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Riassunti di Storia: dopo la prima guerra mondiale, Appunti di Storia

UN DIFFICILE DOPOGUERRA, LE CONSEGUENZE ECONOMICHE DELLA GUERRA DELLA GRANDE , I MUTAMENTI NELLA VITA SOCIALE , STATI NAZIONALI E MINORANZE, IL "BIENNIO ROSSO”: RIVOLUZIONE E CONTRORIVOLUZIONE IN EUROPA ,LA GERMANIA DI WEIMAR, IL DOPOGUERRA DEI VINCITORI , LA RUSSIA COMUNISTA , L’URSS DA LENIN A STALIN ,

Tipologia: Appunti

2017/2018

In vendita dal 05/01/2018

Elena.Tamburini
Elena.Tamburini 🇮🇹

4.5

(107)

158 documenti

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Scarica Riassunti di Storia: dopo la prima guerra mondiale e più Appunti in PDF di Storia solo su Docsity! CAPITOLO 2 – UN DIFFICILE DOPOGUERRA 1. LE CONSEGUENZE ECONOMICHE DELLA GUERRA DELLA GRANDE L’Europa era sconvolta e trasformata per la tremenda distruzione di vite umane e per il drastico mutamento dei confini fra gli Stati. Tutti i paesi belligeranti uscirono dalla prima guerra mondiale in condizioni di gravissimo dissesto. Per far fronte alle enormi spese, i governi erano ricorsi prima all'aumento delle tasse, allargando a dismisura il debito pubblico. Si mise in moto un rapido processo inflazionistico e i prezzi crebbero fino a volte tra il ‘15 e il ’18. I governi dovettero mantenere il blocco sui prezzi dei generi di prima necessità. Rimasero in vita molti apparati burocratici destinati ai compiti più diversi: dal controllo dei prezzi agli approvvigionamenti alimentari, dalle pensioni di guerra alla composizione delle vertenze di lavoro. La pronta ripresa delle economie europee era frenata dal calo degli scambi internazionali, dall’interruzione delle usuali correnti di traffico. Si ebbe nel dopoguerra una ripresa di nazionalismo economico e di protezionismo doganale, soprattutto da parte dei nuovi Stati che volevano sviluppare una propria industria. 2. I MUTAMENTI NELLA VITA SOCIALE Processo di trasformazione della società: Il brusco distacco dal nucleo familiare di molti giovani e l'assenza prolungata dei capifamiglia chiamati al fronte avevano messo in crisi le strutture tradizionali della famiglia e provocato mutamenti profondi nella mentalità e nelle abitudini delle generazioni più giovani. C'era minor rispetto per le tradizioni e per le gerarchie consolidate. Tutti cercavano compensi per le sofferenze subite o per gli anni perduti a causa della guerra. A risentire di questi mutamenti furono le donne, che alla guerra non avevano direttamente partecipato. I cambiamenti più evidenti si ebbero nel mondo del lavoro. Negli uffici le donne presero spesso il posto degli uomini, assumendo responsabilità e compiti fin allora sostanzialmente preclusi. Da esecutrici delle mansioni domestiche a capifamiglia di fatto. La maggiore disponibilità economica e la crescente consapevolezza delle proprie capacità trasformarono l'immagine stessa della donna: le giovani, soprattutto, tendevano ad assume comportamenti più liberi. Questo processo di emancipazione ebbe nel dopoguerra anche un parziale riconoscimento sul piano del diritto di voto: dopo la Gran Bretagna, (1918), furono la Germania (1919) e gli Stati Uniti (1920) i principali paesi occidentali a codificarlo nel primo dopoguerra. Gli ex combattenti: La trasformazione del ruolo della donna suscitò però anche forti resistenze dai reduci di guerra, che temevano di vedere occupati quei posti di lavoro cui credevano di aver diritto. Chi aveva rischiato la vita sui campi di battaglia tornava a casa con la convinzione aver maturato un credito nei confronti della società. Sorsero associazioni di ex combattenti che si mobilitavano in difesa dei propri interessi. Nei confronti dei reduci i governanti di tutti i paesi furono larghi di promesse, ma in realtà, a causa dei gravissimi problemi finanziari, le provvidenze furono limitate. Per far valere i propri diritti e per affermare le proprie rivendicazioni alle sembrava necessario associarsi e organizzarsi in gruppi il più possibile numerosi: durante la "massificazione" della politica, partiti e sindacati videro aumentare ovunque il numero dei loro iscritti. Acquistavano maggior peso le manifestazioni pubbliche basate sulla partecipazione diretta DEI CITTADINI. 