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Riassunti di storia moderna, Dispense di Storia

Dispensa utile per la preparazione di verifiche, esami di stato ed esami universitari. Tratta argomenti come: la società verso la fine del Medioevo; monarchie e imperi tra XV e XVI secolo; le nuove scoperte geografiche; il rinascimento; la riforma luterana; la controriforma della Chiesa cattolica; la guerra dei Trent’anni; il ‘500; il periodo delle rivoluzioni; l’Italia del ‘600; imperi e civiltà dell’Asia tra XVI e XVII secolo; la Francia di Luigi XIV; l’Europa tra il ‘600 e il ‘700; l’Illuminismo; Francia e Inghilterra nel ‘700; assolutismo illuminato e riforme; l’Italia nel ‘700; la nascita degli Stati Uniti d’America; la rivoluzione Francese; dall’età giacobina al governo del Direttorio; la Francia e l’Europa nell’età di Napoleone; l’età della Restaurazione. Ricca di dettagli e estremamente funzionale e schematica.

Tipologia: Dispense

2022/2023

In vendita dal 22/06/2024

samuel.de.luca
samuel.de.luca 🇮🇹

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Scarica Riassunti di storia moderna e più Dispense in PDF di Storia solo su Docsity! STORIA MODERNA 1. La popolazione e le strutture familiari Vi è uno squilibrio tendenziale tra popolazione e risorse alimentari; mentre la popolazione cresce in progressione geometrica (1, 2, 4, 8, 16 ecc.), la produzione alimentare cresce solo in progressione aritmetica (1, 2, 3, 4, 5 ecc.); nella storia dei popoli intervengono periodicamente “freni repressivi” (carestie, epidemie, guerre) a ristabilire l’equilibrio alterato e a far partire un nuovo ciclo di incremento demografico. La metà del XV secolo segna l’avvio di una fase di espansione demografica destinata a protrarsi fino ai primi decenni del Seicento. A questa crescita contribuiscono una diminuzione della mortalità (per la minore virulenza delle epidemie e un periodo di attenuazione delle carestie) e un aumento della natalità. I demografi individuano nell'età moderna diverse tipologie familiari. Dal punto di vista della estensione e composizione delle strutture familiari si individuano due modelli: quello della famiglia nucleare (composta da una sola unità coniugale) e quello della famiglia complessa (costituita da varie combinazioni di coppie, genitori e fratelli). Determinanti per l'affermazione di uno dei diversi modelli familiari sono le condizioni economico- produttive. Ma altrettanto importanti sono i condizionamenti di carattere sociale e giuridico, che riguardavano in particolare le scelte matrimoniali e le regole di trasmissione dei patrimoni: l'esigenza della conservazione e del consolidamento dell'asse patrimoniale veniva realizzato attraverso gli strumenti giuridici del fedecommesso (istituto di diritto successorio che obbliga l'erede a trasmettere tutta o parte dell'eredità a una persona già designata nel testamento) e della primogenitura o maggiorasco (trasmissione al primogenito maschio dell'intera eredità o della sua parte più consistente). 2. L’economia dell’Europa preindustriale Dopo la crisi demografica prodotta dalla "peste nera", cominciano a manifestarsi nei primi decenni del Quattrocento segni di ripresa, favoriti dai processi di ristrutturazione sollecitati dalla stessa crisi. Nell'agricoltura l'abbandono delle terre meno fertili favorisce il rialzo dei rendimenti; la diminuita pressione della richiesta di cereali orienta verso colture specializzate e destinate al commercio (vite, piante tintorie). Un forte sviluppo conosce in particolare l'allevamento bovino e ovino in numerose regioni europee. Si diffonde anche, in regioni che hanno un'agricoltura progredita (Lombardia, Paesi Bassi), un allevamento bovino collegato con la produzione di foraggere e con la rotazione delle colture. All’aumento della domanda di generi alimentari l’agricoltura europea risponde in due modi: introducendo nuove tecniche di coltivazione che permettono rese superiori (risposta intensiva); estendendo la superficie coltivabile ai terreni incolti o precedentemente abbandonati e meno fertili (risposta estensiva). I secoli del basso Medioevo videro in gran parte dell'Europa centro-occidentale non solo la disgregazione della feudalità come sistema di governo, ma anche l'erosione dei poteri signorili nelle campagne per effetto sia della crisi demografica, sia della tendenza generale dei signori fondiari alla monetizzazione delle prestazioni loro dovute, sia alla serie di rivolte contadine esplose in diverse aree geografiche tra la metà del Trecento e i primi decenni del Cinquecento. Tuttavia, in seguito, si assiste ad una forte contrazione della proprietà contadina, effetto di processi diversi (rifeudalizzazione). Il forte aumento della popolazione registrato nel XVI e poi nel XVIII secolo si accompagnò a fenomeni di proletarizzazione contadina, cioè alla diminuzione in percentuale dei coltivatori autosufficienti o addirittura provvisti di eccedenze di derrate da vendere sul mercato, alla moltiplicazione dei contadini poveri o nullatenenti e alla riduzione del potere d'acquisto dei salari. Nell'attività manifatturiera al calo di settori tradizionali (lana e tessuti grezzi) si reagisce, nel corso del Quattrocento, o con la produzione di merci di lusso o con la produzione di merci a basso costo e di minore qualità destinate però a uno smercio più vasto. Una maggiore produttività si ottiene con la diffusione del lavoro a domicilio e delle manifatture nelle campagne, dove la manodopera è più abbondante e meno costosa. L'attività mercantile si modifica per la minore importanza delle fiere e la crescita di una rete di operatori stabili nei maggiori centri; essa si orienta inoltre verso prodotti di largo consumo, valorizzando diverse caratteristiche produttive delle differenti regioni europee, grazie anche al miglioramento dei trasporti. L’espansione dei traffici favorisce lo sviluppo del trasporto marittimo e di quello via terra, decretando la fortuna dei porti del Baltico, di città quali Anversa e Amsterdam, dei banchieri tedeschi e italiani, dei mercanti olandesi. Il capitale mercantile conserva così il proprio predominio sull’attività manifatturiera, anche per l’esiguità della domanda di beni industriali da parte di una società in cui permangono vaste aree di autoconsumo. Prevale in ogni caso una produzione di tipo artigianale, mentre per quanto concerne il settore manifatturiero trainante, quello tessile, nei paesi più evoluti (Inghilterra) va diffondendosi l’industria a domicilio (o protoindustria). Trasformazioni profonde si registrano anche nella società, con gravi disagi testimoniati da rivolte sia urbane che rurali, numerose a partire dai decenni centrali del Trecento. Esse sono conseguenza per un verso delle difficoltà provocate dalla crisi, per l'altro dalla perdurante evoluzione di lungo periodo verso una economia più aperta agli scambi e al mercato, che modifica i vecchi assetti produttivi, le forme del lavoro, la distribuzione della ricchezza a danno dei ceti meno abbienti. Nelle città in particolare si determina una polarizzazione tra un ceto ristretto di grandi artigiani e di mercanti-imprenditori da un lato, e, dall'altro, vasti strati di piccoli artigiani e di lavoranti a bottega; si diffonde un pauperismo più crudo, a cui solo in parte pongono riparo le nuove istituzioni di assistenza e di carità. Nelle campagne si accentua la crisi della grande proprietà signorile, lasciando spazio all'emergere sia di ceti contadini, sia a una nuova proprietà borghese, dei cittadini. Ma più numerosi sono i coltivatori che si ritrovano impoveriti, ridotti alla condizione di salariati, privati anche del sostegno che assicuravano vecchi istituti come la proprietà o l'uso comune delle terre. Nell’Europa orientale, gli effetti della crisi demografica sono più gravi e duraturi, e creano le condizioni per la crescita del potere signorile. In particolare si introducono più rigide forme di dipendenza contadina, un vero e proprio "servaggio" (la cosiddetta “servitù della gleba”). 