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RIASSUNTI L'INTERPRETAZIONE DEI FILM A CURA DI BERTETTO, Sintesi del corso di Storia E Critica Del Cinema

Riassunto dei saggi sui seguenti film: Ombre Rosse (John Ford), Quarto Potere (Orson Welles), La finestra sul cortile (Alfred Hitchcock), Fino all'ultimo respiro (Jean-Luc Godard), L'avventura (Michelangelo Antonioni), 2001. Odissea nello spazio (Stanley Kubrick)

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 27/09/2020

Elisabetta.Beritelli
Elisabetta.Beritelli 🇮🇹

4.5

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Scarica RIASSUNTI L'INTERPRETAZIONE DEI FILM A CURA DI BERTETTO e più Sintesi del corso in PDF di Storia E Critica Del Cinema solo su Docsity! L’INTERPRETAZIONE DEI FILM. UNDICI CAPOLAVORI DELLA STORIA DEL CINEMA (BERTETTO) JOHN FORD, Stagecoach (Ombre rosse) L’orizzonte perduto di Ford. Codici, linguaggio, messa in scena (Vito Zagarrio) Zagarrio analizza in Stagecoach le tecniche della regia di Ford, cogliendo particolarità e anomalie che allargano l’orizzonte del classico. Egli studia i modi di realizzazione dei testi del cinema classico come un sistema articolato in percorsi duali che costituiscono la norma attraverso concatenamenti segreti e ampliamenti delle convenzioni. La complessità teorica di Stagecoach (vedi libro pp. 65) Ombre rosse diventa un simbolo di orizzonti perduti, di terre mitiche dell’anima come il vecchio West. Nasce così il Mito americano, la mitologia di spazi aperti (in senso geografico e mentale), di nuove utopie di libertà (politica e fantasmatica), di cui Stagecoach è un turning point fondamentale. Ombre rosse è un film semplicissimo e insieme complesso (nelle sue possibili interpretazioni), che può essere visto con l’ingenuità di un pubblico infantile, anche quando è adulto, o con la densità di approcci metodologici come la psicoanalisi. E’ una favola che resiste al tempo, e allo stesso tempo un caso studio fondamentale per capire lo studio system americano. Un western essenziale e archetipico, ma insieme un film politico sulle basi stesse della way of life americana. Ombre rosse è un film esemplare che può essere usato per illustrare il rapporto che il cinema intrattiene con:  la storia. Non solo perché rappresenta uno dei motivi mitici fondamentali della storia americana, il viaggio verso ovest; ma perché da un lato ci fa capire molto della società che ha prodotto il film (l’America del ’39, all’apice ma insieme al tramonto del new deal, e alle soglie della guerra mondiale), e dall’altro ci fa intuire che il film stesso contribuisce a cambiare modalità e mentalità del paese.  la letteratura. Il film è, infatti, ispirato a/tratto da un noto racconto di Maupassant, Palla di sego (Boule de Suif);  la sociologia (antropologia). Il film può essere osservato, dal punto di vista dei contenuti e delle maschere sociali, come una rappresentazione simbolica della società americana e dei suoi feticci;  l’ideologia. Nel film Ford si diverte a ribaltare di trecentosessanta gradi la ‘maschera di carattere’ (character masque) apparente dei singoli attori sociali. Ecco perché le ‘ombre rosse’ del titolo italiano possono colorarsi di tinte antifasciste o di sensi anticapitalisti;  la struttura (narrativa). Semplice e schematica, tanto che il film è divisibile in una trentina di sequenze narrative, facilmente scandibili anche per identificarne le modalità produttive;  il modo di produzione. Si tratta di un’articolata rete di rapporti tra macro e micro sistemi: da un lato le modalità di produzione dello studio system hollywoodiano e, in senso più vasto, del capitalismo americano tardo-new deal; dall’altro la maniera di organizzare la produzione di Ombre rosse, film da Studio nonostante i suoi celebri esterni;  la psicoanalisi. Il linguaggio filmico può essere visto come indizio di un complesso rapporto tra spettatore e schermo, che coinvolge meccanismi psicoanalitici basilari di rispecchiamento e di identificazione;  il genere. E’ uno dei western più famosi della storia, ma appare anche una commistione di altri generi: la romance, ma soprattutto il road movie, il travel film che è poi alla base del Mito americano.  