3. STATI NAZIONALI E MINORANZE La vittoria delle potenze democratiche e il crollo degli imperi multietnici significarono per molti popoli europei il corona mento di lunghe lotte per l'indipendenza e parvero dar corpo agli ideali di nazionalità. La liberazione dei popoli dalle dominazioni straniere poteva cosi dar luogo a nuove oppressioni o persecuzioni e scatenare nuovi conflitti a sfondo nazionale. Si cercò di vincolare gli Stati al rispetto dei diritti delle minoranze. Ma queste norme furono ignorate, anche per l'incapacità della Società delle nazioni di imporre sanzioni efficaci. In alcuni casi si organizzarono scambi di popolazioni. Più tardi si sarebbe giunti alle "pulizie etniche” ovvero alle espulsioni in massa non mitigate da alcun accordo fra le parti, e infine al caso estremo dello sterminio pianificato di un intero popolo. 4. IL "BIENNIO ROSSO”: RIVOLUZIONE E CONTRORIVOLUZIONE IN EUROPA Tra la fine del 1918 e il 1920, il movimento operaio europeo fu protagonista di un'impetuosa avanzata politica che assunse in alcuni casi connotati rivoluzionari. I partiti socialisti registrarono quasi ovunque notevoli incrementi elettorali. I lavoratori organizzati dai sindacati diedero vita a un'ondata di agitazioni che consenti agli operai dell'industria di difendere o migliorare i livelli reali delle loro retribuzioni e di ottenere fra l'altro la riduzione dell'orario di lavoro a otto ore giornaliere a parità di salario. Si formarono spontaneamente consigli operai che si proponevano come organi di governo della futura società socialista. Nelle due maggiori potenze vincitrici, Francia e Gran Bretagna, conservatori e moderati mantennero il controllo dei rispettivi parlamenti e la pressione del movimento operaio fu contenuta senza eccessive difficoltà. Germania, Austria e Ungheria furono invece teatro di tentativi rivoluzionari, che furono però rapidamente troncati. Già nel 1918 i bolscevichi avevano abbandonato l'antica denominazione di Partito socialdemocratico, a lungo contesa con i menscevichi, per quella di Partito comunista (bolscevico) di Russia. La scissione fu sancita ufficialmente, nel marzo 1919, con la costituzione a Mosca di una Internazionale comunista (Comintern), o Terza Internazionale. La struttura e i compiti del Comintern furono fissati nel II congresso che si tenne, sempre a Mosca, nel 1920. Fra la fine del '20 e del '21 fu comunque raggiunto l'obiettivo di creare in tutto il mondo una rete di partiti ricalcati sul modello bolscevico e fedeli alle direttive del partito-guida. La scissione del movimento operaio, avrebbe invece contribuito ad aprire il varco alla controffensiva conservatrice. Rivoluzione in Germania: Prima di essere sancita dalle scissioni, la rottura fra socialdemocrazia e comunismo era stata segnata nei fatti dalle vicende drammatiche che in Germania avevano seguito la proclamazione della Repubblica. Già al momento della firma dell'armistizio lo Stato tedesco si trovava in una situazione tipicamente rivoluzionaria. Il governo legale, presieduto da Ebert e con sede a Berlino, era formato da esponenti del Partito socialdemocratico (Spd), ma nelle città i padroni della situazione erano i consigli degli operai e dei soldati. La situazione poteva sembrare molto simile a quella della Russia del ’17. Le differenze erano notevoli. I socialdemocratici tedeschi, l'unica organizzata nel paese, erano decisamente contrari a una rivoluzione di tipo sovietico e non intendevano smantellare le strutture militari e civili del vecchio Stato fino alla convocazione di un'assemblea costituente. Si creò così un’obiettiva convergenza fra i capi della Spd e gli esponenti della vecchia classe dirigente, con in testa i militari. L'insurrezione spartachista: La linea moderata scelta dalla Spd portava fatalmente allo scontro con le correnti più radicali del movimento operaio, soprattutto con i rivoluzionari della Lega di Spartaco (nucleo origina rio del Partito comunista tedesco), che si opponevano alla convocazione della Costituente. Il 5-6 gennaio 1919, gli spartachisti tentarono di rovesciare il governo di Berlino. Durissima fu la reazione delle autorità che, non potendo contare su un esercito efficiente si servirono per la repressione di squadre volontarie (i cosiddetti “corpi franchi) formate da soldati smobilitati e inquadrate da ufficia orientamento nazionalista e conservatore. Nel giro di pochi giorni i Freikorps schiacciarono nel sangue l'insurrezione berlinese. I leader del movimento