3. Ceti e gruppi sociali Il concetto che meglio definisce i gruppi sociali dell’Europa preindustriale è quello di “ceto”, che racchiude in sé i diversi fattori che determinano il rango d’appartenenza di ogni singolo individuo. Un tale concetto traduceva un'antica visione della società che la divideva in tre grandi ordini: gli oratores (coloro che pregavano, cioè il clero), i bellatores (coloro che combattevano, cioè la nobiltà), i laboratores (coloro che lavoravano per tutti). Essenziale in questa tripartizione della società la disposizione gerarchica dei tre ordini. I "ceti" o "Stati" erano quindi gruppi sociali giuridicamente riconosciuti nell'Europa preindustriale. In senso tecnico essi designavano quei corpi rappresentativi che in vari paesi europei si riunivano in Parlamenti, Cortes, Diete, assemblee variamente denominate, per trattare col principe o con i suoi rappresentanti questioni di interesse generale. Si può parlare perciò di un dualismo principe-ceti, in quanto i "ceti", rappresentanti del territorio, partecipavano dell'autorità sovrana. Nobiltà e clero erano i due ceti meglio riconoscibili e più chiaramente definiti anche dal punto di vista giuridico. Anche se l'origine e la configurazione delle élites nobiliari europee presentano molte specificità locali, dovunque nobiltà significa in primo luogo ricchezza: una ricchezza basata fondamentalmente sulla proprietà della terra. Altro connotato importante è il rapporto tra ceto nobiliare e potere politico. Tra gli Stati dell'Europa moderna pochi sono quelli dominati da aristocrazie cittadine (le repubbliche aristocratiche di Venezia, Genova e Lucca); i governi di gran lunga prevalenti sono espressi dalle monarchie. Il rapporto tra il re e la nobiltà si pone nei diversi Paesi non in modo univoco; la principale distinzione va fatta tra quegli Stati in cui la sovranità assumeva connotati almeno teoricamente assoluti, come la Francia di Richelieu o di Luigi XIV, e L’azione di “disciplinamento sociale” si tradusse in una più completa cristianizzazione delle masse popolari, ma anche in un maggior controllo dei comportamenti violenti e amorali, nella crescita dell’alfabetizzazione maggiormente riscontrabile nei paesi protestanti per l’obbligo della lettura individuale della Bibbia. Solo con la nascita dei primi sistemi di istruzione elementare, sotto la spinta delle idee illuministiche, lo Stato comincia a svolgere un suo ruolo specifico nel campo dell’alfabetizzazione popolare, senza sottovalutare il fatto che per tutto l’antico regime l’invenzione della stampa costituì certamente la novità di gran lunga più importante per la circolazione delle idee. Da essa prese avvio l’industria tipografica che contribuì in grande misura ad animare il panorama culturale della modernità. Di qui la forte attenzione di Chiese e Stati alla diffusione dei libri con l’attivazione di iniziative di censura volte a neutralizzare la diffusione di idee ritenute contrarie agli ordinamenti esistenti. La diffusione della cultura superiore nell’Europa moderna passa attraverso la rivitalizzazione di istituzioni medievali come le università, ormai presenti nelle principali città, e la nascita di nuovi istituti preposti alla formazione dei giovani di famiglie aristocratiche o allo scambio culturale e scientifico. La scolarizzazione delle classi inferiori dovrà attendere la seconda metà del XVIII sec. con le iniziative di alcuni sovrani illuminati. 6. Monarchie e imperi tra XV e XVI secolo I decenni tra il '400 e il '500 vedono decisivi passi avanti nella costruzione di monarchie forti e accentrate in Francia con i regni di Carlo VIII (1483-98), Luigi XII (1498-1515) e Francesco I (1515-1547); in Spagna con l'unione delle due corone di Castiglia e di Aragona sotto i "re cattolici" Ferdinando (1479-1516) e Isabella (1474-1504); In Inghilterra con l'avvento della dinastia Tudor nelle persone di Enrico VII (1485- 1509) ed Enrico VIII (1509-1547). Caratteri comuni dei governi di questi sovrani sono: la tendenza all'accentramento del potere nelle loro mani e in quelle dei loro più stretti collaboratori, con la valorizzazione degli organi centrali già esistenti, cui era affidato il controllo di settori specifici dell'amministrazione statale; il ridimensionamento dell'antica nobiltà di sangue nei compiti di governo e il favore nei confronti di funzionari particolarmente meritevoli; la volontà di utilizzare il potere economico e spirituale della Chiesa per il controllo e la fidelizzazione dell'aristocrazia e dei gruppi dirigenti. Guerre d’Italia. Consolidatesi nel corso della prima età moderna, le grandi monarchie europee iniziarono un lungo confronto per l'egemonia continentale. L'Italia fu il primo obiettivo di una lotta che durò diversi decenni: Gli Stati regionali italiani non furono in grado di contrastare le mire sia della Francia sia della Spagna, e la prima fase di questo lungo duello si chiuse con una sostanziale spartizione della penisola (lo Stato di Milano ai Francesi, il regno di Napoli agli Spagnoli). Queste prime invasioni di sovrani stranieri ebbero in Italia pesanti conseguenze. I precari equilibri stabiliti nel XV secolo furono stravolti dall'arrivo di potenti eserciti. Nuove signorie si svilupparono negli spazi lasciati liberi da consolidati Stati territoriali. Altre furono travolte dagli eventi, come accadde, ad esempio, a Firenze, dove i Medici furono cacciati e fu stabilita la Repubblica. Mentre prendevano forma i primi conflitti fra i regni europei, un nuovo potere si stava creando nel cuore d'Europa. Innestandosi sul corpo del vecchio Impero germanico, la dinastia degli Asburgo aveva dato vita, con una strategia matrimoniale ad ampio raggio, a una delle maggiori concentrazioni di potere della storia europea. La Spagna con i suoi possedimenti mediterranei e americani, l'Austria e i territori ereditari degli Asburgo, e i Paesi Bassi andarono a formare un complesso di domini che, uniti alla corona imperiale assegnata a Carlo V d'Asburgo, fecero di quest'ultimo il più potente sovrano dell'Europa del tempo. La grande concentrazione di potere nelle mani di Carlo V non aveva lasciato indifferente la Francia. I sovrani francesi, schiacciati nella morsa dei domini asburgici, si resero protagonisti di un lungo confronto che aveva come obiettivo il contenimento del potere imperiale e la possibilità di contare su governi non ostili nei paesi confinanti. In questo conflitto essi cercavano di coinvolgere vari alleati. Le guerre che seguirono si svolsero in diversi teatri: ancora una volta in Italia nella prima fase, in Italia e fuori della penisola in un secondo tempo. Questi conflitti si incrociarono e si sovrapposero ad altri che videro coinvolti anche i turchi, con i quali francesi trovarono significative forme di accordo. Il duello giunse alla sua naturale composizione allorché Carlo V, vista l'impossibilità di portare a termine il suo progetto di dominio universale, decise di abdicare a favore del figlio Filippo II e del fratello Ferdinando. Separati nuovamente i domini spagnoli e imperiali, si poté arrivare a una composizione che stabilizzò l'assetto politico dell'Europa per circa un secolo. La pace franco-spagnola di Cateau-Cambrésis, sancì il controllo della Spagna su gran parte del territorio italiano e il suo ruolo di potenza dominante in Europa. A nord e a est dei domini asburgici, altri Stati stavano conoscendo eventi in parte diversi da quelli dell'Europa occidentale. Mentre in Polonia, ad esempio, il potere dei nobili stava avendo la meglio su quello della monarchia, in Russia avvenivano processi esattamente inversi. La ricomposizione territoriale realizzata dai sovrani stava trasformando la Russia in un impero unito e potente che, però, non era ancora in grado di intervenire nelle vicende politiche dell'Europa occidentale. La Svezia, invece, riconquistata la sua autonomia, era pronta ad affrontare i complessi eventi che stavano attraversando l'Europa del Cinquecento. Anche in un'altra periferia d'Europa si stavano creando processi politici di ampia portata. Conquistata Costantinopoli, i turchi avevano dato vita a un impero che aveva mire universalistiche. Dopo aver consolidato un dominio che si estendeva sui tre continenti affacciati sul Mediterraneo, il sultano turco aveva puntate la sua attenzione verso l'Europa. Penetrandovi da sud e da est, l'impero turco era diventato uno dei protagonisti della vita politica europea. 