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Riassunti libro “modelli di intervento nella relazione familiare”, Dispense di Psicologia Clinica dei Legami Famigliari

Riassunti de manuale di Lis, Mazzeschi, Salcuni dettagliati, con descrizioni accurate, esempi, di ogni paragrafo e sotto paragrafo, con tanto di immagini estratte dal manuale

Tipologia: Dispense

2022/2023

In vendita dal 06/05/2023

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camilla-sagrati 🇮🇹

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Scarica Riassunti libro “modelli di intervento nella relazione familiare” e più Dispense in PDF di Psicologia Clinica dei Legami Famigliari solo su Docsity! RIASSUNTI DELVECCHIO (file creato da Camilla Sagrati) Modelli di intervento nella relazione familiare Introduzione Fattori indispensabili su cui si concorda per poter parlare di famiglia: - Comunanza di esperienze e relazioni - Affetto e autorità - Costituzione di alleanze - Rapporti tra i due sessi e tra le generazioni - Struttura familiare (regole, tipi di vincoli, convivenza). 4 tipi fondamentali di famiglia: o Senza struttura: gruppo domestico privo di un nucleo coniugale e di chiari rapporti di sesso e di generazione costituito, p.es., da fratelli e sorelle, da consanguinei o da persone che vivono sole. o Semplice o nucleare: costituita da una sola unità coniugale, sia essa composta dai genitori con i loro figli, da un solo genitore con figli o dalla coppia senza figli. o Estesa: costituita dalla famiglia nucleare con l’aggiunta di uno o più parenti conviventi ascendenti (nonno o nonna), discendenti (nipote) o collaterali (fratello o sorella del marito o della moglie). o Multipla: composta da due o più unità coniugali, ovvero più coppie con figli; può articolarsi ulteriormente a seconda dei legami lungo l’asse generazionale esistente fra i diversi nuclei ed essere costituita da coppie di fratelli spostati con le relative famiglie o da una coppia più anziana che vive con quella di un figlio o di una figlia. - Componente temporale ed evolutiva: la famiglia come processo - Componente economica - Legislazione vigente (famiglia come istituzione) tutti questi fattori sono essenziali per poter parlare di famiglia. In particolare la struttura e le relazioni. PARTE PRIMA – IL MODELLO SISTEMICO CAP 1 – cenni sulla terapia familiare (approccio sistemico-relazionale) Il termine “terapia familiare” viene di solito utilizzato per indicare l’approccio sistemico-relazionale. 1.1 Background storico La terapia familiare nasce negli Stati Uniti alla fine degli anni cinquanta da ricerche parallele di psicoanalisti (Nathan Ackerman, Murray Bowen, Whitaker) e ricercatori clinici di formazione sistemica (Gregory Bateson, Don D. Jackson, Jay Halwey). Il movimento terapeutico familiare esordisce negli Stati Uniti, in un periodo di crescita economica (quello del dopoguerra), e di cauto ottimismo pragmatico. Essenzialmente in questi anni si verifica uno spostamento dell’interesse dei ricercatori verso la sfera sociale. Si assiste a un cambiamento di prospettiva: si assume che ciò che si trova all’interno della mente del paziente sia indissolubilmente legato a ciò che si trova esternamente, nel suo ambiente. Alcuni terapeuti cominciano a porre sotto osservazione il gruppo sociale con cui il paziente è in relazione, prima tra tutti la famiglia. La terapia familiare, che si struttura sotto forma di terapia a breve termine, appare più adeguata, rispetto a quella individuale, a rispondere sia alle esigenze umane delle persone, sia alle esigenze economiche dei servizi sanitai impegnati nella lotta contro nuove forme di malattie mentali, devianza, emarginazione. Negli anni ’50 e ’60, i centri di ricerca e di sperimentazione più sviluppati negli Stati Uniti risultavano concentrati in due punti opposti:  A Palo Alto in California, filone iniziato da Bateson, Jackson, Haley e Weakland, che applica la scienza tecnologica ai sistemi umani.  Zona New York e Filadelfia, filone che privilegia le teorie psicoanalitiche e l’osservazione diretta di pazienti psichiatrici, ospedalizzati, nell’interazione con le loro famiglie. Entrambi considerano la famiglia la base da cui partire, l’unità su cui impostare il lavoro, che attraverso un progressivo scambio si definisce come un movimento denominato “terapia familiare”. 1.2 Filoni teorici principali Le diverse tipologie di terapia familiare possono essere classificate in sei categorie:  Terapie sistemiche: derivano dalle ricerche sulla schizofrenia e sulla comunicazione effettuate dal gruppo di Palo Alto. Considera la famiglia un sistema governato da regole. È un tipo di terapia pratica. Il gruppo di Milano ha sviluppato al massimo le teorie del paradosso e controparadosso sperimentale dal gruppo di Palo Alto.  