spartachista, Karl knecht e Rosa Luxemburg, furono arrestati e trucidati da ufficiali dei corpi franchi. La nascita della repubblica di Weimar: Il 19 gennaio si tennero le elezioni costituente per l'Assemblea. La convergenza fra socialisti, cattolici e democratici rese possibile la formazione di un governo di coalizione a guida socialdemocratica e, soprattutto, il varo, nell'agosto 1919, della nuova Costituzione. La Costituzione di Weimar chiamata così dal nome della città in cui si svolsero i lavori dell'assemblea aveva un'ispirazione fortemente democratica prevedeva larghe autonomie regionali, il suffragio universale maschile e femminile un governo responsabile di fronte al Parlamento e un presidente della Repubblica eletto direttamente dal popolo. Né la convocazione della Costituente né il varo della Costituzione valsero però a riportare la tranquillità nel paese. In aprile l'epicentro del moto rivoluzionario si era ostato in Baviera, dove era stata proclamata una Repubblica dei consigli, stroncata dall'intervento dell'esercito e dei corpi franchi. Non meno grave era la minaccia che veniva da destra: dai corpi franchi e dagli stessi capi dell'esercito, pronti a dimenticare, man mano che si allontanava il pericolo rivoluzionario, i loro impegni di lealtà care, istituzioni repubblicane. Furono proprio quei generali che portavano la maggio re responsabilità politica della sconfitta, e che avevano sollecitato, nell'autunno del 18, una rapida conclusione dell'armistizio, a diffondere la leggenda esercito tedesco sarebbe stato ancora in grado di vincere se non fosse stato tradito da una parte del paese. Una leggenda utile a gettare discredito sulla Repubblica e sulla classe dirigente che si era assunta l'ingrato compito di firmare la pace. Versailles o dovevano ad essi la loro stati avvantaggiati esistenza erano quindi contrari a ogni ipotesi di revisione del nuovo assetto europeo: primo luogo la Polonia; poi la Cecoslovacchia, la Jugoslavia e la Romania che, nel 1921, erano unite in un'alleanza detta Piccola Intesa. L'accordo con gli Stati dell'Est- Europa non sembrava tuttavia sufficiente ad allontanare lo spettro di una rivincita tedesca. Da qui l'impegno quasi fanatico dei governanti nel pretendere il rispetto integrale delle clausole di Versailles e nell'esigere il pagamento delle riparazioni. Gli anni della distensione: Questa linea di politica estera, culminata nell'occupazione della Ruhr, subì un deciso mutamento nel 1924 con l'accettazione del piano Dawes. Si inaugurò allora una fase di distensione e di collaborazione fra le due potenze ex nemiche. Alla base dell'intesa c'era la volontà comune di normalizzare i rapporti fra vincitori e vinti, nel quadro di un più vasto progetto di sicurezza collettiva. Il risultato più importante dell'intesa franco-tedesca fu rappresentato dagli accordi di Locarno dell'ottobre 1925, che consistevano nel riconoscimento da parte di Germania, Francia e Belgio delle frontiere comuni tracciate a Versailles e nell'impegno di Gran Bretagna e Italia a farsi garanti contro eventuali violazioni. La Francia otteneva così una garanzia internazionale ai suoi confini Un anno dopo la firma del patto, la Germania fu ammessa alla Società delle nazioni Nel giugno 1929 fu varato il piano Young che ridusse e graduò ulteriormente le riparazioni tedesche. Nel giugno 1930 gli ultimi reparti francesi si ritirarono dalla Renania, mentre il governo tedesco rinnovava l'impegno a mantenere la regione smilitarizzata Questa stagione di distensione internazionale tuttavia, si interruppe bruscamente alla fine del decennio, in coincidenza con l'inizio della grande crisi economica mondiale. Già nel settembre 1930 la Francia decise di dare il via alla costruzione di un imponente complesso di fortificazioni difensive (la cosiddetta linea Maginot) lungo il confine con la Germania. Era il segno più evidente dell'esaurirsi dello "spirito di Locarno" e della caduta delle speranze nella "sicurezza collettiva”. 