7. I nuovi orizzonti geografici Ai navigatori europei, che verso la fine del ‘400 si apprestano a scoprire le nuove rotte dell’Atlantico e dell’Oceano Indiano, allargando in maniera sconvolgente gli orizzonti geografici e gettando le basi per la formazione di un’economia mondiale, le conoscenze del tempo impediscono non solo qualsiasi congettura sull’esistenza delle Americhe, ma anche una corretta visione dei continenti già noti. Studi recenti hanno evidenziato per l’Africa nera precoloniale una realtà né uniforme né arretrata. Ad aree poco abitate e primitive si alternano zone con popolazioni dedite all’allevamento, all’agricoltura e all’artigianato. Inoltre tra il XIV e il XVI secolo, nella fascia tra il Sahara e la foresta equatoriale, formazioni statali complesse si sovrappongono alla tradizionale organizzazione per clan e tribù. Le civiltà più evolute del continente americano (maya, atzechi, incas) si sviluppano nel millennio che precede la conquista spagnola. Sono caratterizzate da un’agricoltura sedentaria e da un’attività artigianale molto varia. Pur non conoscendo l’uso del ferro e della ruota, realizzano importanti opere pubbliche. Manca loro una solida organizzazione statale e sono permeate da una concezione religiosa che giustifica una rigida stratificazione statale. Nel 1492 Cristoforo Colombo compie per conto della corona spagnola la sua prima spedizione nelle Americhe. Numerosi viaggi esplorativi si succedono nel nuovo continente negli anni seguenti, mentre continua con successo la penetrazione portoghese nelle Indie orientali attraverso la circumnavigazione dell’Africa. I contrasti insorti tra Spagna e Portogallo per il controllo dei nuovi territori vengono risolti da un trattato che sancisce il predominio spagnolo nell’America centromeridionale e quello portoghese in parte del Brasile, sulle coste africane e nell’oceano Indiano (trattato di Tordesillas: 1494). Il sogno di Colombo di circumnavigare il globo viene realizzato per la prima volta tra il 1519 e il 1522 da una spedizione guidata da Ferdinando Magellano. L’impero coloniale portoghese si organizza attorno ad una serie di fortezze militari e di empori commerciali lungo le coste africane e asiatiche (colonialismo commerciale). Il commercio di spezie e di prodotti di lusso destinati ai mercati europei vede coinvolti anche la corona, attraverso la Casa da India, e i finanzieri italiani e fiamminghi operanti ad Anversa; mentre i mercanti arabi e veneziani impediscono un vero e proprio regime di monopolio tenendo aperta la via del mar Rosso. Dalla scoperta alla conquista. A partire dal secondo decennio del ‘500 i “conquistadores” spagnoli, forti delle loro armi da fuoco e delle loro cavalcature, avviano la conquista della terraferma americana. La vittoria di Cortés sugli aztechi e l’occupazione del Messico portano alla creazione di un vicereame della Nuova Spagna (1522); quella di Pizarro sugli incas alla istituzione del vicereame del Perù (1544). In pochi decenni le popolazioni indigene dell’America latina, già provate per le conseguenze della sconfitta militare, vengono falcidiate dallo sfruttamento e dalle malattie. La Spagna procede all’organizzazione delle proprie colonie attraverso la fondazione di città e l’istituto dell’ “encomienda”, simile al feudo europeo, anche se non ereditario. Tramite il “Consiglio delle Indie” e il diritto di nomina dei principali funzionari civili ed ecclesiastici, il re cattolico può esercitare un certo controllo sui due vicereami e sulle loro province. Le attività economiche più importanti sono l’agricoltura, l’allevamento e, a partire dagli anni Quaranta, la produzione dell’argento, in cui vengono impiegati, con le popolazioni indigene decimate dalla violenza e dalle malattie, i primi schiavi neri, soggetti ad un feroce sfruttamento. 8. I nuovi orizzonti spirituali: Rinascimento e Riforma La Riforma protestante dà avvio ad una nuova fase della storia europea. Essa è preceduta, e in un certo senso preparata, dall’esperienza dell’umanesimo cristiano, con la sua critica a una religiosità esteriore e mondana, e con la sua aspirazione a un rinnovamento spirituale sostenuto da un nuovo approccio (critico e filologicamente corretto) ai testi delle Sacre Scritture. L’esponente principale di questo indirizzo è l’olandese Erasmo da Rotterdam. La ricerca della soluzione all’angoscioso problema della salvezza porta Lutero (1483-1546) all’elaborazione di una dottrina inconciliabile con la fede tradizionale, in cui sottolinea il potere salvifico della sola grazia e il rapporto diretto tra il credente e Dio (sacerdozio universale, lettura individuale della Bibbia, riduzione dei sacramenti ai soli battesimo ed eucaristia). Vengono così negati il magistero della Chiesa in campo teologico, il suo ruolo di mediazione tra Dio e l’uomo, la sua esistenza come corpo separato dalla società. La corruzione della Chiesa e la scandalosa vicenda delle indulgenze spingono Lutero a redigere le 95 tesi (1517), che riscuotono consenso e successo in tutta la Germania. Nel 1521 Lutero viene scomunicato da Leone X e, dopo la Dieta di Worms, bandito da Carlo V dai territori dell’impero; ma l’intervento del principe elettore di Sassonia impedisce ogni azione punitiva nei suoi confronti. L’adesione di molti principati e città tedesche alla Riforma determina i primi scontri armati tra le opposte confessioni e i primi provvedimenti contro la Chiesa di Roma: abolizione di conventi e monasteri, secolarizzazione dei beni ecclesiastici, nomina di ministri del culto di fede luterana. Ben presto la riforma religiosa innesca nei territori tedeschi una serie di ribellioni a sfondo sociale e politico. La rivolta dei contadini viene duramente repressa dai principi e dai ceti superiori (1524-25), col beneplacito dello stesso Lutero, mentre il radicalismo religioso sopravvive negli anabattisti (di tendenza anarchica e non violenta, ma privi di una coerente dottrina teologica), oggetto ovunque, tra i protestanti come tra i cattolici, di feroci persecuzioni. Il progetto di Carlo V di ricostruire un unico grande impero cristiano, in grado di lottare compatto contro gli infedeli, è destinato all’insuccesso. Il radicarsi della Riforma nei principati e nelle città tedesche, il conflitto con il re francese, le stesse difficoltà incontrate in Spagna dimostrano il carattere anacronistico del disegno dell’imperatore asburgico e la realtà di un’Europa dai contrastanti interessi politici e ormai divisa sul piano religioso. La prima fase dello scontro tra Carlo V e Francesco I nell’Italia centrosettentrionale, tra il 1521 e il 1529, segnata dal clamoroso episodio del sacco di Roma (1527), si conclude con la sconfitta francese e il ripristino degli Sforza a Milano e dei Medici a Firenze. L’avanzata dei Turchi nell’Europa orientale e la pirateria barbaresca nel Mediterraneo complicano ulteriormente il quadro politico-militare entro cui Carlo V è costretto ad agire. Tanto più che i principi riformati si uniscono nella lega di Smalcalda (1530) e il re francese, alleatosi con i turchi e pronto a sostenere i protestanti tedeschi, riprende le ostilità in Italia. Il fallimento di ogni tentativo di accordo tra gerarchia sociale. È su questo sfondo di rivolte che progredisce la struttura assolutistica delle monarchie europee. Il Seicento è anche un secolo di intolleranza e di paure, segnato da fenomeni di psicosi collettiva e da dure repressioni, come la caccia alle streghe, l’ossessione degli «untori» e la persecuzione degli