Terapie strategiche: questo modello è molto simile a quello sistemico. Usa compiti, rituali e ogni genere di prescrizione che possa liberare il sistema e allinearlo in modo più adattivo. Si concentra esclusivamente sul comportamento e si avvale di tecniche che portino a un rapido cambiamento. La prima sperimentazione di terapia breve strategica fu realizzata dal gruppo di ricercatori del Mental Research Institute di Palo Alto con la collaborazione dell’ipnoterapista Milton Erickson. Il risultato fu un modello strategico di terapia breve. Dalle prime esperienze di Erickson in poi, ha avuto una ramificata evoluzione improntata alla maggiore enfasi data da Haley (Palo Alto) e da Shazer (San Francisco). Il gruppo di Palo Alto ha posto l’attenzione sul circolo vizioso di persistenza di un problema, alimentata dai tentativi di soluzione messi in atto dagli stessi portatori del disagio e, di conseguenza, sull’esigenza di intervenire per bloccare e ristrutturare le tentate soluzioni disfunzionali. Nardone e Watzlavick (1990) compiono una trasformazione del modello: l’obiettivo è stato di far evolvere schemi generali di terapia verso protocolli specifici di intervento per determinate patologie. Grande importanza e attenzione è stata attribuita all’adattamento dell’intervento a ogni singola persona, famiglia e contesto socioculturale. Come già affermava Erickson, infatti, ogni individuo possiede caratteristiche uniche e irripetibili, così come la sua interazione con sé stesso, gli altri e il mondo rappresenta sempre qualcosa di originale.  Terapie strutturali: considerano la famiglia come sistema interattivo e gerarchico. L’esponente più importante è Minuchin. La terapia si focalizza sulla distribuzione del potere all’interno del sistema e si incarica di ristrutturare l’intero sistema.  Terapie intergenerazionali: disturbi del comportamento acquistano senso se inseriti nella storia familiare, che va ricostruita su almeno tre generazioni. Bowen e Framo sostengono l’importanza data ai processi di appartenenza e di distacco dalle famiglie di origine. Bowen lavora sulla differenziazione e individuazione dei vari elementi all’interno della famiglia poiché, nella sua visione, i problemi nascono dalla mancata realizzazione dello svincolo e dall’incapacità ad affrontare direttamente i disaccordi per paura delle ritorsioni. Il modello clinico di James Framo è caratterizzato dall’utilizzo della famiglia d’origine come risorsa terapeutica, secondo l’assunto che le forze transgenerazionali esercitano un influsso critico sulle relazioni attuali; la famiglia è chiamata direttamente a partecipare alle sedute di terapia allo scopo di indagare alla radice i problemi e di arrivare a una diagnosi relazionale e non intrapsichica.  Terapie esperienziali: caratterizzate dalla personale esperienza del terapeuta e dalla sua specifica personalità. È una modalità particolarmente praticata da Whitaker. Tuttavia anche il modello di impostazione umanistica dei processi comunicativi di Satir, che è inserito nel successivo raggruppamento, può essere fatto rientrare tra i modelli esperienziali.  Gruppi “ad hoc”: vengono inclusi alcuni pionieri incompresi, le terapie sovrafamiliari quelle integrative e infine quelle femministe. Relativamente al gruppo femminista, Virginia Satir diede vita ad una notevole schiera di terapeute femministe. Le viene generalmente riconosciuto un ruolo fondante nella si pensa unicamente in termini di rapporti. Viene utilizzato un ulteriore accorgimento per aiutare il terapeuta a lavorare subito in termini di complessità: ogni membro della famiglia sarà invitato a dire come vede la relazione tra altri due membri. Si tratta cioè di indagare in qual modo una relazione diadica è vista da un terzo.  Neutralità: (del terapeuta), cioè un determinato effetto pragmatico che l’insieme dei suoi comportamenti sulla conduzione della seduta esercita sulla famiglia. inoltre, quanto più il terapeuta assimila l’epistemologia sistemica, tanto più è interessato a provocare retroazioni e a raccogliere informazioni, e tanto meno a fare e a pronunciare giudizi moralistici di qualsiasi tipo. il pronunziare un qualsiasi giudizio, implicitamente e inevitabilmente comporta uno schierarsi da qualche parte. Ugualmente egli pone ogni cura nel cogliere e neutralizzare al più presto qualsiasi tentativo di coalizione, seduzione o relazione privilegiata che un membro o un sottogruppo della famiglia tenti di fare. Il terapeuta è tale nella misura in cui si colloca e si mantenga a un livello diverso (metalivello) da quello della famiglia. 