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Riassunti Geografia Fisica - Geografia Umana (Nicoletti), Sintesi del corso di Geografia

Riassunti della parte di Geografia Fisica per l'esame di Geografia Umana (Prof.ssa Nicoletti). I riassunti sono schematici e completi e sono tratti dai capitoli, indicati dalla docente, del manuale "Il globo terrestre e la sua evoluzione" di E.LUPIA PALMIERI e M. PAROTTO. Sono presenti immagini esplicative e una formattazione del testo che rende la lettura e la memorizzazione dei concetti semplice e intuitiva. Gli argomenti trattati sono: 1. Vulcanismo | 2. Fenomeni sismici | 3. Tettonica delle placche | 4. L'atmosfera terrestre e i fenomeni meteorologici | 5. Il clima e la biosfera | 6. L'ambiente marino | 7. I ghiacciai e le acque continentali | 8. Il modellamento del rilievo terrestre.

Tipologia: Sintesi del corso

2022/2023

In vendita dal 01/05/2023

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Scarica Riassunti Geografia Fisica - Geografia Umana (Nicoletti) e più Sintesi del corso in PDF di Geografia solo su Docsity! Riassunti per l’esame di Geografia Umana (Nicoletti) – Università del Salento GEOGRAFIA FISICA Manuale: E. LUPIA PALMIERI, M. PAROTTO, Il globo terrestre e la sua evoluzione, Bologna, Zanichelli 1. Vulcanismo: - fenomeno a scala planetaria, attivo da miliardi di anni. - Può manifestarsi in modi molto diversi, ma è un meccanismo tendenzialmente unitario. - Il ruolo fondamentale dell’intera attività vulcanica è di trasferire imponenti quantità di materiali dall’interno all’esterno attraverso la continua fusione di rocce in profondità, la risalita di materiali fusi (magmi) e solidificazione per raffreddamento in superficie. - Meccanismo che ha portato alla formazione e all’accrescimento della crosta terrestre, alla formazione di atmosfera e idrosfera, al successivo sviluppo della biosfera. Aspetto comune a tutte le manifestazioni del vulcanesimo è la risalita dall’interno della Terra di materiali rocciosi allo stato fuso. Questi, mescolati a gas e vapori ad alte temperature, giunti in superficie si raffreddano rapidamente e si solidificano o disperdono nell’atmosfera. Queste masse fuse sono i magmi: prendono origine all’interno della crosta terrestre e della parte alta del sottostante mantello (15-100km di profondità) e si formano in particolari condizioni (aumento temperatura/diminuzione pressione/arrivo di fluidi). Il processo di fusione procede gradualmente: materiale in origine molto caldo ma solido si trasforma in massa di consistenza pastosa al cui interno ci sono numerose gocce di magma che si separano da un residuo refrattario (che resiste senza fondere). Quando circa il 5-20% del volume del materiale è fuso, le gocce si fondono tra loro in una massa fluida continua che tende a muoversi verso l’alto (isostasia). La risalita è rapida e avviene attraverso le fessure delle rocce sovrastanti. La velocità dipende dalla viscosità del magma, dal volume, dalla profondità della zona, la temperatura delle rocce. Se il magma arriva in superficie si innescano fenomeni vulcanici. Quando il magma fuoriesce in superficie e perde gran parte dei gas e dei vapori si parla di lava. I gas vanno ad arricchire l’atmosfera, i prodotti solidi costruiscono gli edifici vulcanici a seconda del punto in cui il materiale fuoriesce: ➔ all’estremità aperta in superficie (cratere) di un condotto di forma in genere cilindrica (vulcani centrali); ➔ lungo spaccature che penetrano all’interno della Terra (vulcani lineari). Il condotto vulcanico (o camino) mette in comunicazione l’edificio esterno con l’area di alimentazione (da 10 fino a oltre 100km in profondità). Nella sua risalita il magma può ristagnare in una camera magmatica (o bacino) a debole profondità (2-3 a 10km). La forma dell’edificio vulcanico dipende dal tipo di prodotto eruttato: 1) vulcani-strato: fasi di effusioni laviche alternate a emissioni esplosive di frammenti sminuzzati di lava che si depositano dando origine alle piroclastiti. → L’edificio assume la forma di un cono. 2) vulcani a scudo: forma appiattita dovuta alla notevole fluidità delle lave eruttate (basiche, molto calde, si solidificano come basalti) che sono in grado di scorrere per molti km prima di consolidarsi. Assenti episodi esplosivi, (vulcani Hawaii e Islanda). In uno stesso vulcano possono alternarsi diversi tipi di attività. I fattori che influenzano il tipo di eruzione sono: - viscosità del magma - contenuto in aeriformi (specie acqua). La viscosità è alta nei magmi acidi (>lave di tipo riolitico) e minore in quelli basici (>tipo basaltico). Il contenuto di acqua agisce nella capacitò di espansione “esplosiva” del vapore ad alte temperature. ▪ Attività effusiva dominante: magma fluido e contenuto in acqua variabile (eruzione di tipo hawaiiano e islandese); ▪ Attività effusiva prevalente: magma meno fluido (stromboliano); ▪ Attività mista (effusiva/esplosiva): magma viscoso e contenuto in aeriforme elevato (vulcaniano, pliniano, peléeano); ▪ Attività solo esplosiva: interazione magma-acqua (idromagmatico) Tipi di eruzioni: - HAWAIIANO: abbondanti effusioni di lave molto fluide che originano vulcani a scudo. Sommità degli edifici spesso occupata dalla caldera (“pentolone”) che si forma per collasso del tetto della camera magmatica a seguito del drenaggio verso la superficie di grandi quantità di magma. Dalle lave fluide i gas si liberano tranquillamente ma possono trascinare getti di lava fusa (>fontane di lava); - ISLANDESE: caratteristiche simili, lava sempre molto fluida ma fuoriesce da lunghe fessure. Questo porta alla formazione di vasti espandimenti lavici basaltici quasi orizzontali (plateaux basaltici); - STROMBOLIANO: attività esplosiva più o meno regolare, lava abbastanza fluida ma di meno. Ristagna periodicamente nel cratere dove inizia a solidificare. Si forma quindi una crosta solida sotto cui si accumulano gas. Nel giro di minuti-ore la pressione dei gas cresce fino a far saltare la crosta con esplosioni che lanciano brandelli di lava fusa. Esaurita la spinta, la lava torna a ristagnare e formare una nuova crosta. - VULCANIANO: meccanismo come stromboliano ma lava molto più viscosa (lave acide). I gas si liberano con più difficoltà e la lava solidifica nella parte alta del condotto. I gas impiegano tempi più lunghi per vincere l’ostruzione. L’esplosione è violentissima. - “VESUVIANO”: attività caratterizzata da esplosione estremamente violenta che svuota un gran tratto del condotto superiore, Il magma quindi può risalire con grande velocità da zone profonde e si espande in maniera esplosiva uscendo dal cratere, dissolvendosi in una gigantesca nube di minutissime goccioline. Quando le esplosioni raggiungono il loro aspetto più violento vengono definite di tipo PLINIANO. - PELÉEANO: lava ad altissima viscosità e temperatura relativamente bassa viene spinta fuori dal condotto già quasi solida e forma cupole o torri. Dalla base fuggono grandi nuvole di gas e vapori, roventi e molto dense che scendono lungo le pendici e si espandono su ampie aree. Vulcanismo idromagmatico: interazione tra magma a modesta profondità e l’acqua di falda che permea le rocce. Il brusco passaggio dell’acqua allo stato di vapore genera enormi pressioni che possono far saltare intere colonne di rocce sovrastanti aprendo un condotto. Dalla base parte una specie di onda d’urto concentrica che crea una densa nuvola di vapore e materiali solidi a forma di anello (base-surge). Prodotti dell’attività vulcanica: 1. materiali aeriformi: i più abbondanti il vapore acqueo (fino al 70%) e l’anidride carbonica, seguiti da composti di zolfo, azoto, cloro e fluoro. 2. materiali solidi che costruiscono gli edifici vulcanici: colate di lava (rocce effusive cui le lave danno origine per raffreddamento) e piroclastiti, che si formano dall’accumulo di frammenti solidi espulsi dal vulcano. 3. Altri fenomeni: ◼ COLATE DI FANGO/LAHAR: dove è presente acqua in abbondanza per fusione di neve, espulsione da un lago, condensazione del vapore acqueo, i detriti piroclastici sciolti assorbono acqua fino a diventare saturi. Queste colatesi incanalano lungo le valli, scendono con forza distruttiva. Il fango poi si indurisce e si trasforma in solida roccia. ◼ MANIFESTAZIONI TARDIVE: dopo che è finita l’emissione di lava, continuano a salire dalle profondità della terra i gas residui accompagnati da acque termo-minerali. Fenomeni legati a queste manifestazioni sono i geyser, le fumarole (emissione di gas e vapori caldi) e le moféte (emissioni di acqua e CO2, queste ultime molto pericolose in quanto l’anidride sottrae ossigeno all’aria). VULCANISMO EFFUSIVO: quando un magma risale verso la superficie, gli aeriformi si liberano con forza mentre inizia a traboccare la lava. La manifestazione più imponente di vulcanismo effusivo sulla Terra avviene sott’acqua ed è associata alle profonde fessure che tagliano la crosta oceanica e che segnano l’asse delle dorsali oceaniche -> corrispondono a settori di fondo oceanico rilevati rispetto alle circostanti piane abissali e formano una fascia larga un migliaio di km e lunga 60.000. Non sono catene montuose sommerse ma corrispondono a un inarcamento del fondo oceanico lungo la cui sommità si aprono le fessure da cui finisce il magma. Sono eruzioni lineari che avvengono sul fondo del mare. 3. ONDE SUPERFICIALI: quando le onde interne raggiungono le superficie diventano onde superficiali, che si propagano dall’epicentro lungo la sup. terr., mentre si smorzano rapidamente con la profondità. Tra le onde superficiali le onde di Rayleigh (onde R) e di Love (onde L). Al propagarsi di un’onda R le particelle compiono orbite ellittiche in un piano verticale lungo la direzione di propagazione (come avviene per le onde in acqua); al passaggio di un’onda L le particelle oscillano trasversalmente alla direzione di propagazione ma solo nel piano orizzontale. Le onde superficiali sono più lunghe di quelle interne ma si muovono più lentamente. Possono percorrere lunghissime distanze. La registrazione del movimento sismico da parte di un sismografo si chiama sismogramma. La prima parte del sismogramma corrisponde all’arrivo delle onde P, in quella centrale alle onde P si sovrappongono le onde S, nell’ultima parte compaiono le onde superficiali. Il sismografo è uno strumento che trasforma il complesso movimento del suolo durante il terremoto in una registrazione permanente che consente di analizzare e riesaminare le onde che raggiungono la superficie. Si basa sull’inerzia di una massa sospesa che rimane immobile anche quando il supporto si muove insieme al suolo. Un pennino scrivente lascia una traccia su una striscia di carta che ruota a mezzo di un rullo solidale con il suolo. Per ricavare informazioni da un sismogramma bisogna ricavare un diagramma in cui mettere a confronto i tempi di arrivo dei singoli tipi di onde con le distanze dall’epicentro delle stazioni in cui sono stati registrati i sismogrammi. Queste curve sono chiamate dromocrone e indicano i tempi di propagazione di ogni tipo di onda in funzione della distanza dall’epicentro. Le scale d’intensità di un terremoto. I primi dati su cui basare una valutazione della forza del terremoto sono stati gli effetti prodotti dai sismi sul territorio. Verso la fine del 700 il medico Pignataro stabilì una scala molto semplice di 4 livelli sulla base delle vittime e dei danni provocati dai terremoti italiani. Solo nel 1897 Mercalli elaborò una scala di intensità inizialmente in 10 gradi. Attualmente la scala d’intensità più usata è la scala MCS (Mercalli- Càncani-Sieberg) divisa in 12 gradi. Nelle scale di confronto l’intensità viene stabilita in base alla valutazione degli effetti prodotti dal terremoto