ebrei. Nonostante la crisi che investe la società e il controllo repressivo esercitato da istituzioni quali l’Inquisizione, il Seicento segna la nascita della scienza moderna. L’elaborazione di un metodo d’indagine fondato sull’osservazione diretta, la sperimentazione e la matematica, le scoperte di Galileo e Newton, il pensiero filosofico di Bacone e Cartesio, la messa a punto di nuovi e più precisi strumenti di misurazione, la fondazione di accademie e riviste scientifiche segnano il definitivo declino della tradizione aristotelico- scolastica. Interessanti sviluppi si hanno anche nell’ambito del pensiero politico ed economico: il problema dell’origine del potere e della sua legittimazione stimola il dibattito attorno ai temi della «ragion di Stato», del tirannicidio, del contratto sociale, approdando a soluzioni di tipo assolutistico (Hobbes) o democratico (Spinoza). Domina a livello economico la dottrina mercantilista, che sottolinea l’importanza dell’intervento dell’autorità statale nell’economia per accrescere le ricchezze nazionali. Le Province Unite sono all’inizio del ‘600 la maggiore potenza marittima e commerciale europea. La prosperità economica, dovuta a solide istituzioni finanziarie, all’espansione delle manifatture e dei traffici e allo sviluppo di un’agricoltura intensiva, è favorita dal clima di tolleranza religiosa. La vita politica della confederazione si riassume nella dialettica tra l’autorità militare («statolder») e l’assemblea degli «Stati Generali» presieduta dal «Gran Pensionario». I primi decenni del ‘600 vedono una repentina ascesa della monarchia svedese. Dopo la deposizione del cattolico Sigismondo Vasa (1599), Carlo IX (1604-1611) e Gustavo Adolfo (1611-32) procedono al rafforzamento interno del paese mediante una riforma amministrativa, la coscrizione obbligatoria e lo sviluppo degli armamenti. Così la Svezia può avviare una politica espansionistica ai danni di Danimarca e Polonia e giocare un ruolo di primo piano nella «guerra dei trent’anni». All’inizio del ‘600 nuove tensioni religiose, politiche ed economiche indeboliscono gli accordi di pace da poco raggiunti e, intrecciandosi tra loro, pongono le premesse per un nuovo conflitto generale. Con la conclusione delle guerre di religione, sotto Enrico IV la Francia torna a ricoprire un ruolo di primo piano sulla scena europea. Il rafforzamento dell’autorità regia diventa il principale obiettivo di Luigi XIII e del suo ministro Richelieu. Si assiste così all’indebolimento delle grandi casate nobiliari, allo smantellamento dell’organizzazione politico-militare ugonotta e all’istituzione degli «intendenti» di giustizia, polizia e finanza, mentre un deciso impulso viene dato al commercio e all’economia. La debolezza di Filippo III e Filippo IV fa emergere sulla scena politica spagnola i cosiddetti «favoriti» (i valìdos). Dopo il duca di Lerma, artefice della pace con l’Inghilterra (1604) e dell’espulsione dei moriscos (1609), sale alla ribalta il conte-duca di Olivares, costretto ad affrontare una situazione politico- militare assai complessa, che vede la Spagna impegnata su più fronti e immersa in enormi problemi finanziari. Nell’impero, la debolezza della suprema autorità politica e la complessa situazione religiosa, che vede il diffondersi del calvinismo accanto a cattolicesimo e luteranesimo, acuiscono i contrasti tra i diversi principati, determinando la formazione di due alleanze contrapposte: l’«Unione evangelica» e la «Lega cattolica». La mancata nomina a re di Boemia di Ferdinando di Stiria, eletto imperatore col nome di Ferdinando II, e la preferenza espressa a favore del calvinista Federico V, elettore del Palatinato, scatenano la reazione imperiale contro l’alleanza protestante, dando inizio a quell’immane conflitto noto come «guerra dei trent’anni» (1618-48). In una prima fase si assiste alla supremazia delle truppe imperiali e spagnole, che consente di avviare il processo di «ricattolicizzazione» della Boemia, e al fallimento dell’intervento del re danese. Riprende anche il conflitto tra la Spagna e le Province Unite. La «guerra di Mantova» (1629-31) sposta momentaneamente il teatro delle operazioni in Italia, indebolendo lo sforzo militare spagnolo nei Paesi Bassi e favorendo la coalizione franco-svedese a fianco dei protestanti tedeschi, che ottiene tra il 1639 e il 1643 vittorie decisive sugli Asburgo. La pace di Vestfalia (1648) determina il definitivo riconoscimento dell’indipendenza delle Province Unite, la supremazia svedese sul Baltico, l’ascesa del Brandeburgo-Prussia, importanti annessioni territoriali per la Francia e l’ammissione del calvinismo nei principati dell’impero. 12. Rivoluzioni e rivolte. L’unione della corona inglese e scozzese nella persona di Giacomo I Stuart non risolvono le due maggiori questioni che oppongono re e Parlamento: quella religiosa, che vede i puritani insoddisfatti del compromesso anglicano, e quella finanziaria, consistente nell’insufficienza delle entrate ordinarie della corona di fronte alle spese crescenti. Si assiste così, anche per l’impopolarità del nuovo sovrano straniero, ad un inasprimento dei rapporti tra re e Parlamento. Gli insuccessi in campo economico e militare favoriscono gli attacchi del Parlamento inglese contro Giacomo I e il suo successore Carlo I, che, dopo l’assassinio del suo favorito, il duca di Buckingham, decide lo scioglimento dell’assemblea rappresentativa (1628). Prende così avvio il tentativo della corte di attuare una politica assolutistica, destinato però a fallire a causa del malcontento suscitato da scelte religiose antipuritane e da nuove imposizioni fiscali. La rivolta della Scozia contro la politica religiosa dell’arcivescovo Laud costringe Carlo I a convocare di nuovo il Parlamento. Lo smantellamento delle strutture assolutistiche attuato dal «Lungo Parlamento» (1640-53), la condanna dei ministri del re e il problema del controllo dell’esercito in occasione di un’insurrezione cattolica in Irlanda determinano la reazione di Carlo I, scatenando (1642) la guerra civile tra le forze parlamentari e il partito realista. Sconfitte le truppe regie dal New Model Army di Cromwell, emergono ben presto nel Parlamento e nell’esercito notevoli divergenze religiose e politiche. Ai presbiteriani, che costituiscono la maggioranza in Parlamento, si contrappongono i «livellatori», assai forti a Londra e nell’esercito, fautori della sovranità popolare e del suffragio universale, mentre in tutto il paese fanno proseliti nuove sette religiose. Carlo I, fuggito dalla prigionia e nuovamente catturato, viene processato e condannato a morte (1649). La nascita del Commonwealth (la Repubblica Unita di Inghilterra, Scozia e Irlanda) è contrassegnato da un accentramento dei poteri nelle mani del Lord Protettore Cromwell e dei grandi dell’esercito, dalla repressione del movimento dei livellatori, dal massacro dei ribelli cattolici irlandesi. La dittatura militare da un lato promuove una politica estera aggressiva, che si esprime nella promulgazione dell’Atto di navigazione all’origine della prima guerra contro l’Olanda (1652-54) e nella conquista della Giamaica spagnola (1655); dall’altro crea nella società un profondo malessere che, alla morte di Cromwell, favorisce la restaurazione monarchica e il ritorno degli Stuart (1660). Il malcontento, già manifestatosi tra le masse popolari al tempo di Richelieu, esplode nuovamente in Francia a metà Seicento sotto il governo del cardinale Mazzarino, coinvolgendo il mondo degli officiers e l’alta aristocrazia: alla «Fronda parlamentare» (1648-49), che elabora un programma politico antiassolutistico, fa seguito la «Fronda dei principi» (1650-53). Il loro fallimento e la fine dell’anarchia rafforzano l’autorità monarchica, permettendo al Mazzarino di imporre alla Spagna la pace dei Pirenei (1659). I rovesci militari, la perdita del Portogallo nel 1640, le rivolte separatiste della Catalogna e di Napoli, l’ennesima bancarotta, le prime sconfitte ad opera di Luigi XIV accelerano il declino della potenza spagnola: La Castiglia, perno finanziario del regno, esce da cinquant’anni di guerre in preda ad una profonda crisi demografica ed economica. 