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Riassunti di Diritto Canonico, Sbobinature di Diritto Canonico

Riassunti dei libri (il matrimonio canonico + parte generale) per la cattedra di Cianitto, presso l'Università degli studi di Milano, per ciò che concerne il programma frequentanti/non dell'anno scolastico 2020/2021 da 6 CFU (lo stesso per coloro che hanno conseguito l'esame di diritto ecclesiastico e vogliono sostenere l'esame di diritto canonico da 9 CFU).

Tipologia: Sbobinature

2020/2021

In vendita dal 24/02/2021

viviananebuloni
viviananebuloni 🇮🇹

4.6

(34)

15 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunti di Diritto Canonico e più Sbobinature in PDF di Diritto Canonico solo su Docsity! 30/9/2020 9/10/11 dicembre – pre appello 1. RELIGIONE DIRITTO COMPARAZIONE Fondamentalmente il diritto canonico, anche se ha una struttura positiva molto accentuata, è un diritto religioso. Ne esistono come lui tanti, tanti quanti sono le comunità religiose nel mondo capaci di produrre diritto e soprattutto il diritto canonico oggi (nella società contemporanea) non ha più la pretesa di prevalenza universale che poteva avere attorno all’anno 1000 (si pensi che fino al 1054 quasi tutti erano della stessa matrice cristiana, poi scisma di occidente). Fino al 1054 fondamentalmente a parte gli ebrei, i politeisti e altri monoteisti (come i seguaci di Zoroastro), il mondo conosciuto era più o meno tutto cristiano. Il diritto canonico è un pezzettino dell’odierno mare magnum, ecco perché non affronteremo lo studio del diritto canonico come societas giuridica perfetta, al pari di uno stato. Questo vale nell’affrontare argomenti quali la curia romana. La chiesa cattolica va affrontata in mezzo ad altre religioni perché queste in quanto tali hanno avuto un aumento della visibilità nello spazio pubblico. Al di là della rivoluzione francese, si ha un processo di progressiva privatizzazione della religione. Dopo la metà del Novecento, questo processo poi ha subito un capovolgimento e da fatto meramente privato le religioni sono tornate a reclamare una visibilità nello spazio di tutti. Per esempio, in piazza: negli anni 70 non era pensabile una manifestazione religiosa pubblica per contrastare atti poco rispettosi e di discriminazione di un proprio ministro. Nel Novecento c’è stato il crescere e morire delle cosiddette ideologie secolari (come il comunismo, che nei paesi dell’Est ha dato visibilità a religioni che erano state cancellate nella vita pubblica), la globalizzazione. Quest’ultima si è sempre vita come miglioramento per lo scambio tecnologico e il know how tra popoli: un vero e proprio progresso economico, ma dal punto di vista del sociale dei gruppi l’abbattimento di tutte queste barriere che favorisce la vicinanza tra diversità crea anche una perdita di identità. Le religioni sono in grado di sopperire alla perdita di riferimenti sociali e culturali fornendo un nuovo sostrato di radici, di storia e cultura. Le comunità possono portare a due fenomeni: - chiusura, irrigidita, riscoperta delle tradizioni locali - apertura per la diffusione Il mondo si avvia ad essere sempre più religioso: se il tasso di religiosità aumenta, aumenta anche il tasso di visibilità reclamato. Solo il 16% oggi si dichiara non affiliato ad un gruppo religioso. Nel 2050 in Europa il numero di cristiani e musulmani sarà pari: il gruppo che inizialmente era maggioritario in Europa sarà raggiunto dalla religione musulmana per colpa del basso tasso di crescita demografica. Gli elementi che hanno scardinato quella grande omogeneità da cui si partiva dall’anno 1000 in poi sono (e ha reso l’Europa un melting pot, salad bowl): - Riforma luterana (Tesi di Lutero 1517) - Controriforma (Concilio di Trento 1545-1563) - Creazione stati confessionali, cuius regio eius et religio, pace di Augsburg 1555 - Pace di Westphalia 1648 (fine a guerra dei 30 anni in Europa) - Grozio e neutralizzazione impatto religione sulla vita pubblica (etsi Deus non daretur): concetto di libertà religiosa in embrione, concetto di tolleranza - Stato liberale ottocentesco 1 - Stato democratico/laico non riesce a gestire efficacemente il ruolo pubblico delle religioni in senso plurale  Conoscenza dei diritti religiosi è utile per poter gestire la pluralità della società contemporanea Studiare i diritti religiosi e il diritto comparato delle religioni? Per conoscere, bisogna comparare, un metodo che agevola la conoscenza, a maggior ragione nel campo dei diritti religiosi. La scelta porta ad un’identità, per la quale si reclama tutela. Se si vuole conoscere una religione la si deve comparare con le altre, per capire la natura delle scelta fatte da un credo rispetto ad un altro e scoprire la logica interna alle soluzioni adottate. - L’identità si definisce anche in relazione alle differenze - Per capire le richieste di chi è altro da me devo contestualizzarle nel suo orizzonte culturale e quindi creare un terreno comune di incontro (anche tecnico linguistico) che mi dia la possibilità di comprendere la richiesta senza perdere la mia individualità - Comprensione delle istanze provenienti dai gruppi religiosi nella società presuppone conoscenza dei diritti religiosi Quindi il diritto comparato delle religioni = scienza giuridica che pone a confronto il diritto prodotto dalle diverse comunità religiose per individuarne analogie e differenze. Quando approccio un diritto, però, devo chiarire di cosa mi stia occupando. In questa definizione si danno per scontato due definizioni: 1) Diritto / ci sono diverse teorie su cosa sia il diritto 2) Comunità religiose / nozione extragiuridica univoca Il diritto: cos’è? Definibile come l’insieme di norme dotate di coattività ed effettività di diverso contenuto e poste da un legislatore legittimo, singolo o collettivo, attraverso un procedimento. Le norme quindi nell’approccio positivista sono catalogate a prescindere dal loro contenuto, giuste o ingiuste, ma comunque sempre norme. Oppure, secondo i giusnaturalisti, il diritto è l’insieme di norme … che risponde ad un criterio di GIUSTIZIA, che ne rappresenta un fine estrinseco. In questa impostazione, il diritto giusnaturalista rappresenta un diritto metapositivo, che precede la norma, ispirato ai criteri di giustizia tra gli uomini, che costituisce il riferimento ultimo anche per il legislatore; la norma ingiusta non deve trovare applicazione anche se posta dal legislatore legittimo se in contrasto con i principi di giustizia. Il diritto religioso Tutti i diritti religiosi sono di matrice giusnaturalistica e quindi metapositivo – insieme di norme di diversa natura: comportamentali, etiche, rituali, sociali, politiche Ideale di giustizia precede l’uomo ed è posto: - Dall’ordine naturale delle cose, dall’armonia cosmica  induismo, buddismo, religioni orientali in genere Simile concezione del diritto della natura nel diritto greco e romano. La legge di natura si conosce con l’osservazione - Da un soggetto esterno, la divinità  ebraismo, cristianesimo, islam La legge è divina perché è Dio a porla e la rende conoscibile all’uomo attraverso la rivelazione, che colloca il diritto nel tempo (prima e dopo essa), nello spazio (un dato territorio) e rispetto ad un popolo. Disciplina potenzialmente ogni aspetto della vita umana. Se anche il diritto religioso persegue un fine di giustizia non diverge però così tanto dal diritto secolare di matrice giusnaturalista. 2 Quindi, Chiesa come popolo (insieme dei fratelli in Cristo), come comunità (singole monadi distributie nello spazio), come società (comunità che utilizzano mezzi comuni per il fine ultimo dell’ordinamento, cioè quello del codice vigente del 1983, dall’ultima norma – canone 1752: perseguire la salvezza delle anime dei fedeli). Il fine dell’ordinamento canonico è un fine totalmente trascendente: questo mondo rappresenta un percorso che si chiuderà e porterà a decidere sulla salvezza dell’anima. “La Chiesa è stata costituita da Cristo sulla terra quale organismo visibile e sociale, sì che la società costituita di organi ecclesiastici e il Corpo mistico del Cristo, la comunità visibile e quella spirituale, la Chiesa terrestre e la Chiesa ormai in possesso dei beni celesti, non si devono considerare come due cose diverse, ma formano una sola complessa realtà, risultante di un duplice elemento, umano e divino” (Lumen Gentium, par. 8). Il concilio vaticano II ha chiarito che il Cristo non ha portato il messaggio a dei singoli, ma ad una comunità visibile e organizzata, cioè alla sua Chiesa: l’ordinamento canonico è per volere di Cristo lo strumento che serve a regolare la vita di questa società. In particolare, il diritto canonico è costituito da un insieme di canoni dotati di precetto sanzionatorio e che regolano le varie relazioni che intercorrono nell’ambito della comunità ecclesiale e non la relazione del singolo con Dio (il rapporto tra Dio e fedele rimane confinata nel cosiddetto foro interno / il diritto canonico disciplina il foro esterno, le complesse relazioni nell’ambito della comunità ecclesiale). Nel diritto canonico la forma della norma è strettamente legata alla sua sostanza, nella relazione che lega la realtà normativa al fine ultimo dell’ordinamento giuridico canonico che è la salvezza dell’anima (can. 1752 CIC 1983). Il fine dell’ordinamento canonico – e quindi della Chiesa quale comunità religiosa organizzata e istituzionalizzata – è ultraterreno, ha origine divina ma si svolge nel mondo terreno perché è Cristo che ha voluto così (a Pietro il compito di edificare la Chiesa). L’istituzione divina della Chiesa fa sì che essa possa essere concepita come societss iuridice perfectae. La sua autonomia e la sua libertà derivano solo da Dio, non da nessun potere umano.  