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Riassunti fatti tramite video su YouTube , Schemi e mappe concettuali di Diritto Penale

Riassunti fatti tramite video su YouTube

Tipologia: Schemi e mappe concettuali

2023/2024

Caricato il 06/05/2024

michhhnariiiiiiii
michhhnariiiiiiii 🇮🇹

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Scarica Riassunti fatti tramite video su YouTube e più Schemi e mappe concettuali in PDF di Diritto Penale solo su Docsity! DIRITTO PENALE DOLO COLPITO IN ITINERE DA ERRORE Al tema relativo all’estensione dell’oggetto del dolo è riconducibile la questione del trattamento penale da riservare nei casi di dolo colpito a mezza via da errore. L’ipotesi del dolo colpito a mezza via da errore ricorre quando l’agente pone in essere una condotta “primaria” dolosa con la quale mira alla realizzazione dell’evento dannoso o pericoloso incriminato (ad es. esempio l’omicidio), ma l’evento in realtà si verifica come eetto di una condotta “secondaria” colposa che l’agente ha posto in essere nell’erronea convinzione che l’evento si sia già verificato. Così accade, ad esempio, quando l’omicida strangoli la vittima (condotta dolosa primaria) e, ritenendo erroneamente che la vittima sia deceduta, per liberarsi del corpo lo seppellisce (condotta colposa secondaria), cagionando solo a questo punto l’evento morte. In queste ipotesi dottrina e giurisprudenza si sono sempre interrogate su come sia opportuno qualificare la fattispecie e quale sia il criterio soggettivo (dolo o colpa) a cui fare riferimento. In proposito, si sono registrati 2 orientamenti. In passato, prevalse la tesi del dolus generalis. In base a tale impostazione ogni volta sia dato ravvisare dolo nell’azione primaria, è possibile imputare a titolo di dolo generale anche l’evento derivante dall’azione colposa secondaria. Ciò in quanto l’unica cosa che conta è che l’agente abbia oggettivamente causato l’evento che ha voluto. tale impostazione opera attraverso una fictio iuris che comporta la trasposizione dell’elemento soggettivo della condotta primaria sulla condotta secondaria, senza attribuire alcun rilievo all’errore in executivis. Ciò comporta, una lesione del principio di colpevolezza. In secondo luogo, la tesi in discorso introduce nel nostro sistema una nozione di dolo (generale) che contrasta con la definizione di dolo pacificamente accolta. Abbiamo rilevato supra, che l’oggetto del dolo deve riguardare tanto l’evento consumativo quanto il fatto interamente considerato, incluso il nesso causale. Come si è visto, però, nelle ipotesi di dolo colpito a mezza via da errore la condotta secondaria non è connotata dalla rappresentazione e dalla volontà dell’evento e del nesso causale tipiche del dolo (tornando all’esempio: si voleva seppellire un uomo già morto e non uccidere seppellendolo). Una preferibile e più recente tesi è pervenuta a trattare le ipotesi di dolo colpito a mezza via da errore attraverso una scomposizione dei casi di dolo colpito a mezza via da errore in due “sottofattispecie”: (i) una fattispecie tentata con riferimento alla condotta primaria dolosa; (ii) una fattispecie colposa con riferimento alla condotta secondaria. Occorre accertare che l’agente abbia eettivamente maturato la erronea certezza della verificazione dell’evento. Solo in questo caso l’azione secondaria può essere considerata come sorretta da un comportamento solo colposo e non doloso. Viceversa, qualora il soggetto abbia maturato (non l’erronea certezza ma) solo un dubbio circa la verificazione dell’evento, l’azione secondaria deve ritenersi sorretta (non da colpa, bensì) da dolo alternativo. Con il concetto di dolo alternativo ci si riferisce all’atteggiamento psicologico del soggetto che vuole realizzare due eventi in rerum natura alternativi tra loro (giacché, sul piano naturalistico, la verificazione di uno esclude la verificazione dell’altro), essendo indierente che si verifichi l’uno o l’altro degli eventi voluti. Dunque, se l’agente rimasto nel dubbio circa l’intervenuta morte per strangolamento ha poi posto in essere la sepoltura mosso da tale dubbio, il reo ha in realtà voluto provocare la morte anche tramite la condotta secondaria (essendo indierente per lui che l’evento morte sia conseguente allo strangolamento o alla sepoltura). Ci si trova così in presenza di una fattispecie unitaria connotata da dolo. LA COLPEVOLEZZA CAUSE DI ESCLUSIONE IMPUTABILITÀ Per aversi reato, oltre al fatto materiale, è richiesta l’esistenza di un nesso psichico tra il soggetto agente e l’evento lesivo, occorre cioè l’attribuibilità psicologica del fatto di reato alla volontà dell’agente. Il principio di colpevolezza, è aermato dall’art. 27 della Costituzione che stabilisce che la responsabilità penale è personale, ed è basato su due concezioni: • Concezione psicologica: nesso psichico tra agente e condotta che cagiona l’evento. • Concezione normativa: contrasto tra volontà dell’agente e comando o divieto contenuto nella norma. Ne consegue che l’imputabilità diventa presupposto della colpevolezza e che il non imputabile, non potrà mai essere ritenuto autore di un reato. L’IMPUTABILITA’ Secondo l’art. 85 c.p., è imputabile chi ha la capacità di intendere e di volere nel momento in cui è commesso il reato. Le cause che escludono l’imputabilità sono: • la minore età: fino al compimento del 14esimo anno di età, vi è la presunzione assoluta di assenza di capacità di intendere e di volere, tra i 14 e i 18 anni, non vi è tale presunzione, ma il giudice deve accertare caso per caso l’imputabilità. Il minore non imputabile, viene prosciolto, ma nel caso in cui venga riscontrata la pericolosità sociale, può essere disposto il ricovero presso il riformatorio giudiziario o la libertà vigilata. Il minore di anni 18 ma maggiore di anni 14 è imputabile e quindi soggetto a processo penale. • l'infermità di mente: il vizio di mente deve essere conseguenza di una malattia, di uno stato psicologico che turba la psiche del soggetto. Sotto il profilo cronologico, non occorre che lo stato di infermità sia duraturo, essendo suciente che sussista al momento della commissione del fatto, mentre sotto il profilo causale, vi è la necessità di un nesso di causalità tra la malattia e il reato. Vi è la distinzione tra vizio totale CONFISCA è un istituto che conferisce allo stato il potere di sottrarre il bene al proprietario al fine di rompere il nesso materiale con il reato. 2. Confisca – Misura di sicurezza – Natura preventiva è prevista comemisura di sicurezza patrimoniale, da applicarsi in seguito a condanne penali laddove il bene rappresenti per il reo attrattiva per il proseguimento della sua condotta illecita, riconoscendo ad essa natura di prevenzione, che mantiene la sua ecacia anche quando il reato, per qualsiasi causa, dovesse estinguersi. Il bene ablato deve avere strettissimo legame con il reato, tant’è che viene definita confisca diretta e le ipotesi sono disciplinate all’art.240 cp. In quanto misura di sicurezza, essa è sottoposta alla relativa disciplina, ovvero principio di legalità e giurisdizione e regime del tempus regit actum quindi applicazione sfavorevole retroattiva a dierenza della disciplina della pena con irretroattività sfavorevole. 4. Confisca per equivalente– Misura Sanzionatoria – Natura Repressiva Il nostro ordinamento disciplina anche la confisca per equivalente, ovvero l’ipotesi, sussidiaria alla confisca diretta, in cui lo Stato ricorre al potere ablativo esercitandolo sul valore delle cose nella disponibilità del reo. Non a caso si parla di anche di confisca di valore e/o confisca indiretta ad evidenziare che non c’è in questo caso quello stretto nesso di pertinenzialità tra la cosa e il reato. l’assenza dello stretto legame nel senso di cui sopra, ne ha posto in discussione la natura preventiva di misura di sicurezza, al punto tale che la giurisprudenza maggioritaria la qualifica come misura sanzionatoria ovvero repressiva con conseguente applicazione della disciplina della pena ( irretroattività sfavorevole della norma sopravvenuta). A tanto i giudici sono giunti per eetto di un risalente pronunciamento della Corte Europea dei Diritti Dell’Uomo, la quale ha ritenuto che allorquando la confisca colpisca beni diversi da quelli strettamente legati al reato, dovesse escludersi la natura preventiva, tipica delle misure di sicurezza, dovendosi, al contrario, riconoscersi natura sanzionatoria con carattere aittivo (repressivo) tipico della pena sottoposta pertanto alla relativa disciplina. 5 Confisca Allargata e Confisca di prevenzione Il sistema normativo prevede anche la confisca allargata, ovvero quella misura per cui lo stato ricorre al potere ablativo sulle somme e/o cose delle quali il soggetto non sia in grado di giustificarne la provenienza atteso il suo reddito e/o la sua condizione economica. Anche in merito a codesto istituto si discute circa la sua natura, ovvero se misura di sicurezza o misura repressiva. la disputa nasceva poiché si è equiparata la confisca allargata alla confisca di prevenzione confluita nel codice antimafia, ritenuta da una Cassazione risalente, misura sanzionatoria, slegata dall’accertamento circa la pericolosità sociale del reo, occorrendo solo il requisito materiale della sproporzione. Successivamente la Cassazione nel 2015 con orientamento ormai consolidato ha confermato la natura preventiva (ante delictum) della misura incentrata proprio sulla pericolosità sociale, che costituisce la misura temporale dell’ablazione del preposto, e quindi idonea ad interrompere l’attrattiva con il reato. In altre parole è proprio la pericolosità sociale del preposto, che anticipando, la valutazione, induce alla misura in parola al fine di evitare che questi compia il delitto. Confisca Urbanistica Infine ulteriore oggetto di discussione pretorio è dato dalla confisca urbanistica prevista dall’art.44 del DPR 380/2001. La disposizione citata prevede la confisca dei terreni abusivamente lottizzati e delle opere ivi realizzate allorché intervenga una sentenza definitiva che accerti la lottizzazione abusiva. Invero per i giudici nazionali la misura ha natura amministrativa la cui applicazione prescinde dal requisito della colpevolezza. Sul punto è intervenuta la Corte Europea che ha ritenuto la misura di natura aittiva, con la conseguenza che l’interpretazione della Cassazione si poneva in evidente contrasto con l’art.7 della Convenzione Europea dei Diritti dell’Uomo che richiede la necessaria colpevolezza dell’imputato. I giudici italiani per adeguarsi a tale pronuncia sono ricorsi all’applicazione dell’art 3 della legge 689/81 che anche per le sanzioni amministrative richiede l’accertamento della colpevolezza. In sostanza confermano la natura amministrativa della misura pur riconoscendo che occorre accertare la colpevolezza dell’imputato. L’istituto in parola è stato oggetto di interventi successivi negli anni della Corte Europea, la quale ha precisato che la sua applicazione è subordinata all’accertamento soggettivo e oggettivo del reato, sia pure prescritto, in un processo ove sia presente la parte che sia posta in grado di difendersi e sempre che il provvedimento di condanna sia proporzionalmente idoneo rispetto al reato. ERRORE SUL FATTO E SUL PRECETTO Errore sul precetto nel codice penale L’errore sul precetto può trarre origine: • direttamente, dall’ignoranza o dall’erronea interpretazione della stessa legge penale (es. musulmano che vuole contrarre un secondo matrimonio senza sapere che è vietato). • indirettamente, dall’ignoranza o dall’erronea interpretazione della legge extrapenale richiamata dalla norma penale: • se tale errore resta un errore sul precetto si applica l’art. 5. • se tale errore si traduce in un errore sul fatto è scusabile (art. 47 co. 3): • nei reati dolosi, anche se evitabile (propensione garantista). • nei reati colposi, solo se inevitabile. Errore sul fatto nel codice penale L’errore sul fatto può essere determinato: 1. da un errore di fatto, cioè dalla mancata o imperfetta percezione (o valutazione) di un dato della realtà naturalistica. 2. da un errore sulla legge extrapenale richiamata, come aerma lo stesso art. 47 co. 3. 