava il catino a spicchi veloidici e sferici decorato con mosaico policromo, mentre uno stibadio in muratura (letto semicircolare da banchetto) ospitava 18 commensali e altri accolti nel padiglione a fianco dell’esedra, aperta nel bacino antistante da un atrio porticato; una lunga vasca era inquadrata sui lati lunghi da siepi di fiori, in ollette di terracotta spesso ricavate da anfore da trasporto, e sul lato E da un doppio colonnato con una pergola, mentre lungo i bordi e lo specchio d’acqua vi erano numerose statue tra cui copie e riproduzioni di originali greci del V sec, come due amazzoni ferite (del concorso tra Policleto, Fidia, Cresia e Fradmone a Efeso) e 4 cariatidi (≈ korai della coppia centrale nella loggia dell'Eretteo sull’Acropoli) fiancate da due sileni con cane sul capo in funzione di telamoni, due gruppi speculari di Scilla, un coccodrillo in cipollino dell’Eubea come fontana e varie personificazioni di fiumi, tra cui il Nilo e il Tevere. Gli interventi degli Antonini nell’Urbe si concentrarono nel Campo Marzio centrale, infatti presso Montecitorio sono state trovate 3/4 strutture quadrate in peperino, travertino e marmo, consistenti in un altare al centro di un cortile circondato da un recinto e da una balaustra con cippi collegati da sbarre di ferro, dei monumenti privi di una complessa decorazione figurata in cui furono cremati i membri della famiglia imperiale su pire adorne di drappi intessuti a fili d’oro, sculture in avorio e quadri (la sezione più alta della torre piramidali a più piani veniva liberata un’aquila sacra a Giove, simbolo dell’immortalità, che portava al cielo l’anima dell’imperatore). Imprese belliche vennero celebrate sulla colonna (pg.226) Campo Marzio, con il tempio dei divi Marco Aurelio e Faustina Minore a W, eretta su una piattaforma dominante la via Lata, dunque la parte principale è a E con le scene più significative su questo lato, viene definita colonna centenaria da un'iscrizione delle Liberto Imperiale Adrasto che doveva svolgere il compito di custodia del monumento, nel quale non vi era una camera sepolcrale nel basamento ma il nesso funerario era suggerito dalla vicinanza agli ustrina; il fregio a spirale è diviso in due metà dalla figura della Vittoria trofei al centro del lato E (= colonna Traiana) per separare le due spedizioni germaniche, ma sento sono riconoscibili precisi episodi storici, tra i pochi il miracolo della pioggia che salvò i Quadi, circondati dai Quadi, grazie a Hermes, evocato dal mago egiziano Harnouphis. Sempre in marmo lunense e in 17 Rocchi del fusto, ma in un'area livello più basso rispetto al Foro di Traiano, sì cerco di superarne la lunghezza della colonna con una statua di coronamento più grande è un basamento alto quasi il doppio in origine; nella decorazione le scene di combattimento sono ridotte a duelli e rare sono le note paesaggistiche e architettoniche, con anche la diminuzione delle scene (116) e dell'attenzione per la differenziazione degli oggetti antiquari, come le loriche dei soldati e i vessilli militari, si moltiplicano invece i quadri di guerriglia, sterminio, esecuzioni, devastazioni di villaggi e maltrattamenti di donne, simbolo di nemici selvaggi da combattere. Il pittoricismo chiaroscurale con profonde linee scavate dal trapano per ogni dettaglio, come su volti, chiome e vesti, riflettono l'espressionismo barocco, uno stile che infrange le forme organiche di quello classico, per Rodenwaldt risultato forse di toni popolari, un nuovo clima psicologico che mette alla luce le tragedie e di scalpellini impegnati nella produzione di sarcofagi e di qualità non eccelsa: simili stilemi si ripetono infatti sui sarcofagi dell’epoca con temi drammatici e su alcuni con scene tipizzate di battaglia, sicuramente per viri militares, legati Augusti pro praetore (il sarcofago a Portonaccio), anche se l’uso del 20 figure aggrovigliate su tutta la superficie su 4 piani sovrapposti, al centro domina dal fondo un cavaliere senza elmo con un marchio a X sulla fronte e sul braccio dx steso (Ostilliano o Erennio Etrusco), probabilmente un legatus raffigurato sul coperchio, dotato di un busto femminile sullo sfondo di un tendaggio mentre siede su una sella in alzata su un podio, accompagnato da lettori e soldati. Nei primi decenni del III sec temi cristiani sotto forma di immagini concise, più evocatrici che narrative, apparvero assieme a leggeri temi pastorali, di banchetto e oranti nelle pitture delle catacombe, durante il periodo della piccola pace della chiesa tra le persecuzioni di Valeriano e Diocleziano, con numerose lastre di loculo e sarcofagi e scultura a tutto tondo, e dal II sec erano inoltre più praticati i culti orientali, spesso radicare a Roma da parecchio tempo con statuti differenti a seconda della loro sanzione ufficiale o meno, Ma nessun operatore era interessato a costruire nuovi edifici sacri in città o a restaurarne di fatiscenti poiché i fondi sono contingentati per la costruzione e restauro di terme, balnea e del Colosseo più volte bruciato. L'attività edilizia di Gallieno nell’urbe fu limitata alla Villa Imperiale sull’Esquilino degli horti Liciniani e la monumentalizzazione di un tratto della via Flaminia con un grande porticato, mentre con Aureliano si realizzò una nuova cinta muraria in opera laterizia nel 271 – 279 che inglobò, nel suo disegno di una stella a 7 punte, vari edifici preesistenti, fu poi ampliato il pomerium e nel 275 si realizzò un tempio per il dio Sole, in magnificentissimus, che ospitava al suo interno i tesori del bottino di guerra contro la Palmira, i portici intorno custodivano invece botti di vino. Ritratti degli Augusti e Cesari esprimono il nuovo mondo della tetrarchia, con i volti somiglianti a coppie come simbolo della Concordia del governo, come nel gruppo in porfido di San Marco, con i personaggi recanti il pilleus pannonicus, capo di soldati ufficiali presente anche nell’arco di Galerio a Salonicco e di Costantino a Roma, rappresentante i membri della 2/3ª tetrarchia, hanno occhi spalancati e netta piega nasolabiale, corte barbe a delimitare le guance, testa con forma ovale e armonizzata, è in cui abbraccio fu i miei dito per l’arte statale. Dopo l’incendio di Carino nel 283 fu sistemata l’area centrale del foro romano, con il restauro dei singoli edifici e la sistemazione della piazza, nonché la realizzazione, per i ventennalia degli Augusti e i decennalia dei Cesari, di un monumento con 5 colonne (pg.255) a W sormontate dalle loro statue e sulla centrale di Giove e altre 5 a E con al centro quella di Ercole (simboli tetrarchia), delle quali resta un basamento decorato con vittorie, processioni e libagione su un altarino offerta da Cesare. Per la decorazione dell’arcus Novus sulla via Lata, distrutto da papa Innocenzo VIII nel 1491, vennero riadoperati frammenti claudiani con piccoli adattamenti per i ritratti dei tetrarchi modificando barba e capelli e aggiungendo un’iscrizione per i