su persone e cose. Questi sono dati macrosismatici. Dopo aver riportato su una rappresentazione cartografica dell’area i valori dell’intensità per ogni località, si tracciano linee di confine che permettono di individuare delle curve chiuse (isosisme). La forma e l’andamento delle isosisme forniscono informazioni sulla struttura geologica dell’area in esame. Nel 1935, Richter propose di misurare la magnitudo di un terremoto confrontando l’ampiezza massima delle onde registrate da un sismogramma relativo a quel terremoto con l’ampiezza massima delle onde fatte registrare da un terremoto scelto come riferimento (terremoto standard). La magnitudo è una misura strumentale della forza del terremoto nel momento in cui si è originato e il cui valore è medesimo in qualsiasi punto della terra. L’intensità si riferisce agli effetti provocati in una certa zona e assume una serie di valori. Gli effetti del terremoto: i danni principali agli edifici sono provocati soprattutto dai movimenti orizzontali del suolo. Ha grande importanza il tipo di costruzioni e la natura geologica del terreno su cui poggiano gli edifici. Tsunami: se il terremoto si verifica sotto il fondo del mare, nelle zone costiere si possono risentire gli effetti di un maremoto/tsunami. Il fenomeno si manifesta come un’onda d’acqua che si muove a grande velocità sulla superficie del mare e può percorrere spazi anche molto vasti. Il maremoto può essere causato da diversi eventi: collasso di isole vulcaniche, grandi frane sottomarine e grandi eruzioni vulcaniche, improvvisi movimenti del fondo marino associati ad un terremoto. Quando il movimento della faglia che provoca il terremoto fa sollevare o abbassare bruscamente un tratto del fondo del mare, l’oscillazione di quest’ultimo provoca una perturbazione che si manifesta come onde molto lunghe sulla superficie del mare con velocità 500-900km/h. In pieno oceano la distanza tra le creste di due onde successive di maremoto può arrivare fino a 300km, mentre l’altezza delle onde in genere non supera il metro. Quando si avvicinano alla costa, man mano che diminuisce la profondità delle acque, l’altezza delle onde cresce, la distanza tra le creste diminuisce e alla fine sono ondate gigantesche a giungere sulle coste. La struttura interna della terra è stata identificata in base ai dati sismici. La velocità di propagazione delle onde sismiche dipende dalle caratteristiche elastiche del materiale e dalla sua densità. Le traiettorie delle onde P che, in un mezzo omogeneo, sono rettilinee, si propagano verso l’interno della Terra lungo linee curve poiché le onde attraversano mezzi con caratteristiche meccaniche diverse e vengono rifratte. Inoltre, per un terremoto esiste una zona d’ombra attraverso cui non arrivano onde P dirette. Questa ha rivelato l’esistenza di un nucleo di materiale diverso da quello che lo avvolge, probabilmente nella parte più esterna è fluido. Le analisi delle traiettorie delle onde hanno permesso a Gutenberg di localizzare a circa 2.900 km di profondità il limite tra il nucleo e il materiale che lo avvolge (discontinuità o superficie di Gutenberg). In seguito, è stato identificato il nucleo interno, solido, il cui limite è noto come discontinuità o superficie di Lehmann. Il materiale che avvolge il nucleo è il mantello, che si estende fin quasi alla superficie del pianeta senza affiorare. A modesta profondità le onde sismiche incontrano la superficie di Mohorovicic o MOHO, che segna la separazione tra rocce del mantello e crosta. L’indagine sismica ci fornisce un modello del pianeta formato da tre involucri: un nucleo, un mantello e una crosta. Una parte di mantello mostra un comportamento più plastico tra 70 e 250 km (astenosfera) in cui il materiale presente è parzialmente fuso. Le rocce che ricoprono l’astenosfera fino alla superficie si comportano come un involucro rigido chiamato litosfera (comprende sia la crosta, sia una parte di mantello separate dalla Moho). Nella distribuzione geografica dei terremoti gli epicentri risultano allineati secondo fasce ben definite: ◼ sismicità significativa e con ipocentri superficiali segue il sistema di dorsali oceaniche; ◼ sismicità molto più intensa segue le grandi fosse oceaniche dell’Oceano Pacifico e l’argo delle isole della Sonda e le Antille. Gli ipocentri vanno da superficiali a progressivamente molto profonde come se fossero distribuiti lungo una superficie ideale che scende nell’interno della terra (superficie di Benioff); ◼ fascia di forte sismicità segue le catene montuose di formazione recente, dal Mediterraneo all’Himalaya e verso la Cina; ◼ terremoti vulcanici (tremori): vibrazioni del suolo prodotte dal movimento del magma in risalita entro la crosta e nel camino vulcanico. La previsione dei terremoti dovrebbe poter indicare con efficacia quando e dove si verificherà un terremoto e con quale intensità. Il problema viene affrontato con due diverse linee: ➔ previsione deterministica: tentata attraverso l’esame di fenomeni precursori, cioè una serie di eventi che ricorrono in un intervallo di tempo precedente il terremoto. Alla base della ricerca di questi fenomeni c’è il modello del rimbalzo elastico: in una massa rocciosa sottoposta a sforzo si verifica una deformazione elastica, ma prima della rottura della roccia, questa tende a dilatarsi (dilatanza) e provoca variazione della velocità nella propagazione delle onde P, sensibili sollevamenti di ampie aree, aumento della quantità di gas radon. ➔ previsione statistica: si basa sull’osservazione che la distribuzione geografica delle aree sismiche non è casuale ma definita e sul presupposto che in ogni area la “storia sismica” abbia caratteristiche statisticamente simili nel tempo. Strumenti basilari sono i cataloghi sismici. Questa previsione non può essere a lungo termine e quindi di scarsa utilità pratica per un allarme sismico. La difesa dai terremoti per lungo tempo potrà avvenire soltanto attraverso la prevenzione del rischio sismico, che tiene conto della pericolosità sismica (probabilità che in una certa area si risentano gli effetti di un terremoto), vulnerabilità (“debolezza” di un territorio di fronte a un terremoto), costi (perdite di vite e danni agli edifici). La sismicità di un’area si può determinare in base all’intensità e alla frequenza dei terremoti che si sono verificati in passato. Partendo dai cataloghi, si esegue la zonazione sismica. Fase operativa è l’elaborazione di opportune tecniche di edilizia antisismica. Nell’opera di prevenzione dovrebbe rientrare anche l’elaborazione di piani di intervento per l’organizzazione di soccorsi in caso di terremoto, adattati alle varie zone. Evidente anche l’importanza di un’efficace educazione di massa che prepari la popolazione. Accanto alla zonazione (o macrozonazione) anche una microzonazione applicata a zone ristrette. L’Italia è un paese notevolmente sismico. Aree notoriamente sismiche sono Friuli, Belice, Irpinia, Garfagnana, Umbria-Marche, Molise. Solo la Sardegna e la Penisola Salentina sono prive di epicentri. L’arco alpino è poco sismico ad eccezione del Trentino-AA, mentre il resto dell’Italia centro-settentrionale è decisamente sismica. La sismicità maggiore si osserva nell’Italia centro-meridionale. 3. Tettonica delle placche. Vulcani e terremoti mostrano con la loro distribuzione geografica di essere il risultato di un meccanismo globale capace di “far muovere” la parte più interna del pianeta. Questo meccanismo globale, che permette di interpretare la formazione delle rocce, il sollevarsi delle catene montuose, il vibrare sismico dell’intero pianeta, l’incessante affluire in superficie di magmi incandescenti, in modificarsi della forma dei continenti e degli oceani viene descritto dalla teoria globale della tettonica delle placche. La misura delle dimensioni della Terra ha permesso di calcolare il volume (1.083 x 1021 m3); le leggi della fisica hanno permesso di determinare la massa (5,976 x 1024 kg) e da qui la densità media: D=M/V = 5,53 g/cm3. Il nostro pianeta presenta una struttura a involucri con diversa natura e spessore: 1. sottile crosta relativamente leggera che ricopre lo stato sottostante: è la parte più esterna del pianeta, un involucro sottile e rigido il cui spessore va da una media di 35 km sotto i continenti a una di 6 km sotto i fondi oceanici. Ha composizione eterogenea ed è formata da rocce magmatiche ricche di silice e rocce basiche. La base della crosta è indicata da una brusca discontinuità sismica, la superficie di Moho; 2. spesso mantello roccioso più denso della crosta e che avvolge il guscio più interno: rappresenta l’82% in volume della Terra e si estende dalla Moho fino alla discontinuità sismica di Gutenberg. La pressione aumenta con la profondità. Le rocce del mantello presentano notevole rigidità (resistono a compressioni e torsioni fino a rompersi bruscamente). Tra 70-250km di profondità si trova l’astenosfera, zona in cui il materiale del mantello è particolarmente fuso > zona plastica. crosta+mantello fino all’astenosfera = litosfera per sottolineare il comportamento più rigido rispetto all’astenosfera, che è la “parte della terra che si muove”. Per risalire alla natura delle rocce del mantello sono state messe a confronto le velocità di propagazione entro il mantello di onde meccaniche con le analoghe velocità determinate in laboratorio per tutta una serie di materiali; 3. grosso nucleo (distinto in interno ed esterno) metallico e molto denso: la discontinuità sismica di Gutenberg segna il passaggio al nucleo della terra che, con un raggio di c.a. 3470 km comprende il 16% del volume della Terra. La pressione aumenta con la profondità, la densità aumenta bruscamente in corrispondenza della discontinuità di Gutenberg e continua ad aumentare fino al centro della terra. I dati sismici indicano che il materiale della parte più esterna del nucleo ha caratteristiche di un fluido, poi si passa a un nucleo solido che rimane tale fino al centro della terra. Sulla natura del nucleo ci sono varie ipotesi che attualmente sono concordi sulla natura di lega metallica del nucleo, formato da ferro puro e qualche elemento meno denso. Flusso termico terrestre (quantità di calore emessa nell’unità di tempo per ogni unità di superficie) è molto basso ma dal punto di vista energetico è il più imponente tra i fenomeni terresti. La quantità di energia liberata per tale via è 50 volte maggiore dell’energia liberata dagli altri fenomeni (terremoti, eruzioni …). L’origine del calore della Terra è da ricercare nella presenza degli isotopi radioattivi che col tempo decadono con emissione di particelle nucleari e si trasformano in isotopi di elementi diversi. L’energia cinetica delle particelle emesse dagli isotipi radioattivi si trasforma nel calore che fluisce continuamente dalla superficie della Terra. Sulla terra esistono zone con flusso termico più elevato della media, come le dorsali oceaniche. Si ritiene che tali situazioni siano dovute all’esistenza di correnti convettive del mantello (spostamento di materiale più caldo da zone profonde verso l’alto). In determinate condizioni anche i solidi possono “scorrere” comportandosi come fluidi: all’interno del mantello masse di rocce profonde divenute più calde risalgono verso la crosta mentre quelle più fredde scendono verso il basso dove tornano a riscaldarsi. La temperatura all’interno della crosta aumenta in media di circa 30°C ogni km di profondità (gradiente geotermico). Questo non può restare costante con la profondità > i geofisici hanno costruito la curva dell’andamento della temperatura con la profondità (geoterma) basandosi sul modello della struttura interna. I dati sismici indicano che il mantello è solido, la sua temperatura deve