è dotata di sovranità originaria, quindi la sua autonomia e libertà sono conseguenza della sua istituzione divina e non derivano da alcun potere umano;  Chiesa e Sede Apostolica sono persone giuridiche morali per ordinazione divina (can. 113 CIC 1983). DIRITTO DIVINO E DIRITTO UMANO Nel diritto canonico coesistono dunque due componenti - Divina, che promana dal legislatore divino - Umana, frutto dell’azione dell’uomo (il legislatore ecclesiastico) Nella Chiesa quindi coesistono due nature: una divina (che preesiste ad essa, contenuta nella rivelazione, diretta emanazione della volontà di Dio), una umana (che legifera nell’ordinamento sempre attenendosi a quanto sancito dalla divinità). Il diritto divino Nel diritto canonico quindi esistono due tipi di diritto, uno prodotto dal legislatore divino e l’altro dal legislatore umano. Il diritto divino si compone a sua volta di due concetti coessenziali l’uno all’altro: 1) Diritto divino positivo: è quello contenuto nella rivelazione. Ciò che possiamo rinvenire nella Sacra Scrittura e nella tradizione (apro il vangelo, ciò che vi è scritto è il diritto divino positivo). Questo tipo di diritto obbliga i fedeli dell’ordinamento: chi ha ricevuto il battesimo; 2) Diritto divino naturale: è quello contenuto nei precetti iscritti nel cuore dell’uomo e conoscibili attraverso la ragione, e che dunque obbliga tutti gli uomini (questo complesso di diritti sono, 5 secondo San Tommaso, iscritti nel cuore dell’uomo solo per il fatto che egli possa dirsi tale – es. Non uccidere). Questo insieme di precetti non dipende dalla rivelazione ma dal fatto che siamo tutti uomini allo stesso modo, sono valevoli per tutti ed è il motivo per cui ad esempio un matrimonio tra persone non battezzate è irrilevante come istituto di diritto divino naturale. Vediamo ora cosa il diritto canonico considera rivelazione: quali sono i testi di riferimento a cui si rifa per apprendere la rivelazione. L’elenco di ciò che fa parte della Sacra Scrittura per la Chiesa cattolica è sancito dal Concilio di Trento (1546 – piena Controriforma) che fissa la composizione della Sacra Scrittura: - Antico testamento – vigente solo per quanto confermato dall’insegnamento di Cristo (quindi non ad esso contrario) - Nuovo testamento :  4 Vangeli (S. Matteo, S. Marco, S. Luca, S. Giovanni) che sono fonte di diritto divino autentica (i vangeli apocrifi invece hanno una storicità validata ma che non costituiscono rivelazione attendibile);  Atti degli Apostoli, insegnamenti dopo la morte di Gesù;  14 epistole di S. Paolo;  2 epistole di S. Pietro;  3 epistole di S. Giovanni;  Epistole di S. Giacomo e S. Giuda;  Apocalisse di S. Giovanni. Alla fonte di diritto scritto composta dalla rivelazione, si affianca la tradizione: il complesso degli insegnamenti tramandati oralmente dal Magistero della Chiesa nei secoli. Si compone di: - Tradizione divina o divino apostolica: insegnamenti del Cristo o ispirati dallo Spirito Santo agli Apostoli che non hanno trovato posto nei Vangeli e nelle epistole. - Tradizione umana: ha fonte ecclesiale, risalente all’età patristica e apostolica, arricchitasi con insegnamento della Chiesa che non costituisce verità rivelata, non ha valore dogmatico. Normalmente la tradizione viene chiusa attorno al III secolo: non tutto ciò che è stato insegnamento tradizionale della Chiesa compone tradizione, ma solo tutti quei racconti degli insegnamenti del Cristo e apostoli che si sono svolti in un tempo molto vicino al tempo stesso della rivelazione. Questa fonte orale che si accompagna alle fonti scritte supplisce in qualche modo alle oscurità e lacune – ciò è comune di tutti i diritti con rivelazione. La fonte orale abbinata a quella scritta e che specifica e colma di più il volere della divinità è presente con caratteristiche differenti in tutti e tre i diritti rivelati (ebraismo e islam anche). Caratteristiche del diritto divino: - IMMUTABILE perché vige sempre nello spazio e nel tempo. Il diritto divino nel canonico è stato soggetto ad un processo di canonizzazione, cioè fossilizzazione/cristallizzazione del principio tradotto in fattispecie (un dogma) comprensibili sempre. Il canone tuttavia, come attività interpretativa è soggetto a storicizzazione. I primi concili sono stati tutti focalizzati a definire cosa intendessero i principi. La legge che contiene precetti di diritto divino ha un valore meramente dichiarativo e ha valore retroattivo. La norma ha carattere dichiarativo, perché dichiara all’uomo ciò che Dio vuole (e lo vuole da sempre!). - INDEROGABILE perché costituisce l’ispirazione e il limite ultimo per il legislatore canonico. Non può essere modificato il suo contenuto e il legislatore ecclesiastico nel momento in cui opera deve avere come unico riferimento il diritto divino, che ne costituisce la massima aspirazione e il limite 6 invalicabile. La legge umana non può in nessun caso essere contraria e contravvenire al diritto divino. IL DIRITTO UMANO Il diritto umano è quello posto dal legislatore canonico, invece. Il diritto umano si divide in: - Universale: come il diritto divino è universale e particolare, allora laddove vi sia diritto divino, il legislatore canonico pone un diritto umano universale, vigente per tutti i territori della terra laddove vi siano cattolici; - Particolare: quel diritto umano che vige in un contesto territoriale/personale determinato (il diritto diocesano, ad esempio). Legge in diritto canonico è:  Secondo Tommaso d’Aquino: una disposizione della ragione, diretta al bene comune e promulgata da chi ne ha la legittima autorità;  Secondo Francisco Suarez: comando della legittima autorità per il bene dei sudditi, comune, perpetuo, sufficientemente promulgato. Le caratteristiche della legge anche in diritto canonico sono:  generalità, legge non può essere promulgata per situazioni particolari.  perpetuità, legge è solitamente promulgata a tempo indeterminato, fino ad abrogazione espressa o tacita.  Promulgazione, porta ad esistenza la legge nell’ordinamento (vacatio di 3 mesi per leggi universali, 1 mese per leggi particolari se non altrimenti stabilito). Quali tipologie di legge conosce il diritto umano (universali e particolari): - Leggi universali = leggi pontificie / la forma  Bolle, così chiamate per via del sigillo posto alla base dell’atto;  Brevi, meno solenni stile più dimesso  Atti motu proprio, decisi di propria iniziativa dal Pontefice  Chirografi, scritti o sottoscitti dal Papa Gli atti pontifici a seconda del contenuto invece possono essere distinti in diverse leggi pontificie: - Le lettere apostoliche – per questioni di grande importanza - Le lettere encicliche – se indirizzate a tutta la cristianità o vescovi di una determinata regione - Epistole apostoliche – per questioni di rilievo minore - Costituzioni – bolle contenenti norme generali di carattere legislativo Pur avendo solennità diversa, ognuno di questi atti ha la medesima efficacia normativa, dispone solitamente solo per il futuro, obbliga i battezzati (non coloro che sono privi dell’uso di ragione e i minori di anni 7). Esempi di diritto particolare sono: - Atti pontifici vigenti per un determinato territorio; - I decreti delle singole Conferenze Episcopali (pur avendo un territorio ampio, non vale per la Cina, la Francia etc… non è una norma di diritto universale in senso canonico!); - Gli atti dei Sinodi Provinciali; 7 Accanto a queste abbiamo - Antichi scrittori dei primi secoli - Patristica - Canoni dei primi concili (es. Concilio di Nicea 325 d.C.) - Vescovi e vescovo di Roma in particolare: attuano proprie decisioni attraverso le decretali 7/10/2020 Il diritto canonico nel suo processo di nascita e poi di creazione delle norme si data in quattro periodi differenti a partire dall’Editto di Milano (313 d. C.), benché si parli di diritto canonico istituzionalizzato. Prima ci sono fonti principalmente liturgiche. Abbiamo anche visto che le prime comunità nella clandestinità applicavano regole dettate dalla Sacra Scrittura, dalla Tradizione e dalle consuetudini e le decisioni che i vescovi attuavano in quanto successori degli apostoli. Dal 318 d.C. in poi e quindi con il riconoscimento da parte di Costantino dell’Episcopalis Audientia si ha una azione dei vescovi più istituzionalizzata sotto l’egida dell’imperatore. Di questo periodo sono le collezioni pseudo apostoliche in cui venivano tramandate consuetudini agganciandole all’autorità degli Apostoli per renderle maggiormente vincolanti. E quindi gli antichi scrittori dei primi secoli (tra cui Tertulliano), la patristica, i canoni dei primi concili (tra cui il primo, il Concilio di Nicea del 325 dove vengono dipanate le prime questioni ideologiche salienti come la trinità, la natura del Cristo…) e poi abbiamo le prime decisioni dei Vescovi, in particolare del vescovo di Roma in quanto sede imperiale (importanza maggiore), che attuano proprie decisioni. Nello IUS VETUS dividiamo due periodi - Dall’Editto di Milano fino alla fondazione del Sacro Romano Impero (fonti appena citate) - Dall’VIII secolo fa la comparsa una fonte fondamentale, quella dei libri penitenziali, una fonte tipica del Nord Europa. Essi sono manuali pratici per confessori in cui si creavano cataloghi di pene a fronte delle più disparate violazioni/peccati. Libri penitenziali – sec. VIII/IX Sono importanti come fonte del diritto canonico perché inserisce dei concetti che troveremo nella penalistica degli stati. - Si introduce la penitenza privata in sostituzione della penitenza pubblica: il libro penitenziale cambia la vecchia prospettiva e crea rapporto personale tra il peccatore e il confessore, sostituendo alla penitenza pubblica un’ammenda che invece viene comminata dal confessore al peccatore in totale privacy. Il concetto della penitenza privata è una prerogativa di questi libri. - Si associa la pena per equivalente: non c’è una pena in forma specifica, come il taglione. - Importanza dell’elemento dell’intenzionalità sulla qualificazione della pena: più una condotta è stata intenzionale e maggiore sarà la pena da espiare per il penitente per vedersi rimesso il peccato. Si introduce il concetto di intenzionalità della condotta, fondamento della criminalistica per tutti i secoli a venire! Concetto di dolo, colpa. Esempi: “Se qualcuno viola una vergine o una vedova faccia penitenza per 3 anni, uno dei quali a pane acqua” “Coloro che, a causa della fornicazione, non conoscono neanche il numero di quelle con cui hanno avuto dei rapporti fisici facciano penitenza per 40 settimane”. Si tratta di cataloghi assolutamente non dotati di sistematicità, cioè organizzanti le condotte secondo criteri stabiliti per la corrispondenza della pena rispetto alla condotta, ma sono sicuramente importanti per gli elementi suddetti. 10 Il diritto contemporaneo si regge assolutamente sul diritto soggettivo per ascrivere la condotta al soggetto. La pena per essere considerata efficace ed equanime rispetto alla condotta tiene conto dell’elemento soggettivo! Altra fonte importante che si sviluppa in questo passaggio storico tra feudalesimo e SRI sono le Epistole decretales, le decretali. Queste erano delle costituzioni che il Papa inviava in forma di lettera ai vescovi che domandavano il suo consiglio o intervento. Più che il Papa, in questa fase, il Vescovo di Roma. Questa richiesta non era una semplice richiesta di “come devo regolarmi in questo frangente” ma “quali sono i principi di diritto a cui mi devo attenere per risolvere questa controversia che mi trovo a dover dipanare”. In questo senso, la richiesta dei vescovi ha aperto uno spazio al fatto che le decretali abbiano un contenuto che va oltre al caso concreto, sancendo dei principi di diritto applicabili a casi analoghi. Il vescovo di fatto esprimeva regole generali, utili ai vescovi nella disciplina di casi del tutto o parzialmente simili, dando ai vescovi un margine di interpretazione all’applicazione del principio. I contemporanei delle decretali hanno cominciato a raccoglierle in raccolte di decretali e canoni dei concili: queste sono le prime fonti di diritto canonico istituzionalizzate, che vanno oltre le fonti più liturgiche e dogmatiche (Collezione Hispana, Collezione Dionisiana). Tuttavia le raccolte di decretali sono del tutto asistematiche, raccolte per periodo o per nome di vescovo che le aveva promulgate. Dunque, non erano raccolte secondo i principi che contenevano: ciò rendeva difficoltoso l’utilizzo delle stesse raccolte! Durante il periodo carolingio, il sostegno tra Papa e Impero politico concorre in maniera collaborativa alla creazione del nuovo diritto canonico. In questa fase siamo ancora in pieno cesaro-papismo: la Chiesa non ha ancora autorità