2.1.5 sviluppi recenti Era stato ipotizzato che dai principi del modello milanese dovessero derivare metodologie concrete, chiaramente descrivibili e trasmissibili. Obiettivo secondario era stato quello, non facile, di togliere spazio a stereotipi, che da decenni si tramandavano nel campo della terapia familiare. In termini di ricerca in psicoterapia questo può essere definito come un tentativo di costruzione di un manuale. In realtà, già negli anni ’80 il gruppo di Milano sembra scindersi, in quanto se da un lato Boscolo e Cecchin focalizzano la loro attenzione sull’équipe terapeutica, dall’altro lato Prata e Selvini Palazzoli si concentrano invece sul sistema osservato, ovvero la famiglia. L’interesse di Selvini Palazzoli, in particolare, si riflette sul passato della famiglia, sullo scambio intergenerazionale che potrebbe essere causa della formazione di sintomi importanti. Il sistema del paradosso e del controparadosso viene abbandonato per abbracciare invece la cosiddetta “prescrizione invariabile” che permette di capire le famiglie e successivamente intervenire. La prescrizione fornisce un elemento costante contro cui ogni membro della famiglia agisce in modo diverso: in questo modo vengono definiti i sottosistemi secondo i quali è strutturata la famiglia e si evidenzia il ruolo di ciascun membro nel gioco familiare. Gli sviluppi del periodo moderno e postmoderno (1990-2000) del modello di Selvini Palazzoli prevedono da un lato l’osservazione della relazione familiare che può generare il sintomo di uno dei membri e dall’altro lato la necessità di definire i sintomi con maggiore chiarezza. Per la prima volta in questi ultimi anni entrano, nel modello della Scuola di Milano, il processo della diagnosi e la possibilità di offrire una prognosi. In questo periodo nascono dei lavori che si occupano della famiglia del tossicodipendente, dello psicotico, dell’anoressica. L’attenzione si sposta anche sulla sofferenza del singolo componente e sulla conseguente necessità terapeutica di alleviarla attraverso la presa in carico non più necessariamente di tutto il gruppo. Agli antipodi del modello di Selvini Palazzoli si colloca, invece, il lavoro di Boscolo e Cecchin. Il focus si sposta dalla famiglia all’attività del terapeuta. Secondo loro un sintomo non può essere correlato solo a una certa configurazione familiare, ossia è necessario tener conto delle singolarità di ogni situazione umana; la terapia diventa così creazione comune fra terapeuti e clienti di “storie” alternative e attribuzione di nuovi significati alla realtà condivisa. Non si considerano più i pattern d’interazione osservabili, l’interesse si sposta verso le premesse epistemologiche, i significati, i sistemi emotivi e le storie dei clienti; il punto centrale dell’interesse terapeutico sono le premesse dei membri del sistema, terapeuti inclusi. Continuano a usare la seduta strutturata in cinque parti e a servirsi di ipotesi e domande circolari; la diversità sta nel fatto che preferiscono escogitare per ogni caso e ogni seduta interventi inediti, adatti alla singola famiglia. Dal momento che rifiuta ogni possibilità di categorizzare i clienti in tipologie, si tratta di una terapia che, nonostante abbia una teoria generale e una teoria della tecnica, manca di una teoria clinica, cioè di una teoria eziologica delle patologie. Tale via non normativa rende difficile la convivenza fra la terapia sistemica e i sistemi sanitari e sociali, dove sono richieste diagnosi e norme. 2.2 Salvador Minuchin e le terapie strutturali 2.2.1 background teorico Minuchin viene definito come l’ideatore del modello strutturale. Egli trae dalle sue esperienze di vita infantili il senso della struttura familiare come sede di organizzazione, di interdipendenza, di regole per salvaguardare sia il funzionamento del sistema familiare nel suo complesso sia i margini di libertà di ciascun componente. La struttura e l’adattamento sono concetti fondamentali in quest’approccio per la terapia familiare. Secondo l’autore la struttura della famiglia è un insieme implicito di regole che organizzano il modo in cui i membri interagiscono. Ma poiché la famiglia si evolve nel tempo, alla sua organizzazione si impongono ciclicamente delle ristrutturazioni. Per il buon funzionamento del sistema familiare, risultano essere fondamentali la chiarezza dei confini tra i sottosistemi e il rispetto della gerarchia. Secondo l’autore il funzionamento della famiglia poggia su alcuni cardini fondamentali: una struttura gerarchica tra le generazioni; la definizione di regole di comportamento; uno stile transazionale compreso fra gli estremi famiglie disimpegnate (legami deboli, scarso senso di responsabilità) e famiglie invischiate (toppo rigidamente collegate, mancanza di chiarezza di confini). Il concetto di struttura include contorni, allineamenti e potere.  