essere inferiore a quella di fusione di silicati e ossidi di cui è composto. Solo nell’astenosfera deve essere vicina a quella di fusione. Nel nucleo esterno temperatura super. a quella di fusione, interno minore. Al centro della Terra la temp. non dovrebbe superare i 43.000°C. La Terra, come il Sole e altri pianeti, possiede un campo magnetico. La struttura del campo geomagnetico può essere descritta supponendo di porre al centro del pianeta una barra magnetica il cui asse formi un angolo di circa 11° con l’asse di rotazione. Le linee di flusso indicano in ogni punto basalti della crosta oc. combinato col fenomeno delle inversioni delle polarità magnetiche. La presenza di due tipi di anomalie richiede che la crosta oc. non si sia formata tutta insieme ma in tempi diversi. Le fasce di anomalie magnetiche più vicine alle dorsali sono più recenti rispetto a quelle a maggior dist. TETTONICA DELLE PLACCHE. La litosfera è intersecata per tutto il suo spessore da fasce molto attive, caratterizzate da sismicità e vulcanismo, lunghe migliaia km e relativamente strette (dorsali di espansione, fosse di subduzione, grandi faglie trasformi). Esse formano un’immensa rete si tutta la litosfera dividendola in una ventina di maglie (placche); 6 sono molto vaste, le altre assai minori. Le placche possono essere formate da sola litosfera oceanica o sola litosfera continentale o da porzioni di litosfera dei due tipi (come la placca africana). I bordi delle singole placche (margini) sono distinti a seconda della funzione in: ◼ margini costruttivi/divergenti: dorsali oceaniche, lungo le quali si costruisce una nuova litosfera oceanica che via via si allontana dalla dorsale; ◼ margini distruttivi/di convergenza: fosse oceaniche, lungo le quali la litosfera, divenuta col tempo fredda e densa, viene distrutta nel processo di subduzione; ◼ margini conservativi: alcune grandi faglie trasformi, lungo le quali due placche scorrono l’una a fianco dell’altra in direzioni opposte con metamorfismo e forte attività sismica ma senza variaz. di volume della litosfera. Poiché le placche sono a contatto reciproco, ogni margine è comune a due placche. Le dorsali sono luoghi in cui movimenti convettivi in atto nel mantello si manifestano con inarcamenti della litosfera e fuoriuscita di magma: continua a formarsi così nuova litosfera oceanica, che via via si allontana dalla rift valley dando luogo all’espans. dei fondi ocean. Le fosse abissali, invece, sono luoghi in cui la litosfera ritorna nel mantello e viene in gran parte riciclata nel processo di subduzione. Orogenesi: processo d’intensa deformazione crostale che coinvolge grandi volumi di rocce, con fenomeni di metamorfismo e magmatismo, e che porta al sollevamento di una nuova catena montuosa. Quattro diverse situazioni in cui può formarsi un orogeno (prodotto dell’orogenesi): 1) crosta/litosfera oceanica in subduzione sotto un margine continentale. Se un continente finisce per trovarsi a ridosso di una fossa oceanica, non entra in subduzione come la litosfera oceanica. Infatti, poiché meno densa, non può sprofondare entro il mantello ed è costretta a “galleggiare”. In questo caso è la crosta oceanica della placca antistante che forma il pavimento della fossa a infilarsi sotto il margine continentale, che viene deformato dal violento attrito. Dalla crosta oceanica in subduzione vengono strappati i sedimenti oceanici insieme a lembi dei sottostanti basalti. Spinte da forze enormi, queste masse finiscono per saldarsi al margine del continente e formare nuova striscia di crosta continent. La crosta continentale accresce di spessore e si verifica l’orogenesi con il sollevamento di una nuova catena montuosa. Il processo continua finché è attiva la subduzione (es. catena delle Ande); 2) collisione continentale. Il margine di un continente corre lungo una fossa di subduzione mentre la crosta oc. della placca sottostante si immerge sotto di esso: si sviluppa una catena montuosa. Ma se la placca che sta sprofondando comprende anche un continente, questo una volta consumata tutta la crosta oc. arriva alla fossa e la “collisione continentale” è inevitabile. I due margini entrano in contatto e vengono deformati finché si saldano e aumentano di spessore. Nasce così una catena montuosa. 3) accrescimento crostale. Si verifica quando i frammenti di crosta di varia natura, in origine in aree anche molto lontane tra loro, si trovano “incastonati” in una placca oceanica in progressivo movimento verso una fossa in subduzione. Man mano che arrivano nella fossa i frammenti vengono spinti via dalla placca che sprofonda e spinti ad accavallarsi contro il margine del continente lungo cui si trova la fossa. 4) crosta oceanica sotto crosta oceanica. Nel caso in cui le due placche coinvolte sono entrambe ocean., i magmi che si formano per la fusione parziale della placca in subduzione e del mantello sovrastante risalgono fino a traboccare sul fondo dell’oceano a lato della fossa abissale. Si forma una catena di vulcani sottomarini che arrivano ad emergere, Il continuo afflusso di magmi/accumulo sedimenti allarga e consolida gli edifici e origina un arco insulare. CICLO DI WILSON: i mutamenti nei moti del mantello possono far nascere una nuova dorsale o un nuovo oceano con un processo in 3 stadi: 1) stadio embrionale: Quando i grandi volumi di materiale caldo in risalita nel mantello arrivano al di sotto di un lembo di litosfera stabile, questa si frattura. Le spaccature provocano un allineamento di grandi fosse tettoniche delimitate da faglie. Dalle spaccature fuoriesce magma che ricopre il fondo delle fosse. 2) stadio giovanile: se il processo di espansione continua, i due margini continentali si allontanano e le lave in risalita formano una prima striscia di nuova crosta oc, mentre le acque dei mari vicini cominciano ad invadere la depressione che si apre. 3) stadio di maturità: L’oceano si è ampliato, mentre lungo i margini dei due continenti l’accumulo di detriti portati dai fiumi origina prismi sedimentari. L’incessante movimento delle placche costringe ciclicamente i lembi di crosta continentali a saldarsi via via fino a formare un supercontinente che ben presto gli stessi movimenti frammentano in nuovi continenti. Il ciclo di Wilson ha una durata di circa 500 milioni di anni. La verifica del modello: ➔ Il vulcanismo essenzialmente effusivo lungo l’asse delle dorsali oceaniche è dovuto alla risalita di materiale solido ma molto caldo che fa inarcare la litosfera. Il magma deriva dalla fusione parziale delle rocce del mantello e di natura basaltica e dà origine a lave fluide che fuoriescono “tranquillamente”. ➔ Il vulcanismo fortemente esplosivo è localizzato lungo gli archi insulari vulcanici o lungo il margine di continenti che fronteggiano le fosse abissali. Tale vulcanismo è collegato al processo di subduzione. La presenza di notevoli spessori di sedimenti marini imbevuti d’acqua fa sì che il magma sia viscoso e con abbondanti fluidi. Il vulcanismo dà origine a manifestazioni altamente esplosive. Lave in gran parte da intermedie ad acide ma non mancano le basaltiche. La risalita di tali fluidi ad alta temperatura favorisce inoltre intensa trasformazione fusione della crosta contin. profonda (anatessi), che porta alla formazione di giganteschi batoliti. ➔ I centri vulcanici all’interno delle placche sono localizzati sia in pieno oceano, sia sui continenti. Im alcuni casi vulcanismo associato a grandi fratture della crosta, in altri manifestazione in superficie di punti caldi (hot spots), ristrette aree della crosta caratterizzate da un elevato flusso termico e continua effusione di lave basaltiche. è nota circa una quarantina di punti caldi, corrisponderebbero alla risalita localizzata di materiale caldo di origine molto profonda e non sembrano direttamente legati all’attività dei margini delle placche. La distribuzione dell’attività sismica coincide per oltre il 95% con i margini delle placche. Lungo le dorsali le forze che tendono a far allontanare i due fianchi della rift valley provocano continuamente l’attivazione di numerose faglie > sismi di modesta entità; Fosse oceaniche: sismicità legata alla subduzione di una placca sotto l’altra. Terremoti in gran parte legati alle numerose faglie provocate nel margine della placca sovrastante dal fortissimo attrito con la placca in subduz. A maggiori profondità, i terremoti sarebbero conseguenza delle forti compressioni subite dalla placca di litosfera. Nelle catene montuose di orogenesi recente non si sono ancora esaurite le spinte che hanno deformato e fatto saldare tra loro margini venuti a contatto. Una piccola percentuale di terremoti cade lontano dai margini, si pensa che occasionalmente gli sforzi possano propagare all’interno di una placca litosferica e crescere fino a superare la resistenza delle rocce stesse provocando terremoti localizzati all’interno di una placca. Il “motore” delle placche potrebbe essere rappresentato da movimenti convettivi all’interno del mantello. I moti potrebbero seguire “circuiti unici” tra la base del mantello inferiore e in quello superiore. Il movimento di materiali all’interno della terra procederebbe in questo modo: la litosfera oceanica fredda e pesante sprofonderebbe nel mantello e alcuni lembi scenderebbero fino al limite con il nucleo. Dalle stesse zone risalirebbero i pennacchi (colonne di materiale caldo che si manifestano in sup. come punti caldi). Questo gigantesco motore termico sarebbe mantenuto in attività dall’energia termica della terra, prodotta dal calore latente che si libera nella solidificazione del nucleo esterno (fluido) e nel decadimento degli isotopi radioattivi. La tomografia sismica descrive la struttura tridimensionale del mantello: Le regioni con velocità delle onde S più lente (giallo e rosso) indicano rocce più calde e meno dense; la velocità elevata delle onde S nella litosfera fredda e nei fondali oc. antichi è rappresentata in blu/viola. superficiale e a distribuire il calore in una massa molto grande > il riscaldamento che interessa le acque fino a profondità elevate è molto più lento e meno pronunciato e altrettanto lento è il raffreddamento. Queste diversità si ripercuotono sull’andamento termico dell’aria, che presenta oscillazioni giornaliere e stagionali in corrispondenza di zone più interne dei continenti (regime continentale) e più attenuate in vicinanza di mare o grandi laghi (regime marittimo/oceanico). Inoltre, il mare, con correnti calde/fredde, può provocare aumenti/diminuz. della temperatura che si mantengono per tutto il corso dell’anno nelle regioni costiere. - copertura vegetale: le piante assorbono notevoli quantità di calore ed emettono in abbondanza vapore acqueo. Facendo la media delle temperature registrate a intervalli regolari di tempo nella giornata si ottiene la temperatura media giornaliera. Dai valori medi giornalieri si può passare alle temperature medie mensili e da queste alla temperatura media annua. escursione termica giornaliera: differenza tra la temperatura max e quella minima, registrate in uno stesso luogo nelle 24 ore e legata alle altre condizioni meteorologiche: tende a diminuire con il crescere della latitudine, è maggiore d’estate che d’inverno, è netta nelle regioni continentali e smorzata in quelle marittime, è più elevata al livello del mare che ad alte quote. L’andamento della temperatura dell’aria durante l’anno segue quello della radiaz. solare > dipende dall’altitudine. Tuttavia le temperature più alte e più basse si registrano con un ritardo di un mese o poco più rispetto ai corrispondenti max e min di intensità della radiazione in arrivo. Escursione termica media annua: diff. tra temperatura media del mese più caldo e quella media