il gender/l’etnia. E’ assolutamente lecita una lettura femminista e postfemminista, o comunque un’analisi dal punto di vista dei women studies, della rappresentazione della donna in questo film, e dei rapporti tra donne che vengono abilmente descritti da Ford.  l’authorship. Ford ha uno stile riconoscibile, una cifra ricorrente nelle sue opere. Quello di Ombre rosse, d’altronde, è il periodo di grande maturità del regista. Il testo fordiano, dunque:  per un verso, è un caso esemplare del racconto classico hollywoodiano, con le sue regole (codici) e le sue modalità produttive;  per un altro verso, è esempio di come l’autore Ford trasgredisca (mediante scavalcamenti di campo, errori di regia, forzature), consapevolmente o inconsapevolmente, quelle regole e quelle modalità sino a ribaltare profondamente gli assunti ideologici vuoi dello studio system, vuoi dell’intera società americana (del Mito americano). Struttura narrativa e modalità produttive (vedi pp. 65-69) La trama è nota: un disomogeneo gruppo di passeggeri (una prostituta, un bandito, un dottore alcolizzato, un banchiere, un rappresentante di liquori, una donna incinta, un giocatore di professione figlio di un militare) si trova per ragioni disparate raccolto dentro una diligenza (lo stage coach del titolo originale) che viaggia verso la cittadina di Lordsburg. ‘Lordsburg’ sarà, lungo tutto il viaggio (un road compiuto attraverso tappe fisiche e psicologiche, un viaggio filmico composto di 31 segmenti), un nome dall’alone mitico e dal suono vagamente minaccioso; una meta pericolosa, una frontiera fatale. Il film è organizzato in realtà in quattro blocchi molto semplici. Lo sviluppo della sceneggiatura, insomma, è estremamente lineare ed essenziale. Lo ‘spoglio’ della sceneggiatura e la sua realizzazione produttiva sono improntati alla semplicità e al risparmio. Unico ‘lusso’ è la sequenza nella prateria, attorno a cui ruota tutta la macchina economica. Per il resto è un film di interni, anche nell’’apparente’ viaggio lungo il deserto, un paesaggio trasparente che conferma le osservazioni già fatte a proposito del paesaggio urbano negli anni ’30. Gli esterni come gli interni riaffermano quella sorta di claustrofobia che danno le immagini di città degli anni ’30, sempre ‘intra-viste’ in back projection (retroproiezione che fa scorrere immagini pregirate dei paesaggi). Qui la claustrofobia è sottolineata e accentuata dal fatto che anche le riprese in location sono in realtà fatte in uno stesso fazzoletto di terra, in un’area ristretta e ossessivamente ripetuta e riproposta allo spettatore. La buffa sensazione è che la diligenza, nonostante il viaggio presunto, non avanzi mai, e giri ossessivamente su se stessa. Sintassi filmica e modelli di percezione (vedi pp. 69-81) C’è una sequenza, in Ombre rosse, che è diventata un luogo cult della teoria del cinema: quella in cui avviene la prima fermata della diligenza, dopo un primo pezzo del lungo, metaforico viaggio. La scena è in realtà divisa in due distinte sequenze, ritmate da un preciso scandirsi delle inquadrature: entrambe le scene sono introdotte da un establishing shot, cioè un’inquadratura che stabilisce le proporzioni, il campo, lo spazio dell’azione, e chiuse da un piano corrispondente. ORSON WELLES, Citizen Kane (Quarto potere)  (approfondimenti presi dalapprofondimenti presi dal libro Che cos’è la narrazione di Bernardelli, pp. 17-18) La materia di cui sono fatti i sogni. Monologo, soggettività e onirismo in Quarto potere (Giulia Carluccio) Carluccio ripercorre Citizen Kane, e coglie la varietà del progetto di regia, approfondendo alcuni snodi legati al punto di vista e alla morte. Inoltre, coglie una linea di significazione nascosta che emerge dentro le molteplicità stilistiche del sistema testuale del film. 1. Introduzione (vedi pp. 109-113) E’ addirittura banale ricordare come alla complessità testuale e semantica di Citizen Kane corrisponda quale naturale conseguenza la complessità dell’avventura analitica e ermeneutica. La complessità dell’opera di Welles, di cui Citizen Kane, è insieme manifesto, sineddoche, simbolo, è in una parola una complessità estetica e culturale che eccede il cinema. Citizen Kane è anche il film per eccellenza della profondità di campo e del pianosequenza, ed è anche per eccellenza un film di montaggio. La scrittura del film di Welles è, inevitabilmente e coerentemente, un labirinto senza centro, come il discorso tematico che porta e confonde con sé. Il film di Welles resta a tutt’oggi non solo l’opera cinematografica più celebrata dalla critica o dagli stessi cineasti ma anche e soprattutto quella più analizzata e discussa. Il senso e la struttura del film, ma soprattutto la sua analizzabilità sono interessati dal tema della relatività della verità e dell’impossibilità di giudizio. 