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La Situazione Politica e Sociale in Italia dopo la Prima Guerra Mondiale, Dispense di Storia Contemporanea

La situazione politica e sociale in italia dopo la fine della prima guerra mondiale. Il paese si trovava in difficoltà a causa del deficit del bilancio statale, dell'inflazione e della necessità di riconvertire le industrie dalla produzione bellica a quella civile. Sussistevano tensioni sociali e si svilupparono tendenze estremiste come il biennio rosso e l'ascesa del fascismo. Il panorama delle forze politiche si modificò completamente con l'affermazione della politica di massa e la creazione di nuovi partiti come il partito popolare italiano e il partito socialista. Anche la conferenza di pace di versailles e le richieste italiane per i territori promessi con il patto di londra.

Tipologia: Dispense

2021/2022

Caricato il 06/12/2022

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benedetta-turazzi 🇮🇹

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Scarica La Situazione Politica e Sociale in Italia dopo la Prima Guerra Mondiale e più Dispense in PDF di Storia Contemporanea solo su Docsity! 6/10 Italia dopo la guerra mondiale L’Italia dopo la fine della prima guerra mondiale si trovò in seria difficoltà. Era tra gli stati vincitori della guerra ma era in condizioni tali da essere considerato un paese vinto. Notiamo che tutti gli stati erano in difficoltà, solo gli USA risentirono meno della guerra. In Italia era presente un deficit del bilancio statale, cresceva l’inflazione, sussisteva il grave problema della riconversione industriale per cui le industrie si erano trasformate in funzione della guerraà producevano armi e dovevano tornare a produrre altro e questo comportava un grande impegno, molto faticoso. Vi era inoltre molta disoccupazione e questo causava molta frustrazione, pensiamo a quelli che erano stati in guerra, che avevano sperimentato le trincee. I soldati erano convinti di poter stare meglio, una volta tornati a casa, ma questo non avvenne: non avevano un lavoro e lo stato non era in grado di creare nuove occupazioni, nuovi lavori pubblici. Evidente quindi un alto tasso di disoccupazione. Ci furono così tensioni sociali e si svilupparono tendenze estremiste (biennio rosso, ascesa del fascismo). Il panorama delle forze politiche si modificò completamente e andò affermandosi la politica di massa. In Italia stava tramontando la vecchia classe dirigente liberale e si crearono i partiti di massa. Nel 1919 nacque il partito popolare italiano (non confessionale – non era una struttura della chiesa cattolica, ma era di ispirazione cattolica. A capo del partito stava infatti un sacerdote siciliano: don Luigi Sturzo), un partito di massa, appunto. Prima i partiti erano più fluttuanti, non esistevano i partiti come li conosciamo ora. Il partito popolare italiano sosteneva idee caratteristiche del pensiero cattolico: era per la tutela della famiglia, auspicava a una riforma del sistema fiscale per renderlo più equo e gravasse meno sui più deboli, propugnava una riforma elettorale a favore del sistema proporzionale ed era favorevole all’ampliamento delle autonomie locali. Il partito socialista già esisteva, era nato nel 1892 a Genova ma ebbe una crescita alla fine della prima guerra mondiale. Il PSI era composito, al suo interno vi erano diversi gruppi e due erano le correnti principali: massimalisti (era prevalente, componente maggioritaria. Erano detti massimalisti perché miravano a un risultato massimo ossia l’instaurazione del socialismo tramite la dittatura del proletariato) e riformisti (erano più moderati). Nel PSI erano inoltre presenti gruppi di estrema sinistra, favorevoli a un più attivo impegno rivoluzionario, a una più stretta adesione all’esperienza dei comunisti russi nel 1917 (era scoppiata la rivoluzione in Russia e si erano poi affermati i bolscevichi). Tra i gruppi di estrema sinistra nel PSI emergevano quelli di Napoli (con Gramsci, Togliatti e la rivista “Ordine nuovo”) e quelli di Torino. Nel marzo del 1919, a Milano, nacquero i fasci di combattimento, fondati da Benito Mussolini, e che sostavano istanze piuttosto avanzate per quel momento, come il voto alle donne (le donne non votavano ancora e solo nel 1946 le donne potranno votare), l’abolizione del Senato, minimi di paga e il sequestro dell’85% dei profitti di guerra (quelli che si erano arricchiti con la guerra venivano definiti come pesci cane di guerra). Queste proposte erano inserite nel Programma del Sepolcro del 6 giugno 1919. I fasci di combattimento (il termine fasci indica gruppo, unione) erano un movimento composito dal pov delle idee ma piuttosto aggressivo e questo si vide molto presto. Già nell’aprile del 1919 i fascisti a Milano assaltarono la sede dell’”Avanti”, giornale del PSI. Finita la guerra, il 18 gennaio 1919 a Versailles si aprirono i lavori della conferenza di pace alla quale l’Italia partecipò tra i 32 paesi che vi presero parti e con l’esclusione dei vinti. L’Italia, inoltre, fu tra le 4 potenze principali della conferenza che furono GB, USA, Francia e Italia. Non deve stupire che la conferenza di Genova si tenne proprio in Italia. Dopo la prima guerra mondiale, l’Italia, pur con le difficoltà, si trovava tra le potenze principali ma presto si troverà in posizione sub-alterna se non addirittura marginale. In base a quanto deciso nella conferenza di pace entrarono a far parte dell’Italia Trieste e l’Istria e il Trentino- Alto Adige. L’Italia ebbe difficoltà nella conferenza di pace per la quale erano presenti Sonnino (ministro degli esteri) e Orlando (presidente del consiglio). Alla conferenza l’Italia