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La Coscienza di Zeno: Il Ritratto dell'Inettuo e del Fumo, Sintesi del corso di Lingue e letterature classiche

James JoyceLiteratura Italiana Moderna e ContemporaneaNarrativa italiana

Due temi centrali del romanzo 'La Coscienza di Zeno' di James Joyce: il personaggio inettuo Emilio e la sua dipendenza dal fumo. come questi elementi contribuiscono alla struttura e alla forma del romanzo, e come riflettono la riflessione di Svevo sull'uomo e la sua incapacità di affrontare la realtà. Il documento include anche un breve resoconto del quarto capitolo, che affronta la morte del padre di Zeno.

Cosa imparerai

  • Come il personaggio Emilio è descritto nel documento?
  • Come il quarto capitolo della Coscienza di Zeno affronta la morte del padre di Zeno?
  • Come la dipendenza dal fumo di Zeno è presentata nel testo?

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

Caricato il 11/03/2022

giulia-gasparre-2
giulia-gasparre-2 🇮🇹

4

(1)

22 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica La Coscienza di Zeno: Il Ritratto dell'Inettuo e del Fumo e più Sintesi del corso in PDF di Lingue e letterature classiche solo su Docsity! UNA VITA La storia ruota intorno ad Alfonso Nitti, trasferitosi da poco a Trieste dal paese natale, dopo aver trovato lavoro da impiegato presso la banca Maller. Un giorno viene invitato a casa del banchiere, dove si riunisce un salotto letterario, guidato dalla figlia di Maller, Annetta. Qui, Alfonso cerca il suo modo di emergere socialmente, mostrando le sue ambizioni letterarie. Conosce quindi Annetta con cui intreccia una relazione amorosa, un rapporto tra una donna capricciosa e volubile e un uomo desideroso di riconoscimento sociale e artistico. Fa amicizia, inoltre, anche con Macario, giovane ambizioso e sicuro di sé. Per Alfonso sembra essere giunto il momento più favorevole (è sul punto di sposare Annetta), ma l’uomo, improvvisamente, ritorna nel suo paese, in una sorta di fuga dalla sua nuova vita per dedicarsi nuovamente alla speculazione interiore e per assistere la madre malata, che muore poco dopo. Il ritorno di Alfonso a Trieste non corrisponde al recupero della situazione precedente: Annetta sta per sposarsi con il cugino, al protagonista viene affidato una mansione meno importante in un altro ufficio e i suoi tentativi di riottenere il favore della famiglia Maller sortisce l’effetto opposto. Alfonso, ormai, si sente odiato e perseguitato dai Maller, che ormai pensano che questo voglia ricattarli. Il protagonista chiede ad Annetta di poterla incontrare per chiarire la situazione, ma all’appuntamento si presenta il fratello, che sfida l’uomo a duello. Alfonso, vittima della sua inettitudine e credendo che Annetta desideri la sua morte, si suicida. La notizia del suo decesso viene affidata dall’autore a una fredda, impersonale e ipocrita lettera della Maller, in cui viene dichiarata, falsamente, sconosciuta la ragione del gesto dell’impiegato. Svevo in Una vita presenta per la prima volta la figura centrale dei suoi romanzi e di opere di altri autori coevi o di poco successivi, l’inetto: incapace di vivere con gli altri, caratterizzato da un continuo senso di inadeguatezza, dedito all’introspezione e paralizzato nel momento della scelta. Alfonso Nitti incarna questo personaggio, non riuscendo ad integrarsi nel mondo alto-borghese che la famiglia Maller incarna, impossibilitato a godere delle gioie che la vita gli concede, ma concentrato sulla propria drammatica condizione di uomo. La realtà del protagonista, dopo il ritorno a Trieste, diventa priva di ideali e desideri e culmina con la sua stanca resa di fronte alla propria inettitudine, il suicidio finale. Tutta l’esistenza di Alfonso sembra caratterizzata da un pessimismo e una negatività di fondo, sempre pronti ad esplodere e intaccare la superficiale serenità ottenuta. Non a caso, Svevo ammette di essere stato influenzato, nella stesura del romanzo, dalla filosofia di Arthur Schopenhauer: e in effetti nel romanzo ritorna costante il tema della volontà individuale, debole e insufficiente ad affrontare la realtà del mondo, e quello della negatività della vita sociale, da cui l'uomo d'eccezione dovrebbe distaccarsi, rifiutando la sorte mediocre degli uomini comuni. LE ALI DEL GABBIANO Nel brano “le ali del gabbiano” l’autore presenta l’opposizione tra Macario, il lottatore, e Alfonso Nitti, il contemplatore. Mentre Macario si dimostra sicuro di sé e in grado di far avanzare la barca, Alfonso appare timido e timoroso. Macario fa notare ad Alfonso Nitti il volo del gabbiano: “Il gabbiano” gli dice “è fatto per essere un predatore perché ha un cervello piccolo e ha lo scopo di aggredire (ruolo del lottatore) i pesci (le prede, i contemplatori)”. Il gabbiano ha le ali perché è nato con esse, ma chi non è nato con le ali non può averle anche