decennalia. Dopo l’abdicazione nel 305, Diocleziano come sede di ritiro Spalato inno Dalmazia, dove fu eretto un palazzo (pg.257) a imitazione di un castrum con mura di cinta, torrioni e vie colonnate uscenti da 4 porte centrali: il complesso si distingue tra quartieri residenziali, affacciate sul mare, le aree di servizio, per gli alloggi della guardia, e una zona intermedia con un tempio tetrastilo per Giove e un mausoleo ottagonale. Generi CAP. 10: RAPPRESENTAZIONI STORICHE All’influenza dei modelli greci nel mondo romano si aggiunse la documentazione delle imprese belliche con il conseguimento dell’onore del trionfo e la garanzia della memoria del tempo, espressi attraverso la pittura trionfale, esibita durante e dopo i trionfi, svolgendo anche una funzione didascalica e documentaria grazie a una accurata descrizione dei luoghi 21 e delle battaglie, anche se non abbiamo testimonianze concrete di questi quadri a parte un frammento di affresco dalla decorazione esterna divina tomba del III sec (1 delle 7 scoperte sull’Esquilino in opera quadrata di tufo per sepolture singolari) di cui si conservano 4 registri orizzontali con episodi di guerra sannitica in proporzione gerarchica per i personaggi più importanti, sui 2 centrali appaiono M. Fannio a sx con corazza anatomica e mantellino e a dx Q. Fabio togato mentre porte una lancia (scena di decorazione militare), in basso una scena di combattimento alle porte della città e nel reg. sup. i piedi di un altro personaggio. I monumenti funerari, che dovevano mostrare un’intera carriera e i meriti del defunto, illustravano anche processioni funebri e pubbliche, corteo trionfali, sacrifici, banchetti o ludi gladiatori; ne è esempio l’ara di Domizio Enobarbo (pg.296) della 2ªmetà del II sec a.C. che potè servire da basamento per l’estate di culto in un tempio del Campo Marzio, era di forma rettangolare e decorato su ogni lato da un rilievo inquadrato da pilastrini: 3 lastre di marmo microasiatico illustrano il corteo nuziale di Poseidone e Anfitrite, giunti dalla Grecia come bottino bellico, e la 4ª in marmo pario lo svolgimento del sacrificio a Marte per purificare i partecipanti prima del sangue versato in guerra, commissionata dal censore, che si trova al centro trovato mentre liba presso l’altare, mentre le 3 vittime arrivano da dx (cerimonia ripetuta ogni 5 anni in Campo Marzio. Nel corso del I sec a.C. i triumviri scelsero spesso di rappresentare le vicende delle famiglia sulle monete coniate in loro nome, come Numa Pompilio, Claudio Marcello, Emilio Lepido e Paolo, Cornelio Silla, documentando ricche scene gentilizie e memorie familiari ricollegabili al fregio scultoreo della basilica Emilia, i cui pannelli esposti all’interno e dedicati alla rievocazione della prima Roma, rimandano con il ratto delle Sabine e il supplizio di Tarpea agli schemi iconografici presentati già nei denari coniati da Titurio Sabino nel 89 a.C. per ricordare la propria gens. La nuova gestione dell’onore del trionfo che Augusto aveva riservato per sé e i suoi familiari compare su vari monumenti pubblici e non, ribadendo l’inevitabile connessione tra la famiglia imperiale e la vittoria, ad esempio il rilievo dall’altare del monumento aziaco del 29 a.C., posto al centro di un’area porticata, in cui, tra processioni trionfali, un’amazzonomachia e un fregio d’armi, si riconosce una quadriga di Augusto con Giulia e Druso Maggiore (figli di Antonio e Cleopatra, Alessandro Helios e Selene). I monumenti augustei di stato augustei sopravvissuti sono pochi, tra cui 2 tazze d’argento a Boscoreale (pg.300-301) con iconografie del repertorio contemporaneo, in una il trionfo di Tiberio del 7 a.C. con una scena di sacrificio al tempio di Giove prima della guerra, nell’altra Augusto mentre sul campo accoda la sua protezione ai figli dei barbari (visita del princeps in Gallia nel 13 a.C. che accettavano il dominio romano, e mentre Venere gli offre una statuetta di vittoria con la personificazione delle province e Marte; il cammeo della Gemma Augusta raffigura nel reg. sup. Tiberio che scende dalla quadriga con i suo erede Germanico da presentare alla dea Roma e ad Augusto seduto in trono come Giove con lituo (bastone ricurvo degli auguri, sopra un capricorno e vari media, ufficiali e non, il reg. inf. raffigura la vittoria a sx con l’erezione del trofeo dai soldati romani e a dx la submissio del dux barbaro in ginocchio (coesistenza componente narrativa e simbolico/allegorica). La ricomposizione dei rilievi Medinaceli – Budapest (pg.304) consentisse il recupero di una sorta di bilancio del regno di Augusto in 4 momenti, la vittoria di Azio, il trionfo del 29 a.C., una scena di sacrificio e la divinizzazione con il carro sacro in processione, ma il luogo esatto di provenienza è sconosciuto, forse un edificio in Campania associato al culto imperiale dove le scene convergono simmetricamente verso il centro, attingendola un repertorio preesistente, anche se l’immagine del trionfo a Nicopoli fu smembrata dalla cancellazione della quadriga dei 2 bambini, forse scomodi per la dinastia. L’età Flavia proseguì in continuità 22 con quella Giulio – Claudia celebrando sempre trionfi, culti di Stato e le qualità civili e militari degli imperatori, di cui però abbiamo pochi frammenti, come quelli di Hartwig riferibili al templum gentis Flaviae, sacrario di famiglia dedicato da Domiziano alla su gens divinizzata sul Quirinale, un tempio gigantesco entro un quadriportico, o i rilievi dal Palazzo della Cancelleria (pg.305) nel Campo Marzio forse smontati da un importante monumento pubblico dopo la messa in opera con 2 cerimonie di ingresso in città, una di carattere militare del 93 d.C. a Roma di Domiziano in abito da campagna, preceduto da una vittoria, Marte, Minerva e Virtus, l’altra di carattere civile per l’ingresso di Vespasiano a Roma nel 70 d.C. L’arco di Tito, realizzato da Domiziano nel 81 d.C. vede sull’architrave un fregio con un “riassunto” del trionfo giudaico di 10 anni prima con un catalogo di presentazione dei partecipanti, realizzati con paratassi e frontalità per lo scopo divulgativo del fregio, mentre nel fornice sono collocati 2 pannelli con Tito sulla quadriga e il passaggio del bottino giudaico, nella volta dello stesso l’apoteosi dell’imperatore con una prospettiva dal basso che rende in modo poco naturalistico la faccia dello stesso mentre si affaccia dal dorso dell’aquila. Colonna Traiana: l’invenzione della colonna coclide istoriata diede l’opportunità di costruire un racconto continuo delle guerre, offrendo una versione artisticamente colta della tradizione della pittura trionfale, trasformata in monumento perenne dalla realizzazione in marmo: le 2 guerre daciche sono presentate rispettando la sequenza annuale degli eventi e indicando molti dettagli topografici, descrivendo fedelmente costumi, armi e tattiche militari di entrambe le parti, e la narrazione si sviluppa introducendo anche molte scene convenzionali