politica temporale ben definita, ma è l’imperatore che convoca i concili, ne promulga le decisioni e pone le norme della disciplina ecclesiastica. Nella notte di Natale dellì’800 d.C., quando Carlo Magno viene proclamato imperatore, comincia a decorrere l’inizio del cambiamento nel rapporto tra chiesa e stato perché di fatto la Chiesa durante l’incoronazione viene chiamata a legittimare il potere temporale, benedetto dal potere spirituale. Di questo periodo storico, della metà del IX secolo importanti anche le decretales pseudo-isidoriane, le decretali che contengono la cosiddetta Donazione di Costantino, secondo cui l’imperatore avrebbe riconosciuto al pontefice di Roma l’autorità politica sui territori che circondano la città. Sulla base di questa donazione i pontefici si porranno come i sovrani della città di Roma e di quella parte territoriale che circonda Roma dell’Italia centrale. Il problema è che questo documento è uno dei più famosi falsi della storia, costruito e compilato ad arte in una fase molto successiva alla morte di Costantino (perché è di questo periodo). Altra fonte del diritto canonico molto importante di questo periodo storico è sicuramente il Dictatus Papae (1075), sotto Gregorio VII, il papa della riforma gregoriana, appunto. Successiva 25 anni dopo lo scisma d’oriente e d’occidente (1054). L’imperatore sceglieva i vescovi, li nominava, e il pontefice ratificava la scelta dell’imperatore: Gregorio VII è il papa che opera una grande riforma interna all’apparato ecclesiastico ingaggiando una lotta politica con l’imperatore per recuperare la libertà riguardante le nomine episcopali. Egli punta alla moralizzazione del clero e alla lotta alla simonia, alla vendita delle cariche ecclesiastiche, ma d’altra parte si contrappone all’imperatore per portare alla chiesa il potere di scelta dei propri pastori con il Dictatus Papae del 1075 in cui afferma la supremazia del potere pontificio su quello imperiale (teoria delle due spade, temporale e spirituale). Egli sancisce la prerogativa per il pontefice di scomunicare l’imperatore liberando i suoi sudditi dall’obbligo di obbedienza. In un momento in cui il SRI, l’occidente Europeo, era religiosamente omogeneo, il papa ha un grande potere!!! E’ in questo documento che è ricompreso il famoso versetto XII “Quod illi liceat imperatores deponere” – 11 Che ad Egli è permesso di deporre gli imperatori. Il potere spirituale legittima il potere temporale e qualora la legittimazione venga a cadere, allora il potere temporale è illegittimo! Siamo nel periodo della scomunica di Enrico IV – che si reca penitente da Gregorio VII per vedersi revocata la scomunica. Tuttavia la lotta per le investiture continuerà fino al Concordato di Worms del 1122 che sancirà una tregua tra papato ed impero e che il pontefice manterrà la prerogativa di nominare i vescovi sulla base di criteri spirituali e non politico-temporali. LO IUS NOVUM Fino alla riforma gregoriana e al Concordato di Worms parliamo di IUS VETUS, mentre con il Concordia discordatium canonum o Decretum, si passa allo ius novum, nuovo perché c’è un cambio radicale nella produzione e nell’organizzazione del diritto canonico. La svolta si ha con quest’opera a carattere privato del monaco Graziano, che fece per sua iniziativa. Egli visse e insegno all’università di Bologna tra il 1130 e il 1150. è un’opera che di fatto Graziano fece per i suoi studenti, una sorta di dispensa ad uso scolastico, utilizzando Il metodo che egli usa è un metodo sistematico modellato sulle Istitutiones di Gaio (personae, res, actiones): anche Graziano è considerato il fondatore della scuola dei decretisti. Graziano aveva l’obiettivo di riorganizzare le fonti di diritto canonico in uso fino a quel momento per creare un compendio di facile consultazione in cui le antinomie vengono risolte, portate a concordia. Le fonti che Graziano riorganizza sono - Il secondo concilio lateranense (1139), - Le epistolae decretales dei pontefici (da Damaso a Innocenzo II: 306-1143) comprese - Le decretali pseudoisidoriane - I testi dei Padri della Chiesa, - I penitenziali, - I libri liturgici, - I sinodi episcopali, - Il diritto romano e - Le leggi franche. I materiali che Graziano si accinge a sistematizzare è sterminato!!! Graziano utilizza metodo esegetico o della “glossa”, identificando le quaestiones, riportando le auctoritates (i passi delle varie fonti che supportano la conclusione di Graziano in un senso o nell’altro) e proponendo proprie conclusioni (dicta), rendendo dunque maggiore armonia. * 101 distinctiones, trattazioni analitiche di singole problematiche; carattere generale delle prime venti * 36 causae, dissertazioni su materie varie (diritto penale, matrimoniale, persone, alcune – in particolare la n. 33 dedicata al diritto canonico sulla base dei penitenziali – a loro volta articolate in distinzioni; * 5 distinctiones dedicate alla materia sacramentale. Il decreto di Graziano viene subito adottato come testo di riferimento per lo studio del diritto canonico, ma la sua fortuna andrà ben oltre l’ambito didattico. Questo perché nel 1234 Papa Gregorio IX decide che il decreto di Graziano non è più sufficiente e decide di pubblicare una pubblicazione canonica nuova, al di fuori del decreto, il Liber Extra o Decretales Gregorii IX, che promulga con la bolla “Rex Pacificus”. E’ anche questa opera a cura di un dotto, Raimondo di Penafort, che espunge testi inutili, simili, contraddittori, modifica le fonti dove necessario anche con l’emanazione di nuove decretali ad hoc per ricondurre ad unità il materiale successivo al decreto. Il decreto viene inserito da Gregorio IX all’interno del Liber Extra, che ha carattere autentico, universale, unitario ed esclusivo. 12 8/10/2020 TEAMS 9/10/2020 SEMINARIO 14/10/2020 L’APPARTENENZA RELIGIOSA Fino ad ora abbiamo affrontato argomenti introduttivi per conoscere il diritto religioso canonico, il diritto che la Chiesa cattolica produce e applica per i propri fedeli. Chi sono coloro che sono tenuti all’osservanza di tale diritto, come si suddividono e quali sono i temi che il diritto canonico pone all’attenzione degli Stati. Il tema dell’appartenenza oggi è un tema che concerne tutte le religioni in senso ampio, in particolare va affrontato in relazione ai monoteismi. Parliamo di Joseph Sela, israeliano, tennista professionista. Stava disputando il torneo ATP di Shenzhen (Cina). Si è ritirato per rispettare lo Yom Kippur durante il match dei quarti di finale, dopo che aveva chiesto agli organizzatori di calendarizzare il suo incontro per primo nel pomeriggio del 29 settembre 2017 per essere sicuro di terminare entro le 18.12. Ha comunque disputato un match serrato fino a pochi minuti prima di ritirarsi. Ogni ebreo osservante durante questa festività si sofferma a pensare all’anno trascorso in preparazione della rinascita del nuovo anno. Questa festa viene osservata da sempre, celebrata anche dagli ebrei meno osservanti, più tiepidi. Altro caso è quello di Marina Nalesso, conduttrice del TG2. La sua apparizione in video con il crocifisso appeso al collo fece montare una grandissima polemica tra chi plaudì il suo gesto e chi invece gridò allo scandalo perché sulle reti nazionali si era presentata violando un dovere di laicità. E se si fosse presentata con l’hijab? In termini prettamente giuridici: nel caso in cui il giornalista si presenti con un simbolo religioso, sarebbe 15 legittimo richiedere la sua rimozione e in che termini? Dal punto di vista della libertà altrui, si impone? - garantiamo libertà di religione ed espressione; - ma 1) ci sono eventuali codici etici per la professione; - e 2) natura invasiva del simbolo. Tarlazio afferma che il crocifisso è un simbolo considerato passivo (non in grado di perturbare chi lo vede) e che sia un simbolo culturale, che predica l’uguaglianza tra gli uomini e l’inclusività (sono sicuramente capisaldi del cristianesimo, ma che sia più culturale che religioso ci sarebbe da ridire…). Non è direttamente identificabile come emanazione della chiesa cattolica, ma come portato di una cultura che si fonda sui principi del cristianesimo – pertanto non è un simbolo lesivo. Il simbolo è un potente aggregatore che rimanda al concetto di identità e provenienza culturale. Ci sono vari modelli di aggregazione possibili! Non si potrebbe esporne tanti? Sì, la lista sarebbe potenzialmente infinita. Quando si fa l’associazione simbolo come portato di una religione e una cultura, di fatto si affermano due cose molto diverse: - nel caso del crocifisso, può stare lì - nel caso del velo, rimanda ad una cultura e identità diverse, quindi dobbiamo discutere se questi valori che si richiamano sono compatibili con noi oppure no. Ma allora esporre un simbolo come potrebbe essere un modo per ledere la libertà religiosa altrui? Le religioni non stanno più nel privato. Dobbiamo riferirci per capire se esiste una lesione alla sensibilità (il sentimento religioso) o alla libertà religiosa? Alla sensibilità religiosa, se si pensa di pancia! Ma lo Stato a cosa deve pensare? Alla libertà religiosa, perché la sensibilità varia nel tempo! Quando lo Stato si deve attivare? Il problema del simbolo crea un problema semantico e va visto attraverso più prospettive: anche la Corte di Giustizia è arrivata a dire che tutto debba essere preventivamente concordato – allora le restrizioni divengono legittime. Bisogna vedere se vi siano delle norme, ad esempio, sull’abbigliamento di chi legge il telegiornale. Il problema non è il sentimento religioso, che è parametro totalmente soggettivo, non oggettivamente apprezzabile dal legislatore/giusdicente. Se si prende la sentenza per la Lituania in cui vengono presi come modello la Madonna per un paio di jeans, lì si dice che non c’è lesione blasfema del simbolo e quindi la campagna pubblicitaria non era perseguibile ai sensi di legge. Quando però si affrontano analoghe problematiche in relazione al culto musulmano la situazione cambia e la Corte Europea tiene un parametro più ristretto per la sensibilità a sua volta più ristretta dei musulmani!  la questione simboli religiosi è sempre una bomba ad orologeria. Dal punto di vista personale, vige la più ampia libertà di ostensione, anche in pubblico, del simbolo religioso, a meno che non integri norme penalistiche (senza arrivare al problema dell’ordine pubblico). Ma allora la questione più se ne parla e più si complica: il crocifisso è un simbolo passivo, altri sono in un certo senso “attivi”, come per i sikh il loro coltello o un hijab per le donne musulmane. Sempre sull’appartenenza, prendiamo ad esempio Mo Salah, egiziano, musulmano osservante e calciatore del Liverpool. Egli ha preteso di rispettare il Ramadam nel 2018 in piena finale di Champions League. Lui ha posto il problema del ramdam anche per tutti gli altri calciatori. 