3. da un errore sulla legge penale o su una norma extragiuridica richiamate. Quanto alla disciplina, in conformità al principio della responsabilità personale, l’art. 47 co. 1 dispone che l’errore sul fatto che costituisce il reato esclude la punibilità dell’agente. Nondimeno, se si tratta di errore determinato da colpa, la punibilità non è esclusa quando il fatto è preveduto dalla legge come delitto colposo . Tale disciplina viene specificamente ribadita per l’errore sugli elementi negativi dall’art. 59 co. 4. Dalla combinazione di questi due articoli, si ricava che l’errore sul fatto, derivante da errore di fatto: • esclude sempre e necessariamente il dolo, in quanto l’agente si è rappresentato ed ha voluto un fatto diverso da quello previsto dalla norma penale. • esclude la colpa se risulta essere incolpevole o scusabile, ossia se nessun rimprovero possa essere mossa all’agente. • non esclude la colpa se risulta essere colpevole o inescusabile, ossia se, essendo dovuto a impudenza, negligenza o imperizia, era evitabile osservando le dovute regole cautelar Le cause di esclusione della colpevolezza costituiscono circostanze che impediscono la possibilità di muovere un rimprovero all’autore per un fatto obiettivamente illecito e non scriminato. Tra le cause di esclusione di colpevolezza rileva tutta tutta la materia dell’errore, intesa quale falsa conoscenza della realtà, naturalistica o normativa.in tale ipotesi il soggetto nella fase di formazione della volontà o per la percezione errata di un dato materiale o per ignoranza o errata interpretazione di una norma Ritiene per eetto dell’errore di porre in essere un fatto diverso o identico rispetto a quello previsto come illecito. Si è detto che l’errore può essere dovuto a una valutazione errata di un dato materiale o ad ignoranza o interpretazione errata di una norma, ma ciò che è decisivo per distinguere le ipotesi di errore è l’oggetto finale dell’errore quindi lo stato psicologico terminale. Ed è proprio qui che distinguiamo errore sul progetto penale ed errore sul fatto: Ovviamente non potranno essere scriminante delle condotte postume. Altro requisito per aversi legittima difesa e l’oesa ingiusta.che cosa si intende, l’oesa è ingiusta che deriva da una condotta che viola quelle norme poste a tutela degli interessi giuridici fondamentali che vengono tutelati dal legislatore perché proprio particolarmente rilevanti. E quindi deve essere un’oesa al di fuori di qualsiasi norma che la impugna o lo autorizzi. Altro elemento per aversi legittima difesa è la condotta difensiva, la condotta difensiva che deve essere costituita da particolari elementi.innanzitutto deve sussistere la necessità di difendersi e necessario che la vittima per difendersi non avesse altre possibilità se non reagire contro l’aggressione.ovviamente tale requisito potrà essere considerato rilevante ai fini della legittima difesa solo come estrema ratio, cioè solo laddove il soggetto che subisce l’aggressione non abbia alcun modo per sottrarsi da essa, se non attraverso unulteriore condotta aggressiva.quindi in primis va sempre preferita la fuga o comunque una condotta meno aggressiva per sottrarsi alla oesa ingiusta che si sta subendo. Un altro elemento per aversi legittima difesa come abbiamo già detto è una necessità che vi sia una proporzione tra l’oesa e la difesa.quindi è necessario che vi sia un rapporto di proporzionalità che deve esistere ai fini della legittima difesa, tra la condotta aggressiva e la condotta oensiva.il pensiero oggi dominante è che questa proporzione può essere frutto dell’analisi del bilanciamento degli interessi in gioco, quindi andrà da sé che il bene vita o comunque integrità fisica sarà sempre superiore a quello che possa essere un interesse di natura patrimoniale.quindi se esempio che sta subendo un furto nella mia abitazione, laddove il ladro non sia armato e comunque non mostri di avere interesse nei miei confronti nell’aggressione fisica, va da sé che se una volta scoperto si dà alla fuga io non potrò per tutelare quello che è il mio interesse patrimoniale, ledere l’integrità fisica del ladro.soprattutto non potrà uccidere il ladro, potrò cercare di fermarlo potrò chiamare le forze dell’ordine ma sicuramente non potrò ucciderlo. LEGITTIMA DIFESA DOMICILIARE Su tale impianto normativo hanno due importanti interventi del Legislatore: • con la legge n. 59/2006, infatti, è stata introdotta nel nostro ordinamento la peculiare figura della c.d. legittima difesa domiciliare, inserita nel secondo comma dell’art. 52 c.p. e che trova applicazione allorquando l’oesa abbia avuto luogo nel domicilio, dimora od esercizio commerciale del soggetto chiamato a difendersi, e successivamente • con legge n. 36/2019 è stato inserito, sempre nel quarto comma, l’avverbio “sempre”. Dal combinato disposto di queste due riforme, emerge che non sarà sanzionabile penalmente il soggetto che reagisca, anche con armi legittimamente detenute, all’introduzione indebita nel proprio domicilio o luogo di attività professionale, suscitando non pochi dubbi interpretativi sulla portata eettiva di questa nuova particolare scriminante. La legittima difesa domiciliare presuppone sempre che ci si trovi in uno dei casi previsti dall’articolo 614 comma uno e due del codice penale. Quindi chi si introduce nell’abitazione altrui o in un altro luogo di privata dimora contro la volontà espressa o tacita di chi ha il diritto di escluderlo o chi vi introduce clandestinamente o con con l’inganno: è punito con la reclusione da uno a quattro anni. Alla stessa pena soggiace chi si trattiene nei detti luoghi contro l’espressa volontà di chi ha il diritto di escluderlo ovvero si trattiene clandestinamente o con inganno. Presupposto base della difesa legittima domiciliare è la violazione di domicilio o luogo di dimora e sono assimilati altresì luoghi di esercizio attività commerciali e simili. Bisogna distinguere due diverse fattispecie simili ma diverse tra loro. La prima è quella dell’intrusione senza violenza o minaccia con armi proprie o improprie. La seconda fattispecie è l’intrusione con violenza o minaccia con armi proprie o improprie . Cerchiamo di capire il significato di queste due fattispecie concreto e poi qual è la rispettiva disciplina e la dierenza dell’una e l’altra e in tutto ciò poi abbiamo mentalmente definito legittimi difesa domiciliare la prima ipotesi di cui abbiamo parlato è disciplinata dall’articolo 52 secondo comma del codice penale e fondamentalmente sancisce una presunzione di proporzionalità condotta difensiva e condotta aggressiva quando quando la Persona si trova all’interno dell’abitazione usa un’arma per difendere la propria o incolumità o l’altro incolumità fra di chi è presente nel luogo di privata di dimora ovvero per difendere diritti di natura patrimoniale ma questo rapporto di proporzione è diciamo la scriminante ci dice l’articolo 52 integrata solo se non vi è desistenza da parte dell’intruso di colui che si è introdotto e l’altrui privata di moro vi si entra trattenuto Clandestinamente con l’inganno e via quindi pericolo di aggressione. INTRUSIONE SENZA USO DI ARMI: L’aggressore compie violazione di domicilio senza uso di armi Il dipendente ha diritto di trovarsi nel luogo di privata dimora Violato Difendente usa arma detenuta legittimamente, però presupposto è che debba essere legittimamente detenuta. È necessario che l aggressore non abbia desistito dalla propria condotta, quindi che la condotta difensiva si rivela inevitabile. Per questo l art 52 sancisce una presunzione di proporzionalità tra condotta difensiva ed oesa ingiusta. Pericolo attuale non desistenza aggressore La condotta difensiva deve rivelarsi inevitabile. Esempio senza uso di armi Caio vive in una villetta, al piano terra è stata lasciata una finestra aperta e tizio si introduce clandestinamente con l’intento di rubare ogni bene di valore.sentendo strani rumori Caio scende al piano terra e si trova davanti Tizio che è privo di armi. Caio prende da un comodino la pistola legittimamente detenuta e intima a tizio di allontanarsi ma tizio non desiste per cui Caio gli spara ferendolo gravemente. In questo caso la condotta di Caio era inevitabile e l’arma era legittimamente detenuta e si trovava in una situazione di pericolo attuale perciò Io potrei invocare la scriminante della legittima difesa a domiciliare poiché ricorrono i presupposti dell’articolo 52 comma due. Al contrario un’altra esempio: Caio vive con la famiglia in villetta lascia la finestra del soggiorno è aperta e si introduce tizio clandestinamente con l’intento di rubare ogni bene di valore.sentendo strani rumori Caio scende al piano terra e si trova dinanzi a Tizio che è privo di armi.Tizio spaventato fugge uscendo dalla finestra del soggiorno mentre Tizio fugge però Caio impugna la pistola gli spara e lo ferisce gravemente. in questo caso caio quando ha sparato non si trovava in una situazione di pericolo attuale poiché Tizio era già sfuggito dalla dalla finestra quindi la condotta difensiva di gaio era evitabile. Perciò la presunzione di proporzione dell’articolo articolo 52 non può essere invocata in questo caso specifico. Esempio con intrusione con uso di armi Caio vive con la famiglia in una villetta al piano terra la finestra del soggiorno è stata lasciata. tizio si introduce clandestinamente passando per la finestra con l’intento di rubare ogni bene di valore.sentendo strani rumori Caio scende al piano terra e si trova dinanzi a tizio che gli punta una pistola.Caio fugge in un’altra stanza dove impugna la pistola legittimamente detenuta e vedendo avvicinarsi tizio che lo minaccia con l’arma gli spara e lo ferisce gravemente. In questo caso Caio potrà invocare la difesa legittima domiciliare poiché aveva il diritto di trovarsi nella villetta poiché Tizio compie una vera e propria violazione di domicilio con uso di armi, e Caio si è trovato in una situazione di pericolo attuale quindi la condotta difensiva di Caio era inevitabile e l’arma legittimamente detenuta. attiva della disciplina della legge temporanea o eccezionale anche se meno favorevole al reo. DIVIETO DI ANALOGIA Innanzitutto possiamo dire che il divieto di analogia rientra tra i principi chiave del diritto penale quindi anche tra il principio di legalità e i suoi corollari riserva di legge tassatività e irretroattività della legge penale. Il divieto di analogia è previsto dall’articolo 14 delle preleggi per cui le leggi penali e quelle che fanno eccezioni a regole generali o altre leggi non si applicano oltre i casi e i tempi in esse considerati. Il fondamento normativo del divieto di analogia in materia penale lo ritroviamo Nell’articolo 25 della costituzione, nell’articolo uno e 199 del codice penale.norme che sappiamo sancire il basilare principio di legalità che riassumiamo nell’assioma nullum Crimen nulla pena sine legis, cioè nessuno può essere punito per un fatto concreto che non è previsto dalla legge come reato. L’analogia innanzitutto è quel processo nel quale Il giudice può applicare una determinata norma per ipotesi ora concedere una norma incriminatrice a un fatto umano anche se quel fatto non è espressamente preso dalla legge . Cosa comporterebbe l’analogia nel diritto penale innanzitutto comporterebbe una violazione del principio di legalità perché con l’analogia è possibile punire qualcuno per un fatto che non è espressamente previsto dalla legge come reato. Verrebbero poi colmati i vuoti le lacune lasciate dal legislatore e legittimerebbe l’attività integrativa e creativa del giudice nella previsione di fattispecie di reato non contemplate dalla legge. Quindi il divieto di analogia garantisce i consociati da eventuali abusi del potere giudiziario Per quanto riguarda la natura del divieto di analogia ci si chiede se questa abbia natura assoluta assoluta o relativa . Nel caso di divieto assoluto di analogia questo coprirà sia l’analogia in malam partem che in bonam partem. Se invece si ritiene che abbia carattere relativo questa coprirà solo l’analogia in malam partem. La dottrina e la giurisprudenza prevalenti ormai sono arrivati al al punto di qualificare il divieto di analogia solo dal punto di vista relativo. L’analogia in malam partem ricorre quando la norma che viene applicata all’imputato analogicamente è sfavorevole al reo. Es. tizio viene giudicato responsabile per un fatto non previsto espressamente dalla norma ma solo simile al fatto tipico. L’analogia in bonam partem invece ricorre quando la norma che viene applicata all’imputato analogicamente è favorevole al reo. Esempio quando viene applicata in via analogica all’imputato una norma che prevede una data causa di non punibilità. Quindi siccome la funzione del divieto di analogia è quella di garantire la sfera di libertà dei consociati contro eventuali abusi del potere giudiziario a questo punto troviamo che l’analogia in bonam partem non comporta alcun problema di abusi del potere giudiziario che possano pregiudicare la sfera della libertà dei consociati; Mentre l’analogia in malam partem mette a rischio la sfera della libertà dei consociati per possibili abusi del potere giudiziario. USO LEGITTIMODI ARMI Esempio siamo alla guida della nostra autovettura, per distrazione non non ci accorgiamo della presenza di un posto di blocco della polizia che ci intima di fermarci. noi non ci fermiamo, e uno degli agenti di polizia spara contro la nostra auto autovettura, nonostante la nostra condotta non abbia prodotto alcun pericolo per la vita o incolumità fisica di nessuno Ovviamente la condotta dell’agente di polizia è assolutamente illegittima poiché se fosse consentita agli agenti di polizia l’utilizzo indiscriminato di armi ci troveremo a vivere in uno stato di polizia La scriminante dell’uso legittimo delle armi ha proprio la funzione di definire limiti entro i quali l’uso delle armi da parte di un pubblico uciale è ammesso e legittimo . Ci sono tre tipi di natura della scriminante Una scriminante comune; soggettivamente propria; sussidiaria ed integrativa . 