che dovevano aiutare lo spettatore a orientarsi meglio nel racconto. Il Tropaeum Traiani in Mesia del 109 d.C. ad Adamclisi, dedicato a Marte Ultore, vede 54 metope del fregio dorico sulla sommità del tamburo e dell’edificio e celebravano la vittoria carica, con la battaglia nelle selve oscure usata come un sottogenere della narrazione delle guerre settentrionali, mentre l’annientamento del nemico è presentato in modo più crudo per voler commemorare in loco anche i legionari caduti e la scelta di ridurre il combattimento a un duello dove il romani vince subito. L’arco beneventano di Traiano (pg.310) costituisce il culmine del processo di accrescimento della decorazione figurata dei monumenti pubblici nonché il documento dell’estrema sofisticazione del linguaggio del panegirico imperiale che intendeva far scaturire dall’insieme dei rilievi , ognuno con una scena a sé conclusa e riferita alla biografia del principe, una presentazione pseudo – narrativa che basava il suo effetto sulla visione complessiva del monumento sfruttando il linguaggio allegorico/simbolico: i rilievi del cornice di passaggio dell’arco erano i più importanti con la providentia divina dell’imperatore verso l’Italia, come quando distribuisce gli alimenta a padri e figli vestito di tunica e paludamentum e l’inaugurazione della via Appia Traiana nella scena di sacrificio. 12 rilievi decoravano in origine un arco per Marco Aurelio nei pressi della curia Iulia di cui 8 furono reimpiegati nell’arco di Costantino che raffiguravano la campagna militare condotta dall’imperatore in Germania nel 173 d.C. accompagnato dal vento Claudio Pompeiano, dunque la narrazione continua è stata destrutturata in una serie di scene per il loro carattere esemplare: partenza da Roma, sacrificio dei souvetaurilia purificante l’esercito, adlocutio dell’imperatore alle truppe, cattura dei nemici, clemenza dell’imperatore per i sottomessi, designazione di un re vassallo, ritorno a Roma, distribuzione dei donativi al popolo. Il più importante monumento urbano di età severiana fu l’arco di Settimio Severo (pg.314) nel foro romano per celebrare la guerra partica con 4 grandi pannelli posti, 2 per facciata, sui fornici laterali per rappresentare ciascuno la presa di una città partica nemica: su questi il racconto procede dal basso verso l’alto e perlopiù da sx a dx e 25 partire dal 130 d.C. e il taglio di busti di più grandi dimensioni, inoltre spesso i ritratti privati avevano grande affinità con quelli degli imperatori e, per quelli femminili, delle imperatrici, non solo per la chioma, ma anche per le componenti del volto e le formule mimiche, nonostante potessero presentare volte piove molto divergenti dalle mode di corte (es. età adrianea una coppia di busti virili nudi (pg.333) da un contesto funerario, l’anziano imberbe ha la fronte aggrottata e rugosa con una chioma a riccioli mossi e voluminosi solo intorno al volto mentre il giovane barbato ha sulla fronte un’acconciatura ≈ Adriano). Nell’arte greco-romana, ritrattistica e somiglianza sono sinonimi: non era semplice creare un ritratto che conservasse la somiglianza secondo natura (similitudo ex vero), tanto più per personaggi del passato basati su una imago già disponibile, compiendo un’imitazione di un’imitazione, come accadeva con i visi degli imperatori, duplicati anche in luoghi che non li videro mai dal vivo; non sorprende che le descrizioni antiche e le annotazioni di Svetonio sull’aspetto fisico degli imperatori all’interno delle loro biografie non possano essere del tutto sovrapponibili ai ritratti, visto che gli intenti di un testo e delle immagini divergono, nonostante condividano il non puntare a descrizioni oggettive. Alla somiglianza potevano concorrere anche i colori dei marmi, ma abbiamo solo pochi esemplari con tracce di pigmenti, rivalorizzate anche tramite analisi tecniche, come un ritratto di Caligola alla Ny Carlsberg Glyptotek di Copenhagen, con residui di nero su capelli, sopracciglia, ciglia e pupille e con tracce di colore tra il colore tra rosa e rosso su bocca e ghiandole lacrimali, nonché lungo i margini delle palpebre. Parecchie epigrafi sulle basi di statue dedicate dai parenti nel foro e in altri luoghi di rilievo precisano l’età dei membri di famiglie municipali prematuramente scomparsi (sotto 20/25 anni), in quanto la immatura mors aveva loro impedito di rivestire le cariche pubbliche previste dalle aspettative sociali, ed indicare l’età equivale in tal caso ad addurre una sorta di scusante per imprese non compiute. La toga, appropriata per le immagini degli spazi pubblici come i fori, assurse a costume nazionale e assegno dello status di cittadino romano, indossata sopra la tunica, un indumento non marcato usato in modo esclusivo dagli schiavi e dal popolino, il mantello fu simbolo di una grecità accettata anche a Roma a partire dal II sec d.C.: le toghe erano dotate di complementi cromatici per segnalare il livello sociale degli onorati, difatti la magistratura era indicata dai clavi, strisce color porpora (laticlavi per senatori, angusticlavi per cavalieri), e vi sono anche esempi dove il colore rosso ricopre tutta la toga, e dall'età imperiale prevede componenti caratterizzanti quali balteus, umbo, sinus, lacinia (vedi fg. C-F pg.338), mentre nel II – III sec d.C. si aggiunge una fascia rigida che attraversa orizzontalmente il petto formando la toga contabulata. La lorica, corta tunica e paludamentum affibbiato, consona alla rappresentazione di individui dotati di comando militare, imperatori e membri della famiglia Imperiale e della più alta élite, e nei tipi a corazza anatomica e a corsetto cilindrico si trasformò in medium figurativo per ricevere una ricca decorazione a rilievo dall’epoca antoniniana. Le statue equestri erano un massimo onore per gli imperatori dedicate dal senato e dal popolo, come quella di Domiziano in posizione dominante nel foro romano, con una delle zampe anteriori al calpestare i capelli della personificazione del fiume Reno, o quella che Traiano si fece erigere al centro del suo foro su un basamento decorato con una catasta d’armi, vestito di tunica e paludamentum e nella mano sx una statuetta di Vittoria (≈ raffigurazione monete). Anche le statue nude, definite achillee sul modello degli efebi dei ginnasi tenenti la lancia, vennero apprezzate dai Romani, con immagini maschili in nudo integrale o parziale, con mantello che forma un rotolo attorno alla vita e/o lembo di paludamentum sulla spalla avvolto all'avambraccio, che non possedevano un equivalente nella quotidianità cittadina, semmai miravano a enfatizzare il carisma fuori dall'ordinario degli effigiati nei santuari, spazi civili e nei contesti funerari, quindi corpi giovani e perfetti con teste di ogni età ed utilizzate dai gruppi di potere di romani e italici; i corpi nudi o simili agli uomini riprendevano spesso schemi dei tipi santuari Greci di divinità o eroi giovanili aggiungendovi 26 mantelli militari