7. LA RUSSIA COMUNISTA La guerra con la Polonia: Negli anni immediato dopoguerra, la Russia comunista rappresentò un mito positivo, oltre che un punto di riferimento stata alla fine del per i rivoluzionari di tutta Europa, cosi come la Francia lo era altrettanto '700. La capacità espansiva dell'esperienza bolscevica non fu però altrettanto grande; e ancor men lo era la forza del paese in cui quell'esperienza si incarnava. La stessa sopravvivenza del regime comunista rimase a lungo in forse. Appena conclusa, nella primavera del '20, la guerra civile, i bolscevichi dovettero affrontare l'attacco improvviso da parte della Polonia, che cercava di pro fittare delle difficoltà del vicino per ritagliarsi confini più favorevoli. Dopo fasi alterne (l'Armata rossa contrattaccò efficacemente e nell'agosto 1920 giunse alle porte di Varsavia per essere poi ricacciata entro i confini russi) si giunse a un armistizio che accontentava in parte le aspirazioni polacche ma segnava soprattutto la fine della speranza di esportare la rivoluzione grazie ai successi militari. Il collasso economico: Una minaccia non meno grave alla sopravvivenza dell'esperimento comunista veniva dal rischio di un collasso economico Quando i bolscevichi presero il potere, l'economia russa si trovava già in uno stato di dissesto, che la rivoluzione e le devastazioni della guerra ci vile finirono con l'aggravare ulteriormente. L'abolizione della proprietà terriera e la redistribuzione delle terre ai contadini poveri si risolsero nella creazione di una miriade di piccole aziende che producevano soprattutto per l'autoconsumo e delle città. Molte industrie furono lascia non sorveglianza dei consigli operai, altre te in mano ai vecchi imprenditori ma sotto la furono gestite direttamente dai lavoratori, altre infine furono poste sotto il controllo statale. Le banche furono e i debiti con l'estero cancellati. Ma tutto questo servi a poco, visto lo stato di caos in cui versava il paese sconvolto dalla guerra civile, e il governo costretto, per le esigenze più urgenti, a stampare carta moneta priva di qualsiasi valore. Si fini così col tornare al sistema del baratto e le stesse retribuzioni vennero pagate in natura. Il «comunismo di guerra”: A partire dall'estate del '18, il governo bolscevico cercò di attuare una politica più energica e autoritaria, che fu poi definita con l'espressione «comunismo di guerra». Per risolvere il problema degli approvvigionamenti alle città, furono istituiti in tutti i centri rurali comitati col compito di provvedere alla distribuzione delle derrate. Venne incoraggiata, senza molto successo, la formazione di comuni agricole volontarie le cosiddette 'fattorie collettive' (kolchoz) e furono anche istituite delle fattorie sovietiche' (sovchoz) te direttamente dallo Stato o dai soviet locali. In campo industriale furono tutti i settori più importanti: una misura che aveva lo scopo di normalizzare la produzione e di centralizzare le decisioni, ponendo ine allo spontaneismo che aveva caratterizzato le prime fasi della rivoluzione Carestia e rivolta: Grazie al «comunismo di guerra» il regime bolscevico riuscì ad assicurare lo svolgimento di alcune funzioni essenziali e soprattutto ad armare e nutrire il suo esercito. Ma sul piano economico l'esperienza si risolse in un totale fallimento. Alla fine del 1920 il volume della produzione industriale era di ben 7 volte inferiore a quello del 1913. Le grandi città si erano spopolate per la disoccupazione e per la fame. Il commercio privato, formalmente vietato si raggiunse il culmine nella primavera estate del 21 quando, per l’effetto congiunto della guerra civile e di un anno di siccità, una terribile carestia colpì le campagne della Russia e dell'Ucraina, provocando la morte di almeno 3 milioni di persone. Imbarazzante per il potere comunista era poi il dissenso che cominciava a serpeggiare fra gli operai, stanchi delle privazioni materiali, ma anche delusi dalla gestione autoritaria dell'economia. Il punto di maggior tensione fu toccato ai primi di marzo del 1921, quando a ribellarsi al governo furono i marinai della base di Kronštadt, presso Pietrogrado, che era stata una roccaforte dei bolscevichi. Alle richieste dei ribelli, che invocavano maggiori libertà politiche e sindacali, il governo rispose con una dura repressione militare, con centinaia di fucilazioni immediate e poi migliaia di condanne a morte, al carcere o ai lavori forzati. La Nep: Nello stesso 1921, mentre si chiudeva ogni spazio di discussione all'interno del partito, prendeva avvio una parziale liberalizzazione nella produzione e negli scambi. La nuova politica economica (in sigla Nep) aveva l'obiettivo principale di stimolare la produzione