1. La scriminante comune trova disciplina nell’articolo 53 ed è quindi potenzialmente applicabile a ogni tipologia di reato rendendo il fatto tipico non antigiuridico. 2. La scriminante soggettivamente propria si applica solo ai pubblici uciali che al fine di adempiere un dovere del proprio ucio, fanno uso , ovvero ordinano di far uso delle armi o di un altro mezzo di equazione fisica. Questo però vale non per tutti i pubblici uciali ma solo quelli che istituzionalmente e per legge hanno in dotazione armi o altri mezzi di coazione fisica. In particolare il riferimento è a quei pubblici uciali per i quali è istituzionalmente prevista la possibilità, per la realizzazione dei loro doveri istituzionali, dell’uso della forza. Si parla di uciali, agenti di polizia Ja e agenti arma dei carabinieri della Guardia di Finanza della polizia penitenziaria del corpo forestale dello Stato militare in servizio di pubblica sicurezza eccetera Art 53 Ma ci sono delle esclusioni dei soggetti legittimati ad esempio sono esclusi soggetti incaricati di un pubblico servizio e gli esercenti servizio di pubblica utilità Mentre c’è una particolarità, ovvero una estensione che ci viene riferita all’interno dell’articolo 53 comma secondo per cui possono invocare questa scriminante le persone che, richiesta dal pubblico uciale, gli prestano assistenza. 3. perché scriminante sussidiaria e integrativa. Infatti l’articolo 53 si apre con una clausola di riserva stabilendo che ferme le disposizioni contenute nei due articoli precedenti , e quali sono i due articoli precedenti l’articolo 52 della legittima difesa e l’articolo 51 dell’adempimento di un dovere Questo significa che la fattispecie dell’uso legittima delle armi non ricorre dove sussistano i presupposti della legittima difesa o dell’adempimento di un dovere. Vediamo quali sono gli elementi costitutivi della condotta discriminata in primo luogo abbiamo l’adempimento di un dovere del proprio ucio; la situazione necessitante, la reazione necessitata e il requisito di proporzione . ◦ Per impedimento di un dovere è ammesso l’utilizzo di armi o di altri mezzi di coalizione solo se necessario per il perseguimento di finalità attinenti alle funzioni istituzionalmente assegnate al pubblico uciale o per eliminare un ostacolo all’assolvimento del dovere da adempiere. Evidentemente non è legittimo l’uso delle armi volto all’esercizio di una facoltà ovvero di una finalità estranea all’adempimento del dovere del proprio ucio. ◦ Per situazione necessitante intendiamo la situazione in cui si rende necessario e indispensabile l’uso delle armi per respingere una violenza o a vincere una è integrato il delitto di lesioni personali dolose punito con la pena da sei a tre anni, il reato è gravato dal fatto che le lesioni hanno prodotto la perdita di un organo.viene applicato l’articolo 583 si applica la pena della reclusione da sei a 12 anni. Circostanze comuni Sono circostanze aggravanti o attenuanti che il codice penale prevede in generale che quindi sono potenzialmente applicabili a tutti i reati.l’articolo 61 codice penale prevede le circostanze aggravanti comuni e stabilisce che aggravano il reato quando non ne sono elementi costitutivi o circostanze aggravanti speciali. L’articolo 62 prevede circostanze attenuanti comuni e stabilisce che a attenuano il reato quando non ne sono elementi costitutivi e circostanze aggravanti speciali. Circostanze speciali Circostanze aggravanti o attenuanti previste dalla legge con riferimento a singoli specifici reati ho determinati gruppi di reati. Articolo 583 prevede circostanze aggravanti specifiche per il reato di lesioni dolose. Articolo 311 prevede una circostanza attenuante specifica per tutti reati pre previsti da titolo primo del libro secondo relativo ai delitti contro la personalità dello Stato . AMNISTIA E INDULTO L’amnistia è una causa di estinzione del reato. Detto in parole povere se viene concessa l’amnistia per un determinato reato che avrà commesso proprio quel reato non sarà processato o già c’è stata una condanna non avrà loro esecuzione cioè non ci sarà carcere o altre forme di ispirazione della condanna, e non potranno nemmeno essere in esecuzione le vene accessorie . L’indulto invece è una causa di estinzione della pena, incide sulla pena, a dierenza dell’amnistia che invece incide sul reato. il reato in sostanza continuerà a sussistere ma verranno meno gli eetti del reato per adire le pene principali. questo nei casi più favorevoli, in altri casi invece con l’indulto le pene potrebbero essere semplicemente commutate e quindi non sparire del tutto e mi riferisco alle pene principali perché l’indulto non fa estinguere le pene accessorie. Per esempio nel caso di guida in stato di ebrezza verrebbero meno l’arresto e l’ammenda però rimarrà la sospensione della patente e la confisca del veicolo. Come abbiamo detto detto l’amnistia incide direttamente sul reato e abbiamo visto che sarà come se non fosse mai stato commesso mentre mentre l’indulto incide sulla pena il reato quindi continuerà sussistere con l’amnistia, quindi lo Stato rinuncia a punire un certo reato mentre con l’indulto rinuncia ad eseguire una pena. L’indulto poi può essere revocato e questo a caso con i casi previsti dalla legge che lo dispone o per esempio se il beneficiario commette un altro delitto non colposo nel termine di cinque anni dall’applicazione. Chi concede l’amnistia e l’indulto? Sono concesse dalla legge quindi è solo il parlamento e non il governo che può decidere se concedere o meno questi due benefici.tra l’altro il procedimento per l’adozione di amnistia indulto necessita di una maggioranza qualificata dei due terzi componenti di ciascuna delle due camere e voglio anche ricordare Che l’amnesia è rinunciabile da farsi di chi è potenzialmente un beneficiario del provvedimento. le ragioni di questa scelta sono molto chiare se io mi avvolgo dell’amnistia non posso dimostrare di essere innocente quindi se ritengo di essere innocente e voglio rischiare per dimostrarlo facendo il processo sono libero di farlo con una dichiarazione espressa. Chi non può beneficiare di amnesia e indulto Ci sono delle situazioni particolari in cui anche se viene messa una legge di ammessi adulto si potrebbe non rientrare nel raggio di applicazione di questi benefici. innanzitutto è bene sapere che l’amnistia e indulto possono essere sottoposti a condizioni e obblighi, quindi se non si verificano le condizioni o non si adempiono agli obblighi Pur se potenzialmente beneficiari del provvedimento, esso non si realizzerà mai. inoltre non possono beneficiare di questi istituti recidivi aggravati e reiterati, i delinquenti abituali o professionali o i delinquenti per tendenza questo vero a meno che la legge con cui viene disposta l amnistia non preveda diversamente. Una cosa curiosa che riguarda la sola amnistia è che la stessa fa riferimento al reati che si sono realizzati prima della presentazione del disegno di legge e non dalla sua approvazione cioè reati commessi fino a quando il disegno di legge non viene portato alle camere per la sua discussione. MISURE DI SICUREZZA Le misure di sicurezza, costituiscono un importante innovazione introdotta dal Codice Rocco nel 1993 predisponendoli come: mezzi posti a difesa dell’ordinamento contro il pericolo che determinate persone possano commettere dei reati; la loro coesistenza attraverso l’aancamento alle pene ha dato vita, nel nostro ordinamento al sistema sanzionatorio del doppio binario, il quale, da un lato mira a sanzionare il soggetto mediante l’applicazione di una pena proporzionata alla gravità del reato commesso, dall’altro lato, invece, previene la pericolosità sociale. Esse incidono sulla libertà personale rivolgendosi sia a soggetti imputabili o semimputabili pericolosi che a soggetti non imputabili pericolosi, che abbiano commesso un delitto o un quasi delitto (artt. 49 e 115 c.p.) e sono disciplinate dagli artt. 199 e ss. del c.p.: in particolar modo l’art. 199 esprime il principio di legalità delle m.s. stabilendo che “nessuno può essere sottoposto a misura di sicurezza che non siano espressamente previste dalla legge”, tra l’altro, lo stesso principio trova riconoscimento normativo anche nell’art. 25 co.3 Cost. secondo il quale “nessuno può essere sottoposto a misure di sicurezza se non nei casi espressamente preveduti dalla legge”. Il legislatore prevedendo all’interno del nostro codice penale l’aancamento delle misure di sicurezza alle pene ha voluto così raddoppiare le potenzialità repressive del sistema. PRESUPPOSTI I presupposti che devono sussistere per l’applicazione delle misure sono due: uno di carattere oggettivo e l’altro soggettivo. Il presupposto oggettivo è che sia stato commesso un fatto preveduto dalla legge come reato o come quasi-reato ( quest’ultimo ricomprende le figure del reato impossibile e dell’accordo per commettere un reato). Il presupposto soggettivo consiste nella pericolosità sociale del soggetto agente, a tal proposito una persona viene definita socialmente pericolosa quando vi è una possibile probabilità che la stessa commetta in futuro dei nuovi reati, a tal riguardo, il nostro codice prevede e distingue tre tipologie di delinquenti socialmente pericolosi: – il delinquente abituale, cioè colui che dopo essere stato condannato per due delitti non colposi, riporta un’altra condanna per delitto non colposo; – il delinquente professionale, colui che vive abitualmente dei proventi derivanti dal reato; – il delinquente per tendenza, colui che commette un delitto non colposo contro la vita o contro l’incolumità individuale, quando la commissione di tale delitto riveli una speciale inclinazione al delitto. In origine la pericolosità sociale dovrà essere accertata dal giudice ma poteva essere anche presunta dalla legge; ad oggi la situazione è cambiata in quanto non sono più previste ipotesi di pericolosità sociale presunta, deve essere accertata in concreto dal giudice valutando la gravità del reato commesso e la capacità delinquere del reo. La durata della misura di sicurezza è sottoposta ad un limite minimo e non massimo dovendosi protrarre finché permane la pericolosità del reo. TIPOLOGIE DI MISURE DI SICUREZZA Ai sensi dell’art. 215 c.p. le misure di sicurezza si distinguono in personali che a loro volta si dierenziano in detentive e non detentive, e patrimoniali, che incidono sul patrimonio. 