e le armi, ad esempio il Diomede Cuma - Monaco di Baviera (fg.21 pg.342), il cui originale del ¾ V sec a.C. figura l'eroe greco in atto di sottrarre il Palladio da Troia qui schema viene ripreso spesso da statue di imperatori e privati di età augustea, sostituendo il Palladio con una spada e aggiungendovi un mantello affibbiato sulla spalla sx. Le donne invece non avevano costumi indicativi del rango a parte la stola per le matrone romane, che però spari alla fine del I sec d.C., e spesso loro immagini e scrivevano qualità paradigmatiche di spose e madri, come castitas, pietas, gravitas e modestia, sfruttando modelli santuari greci con chitone e mantello dal V – IV sec a.C. dieta ellenistica, raffiguranti divinità o concepiti già come statue – ritratto (oltre ad essere raffigurate nude a guisa di Venere), come la statua di Livia Orante. Le immagini meritavano rispetto poiché il legame con referente era fortissimo, tanto da manifestarsi sotto forma di solidarietà, soprattutto con Tiberio: le statue erano destinate a durare per l'eternità nell'intenzione ma potevano essere riusate, rilavorate, rimosse, rubate, danneggiate o abbattute mutilate ad esempio Commodo tolse la testa al colosso di Nerone nel vestibolo della domus Aurea, sostituendola con la propria e danno alla statua una clava e uno leone bronzeo ai piedi, con un’iscrizione che lo esaltava come vincitore di migliaia di gladiatori e posta nell’anfiteatro flavio. In età imperiale dal periodo severiano divenne più intenso l'uso del riciclo e della rilavorazione di vecchi ritratti e basi, Ho controllato dalle autorità civiche e riguardante anche i materiali architettonici, a cui si ricorse soprattutto dalla fine del III sec d.C. per far fronte a problemi economici e poiché con un intervento minimo si poteva soddisfare la richiesta di nuovi monumenti. L’azione della damnatio memoriae coinvolgeva gli imperatori e le figure cadute in disgrazia, come Caligola, Nerone, Domiziano e Elagabalo, con la rilavorazione delle fattezze o l’eliminazione dei loro nomi. CAP. 13: COPIE E RIELABORAZIONI DEI MODELLI GRECI Consapevolezza che molte delle statue trovate a Roma nel corso dei secoli non erano opere originali di scultori greci ma sculture romane si ferma con difficoltà nella cultura antiquaria, difatti anche Winckelmann glissò sull’argomento non considerandole copie, perciò latte Imperiale subì di fatto un esproprio di gran parte della sua produzione viva usata anche dagli studiosi di archeologia filologica tedesca per la ricostruzione delle grandi opere dei maestri della scultura greca citati dalle fonti; studi recenti hanno abbandonato l’idea che dietro ogni scultura imperiale vi fosse un preciso archetipo greco e individuano in questa produzione copistica le cifre più significative dell’arte tardoellenistica e poi imperiale, riconoscendo che in gran parte della scultura ideale le frequenti riprese arcaistiche, severizzanti e classicistiche non erano determinate dalla volontà di applicare un archetipo specifico, ma dal riprodurre una temperie formale in quanto ogni specifico linguaggio era sentito come adatto a esprimere i valori più appropriati al gusto del tempo. Passo ulteriore nella considerazione della critica delle copie è rappresentato della tendenza di mettere in parallelo in modo di procedere dei copisti con varie forme di migrazione classificate dei retori latini, interpretatio, imitatio e aemulatio, ma solo il 1° procedimento sarebbe adatto a descrivere una copia fedele all’archetipo, mentre gli altri 2 indicherebbero diversi gradi di libertà d'azione e originalità dell’artefice, facendo sfoggio di una maggiore creatività in grado di superare i limiti della tradizione. Chiave di volta del sistema sarebbe il concetto di decorum, l’appropriatezza dell’opera rispetto al contesto, il che spinse gli scultori a rinnovare gli originali greci mediante il procedimento di emulazione e i committenti a richiedere e apprezzare le innovazioni poiché più adatte a nuovi contesti, nei quali le repliche fedeli e le rielaborazioni furono spesso impiegate insieme senza una distinzione vera e propria poiché selezionate in funzione dei valori espressi; sia le copie strictu sensu di capolavori sia le rielaborazioni in stile facevano 27 parte dello stesso fenomeno di appropriazione cosciente della tradizione greca, si dovrebbe quindi distinguere la ricerca dello stile personale dei grandi scultori greci, troppo complesso per la documentazione esistente, come la ricostruzione di quali tipi statuari facessero parte del repertorio noto agli scultori di età imperiale. Tra il III e il II sec a.C. una letteratura critica che individuo e gli scultori classici maestra invitare quelli di farsi, creano le premesse di un fenomeno imitativo, di cui un esempio è l'Athena Parthénos collocata nella biblioteca di Pergamo all’interno del santuario di Atena, ispirata all’opera crisoelefantina fidiaca in scala ridotta e realizzata con una tecnica meno costosa, ma anche le officine attiche furono prolifiche, a cui fu attribuito il Diadumeno dall’omonima Casa a Delo (in cui era associata a uno Pseudoatleta), scultura rivestita in foglia d’oro per riprodurre l’aspetto del bronzo originario e datata al II sec a.C. aggiungendovi un sostegno per il problema di stabilità. Mentre le officine greche rifornivano I collezionisti romani, in Italia arrivo un vero e proprio salto di qualità nella produzione scultorea con Pasitele, autore del trattato nobilia opera, ma la sua non fu una scuola di copisti veri e propri, preferirono rielaborare i modelli greci, dividendo con i copisti l'indispensabile familiarità con la coroplastica, necessario per plasmare ma se dici, bozzetti e calchi pronti per essere usati per realizzare sculture in marmo è in bronzo ed essere venduti a caro prezzo. Dal I sec a.C. le ville dell’aristocrazia romana iniziarono da cogliere programmi decorativi più complessi per accompagnare l’otium dei proprietari, come nella Villa dei Papiri a Ercolano (pg.369) in cui l'arredo costituisce un caso esemplare per la qualità artistica e la ricchezza delle sculture sia per ambizione intellettuale della loro composizione, con copie fedeli, varianti e libere rielaborazioni: a parte i piccoli bronzi con te i bacchici e la galleria di busti di filosofi, poeti e sovrani, nel peristilio rettangolare si riconoscono delle repliche nelle statue dei corridoi mentre scattano, nel satiro ebbro e in quella addormentato, mentre sono ricreazioni severizzanti le 5 statue di danzatrici in bronzo e un’Atena Promachos in marmo, invece l’erma in bronzo del Doriforo e di un’amazzone costituiscono un caso particolare di replica Fedele dalla sulla testa delle originali. La 2ª metà del I sec a.C. è l’epoca in cui molte officine greche si trasferirono in Italia, spesso in Campania, dove trovarono le committenze più ricche, dunque nacquero officine specializzate in copie derivanti da modelli classici, e in età augustea il processo