13. L'Italia del Seicento La crisi economica, aggravata dagli effetti della guerra e dalla peste, investe soprattutto la produzione urbana di pannilani e di altri tessuti, non concorrenziali con i più economici manufatti inglesi e olandesi. Al nord il crollo dell'economia cittadina viene in parte compensato dai progressi delle campagne, dove si sviluppano attività manifatturiere di tipo tessile e metallurgico. Il dinamismo che nell'epoca precedente aveva caratterizzato la società italiana lascia il posto nel Seicento a una cristallizzazione delle gerarchie e a una mentalità aristocratica. Contribuisce a diffondere questo atteggiamento conservatore la centralità della Chiesa, in grado di condizionare ogni aspetto della vita sociale. All'impoverimento della cultura filosofica e letteraria fanno comunque riscontro i positivi contributi degli italiani nella scienza, nella musica e nell'architettura. Mentre si rafforza il potere dei ceti dominanti milanese e napoletano, la crisi sociale ed economica evolve nei domini spagnoli in maniera differente, favorendo nello Stato di Milano un certo riequilibrio demografico e la ripresa delle attività agricole e manifatturiere, e nel Mezzogiorno, invece, l'estensione dei poteri feudali ai danni di masse contadine sempre più irrequiete. Il malcontento per il carovita e l'eccessivo fiscalismo sono all'origine delle rivolte antispagnole di Palermo, Napoli e Messina. L'insurrezione napoletana (1647-48), guidata all'inizio da Masaniello e sostenuta dal ceto borghese cittadino, è accompagnata nelle province da una serie di moti antibaronali. Ma l'intervento spagnolo, il mancato aiuto del re di Francia e le discordie interne al movimento di rivolta pongono fine all'esperienza della repubblica napoletana. Le mire espansionistiche di Carlo Emanuele I (1580-1630) favoriscono la costruzione nello Stato sabaudo di un forte apparato militare e fiscale. Il Granducato di Toscana appare invece in preda a una lunga stagnazione per la scarsa vitalità dell'economia e il clima conformista imperante nella corte medicea. Venezia, costretta a un ennesimo e prolungato confronto militare con l'impero ottomano («guerra di Candia»: 1645-1669), perde via via il proprio ruolo internazionale, sia politico che commerciale. Nello Stato pontificio si attenua la spinta a un maggiore controllo delle province e si acuisce il contrasto tra la generale arretratezza delle campagne e lo sfarzo della capitale. 14. Imperi e civiltà dell'Asia tra XVI e XVIII secolo Condizioni di stabilità e di pace, un'agricoltura avanzata, attività commerciali e manifatturiere, sofisticate conoscenze tecniche spiegano il notevole sviluppo della società cinese sotto la dinastia Ming. A livello politico l'autorità imperiale è affiancata da una classe di burocrati-letterati, veri gestori del potere. Tra le cause del declino dell'impero cinese, passato verso la metà del '600 sotto la dinastia Q'ing in seguito all'invasione manciù, vanno ricordati l'irrigidimento delle profonde differenze sociali, causa di rivolte soprattutto nel mondo rurale, e l'affermarsi del tradizionalismo intellettuale e tecnologico. Nell'impero giapponese, dopo secoli di anarchia feudale, si avvia un processo di accentramento del potere nelle mani delle grandi famiglie che si tramandano la carica di shogun. Nell'era «Tokugawa» si assiste, nonostante l'isolamento del Giappone dal resto del mondo, a una notevole espansione demografica ed economica, allo sviluppo di un mercato interno e a un processo di differenziazione sociale, fenomeni questi che creano le condizioni per il futuro passaggio al sistema capitalistico. I principali caratteri del subcontinente indiano (pluralismo etnico, linguistico e religioso) rendono estremamente difficoltosa la sua unificazione politica. Un inquadramento statale relativamente saldo viene realizzato sotto l'impero moghul creato da Babur portato al suo apogeo da Akbar il Grande (1556-1605), che però non scalfisce la tradizionale organizzazione della società basata sulla divisione in caste e sulle comunità di villaggio, dedite ad un'agricoltura estremamente povera. Dopo il florido regno di Aurangzeb (1658-1707), le lotte intestine e la penetrazione straniera, soprattutto inglese, mutano radicalmente la storia dell'India. La fine dell'espansione territoriale, a causa delle sconfitte subite da parte degli Asburgo e della Persia, l'arretratezza tecnologica e l'inettitudine dei suoi sovrani avviano l'impero ottomano verso un inesorabile declino, che giungerà a compimento nell'Ottocento. Nel XVII secolo, sotto lo scià Abbas il Grande (1587- 1629), la Persia conosce invece un periodo di grande splendore, cui porrà fine all'inizio del Settecento l'invasione afghana. pratica economica l'uso dei moderni strumenti di pagamento, la stabilizzazione della moneta assicura maggior equilibrio e sicurezza al commercio, reso più agevole dal miglioramento delle vie e dei mezzi di trasporto. Nell'ambito dell'espansione settecentesca ha notevole sviluppo il commercio europeo con le colonie francesi e inglesi del Nord America, particolarmente dinamiche, e con quelle spagnole e portoghesi della parte centro-meridionale del continente americano. Queste ultime sono caratterizzate da un'agricoltura di tipo estensivo, con cerealicoltura e pascolo brado, e dalla produzione di metalli preziosi nel Messico (argento) e nel Brasile (miniere aurifere). Nelle isole dei Caraibi la coltura principale, e spesso unica, è quella della canna da zucchero; la manodopera è costituita essenzialmente da schiavi neri, la cui tratta arricchisce in particolare i mercanti inglesi e francesi. Le condizioni per il passaggio dalla «protoindustria» al «sistema di fabbrica», con concentrazione di manodopera salariata e largo uso di macchinari, si trovano riunite per la prima volta in Inghilterra, dove prende avvio verso la fine del Settecento la cosiddetta «rivoluzione industriale». Tra queste condizioni sono in primo piano la crescita della domanda interna ed estera, la presenza di ostacoli nel reclutamento della manodopera, l'innovazione tecnologica, un quadro politico e legislativo favorevole all'investimento di capitali. È il settore cotoniero quello in cui si attua precocemente, attraverso l'incontro tra il basso costo della materia prima, le innovazioni tecnologiche e la disponibilità di un ampio mercato, il passaggio al modo di produrre tipico della fabbrica. Determinante nel favorire lo sviluppo industriale a ogni livello è la messa a punto della macchina a vapore. Gli insediamenti industriali, concentrati nelle regioni centro-settentrionali e occidentali dell'Inghilterra, favoriscono il fenomeno dell'inurbamento e la crescita di agglomerati operai accanto alle fabbriche, dove aumenta l'impiego di manodopera non specializzata, donne e bambini, più docili e meno retribuiti. I nuovi ritmi di lavoro e il tenore di vita ai limiti della sussistenza scatenano la protesta operaia, dando vita a movimenti radicali quali il luddismo. Va intanto costituendosi, accanto alla nobiltà e ai mercanti, il nuovo ceto degli imprenditori. 