2. Dentro Citizen Kane: percorsi interpretativi e scrittura filmica (vedi pp. 113-127) Nel film emergono non solo il tema della relatività della verità o dell’impossibilità di giudicare un uomo, ma quello della vanitas e della corruttibilità, dissolubilità di gesti, azioni, comportamenti, pensieri, nel nulla. Inoltre, il tema della morte risulta il tema morale ed esistenziale per eccellenza del film , il tema cui tutti gli altri si riallacciano (il tema stesso del potere è legato all’idea della corruzione fisica e morale, alla perdita dell’innocenza e quindi dell’infanzia, dell’avvicinamento alla morte). E in stretto collegamento con il tema dell’infanzia, è possibile anche riconoscere una dimensione fiabesca. Quarto potere appare come un’efficace testimonianza critica sulla società americana (realismo storico-sociale). Così come, pure, il film fornisce un’analisi precisa e spietata del mondo della stampa e del sistema dei media che vi si collega e presenta anche tutta una serie di elementi cifrati, assonanze, doppi sensi ecc. Uno dei motivi essenziali del film è la duplicità, ravvisabile a ogni livello: nei personaggi a partire dallo stesso protagonista, negli oggetti, nella struttura narrativa del film, nello stile allucinato e fantastico della scrittura. La struttura del film comprende: film egli è infatti più attratto dal suo voyeurismo metodico che dalla donna che tenta ripetutamente di sedurlo. JEAN-LUC GODARD, A bout de souffle (Fino all’ultimo respiro) La libertà e il nulla (Paolo Bertetto) Bertetto analizza lo stile della regia del Godard di A bout de souffle, correlandolo alle figure dell’immaginazione esistenziale, dalla libertà al nulla. Egli individua in questo film la relazione inscindibile tra un immaginario della libertà esistenziale e della crisi e uno stile della messa in scena libero, disgregante e innovativo. A bout de souffle non è solo un film. E’ un mito. E non è solo il primo lungometraggio di Godard. E’ il manifesto delle Nouvelles Vagues internazionali e l’affermazione assoluta e romantica della libertà dei nuovi soggetti metropolitani. Nel tempo, in A bout de souffle si sono stratificati figure, affezioni, investimenti che riguardano l’immaginario del cinema e degli spettatori in un modo così forte e profondo da diventare una realtà aggiunta al film, che fa parte della vita storica del film. La prima sequenza (vedi pp. 186-190) Fin dall’inizio A bout de souffle rivela strategie di messa in scena complesse, diversificate ed esplicitamente contraddittorie, ora attivate all’interno della medesima sequenza ora (e più frequentemente) effettuate in sequenze differenti, concepite proprio le une in opposizione alle altre. Già la prima inquadratura della prima sequenza si apre con una successione di immagini diverse, che presentano una complessità di elementi e una stratificazione di sensi. La prima immagine del film propone un giornale e introduce subito il mondo artificiale dei massmedia, destinato ad avere un grande rilievo nel cinema di Godard.  La struttura anfibolica della messa in scena. L’immagine del protagonista, il suo volto, la sua gestualità appaiono subito connotati in maniera contraddittoria.  L’immagine fenomenica e la recitazione eccessiva. Le componenti del volto e del vestiario del protagonista, il suo atteggiamento e la sua gestualità, presentano aspetti di singolarità e di anomalia particolari. Il gioco di occhiate, le espressioni del volto, sono eccessivamente espliciti, troppo sottolineati e sopra le righe, e puntano ad oggettivare non solo un microevento particolare, ma anche e soprattutto le procedure specifiche della messa in scena e della recitazione e diversi livelli di esplicitazione della macchina cinematografica. C’è molta esibizione recitativa intenzionale e quindi molto cinema esibito nelle prime sequenze, apparentemente neutre.  