di appropriazione della scultura greca consentì la realizzazione di nuovi e autorevoli nobilia opera destinati ad essere applicati a loro volta, come la statua di culto di Marte Ultore nel foro di Augusto realizzata per il tempio del dio e costruita grazie a un’attenta selezione dei modelli, di cui l’originale perduto ma si conserva una copia colossale dal foro di Nerva ed altre di piccolo e grande formato sparse per l’impero, ispirata a modelli attici di IV sec a.C. con corazza anatomica, mantello intorno alle spalle e figura barbata elmata. Tra le ville imperiali emerge sicuramente la villa Adriana a Tivoli, la cui decorazione video una seratina lo sforzo produttivo anche per realizzare le migliaia di statue impiegate, eseguite imago diversi, ma con una supervisione unitaria, la specializzazione degli scultori da afrodisia che si dedicarono a marmi policromi, come il bigio morato e il rosso antico usati per i temi bacchici: luogo di grande interesse è il Canopo, dove lungo lo specchio d’acqua si trovavano 4 cariatidi ≈ alle korai dell’Eretteo e 2 sileni canefori, 3 personificazioni fluviali, 2 tipi di amazzoni dal concorso di Efeso, Mercurio e un eroe guerriero. Nel corso dell’età Imperiale teatri ninfee, e con le loro facciate scenografiche, ginnasi, terme e biblioteche cominciarono a ospitare moltissime sculture tratte dal repertorio di domus e ville, segno della percezione di questi edifici più vicini al mondo dell’otium, coesistendo con il loro contorno, ad esempio collocati sul pulpitum o tra le colonne del frontescena: tra i casi più particolari di repliche 2 grandi statue di Ercole in riposo nelle thermae Antoninianae del 216 d.C. (pg.375), la cui decorazione più imperativa fu riservata ai cortili porticati delle palestre, e forse opera di due officine diverse, il cosiddetto Farnese, dipendente da un originale lisippeo 30 confinante, di cui abbiamo ritrovamenti che comprendono migliaia di manufatti di produzione locale, vasellame a impasto grezzo, in impasto chiaro sabbioso e in argilla figulina, bucchero romano e vernice nera, utensili come pesi da telaio, suppellettile domestica e serie di oggetti da santuari e tombe. Tra IV e III sec a.C. il nostro punto di vista sulla ceramica è collegato tipologia fine da mensa, a vernice nera di medio lusso usata nel simposio; primi cambiamenti li vediamo nell'asportazione massiccia di ceramica attica in occidente e nella diffusione di vasellame a vernice nera non originario del Mediterraneo E, poi dopo la 1ª guerra punica si assiste alla proliferazione di vasellame di qualità in officine chiuse in se stesse e con commerci ristretti, mentre a Roma sorge una 1ª tradizione ceramica nella tecnica a figure rosse e in quella attica a vernice nera, con l’unica ceramica fine esportata fuori dall’Italia viene prodotta da un insieme di officine chiamate gruppo dei Piccoli Stampigli, i cui prodotti erano rivestiti da una vernice nera, lucida, brillante e caratterizzate da piccoli imbrogli molto elaborati, come palmette, rosette e di rado elementi figurati, e alla stessa officina sono attribuite anche i pocola deorum, ovvero coppe, piatti o brocche su cui è sopradipinta la dedica a una divinità o con l'opposizione in bianco, giallo rosso di una decorazione figurata. Alla metà del III sec a.C. è attribuita la produzione delle Heraklesschalen, o coppe di Eracle, vasi a vernice nera con impresso sul fondo un bollo raffigurante Eracle e delle coppie di qualità mediocre che riportano sul fondo una H sopradipinta in bianco o impressa. Dopo il 200 a.C. vernice nera si diffonde in quantità enormi come vasellame la mensa in Gallia, in Spagna, nel Nord Africa e in Sicilia: le officine localizzate a Neapolis (Campana A) si diffondono soprattutto dopo la 2ª guerra punica con una produzione in larga scala che viene standardizzata con una ripetizione monotona di forme e schemi decorativi, probabilmente ad opera di schiavi che costituivano anche la forza - lavoro nelle campagne della penisola e che ricevevano la materia prima dai domini stessi, come la richiesta della tipologia del vasellame da realizzare; dal II sec a.C. la Campana B viene introdotta in Etruria e a Cales in una certa quantità di imitazioni credo aiutarono il successo, un bacio alla a me a pasta calcarea e con vernice nera o bluastra brillante. I vasi a pareti sottili, chiamati così per la sottigliezza del corpo ceramico, vengono attestati nello stesso periodo nell’Italia centrale tirrenica e gli antecedenti, bicchieri alti e ovoidali, così come i confronti, nella decorazione a incisione o à la barbotine (a mano libera con argilla molto liquida), sono ricercati nell’Italia settentrionale preromana e in Gallia. A livello di esportazione e modelli di produzione delle lucerne Roma conserva ancora un alto livello, nel tipo biconico dell'Esquilino, realizzato al tornio con corpo biconico e becco allungato con estremità rettilinea, verniciato di nero e privo di anse o con piccole prese laterali, mentre il ritardo con cui l’Italia centrale inizia a utilizzare le lucerne per l’illuminazione rispetto al mondo greco si spiega con la presenza di fonti alternative, come il sego, la cera d’api e il legno per fabbricare torce e la volontà di non disperdere un bene come l’olio. CAP. 18: PITTURA La pittura parietale era generalmente eseguita a fresco su una preparazione di intonaco di calce e sabbie ancora umido, formando, attraverso la reazione tra anidride carbonica e calce spenta, una pellicola di carbonato di calcio che sigillava i pigmenti garantendone una lunga durata, spesso sovrapponendo dettagli e partiture a secco o a mezzo fresco; per ottenere un intonaco durevole, generalmente si stendevano 3 strati preparatori, più grossolani e granulosi a contatto con il muro (malta, pozzolana, paglia, tegole) e più raffinati vicino la superficie pittorica, il tutto steso dall’alto verso il basso secondo fasce orizzontali coincidenti con la suddivisione dello schema decorativo per mascherarne le giunture. Per le coperture si 31 realizzava un’intelaiatura in canne, ancorata alla muratura di volte e soffitti, su cui si stendeva l’intonaco per assicurare aderenza e minor umidità, sulla malta morbida si tracciava i disegni preparatorio con cordicelle, righe graffite o un compasso, mentre i colori erano di origine minerale o organica a parte il blu egizio, ricavato dalla liquefazione di sabbia di quarzo, fiore di nitro e rame, e il rosso cinabro, il quale richiedeva la stesura di cera per evitare che l’esposizione lo annerisse, conferendo un effetto a specchio. Pitture anteriori alla fondazione di Roma sono ricordate e apprezzate da Plinio il Vecchio, come alla rovina del tempio di Lanuvium, forse tempio arcaico di Giunone Sospita, con il dipinto di Atalanta e Elena nude, anteriore al IV – III sec a.C., mentre le nostre conoscenze di pittura italica antecedente alla romanizzazione si basano su ritrovamenti in ambito funerario e domestico di area etrusca, campana