Le misure di sicurezza personali detentive sono: CAUSE ESTINTIVE DEL REATO E DELLA PENA (oblazione, prescrizione) cause di estinzione del reato : 1.morte del reo prima della condanna, 2.amnistia, 3.remissione di querela, 4.prescrizione, 5.oblazione nelle contravvenzioni, 6.sospensione condizionale della pena 7.perdono giudiziale. Cause estinzione della pena: 1.morte del reo dopo la condanna, 2.prescrizione della pena, 3.indulto, 4.grazia, 5.liberazione condizionale, 6.riabilitazione, 7.non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale. Sospensione condizionale della pena L’istituto della sospensione condizionale della pena è previsto dall’art. 163 c.p. il quale dispone che nel pronunciare sentenza di condanna alla reclusione o all’arresto per un tempo non superiore a due anni, ovvero a pena pecuniaria che, sola o congiunta alla pena detentiva, sia equivalente ad una pena privativa della libertà personale per un tempo non superiore, nel complesso, a due anni, il giudice può ordinare che l’esecuzione della pena rimanga sospesa per un determinato lasso di tempo che dipende dal tipo di reato commesso.
Nello specifico, il termine resta sospeso:
– per cinque anni in caso di condanna per delitto;
– per due anni in caso di condanna per contravvenzione;
– per un anno, qualora la pena inflitta non sia superiore ad un anno, ove prima della sentenza di primo grado sia stato riparato interamente il danno, o il colpevole si sia adoperato spontaneamente ed ecacemente per eliminare le conseguenze negative del reato.
Questo istituto non può essere concesso a chi ha riportato una precedente condanna a pena detentiva per delitto, anche se è intervenuta la riabilitazione, né al delinquente o contravventore abituale o professionale o a persona che la legge presume socialmente pericolosa.
Ai sensi dell’art. 168 c.p., la sospensione è revocata di diritto “qualora, nei termini stabiliti, il condannato: 1. commetta un delitto o una contravvenzione della stessa indole, per cui venga inflitta una pena detentiva, o non adempia agli obblighi impostigli; 2. riporti un’altra condanna per delitto anteriormente commesso a pena che, cumultta a quella precedentemente sospesa, supera i limiti stabiliti dall’art. 163″.
A norma dell’art. 167 c.p. “se, nei termini stabiliti, il condannato non commette un delitto, ovvero una contravvenzione della stessa indole, e adempie gli obblighi impostigli, il reato è estinto“.
Un’importante recente sentenza delle Sezioni Unite della Suprema Corte ha, inoltre, sancito che “la subordinazione della concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena all’adempimento dell’obbligo di risarcimento del danno in favore della parte lesa richiede che il giudice abbia determinato con precisione il “quantum” dello stesso, non essendo suciente a tal fine la pronuncia di condanna in forma solo generica” Morte del reo prima della condanna Ai sensi dell’art. 150 c.p. “la morte del reo avvenuta prima della condanna estingue il reato“. Questo implica che subentrerà una impossibilità di accertamento della colpevolezza dell’imputato, pur rimanendo invariate le obbligazioni civili derivanti dal reato, che faranno capo agli eredi.
Una recente sentenza della Corte di Cassazione ha stabilito anche un importante principio secondo il quale “in caso di inammissibilità del ricorso per Cassazione proposto dal pubblico ministero avverso la sentenza assolutoria, il proscioglimento nel merito prevale sulla estinzione del reato per morte sopravvenuta dell’imputato, sia per il valore prioritario da attribuire alla presunzione di non colpevolezza ex art. 27, comma secondo, Cost., sia perché alla dichiarazione della predetta causa estintiva non conseguono eetti liberatori, quanto alle obbligazioni civili derivanti dal reato” (Cass. sent. n. 3497/2022).
 Amnistia propria Ai sensi dell’art. 151 c.p. “l’amnistia estingue il reato, e, se vi è stata condanna, fa cessare l’esecuzione della condanna e le pene accessorie.
Nel concorso di più reati, l’amnistia si applica ai singoli reati per i quali è conceduta.
La estinzione del reato per eetto dell’amnistia è limitata ai reati commessi fino a tutto il giorno precedente la data del decreto, salvo che questo stabilisca una data diversa.
L’amnistia può essere sottoposta a condizioni o ad obblighi.
L’amnistia non si applica ai recidivi, nei casi preveduti dai capoversi dell’articolo 99, né ai delinquenti abituali, o professionali o per tendenza, salvo che il decreto disponga diversamente“.
La dierenza con l’indulto (istituto spesso aancato all’amnistia) risiede nel fatto che questo non estingue il reato, bensì solo la pena.
Ai sensi dell’art. 79 Cost. “l’amnistia e l’indulto sono concessi con legge deliberata a maggioranza dei due terzi dei componenti di ciascuna Camera, in ogni suo articolo e nella votazione finale.
La legge che concede l’amnistia o l’indulto stabilisce il termine per la loro applicazione.
In ogni caso, l’amnistia e l’indulto non possono applicarsi ai reati commessi successivamente alla presentazione del disegno di legge“.
Gli eetti dell’amnistia sono, quindi, da ricondursi al venir meno della possibilità di infliggere qualsiasi tipo di sanzione per eetto dell’estinzione del relativo reato.
Inoltre, in seguito alla sentenza n. 175/1971 della Corte Costituzionale con cui è stato dichiarato incostituzionale l’art. 151 c.p. per violazione del diritto di difesa nella parte in cui non si prevedeva la generale possibilità di rinuncia dell’imputato all’applicazione dell’amnistia è possibile scegliere di rinunciare esplicitamente all’amnistia. La prescrizione La prescrizione è un istituto che collega l’estinzione del reato al decorso del tempo: lo Stato aevolisce il suo interesse a punire un soggetto quando sia trascorso troppo tempo dalla commissione del reato, da valutare in base alla gravità dello stesso.
È prevista dall’art. 157 c.p. il quale dispone che “la prescrizione estingue il reato decorso il tempo corrispondente al massimo della pena edittale stabilita dalla legge e comunque un tempo non inferiore a sei anni se si tratta di delitto e quattro anni se si tratta di contravvenzione, ancorché puniti con la sola pena pecuniaria.
Per determinare il tempo necessario a prescrivere si ha riguardo alla pena stabilita dalla legge per il reato consumato o tentato, senza tenere conto della diminuzione per le circostanze attenuanti e dell’aumento per le circostanze aggravanti, salvo che per le aggravanti per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria e per quelle ad eetto speciale, nel qual caso si tiene conto dell’aumento massimo di pena previsto per l’aggravante“.
Sono, comunque, previste due eccezioni a tale regola generale: quando per il reato la legge stabilisce pene diverse da quella detentiva e da quella pecuniaria, il tempo necessario a prescrivere è di tre anni; mentre i termini per prescrivere sono raddoppiati per alcune tipologie di reati, come ad esempio i delitti colposi di danno, omicidio colposo aggravato e plurimo, riduzione o mantenimento in schiavitù o servitù, tratta di persone, etc..
Infine, l’ultimo comma dell’art. 157 c.p. sancisce l’imprescrittibilità dei reati per i quali è prevista la pena dell’ergastolo.
Con la legge c.d. “spazzacorrotti” (l. n. 3/2019) è stata introdotta la sospensione del corso della prescrizione dalla data di pronuncia della sentenza di primo grado (sia di condanna sia di assoluzione) o dal decreto penale di condanna, fino alla data di esecutività della sentenza che definisce il giudizio o alla data di irrevocabilità del decreto penale.
In pratica, la prescrizione si sblocca dopo il primo grado e, solo in caso di condanna, il giudice ha tre anni di tempo complessivamente per definire il procedimento. L’oblazione nelle contravvenzioni Esistono due tipi di oblazione: quella obbligatoria e quella facoltativa.
L’art. 162 c.p. prevede l’estinzione delle contravvenzioni punite con la sola pena dell’ammenda attraverso l’istituto dell’oblazione: “il contravventore è ammesso a pagare, prima dell’apertura del dibattimento, ovvero prima del decreto di condanna, una somma corrispondente alla terza parte del massimo della pena stabilita dalla legge per la violazione commessa, oltre le spese del procedimento. Il pagamento estingue il reato“. Si parla in questo caso di oblazione obbligatoria.
Per quanto riguarda, invece, le contravvenzioni punite alternativamente con la pena dell’arresto o dell’ammenda, ai sensi dell’art. 162-bis c.p. “il contravventore può essere ammesso a pagare, prima dell’apertura del dibattimento, ovvero prima del decreto di L’istituto in esame ricorre pertanto in caso di mancata realizzazione del delitto preso di mira ove, però, gli atti parzialmente posti in essere manifestino l’intenzione criminosa dell’agente. Nello specifico, l’art. 56 c.p., collega l’esistenza del tentativo al mancato compimento dell’azione, ovvero alla non verificazione dell’evento delittuoso. Tale accenno richiama la tradizionale distinzione tra tentativo incompiuto e tentativo compiuto: il primo ricorre nei reati di mera condotta, ove questa non venga realizzata; il secondo attiene ai reati di evento e presuppone la mancata produzione di questo, nonostante il compimento dell’azione. ——————————————————————————————————————————— L’art. 56 del codice penale che disciplina il tentativo statuisce che: chi compie atti diretti in modo non equivoco a commettere un delitto risponde di delitto tentato se l’azione non si compie o l’evento non si verifica.
Analizzando la norma (il primo comma dell’art. 56 c.p.) si possono individuare le seguenti componenti del tentativo:
1) l’intenzione criminosa;
2) l’incompiutezza;
3) l’idoneità degli atti (ovvero della condotta dell’agente);
4) l’univocità degli atti. 1. L’intenzione criminosa.
Dal punto di vista meramente soggettivo (ovvero nell’ottica di colui che agisce) il tentativo esige che via sia piena intenzione di commettere il delitto.
Colui che agisce deve avere come fine ultimo la consumazione del crimine.
La componente soggettiva dell’agente è del tutto sovrapponibile a quella di colui che porta a termine l’azione criminosa.
Il primo comma dell’art. 56 c.p. non prevede alcuna volontà specifica e propria del tentativo; la volontà è quella di commettere il reato che l’oender ha ideato e progettato.
Bisogna sottolineare che il tentativo non deve essere inquadrato quale forma attenuata del reato perfettamente consumato.