Bogart (e il film noir americano). La prima sequenza del film attesta dunque procedure contraddittorie e complessità immaginarie su cui è necessario soffermarsi. Sul piano della configurazione del personaggio, Godard delinea un personaggio contraddittorio che, insieme, cerca l’autenticità (la propria individualità) e costruisce il proprio percorso esistenziale in rapporto a modelli comportamentali immaginari proposti dai media e dal cinema in particolare. L’organizzazione della messa in scena nella prima sequenza non riflette una rottura forte con la tradizione. Aldilà della semplicità apparente, i segni e le tracce della messa in scena segnano la presenza del regista, sono un’esplicita marca enunciativa personale. La seconda sequenza (vedi pp. 190-195) Se nella prima sequenza le tracce innovative e la contraddittorietà produttiva sono intrecciate a soluzioni meno personali e restano almeno parzialmente mascherate, nella seconda sequenza, dedicata al viaggio da Marsiglia a Parigi, la messa in scena godardiana esplicita più palesemente la volontà di rovesciamento dello statuto e delle tecniche del cinema classico e il suo gusto per modi di trasgressione formale più aggressiva. La sequenza ha una funzione narrativa assolutamente centrale, in quanto rappresenta l’omicidio del gendarme, ma sviluppa soprattutto alcune procedure di messa in scena del tutto particolari. Il segmento è organizzato prevalentemente attraverso un intreccio di inquadrature dedicate rispettivamente al protagonista, alla strada, al paesaggio circostante, con un passaggio sistematico e fluido da oggettive a soggettive del protagonista.  Anomalie della messa in scena. Il modo di organizzazione della messa in scena presenta in questa seconda sequenza gradi diversi di anomalia. Le inquadrature sono realizzate con luce naturale, prevalente in tutto il film, che da un lato assicura all’immagine un surplus di verità fenomenica, anche se dall’altro propone un’immagine meno precisa ed efficace sul piano della definizione. E’ quella luce da acquario, di cui si è giustamente parlato a proposito della Nouvelle Vague, e che sembra garantire all’immagine filmica un coefficiente di autenticità in più. Il risultato è un’immagine da reportage televisivo o da cinegiornale, con un alone di verità in più. In tutta la sequenza e nel film stesso, le inquadrature sono infatti spesso apparentemente casuali, intenzionalmente sporche, non presentano una struttura formalizzata dell’immagine, e non appaiono esattamente programmate.  I jump cuts (75). Godard seleziona vari momenti del viaggio, con un’attenzione insieme allo sviluppo della narrazione e alla graduale messa a fuoco del personaggio. Ma insieme costruisce il percorso visivo operando sulla continuità e sulla discontinuità delle immagini in modo assolutamente particolare. Egli infatti non correla le inquadrature successive con i raccordi messi in atto abitualmente dal cinema classico, ma attraverso veri e propri salti, o jump cuts, che costituiscono una violazione palese delle regole non scritte della messa in scena. Taglia impietosamente le inquadrature e non si preoccupa di effettuare alcuno dei raccordi classici, ma spesso giustappone una inquadratura all’altra, determinando dei veri e propri salti nell’immagine proiettata. Si tratta di una procedura del tutto arbitraria e sicuramente irregolare e provocatoria, che attesta da parte di Godard un atteggiamento di rifiuto radicale e ostentato delle regole della scrittura classica e del cinema di qualità. Il ricorso sistematico ai jump cuts è stato motivato da Godard con la necessità di abbreviare sensibilmente il film che nel primo montaggio era di 135 minuti. Una scelta che investe insieme la regia e la forma filmica: il primo evidente aspetto di questa tecnica è infatti quello della rottura provocatoria, intenzionale e reiterata della tradizione registica. Godard intende presentarsi insieme come esperto conoscitore della storia del cinema e come provocatore capace di rovesciare le regole invalse, per affermare un modo fortemente innovativo di fare cinema. Insieme la scelta godardiana riflette anche la volontà di svecchiare le tecniche del cinema e di renderle più funzionali a un ritmo di immagini, a un concatenamento visivo più libero e meno codificato.  