e apula con uno stretto legame con la tradizione figurativa greca, che la tomba delle Anatre a Riserva del Bagno a W di Veio, dove uno zoccolo rosso copre i ⅔ della parete a sostegno di una teoria di uccelli acquatici resi con la semplice linea di contorno o campiture uniformi. Dalle pendici NE del Palatino viene ritrovato un bacile dipinto del 480 – 460 a.C. (pg.470) dove sull’ingobbio crema che rivestiva l’interno del vaso, vi è un volto maschile forse di atleta con il profilo tracciato da una linea nera mentre la resa prospettiva dell’occhio e la capigliatura riccioluta con il colore nero, rosso e bianco per le campiture ricordano la tecnica a figure rosse della ceramica attica e la pittura etrusca coeva, tanto da presupporne la realizzazione contestuale. Il più antico stile decorativo individuato da Mau sugli edifici campani e definito I stile riproduceva in spazi interni i rivestimenti litici che ornavano l’esterno di templi e edifici pubblici con le modanature tridimensionali in stucco o schemi geometrici a linee incise, ricoprendo le superfici stuccate imitando l’aspetto delle crustae marmoree (brecce, alabastri, marmi colorati) e di vari tipi di pietre; tale tipologia decorativa è definita strutturale, a incrostazione, masonry style e la presenza di simili decorazioni nel V sec in Grecia e Asia Minore, Russia e Egitto ne testimonia le origini greco – orientali, con una concentrazione di attestazioni di II sec a.C. a Pompei, Ercolano e Populonia. L’incontro con le tradizioni locali ne modificò proporzioni e rapporti dimensionali (schema pg. 471), difatti all’originario basso plinto sormontato da un fregio strutturale o figurato si sostituisce uno zoccolo più alto fino a ⅓ della parete divisa in 3 registri orizzontali e più frequenti colonne, pilastri, lesene per rompere l’assetto orizzontale del gusto greco, mentre la gamma cromatica con giallo, nero, verde, rosso e viola è maggiormente variegata e distribuita in accostamenti spesso casuali ≠ colorazione a zone del mondo greco – orientale. Non mancano motivi figurati e decorativi come cubi prospettici, drappi o elementi vegetali quali tralci o ghirlande, figure umane e antropomorfe su bugne o in fregi. Ai decenni iniziali del I sec a.C. risalgono le decorazioni di Capitolium di Brescia e della Casa dei Grifi sul Palatino sotto l’ala N della domus Augustana, i più antichi esempi di II stile o stile architettonico, che, pur replicando l’organizzazione tripartita e gli elementi degli schemi strutturali (conci isodomi, finte incrostazioni marmoree, drappi e cubi prospettici) attestano il subentro di mezzi pittorici ad oggetti e solcature in stucco nella suddivisione della parete, mutamento giustificato da un specifica esigenza delle committenze di alto livello a cui si lega la riorganizzazione spaziale delle domus con un dispiego di simboli politici e ostentazione di lusso, necessitando di differenziare gli ambienti per accogliere i pari del dominus e quelli per i subalterni. Gli elementi architettonici riprodotti sono solidi e illusionistici e il volume e la tridimensionalità sono esaltati dall’ombreggiatura che sottolinea le campiture interne dei pannelli, gli aggetti delle mensole, il rilievo degli architravi e i cassettoni sul soffitto, con una gamma cromatica che si orienta sul giallo, viola, cinabro e forti contrasti dati dalla lucidatura 32 a specchio; si inserivano in queste composizioni anche soggetti figurati come nei dipinti di scene dell’Odissea nella domus di via Graziosa sull’Esquilino (pg.473) che decoravano un portico: dietro un colonnato illusionistico di doppi pilastri si apre in lontananza lo scenario dei vagabondaggi, in cui le notazioni paesistiche tendono a sovrastare le figure dalle snelle proporzioni, come nel pannello con Ulisse che naviga verso Circe dove si presenta uno stretto di mare inquadrato da una rupe e da un spiaggia da cui risalgono le alture. Nel genere delle megalografie rientra la Villa dei Misteri di Pompei, nella cui sala, con pavimento in opus sectile con lastre di palombino incorniciate da ardesia (pg.474): sulla parete N vi è una lettura rituale, un sileno licine in atmosfera pastorale e una donna atterrita in corsa; sulla parete di fondo un sileno porge una brocca a un giovane satiro, un altro alza una maschera teatrale, al centro Bacco ebbro è tra braccia di Arianna/Semele e un 3° gruppo presenta 2 fig. femm. con vassoio metallico e ramoscello, un’altra inginocchiata mentre scosta il velo da una cesta bacchica e un demone alato femm. solleva un flagello; sulla parete S vi è la flagellata e una baccante, una toeletta nuziale e una matrona ammantata. Le pitture delle proprietà imperiali sul Palatino dimostrano l’arresto dell’illusionismo ottico, con il podio di sostegno delle colonne che diventa una superficie da decorare e la zona mediana della parete si struttura attorno a grandi quadri centrali di paesaggi idillico – sacrali o temi mitologici, e dalla metà del I sec a.C. un’ampia gamma di motivi egittizzanti come giorni di loto, urei, obelischi, sfingi, riconducibili al gusto alessandrino, è visibile nel cubicolo sup. della Casa di Ottaviano, organizzato attorno a un elemento centrale; l’introduzione di sfumature pastello su fondo bianco attenua i contrasti delle pareti con colori accesi esaltati dal trattamento a specchio delle superfici lisce e dipinte con pennellate leggere. Le pitture della casa di Ottaviano preannunciano il decorativismo della prima età imperiale, entro cui si colloca il III stile o stile ornamentale; le pareti della villa a Boscotrecase sono una raffinata espressione dell’epoca: sullo zoccolo del cubicolo 16, separata da forti contrasti coloristici dalla zona mediana, crescono esili piante o poggiano nature morte; le articolazioni del basamento si dissolvono in linee e figure geometriche come piccoli rombi con fiore centrale e una sovrapposizione di due sottili bande, reminiscenza del piano di attesa dei podi, evocati dalle coppie di linee verticali in corrispondenza delle partiture soprastanti, lo delimita superiormente; il registro mediano è scandito da colonnine con fusto a corteccia di palma e infiorescenze o ricoperte da miniaturistici collarini e pseudo-gioielli, candelabri vegetali campiscono il reg.sup. I quadri mitologici, apparsi già sul finire del II stile, si moltiplicano a partire dalla piena età augustea, con una non casuale collocazione al centro delle pareti, ad altezza di sguardo: i soggetti scelti consentono di traslitterare il quotidiano nel linguaggio poetico dei miti con dei ed eroi greci, mentre anche su volte e soffitti il tradizionale sistema a cassettoni si smaterializza in cornici puramente decorative di linee e filettature, appiattendosi su fondi spesso monocromi in bianco o nero che perdono ogni credibilità strutturale e si tramutano talvolta in veri e propri tappeti floreali, reticoli e tralci vegetali. Manierismo ornamentale e riscoperta architettonica nelle sue