18. La «civiltà dei lumi» L'illuminismo contraddistingue un'età dominata da un uso spregiudicato della ragione, da un'ampia produzione e circolazione di nuove idee in ogni campo del sapere, da movimenti culturali che si diffondono, secondo tempi e con caratteristiche differenti, in tutta Europa, accomunati da un medesimo atteggiamento mentale. Gli sviluppi del pensiero inglese e francese approdano al rifiuto di ogni metafisica, cioè di ogni problematica filosofica e religiosa non basata sull'esperienza diretta. La corrente del sensismo, che dall'inglese John Locke giunge al francese Condillac, afferma che ogni conoscenza deriva dai sensi, e che le idee non sono quindi che elaborazioni e combinazioni di semplici percezioni sensoriali. Accanto al sensismo, grande fortuna ha l'utilitarismo, cioè la teoria che fonda la morale individuale e sociale sulla ricerca del piacere e sull'interesse ben inteso. I presupposti empiristici del pensiero illuminista e l'atteggiamento critico nei confronti di qualsiasi autorità e posizione dogmatica determinano non solo l'attacco contro l'intolleranza e il fanatismo religioso, soprattutto cattolici, ma anche il rifiuto delle religioni rivelate e l'elaborazione di dottrine fondate sul concetto di una religione naturale, come il deismo di Voltaire. Per altri illuministi, come Diderot e d'Holbach, il punto d'arrivo è rappresentato dall'ateismo. Il nume tutelare della scienza settecentesca è Isaac Newton, cui si devono non solo fondamentali scoperte come la formulazione della legge di gravitazione universale, ma la definizione di un metodo di indagine valido in ogni campo. Ai progressi della fisica, dell'astronomia e della meccanica fanno seguito nella seconda metà del secolo quelli della chimica e delle scienze della vita. Accanto a quello dell'inglese Locke, teorico della monarchia parlamentare, di grande originalità è il pensiero politico degli illuministi francesi. Mentre Montesquieu analizza acutamente le varie forme di governo e precisa il concetto di divisione dei poteri, che è alla base delle moderne democrazie, Rousseau auspica una rifondazione della società che elimini le disuguaglianze e riconosca il valore supremo della «volontà generale», espressione della sovranità del popolo. Tra i contributi più importanti dell'illuminismo italiano va ricordata l'opera di Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene, appassionata critica delle storture e della inumanità della giustizia. Nell'ambito del pensiero economico vengono superate le posizioni mercantiliste e si pongono le premesse per lo sviluppo delle teorie liberiste. In Francia la dottrina fisiocratica di Quesnay vede nell'agricoltura l'unica vera fonte di ricchezza e invoca quindi una politica economica favorevole agli interessi dei produttori agricoli; in prima linea è la richiesta di una completa libertà di commercio dei cereali, che devono poter raggiungere il loro «giusto prezzo». Oltremanica lo scozzese Adam Smith chiarisce l'importanza della divisione del lavoro come fattore di progresso economico e giustifica il profitto dell'imprenditore come mezzo di promozione del benessere generale. Il costituirsi di un'ampia opinione pubblica composta da persone colte e spregiudicate, in grado di assorbire e dibattere le nuove idee, determina il successo delle opere di divulgazione filosofica e scientifica; la più nota è l'Enciclopedia di Diderot e d'Alembert, che combatte in ogni campo l'intolleranza, l'oscurantismo, l'ossequio cieco all'autorità e alla tradizione, e riserva largo spazio alle scienze e alle tecniche. Un importante veicolo per la diffusione dei lumi è la stampa periodica. Tipico del XVIII secolo è infine il costituirsi di luoghi e occasioni d'incontro, quali i salotti, le accademie e le stesse logge massoniche, dove si radunano uomini e donne di diversa provenienza sociale. 19. Francia e Inghilterra nel Settecento: un duello secolare In Francia, durante la reggenza di Filippo, d'Orléans, falliscono i progetti di risanamento finanziario del banchiere scozzese John Law («sistema di Law»: aumento della massa dei mezzi di pagamento mediante l'emissione di carta moneta, che avrebbe consentito alla monarchia di pagare i suoi debiti e reso possibile una maggiore circolazione del denaro, stimolando positivamente commercio e industria; il sistema, basato sulla fiducia, venne meno quando ci si rese conto che la Compagnia delle Indie, le cui azioni erano state comprate a prezzo sempre più alto, non distribuiva agli azionisti gli utili promessi). Diventato maggiorenne Luigi XV, sotto il ministero del cardinale Fleury il paese conosce un lungo periodo di pace, che favorisce lo sviluppo economico e permette di riportare in pareggio le finanze statali. Non mancano però motivi di attrito, interni ed esterni, destinati a esplodere a metà del secolo. Con il passaggio alla dinastia tedesca degli Hannover e sotto il ministero Walpole «(1721-42») prende forma in Inghilterra il «governo di gabinetto»: si delinea così un nuovo rapporto tra il Parlamento e gli uomini chiamati a dirigere gli affari dello Stato. La società britannica, sempre più dominata economicamente e politicamente dalla gentry, si presenta alla vigilia della «rivoluzione industriale» nettamente all'avanguardia rispetto agli altri paesi europei. Alla fine della «guerra di successione polacca» (1733-38) la monarchia austriaca deve cedere gran parte dei suoi possedimenti italiani a Carlo di Borbone (Napoli e la Sicilia) e al re di Sardegna (Novara e Tortona), mentre la Francia si assicura l'annessone della Lorena. L'Inghilterra, già intervenuta in questo conflitto come mediatrice, si schiera con decisione a fianco di Maria Teresa contro la Francia e la Spagna nella «guerra di successione austriaca» (1740-48), scatenata dall'invasione della Slesia ad opera di Federico II di Prussia. La fine della guerra lascia però pressoché inalterata la situazione preesistente e dunque mantiene aperta la rivalità anglo-francese. Oltre che allo scontro politico interno tra re e Parlamenti, che blocca ogni tentativo di riforma, la monarchia francese è costretta a far fronte alle conseguenze di una politica estera incoerente, che acuisce i contrasti con l'Inghilterra nelle colonie americane e in India. La «guerra dei sette anni» (1756-63), caratterizzata dall'inedita alleanza franco-asburgica («rovesciamento delle alleanze»), dà via libera all'espansionismo inglese in India ed estromette la Francia dall'America settentrionale. Mentre l'inasprimento dei conflitti religiosi e politici spinge Luigi XV a decretare la soppressione dei Parlamenti «indocili», si aggrava la situazione finanziaria della monarchia francese. I ministri regi cercano di porvi rimedio con l'imposizione di nuove tasse e, soprattutto sotto Turgot, con una politica economica di stampo fisiocratico. Ma l'opposizione dei ceti privilegiati e delle masse popolari, colpite dagli effetti negativi della mutata congiuntura economica, impedisce ogni tentativo riformatore. La volontà del nuovo re d'Inghilterra Giorgio III (1760-1820) di riaffermare i poteri della corona porta a un periodo di instabilità nella politica interna, in cui cominciano a operare correnti radicali favorevoli a una riforma del Parlamento e delle istituzioni. Dopo i rovesci subiti nella guerra di indipendenza americana, il governo inglese ritrova una guida ferma ed equilibrata in William Pitt il giovane (1783-1801; 1804-06) che sviluppa una cauta azione riformatrice e dà impulso all'espansione coloniale e commerciale. 