del mese più freddo. Minima all’Equatore e va aumentando verso i Poli. A parità di latitudine: è maggiore nell’interno dei continenti che in prossimità degli oceani; è più alta nelle regioni aride/con scarsa nuvolosità che ricche di vegetazione/corsi d’acqua/piogge; tende a dimin. col crescere dell’altitudine ma meno nettamente di quella giornaliera. La distribuzione della temperatura sulla superficie terrestre viene evidenziata sulle carte geografiche tramite le isoterme, linee che uniscono i punti con uguale valore della temperatura. Le più ricche sono le isoterme di gennaio e di luglio. LA PRESSIONE ATMOSFERICA E I VENTI. Come tutti gli elementi materiali sottoposti all’attrazione terrestre anche l’atmosfera ha un peso. La pressione atmosferica è il rapporto tra il peso dell’aria e la superficie su cui essa agisce. L’unità di misura più usata in meteorologia per misurare la pressione atmosferica è il millibar. Nel Sistema Internazionale l’unità di misura è il Pascal (Pa). Le differenze di pressione producono i venti. La pressione varia da luogo a luogo in funzione di fattori geografici e fattori meteorologici: - l’altitudine: con essa si riduce lo spessore della colonna d’aria sovrastante la superficie; - la temperatura: l’aria riscaldata si dilata e quindi il suo peso per unità di superficie è minore, mentre con il raffreddamento l’aria si contrae e il suo peso aumenta. Di conseguenza due masse d’aria con uguale volume e composizione, ma con differente temperatura, avranno una differente pressione: minore per quelle calde, maggiore per quelle fredde. - la quantità di vapore acqueo contenuta nell’aria: un aumento della quantità di vapore acqueo fa diminuire la pressione. La distribuzione della pressione sulla superficie terrestre viene riportata sulle carte geografiche per mezzo delle isobare, cioè linee che uniscono i punti di ugual pressione riportata a livello del mare, alla temperatura di 0 °C e alla gravità normale. Le isobare delimitano zone di alta pressione, o anticicloni, e zone di bassa pressione, o cicloni. Negli anticicloni l’aria, più densa e pesante, si sposta verso il basso e diverge con moto vorticoso verso le aree di bassa pressione; nei cicloni l’aria, più leggera, si sposta verso l’alto e converge vorticosamente al centro. Le differenze nella distribuzione orizzontale della pressione producono i venti (flussi d’aria che si verificano per ristabilire l’equilibrio barico, esplicando anche l’importante funzione di trasporto di calore). I venti assumono spesso il nome delle regioni da cui sembrano soffiare. La loro direzione viene indicata con i punti cardinali di provenienza; la velocità è tanto più elevata quanto maggiore è la diff. di pressione che li ha generati, dipende anche dall’attrito col suolo ed è caratt. da frequenti “pulsazioni” (folate/raffiche). venti locali a ritmo diurno e venti regionali a ritmo stagionale: ◼ brezze di mare e di terra: sono dovute al diverso comportamento termico delle acque marine/lacustri e delle terre e agli “squilibri barici” (=di pressione atm.) che ne derivano. Essi spirano alternativamente dal mare verso la terra nelle ore diurne e dalla terra verso il mare nelle ore notturne. Brezze di valle: spirano dal basso verso l’alto nelle ore diurne; brezze di monte: soffiano con moto discendente nelle ore notturne. ◼ monsoni: venti periodici a ritmo stagionale, che soffiano dal mare verso il continente nel semestre estivo apportando piogge copiosissime e dal continente verso il mare nel semestre invernale, durante il quale sono freddi e secchi. LA CIRCOLAZIONE GENERALE DELL’ATMOSFERA. Necessaria la distinzione tra quanto avviene nella bassa troposfera, dove la circolazione delle masse d’aria è influenzata dalla presenza di mari, terre emerse, rilievi montuosi, ecc., e quanto si verifica nelle parti più alte della troposfera, dove le influenze dell’attrito tra suolo ed aria, del diverso comportamento termico di terre e acque, e di altri fattori, sono trascurabili. La circolazione generale nella bassa troposfera è caratterizzata, in ciascun emisfero a Nord e a Sud dell’Equatore, da tre sistemi di venti: – gli alisei, che spirano dalle alte pressioni subtropicali e convergono verso le basse pressioni equatoriali. Considerati venti costanti perché mantengono stessa direzione e verso durante tutto l’anno e sono abbastanza regolari perché conservano una certa velocità media; – i venti occidentali, che provengono dalle alte pressioni subtropicali e si dirigono verso le basse pressioni subpolari; – i venti orientali polari, che partono dalle alte pressioni polari e si dirigono verso le basse pressioni subpolari. La circolazione nell’alta troposfera assume caratteri diversi da quella dello strato sottostante poiché viene a mancare l’azione dell’attrito e degli ostacoli orografici di superficie. La velocità dei venti aumenta con l’altezza. A partire da quote di 3000-5000 km, correnti occidentali (masse d’aria che – a seguito dell’inversione barica riscontrata in queste quote – si muovono dalle alte pressioni equatoriali verso le basse pressioni polari, subendo una totale deviazione verso Ovest) che scorrono nei due emisferi, separate da una ristretta zona intertropicale di correnti orientali (considerate riflesso ad alta quota degli alisei). Vi è inoltre la presenza più limitata di una corrente occidentale equatoriale. Il flusso delle correnti occidentali è particolarmente intenso sopra le zone temperate della terra, dove si hanno dei veri e propri “fiumi d’aria” profondi alcuni km che circolano intorno al globo. Queste ristrette fasce di venti con velocità elevatissime sono chiamate correnti a getto. UMIDITÀ DELL’ARIA E PRECIPITAZIONI. Il vapore acqueo presente nell’atmosfera proviene prevalentemente dall’evaporazione del mare (a cui si aggiunge quella dei laghi e dei fiumi e che varia a seconda della temperatura, ma anche della velocità del vento e della secchezza dell’aria sulla superficie evaporante) e dalla traspirazione delle piante (influenzata principalmente dall’insolazione e varia nelle diverse essenze vegetali). Gli effetti di questi due processi determinano l’umidità atmosferica. ◼ L’umidità assoluta è la quantità (in grammi) di vapore acqueo nell’unità di volume di aria (1 m3) in un dato momento e punto dell’atmosfera. Essa aumenta con la temperatura e tende a diminuire con l’altitudine. L’aria può contenere una quantità limitata di vapore acqueo ad una determinata temperatura (limite di saturazione). Questo limite varia al variare della temperatura. Maggiore è la temperatura, più vapore acqueo può essere contenuto in un dato volume d’aria. ◼ Umidità relativa (espressa in %): rapporto tra l’umidità assoluta dell’aria a una certa temperatura e il suo limite di saturazione alla stessa temperatura. L’umidità relativa tende a decrescere nelle zone e nei periodi più caldi e aumentare nelle zone e periodi più freddi, diminuisce con l’altitudine in modo irregolare. Per misurarla si utilizzano igrometri, psicometri. Quando l’aria è satura di vapore acqueo, ogni eccesso di vapore provoca la condensazione (passaggio dell’acqua dallo stato aeriforme a quello liquido) o la sublimazione (passaggio dallo stato aeriforme allo stato solido). La manifestazione più immediata di questi fenomeni consiste nella formazione di goccioline liquide intorno a “nuclei di condensazione” che rimangono sospese nell’aria; assieme a cristallini esagonali o aghetti di ghiaccio, che si formano a temperature < 0°C, esse formano le nebbie e le nubi (o nuvole). - Le nebbie hanno origine in prossimità del suolo quando l’aria umida si trova a contatto con superfici fredde. - e nubi si formano ad altezze elevate fino ai limiti della troposfera assumendo forme e dimensioni differenti e si trovano in uno stato di continuo movimento e disfacimento, poiché una parte del prodotto della condensazione tende a tornare verso il basso, ma ri-evapora all’incontro con strati di aria più caldi. Quando le goccioline di acqua o di ghiaccio raggiungono dimensioni che non posso più essere trattenute dall’aria allora si originano le precipitazioni. Queste non vengono generate da tutte le nubi, ma soltanto da quelle con un notevole spessore verticale come i nembostrati (precipitaz. regolari), cumulonembi (acquazzoni), nembi (manif. temporalesche). Le precipitazioni più comuni avvengono in forma liquida (pioggia) ma non sono rare quelle solide (neve). Caratteristica dei temporali nelle regioni temperate è l’occasionale formazione e caduta di grandine. Una forma particolare di condensazione diretta dell’umidità atmosferica è la rugiada (si forma nelle notti calde d’estate). Se il raffreddamento scende sotto 0°C si ha sublimazione diretta del vapore acqueo con formazione di particelle di ghiaccio (brina). La distribuzione delle precipitazioni sulla superficie terrestre è estremamente disuguale e viene rappresentata sulle carte geografiche mediante le isoiete, linee che congiungono tutti i luoghi con uguali precipitazioni medie (annue, mensili o stagionali) Nello studio delle precipitazioni si tiene conto della loro ripartizione mensile e stagionale (regime pluviometrico), variabile da luogo a luogo della Terra e importante per i suoi riflessi su ciclo vitale delle piante, scorrimento acque continentali, attività umane. È possibile distinguere diversi regimi: ◼ Equatoriale (con precipitazioni distribuite nell’anno); ◼ Subequatoriale (con stagioni asciutte e stagioni umide); ◼ Tropicale (con un periodo piovoso solstiziale e uno asciutto); ◼ Monsonico (con un periodo piovoso estivo e uno asciutto invernale); ◼ Mediterraneo (con un’estate asciutta e un inverno piovoso); ◼ Marittimo (con piogge in tutte le stagioni e concentrazioni invernali); ◼ Continentale (con piogge in tutte le stagioni e concentrazioni estive); ◼ Polare (con scarse precipitazioni, per lo più solide e concentrate in estate e autunno). TEMPO ATMOSFERICO E PERTURBAZIONI CICLONICHE. Il tempo atmosferico è il complesso delle condizioni fisiche che caratterizzano l’atmosfera in un dato momento e in un determinato luogo. È regolato da cicloni temporanei e anticicloni temporanei (quelli permanenti determinano condizioni stabili) che producono perturbazioni del meteo. Tra le più importanti perturbazioni: - cicloni tropicali (o delle basse latitudini): sono i più violenti fenomeni meteorologici che si verificano sulla Terra. Hanno origine in prossimità dell’Equatore, sul lato orientale degli oceani e si spostano da Est a Ovest. Sono accompagnati da intense precipitazioni e da venti velocissimi; Le regioni più colpite sono l’Oceano Pacifico occidentale (Cina, Giappone), Atlantico settentrionale (Golfo del Messico). Ancora più terrificanti ma molto meno estesi sono i tornado (o trombe d’aria): sono simili a trombe d’acqua che si osservano a volte sui mari e si formano durante il mal tempo. Consistono in un lungo e stretto vortice che si protende verso il suolo da una nube temporalesca. Caratteristica principale è il turbinoso moto a spirale attorno a un asse verticale. - cicloni extratropicali (o delle medie latitudini): interessano le medie latitudini e sono dovuti all’incontro di masse d’aria calda tropicale con masse d’aria fredda polare, lungo il fronte polare. Ad essi è legato l’andamento generale del tempo nelle nostre regioni. Con massa d’aria si intende una porzione d’aria estesa orizzontalm. per qualche migliaio di km, nell’ambito della quale non si registrano nette diff. di temperatura e umidità. Le principali masse d’aria si originano nelle zone anticicloniche subtropicali e polari, dove la circolaz. è molto lenta e l’aria ha il tempo di assumere uniformemente le caratt. della superficie sottostante > si distinguono in masse d’aria tropicali (calde) e polari (fredde). Quando si allontanano dal luogo d’origine, vengono modificate dalla sup. su cui scorrono e si possono suddividere in marittime (umide) e continentali (asciutte). Nel momento in cui una massa d’aria tropicale e una polare vengono a contatto, le loro caratteristiche si mantengono inalterate e restano separate da una zona di discontinuità di qualche km (superficie frontale o fronte). La massa più fredda si incunea sotto la più calda. Lungo la sup. front. si forma prima Durante la formazione del suolo si individuano alcuni livelli, detti orizzonti, ogni suolo ha una successione propria di orizzonti. Gli orizzonti presentano le dimensioni delle particelle, caratteristiche chimiche e colorazioni differenti: ogni suolo ha una successione propria di orizzonti. Sono soprattutto le acque di precipitazione che determinano la distinzione tra i differenti orizzonti, poiché queste, penetrando nel terreno, trasportano con sé le sostanze solubili dalla parte più superficiale trasportandole verso il basso (eluviazione) per poi depositarle nelle zone più in basso (illuviazione). Il suolo è continuamente attraversato da flussi di energia e materia che provengono dall’esterno. Può essere considerato come un sistema inserito in un sistema aperto ancora più complesso: l’ambiente. Ogni suolo è soggetto a delle costanti trasformazioni (naturali o umane) che posso essere permanenti (veri mutamenti nelle proprietà del suolo). Una volta completatesi le trasformazioni, e raggiunto lo sviluppo completo del sistema suolo, questo risulta in equilibrio dinamico con l’ambiente. L’equilibrio può essere turbato da eventi naturali e umani attraverso interventi distruttivi che portano alla desertificazione, erosione e disboscamento. LE CONDIZIONI CLIMATICO-AMBIENTALI E LA PRESENZA DI PIANTE E ANIMALI. Le condizioni climatiche influiscono sul tipo e sulla densità della vegetazione e sulla diffusione della fauna. La distribuzione delle specie vegetali dipende da: ◼ LUCE: Ogni specie vegetale può svilupparsi in un determinato intervallo di intensità luminosa. Si riconoscono piante sciafile (che necessitano di poca luce) e piante eliofile (che richiedono molta luce); ◼ CALORE. Esiste un intervallo di temperatura ottimale per ogni specie. In base alle esigenze termiche si distinguono piante megaterme (temp. media oltre i 20°), mesoterme (15-20°), microterme (O°-15), echistoterme (inferiori a 0°). ◼ ACQUA. Viene assorbita dalle piante dal suolo, incidendo sul ciclo biologico delle piante. Fondamentale è la distribuzione delle precipitazioni durante l’anno. In base alla necessità di acqua abbiamo piante igrofile (ambienti umidi), mesofile (media umidità), xerofile (zone aride), tropofile (si adattano). ◼ VENTO. Azione meccanica in genere dannosa, ma correnti importanti per l’impollinazione. Per quel che concerne la distribuzione della fauna, esigenze ambientali simili determinano lo sviluppo di formazioni vegetali e lo sviluppo di particolari associazioni animali. Anche nei confronti della fauna possono esserci numerosi fattori di influenza che ne determinano la distribuzione, come: luce, calore, variazione della pressione atmosferica (per i volatili), umidità e vegetazione. Le specie animali e vegetali che vivono in una data zona della Terra sono legate da diversi tipi di interazioni (predazione, commensalismo, simbiosi, mutualismo, parassitismo). Esse formano una comunità biologica (biocenosi) che interagisce con l’ambiente fisico circostante (biotopo). Un biotopo e la relativa biocenosi costituiscono un ecosistema. Più ecosistemi possono costituire grandi ambienti relativamente unitari detti biomi (formazione vegetale dominante e associazione animale più o meno tipica). La distribuzione mondiale dei biomi dipende dalle condizioni climatiche. IL PROBLEMA DELLA CLASSIFICAZIONE DEI CLIMI. La grande importanza dei climi e la notevole varietà di condizioni climatiche esistenti renderebbe necessaria una classificazione rigorosa dei climi, che dovrebbe descriverne gli elementi e i fattori e tenere conto delle cause che determinano ciascun tipo climatico. Una delle classificazioni più efficaci è quella di Köppen. Nel primo schema proposto da Köppen, che individua 11 tipi climatici, ogni tipo climatico prendeva il nome della pianta o dell’animale più caratteristico di quella particolare configurazione ambientale-climatica. Köppen però successivamente giunse ad una classificazione che, pur considerando le differenti formazioni vegetali, considerava valori reali della temperatura e delle precipitazioni e fissava dei limiti termometrici e pluviometrici per distinguere i vari tipi climatici. Vennero quindi individuati 5 gruppi distribuiti secondo latitudini crescenti dall’equatore ai poli e indicati con le lettere dell’alfabeto. Nella classificazione di Köppen vengono individuati 5 grandi gruppi climatici. I diversi gruppi climatici vengono distinti in funzione delle formazioni vegetali presenti e di limiti di temperatura e di precipitazioni. Ciascuno dei grandi gruppi climatici comprende due o più tipi climatici. A partire dalle basse latitudini si incontrano: – climi megatermici umidi; – climi aridi; – climi mesotermici; – climi microtermici; – climi nivali. Analizziamoli: 1) Climi megatermici umidi: T media annua mai inferiore ai 15° C e precipitaz. medie annue intorno ai 2000- 2500 mm. Le aree interessate da questi climi sono quelle intertropicali. In questo gruppo si distinguono tre tipi di climi (diversi per regime pluviometrico): a) Clima equatoriale (corrispondente al bioma della foresta equatoriale): T intorno ai 25-30° costante. Le precipitazioni sono in genere superiori ai 2000 mm annui e sono ben distribuite (corrispondente al bioma della foresta equatoriale). Questo tipo di clima lo troviamo nel bacino del fiume Congo, lungo la costa settentrionale della Guinea, in Africa, e in Asia, Rio delle Amazzoni, e sulla costa orientale del Brasile e in America meridionale. La carta dei climi dimostra come questo clima non sia distribuito uniformemente lungo l’Equatore, ma lo ritroviamo anche in altri punti come accade per la costa orientale del Brasile, in cui il clima equatoriale è determinato soprattutto dalla Corrente d’aria Calda del Brasile. b) Clima della savana (con il bioma omonimo): T media >20°, abbondanti precipitazioni con differenziazione stagionale e periodi di siccità anche pari a 3 mesi, lo ritroviamo in tutti i continenti tranne in Europa. c) Clima monsonico (corrispondente alla giungla): caratteristico dell’Asia meridionale caratterizzato dalla presenza dei monsoni. Peculiare è il regime pluviometrico con un periodo di intense precipitazioni durante lo spirare del monsone di mare ed uno di siccità durante il monsone di terra. Questi climi si distinguono non tanto per la quantità totale di piogge annuali, ma per la loro distribuzione. Il primo ha un regime pluviometrico regolare, il secondo ha una forte differenziazione stagionale, il terzo è legato ai monsoni. Climi aridi: caratterizzati da scarse precipitazioni e temperature che nel mese più freddo non scendono sotto i 26° C nei deserti caldi, ma raggiungono i -30° C nei deserti freddi. La scarsità delle precipitazioni è legata alla presenza di anticicloni permanenti o alla posizione sottovento determinata dalla presenza di importanti rilievi montuosi. a) Clima predesertico: temperature nei mesi freddi tra i 2 ° e i 22° e nel mese caldo tra i 22° e i 34°. La vegetazione è aperta a causa dell’assenza di alberi, mentre la fauna, proprio per il tipo di vegetazione presente, è caratterizzata da animali di piccola taglia. b) Clima desertico: caratterizzato da forti escursioni termiche giornaliere e annue e da precipitazioni scarse. I deserti caldi sono caratterizzati da forti escursioni giornaliere e da elevate temperature che favoriscono l’evaporazione. Nei deserti freddi, predominano le escursioni termiche annue determinate dalla continentalità delle zone, e dalla notevole distanza dal mare e alti rilievi montuosi che limitano il raggiungimento dell’aria calda. 2) Climi mesotermici: tipici delle medie latitudini. Le temperature medie del mese più freddo variano dai 2°C a 15°C. Le P sono in quantità variabile ma in grado di garantire una copertura vegetale continua. In funzione del regime pluviometrico ritroviamo 3 tipi climatici: a) Clima sinico con abbondanti precipitazioni estive legate alla presenza di monsoni. È una varietà del clima monsonico e ne rappresenta una continuazione fuori dai tropici (Asia orientale). b) Clima mediterraneo con estati secche per la presenza dell’anticiclone delle Azzorre e precipitazioni invernali legate alle depressioni cicloniche. La vegetazione tipica è la macchia mediterranea. c) Clima temperato fresco con regime pluviometrico regolare poiché influenzato dai venti occidentali o con presenza di un inverno asciutto (Europa occidentale e centro-orientale, Stati Uniti nord-occidentali). 3) Climi microtermici. Periodi freddi più o meno prolungati, da 10° a 2°. Le P si verificano in estate 300mm – 1000mm, ed è frequente la caduta di neve. Queste condizioni sono legate alla presenza dell’anticiclone siberiano sul blocco euro-asiatico e dell’anticiclone canadese del Nordamerica. Si distinguono due tipi climatici: clima freddo a estate calda (con i biomi della foresta decidua e della steppa-prateria); clima freddo a inverno prolungato (il bioma è la foresta di conifere). 4) Climi nivali localizzati oltre i circoli polari. La T media del mese più caldo è sempre inferiore ai 10°C e scende sotto lo zero nelle zone polari. Le precipitazioni sono scarse a causa delle pressioni permanenti. Si distinguono due principali tipi climatici: a) Il clima della tundra, in prossimità del circolo polare artico (Islanda, Groenlandia, Canada polare). b) Il clima del gelo perenne che interessa le zone artiche costantemente coperte di ghiaccio e il Continente Antartico. A questo gruppo climatico appartiene anche il Clima dell’alta montagna che presenta caratteristiche analoghe, ma dovute alle alte quote. LE VARIAZIONI DEL CLIMA DALLA PREISTORIA AI TEMPI ATTUALI. Il clima è mutevole sia nello spazio che nel tempo. Durante l’Olocene (iniziato circa 10.000 anni fa ed epoca geologica più recente) il clima della Terra ha subito varie oscillazioni. Grazie alla Paleoclimatologia (la scienza che studia le variazioni climatiche del passato) conosciamo le oscillazioni climatiche dell’Olocene: – Optimum Climatico Post-glaciale (dall’8300 a.C. si protrasse fino al 2000-1500 a.C.); – Optimum Climatico Medievale (dall’800 al 1200 d.C.); – Piccola Età Glaciale (tra il 1590 e il 1850). Dalla metà del XIX secolo è iniziata una nuova fase climatica caratterizzata da un generale riscaldamento che si è protratto fino alla metà del XX secolo ed è stato interrotto da piccole oscillazioni contrastanti. Durante l’Olocene, cioè dopo le grandi glaciazioni quaternarie, il clima della Terra non è rimasto immutato. Questo grafico evidenzia le principali variazioni termiche che si sono verificate dalla preistoria ai tempi attuali. IL TEMPO, IL CLIMA, L’UOMO E IL RISCHIO DI «RISCALDAMENTO ATMOSFERICO GLOBALE» Dalla metà degli anni Settanta del XX secolo si è registrato un costante aumento della temperatura media del globo, del quale sono responsabili anche gli esseri umani, che, con le loro attività, hanno prodotto un aumento di gas serra (in particolare di anidride carbonica). Le attività umane possono indurre cambiamenti del clima di due tipi: - modificazioni volontarie, che mirano a produrre fenomeni meteorologici come le piogge artificiali o ad impedire il loro verificarsi (lotta alla grandine); - modificazioni involontarie, come l’incremento dell’effetto serra, il principale