volendo. Il messaggio che egli sottintende è che Alfonso Nitti può compiere solo voli pindarici (inutili in concreto). VI è dunque l’opposizione tra l’intellettuale (il contemplatore), che si nutre di cose astratte, e il lottatore (il gabbiano), che si ciba di cose concrete. LA COSCIENZA DI ZENO Dottor Esse (Esse sta per Sigmund Freud): parlerà nella prefazione Il titolo è sganciato, no ordine cronologico/logico Tempo non lineare. La storia: Zeno che in tarda età si rivolge allo Psicanalista perché vuole tentare una cura, S. gli consiglia di scrivere un diario, ma alla fine Zeno litigherà con questo perchè non lo reputa credibile, non lo vuole neanche pagare, S. pubblica il diario di Zeno. Dottore: vendicativo, attaccato alla lira, vuole ricevere guadagno dalla pubblicazione del diario - avrebbe diviso il guadagno con Zeno. Zeno: bugiardo ma possiede anche tante verità. Attraverso questo diario sappiamo la sua vita, figlio di un commerciante, il padre sperava il padre portasse a termine i suoi studi universitari - ma non riesce, il padre lo reputa un incapace, il padre quando muore affida la sua eredità all’amministratore di sostegno. Non ha fiducia nel figlio, anche se geniale ha degli interessi ma non conclude nulla Zeno ci tiene tanto al padre, ma con la psicoanalisi, conserva un legame con la mamma, non riesce a staccarsi da lei. Giovanni Malfenti: Alda, Alberta, Augusta (3 figlie), si innamora di Alda - ha interessi culturali, teatrali. Alda ha già un fidanzato, Zeno si rivolge ad altra sorella (inquieta) e si rivolge alla più brutta ad Augusta (antitesi di Zeno). Scegli Augusta perchè mediocre. Zeno la vuole sposare. Mentalità borghese: bassi propositi, quieto vivere. Sogno di Zeno: il mondo borghese che in realtà condanna; Ada si è sposata con Guido. Guido e Zeno si mettono in società, poi succede che il cognato si suicida per problemi di soldi. Al giorno del funerale, Zeno si accoda ad un altro funerale perchè sbaglia funerale. (Lapsus, atto mancato - Freud). Dietro l’atto mancato c’è una ragione: perché lo odia, si è sposato Ada. Con l’arrivo della guerra, l’inetto diventa un uomo d’affari - la sua sanità coincide con la malattia del mondo. Alla fine di questo romanzo dirà:”io sono guarito, il mondo è malato” - il mondo si salverà quando ci sarà un’esplosione cosmica a riporre l’ordine (2 guerra mondiale). Lui non riesce a smettere di fumare - lo psicanalista decide di fare un percorso Il romanzo è narrato da Zeno: narratore inattendibile, si maschera con autoinganni. Zeno non sarà solo oggetto di studio, ma anche oggetto del suo studio Aspetto positivo di Zeno: aperto al cambiamento, sempre alla ricerca di qualcosa, è nevrotico. IL FUMO Il capitolo terzo della Coscienza di Zeno riguarda il vizio del fumo del protagonista, una dipendenza sviluppata fin da ragazzino e sempre combattuta senza successo. Zeno ricorda la sua prima sigaretta fumata da adolescente, inizialmente rubando i soldi al padre poi, dopo essere stato scoperto, fumando i suoi sigari avanzati. A vent’anni Zeno si accorge di odiare il fumo e si ammala, ma nonostante la malattia decide di fumare un’ultima sigaretta; ed è qui che si evidenzia per la prima volta la vera malattia psicoanalitica del protagonista. Inizialmente Il fumo è per Zeno una reazione al rapporto con il padre - i cui rapporti saranno sviscerati nel capitolo La morte di mio padre - poi si allarga a forma di difesa verso la realtà circostante e il mondo intero. In tal senso, ogni tentativo di smettere di fumare non è che uno stimolo ulteriore al desiderio, tanto più se il complimento per la propria perseveranza viene da una figura come quella del padre. Da qui nascono i continui e vani tentativi di smettere di fumare, perché, come ammette Zeno, “quella malattia mi procurò il secondo dei miei disturbi: lo sforzo di liberarmi dal primo”. Le giornate di Zeno finiscono "coll’essere piene di sigarette e di propositi di non fumare più”. La vicenda del fumo viene affrontata sempre con una prospettiva ironica e demistificante, raggiungendo i migliori esiti nel momento in cui viene presentata la sigla "u.s. (ultima sigaretta)". Questa sigla e la data vengono apposte su libri, diari, agende, muri e qualsiasi cosa passi sotto mano al protagonista. Ma la malattia del fumo si rivela essere in realtà un'altra "malattia della volontà", cioè l’incapacità di Zeno di perseguire un fine, e riflette il senso di vuoto nella sua vita, scaturito dalla impossibilità di affrontare l’esistenza e il mondo. Ed è proprio questa l’inettitudine, descritta da Svevo, caratteristica dei suoi romanzi a partire da Una vita. La voce narrante (e giudicante) della Coscienza vede nella sigaretta un sintomo della propria inettitudine, di cui però non vuole disfarsi né superare, perché essa costituisce una sorta di autogiustificazione e alibi alla propria incapacità esistenziale. L’inettitudine