16 Con i mondiali di Russia 2018, il Ramadam ha rappresentato anche un dilemma calcistico, che ha fatto scomodare i più alti vertici religiosi in Egitto. Il Gran Mufti egiziano Shazki Allam ha emesso una fatwa, un editto religioso, nel quale dice sostanzialmente e con molte sfumature che i calciatori della squadra nazionale non sono obbligati a digiunare a Ramadam, visto che si allenano per la Coppa del Mondo che inizia proprio il giorno della fine del mese sacro. La questione ha però generato controversie e Abdel Hamid al-Atrash, ex capo del comitato delle fatwa di al-Azhar, tra le più prestigiose istituzioni dell’Islam sunnita, si è opposto al Mufti. Altro caso, in Austria, nell’ottobre 2017, entra in vigore il cosidetto “burqa ban”, per cui non è più impossibile indossare nei luoghi pubblici il burqa o il niqab, così come altri sistemi di travisamento dei tratti che devono essere usati con molta moderazione. Ultimo caso: nel settembre 2018 la popolazione del cantone San Gallo (CH) ha ratificato con il 67% di voti favorevoli la legge approvata dai deputati del cantone nel 2017. Il primo cantone ad implementare una tale legislazione era stato il Canton Ticino nel 2016. Nel 2019 si sarebbe dovuto tenere un referendum per capire se estendere il divieto di indossare il velo integrale nei luoghi pubblici a tutta la Confederazione Elvetica. Il simbolo religioso è come un animale scivoloso, sia che lo si prenda dalla testa che dalla coda. Parliamo in ultimo della circoncisione maschile, praticata dagli Ebrei sui bambini maschi di 8 giorni a testimonianza dell’alleanza tra Dio e il suo popolo. Ma è praticata anche dai Musulmani tra i primi giorni di vita e la pubertà sulla base di un hadith (sunna) del Profeta. È detta Khitan. Per alcune scuole è obbligatoria per altre consigliata e meritoria. Laddove la pratica culturale non è assistita da una pratica religiosa, è legittima o no? L’appartenenza quindi significa: - Ogni gruppo sociale (religioso e secolare) ha la necessità di individuare chi sono i propri appartenenti con relativi oneri e diritti; - Le regole sono diverse per il membro del gruppo (cittadino, fedele) e per colui che è estraneo (straniero, infedele) e ciò delimita l’appartenenza ad un determinato gruppo; - Il confine interno (chi sta dentro) e il confine esterno (chi sta fuori), nonché eventuali sottogruppi interni (ahmadi, baha’i, ebraismo riformista); - Simboli religiosi/abbigliamento; - Regole alimentari; - Simboli nel corpo. Sono tutti sintomi di una identità che reclama il proprio riconoscimento agli occhi del gruppo “nazione”, dello Stato “istituzione”. Si pretendono delle misure legislative idonee. LA DETERMINAZIONE DEI CRITERI DI APPARTENENZA Sistemi di ingresso nei vari gruppi religiosi: come posso dire di essere portatore di una specifica identità? 1) Appartenenza per nascita  diritto ebraico: solo per i figli del popolo eletto (nascita per madre ebrea / conversione difficile perché non è necessario essere ebrei per ottenere la salvezza, basta osservare i principi noachidi)  diritto islamico: ogni uomo nasce naturalmente musulmano, salva diversa adesione ad altra fede Il bambino morto prima dell’età della ragione è accolto nel Paradiso musulmano. Questo determina una forte spinta al proselitismo con meccanismi semplici di inclusione. 2) Appartenenza per atto volontario 17 La conversione dei genitori (o almeno del padre) estende i suoi effetti ai figli minorenni e a quelli deboli di mente. Essendo un atto migliorativo della condizione paterna, estende i suoi effetti. La professione di fede, la shahada consiste in “non esiste altro Dio al di fuori di Dio e Maometto è il suo Profeta”. “Non c’è costrizione nella religione” Sura 2, versetto 256: il principio che si afferma è che l’Islam non può essere imposto con la forza, ma è una confessione ispirata a libertà di scelta. Si può smettere di essere musulmano? Il reato di apostasia (abbandono della fede) a favore di una nuova appartenenza e la sua disciplina giuridica si rifanno ad Abu Zaid (dotto islamico medievale), il quale prevede la perdita dei diritti civili e politici; pena di morte ed è un delitto a pena hadd (delitti espressamente previsti dal Corano, come la fornicazione, apostasia, blasfemia… pena capitale). Se il reo è una donna, non vien applicata la pena di morte. La donna deve essere rinchiusa e frustata tutti i giorni in attesa di un suo ritorno all’ortodossia, una robusta spinta al pentimento. In generale la scuola predominante, la manichita (Nord Africa), prevede che la donna non sia sottoposta a pena capitale (se la donna musulmana può sposare solo un uomo musulmano, la donna che si converte può comunque sposare sempre un uomo musulmano – il problema è se si tratti di una donna non musulmana che non garantirebbe il protrarsi della fede). L’apostasia rappresenta di fatto una rottura del patto sociale tra i credenti / una messa in pericolo della comunità nascente, per la sicurezza sociale / un tradimento della comunità e rifiuto della perfezione della rivelazione. L’abbandono della fede può configurarsi in una svariata tipizzazione di condotte, siccome non esiste definizione di ciò che è apostasia nel corano. È vero che le condotte possono essere infinite, ma sono sempre accomunate da caratteristiche che di fatto restringono l’ambito applicativo della norma. Dunque, un musulmano può essere punito per apostasia se: a. È maschio e maggiorenne, dotato di libero arbitrio – siccome la donna è considerata sotto tutela dell’uomo, deve essere portata a più miti consigli; b. Agisce intenzionalmente – requisito non a caso previsto dall’interpretazione, siccome restringe di molto le possibili condotte; c. Esiste la prova dell’apostasia per testi o confessione (reo confesso o testi che certifichino il comportamento contrario alla dottrina). Il diritto islamico poi tratta differentemente l’apostasia del musulmano nato come tale (più grave) e quello del musulmano diventato tale con conversione. Con il Consiglio degli Ulema Marocchini 2017, l’apostasia, uno dei più gravi reati da porre in essere nell’Islam, viene al centro di un cambiamento di rotta. Da un punto di vista legislativo, in relazione al diritto religioso, il Marocco ha una disciplina che tradizionalmente ha sempre recepito l’impostazione coranica in materia di reato di apostasia, tant’è vero che l’ha sempre punita con la pena capitale. Gli Ulema Marocchini però hanno cercato una via per conciliare il dettato coranico con le moderne concezioni del diritto di libertà religiosa contemporanea (intesa come libertà anche di cambiare fede – diritti umani dell’uomo): senza dunque pensare all’apostasia come tradimento della comunità, è possibile applicare ad essa una pena più mite – motivazioni politiche, diritti umani. I dotti non possono cancellare il reato in sé, ma ne possono mitigare gli effetti applicativi. Abbiamo visto che la conseguenza alla conversione si estende ai figli minorenni, al contrario l’apostasia del padre non si estende ai figli maggiorenni. L’apostasia non è certo priva di conseguenze: 20  Matrimonio: matrimonio dell’apostata deve essere sciolto immediatamente se l’apostata è il marito; se apostata è la donna non è necessario se donna si converte ad una delle religioni del libro. Se entrambi i coniugi rinnegano l’Islam il matrimonio è nullo.  Successioni: apostata perde diritti ereditari. Scuola Hanbalita ammette diritti ereditari se la riconversione avviene prima della divisione ereditaria. Nelle confessioni che applicano un criterio di appartenenza per nascita, il criterio di abbandono è sottoposto a conseguenze molto importanti sotto il profilo personale e sociale. L’APPARTENENZA NELLE CHIESE CRISTIANE Sono soggetti comunitari che applicano il criterio di appartenenza per atto volontario, attraberso l’imposizione di un momento (il battesimo). nella dottrina canonica, il battesimo è previsto dal canone 204, cosiddetto “battesimo degli infanti”. Nelle altre confessioni di matrice cristiana si parla di “battesimo degli adulti”. Quindi, chi è cattolico? Battesimo (can. 204): degli infanti (cattolici e ortodossi) / degli adulti (battisti, avventisti, ecc…)  appartenenza non per nascita, ma per atto volontario. Il battesimo degli infanti si afferma definitivamente intorno al V secolo e rimane nella Chiesa cattolica latina e in quella ortodossa. La tradizione del battesimo dei bambini rimane anche nel luteranesimo mentre viene abbandonato dalle chiese battiste nate dal XVII secolo in poi. Il battesimo ha doppia natura/due momenti: 1) Atto con valenza salvifica perché monda il peccato originale 2) Atto di ingresso nella comunità Se prevale il momento salvifico riconoscimento del battesimo anche se amministrato in altra confessione religiosa. Se prevale il momento dell’incorporazione nel corpo ecclesiale sono difficili forme di “ospitalità pastorale” tra le Chiese. Si può smettere di essere cattolico? Il canone 11, come ci dice anche l’ebraismo, afferma che il battesimo imprime a chi lo riceve un carattere indelebile che è impossibile abbandonare. “Semel catholicus, semper catholicus”: chi diviene cattolico una volta, poi non può abbandonare la confessione in cui si trova. Semmai, è possibile che al soggetto venga consentito di non rispettare più le leggi ecclesiastiche, ma il diritto divino sarà stringente comunque. Anche nella chiesa cattolica Apostata è colui che abbandona la fede cattolica: le sanzioni non sono di carattere corporale, ma solo spirituali (scomunica). Non ci sono nemmeno sanzioni di carattere civile! La scomunica è una pena per la commissione di un reato, l’abbandono della fede cattolica, appunto. Da un punto di vista spirituale, dunque, la sanzione è la scomunica, ma in qualche modo la chiesa ha fatto i conti anch’essa con l’abbandono della fede cristiana da parte dei suoi membri. La chiesa oggi fa luogo all’annotazione dei registri di battesimo dell’avvenuto abbandono da parte dei suoi membri, per la mera vigenza delle leggi ecclesiastiche. Lo fa attraverso lo sbattezzo. Se dal punto di vista del soggetto che si determina nell’abbandonare una vecchia appartenenza per trovarne una nuova nell’esercizio della propria libera autodeterminazione si parla di CONVERSIONE, al contrario, dal punto di vista della fede abbandonata si parla di APOSTASIA. Conversione e apostasia sono due facce di una stessa medaglia. 21 Per il diritto dello stato la conversione e l’apostasia sono l’esercizio di libertà di religione, mentre per le religioni la conversione è apprezzata, l’apostasia è condannata: motivo per cui uscire da una religione è molto più complicato che entrarvi  soprattutto per chi applica un criterio di appartenenza per nascita (detta “necessaria”) rispetto a coloro che applicano un criterio di appartenenza per criterio volontario. Se gli effetti della conversione/apostasia rimangono in un ambito prettamente spirituale, allora dal pt di vista secolare va tutto bene. Se però l’esercizio degli impegni individuali che lo stato dovrebbe garantire poi si riverberano in trattamenti deteriori anche a livello civile e politico, questo può comportare dei conflitti con i diritti fondamentali dell’uomo o con determinate norme statali laddove queste divergano dal contenuto delle norme civili. Si pensi ad un musulmano apostata che per diritto religioso si vede sciolto il matrimonio e l’altro coniuge voglia lo scioglimento con effetti civili. Questioni:  modello associazioni involontarie (stato/famiglia).  