più svariate forme costituiscono il binario sul quale si muove la produzione pittorica dei decenni centrali e finali del I sec d.C: molte sono tuttavia le varianti che si sovrappongono a tale schema, al punto che più volte la pittura di tali anni è stata definita eclettica; lo stesso Mau, parlando genericamente di IV stile o ultimo stile pompeiano, denunciò tra l’altro la difficoltà nell’estrapolarne tratti peculiari univoci e la sola pittura non è più sufficiente a soddisfare il gusto delle committenze più elevate, che si rivolgono spesso all’uso di altri materiali, in particolare del marmo. Nella domus Aurea, la combinazione di marmo e dipinti diventa strumento di gerarchizzazione delle stanze e di distinzione funzionale: mentre agli ambienti più importanti si riserva un 35 di laterizio (cocciopesto) e una parte di calce come rivestimento parietale o piano di posa per le tessere o le lastre di marmi; per i mosaici parietali, sul muro grezzo si stendeva la Riccio, coperto da uno strato di malta fine, costituito da marmo, calce e pozzolana, e su questo si inserivano le tessere, tagliate grazie una martellina doppio taglio o una tronchese e inserite nel legante a mano per ½ o ⅔ della loro altezza. I centri più rilevanti si usavano frammenti di pietre e marmi importanti per il grande consumo architettonico, tessere di vetro erano impiegate per i fondi azzurri del mare e il fogliame verde, mentre l'Impiego di tessere duro si diffonde dal III sec d.C. a foglia d'oro su cubetti di vetro traslucido. I precedenti dei pavimenti a mosaico sono costituiti dai mosaici a ciottoli colorati con rappresentazioni figurate, riferibili ai secoli V e IV a.C., e rinvenuti in vari centri della Grecia; il ricorso a sottili liste di piombo, inserite nel sottofondo, consentiva di ottenere un disegno di contorno più netto nei profili dei volti o in altri particolari interni. I tipi più comuni di pavimenti in tutto il Mediterraneo erano costituiti da quelli cementizi, quei rivestimenti caratterizzati da una miscela di legante e aggregati litici o fittili, noti a livello letterario come cocciopesto, battuto o signino; particolarmente diffusi quelli che, in base all’impasto della pavimentazione, si definiscono a base fittile, impermeabili, compatti e resistenti al deterioramento, il fondo di colore rosso era ravvivato da uno strato sovrapposto di stucco dello stesso colore ed era decorato da tessere bianche e talvolta nere, allettate nel battuto e disposte liberamente o a formare disegni diversi, fra cui punteggiati, meandri, reticolati. Con il termine di emblemata si definiscono i pannelli eseguiti in officina, allettati su una lastra di travertino o di terracotta e poi inseriti al centro di pavimenti in tessellato o cementizio; spesso rappresentano la trasposizione nella tecnica musiva della pittura da cavalletto e quando è realizzato con tessere minutissime dal forte effetto pittorico, si è soliti definire tale tecnica come vermiculatum come se fosse formato da minuti vermi colorati. Cospicuo campionario di mosaici figurati e una decorazione parietale in stile strutturale è testimoniato dalla Casa del Fauno a Pompei, dimora degna di un principe e raffrontabile per articolazione e estensione ai grandi complessi palaziali d’Oriente ellenistico: dalle stanze affacciate sull’atrio provengono emblemata in vermiculatum con l’unione erotica di un satiro e una menade con un gatto che divora una pernice e con colombe che trafugano un monile da una cassetta; le sale da pranzo dimmi bacchici connessi al vino e nature morte, i 2 triclini sono ricoperti da emblemata con Bacco fanciullo in groppa a una tigre che beve vino da un cantaro e con una fauna marina di pesci e al centro la lotta tra un polpo un aragosta; il tablino è decorato in scutulatum, pavimento ottenuto dalla giustapposizione di rombi in travertino, ardesia e calcare verde a creare il motivo dei cubi prospettici; nell’esedra (si apre sul 1° peristilio con un prospetto a 2 colonne corinzie con capitelli di tufo stuccati e dipinti di splendida fattura) una soglia con paesaggio nilotico dà accesso al mosaico con la battaglia di Alessandro Magno su re persiano Dario III con figure a grandezza naturale, composto da milioni di tessere e circondato da una fascia di tessellato bianco, ritenuto una copia di una tabula dei greco Filosseno di Eretria. Da un’aula absidata del foro di Praeneste deriva un mosaico con una sorta di carta prospettica dell’Egitto della fauna locale al momento dell’inaugurazione del Nilo, rappresentata in fasce sovrapposte, mentre sempre da Preneste dalla Grotta delle Sorti a N nella basilica del foro proviene un invio con un mosaico, lacunoso nella parte centrale, con la veduta di una baia con pesci di ogni specie che dominano su ogni altro elemento della composizione. I più antichi pavimenti in tessellato risalgono al II sec a.C., ornati di motivi punteggiati o lineari dal repertorio de cementizi oppure di scaglie di pietre colorate e marmi, proprie dello scutulatum: il repertorio si forma quando i pavimenti musivi appartengono a edifici le cui 36 decorazioni parietali corrispondono allo stile strutturale e all’inizio del II stile, ma ben presto la decorazione in bianco-nero prende il sopravvento perché si suppone che, impiegando 2 soli colori e il calcare più frequentemente del marmo, i costi fossero inferiori e che, essendo la posa delle tessere più semplice, fossero richieste maestranze meno qualificate, diffondendosi con gli inizi del II stile pittorico fino alla 2ª metà del II sec d.C. nella decorazione dei pavimenti della quasi totalità degli ambienti di case e ville, delle aule all’interno di basiliche e delle sale termali. Nel periodo più antico, definito severo, il tessellato bianco può costituire l’intero pavimento, adornato da una semplice fascia di cornice a tessere nere, oppure un disegno su tutta la superficie pavimentale, mentre appaiono frequenti i riquadri centrali e le ampie fasce sulle soglie delle stanze a mo’ di tappeti e che nei cubicoli simulano gli scendiletto; fra i motivi decorativi per tutto il pavimento figurano le crocette disposte in filari orizzontali o verticali, il reticolo di rombi, il cancello, le squame, elementi a meandro, a onde correnti, a treccia che creano le fasce di contorno di campi bianchi. Una tappa fondamentale nell’evoluzione del mosaico è attribuita al periodo adrianeo, intorno al 120-130 d.C., quando fa la sua comparsa un nuovo stile, fiorito, che, persistente sino all’età antonina, con un repertorio ornamentale fondato sulle linee movimentate e curve e su ornati vegetali stilizzati e arabeschi; ampia documentazione è offerta dai pavimenti degli Hospitalia di Villa Adrianea, dove le zone destinate ad accogliere i letti presentano mosaici con fini motivi geometrici che si rifanno a un repertorio più antico, mentre il centro dell’ambiente è occupato da motivi rettilinei o arabescati disposti a creare nitide composizioni simili a