L’irrilevante diventa evento. L’evento diventa irrilevante. Si tratta di un modello di rovesciamento delle tradizionali gerarchie di valore e di importanza nella rappresentazione degli eventi narrati che implica in fondo una riduzione minimalistica del modo di raccontare. La sequenza presenta altre procedure di messa in scena particolari. Innanzitutto Godard durante il viaggio in auto propone un monologo ad alta voce, libero e divagante, dispersivo e apparentemente casuale, del protagonista.  Interpellazione. Ad un certo punto il protagonista grazie ad uno sguardo in macchina si rivolge direttamente allo spettatore. E’ un interpellazione diretta che rompe lo statuto di verosimiglianza del film e si contrappone radicalmente allo statuto del cinema narrativo, che non consente il contatto diretto personaggio/spettatore se non in alcuni generi speciali (come il musical e, a volte, il comico). L’interpellazione rompe lo statuto di finestra sul mondo del cinema classico e mostra la macchina cinema e la finzione filmica, disgregando l’identificazione non mediata dello spettatore e sollecitando insieme uno spettatore più consapevole. La terza e la quarta sequenza (vedi pp. 195-198) Frammentazione visiva ed eliminazione dei raccordi. Le due brevi sequenze successive all’arrivo del protagonista a Parigi sono ancora segmenti poco rilevanti sul piano narrativo, ma significativi per le microanomalie della messa in scena. Godard costruisce uno spazio non disomogeneo, ma frammentato, non contrastato, ma discontinuo, che in fondo contribuisce a rafforzare l’idea di estraneità o di opposizione al mondo del soggetto protagonista. Tutte le inquadrature relative all’arrivo del protagonista a Parigi sono montate in modo da realizzare una frantumazione dell’orizzonte spaziale attraverso due procedure di montaggio differenti:  da un lato accostare inquadrature dedicate generalmente a spazi diversi, senza predisporre il minimo coordinamento tra le immagini;  dall’altro delineare frequenti cambiamenti di direzione degli spostamenti del protagonista. L’unità delle quattro sequenze iniziali non è quindi soltanto narrativa, ma è prevalentemente connessa alle strutture e alle tecniche di messa in scena e di formalizzazione. Le quattro sequenze iniziali sono quindi caratterizzate da un uso differenziante della ripresa e del montaggio, che realizzano una sistematica violazione delle regole compositive del cinema classico. Il montaggio smonta e rovescia metodicamente quello che le riprese hanno registrato. Godard propone una composizione frammentata, irregolare, segnata dalla instabilità, dal rovesciamento, dall’anomalia. I Champs-elysèes e la Parigi moderna (vedi pp. 198-203)  Long takes e piani sequenza di durata particolare. L’articolazione delle sequenze prevede segmenti lunghi e segmenti molto brevi. La passeggiata non è solo funzionale allo sviluppo di uno degli assi narrativi essenziali del film. E’ anche un modo per fare entrare la città nel film, come città moderna, dinamica, magari americanizzata, che si contrappone alla Parigi dei quartieri popolari, scelta prevalentemente dal cinema francese di qualità. Ma è insieme un’immagine-simbolo dei nuovi soggetti esistenziali impegnati a inventare la vita aldilà delle regole e dei valori tradizionali, ed è un’immagine vivente di quella fluidità della visione e dell’esistenza, che caratterizza in profondità il cinema di Godard. Egli pare voler affermare l’idea di un cinema fortemente innovativo, ma complesso, concentrato in una negazione delle strutture del cinema classico, ma impegnato ad allargare i modi e le potenzialità del cinema. Il jump cut o il raccordo irregolare possono così sommarsi alle inquadrature anomale o ai piani sequenza e ai complessi movimenti di macchina, per creare un nuovo modello di modernità cinematografica. Questo atteggiamento di Godard riflette la volontà di fare della sua messa in scena insieme una rivisitazione della storia del cinema e una risposta differente alla tradizione e al modello di regia del cinema classico.  