godimento dei diritti civili 15/10/2020 APOSTASIA SEMINARIO 21/10/2020 L’APOSTASIA IN DIRITTO CANONICO Apostasia = ripudio della fede cristiana attuato secondo determinate modalità. È sia un reato che un peccato. Il cristianesimo nel periodo delle persecuzioni ha conosciuto sin dall’inizio il reato di apostasia di massa, fino all’Editto di Costantino (religio licita). I fedeli, detti lapsi, per scampare al martirio, rinnegavano il cristianesimo per tornare al paganesimo attraverso un atto esplicito di adesione al culto pagano. Quindi abbiamo i  i sacrificati – coloro che hanno compiuto sacrifici alle fivinità pagane ponendo in essere una piena apostasia;  i thurificati – coloro che hanno bruciato incenso davanti alle statue delle divinità pagane e soprattutto dinanzi a quella dell’imperatore;  gli acta facientes – che non compivano sacrifici alle divinità ma si facevano iscrivere nei pubblici registri come se lo avessero fatto;  i libellatici – coloro che, spesso dietro corresponsione di denaro, si facevano consegnare dei certificati (spesso dietro pagamento di una somma di denaro), i libelli, da cui risultava che avevano adempiuto agli ordini previsti. In tutti questi casi la conversione non è accompagnata da una chiara volontà, ma si trattava di un comportamento necessitato dal bisogno di salvarsi la vita. Queste persone potevano essere riammesse nella comunità cristiana dopo aver espiato il proprio peccato di apostasia, riammissione che poteva avvenire in massa con lettere di perdono (libelli pacis) o con la rinnovazione del battesimo o attraverso i mezzi ordinari di penitenza. Oggi, il reato di apostasia, insieme a quello di eresia e scisma, è ricompreso tra quelle fattispecie perseguite dalla Chiesa poiché poste a protezione della fede. La Chiesa ha il dovere di perseguire tali comportamenti per evitare a) Lo scandalo tra i fedeli qualora venissero lasciati privi di sanzioni coloro che ripudiano la fede; b) La confusione nel popolo di Dio circa la retta via da seguire. 22 Nel Codice di diritto canonico è detta poena l. s. la pena così congiunta alla legge, o al precetto, che vi si incorre per il fatto stesso di averli trasgrediti (invece, poena ferendae sententiae, cioè «pena di sentenza da pronunciarsi», è quella che dev’essere inflitta dal giudice o dal superiore).  se un determinato soggetto battezzato giuridicamente abile con dolo e volontà è apostata, allora comporta la scomunica e la rimozione dall’ufficio ecclesiastico eventualmente ricoperto (can. 194, commi 1 e 2), nonché alle pene espiatorie di cui al canone 1336, comma 1 n. 1, 2 e 3 qualora il reo sia un chierico. L’eventuale procedimento della scomunica latae sententiae potrà solo dichiarare l’avvenuta applicazione della pena e procedere a comminare le ulteriori pene previste per i chierici. La rimozione dall’ufficio ecclesiastico consegue anche qualora non sussistano gli estremi del reato di apostasia ma solo del peccato di apostasia. Qualora poi il reo sia un chierico l’ordinamento: possibili pene espiatorie fino alla dimissione dallo stato clericale. - Ferendae sententiae: le scomuniche “ferendae sententiae” vengono inflitte dall’autorità competente dopo regolare processo ecclesiastico. Sono previste: * per l'attentato di celebrazione eucaristica, * per l'attentato di assoluzione sacramentale, * per la violazione del segreto sacramentale da parte dell'interprete e di altre persone, che in qualsiasi modo fossero venute a conoscenza di peccati accusati in confessione, * per il battesimo o l'educazione dei propri figli in una religione non cattolica, * per il ricorso al Concilio Ecumenico o al Collegio del Vescovo contro un atto del Romano Pontefice, * per il mercimonio nelle offerte delle Messe, * per false denunzie al Superiore ecclesiastico o per grave lesione della buona fama altrui. La possibilità poi di applicare, ferendae sententiae, le pene espiatorie soddisfa l’interesse del diritto canonico a minimizzare e/o rimuovere gli effetti della condotta delittuosa sull’ordinamento ecclesiastico e sull’intero popolo di Dio. Il can. 1314 spiega l'espressione: «La pena per lo più è ferendae sententiae, di modo che non costringe il reo se non dopo essere stata inflitta; è poi latae sententiae, così che vi s'incorra per il fatto stesso d'aver commesso il delitto, sempre che la legge o il precetto espressamente lo stabilisca.» Ciò significa che chi commette un'azione per la quale si prescrive una pena latae sententiae incorre automaticamente nella pena. Chiaramente, secondo l'interpretazione corrente, deve trattarsi di un'azione che costituisca peccato, altrimenti non può avere pena canonica. Il can. 1318 offre un altro criterio generale per coloro che nella Chiesa possono stabilire pene: «Il legislatore non commini pene latae sententiae se non eventualmente contro qualche singolo delitto doloso, che o risulti arrecare gravissimo scandalo o non possa essere efficacemente punito con pene ferendae sententiae». Il can. 1324 elenca tutta una serie di circostanze che sono attenuanti generiche di peccato, e che fanno sì che quando sono presenti non possa darsi pena latae sententiae. Altra pena accessoria per l’apostata in pubblico (il reato è notorio) è la negazione delle esequie cristiane. Consentire le esequie religiose significherebbe non rispettare la volontà del defunto che con le sue azioni ha sancito la propria decisa intenzione di allontanarsi dalla Chiesa. La riammissione dell’apostata nel copro ecclesiale sarà sempre possibile nel caso in cui questi si penta del suo agire: tuttavia, la scomunica, se comminata, dovrà essere revocata dalla medesima autorità che l’ha applicata. Nel caso in cui invece la pena latae sententiae non sia stata ancora dichiarata, spetta al confessore rimettere la pena. Atto di sbattezzo/apostasia Conseguenze dello sbattezzo: - Esclusione dall’incarico di padrino per battesimo e confermazione; 25 - Necessità di licenza dell’ordinario del luogo per ammissione al matrimonio; - Privazione delle esequie ecclesiastiche in mancanza di segni di pentimento; - Esclusione dalla celebrazione dei sacramenti e dalla loro ricezione; - Scomunica latae sententiae. Il codice dei canoni delle chiese orientali (CCEO) prevede una disciplina sostanzialmente identica per il reato di apostasia, ma sotto il profilo sanzionatorio la procedura per l’irrogazione della pena prevista per l’apostata è parzialmente diversa. La pena non viene comminata latae sententiae poiché il canone 1436 comma 2 CCEO stabilisce che, allorquando all’autorità sia giunta la notitia criminis, la predetta autorità deve provvedere all’ammonizione del reo con il duplice effetto di dare al reo la possibilità di pentirsi: se questi insiste pertinacemente potrà venire comminata la pena. Da queste differenze sulla procedura per l’irrogazione della pena sulla scomunica e sul diverso grado di attivazione dell’autorità ecclesiastica di fronte alla pubblicità della condotta, risiedono ulteriori due differenze: - Il reato occulto potrà al massimo configurarsi come peccato di apostasia - Essersi macchiati di apostasia in diritto canonico non ha alcuna conseguenza sul piano civile 22/10/2020 NOZIONE DI POPOLO DI DIO Fino al codice del 1917 la concezione che accompagnava la divisione delle persone nel grande gruppo dei battezzati era diversa da quella di oggi: prima erano divisi in due gruppi, - Laici, il popolo ductus (che possedevano beni terrenti, solo per le proprie necessità, sposarsi, lavorare, pagare le decime etc…), discepoli dei - Chierici, il popolo docens (dedicati alla preghiera e al culto divino) La concezione era dualista, maturata già tra i padri della Chiesa come San Girolamo e avvalorata dal Decretum Gratiani. Si ha una bipartizione tra coloro che guidano e coloro che sono condotti in questa vita dai chierici, i depositari dei poteri gerarchici, i poteri di governo, da esercitarsi soprattutto sui laici, i quali hanno un ruolo di serie B e sono i meri destinatari delle azioni dei chierici. Il popolo viene organizzato per status giuridico. Questo concetto di popolo di dio cambia totalmente con il Concilio Vaticano II, in particolare con il Libro II CIC 1983, che ne recepisce le conseguenze, De Populo Dei, fa proprio un concerto derivante dalla patristica, appunto quello del popolo di dio. Esso attribuisce al popolo una veste giuridica, una ideale teologico-pastorale. Sorge il concetto di Popolo di Dio secondo il can. 204: la Chiesa viene vista come istituzione e associazione (non più solo come società e popolo). La Chiesa diviene un gruppo organizzato di persone che vuole perseguire delle finalità comuni, per far ciò si dota di un complesso istituzionale e mette a disposizione dei consociati i mezzi per perseguire questi scopi comuni (materiali e anche spirituali!). Il termine “popolo” fa riferimento all’elemento sociale (società di persone, che si muovono insieme e ha identità comune). Il termine “Dio” invece fa capire la scelta di camminare insieme per diretta chiamata divina che predetermina le finalità a cui queste persone devono tendere durante il viaggio comune nella vita terrena. Ciò porta alla mente la caratteristica della chiesa di essere un corpo visibile sociale con un fine totalmente estraneo a questa vita (chiamato ad una finalità ultima che trascende il presente e va verso l’eterno). 26 Il popolo ha una caratterizzazione di universalità e ciò fa sì che ci siano per esempio dei diritti e doveri che appartengono a tutti gli uomini, non solo ai battezzati: concetto divino naturale (la persona umana in quanto tale è detentore di diritti naturali pur senza battesimo). “comma 1: I fedeli sono coloro che, essendo stati incorporati a Cristo mediante il battesimo, sono costituiti popolo di Dio e perciò, resi partecipi nel modo loro proprio dell’ufficio sacerdotale, profetico e regale di Cristo, sono chiamati ad attuare, secondo la condizione propria di ciascuno, la missione che Dio ha affidato alla Chiesa da compiere nel mondo”. Questa definizione è piuttosto complessa, ma sottolineiamo i termini che ci rimandano concettualmente a quanto appena detto: - Fedeli: rispetto a tutta l’umanità chiamata dal cristo alla nuova alleanza, si parla di un sottoinsieme, coloro che hanno ricevuto il battesimo e in tal modo sono stati incorporati alla Chiesa; - Battesimo: appartenenza alla Chiesa / dona carattere di uguaglianza proprio del sacerdozio comune. Se tutti dobbiamo concorrere all’attuazione dei fini della chiesa secondo la propria condizione allora saremo considerati uguali perché accumunati dal crisma battesimale e perseguiamo scopi comuni. - Sacerdozio dei fedeli: creazione propria del concilio vaticano II. È la causa del principio di uguaglianza ma anche l’effetto formale e sostanziale di esso. L’appartenenza alla Chiesa si acquisisce con il battesimo che rende partecipi del sacerdozio comune dei fedeli: corresponsabilità nell’attuazione delle finalità proprie della Chiesa stessa, nel rispetto però della - Propria condizione: bisogna perseguire l’ideale di giustizia eteroimposto in qualsiasi attività umana, a seconda del proprio statuto giuridico (se si è coniugati, soli, vedovi, fedeli…). I fedeli sono tutti uguali, partecipano del sacerdozio comune dei fedeli e con il battesimo sono divenuti persona nella Chiesa di Cristo più che per l’ordinamento canonico (can. 96). Chiesa si intende in