chiese i territori promessi con il patto di Londra e, in aggiunta, Fiume dove gli italiani erano in maggioranza. La richiesta di Fiume da parte italiana incontrò, però, opposizione soprattutto da parte del presidente degli USA Wilson. Per protesta, nell’aprile 1919, Orlando e Sonnino abbandonarono Versailles, dove si stava svolgendo la conferenza di pace. Essi, così, tornarono in Italia, dove vennero accolti da manifestazioni patriottiche ma il loro atto di protesta non produsse effetti concreti, non cambiò l’atteggiamento delle potenze e dopo un mese Orlando e Sonnino, tornarono a Parigi. A giugno ebbe fine il governo guidato da Orlando e subentrò un nuovo governo con a capo Francesco Saverio Nitti. Cresceva intanto il sentimento nazionalista, citiamo Gabriele d’Annunzio che diede avvio al mito della vittoria mutilata, la vittoria italiana che non aveva ricevuto un giusto compenso. Nel settembre del 1919, sotto la guida di D’Annunzio, volontari e reparti militari ribelli, con un’azione di forza, occuparono Fiume. Questa avventura fiumana durò quindici mesi. D’Annunzio istituì a Fiume una provvisoria reggenza. Intanto in Italia il malcontento era piuttosto crescente, vi era molta insoddisfazione. Tra il 1919 e il 1920 numerose furono le agitazioni sociali; ci furono tumulti contro il caro viveri, molti scioperi, anche nelle campagne. Queste manifestazioni di insofferenza riguardavano quindi sia i centri urbani, sia le aree agricole rurali. Nel novembre del 1919 si tennero elezioni politiche con il metodo della rappresentanza proporzionale con strumento di lista. Questo metodo comportava un confronto tra liste e non tra candidati. Il risultato delle elezioni fu negativo per la vecchia classe dirigente liberale, ebbero dunque successo i partiti di massa. Il primo partito risultò essere quello socialista seguito dai popolari. In questa situazione e con questi risultati era difficile avere maggioranze forti in quanto socialisti e popolari erano molto distanti tra di loro ed era quindi difficile farli mettere d’accordo stabilmente. Nel giugno del 1920 divenne presidente del consiglio Giovanni Giolitti che sarà molto longevo nella sua esperienza politica. Addirittura, la storiografia parla di età giolittiana per descrivere dagli inizi del secolo alla prima guerra. Giolitti nel suo programma propose l’obbligo di intestare i titoli azionari nel nome del possessore che poteva così essere tassato. Inoltre, propose un’imposta straordinaria dai profitti realizzati dall’industria bellica. Questi due progetti, però, non portarono avere attuazione. G sviluppò negoziati con la Iugoslavia che portarono alla firma del trattato di Rapallo (12 novembre 1920) in base al quale l’Italia conservò Trieste, Gorizia e l’Istria. La Iugoslavia ebbe la Dalmazia eccetto la città di Zara che fu assegnata all’Italia. Fiume fu dichiarata città libera. Nel 1924 Fiume diventerà italiana in base a un nuovo accordo con la Iugoslavia ma nel 1920 a Rapallo fu stabilito che Fiume fosse città libera. D’Annunzio non voleva saperne di abbandonare Fiume ma la situazione era insostenibile di fronte alle potenze europee. Venne posto termine all’avventura di D’Annunzio, con l’intervento delle forze armate italiane che bombardarono d’Annunzio e i suoi. Ebbe così fine l’avventura fiumana di D’Annunzio. Giolitti aveva difficoltà anche all’interno dell’Italia. Cercò di avviare il risanamento del bilancio statale e a questo scopo venne liberalizzato il prezzo del pane che prima era tenuto basso a spese dell’erario statale (pagava una sua quota ai panificatori). Il prezzo, quindi, aumentò e la cosa obv non piacque perché questo gravò sulla popolazione e fu causa di malcontento. Per Giolitti era difficile tenere sotto controllo la situazione. Nell’età giolittiana G era riuscito a controllare la situazione e gli equilibri politici. Dopo la prima guerra mondiale questo per lui era difficile se non impossibile anche perché il contesto politico e sociale era molto diverso. Nelle fabbriche si andavano diffondendo i consigli di fabbrica che erano organi eletti dai lavoratori. Nel 1920 gli industriali si mostrarono rigidi nell’opporsi alle richieste economiche e normative a favore dei lavoratori e avanzate dai sindacati. A un certo la punto la tensione crebbe e un’azienda milanese decise la serrata – contrario dello sciopero: il datore di lavoro chiude, fermando la produzione e astenendosi dal produrre, lasciando così a casa i lavoratori. Il 30 agosto il sindacato dei metallurgici decise l’occupazione delle fabbriche da parte dei lavoratori. L’occupazione delle fabbriche iniziò subito e si estese rapidamente interessando molte zone d’Italia, non solo la Lombardia e andando oltre il settore metallurgico. Gli operai cercavano di gestire in proprio la produzione e organizzarono una vigilanza e una difesa armata delle fabbriche. Giolitti non volle un intervento repressivo, con la forza, chiestogli più volte, anche da parte degli industriali. Giolitti cercava delle situazioni di compromesso e con la sua mediazione si trovò un accordo tra industriali e sindacati, il 19 settembre, per le questioni economiche e per un progetto di controllo operaio sulle aziende, che però non trovò attuazione. La vicenda dell’occupazione delle fabbriche era stato qualcosa di troppo forte per passare senza polemiche e malumori. Gli industriali rimasero irritati e la borghesia fu allarmata da quello che era successo. I sindacalisti riformisti furono accusati dall’estrema sinistra di aver svenduto l’occasione rivoluzionaria. I massimalisti vennero accusati di non aver saputo capeggiare un movimento rivoluzionario.
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