Il tentativo, al contrario, è una forma autonoma e perfetta di reato che si realizza dal combinato disposto dell’art. 56 c.p. (che, come abbiamo visto, disciplina il tentativo) e la norma che prevede il reato consumato (ad esempio: artt. 56 c.p. e 575 c.p. disciplina la figura perfetta del tentativo – art. 56 c.p. – di omicidio volontario – art. 575 c.p. -). 2. l’incompiutezza (ovvero la duplice natura dell’incompiutezza).
Il codice penale prevede due forme di incompiutezza che caratterizzano il tentativo (evidentemente l’incompiutezza – nella sua duplice forma sotto evidenziata – dell’azione criminosa, ovvero la circostanza che la stessa non produca i sui eetti, è il “nocciolo” del tentativo):
– la prima ipotesi prevede che l’azione non si compia (pensiamo sempre al reato di omicidio perpetrato per mezzo di un’arma che si inceppa);
– la seconda ipotesi prevede che l’azione si compia ma l’evento non si verifichi (l’arma spara ed il colpo attinge la vittima in una zona vitale ma il decesso è scongiurato dal pronto intervento dei sanitari). 3. l’idoneità degli atti.
Il giudizio circa l’idoneità della condotta del soggetto a realizzare il crimine consumato deve essere eettuato in concreto.
Ovvero, ogni singola volta in cui sia necessario verificare se una data condotta è punibile a titolo di tentativo, sarà doveroso da parte del Giudice valutare se, nello specifico, quella data condotta posta al vaglio del suo giudizio abbia posto eettivamente in pericolo il diritto protetto dalla norma penale ovvero se – in concreto – quella azione avrebbe potuto raggiungere lo scopo criminoso sanzionato dalla norma.
Ad esempio, la somministrazione di un farmaco potenzialmente innocuo (come l’aspirina) diviene una condotta potenzialmente omicida se l’agente la propina ad un soggetto che sa essere gravemente allergico al principio attivo del medicamento.
Al contrario, non sarà considerata punibile quale tentato omicidio la condotta di colui che, pur animato da intenzioni assassine, esploderà dei colpi di arma da fuoco verso un soggetto talmente distante da essere assolutamente al di là del tiro utile dell’arma utilizzata.
La condotta dell’agente per essere sanzionata a titolo di tentativo (alla luce della richiamata idoneità), quindi, deve essere analizzata in tutti i suoi aspetti concreti ovvero considerando se – valuta ed esaminata ogni evenienza realizzatasi eettivamente – essa sia stata tale da mettere concretamente in pericolo il bene protetto dalla norma incriminatrice. 4. L’univocità degli atti.
Finché l’atto esterno (ovvero la condotta dell’agente) è tale da poter condurre sia alla commissione del reato sia ad una condotta del tutto lecita, difetterà l’ulteriore requisito del tentativo della univocità.
L’univocità è una caratteristica (e come tale deve essere analizzata e giudicata) oggettiva della condotta.
Saranno ritenuti idonei a formare il tentativo solo quegli atti che – analizzati nel contesto in cui sono inseriti – possiedono l’attitudine a denotare il proposito criminoso obbiettivo dell’agente.
L’azione sarà ritenuta univoca solo quando è giunta ad uno stadio tale da far ritenere ad un osservatore esterno che il fine ultimo a cui è diretta è la commissione di un reato essendo assolutamente improbabile che l’agente la interrompa volontariamente o la “indirizzi” verso un fine non illecito. Dal punto di vista sanzionatorio, il tentativo prevede che la pena sia quella del reato consumato diminuita da un terzo a due terzi.
Nel caso di reati punti con l’ergastolo, con una pena non inferiore a dodici anni. ——————————————————————————————————————————— DESISTENZA E RECESSO ATTIVO La desistenza ed il recesso attivo.
Come visto, il tentativo – dal punto di vista dell’agente – prevede che lo stesso abbia l’intenzione di consumare perfettamente il reato e che ciò non avvenga (perchè l’evento non si verifica o l’azione non si compie) per motivi che non dipendono dalla volontà di chi agisce (che, come detto, al contrario, desidererebbe anché le conseguenze del reato fossero perfette).
Il codice prevede però – rispettivamente al terzo ed al quarto comma dell’art. 56 – due figure particolari di tentativo nelle quali, in generale, non si verificano le conseguenze del reato per un “ripensamento” dell’agente che interrompe o pone nel nulla la condotta delittuosa fino a qual momento agita. Si tratta delle ipotesi così dette della desistenza e del recesso attivo. La desistenza prevede che l’agente interrompa volontariamente la condotta delittuosa prima che la stessa sfoci nella consumazione del reato ovvero che si siano verificate le conseguenze del crimine. Nel recesso attivo l’oender mette in pratica una “controcondotta” in modo da evitare che si produca l’evento criminale finale (la dierenza con la desistenza è, quindi, che l’agente non si limita ad sospendere la sua attività ma ne pone in essere una successiva atta a porre nel nulla quella fino a quel momento agita che avrebbe portato alla consumazione del reato). Nel tentativo “normale” gli eetti nefasti ed illeciti del reato non si perfezionano e non giungono a compimento per cause esterne ed estranee alla volontà dell’agente (che ha in animo la consumazione del reato); mentre nelle due figure appena viste (con maggiore forza logica e pratica nel recesso attivo) il reato non si verifica poiché così desidera il soggetto.
Desistenza e recesso attivo sono due istituti assolutamente premiale poiché il Legislatore in entrambi i casi prevede una risposta sanzionatoria oltremodo vantaggiosa:
– nel caso di desistenza il soggetto agente risponderà solo se e per gli atti compiuti qualora gli stessi siano da soli considerati reato;
– nel caso di recesso attivo il reo risponderà per la pena prevista per il delitto consumato diminuita in misura maggiore rispetto alla figura “base” di tentativo (ovvero da due terzi alla metà rispetto alla pena per il reato consumato). LIBERAZIONE CONDIZIONALE La liberazione condizionale è l'antesignana delle misure alternative alla detenzione. E’ prevista dall’art. 176 del codice penale e può essere concessa dal Tribunale di Sorveglianza qualora il condannato, nel periodo trascorso in carcere, abbia tenuto un comportamento tale “da far ritenere sicuro il suo ravvedimento”. Dovrà inoltre aver scontato in carcere almeno trenta mesi e comunque, qualora la pena che rimane da scontare sia inferiore a cinque anni, almeno metà della pena. Per i recidivi la pena già scontata deve essere di quattro anni, e non meno di tre quarti del totale. Gli ergastolani devono aver trascorso 26 anni in carcere. E’ necessario inoltre aver adempiuto alle obbligazioni civili derivanti dal reato (risarcimenti, multe o ammende, spese di giustizia). Dall’entrata in vigore della legge di riforma dell’ordinamento penitenziario (la cosiddetta “legge Gozzini”, n. 354/1975) è stata richiesta e applicata sempre meno, sia perché le misure alternative dell’adamento in prova ai servizi sociali, della detenzione domiciliare e della semilibertà sono più articolate e flessibili, sia perché il requisito del “sicuro ravvedimento” è dicilmente verificabile. In taluni casi viene tuttora richiesta per i condannati a lunghe pene detentive. La particolare severità dell'ergastolo ne legittima l'applicazione solo per particolari ipotesi gravissime di delitto. Reclusione La reclusione, disciplinata dall'articolo 23 del codice penale, consiste nella privazione della libertà personale per un determinato periodo di tempo stabilito dal giudice nella sentenza di condanna a seconda del reato commesso. Si tratta, in sostanza, della pena detentiva per i delitti. La norma prevede espressamente che “la pena della reclusione si estende da quindici giorni a ventiquattro anni, ed è scontata in uno degli stabilimenti a ciò destinati, con l’obbligo del lavoro e con l’isolamento notturno. Il condannato alla reclusione, che ha scontato almeno un anno della pena, può essere ammesso al lavoro all’aperto�?. L'esecuzione della reclusione è disciplinata dalla legge sull'ordinamento penitenziario (L. 354/75) che, tra le altre cose, prevede l’esecuzione della pena nelle case di reclusione, l'obbligo del lavoro e l'isolamento notturno. Dierimento della reclusione Sono previste alcune cause di dierimento dell’esecuzione della reclusione. In alcuni casi, come ad esempio in presenza di una donna incinta o che ha partorito da meno di sei mesi, di persona aetta da HIV in casi particolari, il dierimento è obbligatorio. E' invece facoltativo se è stata presentata domanda di grazia, se il soggetto si trova in condizioni di grave infermità fisica e se la donna ha partorito da più di sei mesi e da meno di un anno e non vi è modo di adare il figlio ad altri che alla madre (art. 147 c.p.). Arresto L'arresto è disciplinato dall'articolo 25 del codice penale e rappresenta la pena detentiva per le contravvenzioni. Sulla base di quanto disposto dalla norma, tale pena “si estende da cinque giorni a tre anni, ed è scontata in uno degli stabilimenti a ciò destinati o in sezioni speciali degli stabilimenti di reclusione, con l’obbligo del lavoro e con l’isolamento notturno. Il condannato all’arresto può essere addetti a lavori anche diversi da quelli organizzati nello stabilimento, avuto riguardo alle sue attitudini e alle sue precedenti occupazioni�?. Si dierenzia dalla reclusione riguardo alla disciplina della semilibertà. Multa La multa, disciplinata dall'articolo 24 del codice penale, è la pena pecuniaria prevista per i delitti e “consiste nel pagamento allo Stato di una somma non inferiore a lire diecimila, né superiore a dieci milioni. Per i delitti determinati da motivi di lucro, se la legge stabilisce soltanto la pena della reclusione, il giudice può aggiungere la multa da lire diecimila a lire quattro milioni�?. Si precisa che, a seguito dell'entrata in vigore dell'euro, la multa va da un minimo di 5 euro a un massimo di 5.164 euro. Il giudice ha comunque la possibilità di aumentare o diminuire la misura della multa fino al triplo, se il reo si trovi in particolari condizioni economiche e la misura massima della pena risulti inecace o quella minima troppo gravosa. Ammenda L'ammenda, infine, è la pena pecuniaria previste per le contravvenzioni e trova la sua fonte di disciplina nell'articolo 25 del codice penale. Secondo quanto disposto dalla norma, essa “consiste nel pagamento allo Stato di una somma non inferiore a lire quattromila né superiore a lire due milioni�?. Si precisa che, a seguito dell'entrata in vigore dell'euro, l'ammenda va da 2 euro a 1.032 euro. Anche con riferimento all'ammenda è prevista la possibilità per il giudice di aumentarne e/o diminuirne la misura fino al triplo, in presenza di determinate condizioni economiche del reo e se la misura massima risulti inecace o quella minima troppo gravosa. ART 131 BIS ESCLUSIONE DELLA PUNIBILITÀ PER PARTICOLARE TENUITÀ DEL FATTO La particolare tenuità del fatto disciplinata dall'art. 131-bis c.p. è una causa di non punibilità che risponde alla concezione gradualistica del reato e ai principi di sussidiarietà e di proporzionalità del diritto penale. 1. Nozione e caratteri generali L'istituto della particolare tenuità del fatto è attualmente contemplato nell'art. 131-bis c.p., introdotto dal D.Lgs. 16 marzo 2015, n. 28, che ha inteso delineare una causa di non punibilità rispondente alla concezione gradualistica del reato ed ai principi di sussidiarietà e di proporzionalità del diritto penale. Secondo quanto contemplato dall'originaria formulazione dell'art. 131-bis, comma 1, c.p., riformulato, come vedremo dall’art. 1, comma 1, lett. c), n. 1, D.Lgs. 10 ottobre 2022, n. 150 (c.d. Riforma Cartabia), nei reati per i quali era prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità era esclusa quando, per le modalità della condotta e per l'esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell'art. 133, comma 1, c.p., l'oesa fosse di particolare tenuità e il comportamento non risultasse abituale. Evidente il fondamento giuridico dell'istituto il quale mira ad attuare una deflazione dei carichi giudiziari, nel rispetto dei principi fondamentali di oensività, sussidiarietà e proporzionalità, posto che la norma mira ad escludere la punibilità in ordine a fattispecie che, astrattamente, ben configurano ipotesi di reato ma che, in concreto, sono espressione di un minimo grado di oensività. Si tratta, infatti, di una causa di non punibilità che lascia presupporre la commissione di un reato ma che è legata a valutazioni di opportunità. 