di Zeno riflette una dimensione più profonda della riflessione di Svevo sull’uomo, che verrà rivelata solo nella conclusione del romanzo: la malattia del protagonista è comune in realtà a tutti gli uomini che vivono nella società contemporanea, alienante e contraddittoria. Il solo modo possibile per affrontarla è mantenere un distacco ironico, che faccia emergere la comicità dell’esistenza stessa. Ed è proprio l’ironia la risorsa conoscitiva centrale nel capitolo sul fumo: la distanza, sottilmente percepibile, tra ciò che Zeno dice e ciò che il lettore capisce è cruciale per decifrare la usa "malattia". Lo si vede bene nell’episodio del ricovero di Zeno in clinica per smettere di fumare. Zeno si fa rinchiudere volontariamente ma, una volta in clinica, decide di scappare, corrompendo l’infermiera Giovanna con una bottiglia di cognac e una promessa di rapporto sessuale. L’intera vicenda viene narrata con intenti comici, ma rileva le dipendenze e le ossessioni dell’uomo moderno, caratterizzato da un profondo senso di solitudine di fronte a un mondo malato, egoista e contraddittorio. LA MORTE DEL PADRE Nel quarto capitolo della Coscienza di Zeno si affronta uno degli episodi più drammatici e amari della sua vita, la morte di suo padre. Zeno non è mai riuscito ad avere un saldo rapporto affettivo con il genitore, soprattutto dopo la morte della madre. Il difficile rapporto tra i due uomini viene accennato nel capitolo precedente sul fumo: il fumare diventa per Zeno una reazione al suo senso di vuoto e alla mancanza di una figura paterna forte. La morte del padre appare al protagonista un momento decisivo della sua vita e un passaggio a una nuova età e a nuove responsabilità. Segue poi il lungo racconto sulla malattia e la morte dell’uomo. La vicenda inizia “una sera di fine Marzo”, quando Zeno si reca a cena dal padre e viene avvicinato da una cameriera che lo informa che il genitore ha il respiro affannoso e balbetta. Zeno non si accorge subito della gravità della situazione e sembra invece omettere parti della storia e cercare delle motivazioni per il proprio comportamento, contrapponendo l’incomprensione di quel momento con una consapevolezza tardiva, ripetendo spesso l’espressione: “Capisco ora”. La giustificazione a posteriori del proprio comportamento, tipica del resoconto memoriale che Zeno consegna al dottor S., è così duplice indizio sia della insincerità del protagonista (che non a caso altera alcuni dati del rapporto con la figura opprimente del padre) che della sua incapacità di adeguarsi alla morale vigente, cosa che lo costringe, di fatto, a simulare una commozione che non prova. Il giorno seguente, dopo cena, la scena si ripete: Zeno viene svegliato dalla cameriera Maria poiché il genitore si lamenta ancora. Il protagonista accorre nella stanza dell’uomo, trovandolo sofferente e impotente. Questa vista spaventa Zeno, il cui dolore viene accompagnato da lacrime che hanno funzione autoassolutoria, perché, come afferma il narratore, “il pianto offusca le proprie colpe e permette di accusare, senza obiezioni, il destino”. Questo pianto suona poi ambiguo con le parole successive: “Piangevo perché perdevo il padre per cui ero sempre vissuto”. All’arrivo del medico, il dottor Coprosich, Zeno racconta ciò che era accaduto, omettendo alcuni parti della cena del giorno precedente. Il medico spiega che il padre ha subito un edema cerebrale e non c’è nessuna speranza che sopravviva, ma che potrà riprendere conoscenza. Zeno è spaventato dal fatto che l’uomo possa riacquistare coscienza, e che, risvegliandosi, possa accusare di aver voluto la sua morte. Il protagonista domanda al dottore se non si può farlo morire in pace e privo di coscienza, ma l’uomo a quella richiesta si infuria, ampliando il senso di colpa di Zeno. La scena finale della "morte del padre" rientra perfettamente in questa casistica, e indica ancor meglio l'inaffidabilità di Zeno quale narratore, e la finzione che sta dietro il suo rimorso e il suo senso di colpa. Il padre, ormai agonizzante, riesce ad alzarsi e a schiaffeggiare il figlio. Zeno cerca di imputare la colpa al medico, che voleva obbligare il genitore a stare sdraiato, ma poi si contraddice affermando che “era una bugia”. Ma il senso di colpa viene placato al funerale, quando il protagonista si convince che lo schiaffo non era voluto e che lui era innocente. Zeno si riappacifica, infine, con il padre solo nel momento in cui egli non può più controbattere e spaventare il figlio. Svevo - che prende sempre accuratamente le distanze rispetto al suo personaggi d'invenzione - fa così capire al lettore che per Zeno è possibile accettare la presenza del padre solo quando questi non gli può più nuocere. Esplicita in tal senso la giustificazione, proiettata nel ricordo infantile, di un padre "debole e buono".
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