senso più ampio, tant’è che esistono pacchetti di diritti e doveri uguali per tutti (e in parte anche a non battezzati e catecumeni) da esercitarsi tenendo conto (can. 224): a. Del Bene comune della Chiesa tutta; b. Dei diritti altrui; c. Dei propri doveri nei confronti degli altri. Esempi di diritti: - Diritto di manifestare le proprie opinioni nella Chiesa, nel rispetto del magistero (perché se lo travalicano, si può diventare apostata o scimatico) (can. 212); - Diritto al rispetto del proprio nome e riservatezz (can. 220) - Diritto di scegliere il proprio stato di vita in base alle proprie necessità e aspirazioni (can. 219) - Diritto di esercitare personalmente l’apostolato, di ottenere i sacramenti, di seguire il proprio rito – sempre in comunione con la Chiesa, di ricevere educazione cristiana e di liberamente poter approfondire l’ambito teologico, sempre con ossequio al magistero (can. 218) Esempi di doveri: - Dovere di impegnare le proprie energie per condurre una vita santa, incrementare la Chiesa e promuoverne una continua santificazione (can. 210) - Dovere di adoperarsi per la diffusione della buona novella – proselitismo (can. 211) - Dovere di seguire gli insegnamenti dei sacri pastori (can. 212) - Obbligo di provvedere alla necessità economiche della Chiesa (can. 222) Il fatto che i fedeli possano liberamente esercitare le proprie attività all’interno della comunità ecclesiale nel rispetto dei fini della Chiesa, fa sì che i fedeli siano anche i titolari di un diritto di associazione. I soggetti che fanno parte del corpo ecclesiale dunque possono svolgere la loro funzione nella Chiesa 27 Il Governo di queste comunità è affidato a due tipologie di organismi: - Ai superiori (autorità individuale) - Ai capitoli (autorità collegiale) Il papa è in ultima analisi il supremo superiore di ciascun ordine. I diritti e doveri che i religiosi devono osservare sono quelli comuni a tutti i laici e quelli previsti specificamente della loro scelta: 1) Assiduità nella preghiera 2) Obbligo di indossare l’abito tipico della regola di vita prescelta FORME ALTERNATIVE La forma di vita dei religiosi non è l’unica forma comunitaria di vita all’interno della Chiesa. Abbiamo ad esempio: - Società di vita apostolica: i membri perseguono senza voti religiosi, un fine di carattere apostolico, vivendo in comunità, ma assumendo i consigli evangelici. Possono essere clericali o laicali, maschili o femminili (es. Figlie della Cartià di San Vincenzo de’ Paoli, Confederazione dell’Oratorio di San Filippo Neri) - Associazioni laicali (es. dicastero per i Laici la Famiglia e la Vita, pagina web dedicata all’associazione laicale Memores Domini, componenti del gruppo adulto, Comunione e liberazione): assumono i consigli evangelici come proposito di vita ma non sono dei veri e propri religiosi siccome non hanno obbligo di vita in comunità. Queste persone continuano a svolgere le proprie occupazioni normali e non hanno l’obbligo di indossare alcun abito. - Vita eremitica o anacoretica; Ordine delle Vergini esplicitato dal can. 604. CHIERICI I chierici si contrappongono ai laici e non ai religiosi. Sono coloro che hanno ricevuto il sacramento dell’ordine e che perciò appartengono alla struttura gerarchica della Chiesa. Solo i soggetti di sesso maschile possono, difatti vige il divieto di sacerdozio femminile (con radici molto antiche, di cui è discussa l’esistenza nella Chiesa delle origini). I Chierici sono tenuti al celibato per effetto della recezione del sacramento dell’ordine, poiché se si volessero sposare devono chiedere una dispensa alla SS (a causa della particolare gravità)  senza dispensa vengono scomunicati latae sententiae. Si è discusso tanto sull’obbligo del celibato dei chierici: non è coperto da alcuna norma di diritto divino, il che significa che è sancito da una norma di diritto umano ascrivibile al periodo del concilio lateranense IV, ma che è considerato tradizione consolidata della chiesa, quindi è una di quelle norme che faticano ad essere innovate. Tra l’altro obbligo del celibato non è sorretto da nessuna prescrizione del diritto divino tant’è che nelle chiese cattoliche orientali non è osservato (solo nel caso degli episcopi, ma non per i presbiteri). Oltre all’obbligo del celibato, i chierici hanno obbligo di indossare l’abito ecclesiastico (can. 284 – il colletto o la talare) e di condurre una vita semplice (can. 282). I chierici entrano a far parte della gerarchia ecclesiastica con il sacramento dell’ordine. Il sacramento dell’ordine conferisce la potestà di ordine, un complesso di prerogative conferite al chierico che egli può esercitare a seconda del suo livello. Esso è conferito nella dottrina cattolica nei suoi tre gradi: diaconato, presbiterato ed episcopato. Cosa contiene al suo interno la potestà di ordine? Al suo interno contiene il munus docendi (potere di educare) e il munus santificandi (il potere di amministrare i sacramenti). I 3 gradi di sacerdozio sono: 1) Diaconato – I livello, accessibile anche a uomini sposati con consenso del coniuge (diaconato permanente, ordinati solo se hanno acquisito il consenso del coniuge prima di essere ordinati diaconi). Un soggetto può essere ordinato diacono, ma il coniuge se vivente deve acconsentire 30 a che il marito venga ordinato diacono, poiché il diacono sposato ordinato deve osservare l’obbligo della continenza. Quindi questa ordinazione in qualche modo intacca anche l’altro coniuge e diviene un’obbligazione comune perché modifica anche lo stato di vita della moglie. Svolge la propria azione in funzione ancillare rispetto agli altri due gradi. Oggi è concepito come uno statuto di passaggio; 2) Presbiterato – II livello (es. parroco di una parrocchia) 3) Episcopato – III livello – pienezza del potere LA POTESTA’ DI ORDINE E LA POTESTA’ DI GIURISDIZIONE La sacra potestas Dall’ordinazione discende l’acquisizione della potestà di ordine, che avrà una graduazione diversa a seconda che si sia in presenza di diaconi, presbiteri o episcopi. Il sacerdozio comune dei fedeli pertiene a tutti i soggetti dell’ordinamento giuridico canonico che abbiano ricevuto il battesimo (altrimenti a loro viene riconosciuto un altro range di diritti come la libertà di religione e il diritto di essere eruditi). A questo sacerdozio comune dei fedeli si contrappone il sacerdozio ministeriale, dei chierici, e che si esercita dopo aver ricevuto il sacramento dell’ordine in uno dei tre gradi. Lumen Gentium n. 18 a: Cristo Signore, per pascere e sempre più accrescere il popolo di Dio, ha stabilito nella sua Chiesa vari ministeri, che tendono al bene di tutto il corpo. I ministri infatti che sono rivestiti di sacra potestà, servono i loro fratelli, perché tutti coloro che appartengono al popolo di Dio, e perciò hanno una vera dignità cristiana, tendano liberamente e ordinatamente allo stesso fine e arrivino alla salvezza.  Attraverso la potestà di ordine la Chiesa amministra gli strumenti di salvezza a tutti i suoi membri (battezzati) e a tutti gli uomini conferendo ad un ministro il carattere di potere amministrare i sacramenti (7 sacramenti: battesimo, riconciliazione/penitenza, eucarestia, confermazione, matrimonio, ordine e unzione degli infermi). I sacramenti vengono imposti ai chierici per amministrarli agli altri fedeli per il tramite dei poteri ricevuti all’interno della consacrazione ministeriale. Il chierico non ha funzione costitutiva sul sacramento, ma fa da tramite sullo spirito santo per permettergli di operare su colui che riceve il sacramento, conferendogli un particolare crisma: - la sacra potestas impone carattere indelebile che rende il soggetto capace sempre e dovunque di compiere quegli atti che intrinsecamente dispensano i mezzi di salvezza; - gli effetti dei sacramenti non si producono dalle qualità personali del ministro  basta rispettare le condizioni oggettive di validità e gli effetti del sacramento si produrranno comunque a prescindere dalle condizioni soggettive del ministro  l’atto di un ministro sacro in difetto produrrà un atto illecito, ma non invalido (ex opere operato). Si dice infatti che i sacramenti svolgono i propri effetti d’ufficio, non per le condizioni del ministro (che è solamente il tramite). Es. abbiamo un ministro deposto dal proprio ufficio ecclesiastico per un qualche motivo / gli è comminata la pena espiatoria della rimozione dall’ufficio e non può esercitare le sue funzioni (oppure ancora, riduzione allo stato laicale)  effetti del sacramento impartito al moribondo sarà comunque valido perché il crisma imposto al soggetto (il sacerdote) è comunque indelebile. Quindi, attraverso la potestà di ordine amministra i mezzi della salvezza a tutti i suoi membri con la mediazione del presbitero attraverso cui lo Spirito Santo agisce sui battezzati. Invece, attraverso la potestà di giurisdizione la Chiesa governa ordinatamente la società visibile ecclesiastica. Queste due potestà discendono immediatamente dal sacramento dell’ordine, che rende i chierici partecipi in modo più diretto dei poteri ecclesiastici e li incorpora alla struttura gerarchica della Chiesa. La potestà di ordine di conferisce con il rito specifico e l’imposizione delle mani. Il momento in cui il sacerdote viene ordinato, il vescovo gli impone il rito dell’imposizione delle mani (tramandato sin dalla tradizione apostolica) sul capo di colui incaricato di portare la buona novella. 31 La potestà di giurisdizione, invece, non discende dall’ordinazione sacra e immediatamente acquisita dal soggetto, ma necessita di un mandato/istituzione canonica che assegni un ambito di popolazione necessario perché gli atti di governo possano effettivamente indirizzarsi a determinati destinatari. La ragione del conferimento per i sacri pastori di amministrare ed esercitare i sacramenti risiede nel collegio episcopale, la rappresentazione organica del collegio apostolico e rappresenta visivamente la comunione dei sacri pastori con il vicario di Cristo sulla Terra e il successore di Pietro, il Pontefice. Il parroco, per essere tale, ha bisogno che gli venga affidata una parrocchia – l’episcopo una diocesi. Tutti i chierici, in quanto ordinati in sacri hanno sia la potestà di ordine che quella di giurisdizione: la prima può essere sempre direttamente esercitata (munus docendi e munus sanctificandi), la seconda racchiude tutti i poteri di governo esercitabili se al soggetto viene affidato qualcosa da governare – ci vuole estrinsecazione pratica (potere legislativo, amministrativo e giudiziario). 28/10/2020 DA SENTIRE TUTTA MIN. 40 DIFFICILE SEGUIRE La gerarchia compete un dovere specifico di insegnare, mentre è …. Concilio Vaticano I del 1870 come reazione ad una perdita di potere della Chiesa sul finire dell’esistenza dello Stato Pontificio. L’infallibilità rappresenta il supremo livello della potestà di magistero ed è una caratteristica di cui gode l’insegnamento del pontefice laddove, can. 749,… La stessa prerogativa di infallibilità si attribuisce al consiglio episcopale quando i padri conciliari assumono una deliberazione come dottori dei costumi, dichiarando una dottrina di fede valida per tutti. La prerogativa è anche per il collegio episcopale quando…. Cosa è una verità di fede che può essere coperta da un criterio di infallibilità? Insegnamento che è composto da due elementi: - Rivelazione: tutte le verità di fede contenute nell e ciò che costituisce magistero ufficiale della Chiesa 29/10/2020 IL PONTEFICE E IL COLLEGIO EPISCOPALE Abbiamo visto i chierici, le potestà che hanno all’interno dell’ordinamento canonico (di ordine, di magistero, di giurisdizione) e quali sono le componenti di queste. Analizziamo il governo universale della chiesa come è composto.  