2. Ambito di applicazione e presupposti Come accennato, prima della recente riforma, l'istituto trovava applicazione solo qualora fossero stati rispettati alcuni presupposti, tra i quali figurava, innanzitutto, la commissione di un reato per il quale fosse prevista la pena edittale detentiva non superiore, nel massimo, a cinque anni e sempre che non vi fossero elementi incompatibili con la tenuità del fatto, come, ad esempio, il fatto che l'autore avesse agito per motivi abietti o futili, con crudeltà, anche in danno di animali, o avesse adoperato sevizie o avesse approfittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all'età della stessa ovvero quando la condotta avesse cagionato o dalla medesima fossero derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona (art. 131-bis, comma 4). La valutazione circa la particolare tenuità del fatto e, quindi, circa la non punibilità del fatto, è rimessa al potere discrezionale del giudice il quale dovrà verificare se l'oesa possa dirsi particolarmente tenue e se il comportamento sia non abituale. L'istituto trova applicazione solo nei giudizi dinanzi al giudice ordinario, ad esclusione di quelli di competenza del Giudice di Pace penale PRINCIPIO DI LEGALITÀ Il principio di legalità penale Il principio di legalità penale operante nell’ordinamento italiano trova le proprie origini nel pensiero illuminista, e nell’esigenza di vincolare alla legge l’esercizio dei poteri dello stato al fine di evitarne i soprusi. Ratio del principio di legalità Spesso riassunto nella formula latina nullum crimen, nulla poena sine lege, il principio impone che la responsabilità penale possa essere attribuita (e la relativa sanzione irrogata) solo a fronte di condotte che contrastino con una previsione di legge preesistente che le qualifichi come reato. Nel nostro ordinamento si accoglie, dunque, una nozione di legalità formale, perché la definizione di ciò che è reato dipende esclusivamente della legge. In contrapposizione a tale nozione si parla di legalità sostanziale (accolta, ad esempio dagli ordinamenti autoritari) laddove la sanzione penale è irrogata a fronte di condotte socialmente pericolose, anche se non previste dalla legge come reato. Come anticipato, il principio di legalità penale operante nel nostro ordinamento ha una genesi politica ed una funzione di salvaguardia della libertà dell’individuo. Se, da un lato, con il principio di legalità si aerma la prerogativa del Parlamento – organo rappresentativo della società e democraticamente eletto – nella produzione delle norme penali, dall’altro, il principio ha lo scopo precipuo di tutelare la libertà individuale contro tutti i poteri dello Stato, Parlamento incluso (favor libertatis). 2.1 Il principio di legalità penale nella Costituzione e nel Codice Penale Sul piano della meritevolezza dei beni tutelabili e dei limiti che la stessa comporta nel reperimento del bene giuridico si può ravvisare la sicura meritevolezza dei beni costituzionalmente rilevanti, tra i quali si devono distinguere, in base al grado di meritevolezza i beni di rango primario dai beni di rango secondario. Sul piano della sussidiarietà e del bilanciamento delle tutele, il bene tutelato deve rispettare i principi della necessarietà della tutela penale (nel caso di beni giuridici per i quali la tutela extrapenale non è suciente), dandosi per impossibile il trattamento irrogato con sanzione penale amministrativa. Il fondamento del principio di oensività La questione più importante del principio in argomento è la questione del suo fondamento. Nessuna norma, di rango costituzionale oppure ordinario, si rifà allo specifico al concetto di oesa necessaria, come canone di criminalizzazione o di interpretazione. Sembra però realistico che dal senso complessivo delle disposizioni costituzionali fonti di diritto penale si possa ricavare una direttrice di politica criminale. Sul piano più strettamente interpretativo, l’esistenza del principio di oensività, nel nostro ordinamento si ricaverebbe, sul piano costituzionale, dall’articolo 13 della Costituzione, che parla di interesse da salvaguardare attraverso il sacrificio della libertà personale, dall’articolo 25, commi 2 e 3, dall’articolo 27 comma 3 della Costituzione che vieterebbe la strumentalizzazione della persona e i trattamenti contrari alla rieducazione (percezione personale oppure sociale di un’oesa). Chi sostiene il principio di oensività a livello costituzionale ritiene che si possa variamente desumere anche dal sistema delle regole sopra indicate. Come è agevole ricavare, si tratta di assunti deboli dove non discutibili. L’esistenza del principio di oensività (o necessaria lesività), anche se avversata da parte della dottrina, nonostante alcune sempre più esplicite pronunce della Corte Costituzionale nel senso della sua valenza anche a livello costituzionale RECIDIVA 1. Nozione e caratteri generali Si parla di recidiva quando un soggetto, dopo essere stato condannato per un delitto non colposo, ne commette un altro. La disciplina dell'istituto è contenuta all'interno dell'art. 99 c.p. In linea di prima approssimazione, si ha recidiva, quindi, nel caso di “ricaduta” nel reato, ovvero quando il soggetto commette un nuovo reato dopo essere stato condannato per la realizzazione di un altro reato. Il primo presupposto dell’istituto è, appunto, che vi sia stata una precedente condanna per un reato. Anché si possa avere la recidiva non è, però, suciente che il soggetto abbia commesso un precedente reato, ma occorre, altresì, che quest’ultimo sia stato accertato giudizialmente e che la relativa sentenza sia passata in giudicato. Potrà trattarsi anche di una sentenza emessa da un’Autorità straniera (c.d. recidiva internazionale). In questo caso, si ritiene che sia necessario che la sentenza penale straniera sia riconosciuta dall’ordinamento italiano. Tale riconoscimento, secondo parte della dottrina, è necessario per la dichiarazione della recidiva, non potendo ricavarsi la precedente condanna da parte di un ordinamento diverso dal nostro dalla mera iscrizione nel casellario giudiziale della sentenza a titolo informativo anziché costitutivo. La recidiva consiste in una circostanza aggravante ad eetto speciale (in quanto può determinare un aumento di pena superiore ad un terzo) che comporta un più grave trattamento sanzionatorio per chi sia ricaduto nel delitto nonostante una precedente condanna, in quanto il reo non ha dimostrato alcun pentimento e non ha compreso la funzione rieducativa della pena precedentemente inflittagli. Fra le diverse, molteplici, condizioni capaci di favorire la ricaduta nel reato possiamo indicare: • elementi relativi alla personalità del reo; si tratta di tutto quel complesso di fattori relativi alla psiche del soggetto capaci di rendere il medesimo particolarmente vulnerabile agli stimoli provenienti dall’esterno, soprattutto se antisociali, causati, molto spesso, da episodi di violenza adolescenziale o di scarsa educazione; • fattori ambientali; si potrà trattare di tutto ciò che caratterizzi lo spazio nel quale il soggetto svolge la propria vita, come, ad esempio, la famiglia, le condizioni economiche o sociali, i rapporti di amicizia, ecc. Appare del tutto evidente, infatti, come il rientro all’interno di un tale ambiente, dopo l’esperienza, anche positiva, del carcere, possa neutralizzare del tutto i buoni propositi acquisiti in precedenza, facendo riemergere quel sentimento di antisocialità che animava la medesima persona prima che commettesse il reato; • eetti negativi del regime di detenzione; basti pensare alle violenze ed ai soprusi, commessi da detenuti a danni di altri, che possono trovare nel carcere un luogo di proliferazione ed impunità. Senza considerare la notevole possibilità di contatti tra delinquenti, capaci di favorire comportamenti aggressivi nei confronti della società, contribuendo alla crescita di una personalità aggressiva facilmente malleabile, da “menti” più forti, verso una ricaduta nel reato; • dicoltà nel reinserimento sociale; accade frequentemente che la collettività appaia restia, a priori, nel dare fiducia ad una persona che si sappia essersi posta contro il diritto. Si tratta di ostacoli, spesso insormontabili, che comportano un progressivo isolamento dell’ex detenuto, il quale, abbandonato da tutti e privo di opportunità di reinserimento, si ritroverà costretto a ricorrere al delitto, anche al fine di sopperire a dicoltà economiche, di lavoro o di assistenza. 2. La recidiva semplice Si parla di recidiva semplice quando il reo è tornato a delinquere commettendo un delitto non colposo di diversa indole rispetto a quello precedente per il quale era stato condannato. In questo caso è previsto un aumento di pena fino a un terzo della pena da infliggere per il nuovo delitto non colposo. 3. La recidiva aggravata La recidiva aggravata è disciplinata dall'art. 99, comma 2, c.p., e si configura quando il nuovo delitto non colposo è della stessa indole di quello per il quale è già intervenuta la condanna (si parla di recidiva specifica), oppure è stato commesso nei cinque anni dalla condanna precedente (c.d. recidiva infraquinquennale), o ancora è stato commesso durante o dopo l'esecuzione della pena o durante il tempo in cui il condannato si sia sottratto volontariamente all'esecuzione della pena (c.d. recidiva vera). In caso di recidiva aggravata l'aumento della pena è fino alla metà ma, qualora concorrano più circostanze tra quelle di cui sopra, l'aumento è della metà. Si è aermato che l'aumento di pena per la recidiva qualificata, previsto dalla legge sino alla metà, non possa essere determinato in misura inferiore ad un terzo della pena da irrogare (Cass. pen., Sez. III, 21 gennaio 2011, n. 1861). 4. La recidiva reiterata Si parla di recidiva reiterata quando un soggetto, che sia già recidivo, commette un ulteriore delitto non colposo. Nel caso in cui quest'ultimo sia di indole diversa dai precedenti la recidiva è detta recidiva reiterata semplice e l'aumento di pena è della metà, mentre se il nuovo delitto rientra nelle fattispecie previste per la recidiva aggravata, si parla di recidiva reiterata aggravata e l'aumento di pena è di due terzi. REATO ABERRANTE Con l’espressione “aberratio” si denominano quelle ipotesi in cui il soggetto agente realizza, per errore nei mezzi di esecuzione o per altra causa, un reato diverso da quello voluto, o cagiona un’oesa nei confronti di una persona diversa da quella che voleva oendere. Il codice prevede due ipotesi di reato aberrante. l’aberratio ictus art. 82 c.p. e l’aberratio delicti (ex art. 83 c.p.). L’art. 82 c.p. dispone che:” – quando, per errore nell’uso dei mezzi di esecuzione del reato o per altra causa, è cagionata oesa a persona diversa da quella alla quale l’oesa era diretta, il colpevole risponde come se avesse commesso il reato in danno della persona che voleva oendere, salvo, per quanto riguarda le circostanze aggravanti ed attenuanti, le disposizioni di cui all’art. 60 c.p.; qualora oltre alla persona diversa sia oesa anche quella alla quale l’oesa era diretta, il colpevole soggiace alla pena stabilita per il reato più grave, concreta, di circostanze in senso tecnico: nel caso in cui per errore nell’esecuzione sia stato cagionato un evento diverso (ad esempio lesione) accanto all’evento voluto (ad esempio l’uccisione), si applicherà l’art. 83 cpv. (aberratio delicti) e non già l’art. 82 cpv. (aberratio ictus). Se l’evento verificatosi costituisce una progressione naturale e prevedibile di quello voluto o di entità più grave di questo, l’evento maggiore va (secondo la Cassazione n. 3168/89) addebitato all’agente a titolo di dolo, alternativo o eventuale a seconda dei casi. ogniqualvolta si è cagionato l’evento avuto di mira, ma in danno a persona diversa si è in presenza di aberratio ictus, mentre ogni volta che si cagiona un evento diverso da quello voluto si è in presenza di un aberratio delicti. L’evento è diverso, quando non vi è omogeneità tra il bene giuridico che si voleva ledere e il bene giuridico leso. esempi : a) si applicherà l’art. 82 e non l’art. 83, nel caso di chi voleva uccidere e ferisce soltanto ( i due eventi sono omogenei), o nel caso di chi voleva ferire ma uccide; b) si applicherà l’art. 83, nel caso di chi voleva ferire ma provoca un incendio, o voleva danneggiare una cosa ma provoca la morte di una persona.