agricola e di favorire l'afflusso dei generi alimentari verso le città. Ai contadini si consentiva ora di vendere sul mercato le eventuali eccedenze, una volta che avessero consegnato agli organi statali una quota fissa dei raccolti. La liberalizzazione si estese anche al commercio piccola industria produttrice di beni di consumo. Lo Stato man e alla tenne comunque il controllo delle banche e dei maggiori gruppi industriali. La Nep ebbe conseguenze indubbiamente benefiche su un'economia stremata, ma produsse effetti sociali non previsti né desiderati dai suoi pro motori. Nelle campagne i nuovi spazi concessi all'iniziativa privata favorirono il riemergere del ceto dei contadini benestanti, i kulaki. La liberalizzazione del commercio accrebbe la disponibilità beni di consumo, ma provocò la comparsa di una nuova classe di trafficanti la cui ricchezza contrastava col basso tenore di vita della maggioranza della popolazione urbana. 8. L’URSS DA LENIN A STALIN Le Costituzioni del1918 e del 1924: La prima Costituzione della Russia rivoluzionaria fu varata nel luglio del '18, in piena guerra civile, e si apriva con una Dichiarazione dei diritti del popolo lavoratore e sfruttato dove si proclamava che il potere doveva «appartenere unicamente e interamente alle masse lavoratrici e ai loro autentici organismi rappresentativi: i soviet». La Costituzione si ispirava dunque alla idea consiliare e collocava al vertice del potere Congresso dei soviet. Inoltre prevedeva che il nuovo Stato avesse carattere federale, l'autonomia delle minoranze etniche e si aprisse all'unione con altre future repubbliche "sovietiche", nella prospettiva di un'unica repubblica socialista mondiale. In realtà, quella che si attuò fra il '20 e il '22 fu semplicemente l'unione alla Repubblica russa che comprendeva anche l'intera Siberia delle altre province dell'ex Impero zarista (l'Ucraina, la Bielorussia, l'Azerbaigian, l'Armenia e la Georgia), nelle quali i comunisti erano riusciti a prendere il potere dopo aver eliminato le altre forze politiche col decisivo aiuto dell'Armata rossa. Quella che dal 1922 prese il nome di Unione delle repubbliche socialiste sovietiche (Urss) era una compagine priva di reali meccanismi federativi e in cui i russi erano la nazionalità dominante. La nuova Costituzione dell'Urss, approvata nel 1924, prevedeva una complessa struttura istituzionale, al cui vertice stava ancora il Congresso dei soviet dell'Unione Ma il potere reale era nelle mani del Partito comunista (che dal 1925 assume il nome di Partito comunista dell'Unione Sovietica, Pcus), l'unico la cui esistenza fosse prevista dalla Costituzione. Il partito Stato: Era, infatti, il partito a fornire le direttive ideologiche e politi che cui si ispirava l'azione del governo. Era il partito a controllare la potentissima polizia politica (la čeka, ora denominata Gpu), che colpiva i «nemici del popolo» con arresti, processi, fucilazioni, deportazioni in campi da lavoro. Era ancora il partito a proporre i candidati alle elezioni dei soviet che avvenivano su lista unica e con voto palese. Un partito il cui apparato centrale e periferico si sovrapponeva di fatto a quello dello Stato. La Repubblica che si proclama- va fondata sulla democrazia sovietica era invece governata, attraverso un apparato fortemente centralizzato che faceva capo al segretario generale e all'Ufficio politico (Politburo) del Comitato centrale, dal ristretto gruppo dirigente del Partito comunista. Cultura, religione e costumi: Lo sforzo di trasformazione intrapreso dopo la rivoluzione d'ottobre non riguardò soltanto le strutture economiche e gli ordinamenti politici. Come tutti i rivoluzionari dei tempi moderni, anche i comunisti russi mirarono a cambiare la società nel profondo, a cancellare valori e comportamenti tradizionali, a creare una nuova cultura adatta alla realtà che voleva costruire. Lo sforzo si indirizzò soprattutto in due direzioni: la lotta contro l'analfabetismo, premessa indispensabile per lo sviluppo economico ma anche presupposto essenziale per l'indottrinamento del nuove generazioni da condurre attraverso la scuola e le organizzazioni giovanili; e la lotta contro la Chiesa ortodossa compatibile in quanto espressione di una visione del mondo che si voleva estirpare perché incompatibile con i fondamenti materialisti della dottrina marxista. La