20. Assolutismo illuminato e riforme Tra i monarchi più «illuminati» va senz'altro annoverato Federico II di Prussia (1740-87), amante delle arti e delle lettere, di cultura francese e amico dei philosophes. Per lui come per il padre Federico Guglielmo I (1713-40), tuttavia, il principale obiettivo è il rafforzamento politico e militare dello Stato. Sotto di loro la Prussia conosce una considerevole espansione territoriale e un forte incremento demografico, favorito dal clima di tolleranza religiosa diffuso nel paese e dalla colonizzazione delle terre orientali. Vanno ricordate tra l'altro la riforma giudiziaria, con l'abolizione della tortura, e l'introduzione dell'istruzione elementare obbligatoria. L'opera riformatrice dei sovrani asburgici Maria Teresa (1740-80) e Giuseppe II (1780-90), coadiuvati dal ministro Kaunitz, infonde nuova vitalità e compattezza alla monarchia austriaca, consentendole di mantenere il rango di grande potenza europea. Il rafforzamento dell'esercito, la riorganizzazione amministrativa, finanziaria e degli apparati di governo, il processo di codificazione del diritto, la politica religiosa improntata al «giurisdizionalismo» (corrente di pensiero che sostiene, nei rapporti tra Stato e Chiesa, la separazione tra i due poteri e sottomette la giurisdizione ecclesiastica a quella laica), l'impulso dato all'istruzione e all'economia costituiscono il positivo bilancio di cinquant'anni di riforme. La politica accentratrice e livellatrice di Giuseppe II finì tuttavia col provocare movimenti di rivolta nei Paesi Bassi belgi e in Ungheria. Nonostante restino immutate le condizioni di oppressione delle grandi masse contadine, il cui malcontento sfociò in una grande rivolta guidata dal cosacco Pugačëv (1773-74), il regno di Caterina II (1762-96) rappresenta una tappa fondamentale nella storia dell'impero russo. La sua opera riformatrice investe il campo religioso, l'amministrazione locale, l'ordinamento legislativo e l'istruzione. Notevole è inoltre in questo periodo l'espansione territoriale della Russia ai danni dell'impero ottomano e della Polonia. La Polonia, duramente provata dalle guerre e dalla crisi economica e demografica del XVII secolo, va incontro nella seconda metà del '700 a uno smembramento da parte delle grandi potenze confinanti (Russia, Prussia e Austria), che finirà col cancellarla dalla carta politica dell'Europa. Lo scontro tra le opposte fazioni nobiliari vanifica i tentativi compiuti durante il regno di Stanislao Poniatowski (1764-95) per rafforzare il potere centrale e modernizzare le istituzioni. In Svezia, nazione tra le più progredite in Europa, l'«era della libertà» (1719-72), cioè della gestione del potere da parte della Dieta, termina con la restaurazione dell'assolutismo da parte di Gustavo III (1771- 92). Il nuovo sovrano attua una politica di riforme antinobiliari e abolisce la tortura. Anche in Danimarca si afferma una tendenza riformatrice: l'abolizione del servaggio migliora le condizioni di vita dei contadini, favorendo lo sviluppo agricolo e l'allevamento. Le critiche sempre più radicali degli illuministi e dei movimenti di riforma interni al cattolicesimo e la politica «giurisdizionalistica» del dispotismo illuminato colpiscono inevitabilmente i privilegi e la ricchezza economica della Chiesa di Roma. Alla tendenza conciliativa che sfocia nei concordati del primo Settecento Gli «Stati Generali» si riuniscono a Versailles. I rappresentanti del «Terzo Stato» si autoproclamano Assemblea Nazionale e riescono a vincere le resistenze della nobiltà e della corte alla riunione in comune dei tre ordini. L'intervento delle masse popolari, con la presa della Bastiglia a Parigi (14 luglio 1789) e con la «Grande Paura» nelle campagne (luglio-agosto), è decisivo per la vittoria della Rivoluzione. L'Assemblea nazionale vota l'abolizione dei diritti feudali (4 agosto 1789), la Dichiarazione dei diritti dell'uomo e del cittadino (26 agosto) e l'attribuzione al re di un veto sospensivo. Di fronte alle resistenze della corona, viene organizzata una marcia su Versailles (5-6 ottobre), che costringe la famiglia reale a trasferirsi a Parigi. Il 2 novembre 1789 L'Assemblea decreta la confisca dei beni della Chiesa e decide l'emissione di «assegnati», una sorta di buoni fruttiferi utilizzabili per il loro acquisto. Mentre nell'Assemblea prevale l'influenza dei nobili «liberali» (come il marchese di La Fayette e il conte di Mirabeau) e del cosiddetto «triumvirato» (Lameth, Duport e Barnave), a destra, e di un'ala più radicale nella quale si distingueva il deputato Robespierre, a sinistra, nella capitale, divisa in 48 sezioni, si moltiplicano i club dei giacobini e dei cordiglieri, che portano ad una rapida politicizzazione delle masse parigine ed alla formazione del movimento dei sanculotti, che raggruppa i popolani di Parigi appartenenti per lo più al mondo dell'artigianato e del piccolo commercio. La Costituente procede anche alla riorganizzazione amministrativa, giudiziaria ed ecclesiastica del Paese. Il territorio della Francia è suddiviso in 83 dipartimenti (ripartiti a loro volta in distretti, cantoni e comuni); dal rinnovamento delle municipalità prende avvio il movimento della «federazione». Nuove regole per l'amministrazione della giustizia sono dettate nella legge organica (agosto 1790), che prevedeva l'elezione popolare di tutti i giudici nei nuovi tribunali che sostituivano i Parlamenti già sciolti nel novembre 1789. In campo ecclesiastico l'Assemblea procede nel luglio 1790 all'emanazione della «costituzione civile del clero»: punti essenziali di essa sono la ripartizione della Chiesa di Francia in 83 diocesi (corrispondenti ai dipartimenti) e la elezione popolare di vescovi e parroci, ai quali viene riconosciuto uno stipendio statale. Le resistenze del clero portano l'Assemblea ad imporre un giuramento di fedeltà alla Rivoluzione, che però contribuisce all'irrigidimento dell'opposizione in alcune regioni del sud e dell'ovest. Mentre prosegue l'attività legislativa dell'Assemblea nazionale, la corte ripone le proprie speranze in un intervento delle potenze straniere. Un tentativo di fuga della famiglia reale è bloccato a Varennes (20-21 giugno 1791) e provoca il definitivo discredito dell'istituzione monarchica. La Costituzione approvata dall'Assemblea nazionale conserva alla monarchia il potere esecutivo, ne limita la capacità decisionale in politica estera e sancisce la divisione dei francesi in cittadini «attivi» e «passivi» relativamente al diritto di voto. Nella nuova Assemblea legislativa, che si riunisce il 1° ottobre 1791, si afferma l'egemonia della sinistra, che spinge verso la guerra anche per creare un diversivo alla situazione economica interna, tornata difficile nell'autunno-inverno 1791-92. La guerra, voluta anche dalla corte che spera in una disfatta della Francia, porta a una crescita della tensione generale e alla caduta della monarchia (10 agosto 1792), conseguenza di una giornata insurrezionale (assalto al palazzo delle Tuileries) in cui è decisiva l'azione dei «sanculotti» e dei «federati», accorsi questi ultimi a Parigi a seguito della proclamazione della «patria in pericolo». 24. Dalla Repubblica giacobina al Direttorio Con la «Convenzione», eletta a suffragio universale, e con i massacri del settembre 1792 [nel clima di panico creato dall'avanzata dell'esercito prussiano e dal sospetto per il complotto aristocratico i sanculotti assaltarono le carceri parigine e trucidarono un migliaio di detenuti sospettati di tramare contro la Rivoluzione] ha inizio la fase repubblicana e giacobina della Rivoluzione francese. Mentre la situazione alle frontiere viene risollevata dalla vittoria di Valmy (20 settembre) e dall'occupazione del Belgio, all'interno la questione più scottante è il processo al re. Nel contrasto tra girondini e montagnardi prevale il partito di questi ultimi, che porta alla condanna a morte di Luigi XVI (gennaio 1793). La guerra si estende con l'ingresso dell'Inghilterra, dell'Olanda e della Spagna nella coalizione antifrancese. I rovesci militari, la rivolta della Vandea e l'agitazione popolare contro il carovita spingono la Convenzione, egemonizzata dalla Montagna, a misure eccezionali, quali l'erezione di un Comitato di salute pubblica e l'adozione di un calmiere per i prezzi dei cereali. I sanculotti impongono l'espulsione e l'arresto dei deputati girondini. Per fronteggiare l'invasione straniera, la Vandea, l'insurrezione federalista e le difficoltà negli approvvigionamenti, vengono gradualmente messe a punto le strutture del governo rivoluzionario, che si identifica per larga parte con la dittatura del Comitato di salute pubblica, in cui siedono ora Robespierre e Saint-Just. L'esigenza di un potere forte e accentrato e di un'economia regolata (calmiere dei prezzi e dei salari) porta all'uso sistematico del «Terrore» e a uno svuotamento dall'alto delle forme di democrazia diretta introdotte nel 1792-93. Robespierre, Saint-Just e Couthon eliminano dalla scena politica prima la fazione hebertista, poi quella degli «indulgenti» capeggiata da Danton. Mentre la situazione militare