responsabile del rischio di riscaldamento globale. Modificazioni involontarie del tempo e del clima: diboscamento, deviazione dei corsi d’acqua, captazione di grandi sorgenti > alterazione equilibrio ecologico. Più imponente impatto ambientale > inquinamento atmosferico dovuto all’aumento dell’anidride carbonica e di polveri e fuliggini nell’aria, a esplosioni nucleari e alterazione dell’ozonosfera > mutamenti climatici su scala Allo stesso modo esistono mari molto freddi che presentano concentrazioni di sali ben più basse come per il Golfo della Finlandia. I rapporti tra i costituenti principali (NaCl, MgCl2, MgSO4, CaSO4, CaCO3, MgBr2) restano invariati anche al variare della salinità. I costituenti minori e gli elementi in tracce sono presenti in proporzioni variabili perché sono spesso influenzati da fenomeni biologici, come avviene per il fosforo, l’azoto e il silicio. Questi ultimi elementi, indispensabili per la vita, vengono detti nutrienti. Nell’acqua di mare sono presenti anche gas disciolti, che in genere provengono dall’atmosfera. Il contenuto è maggiore nelle acque fredde e poco salate, mentre le acque calde e salate ne contengono di meno. LE CARATTERISTICHE FISICHE IN RAPPORTO CON L’INSOLAZIONE. Tra le caratteristiche fisiche delle acque marine, tutte più o meno interdipendenti e connesse con le caratteristiche chimiche, le più importanti sono: - la densità, la quale aumenta all’aumentare della salinità e della profondità. Aumenta con l’aumentare della salinità (> si abbassa il punto di congelamento) e con la pressione (quindi con la profondità delle acque); - la temperatura, (mediamente pari ai 3,8), pur variando con la latitudine, la stagione, la profondità, è più costante rispetto a quella delle terre emerse, da qui deriva la funzione mitigatrice del mare. Se consideriamo gli oceani, e i mari aperti e temperati, la temperatura in profondità non è mai troppo alta a causa della presenza di correnti fredde provenienti dalle zone polari che, scorrendo verso l’Equatore, rimescolano le acque con una temperatura media intorno ai 0°. Sul fondo atlantico possiamo ritrovare temperature pari ai 2-3°, mentre nel mare mediterraneo le temperature in profondità si aggirano intorno ai 13°. Alle basse temperature delle acque profonde si giunge attraverso gradienti che variano al variare di numerosi fattori. Il profilo termico verticale delle zone calde e temperate rivela che fino a profondità comprese tra i 150 e i 200 m si hanno scarse variazioni, a profondità maggiori esiste uno strato con un forte gradiente verticale della temperatura detto termoclino, che ha uno spessore tra gli 800 e i 1000 m. All’aumentare della latitudine la profondità del termoclino aumenta, mentre manca del tutto alle altre latitudini poiché le acque superficiali, scarsamente riscaldate, hanno già una temperatura bassa, che si mantiene inalterata anche in profondità. Al di sotto del termoclino le temperature diminuiscono con un gradiente minore, fino a raggiungere i valori più bassi intorno ai 4000 m; - penetrazione della luce solare, in funzione di latitudine, stagione, ora del giorno, trasparenza dell’acqua. - colore dato da caratteristiche proprie e riflessione del colore del cielo. L’ecosistema marino comprende: 1. il benthos, insieme di organismi che vivono a contatto con il fondale; 2. il necton, formato dagli organismi dotati di movimento proprio; 3. il plancton, rappresentato dagli organismi animali o vegetali che si lasciano trasportare dalle acque. L’ecosistema marino è minacciato sempre più dall’inquinamento delle acque, non meno grave di quello dell’aria. I MOVIMENTI DEL MARE. L’idrosfera marina è soggetta a numerosi movimenti la cui ampiezza è in genere molto modesta rispetto alle dimensioni dei bacini che la contengono e la cui velocità è piccola al confronto con la rotazione terrestre. Questi moti però non sono trascurabili. Fra i tanti movimenti del mare: 1) le onde, che hanno comportamenti irregolari; 2) le maree, che consistono in oscillazioni periodiche con innalzamenti (flussi) e abbassamenti (riflussi) del livello marino. 3) Le correnti, che sono movimenti costanti. 1. Le onde del mare (moto ondoso) sono generate dal vento che colpisce le particelle superficiali dell’acqua e le mette in movimento (onde forzate). Le onde che continuano ad agitare il mare anche dopo che è cessato il vento per propagazione sono le onde libere. In un’onda si distinguono diversi elementi: – la cresta e il ventre, ossia la parte più rilevata e la parte più depressa; – l’altezza, la distanza verticale tra la cresta e il ventre; – la lunghezza, la distanza orizzontale tra due creste o due ventri successivi. Altri parametri che caratterizzano le onde sono: – la velocità di propagazione, ossia lo spazio percorso nell’unità di tempo da una cresta (o da un ventre), espressa Km/h; – il periodo, cioè l’intervallo di tempo compreso tra due passaggi consecutivi di una cresta per lo stesso punto fisso; – la direzione dell’orizzonte da cui l’onda sembra provenire. L’altezza, la lunghezza e gli altri parametri delle onde possono essere misurati mediante ondametri. Il comportamento e le caratteristiche del moto ondoso variano in funzione del vento e della distanza dalla costa: - In mare aperto le onde non provocano il moto degli oggetti, ma trasportano soltanto energia. Queste onde sono chiamate onde di oscillazione, in cui le particelle di acqua sono soggette a soli movimenti circolari e quindi non si hanno spostamenti orizzontali. - In prossimità della costa, quando lo spessore dell’acque diventa inferiore alla metà della lunghezza dell’onda, le onde di oscillazione sono sostituite dalle onde di traslazione che, oltre all’energia, trasportano anche la materia (l’acqua e ciò che essa contiene). Pertanto, in prossimità della costa l’onda si rovescerà in avanti, precipitando sotto forma di frangente di spiaggia; mentre il flutto di ritorno, che quasi sempre si muove sotto l’onda in arrivo, prende il nome di risacca. In prossimità della costa, a seconda della profondità del fondale si verifica: – la riflessione delle onde, che si verifica quando queste battono contro una costa alta con fondali profondi; l’onda riflessa può conservare buona parte dell’energia che aveva in arrivo e a questo punto si compone con la successiva onda incidente dando luogo all’onda stazionaria, che consiste in una oscillazione verticale del livello marino. È quello, ad esempio, che accade alle barche ormeggiate nei moli. Queste non vengono spinte avanti e indietro dal moto dell’onda di riflessione, ma su e giù dall’onda stazionaria. – In acque basse invece è molto importante la rifrazione delle onde, che proprio a causa dell’andamento del fondale produce uno spostamento orizzontale dell’acqua, ma soprattutto fa incurvare le onde e le rende quasi parallele alla linea di riva. Tale fenomeno è molto importante per l’accumulo di materiali sabbiosi e ciottolosi lungo le spiagge ed è particolarmente evidente ai piedi dei promontori. 2. Accanto al movimento ondoso, il secondo movimento da considerare è quello delle maree. A differenza del moto ondoso, che si manifesta in maniera irregolare e imprevedibile, il fenomeno delle maree presenta i caratteri di un movimento periodico ed è pertanto prevedibile. Le maree sono innalzamenti (flussi) e abbassamenti (riflussi) ritmici del livello del mare. Questi flussi e riflussi si verificano due volte al giorno (giorno lunare:24 ore e 50 minuti) e sono provocate dall’attrazione gravitazionale che la Luna e, in misura minore, il Sole esercitano sulla Terra. La fase di massimo sollevamento delle acque si chiama alta marea, quella di massimo abbassamento prende il nome di bassa marea. La differenza si chiama ampiezza della marea. Le maree sono dovute all’attrazione gravitazionale esercitata soprattutto dalla Luna e dal Sole sulle masse marine e oceaniche. Nel fenomeno interviene anche la forza centrifuga dovuta alla rivoluzione del sistema Terra-Luna intorno al baricentro comune. Le maree sono essenzialmente legate al ritmo dei movimenti lunari. Ma non è questa la sola causa del fenomeno: quando in un punto si ha l’alta marea, essa si presenta anche al suo antipodo: ciò è dovuto al fatto che, oltre all’attrazione lunare, nel fenomeno interviene anche la forza centrifuga dovuta al moto di rivoluzione del sistema Terra-Luna. Nelle zone situate a longitudini di 90° da quelle in cui si verifica l’alta marea lo spessore dell’acqua diminuisce perché l’acqua è richiamata verso le zone di alta marea. In questi luoghi si ha la bassa marea. Il «ritmo» delle maree riflette le variazioni delle posizioni della Terra, della Luna e del Sole. Quando Sole, Terra e Luna sono allineati (Luna piena o Luna nuova) le due forze attrattive si sommano e l’ampiezza di marea raggiunge i valori massimi (maree vive). Quando invece le congiungenti Sole-Terra e Terra-Luna formano un angolo retto (Luna al primo o all’ultimo quarto), gli effetti attrattivi dei due corpi sulle acque in parte si annullano e le oscillazioni di marea sono minori (maree morte). In genere si hanno due alte e due basse maree in poco più di un giorno. Le ampiezze delle maree mutano durante un mese, a causa delle variazioni delle posizioni reciproche di Terra, Luna e Sole. A seconda della zona della Terra in cui ci si trova, in un giorno lunare, cioè in 24 ore e 50 minuti, possono verificarsi: – due flussi e due riflussi di uguale ampiezza (maree semidiurne); – due flussi e due riflussi di ampiezza diversa (maree miste); – un solo flusso e un solo riflusso (maree diurne). Le maree possono causare anche spostamenti orizzontali (correnti di maree), che si differenziano dalle correnti marine perché interessano tutta la massa d’acqua, dalla superficie al fondo, e cambiano periodicamente direzione. 3. Mentre i moti ondosi e le maree sono movimenti del mare che avvengono senza trasporto di acque, le correnti consistono in spostamenti orizzontali di masse d’acqua. Hanno velocità propria e si distinguono dalle acque circostanti per salinità e temperatura. Sono proprio queste differenze che permettono all’acqua della corrente di non mescolarsi a quella nella quale scorre. A seconda che la loro temperatura sia maggiore o minore di quella delle acque circostanti, le correnti superficiali sono distinte in: – correnti calde, che si spostano dalle zone equatoriali ai poli; – correnti fredde, che chiudono il ciclo muovendosi dalle alte latitudini verso l’Equatore. Le correnti marine superficiali influenzano il clima delle aree costiere. Le correnti calde favoriscono l’evaporazione e sono apportatrici di umidità; quelle fredde determinano condizioni di aridità. Una circolazione completa delle masse d’acqua è riscontrabile soltanto nell’Oceano Pacifico e Atlantico, dove le correnti equatoriali, provenienti dalle aree orientali dei bacini oceanici, si scindono in due rami che danno origine alla circolazione oceanica nei due emisferi. Mentre nell’Oceano Pacifico, che ha una forma regolare, la circolazione si sviluppa secondo due circuiti ben distinti, nell’Oceano Atlantico, per la sua forma più allungata, abbiamo una circolazione irregolare in particolare nell’emisfero settentrionale, con dei rami che si spingono fino alle zone polari. L’oceano Indiano presenta solo un circuito completo e regolare. La circolazione oceanica è data dalla rotazione terrestre (forza di Coriolis) che devia le correnti dal loro percorso originario che porta le correnti a formare dei circuiti chiusi e distinti non solo nei singoli oceani, ma anche nei due emisferi: in quello boreale la circolazione si svolge in senso orario, in quello australe in senso antiorario. È fondamentale l’azione dei venti costanti (come gli alisei e i venti