ABERRATIO CAUSAE
Dalla dottrina è stata creata una terza figura di aberratio, ossia l’aberratio itineris causarum, che ricorre quando , per errore nella fase consumativa, la successione causale si sia svolta in maniera dierente da quella prevista dall’agente. E’ il caso di chi, volendo ammazzare un soggetto facendolo annegare, lo scaraventa nel fiume, ma il soggetto non muore per annegamento bensì perché batte la testa contro un sasso. In tal caso, nessun eetto produce la diversa successione causale, in quanto il soggetto risponderà comunque di omicidio doloso. Dierente è l’ipotesi nella quale il soggetto credendo con una propria azione di aver causato un dato evento, lo determina in conseguenza di una successiva azione: è l’ipotesi di chi spara ad una persona e credendola morta la seppellisce viva, per cui essa muore per soocamento. In tal causo, parte della dottrina identifica ugualmente il reato doloso, altri invece concludono per il concorso tra tentativo di omicidio doloso con un reato colposo. Lo stato di necessità è disciplinato dall’art54 del c.p “Non è punibile chi ha commesso il fatto per essere stato costretto dalla necessità di salvare sé o altri dal pericolo attuale di danno grave alla persona in pericolo da lui non volontariamente causato né altrimenti evitabile sempre che il fatto sia proporzionato al pericolo” . Norma che presenta punti comuni con la legittima difesa. Per aversi lo stato di necessità è necessario che via sia una condotta posta in essere per salvare sé o altri dal pericolo di un’oesa ingiusta. E inoltre necessario che il pericolo non sia stato causato dal soggetto che invoca la Scriminante dello stato di necessità. È necessario che tale pericolo non poteva essere evitato attraverso una condotta dierente. La condotta deve essere proporzionata al pericolo a cui si vuole sfuggire. Come abbiamo detto Lo stato di necessità presenta elementi in comune con la legittima difesa rispetto a questa abbiamo sì punti comuni quindi la tutela di un interesse proprio altrui , il pericolo , proporzionalità, ma abbiamo anche elementi di divergenza. Per quanto riguarda la legittima difesa è una Scriminante che può essere invocata anche laddove il soggetto ponga in essere la condotta da Scriminare per tutelare interesse proprio altrui non solo di natura personale ma anche di natura patrimoniale. Questo non accade nello stato di necessità dove è necessario che la condotta posta in essere sia finalizzata a tutelare interesse proprio altrui che sia esclusivamente di natura personale e non potrà estendersi agli interessi di natura patrimoniale. Abbiamo altra dierenza nell’ambito della legittima difesa la condotta che dovrà essere Scriminata viene rivolta verso il soggetto che risulta essere “l’ aggressore” , nell’ambito dello stato di necessità invece la condotta sceiminata perche necessitata e rivolta non nei confronti dell’aggressorre bensì nei confronti del terzo che è estraneo alla condotta aggressiva e non è colui il quale ha posto in essere l’aggressione nei confronti del soggetto che invoca lo stato di necessità. A fronte di questa dierenza anche le conseguenze sono dierenti. Nell’ambito della legittima difesa il soggetto pone in essere la condotta aggressiva che andrà ad essere scriminata nei confronti del suo aggressore e da questo deriva la Scriminante. Nello stato di necessità poiché la condotta necessitata è posta a carico di un terzo del tutto estraneo e previsto che nei confronti di questo terzo vi sia equo indennizzo proprio perché è un soggetto terzo che non era coinvolto originariamente in quella che era la condotta che ha data vita alla necessità di sottrarsi all’oesa ingiusta. Es. tizio che con un’arma insegua Caio, caio riesce a sfuggire al suo aggressore il quale lo sta raggiungendo si imbatte in una bici che appartiene a sapronio soggetto terzo, prende la bici la ruba pur di sfuggire al suo aggressore. In questo caso la condotta di caio che si è concretizzata in un furto ed è quindi una condotta necessitata ovviamente Andrà a ripercuotersi nei confronti di sapronio soggetto terzo ed è questa la dierenza rispetto legittima difesa. Concorso di persone nel reato Nozione—> il reato può essere commesso sia da un soggetto che da una pluralità di soggetti: in quest’ultimo caso ricorre l’ipotesi del concorso di persone nel reato. Il concorso può essere di 2 tipi: -concorso necessario—> si verifica nei casi di reato plurisoggettivo che per sua natura può essere commesso solo da 2 o più persone e la cui disciplina è contenuta in una norma di parte speciale (es. rissa) - concorso eventuale—> ricorre per i reati che possono essere commessi sia da una che da più persone ( e la relativa disciplina si ottiene combinando una norma incriminatrice di parte speciale che prevede una fattispecie di reato mono soggettiva ed una norma di parte generale) Il concorso di persone è disciplinato dall’art 110 c.p —> “quando più persone concorrono nel medesimo reato, ciascuna di esse soggiace alla pena per questo stabilita” . Quindi nonostante il principio della uguale responsabilità di tutti i concorrenti il codice ammette la possibilità di graduare la pena in base al reale contributo apportato in concreto da ciascun concorrente, ciò soprattutto attraverso il riconoscimento di specifiche circostanze aggravanti e attenuanti (art 112 e 114) Elementi del concorso La combinazione dell’art 110 con la norma incriminatrice di parte speciale da luogo ad una nuova fattispecie autonoma di reato. Suoi elementi costitutivi sono : -elemento oggettivo— formato da pluralità di agenti : occorre che il reato sia posto in essere da almeno 2 soggetti posto che sussiste pluralità di agenti anche se alcuni dei concorrenti sia non imputabile o non punibile Realizzazione dell’elemento oggettivo del reato: è necessario che almeno uno dei concorrenti abbia realizzato il fatto materiale previsto dalla norma incriminatrice. È suciente che sia stato posto in essere anche il minimo della configurabilità del solo tentativo mentre, salvo che la legge non disponga diversamente, non basta il mero accordo o istigazione. - contributo causale alla verificazione del fatto: ciascun concorrente deve aver posto in essere una azione / omissione la cui mancanza avrebbe fatto sì che diverso sarebbe stato il comportamento degli altri concorrenti. Dierenza concorso di persone e reato associativo : Giurisprudenza aerma : che nel concorso di persone le intese tra i concorrenti sono dirette alla commissione di uno o più reati determinati con consumazione dei quali l’accordo si esaurisce, nei reati associativi invece l’accordo è finalizzato all’attuazione di un determinato e più vasto programma delittuoso, precedentemente e autonomo rispetto agli accordi particolari riguardanti i singoli delitti, e destinato a sopravvivere anche per realizzare ulteriori fini del programma stesso. Concorso esterno: dottrina e giurisprudenza concordano nel ritenere che si verifichi quando alcuni soggetti pur volendo restare estranei alla struttura organizzativa arrechino un apporto rilevante alla conservazione e raorzamento e conseguimento degli scopi dell’organizzazione criminale. Occorre inoltre che il soggetto agisca nella consapevolezza e volontà di recare un contributo alla realizzazione anche parziale del programma criminoso o sodalizio. Elemento soggettivo: occorre nesso psicologico tra ciascun concorrente e l’intero fatto commesso, l’elemento soggettivo si atteggia in modo diverso a seconda si tratti di concorso doloso o colposo. Concorso doloso: per la sua sussistenza non occorre il previo concerto tra gli agenti potendo sorgere l’accordo criminoso anche durante l’esecuzione del reato. Il dolo di concorso implica : A) coscienza e volontà di realizzare un fatto di reato solo se conosciute dal correo o ignorate per colpa o ritenute inesistenti per errore determinato da colpa . Tale impostazione deriva da applicazione rigorosa dell’art 27 cost. (Responsabilità penale e personale) tesa alla considerazione delle circostanze aggravanti alla luce del principio di colpevolezza. Cooperazione nei reati colposi art.113 “Nel delitto colposo quando l’evento è cagionato dalla cooperazione di più persone ciascuna di queste soggiace alle pene stabilite per il delitto stesso. La pena è aumentata per chi ha determinato altri a cooperare nel delitto, quando concorrono le condizioni stabilite nell’art 11 e nei n.3-4 dell’art 112”. Si tratta di concorso improprio (in quanto manca elemento della volontà di cooperare nel reato, necessario nel concorso proprio) per la cui sussistenza occorrono: pluralità di soggetti, realizzazione dell’elemento oggettivo del reato, contributo causale alla realizzazione dell’evento, consapevolezza di ogni partecipe dell’esistenza dell’azione altrui in concomitanza con l’azione propria. Ricorre ipotesi di pluralità di reati anche quando uno dei 2 soggetti sia in dolo e l’altro in colpa ( tizio istiga caio a spingere l’auto a forte velocità anché con essa sia travolta un suo nemico che di solito in una data ora transita in bicicletta per quella strada) . Anche in tal caso pur essendoci pluralità di reati, non vi è concorso (tizio risponderà di omicidio doloso e caio di omicidio colposo) non è concepibile l’ipotesi di concorso doloso in delitto colposo e viceversa. ESEMPI PER CAPIRE GLI ARTICOLI 110–> se io ingaggio un sicario per uccidere il mio nemico e il sicario lo uccide materialmente - [ ] Sicario risponde—> omicidio volontario - [ ] Ma anche io rispondo di omicidio volontario eppure io non ho mosso le mani dalla mia scrivania ho solo chiamato il sicario per uccidere un altro al mio posto. Stesso motivo per cui i boss di mafia rispondono di decine di omicidi. Il fatto di chiedere ad un aliato di uccidere vuol dire rispondere di concorso morale in questo caso nel reato di omicidio. Morale perché materialmente non ho realizzato alcuna condotta però lo ho istigata promossa—> si avrà concorso morale. - [ ] Concorso morale e materiale sono ipotesi del 110 e per entrambe il codice prevede la stessa cosa rispondo con lo stesso trattamento sanzionatorio. Reato putativo—art 49. 1 comma Ricorre quando l’agente commette un fatto che non costituisce reato credendo erroneamente che esso costituisca reato (es. il soggetto crede di commettere un furto ma in realtà la cosa sottratta è sua). In tale caso difetta ogni condotta illecita, esistendo il reato solo nella mente del soggetto. Il reato putativo è quindi un fatto lecito che non può essere punito, a meno che concorrono nel fatto elementi costitutivi di un reato diverso (es. un soggetto credendosi imprenditore , ritiene di commettere bancarotta, anche se non sarà passabile di bancarotta, qualora nel fatto ricorrano gli estremi dell’appropriazione indebita risponderà ugualmente di tale reato) Il giudice non può irrogare nei confronti del soggetto una misura di sicurezza, nonostante la sua pericolosità sociale, ma può irrogarla nei confronti dell’autore di un reato impossibile REATO IMPOSSIBILE—> art 49. 