il PONTEFICE e il COLLEGIO EPISCOPALE. IL PONTEFICE Dalla dottrina cattolica, è il successore di Pietro in un regime di successione personale. Il papa in carica è il successore di fatto diretto di Pietro, il primo capo della Chiesa, in un regime di successione diretta uno a uno. Nel momento in cui il papa succede direttamente a Pietro, acquisisce la sua giurisdizione per diretta successione divina, dal Vangelo “Tu sei Pietro e su questa pietra fonderò la mia Chiesa” Mt. 16, 18-19. L’ufficio petrino ha una giurisdizione universlae per diretta investitura divina. IL COLLEGIO EPISCOPALE è composto da tutti i vescovi della chiesa cattolica ed è il successore del collegio apostolico, in un rapporto di successione organica. Non ogni singolo vescovo succede ad ogni singolo apostolo (12 apostoli – qualche migliaio di membri). Tutti i vescovi considerati hanno i medesimi poteri che competevano agli apostoli. I vescovi hanno 32 Presiede il collegio il cardinale Decano, che è il titolare della diocesi di Ostia, e di altra Chiesa di cui era già titolare. Concistoro il luogo in cui il pontefice crea i nuovi cardinali. Dove sono contenute le norme per le elezioni del papa?  lettera apostolica di papa Benedetto XVI, data motu proprio “normas Nonnullas” del 22/2/2013 che va a modificare un assetto normativo precedente: - lettera apostolica di papa Benedetto XVI De aliquibus mutationibus in normis de electione Romani Pontificis, data motu proprio a roma l’11/6/2007 e abroga le norme prescritte al numero 75 della Costituzione apostolica - Universi Dominici gregis promulgata il 22/2/96 da S. Giovanni Paolo II. Elegge il pontefice il CONCLAVE, l’assemblea dei cardinali elettori, che vede la partecipazione di cardinali con età non superiore a 80 anni con l’apertura della sede vacante. Sono massimo 120. Si chiama così da cum clavis, con le chiavi. Anticamente venivano chiusi in una stanza e lì dovevano rimanere per prendere la decisione su chi sarebbe stato il successore di Pietro. Ancora oggi si svolge a porte chiuse l’elezione e i cardinali invocano lo spirito santo affinché indichi loro il successore di Pietro. Anticamente eleggevano il pontefice laddove veniva a mancare, quindi nasce l’uso dei cardinali che si riuniscono nella cappella sistina. Alla fine della celebrazione della messa in cui si invoca lo spirito santo, il conclave ha inizio. I padri inizialmente si riunivano nella cappella sistina da dove non potevano più uscire, quindi veniva installato tutto il necessario per farli vivere (la durata non era prevista). Tutti i partecipanti al conclave e tutto il personale di servizio ammesso sono tenuti all’obbligo della segretezza pena la scomunica latae sententiae. Prima delle riforme di Benedetto XVI esistevano altre due forme di elezione, abolite da Papa Giovanni Paolo II (per acclamationem seu inspirationem / di portato romano – e per compromissum) Il nuovo pontefice viene eletto a maggioranza dei 2/3. Se tale maggioranza non viene raggiunta per tre giorni consecutivi (7 scrutinii), dopo una pausa di riflessione e preghiera, si riprende con le medesime maggioranze richieste. Dopo tre cicli di votazioni infruttuose, allora si richiede la maggioranza assoluta. Fumata bianca  eletto il pontefice / Nera  infruttuosa votazione. Appena viene eletto e lui accetta, il collegio gli giura fedeltà e viene vestito con l’abito. Oggi il conclave è un’assemblea che ha una durata moderata, ma nella storia non sempre è stato così. Il più lungo conclave della storia fu per l’elezione di Gregorio X, tra il 1268 e il 1271: il conclave durò tre anni e si tenne a Viterbo. Fino a quel momento il conclave si teneva tradizionalmente nella città ove il pontefice era morto (sede vacante - oggi assolutamente no). I padri cardinali erano riuniti a Viterbo da ben due anni e andavano avanti con votazioni infruttuose, i cardinali furono rinchiusi (da qui conclave) dai Viterbesi nel Palazzo dei Papi, successivamente furono loro tagliati i viveri e fu da ultimo anche scoperchiata una parte del tetto dell’aula ove si riunivano per indurli a far presto. Tra i conclave più brevi ci furono quelli che elessero Pio XII nel 1939 (24 ore e 3 scrutini) e Benedetto XVI nel 2005 (24 ore e 4 scrutini). La rinuncia di Papa Benedetto XVI al soglio pontificio Durante un concistorio ordinario che si teneva in Sala Clementina pronunciò la propria rinuncia al soglio pontificio (11 febbraio 2013). CIC 1983, Can. 332,2: Nel caso che il romano pontefice rinunci al suo ufficio, si richiede per la validità che la rinuncia sia fatta liberamente e che venga debitamente manifestata, non richiede invece che qualcuno la accetti (cfr. can. 44,2, CCEO 1990). Il pontefice ha la potestà piena e suprema quindi anche la sua rinuncia non necessita di altra autorità che la confermi e la riconosca (unilaterale) 35 La rinuncia è all’ufficio di pontefice che è strettamente connesso all’ufficio di Vescovo di Roma; la dignità episcopale ricevuta con l’ordinazione episcopale rimane invece intatta e intangibile. La rinuncia non richiede una motivazione e che questa sia esternata all’atto della rinuncia stessa. Nondimeno si richiede una giusta causa (can. 187) da identificarsi nel bene della Chiesa. Quando Benedetto ha rinunciato al soglio petrino, ha poi giustificato la rinuncia per le sue condizioni di salute che lo hanno portato a vedere le sue debolezze personali come d’intralcio ai fini della Chiesa (giovanni paolo II invece mai… sebbene stesse malissimo). 4/11/2020 LA CHIESA UNIVERSALE Organismi del governo della chiesa universale? I dicasteri, la segreteria di stato, il papa, sinodo dei vescovi. LA CURIA ROMANA: ORIGINI La curia romana è l’insieme di organismi che si ascrivono alle competenze esecutive nella chiesa universale. Il primo nucleo nasce intorno al IV secolo con coloro che erano addetti alla spedizione delle lettere pontificie a cui via via nei secoli si aggiunsero altri uffici a mano a mano che crescevano le esigenze del governo della Chiesa. La curia per come la conosciamo oggi è il frutto di quattro strutturazioni storiche: 1. Costituzione Immensa Aeterni Dei, Papa Sisto V, 1588 Questo assetto organizzativo rimane vigente fino alla perdita di potere temporale dei Papi 2. Costituzione Sapienti Consilio, Papa Pio X, 1908 Ha adeguato il governo della Chiesa al modificato assetto temporale. E’ stata trasfusa nel CIC 1917. Se guardiamo da un punto di vista dell’assetto del potere esecutivo nella Chiesa, all’indomani della perdita del potere temporale dei papi sul territorio dello Stato pontificio e della perdita della presa di Porta Pia, si rende necessaria una prima riforma della curia che da mero organismo di governo di uno stato deve tramutarsi in organismo di goberno di una comunità universale. Lo stato vaticano sarà frutto dei patti lateranensi e del concordato del 1929, quindi in questa fase il papa è totalmente privo di qualsiasi struttura temporale a lui sottoposta.  necessaria dunque una modifica radicale (Codice diritto canonico, prima riforma profonda). 3. Costituzione Regimini Ecclesiae Universae, Papa Paolo VI, 1967 Adegua la Curia a quanto stabilito dal Concilio Vaticano II. La curia subisce un periodo di stallo fino all’indomani del Concilio Vaticano II. 4. Costituzione Pastor Bonus, Papa Giovanni Paolo II, 1988 Ha adeguato definitivamente le strutture alle esigenze della moderna Chiesa universale, dando attuazione a tutto ciò che è contenuto nel codice del 1983, codice che porta a compimento per la chiesa universale il progetto del concilio vaticano II. Che cos’è quindi la curia romana? Curia romana è un organismo complesso. Finalità della curia = rendere sempre più efficace l’esercizio dell’Ufficio universale di pastore della Chiesa, che lo stesso Cristo ha affidato a Pietro e ai suoi successori. Con la dicitura curia romana non si identifica una assemblea, un ufficio predeterminato, ma un complesso di funzioni e un complesso di organismi, che hanno tutti la funzione di rendere più efficace l’ufficio pietrino nella sua funzione di pastore nella chiesa universale. e’ quindi un organismo che ha 1) carattere ministeriale, che veicola l’azione del pontefice verso quella che è tutto il suo complesso di strutture sottoposte (sia gerarchicamente parlando, sia di strutture facenti parte della società ecclesiale che strutture ascrivibili all’aspetto comunitario della Chiesa). La triplice identità della chiesa cattolica porta ad avere diversi uffici. 2) carattere vicario: il papa è in comunione con tutti gli altri vescovi nell’esercizio del proprio ministero 36 ed è per questi e in comunione con questi che deve esercitare la funzione esecutiva. La curia opera per i vescovi e con i vescovi per l’espletamento delle proprie funzioni. Di fatto l’elemento apicale della gerarchia dell’ordine sacro è anche quello che va ad esercitare le funzioni nella pratica. In curia sono presenti oltre ai cardinali (che sono anche vescovi), in rappresentanza delle istanze della Chiesa particolare: - Alcuni vescovi - Sacerdoti di ogni parte del mondo - Religiosi e religiose - Laici La curia romana quindi non è un organismo singolo, ma composito, che assicura l’esercizio della funzione esecutiva e giudiziaria per la Chiesa universale. All’interno vi sono diversi organismi: - Concistoro - Segreteria di stato - Uffici: camera apostolica; consiglio per l’economia, segreteria per l’economia, amministrazione patrimonio sede apostolica, revisore generale; - 3 dicasteri: laici, famiglia, vita; servizio dello sviluppo umano integrale; comunicazione - 5 pontifici consigli: unità dei Cristiani, Testi legislativi, dialogo interreligioso, cultura, nuova evangelizzazione; - 3 tribunali apostolici - 9 congregazioni: dottrina della fede; chiese orientali; culto divino e disciplina dei sacramenti; cause dei santi; evangelizzazione dei popoli; clero; vita consacrata e società di vita apostolica; educazione cattolica; vescovi Ognuno di questi organismi costituisce un dicastero al cui capo è posto un cardinale prefetto o un arcivescovo presidente che rimane in carica fino al 75simo anno di età, salvo rimozione. A questi si affiancano un segretario e un sottosegretario. Alla vacanza della Sede Apostolica, ogni prefetto cessa dalla propria carica fino all’eventuale riconferma da parte del nuovo Pontefice (viene a mancare il soggetto delegante, di fatto – il nuovo pontefice dovrà confermare o nominare nuovamente le cariche). Oltre a questi organismi collegiali, esistono poi una serie di organismi unipersonali e due organismi nuovi voluti da Papa Francesco. - Legati pontifici: rappresentano il Pontefice in maniera stabile presso le Chiese particolari (can. 364) - Nunzi: rappresentano il pontefice presso gli stati e le autorità