occidentali) o periodici come i monsoni > possono portare un’accelerazione della corrente di superficie, rallentarla o addirittura invertirne la rotta. Le correnti profonde sono costituite da acque fredde che scorrono rasenti al fondo dalle alte latitudini verso l’Equatore. Esiste uno scambio globale di acqua e di calore (in superficie e in profondità) tra le zone equatoriali e le zone polari. Un circuito completo tra i vari bacini oceanici si compie in secoli o millenni. Si forma così una falda idrica. Una falda idrica che è contenuta in un acquifero affiorante in superficie ed è limitata inferiormente da un acquicludo è detta falda freatica. Una falda idrica contenuta in un acquifero compreso tra due acquicludi è detta falda imprigionata. In una falda imprigionata l’acqua è sottoposta a una pressione che dipende dalla sua differenza di quota rispetto alla superficie della falda nella zona di alimentazione. Se il dislivello è sufficientemente grande l’acqua fluisce spontaneamente dai pozzi artesiani. La maggior parte delle acque sotterranee si muove con velocità ridotta e con questa lentezza permette ai serbatoi sotterranei di rimanere pieni. Legge di Darcy: Il volume dell’acqua che fluisce in un certo intervallo di tempo è direttamente proporzionale al rapporto tra il dislivello e la distanza orizzontale, sia che l’acqua si muova in un acquifero sia in un tubo aperto. Il più delle volte le acque che si sono infiltrate nel sottosuolo riemergono in tutto/parte dopo un tempo più/meno lungo a distanza variabile della zona di alimentazione, sotto forma di acque sorgive. Le sorgenti sboccano in superficie spontaneamente e possono erogare: normali acque potabili, acque minerali fredde, acque termali, acque termominerali calde. In base alla loro origine si distinguono: sorgenti di deflusso; sorgenti di sbarramento; sorgenti di trabocco; sorgenti carsiche. La portata di una sorgente è la quantità di acqua che sgorga nell’unità di tempo. Essa si esprime in litri/secondo. I CORSI D’ACQUA. Una parte delle acque di precipitazione cadute sulle terre emerse ritorna al mare attraverso i fiumi. Un fiume è un corso d’acqua perenne, alimentato dalle sorgenti, dalle piogge ed eventualmente dalla fusione delle nevi e dei ghiacci. Un torrente è un corso d’acqua intermittente. La porzione di terra emersa che con le sue acque alimenta un fiume (o un torrente) ne costituisce il bacino idrografico o imbrifero, che è delimitato dalla linea spartiacque che lo separa dai bacini adiacenti e racchiude al suo interno un sistema fluviale o reticolo idrografico (formato da corso d’acqua principale + affluenti). Il bacino idrogeologico di un sistema fluviale (o reticolo idrografico) ha estensione e limiti dipendenti dalla struttura geologica e perciò spesso non coincide con il bacino idrografico. Caratteristiche importanti di un corso d’acqua sono la lunghezza, la pendenza (che porta alla divisione del fiume in 3 parti: corso superiore dalla sorgente allo sbocco nella pianura con pendenza mediamente elevata; corso medio nella pianura con pendenza poco accentuata; corso inferiore in vicinanza della foce con pendenza molto bassa) e la velocità, variabile tra corsi d’acqua e nello stesso corso d’acqua. La velocità è legata a numerosi fattori e si può esprimere tramite la formula: 𝑣 = 𝐶√𝑅 × 𝐼 dove 𝒗 è la velocità media, R la profondità, I la pendenza e C un coefficiente sperimentale che tiene conto della natura dei materiali dell’alveo. La velocità della corrente non è uniforme: è maggiore al centro e nella parte più alta, minore presso il fondo e ai lati. La portata di un fiume esprime il volume d’acqua che passa nell’unità di tempo attraverso una sezione trasversale di un corso d’acqua: q=A*v La variazione della portata nell’arco dell’anno costituisce il regime di un corso d’acqua, che è strettamente legato: - alle condizioni climatiche - alla struttura geologica - alla topografia - alla copertura vegetale - alle opere umane Oltre alla portata liquida, vi è una portata solida che indica la quantità complessiva dei materiali che vengono trasportati dalla corrente fluviale in soluzione, in sospensione e per trascinamento sul fondo. L’ energia della corrente fluviale dipende dalla velocità e dalla portata e si esprime: E=q*v2 Il deflusso è la quantità di acque che un fiume porta in mare in un anno. L’afflusso meteorico è la quantità di acqua che cade nel bacino idrografico del fiume in un anno. Il rapporto tra il deflusso e l’afflusso meteorico è il coefficiente di deflusso. I LAGHI E LE CONCHE D’ACQUA MINORI. I laghi sono masse d’acqua, per lo più dolce, raccolte in depressioni naturali senza comunicazione diretta con il mare. L’origine dei laghi può essere definita in base a cause diverse. Determinante è comunque l’abbondanza delle precipitazioni in rapporto alla quantità d’acqua che si perde per evotraspirazione3 per infiltrazione. In base alla loro origine si distinguono: - laghi di escavazione glaciale (laghi di circo e laghi vallivi): I primi occupano le conche scavate da grandi ghiacciai durante le epoche glaciali del Quaternario (laghi alpini sopra i 2000 m di quota). I laghi vallivi sono dovuti all’escavazione profonda di un tratto terminale di valle ad opera delle parti più basse di ghiacciai oggi spariti (laghi prealpini come il lago Maggiore); - laghi di sbarramento: si originano per ostruzione di un tratto di valle a causa di una frana, o di accumulo di materiale, o a causa di una colata di lava (lago Scanno in Abruzzo); - laghi carsici: occupano depressioni causate dall’azione chimica delle acque meteoriche sulle rocce calcaree (lago del Matese a Isernia); - laghi craterici: occupano i crateri dei vulcani spenti, o vaste depressioni vulcaniche formate da gruppi di crateri di esplosione (laghi dell’Italia centrale: Albano, Bolsena, Nemi, ecc.); - laghi di cavità tettonica: causati da acque raccolte in depressioni causate da abbassamenti di porzioni di crosta terrestre a causa di movimenti tettonici (i laghi dell’Africa orientale allineati lungo una grande fossa tettonica); - laghi relitti: masse d’acqua di origine marina rimaste isolate da movimenti tettonici o da addossamenti del livello del mare >> salati (mar Caspio e lago d’Aral); - laghi costieri: si formano per accumulo, verso il mare, di cordoni di sabbia che in alcuni casi sbarrano le acque provenienti dalle terre emerse (laghi delle Landes in Francia, laghi di Lesina e Varano, di Orbetello); - laghi di sbarramento artificiale: formatisi per la costruzione di dighe. I laghi sono alimentati dalle acque meteoriche, da quelle di falda e da quelle degli immissari (fiumi). Parte della loro acqua viene rimossa per evaporazione e mediante eventuali emissari (trasporta l’acqua in eccesso e lo collega al mare). Il bilancio tra l’acqua ricevuta e quella persa è il bilancio idrico del lago. Dipende da: presenza/assenza di collegamenti fluviali, drenaggio e raccolta delle acque piovane, perdite nel sottosuolo, evaporazione. Le principali caratteristiche delle acque lacustri riguardano: ◼ trasparenza: solitamente inferiore al mare poiché gli immissari generalmente disperdono una discreta quantità di detriti in sospensione; ◼ colore: dipende da numerosi fattori, tra cui il tempo atmosferico. Il geografo svizzero Forel ha istituito per i laghi una scala cromatica di 11gradi di tonalità che vanno dall’azzurro al giallastro per la classificazione; ◼ salinità: dipende dalla genesi del lago; ◼ temperatura: dipende dalla latitudine, dall’altitudine, dalla profondità del lago e dalle caratteristiche climatiche locali, nonché dalle temperature dell’immissario. In ogni caso un lago abbastanza grande attenua la rigidità invernale e il calore estivo. Nelle zone temperate e in laghi con una profondità di almeno 10 metri, la distribuzione del calore determina una stratificazione termica verticale delle acque. Nella stagione più calda la colonna d’acqua può essere suddivisa in tre strati di spessore variabile in funzione della profondità e dell’ubicazione geografica del lago: - Epilimnio (strato superiore): le acque sono continuamente rimescolate dal vento con temperature elevate e omogeneamente distribuite - Metalimnio (intermedio): con elevato gradiente termico verticale - Ipolimnio (profondo): dove l’acqua ha temperature inferiori e densità maggiore rispetto agli strati superiori. La dinamica dei laghi è l’insieme dei movimenti delle loro acque. È dovuta principalmente: – all’immissione ed emissione di acque ad opera dei fiumi – ai venti – alle differenze di temperatura all’interno della massa d’acqua – modesti effetti di marea Le sesse sono oscillazioni dell’intera superficie lacustre, causate principalmente da variazioni della pressione atmosferica in associazione al continuo soffiare del vento in una stessa direzione. Le paludi e gli stagni sono distese di acque basse ospitate in leggere depressioni, spesso sotto il livello del mare. Le maremme sono estese piane acquitrinose prossime al mare. L’accumulo dei materiali e relativo innalzamento del letto obbligano le acque fluviali a divagare e ramificarsi. Talvolta l’alveo s’innalza sulla campagna circostante e può dar luogo in seguito a piena o rottura degli argini a inondazioni o alluvioni. I corsi d’acqua producono anche alcune forme in parte di erosione e in parte di accumulo: i meandri (anse a volte molto pronunciate) e i terrazzi fluviali (dall’alternarsi di fasi di erosione e di deposito. I gradini che incidono le formazioni rocciose in posto prendono il nome di terrazzi orografici/di erosione, quelli scavati entro i materiali che il fiume ha depositato si chiamano terrazzi alluvionali). Presso la foce i materiali trasportati possono formare un delta che si estende a mantello con una scarpata sommersa e una parte pianeggiante emersa. Laddove invece i movimenti marini disperdono i sedimenti (> foce larghe e ad imbuto) si formano gli estuari. IL CICLO DI EROSIONE E LE SUPERFICI DI SPIANAMENTO. La sup. terr. è soggetta a movimenti crostali positivi e negativi dovuti a forze endogene che tendono a creare dislivelli e azioni d’attacco da forze esogene che attraverso erosione, trasporto, deposizione demoliscono zone sollevate e colmano depressioni. Il modellamento del rilievo avviene per 3 fasi successive che formano il ciclo di erosione: - Nello stadio di giovinezza i notevoli dislivelli danno luogo a un’intensa e disordinata attività erosiva, le valli sono strette e profonde, i corsi d’acqua presentano cascate e rapide, il reticolo idrografico è disorganizzato; - Nello stadio di maturità le valli si sono estese a monte, il reticolo è ben organizzato, i corsi d’acqua principali hanno quasi raggiunto il loro profilo di equilibrio; - Nello stadio di vecchiaia i versanti hanno raggiunto la minima inclinazione, l’erosione e il trasporto sono molto ridotti, i prodotti dell’alterazione si accumulano in posto, l’alluvionamento invade anche la parte media e superiore delle valli e il rilievo è ridotto a una pianura da cui si elevano rari dossi isolati chiamati rilievi residuali, come nelle Ardenne. Nel caso di ripresa delle attività endogene vi è l’interruzione del ciclo evolutivo e l’inizio di un nuovo ciclo causato da un ringiovanimento del rilievo, altrimenti a ciclo completo si arriva alla formazione di una superficie di spianamento, il penepiano. Un altro tipo di modificazione è quello caratterizzato dall’arretramento dei versanti, in cui il rilievo viene progressivamente demolito ma i suoi versanti conservano la loro pendenza iniziale. Con il procedere dell’evoluzione ai piedi del rilievo si forma un piano debolmente inclinato chiamato pediment; l’ampliamento di più pediment contigui può portare alla loro fusione e si origina così un