Citazione e cinefilia. In questo quadro va letta anche una delle procedure godardiane più ricordata e forse anche sopravvalutata: la citazione. Nel film, infatti, sono molteplici i riferimenti al cinema, articolati in forme diverse, ma tutti dedicati al cinema americano classico. La dimensione autoriflessiva diventa con Godard una componente essenziale del nuovo cinema. Hotel de Suède (vedi pp. 204-210) Si tratta di una sequenza girata tutta in una camera d’albergo, in cui ancora una volta l’irrilevante diventa evento. Ma l’aspetto più significativo è ovviamente costituito dalla sua durata abnorme, in assoluto e nell’economia del film: quasi 23 minuti. La ripresa in continuità è per Godard un modo per far entrare dentro il film il tempo della vita, riflettere attraverso il cinema sulla fluidità e sulla complessità della durata, nonché sulle differenze tra il tempo del film e il tempo della vita. Inoltre, i dinamismi della mdp e dei personaggi riflettono in ogni modo una specifica volontà di Godard di sviluppare dialoghi incisivi tra i personaggi senza ricorrere al campo e controcampo del cinema classico. Godard fa parlare i propri personaggi continuamente e senza curarsi se chi parla è in campo o fuori campo. Il rifiuto del sistema campo/fuori campo, d’altronde segna in maniera particolare il cinema di Godard. La libertà già sottolineata del modo di ripresa è correlata alla libertà della conversazione non finalizzata, apparentemente casuale, certo molto diversa dai dialoghi più codificati del cinema classico. Alla stanza si aggiunge poi lo spazio del bagno, che insieme gioca un ruolo di modificazione dei termini dell’economia visiva e soprattutto consente ai personaggi comportamenti particolari e autoriflessivi davanti allo specchio. Quest’ultimo è infatti una superficie riflettente che permette al soggetto di misurarsi con se stesso e con il proprio volto. Il raddoppiamento del volto che lo specchio consente è infatti, a volte, l’occasione di una presa d’atto della propria soggettività e del proprio corpo, e insieme di un’interrogazione sul proprio essere, ma poi ancora suggerisce sperimentazioni visive, mimiche e smorfie particolari, in cui il soggetto sembra voler verificare la possibilità di trasformarsi e di modificarsi.  La libertà, il nulla e l’essere per la morte. L’affermazione della libertà costituisce la filosofia esistenziale fondamentale del film. Il cinema di Godard è il cinema della disponibilità esistenziale, del mondo inteso come possibilità, come orizzonte di aperture che si presentano al soggetto nella loro variegata molteplicità. Il soggetto capisce che l’esistenza non è data, ma deve essere raggiunta e conquistata ogni volta, perché non solo il soggetto, ma anche l’esistenza è un possibile. Ma in questo percorso scopre che la libertà e la negatività, la realizzazione e lo scacco sono strettamente integrati, sono le due facce della stessa medaglia. La realizzazione e lo scacco sono le due forme del possibile e il soggetto scivola continuamente dall’una all’altra, dal positivo al negativo, dall’autentico all’inautentico, dalla vita alla non vita. Ma quello che fa della creatività di Godard un’esperienza unica è la sua capacità di correlare in una sintesi straordinaria l’immaginario del possibile e del flusso esistenziale con il cinema del possibile e del flusso visivo-spaziale. La libertà e il flusso che caratterizzano il personaggio si realizzano anche nelle tecniche della messa in scena, nell’idea stessa di cinema. L’esito di morte degli eroi anomali e trasgressivi di Godard è insieme legato contraddittoriamente ad una componente romantica di fondo e all’immaginario del film noir americano. Gli eroi della libertà godardiani sono in fondo anime belle del tutto anomale, intenzionate a seguire le proprie scelte e il proprio destino fino alla fine. La morte è centrale nell’orizzonte immaginario godardiano. La sequenza finale (vedi pp. 210-211) La sequenza finale del film definisce ulteriormente insieme la scelta per la morte del protagonista e le modalità complesse e ipersimbolizzate della sua rappresentazione. La scelta per la morte del protagonista è realizzata
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