pubbliche cui sono inviati; promuovono l’azione della Chiesa presso gli Stati ove sono inviati in collaborazione con i singoli episcopati locali (can. 365) - C9: consiglio ristretto di nove cardinali (in origine erano otto) che Papa Francesco ha incaricato di studiare un progetto di riforma della Pastor Bonus (chirografo 28 settembre 2013); - Segreteria per la Comunicazione: riunisce tutti gli organismi della SS con funzioni di comunicazione (pontificio Consiglio per le Comunicazioni Sociali, Sala Stampa S. Sede; servizio internet Vaticano, Radio Vaticana, Centro Televisivo Vaticano, Osservatore Romano, Tipografia Vaticana, Servizio Fotografico, Lev). Istituito nel 2015 con motu proprio l’attuale contesto comunicativo. Quali sono le competenze dei vari uffici? Gli uffici hanno una finalità essenzialmente strumentale per garantire un ordinato funzionamento delle sturtture serventi a disposizione della SS e della persona del Pontefice. NB: Non si parla degli organi di governo dello Stato della Città del Vaticano (ma della chiesa universale!) Uffici 37 MATRIMONIO CANONICO Indica un istituto che per la vita della chiesa è molto rilevante e trova la propria origine non solo nel diritto ma anche nella sacra scrittura. in generale, il matrimonio canonico è l’espressione della chiesa come società religiosa, un’entità che è attenta al momento formativo della società minima, la famiglia (famiglia che viene presa in considerazione anche dalla costituzione). Il matrimonio canonico dunque è una delle espressioni di una società religiosa (quindi connotata da una sacramentalità di fondo, con lo scopo di salvare l’anima – è uno dei sacramenti), questo fa sì che vi sia: a) Indisponibilità umana dei fini (bene dei coniugi; procreazione ed educazione prole: can. 1055) e delle proprietà del matrimonio (unità e indissolubilità: can. 1056); b) Rilievo di elementi religiosi nella disciplina del matrimonio canonico (diversamente da quello civile). Si pensa al matrimonio in fieri e non in facto (si pensa al momento della costituzione). Un matrimonio che non rispetti tutti i termini previsti dalla chiesa è una situazione peccaminosa che esula dallo schema della liceità posta dall’ordinamento canonico. Se il matrimonio è tra soggetti battezzati esso può essere riconosciuto se presenta tutti i requisiti formali previsti. Ciò non significa che la Chiesa sia indifferente all’aspetto pastorale del matrimonio. Il matrimonio in facto sebbene non sia rilevante per l’ordinamento canonico lo è dal pt di vista pastorale: la CEI e la Chiesa prevedono che i soggetti che vogliono accostarsi al matrimonio devono essere formati dal pt di vista pastorale prima che il matrimonio venga stipulato. Questa formazione dovrebbe esserci anche durante il contratto matrimoniale. Can. 1055 – contratto tra battezzati / il codice non prevede l’eucarestia e la cresima. La chiesa distingue il matrimonio in fieri e in facto esse, perché è una consolidata disciplina della chiesa cattolica rispetto alla struttura del matrimonio canonico, che, essendo definito come contratto consensuale formale, ciò che rileva è il momento formativo (anche tutta la patologia che può accompagnarlo è inerente al momento fondativo). La ragione stessa per cui il matrimonio è concepito all’interno del diritto canonico è diversa nel 1917 rispetto a quella del 1983, trasfusa nel codice vicente per il tramite delle innovazioni apportate dal Concilio Vaticano II. Nel 1917: matrimonio perpetuo ai fini della procreazione e prospettiva materialistica Nel 1983: cambiamento essenza del matrimonio in una comunità di vita e di amore che accompagna i coniugi al momento del vincolo e durante la vita coniugale. Il consenso dei coniugi, lo ius in corpore, non accompagna il diritto canonico in modo preminente, mentre lo è la totale reciproca donazione dei coniugi l’uno all’altra per una costituzione di vita comune sorretta dal mutuo aiuto. Comunione di vita = foedus, alleanza, reciproco sostegno (consorzio totius vitae). È un contratto in senso ampio per la costituzione di una comunità di intenti che nasce al momento della stipula e perdura per l’intero rapporto matrimoniale. Quali sono le FONTI DELLA DISCIPLINA MATRIMONIALE Il matrimonio can è un istituto di diritto umano (legislatore) e di diritto divino naturale (nel magistero della chiesa il fatto che il matrimonio sia un consorzio naturale destinato ad assicurare la procreazione della specie è caratteristica che prescinde da un dato di rivelazione). Ciò che si ascrive al momento scritturale è la caratteristica di sacramento al quale il matrimonio canonico accede in virtù della rivelazione. - Diritto naturale - Sacra Scrittura: Vecchio Testamento (Genesi, Levitico, Deuteronomio) + Nuovo Testamento (4 Vangeli, Lettere S. Paolo) - Traditio - Codice di Diritto Canonico 1983 - Decreto Generale sul Matrimonio Canonico (1990) - Istruzione Dignitas Connubii 2005 40 - Motu proprio Mitis iudex Dominus Iesus promulgato da Papa Francesco il 15 agosto 2015 - Esortazione apostolica Amoris Laetitia 2016 COME IL DIRITTO CANONICO NEL CODICE VIGENTE DEFINISCE IL MATRIMONIO Can. 1055: fondamentale per la comprensione della definizione del matrimonio canonico così come voluta dal concilio vaticano II. Torna l’idea di consortium totius vitae nella dicitura “patto matrimoniale”  “patto” noi lo tradurremmo in “foedus”, tant’è che il canone in latino presenta questo termine. Vi è stretta correlazione che deve assistere i nubendi nel rapporto di coniugio così come concepito nel diritto canonico. Per sua natura il consortium deve essere ordinato all’elemento della generazione della prole, elemento messo sullo stesso piano del rapporto comunitario tra gli sposi che deve prodursi nel matrimonio. Un consorzio ordinato ai beni dei coniugi e nella procreazione/educazione della prole è elevato a sacramento dal cristo signore (“non osate dividere ciò che dio ha unito” – Matteo). C’è un rinvio chiaro al diritto divino naturale. Tra i battezzati non è possibile che esista un matrimonio diverso da un contratto canonico elevato a sacramento. Ciò è un tratto tipico del diritto canonico, perché in altre religioni monoteiste il contratto matrimoniale non è un sacramento: islam e ebraismo non conoscono il concetto di sacramento come veicolo di grazia e, mentre dalla sacramentalità discendono l’unità e l’indissolubilità, nel matrimonio ebraico/islamico la volontarietà su base contrattuale non è assistita da un concetto di sacramentalità, ma è al pari di altri contratti. Il canone 1057 fa un passo ancor più in avanti: il patto matrimoniale, dice il 1055 e il 1056, è un patto per sua natura concepito come unico e indissolubile. - Unità: il matrimonio è un vincolo esclusivo, laddove c’è un patto matrimoniale, c’è negozio tra cui una donna e un uomo sono rispettivamente soli – vincolo dell’esclusività / un solo matrimonio per ciascun uomo e ciascuna donna (poligamia o poliandria banditi). In ogni caso non è possibile contrarre nuove nozze in costanza di un precedente vincolo (a meno che il precedente coniuge non defunga). - Indissolubilità: perpetuità del vincolo – uomo e donna si appartengono fino alla morte. L’indissolubilità è peculiarità del diritto canonico – nelle altre religioni monoteiste ci sono escamotage per porre fine al matrimonio da una certa data in poi. Unità e indissolubilità derivano automaticamente dallo schema contrattuale predisposto dal diritto canonico, a prescindere che i soggetti li identifichino chiaramente. L’esclusione volontaria inficia la libertà della contrazione del vincolo e rileva in termini di schema contrattuale al consenso del matrimonio (vizi e difetti del consenso). I fini del matrimonio sono quelli indicati sempre dal 1055: comunità di vita, procreazione ed educazione della prole – fini precipui a cui tende. Tali fini prendono il nome di bona matrimoni ed, accanto a tali fini principali (ius in corpore) si associa anche la dignità sacramentale, che dal concilio vaticano II in poi è caratteristica a cui è stata data una identificazione particolare. L’errore rileva in termini di genuinità, per esempio. 41 Un matrimonio tra uomo e donna entrambi battezzati si presuppone essere validamente contratto all’interno dell’ordinamento canonico e la presunzione di validità è molto forte. Tale presunzione per esempio vale nel processo matrimoniale canonico volto alla sussistenza di qualche causa di nullità a cui deve essere sempre data rilevanza tutte le volte in cui il giudice possa rilevare qualche minimo dubbio sulla causa di nullità. Questo perché il matrimonio rileva moltissimo nel diritto canonico ed è molto importante. Ammette sempre prova contraria, tuttavia. L’ammissione deve rivestire alcune caratteristiche per poter inficiare il principio di favor matrimoni (una prova che abbia caratteristiche della concordanza e dell’evidenza). Quali sono gli elementi che determinano il sorgere del foedus (il patto)? L’atto che costituisce il matrimonio (can. 1057) è il consenso legittimamente espresso delle parti, manifestato tra persone giuridicamente validi non supplito da nessuna potestà umana o divina. Cosa è il consenso? Atto di volontà, processo volitivo e cognitivo che i soggetti portano a compimento con espressione esteriore che sancisce l’irrevocabilità di un patto attraverso cui l’uomo e la donna si accettano e si danno reciprocamente. Quindi: Matrimonio è - Istituto di diritto NATURALE - Possibile solo tra un UOMO e una DONNA  non ammesse poliandria o poligamia o unioni omosessuali (perché verrebbe a mancare la procreazione) - Un contratto – sacramento SOLO tra battezzati - Per sua natura unico e indissolubile - Ordinato al bene dei coniugi e alla procreazione della prole È un contratto sacramento, quindi equivale, laddove abbia tutte le caratt previste, ad una replica dell’alleanza che cristo ha sancito con la sua chiesa. Sulla base di questo deriva la giurisdizione della chiesa sul matrimonio, in virtù della rivelazione, salva eccezione gli effetti civili che il matrimonio ha. Proprietà essenziali del matrimonio: - unità e indissolubilità Fini elementi essenziali del matrimonio sono - Procreazione educazione della prole - Il bene dei coniugi - Fedeltà - Sacramentalità del matrimonio CONTRATTO CONSENSUALE FORMALE Alla luce di tutto ciò, il contratto consensuale formale:  è il negozio che sorge legittimamente solo con il valido scambio del consenso espresso dalle parti; persone giuridicamente abili nelle forme prescritte dal diritto  è il consenso che perfeziona il sorgere del vincolo e ne è causa efficiente, necessaria e sufficiente Nel decreto di Graziano si cristallizza il magistero della Chiesa Cattolica sul matrimonio sia dal punto di vista teologico che dal pt di vista del costrutto giuridico che lo assiste. Il contratto consensuale viene affrontato con due teorie sul matrimonio: 1) Scuola di Bologna (Graziano) matrimonio = contratto ed effetti reali, il matrimonio sorge con il consenso delle parti ma si perfezione con la dazione della cosa (= copula, atti sessuali idonei alla procreazione); 2) Scuola di parigi / pietro lombardo  matrimonio = sì scambio dei consensi, sufficiente a far sì che 42
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