2 comma “La punibilità è esclusa quando per l’inidoneità dell’azione o per inesistenza dell’oggetto di essa, è impossibile l’evento dannoso o pericoloso.” Questa norma è ritenuta la codificazione dei principio di necessaria oensività della condotta criminosa. REATO IMPOSSIBILE SI HA: Nel caso di inidoneità dell’azione (es. tizio vuole uccidere con una pistola giocattolo) essa secondo la tesi prevalente va accertata mediante giudizio ex ante ed in concreto (prognosi postuma) analogo a quello da svolgere nel tentativo ex art 56 volto a verificare che l’azione sia incapace di oendere il bene. Nel caso di inesistenza dell’oggetto dell’azione cioè quando manchi l’oggetto materiale del reato (es. nel caso in cui si spari contro uno spaventapasseri) IL REATO IMPOSSIBILE È UN NON REATO IN QUANTO TALE NON È PUNIBILE.!!!!!! Art 49. 4 comma—> il giudice ha la facoltà di applicare all’imputato, prosciolto, la misura di sicurezza della libertà vigilata questo perché l’autore potrebbe essere un individuo socialmente pericoloso: si parla di quasi reato . Art 49 co 3–> ove il fatto integri gli estremi di un reato diverso si applica la pena prevista per quest’ultimo DIFFERENZA TRA REATO IMPOSSIBILE PER INIDONEITÀ DELL’AZIONE E DELITTO TENTATO dottrina tradizionale considera la figura del reato impossibile per inidoneità dell’azione come inutile doppione del tentativo. Secondo essa il reato impossibile sarebbe un tentativo inidoneo. Giacché l’accertamento dell’ inidoneità o meno dell’azione nel reato impossibile andrebbe fatto utilizzando stessi criteri del delitto tentato. Cioè un giudizio ex ante e in concreto e tenendo conto delle specifiche conoscenze del soggetto al momento del fatto. Dottrina moderna ha sollevato critiche sulla questione rilevando che mentre il tentativo è configurabile solo con riferimento ai delitti, il reato impossibile può configurarsi anche nel campo delle contravvenzioni. Mentre l’art 56 parla di atti l’art 49 co 2 parla di azione da ciò si è ritenuto quest’ultimo articolo abbia riguardo a tutta l’azione posta in essere e non solo da un atto che è frammento di essa. Secondo tale orientamento: Si avrebbe reato impossibile quando il soggetto ha portato a termine l’intera condotta. Senza che, per le sue caratteristiche intrinseche abbia determinato oesa al bene protetto dalla norma incriminatrice Si ha tentativo inidoneo: quando compiuti solo alcuni atti inidonei. REATO CONTINUATO art 81–> definisce il reato continuato al 2 comma. in particolare facendo riferimento alla stessa pena a cui soggiace chi con più azioni o omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso commette anche in tempi diversi più violazioni della stessa o di diverse disposizioni di legge. Abbiamo già quindi tutti gli elementi costitutivi del reato continuato. Quali sono gli elementi essenziali? Abbiamo innanzitutto una pluralità di azioni e omissioni, la violazione di più norme penali incriminatrici e alla base vi è un unico disegno criminoso. Che è ciò che caratterizza il reato continuato. Dunque cosa significa il medesimo disegno criminoso? Vuol dire che la rappresentazione è programmazione di vari reati sono tutti finalizzati ad un unico scopo, quindi uno scopo unico verso il quale propendono le singole condotte. 2 elemento—> abbiamo parlato di unicità del disegno criminoso, ma abbiamo detto che vi devono essere anche più azioni. Quindi vi devono essere delle azioni autonome che singolarmente portano alla violazione di più norme penali rilevanti le quali sono tutte attinte dal vincolo della continuazione cioè tutte unite verso il raggiungimento di un unico disegno criminoso con unico scopo. Trattamento sanzionatorio previsto per il reato continuato : stesso e, in tale ottica, finiscono per equivalersi. Anché si abbia il nesso di causalità occorre che l’azione dell’uomo sia stata anche solo una delle concause dell’evento, purchè tale azione fosse da sola suciente a determinarlo. Per accertare se una condizione sia condicio sine qua non, la dottrina fa ricorso al procedimento detto di “ eliminazione mentale” o “giudizio controfattuale”, secondo cui un’azione è condicio sine qua non di un evento se essa non puo’ essere eliminata senza che l’evento stesso venga meno. ESEMPIO → A spara a B e lo uccide, eliminando l’evento dello sparo si deve per forza arrivare alla conclusione che la morte non ci sarebbe stata. Ragionamento alla base→ se senza la condotta umana l’evento non si sarebbe verificato, la stessa puo’ dirsi causa dell’evento, se, invece senza l’intervento umano l’evento sarebbe ugualmente avvenuto, quest’ultimo è stato cagionato da altri fattori. TEORIA CONDIZIONALISTICA E’ STATA OGGETTO DI CRITICA 1 luogo- essa consente una sorta di regresso all’infinito nella ricerca della causa originaria, nel senso che i fatti che possono essere considerati condicio sine qua non di un certo evento possono essere infiniti. ESEMPIO→ tizio uccide una persona, la causa puo’ farsi risalire anche ai genitori che lo hanno educato in un certo modo o lo hanno procreato, oppure alla persona che gli ha venduto la pistola. Per superare questa obiezione -_> i sostenitori della teoria sostengono che gli eventi attribuiti alla condotta sono solo quelli dolosi o colposi (quindi nessuna colpa puo’ essere attribuita al venditore se in buona fede lo stesso vale nei confronti dei genitori per aver partorito una persona che poi commette un’azione criminale). in altri termini→ il dolo e la colpa restringono il numero dei possibili antecedenti che possono assumere rilevanza ai fini del nesso causale. 2 luogo→ si è detto che tale teoria non consente di arontare in modo adeguato le ipotesi di casualità anomale. Per superare i limiti della teoria condizionalistica , la dottrina ha individuato alcuni correttivi, elaborando le teorie della casualità adeguata e casualità umana. TEORIA DELLA CASUALITA’ ADEGUATA→ perchè sussista il nesso di casualità, occorre che l’uomo vi abbia contribuito con un’azione adeguata a determinare quell’evento sulla base della comune esperienza , occorre che l’evento stesso costituisca uno sviluppo probabile, normale, prevedebile della catena causale innescata. Quindi ove la condotta umana risulti condicio sine qua non dell’evento, andrà compiuta una prognosi postuma ex ante, riportandosi idealmente al momento in cui il soggetto ha agito e chiedendosi se l’evento potesse apparire un normale sviluppo della condotta. NE consegue che ex art 41 co 2 sono “cause sopravvenute da sole sucienti a determinare l’evento” i soli fattori che rendono l’evento conseguenza anormale,atipica, inadeguata rispetto alla condotta compiuta. ESEMPIO→ pedone investito muore per dissanguamento, vi è rapporto di casualità adeguata, se invece il decesso avviene per incendio all’ospedale a seguito del ricovero, il rapporto causale è escluso. TEORIA CAUSALITA’ UMANA possono considerarsi causati dall’uomo solo i risultati che lo stesso è in grado di dominre in virtù dei suoi poteri cognitivi e volitivi, che rientrano, cioè, nella sua sfera di signoria. Non possono dirsi da lui causati→ gli eventi eccezionali , imprevedibili che hanno una probabilità minima, insignificante di verificarsi. mentre la teroia della causalità adeguata esclude tutti i decorsi causali anormali, la teoria della causalità umana esclude i soli decorsi condizionati da fattori eccezionali. ESEMPIO→ rapporto di causalità dovrebbe considerarsi sussistente nel caso in cui il ferito sia morto in un incidente stradale occorso all’ambulanza, trattandosi di un fattore causale raro, ma non al punto da potersi definire eccezionale (come sarebbe invece l’incendio dell’ospedale) TEORIA CAUSALITA’ SCIENTIFICA O DELLA LEGGE DI COPERTURA problema principale della teoria della causalità è che a volte è impossibile spiegare in termini naturalistici un dato evento. La dottrina ha cercato di apportare CORRETTIVI alla teoria della condicio sine qua non e ha eleborato la TEORIA DELLA CAUSALITA’ SCIENTIFICA che oggi è quella accolta dalla dottrina prevalente. secondo questa teoria l’azione è causata → dall’evento quando secondo la migliore scienza e esperienza del momento storico, l’evento è conseguenza certa o altamente probabile del’azione , in quanto senza di essa l’evento non si sarebbe verificato. Tale base scientifica puo’ essere tratta sia dalle leggi universali, scientifiche sia dalle leggi statistiche. ciò in cui si distinguono le teorie analizzate è il criterio con cui formulare il giudizio di causalità ; criteri che sono umani per la teoria dell’equivalenza criteri che sono scientifici per la teroia della causalità scientifica. DIRITTO PENALE NELLO SPAZIO in via generale gli art 3-6 del c.p sanciscono il principio della territorialità della legge penale ai sensi del quale la legge penale obbliga tutti che si trovano nel territorio dello stato e per i reati ivi commessi. il capoverso dell’art 3 →prevede la possibilità di deroghe al principio della territorialità nei casi in cui sono puniti dallo stato italiano e secondo le leggi italiane i reati commessi all’estero. ai sensi dell’art 7→ è punito incondizionatamente secondo la legge penale italiana cioè senza essere subordinato da alcuna condizione di procedibilità il cittadino o lo straniero che commette in territorio estero i seguenti reati: -delitti contro la personalità dello stato italiano - delitti di contraazione del sigillo dello stato e di uso di tale sigillo contraatto - delitti di falsità in moneta avente corso legale nel territorio dello stato - delitti commessi da pubblici uciali a servizio dello stato , abusando dei poteri o violando i doveri inerenti alle loro funzioni. ai sensi dell’art 8→ è punito secondo la legge italiana il cittadino o straniero che commette in territorio estero un delitto politico non compreso tra quelli indicati in precedenza. l’applicabilità della legge italiana in questi casi non è incondizionata ma subordinata a una scelta di opportunità da parte del potere esecutivo nella forma della richiesta del ministro della giustizia. per delitto politico→ si intende ogni delitto che oende un interesse politico dello stato ovvero un diritto politico del cittadino. e considerato inoltre delitto politico →il delitto comune determinato in tutto o in parte da motivi politici. Rientrano in questa categoria→ delitto anarchico e quello commesso per finalità di terrorismo ai sensi dell’art 9→ delitto comune commesso all’estero dal cittadino italiano è punibile in italia e secondo la legge italiana a condizione che : - si tratti di delitti - - sa punito con reclusione e non solo con multa - - il reo sia presente nel territorio dello stato ai sensi dell’art 10 →il delitto comune commesso all’estero dallo straniero è punibile in italia e secondo legge italiana sempre a condizione dei 3 criteri sopra citati. sebbene il principio della territorialità del diritto penale non lo comporterebbe è ammesso eccezionalmente il riconoscimento delle sentenze straniere per i seguenti fini: -per stabilire recidiva o altro eetto penale della condanna esempio esclusione della sospensione condizionale della pena ovvero per dichiarare l’abitualità o professionalità nel reato o tendenza a delinquere , quando la condanna penale importerebbe secondo legge italiana una pena accessoria quando secondo legge
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