delicati ricami a larghe maglie; fioroni ordinati a raggiera intorno a un rosone centrale sono spesso circondati da leggere corone tangenti tra di loro e formano una decorazione di grande estensione. I pavimenti dell’epoca dei Severi segnano un mutamento di gusto e stile nel panorama del mosaico, i cui decori in bianco-nero tendono a prediligere i fondi neri, ma sono ampiamente diffusi anche gli ornati campiti in nero su fondo bianco, e si afferma il gusto per i contorni curvi, sinuosi e movimentati, mentre nelle pitture parietali è in auge lo stile lineare rosso e verde; fra i motivi geometrici, limitati nel corso del III sec d.C., predominano pelte, squame, bipenni, mentre se ne creano di nuovi come dischi, sinusoidi, doppie asce, sagome di vasi, elementi polilobati, che riempiono il campo con pesanti macchie nere su fondo bianco. Molto diffuse le composizioni centralizzate, derivate dall’imitazione di coperture a volta con apertura nel mezzo e che sono documentate con grande varietà di tipi, fra cui gli schemi a medaglioni o quelli in cui, intorno a un tondo centrale, si dispongono altri campi circolari formati dall’intrecciarsi di 2 o più nastri; nel repertorio floreale vi un più accentuato naturalismo dei decori vegetali accanto a un progressivo impoverimento e irrigidimento degli elementi compositivi. Una testimonianza importante per valutare l’arte musiva dei primi decenni del IV sec d.C. è costituita dai pavimenti del complesso paleocristiano della città di Aquileia in Friuli, detto teodoriano, perché opera del vescovo omonimo, una committenza che risponde alle necessità dei nuovi luoghi di culto cristiani: consiste in una costruzione di 2 aule parallele i cui pavimenti sono interamente mosaicati e collegate da una 3ª trasversale, pavimentata a cocciopesto; nelle due i pavimenti sono divisi in 4 sezioni o campate ricoperte da tappeti a motivi geometrici e vegetali, che non presentano differenze rispetto ai pavimenti destinati a edifici privati o civili a uso pubblico. CAP. 20: DECORAZIONI E ARREDI DEI SEPOLCRI Nel corso del VIII sec a.C. inizia a essere utilizzata come necropoli una vasta area del quadrante E di Roma con un santuario a Venere Libitina, dea che presiede ai funerali, e una 37 porzione di suolo pubblico fu adibita alla cremazione e al seppellimento dei poveri e dei condannati a morte in puticoli, pozzetti comuni in cilindri di terracotta chiusi da coperchi; resistenza di una zona adibita a necropoli cittadina non escluse la creazione di monumenti in aree di proprietà delle ricche gentes, spesso vicino i templi, ad esempio al I miglio della via Appia nel 1780 venne scoperto un mausoleo funerario ipogeo scavato in un banco di cappellaccio, il cui interno si articolava in un sistema di gallerie disposte secondo uno schema quadrangolare con un corridoio a braccia intersecate e precedute da un vestibolo, la cui camera funeraria accoglieva una trentina di sarcofagi degli Scipioni, in posizione assiale rispetto all’ingresso: la tomba (pg.516) di apriva con una facciata monumentale su alto podio in blocchi di tufo con le statue di P. Cornelio Scipione Africano, L. Cornelio Scipione Asiatico e del poeta Q. Ennio, il podio era dipinto e il livello più antico presentava una decorazione a onde, mentre i vari strati offrono una serie di scene di combattimento e di trionfo con figure impostare su zoccolo rosso. Spesso rilievi con ritratti limitati al busto decoravano tobr uniformi che, appena distinguibili grazie a variazioni di modanature, colore dei materiali e cornici, si allineavano sulle principali vie di transito in entrata e uscita dalla città; la produzione di rilievia cassetta di colloca nel II sec a.C. e in età augustea, di cui i pochi esempi rinvenuti in situ ne suggeriscono la collocazione in facciata sotto l'architrave sulla porta di accesso, ripetendo volti, gesti e attributi di individui di famiglie di ingenui di non elevato lignaggio e di liberti, dove gli uomini presentano la toga sopra la tunica e i figli sfoggiavano la bulla, un grosso ciondolo circolare indossato al collo con amuleti. Terminata questa produzione, le officine si specializzarono in are, che a seconda della loro funzione sono state divise dalla critica tedesca in are funerarie e are ossuario, con nicchia sulla fronte o cavità circolari sul retro per l’inserimento di olle con le ceneri dei defunti: avevano solitamente forma di parallelepipedi con pulvini evolute o fronte uncini di coronamento e di dimensioni contenute e, acquistate da un congiunto, e non prevedevano il reimpiego da parte di generazioni successive, mentre le sono rare le raffigurazioni di divinità singole e assenti gli episodi del mito a favore di quelli della sfera rituale o i defunti in prima persona, sui lati anteriori vi erano bucrani, teste di ariete, ghirlande. Le urne di marmo vengono prodotte tra fine I – II sec d.C. a forma rettangolare o cilindrica con ornamenti vegetali e porte che configurano le urne come dimore del morto o tempietto, di cui le raffigurazioni dei defunti sono sotto forma di busti in miniatura, immagini in coppie a figura intera o segni emblematici come aquile e simboli apollinei/bacchici, mentre elementi del mito come il fatto di Proserpina, Meleagro, Medea, amazzonomachie, dalla produzione dei sarcofagi che influiscono anche nell'adozione di scene di battaglie sulle urne di inizio III sec d.C. Dall'età tardoantica si segnalano ambito urbano statue di uomini e Donne a figura intera raffigurati nudi e riprendendo schemi attributi di divinità ed eroi, soprattutto Venere, Cerere, Diana, Fortuna, Minerva, Ercole, Mercurio e Esculapio, mentre più di rado Bacco, Ganimede o Attis. La moglie di uno dei liberti di Traiano, Claudia Semne, per la prematura morte ricevette dal marito Ulpio Crotoniensis un sepolcro sulla via Appia con giardino, vigneto e pergolato, a comporre un cenotafio delimitato da un recinto, nelle edicole all’interno si trovavano i suoi simulacra in formam deorum, statue multiple sotto forma di divinità, mentre un’ara era dedicata a Fortuna, Spes, Venere e alla memoria della stessa defunta, i cui corpi rifulgevano di una bellezza temporale e irraggiungibile e sembravano scolpiti per mano di Fidia o dipinti con i colori di Apelle. La moda dei templi funerari, nella tipologia di prostili su alto podio, esplose in età traianea in Italia e Occidente, realizzati all’interno di praedia, proprietà dei titolari delle sepolture, in laterizio e le camere realizzate all'interno dei podi per riservare lo spazio interno a sarcofagi o statue dei defunti. All’inizio del II sec d.C. da una tomba familiare a tempietto sulla via Labicana di Q. Haterius Tychius, Proviene una serie di rilievi celebrativi, tra cui uno con la raffigurazione di un edificio funerario, dove la tomba, su alto podio, è a tempio prostilo con colonne ricoperte di tralci di vite e tetto displuviato, fastigio e acroteri, la
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