pedepiano, dalla quale si innalzano rilievi isolati detti inselberg. L’AZIONE SOLVENTE DELLE ACQUE E IL CARSISMO. Il fenomeno carsico consiste nella dissoluzione delle rocce calcaree operata dalle acque meteoriche rese leggermente acidule dalla reazione con l’anidride carbonica. Le forme superficiali, o epigee, più caratteristiche del paesaggio carsico sono i karren, le doline, le uvala e i polje o piani carsici. ◼ I karren sono le forme superficiali più minute e frequenti del carsismo, sono costituiti da solchi separati da creste piatte, arrotondate o anche aguzze e si formano sulla superficie della roccia ad opera dello scorrimento delle acque piovane. ◼ Le doline sono depressioni a imbuto o a scodella con pianta circolare o allungata e talvolta provviste di un inghiottitoio che convoglia le acque meteoriche nelle cavità sotterranee. Nell’evoluzione di una dolina si osserva un progressivo allargamento, dovuto anche alla presenza di terra rossa che essendo argillosa rallenta l’infiltrazione dell’acqua nel sottosuolo e ne favorisce l’azione erosiva sui fianchi della depressione. ◼ Le uvala sono conche composte formate dall’unione di due o più doline. ◼ I polje, o piani carsici, sono ampi bacini carsici dal fondo pianeggiante, su cui si può elevare qualche raro piccolo rilievo detto hum, costituito da roccia più resistente, e sono formati dal congiungersi di molte cavità carsiche superficiali. A volte il fondo di un polje può ospitare un lago temporaneo o permanente. Le forme carsiche sotterranee, o ipogee, più comuni sono le grotte, costituite a loro volta da pozzi e gallerie. I pozzi sono cavità che si sviluppano in senso verticale, mentre le gallerie sono sviluppate in senso orizzontale. Il primo risultato della penetraz. delle acque meteoriche in profondità è rappresentato dalla reazione di piccole cavità fusiformi in corrispondenza delle zone di incrocio di fratture; quando queste si ampliano e sboccano in superficie per crolli successivi della volta, si formano i pozzi carsici. L’ingrandimento delle cavità a sviluppo verticale, quindi, procede dal basso verso l’alto, si ha perciò un’erosione inversa. Nelle grotte carsiche si possono ammirare diverse sculture naturali come le fontane zampillanti, le cascate pietrificate, stalattiti (che partono dal soffitto) e stalagmiti (che si elevano dal pavimento), tutte forme dovute al lento depositarsi del carbonato di calcio delle acque; al continuo asporto di materiali, quindi, si contrappone quest’azione di deposito all’interno delle cavità, che può portare anche al loro colmamento. Nelle grotte vivono alcuni organismi vegetali e numerosi gruppi di animali come i pipistrelli, pesci e anfibi cavernicoli, crostacei e insetti, molti dei quali presentano adattam. all’ambiente in cui vivono: depigmentazione della pelle, riduzione degli occhi fino alla cecità e particolari strutture sensoriali. Anche nello svolgimento del processo carsico (come nell’erosione fluviale) si possono riconoscere diversi stadi di sviluppo che ne caratterizzano il ciclo evolutivo: ► Nello stadio giovanile si osservano doline di piccole dimensioni, a forma di imbuto e in genere provviste di inghiottitoio, scarsità di terra rossa, graduale sviluppo di karren e un impoverimento dei corsi d’acqua per la crescente infiltrazione; ► Lo stadio di maturità mostra doline più ampie con il fondo e i fianchi spesso rivestiti di terra rossa e numerosi karren, inoltre si sono formate le uvala e altre depressioni e l’idrografia superficiale è scomparsa del tutto; ► Nello stadio di vecchiaia, infine, ci sono depressioni sprofondate che mettono allo scoperto tratti sempre maggiori di cavità sotterranee e il rilievo ormai demolito presenta una superficie concava, sulla quale si ristabilisce l’idrografia superficiale. Con il tempo, mentre in superficie si assiste alla graduale scomparsa del reticolo idrografico, si crea una vera e propria circolazione idrica sotterranea con corsi d’acqua, cascate, laghetti e sifoni che regolano il livello delle acque tra una cavità e l’altra. L’AZIONE MORFOLOGICA DEI GHIACCIAI. I ghiacciai esercitano un’azione erosiva mediante due processi: 1) L’estrazione, che consiste nella fessurazione e nella frantumaz. delle rocce per le continue alternanze di gelo e disgelo che si verificano ai margini e sul fondo del ghiacciaio, e nell’azione divaricatrice del ghiaccio che si insinua nelle fenditure e completa la rottura; 2) L’esarazione, che consiste nell’erosione meccanica della corrente glaciale e delle eventuali acque di fusione che scorrono sotto il ghiaccio, le quali escavano il fondo ed esercitano un’azione abrasiva con l’aiuto dei materiali trasportati. In conseguenza alle azioni di estrazione ed esarazione, una regione che è stata occupata da ghiacciai presenta forme di erosione caratteristiche: ◼ I circhi glaciali, depressioni semicircolari dominate da ripide pareti che si presentano spesso a gruppi e sono dovuti alle forti pressioni esercitate dalle masse glaciali nelle zone di accumulo hanno caratteristica forma a poltrona con braccioli; ◼ valli glaciali, a differenza dei circhi, il ghiaccio erode per tutta la sua ampiezza la depressione nella quale scorre e tende a dare alla sezione del letto la forma di semicerchio (meno attrito) > ha una sezione trasversale a U ed è chiamata valle a doccia o truogolo glaciale. Il profilo longitudinale di una valle glaciale presenta una successione di porzioni escavate (ombelichi) e parti in rilievo (soglie). L’erosione glaciale non è limitata da un “livello di base” come quella fluviale poiché l’avanzamento di una massa di ghiaccio non è regolato solo dalla forza di gravità ma anche sollecitato dalla spinta esercitata dalle masse retrostanti. Il ghiaccio dei ghiacciai può superare anche dei tratti in salita e spingere la “sovraescavazione” a profondità al di sotto del livello del mare, dando origini a criprodepressioni. Il ghiaccio non solo erode il fondo e i fianchi rocciosi delle valli, ma ingloba anche tutti i materiali grossi o minuti che cadono casualmente sul ghiacciaio, trasportandoli verso valle. Questi detriti si raccolgono gradualmente verso i fianchi, sul fondo e alla fronte del ghiacciaio, dove formano ammassi più o meno caotici (morene). Le morene laterali sono abbondanti a causa di detriti che cadono dai versanti montuosi e bordano il ghiacciaio per tutta la sua lunghezza, ingrossandosi gradualmente verso valle. Se due lingue glaciali confluiscono in una, le rispettive morene laterali che vengono a contatto si fondono e costituiscono una morena mediana. I materiali detritici che rimangono fra la base del ghiacciaio e il letto sono morene di fondo, quelle che giungono alla fronte morene di fronte. Le morene deposte hanno materiale detritico di massi e ciottoli di ogni dimensione immersi nel limo glaciale. Le forme più imponenti sono gli anfiteatri morenici, costituiti da una serie di argini frontali ad archi grossolanamente concentrici. L’AZIONE DEL MARE SULLE COSTE. Il mare esercita la sua opera di erosione, trasporto e deposizione lungo i litorali (zone di contatto tra parti emerse e quelle sommerse della superficie terrestre). Quest’opera può portare all’arretramento della linea di costa o all’avanzamento della terraferma. L’erosione dovuta ai movimenti del mare è detta abrasione marina e viene attuata soprattutto dalle onde. L’azione del moto ondoso è particolarmente efficace lungo le coste con acque poco profonde, laddove le onde di oscillazione per attrito col fondo si trasformano in onde di traslazione. Si originano così i frangenti. Quando l’abrasione marina agisce in modo uniforme in un tratto di costa alta e rocciosa, in corrispondenza del livello medio del mare si forma una specie di scanalatura (solco di battigia) che si approfondisce sempre più sino a determinare il crollo della parete rocciosa sovrastante (ripa). Si forma così una falesia, una costa alta e in forte pendenza che si mantiene più o meno ripida e arretra progressivamente. La gran parte dei materiali che deriva dalla demolizione della ripa si accumula ai piedi di questa e se il livello del mare non muta, col tempo, si forma una piattaforma di abrasione marina che può in parte emergere durante le basse maree. Col procedere dell’erosione e dell’arretramento della costa, questa piattaforma tende ad allargarsi e ispessirsi fino a che finisce col frenare le onde e proteggere le ripe da un ulteriore attacco, facendo cessare l’arretramento (falesie morte). L’azione costruttiva del mare (diminuzione della velocità > deposizione dei materiali trasportati) porta alla formazione delle spiagge, in zone con acque poco profonde e più o meno riparate. Talvolta i materiali vengono depositati in mare a una certa distanza dalla riva, formando un accumulo che si estende lungo la linea dove si incontrano e si annullano l’onda diretta verso la costa e quella di ritorno (risacca). Si forma così il cordone litoraneo sottomarino, che col tempo può emergere e costituire un vero e proprio lido. I lidi si formano all’ingresso di insenature o baie, allungandosi dalle punte dei promontori che le delimitano e contribuendo così a isolare specchi d’acqua più o meno larghi (lagune) con ristrette comunicazioni col mare aperto. Questi varchi a poco a poco si restringono fino a chiudersi completamente > formaz. di laghi costieri, che in seguito possono essere colmati con materiali detritici dalla terraferma. Anche l’evoluzione delle coste si svolge secondo un ciclo di erosione che tende alla rettificazione della linea di costa. Esso ha inizio con una graduale articolazione della crosta, a causa del vario e progressivo addentrarsi dell’attacco dal mare. A questo stadio giovanile segue uno stadio di maturità (i promontori vengono sempre più demoliti, le insenature colmate di detriti di spiaggia, la formazione di cordoni litoranei e lingue di sabbia tengono a racchiuderle) e infine uno stadio di vecchiaia (la costa diventa rettilinea > rettificazione della linea di costa). Raramente però il ciclo giunge al termine: se la regione costiera si solleva o il livello del mare si abbassa, la piattaforma di abrasione emerge e forma un terrazzo marino lungo la linea di battigia > si instaura un nuovo ciclo indipendente da quello interrotto; se invece la costa di abbassa o il liv. del mare si innalza, il nuovo ciclo può fondersi col precedente > rinforzo dell’attacco e prolungam. verso l’interno della piattaforma di abrasione. In base alla morfologia le coste vengono suddivise in coste basse (spiagge, lidi, lagune, delta, coste di accumulo glaciale. Solo queste ultime sono dovute sempre a fenomeno di invasione da parte del mare; le altre sono legate tanto a emersioni quando a sommersioni) e coste alte (falesie, fiordi, rias, valloni). Queste possono avere andamento rettilineo (unite) o articolato (frastagliate). Opportuno distinguere anche le coste di sommersione dalle coste di emersione. LA DINAMICA DEI LITORALI. Come tutti i tipi di paesaggio i litorali non sono stabili nel tempo. Si verificano cambiamenti sia a lungo che a breve termine. I cambiamenti a lungo termine che si protraggono per tempi geologici sono dovuti esclusivamente a cause naturali. Ne sono responsabili i fenomeni orogenetici, i fenomeni isostatici, le oscillazioni eustatiche del livello marino, la subsidenza delle aree costiere, le oscillazioni del suolo legate a fenomeni vulcanici. I cambiamenti a breve termine che si manifestano in tempi storici, stagionali e giornalieri sono dovuti sia a cause naturali sia a cause antropiche. Ne sono responsabili, ad esempio le opere marittime, i prelievi di materiale sabbioso e ghiaioso degli arenili, gli sbarramenti fluviali (dighe)
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