migliora, grazie al grande sforzo di riorganizzazione e rafforzamento dell'esercito, si intensifica il «Terrore» contro i nemici veri o presunti della Rivoluzione. All'interno della Convenzione e dello stesso Comitato di salute pubblica cresce l'opposizione contro Robespierre, che culmina con l'esecuzione sua e dei suoi compagni nelle giornate di termidoro (26- 27 luglio 1794). La reazione contro il «Terrore» e contro la dittatura giacobina costringe la Convenzione a smantellare l'economia regolata e favorisce una ripresa della destra girondina e monarchica. Le condizioni di vita delle masse popolari subiscono un drammatico peggioramento a causa del crollo dell'«assegnato» e delle difficoltà di approvvigionamento. Le ultime disperate sollevazioni dei sanculotti parigini sono represse con durezza. L'approvazione di una nuova Costituzione (la «Costituzione dell'anno III») a carattere censitario (agosto 1795) inaugura il regime del Direttorio, che per sopravvivere deve colpire prima a sinistra («congiura degli eguali»: maggio 1796) e poi a destra (colpo di Stato di fruttidoro: settembre 1797). L'uscita dalla guerra contro la Francia della Prussia, dell'Olanda e della Spagna non pone fine alle operazioni belliche, che nel 1796 hanno uno sviluppo inatteso con la trionfale campagna d'Italia di Napoleone Bonaparte. Con l'appoggio dei «patrioti» locali e contro le intenzioni del Direttorio, Bonaparte dà vita alla Repubblica Cispadana, alla Cisalpina e alla Ligure, ma tradisce le aspettative dei patrioti cedendo all'Austria il Veneto con la pace di Campoformio (ottobre 1797). Dopo la partenza di Bonaparte si formano ancora la Repubblica Romana e la Repubblica Napoletana. La vita di queste repubbliche «giacobine» è difficile e stentata a causa dell'inesperienza dei governanti, dello sfruttamento finanziario, della pesante tutela imposta dalla Francia e dell'ostilità delle masse, protagoniste di estesi moti legittimisti e sanfedisti. Intanto Napoleone organizza una spedizione in Egitto, dove ottiene nuove vittorie, ma rimane tagliato fuori a causa della distruzione della sua flotta (agosto 1798). Si forma una «seconda coalizione antifrancese» (dicembre 1798) formata da Inghilterra, Turchia, Russia, Svezia e Austria, che porta all'espulsione dei francesi dall'Italia, dove cadono tutte le repubbliche giacobine. Tornato in Francia, Bonaparte organizza insieme a Sieyès il colpo di Stato di brumaio (9-10 novembre1799). 25. La Francia e l'Europa nell'età napoleonica. La Costituzione imposta alla Francia dopo il colpo di Stato di brumaio attribuisce un'autorità quasi dittatoriale a un primo console, coadiuvato da altri due consoli in posizione subordinata e da un Consiglio di Stato. Assunto il titolo di primo console, Bonaparte procede a riorganizzare l'amministrazione e il sistema giudiziario, riservando al governo la nomina di prefetti, sottoprefetti, sindaci e magistrati, a codificare il diritto e a risanare le finanze. Sconfitti gli austriaci a Marengo (10 giugno 1800), Bonaparte chiude la guerra della «seconda coalizione» stipulando la pace con l'Austria e con la Gran Bretagna (pace di Lunéville: febbraio 1801). I conflitti religiosi vengono placati grazie al Concordato stipulato con papa Pio VII (luglio 1801). I successi ottenuti in politica interna ed estera consentono a Napoleone di farsi proclamare primo console a vita e poi imperatore (4 aprile 1804). Riprese ben presto le ostilità con l'Inghilterra e poi con la «terza» e con la «quarta coalizione», la «Grande armata» francese ottiene schiaccianti vittorie su Austria, Russia e Prussia. Napoleone è arbitro dell'Europa, mentre gli inglesi rimangono padroni dei mari. Per indebolire la potenza inglese Napoleone ricorre all'arma del «blocco» economico. I danni inferti non sono però sufficienti a piegare la Gran Bretagna, mentre un altro difficile fronte si apre in Spagna, dove la pretesa dell'imperatore di imporre sul trono il fratello Giuseppe Bonaparte suscita un'insurrezione popolare (maggio 1808). L'Austria, tornata in lizza, viene sconfitta a Wagram (luglio 1809) e duramente punita da Napoleone. Negli anni dell'impero si accentuano la trasformazione in senso monarchico degli ordinamenti francesi e il predominio di un'élite dei notabili imperniata sulla proprietà terriera. Scompare ogni libertà di critica e il regime cerca di controllare la pubblica opinione con la vigilanza sulla stampa e sull'insegnamento. Tuttavia la rottura col pontefice, la crisi economica e l'allontanarsi continuo della pace suscitano nella popolazione francese sentimenti di stanchezza e di rigetto. La Repubblica Italiana, poi trasformata in Regno d'Italia (1805), riunisce in un solo Stato oltre sei milioni e mezzo di italiani in precedenza soggetti a diversi governi; l'apparato amministrativo, accentrato ed efficiente, il nuovo sistema giudiziario, la coscrizione, i lavori pubblici, l'integrazione della vecchia aristocrazia con i nuovi ricchi segnano una frattura insanabile con l'antico regime. Il Regno di Napoli viene assegnato, dopo la conquista napoleonica, prima a Giuseppe Bonaparte, poi a Gioacchino Murat. Fra le riforme introdotte nel decennio francese particolate rilievo hanno la soppressione della feudalità e la riforma delle amministrazioni locali, che danno impulso alla formazione di una nuova borghesia provinciale. Nell'Europa centrale l'avvenimento di maggior significato simbolico è la fine del Sacro Romano Impero (agosto 1806). Gli Asburgo assumono il titolo di imperatori d'Austria e si costituisce la Confederazione del Reno (luglio 1806): gli Stati tedeschi vassalli della Francia che ne fanno parte, dalla Baviera alla Vestfalia, dal Württemberg alla Sassonia, attuano riforme interne a imitazione degli ordinamenti napoleonici. Tra i paesi europei rimasti indipendenti, la Prussia è quello che reagisce con maggior vigore all'egemonia napoleonica. Le riforme pongono fine alla servitù della gleba e spezzano i vincoli alla mobilità sociale e alla libertà economica, mentre gli intellettuali sono protagonisti di un movimento patriottico tedesco. Anche i polacchi partecipano intensamente a questo risveglio delle nazionalità. Lo zar Alessandro I si stacca gradualmente dall'alleanza con Napoleone stretta nell'incontro di Tilsit (giugno 1807), pone fine agli esperimenti riformatori e si mette alla testa di un movimento di riscossa nazionale contro l'influenza francese. La «campagna di Russia» (giugno-novembre 1812), intrapresa da Napoleone per punirlo e costringerlo alla resa, si risolve in un immane disastro. Anche in Spagna, frattanto, le cose volgono al peggio per gli occupanti francesi. Il fallimento della «campagna di Russia» porta alla costituzione di una «sesta coalizione», comprendente inizialmente la Russia, la Svezia e la Prussia, poi anche l'Austria di Metternich, oltre naturalmente all'Inghilterra. Napoleone è sconfitto a Lipsia (ottobre 1813), gli Stati vassalli riacquistano la propria libertà e la Francia stessa viene invasa. L'abdicazione di Napoleone (aprile 1814) è seguita immediatamente dalla fine del Regno d'Italia. Dal suo esilio nell'isola d'Elba Napoleone fa improvvisamente ritorno in Francia, dando inizio al periodo detto dei «cento giorni» (marzo-giugno 1815). Subito si forma la «settima coalizione», che gli infligge una decisiva sconfitta a Waterloo (18 giugno 1815). Napoleone è deportato a Sant'Elena, mentre Gioacchino Murat, che ha voluto imitare le sue gesta, è fucilato dai Borboni di Napoli. 26. L'età della Restaurazione Con la Restaurazione si tenta di creare un nuovo ordine politico in Europa, basato sul principio dell'equilibrio fra gli Stati e sul ritorno nei loro troni delle dinastie legittime (principio di legittimità) spodestate durante l'età della Rivoluzione e delle guerre napoleoniche. Artefici di questo nuovo ordine sono i leader delle potenze vincitrici di Napoleone riunitisi nel Congresso di Vienna (novembre 1814-giugno
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