scristianizzazione fu portata avanti con molta confisca dei beni ecclesiastici, chiusura durezza di chiese, arresti di capi religiosi e, nel complesso, poté dirsi riuscita nei suoi obiettivi. L'influenza della Chiesa non del tutto eliminata (culti e credenze continuarono a sopravvivere, soprattutto nelle campagne), ma certo drasticamente ridimensionata. La battaglia contro la religione e la morale tradizionale si estese naturalmente anche ai problemi della famiglia e dei rapporti fra i sessi. Il governo rivoluzionario stabili fra i suoi primi atti il riconoscimento del solo matrimonio civile e semplificò al massimo le procedure per il divorzio. Nel 1920 fu legalizzato l'aborto . Venne proclamata l'assoluta parità fra i sessi e la condizione dei figli illegittimi fu equiparata a quella dei legittimi. In generale il regime comunista favori una notevole liberalizzazione dei costumi, anche se furono ben presto emarginate le posizioni estreme di chi riteneva che la rivoluzione dovesse portare all'assoluta libertà sessuale e alla scomparsa della famiglia. Lo scontro tra Stalin e Trotzk: Nell'aprile del 1922 il georgiano Josip Djugasvili, detto Stalin, ex commissario alle Nazionalità, fu nominato segretario generale del Partito comunista dell'Urss. Poche settimane dopo, Lenin fu colpito dal primo attacco di quella malattia che lo avrebbe condotto alla morte nel gennaio 1924. Da allora si aprì una sempre più scoperta lotta per la successione. Il primo grave scontro all'interno del gruppo dirigente ebbe per oggetto il problema della centralizzazione e della eccessiva burocratizzazione del partito Protagonista sfortunato della battaglia volta a limitare le prerogative dell'apparato fu Trotzkij, il più autorevole e il più popolare dopo Lenin fra i capi bolscevichi, ma an che il più isolato rispetto agli altri leader di primo piano Zinov'ev, Kamenev, Bucharin, che respinsero le sue critiche alla gestione del partito e fecero blocco col segretario generale. Lo scontro non riguardava solo il problema della «burocratizzazione». Trotzkij col legava l'involuzione autoritaria del partito all'isolamento internazionale dello Stato sovietico e riteneva che l'Unione Sovietica dovesse estendere il processo rivoluziona nell'Occidente capitalistico. Contro questa tesi, per cui fu coniata l'espressione «rivoluzione permanente», scese in campo lo stesso Stalin. Stalin sosteneva che, nei tempi brevi, la vittoria del «socialismo in un solo paese» era «possibile e probabile” e che l'Unione Sovietica aveva in sé le forze sufficienti a fronteggiare l'ostilità del mondo capitalista. La teoria del «socialismo in un solo paese» rappresentava una rottura con quanto era sempre stato affermato dai bolscevichi, ma si adattava situazione reale, che da tempo non consentiva illusioni circa la possibilità di una rivoluzione mondiale, e offriva inoltre al p lo stimolo di un potente richiamo patriottico. Anche l'atteggiamento delle potenze europee, che fra il '24 e il '25 si decisero a instaurare rapporti diplomatici con lo Stato sovietico, finì col rafforzare implicitamente le tesi di Stalin. L'eliminazione degli oppositori: Una volta sconfitto Trotzkij, venne meno il principale legame che teneva uniti i suoi avversari politici A partire dall'autunno del '25, Zinov'ev e Kamenev, riprendendo idee già sostenute da Trotzkij, si pronunciarono per un'interruzione dell'esperimento della Nep, che a loro avviso stava facendo rinascere il capitalismo nelle campagne e per un rilancio dell'industrializzazione a spese, se necessario, degli strati conta dini privilegiati. La tesi opposta, favorevole alla prosecuzione della Nep, fu sostenuta da Bucharin, che be l'appoggio di Stalin. Zinov'ev e Kamenev, in messi minoranza nel partito, si riaccostarono a Trotzkij e cercarono di organizzare un fronte unico degli avversari del segretario. Ma i leader dell'opposizione furono dapprima allontanati dagli organi dirigenti e poi, nel 27, espulsi dal partito. I loro seguaci furono perseguitati e incarcerati. Trotzkij fu deportato in una località dell'Asia centrale e successivamente espulso dall'Urss. Con la sconfitta dell'opposizione di sinistra si chiudeva definitivamente la prima fase della rivoluzione comunista, la fase della costruzione del nuovo Stato. Se ne apriva una nuova,
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