Contorni, sottosistemi e adattamento I contorni sono generati dalle regole definite da chi e da come partecipa al sistema famiglia (ibid). ogni specifico componente della famiglia è potenzialmente e simultaneamente coinvolto in diversi sottosistemi che definiscono i ruoli e le identità (es. una coppia e anche madre e padre). I sottosistemi sono dunque “strutture sociali” tramite cui una famiglia differenzia ed effettua le relative funzioni. Le differenti funzioni dei sottosistemi possono richiedere a un individuo di parteggiare, o “allinearsi”, con un sottosistema a discapito di un altro; così le alleanze che oltrepassano i contorni dei sottosistemi e diventano più potenti possono condurre a disfunzione. Il potere si riferisce all’influenza relativa di ogni membro sul risultato di un’attività. Ci sono tre tipi di contorni:  Ben definiti: considerati sani e permettono agli individui di effettuare le mansioni adatte per ognuno dei sottosistemi quali i rapporti di matrimonio, il rapporto parentale e una sana collaborazione e la competizione.  Diffusi: sottosistemi avviluppati (intricati) dove i legami sopraffanno l’indipendenza.  Rigidi: contraddistinguono famiglie disimpegnate, in cui, per superare la barriera fra due o più sottoinsiemi, viene richiesto uno sforzo elevato. Viene infine definita adattamento la capacità della famiglia di rispondere agli stress che possono derivare da tre fonti diverse: i conflitti intrafamiliari, il conflitto fra la famiglia e il relativo contesto ambientale (p.es. lavoro o pressioni della scuola) e i cambiamenti inerenti allo sviluppo della famiglia. La capacità di una famiglia di funzionare bene dipende dal livello di definizione, flessibilità, elaborazione e coesione di cui è capace. 2.2.2 definizione di famiglia sana vs famiglia patologica Si tratta di distinguere tra famiglie funzionanti e famiglie disfunzionali. La disfunzione può riguardare una qualunque delle tre dimensioni della famiglia: struttura, sviluppo e adattamento.  Struttura: i problemi strutturali possono portare a un elevato grado di invischiamento o disinnestamento; formazione delle alleanze o delle coalizioni all’interno della famiglia.  Sviluppo: le disfunzioni si verificano quando la famiglia non riesce a fare una transizione adatta da una fase del ciclo di vita alla successiva.  Adattamento: le difficoltà si presentano nello sforzo di conformarsi a nuove situazioni, quali una perdita di occupazione, divorzio, la nascita di un bambino o cambiamenti successivi nelle definizioni di ruolo. 2.2.3 indicazioni di rilevanza per il trattamento (ovvero per quali tipi di famiglie il trattamento sembra particolarmente rilevante) Secondo Minuchin, nella maggior parte dei casi la terapia strutturale della famiglia viene applicata quando il paziente identificato è un bambino o un adolescente. Poiché gran parte del metodo strutturale è stata sviluppata tra le famiglie con una condizione socioeconomica relativamente bassa, i ruoli della famiglia sono stati identificati in modo particolare, nel senso che la figura paterna poteva essere rivestita anche da un amico di famiglia o da altri. 2.2.5 struttura del processo terapeutico  Setting La terapia strutturale della famiglia è generalmente applicata da un singolo terapeuta; tuttavia, si riscontrano situazioni di coterapia in cui è presente più di un terapeuta poiché le famiglie particolarmente grandi, caotiche, rigide o conflittuali possono essere assistite meglio nelle disposizioni di coterapia.  Tecniche adottate e loro finalità I terapeuti strutturali della famiglia tendono a presentarsi alla famiglia come disponibili ed empatici, ma anche fermi e direttivi. Questo atteggiamento è riconosciuto come attributo importante per un buon intervento. Ci sono tre categorie rilevanti di tecniche strutturali: a) creazione di una transazione, b) unione con la transazione, c) ristrutturazione della transazione. La creazione di una transazione può essere compiuta attraverso la strutturazione del sistema famiglia, il fornire linee guida e la definizione di obiettivi. Nella strutturazione il terapeuta mette in atto, nei confronti di un qualche membro della famiglia, comportamenti differenti e/o complementari a quelli messi in atto dagli altri membri della famiglia nei confronti dello stesso membro. Lo scopo è quello di elicitare modalità nuove di comportamento all’interno del sistema famigliare. L’efficacia di questo tipo di intervento è aumentata dalla costruzione di un senso di fiducia e stima per il terapeuta. Fornire linee guida è un tentativo da parte del terapeuta di agganciarsi alla famiglia in un pattern di interazione, spesso rispetto al problema presentato. Ciò è solitamente abbastanza agevole: si chiede alla famiglia di raccontare un caso recente di situazione problematica. Una volta che è stato osservato un modello disfunzionale di interazione, il terapeuta si sforza di utilizzare il pattern comunicativo e di interazione identificato in tutte le esposizioni successive, eventualmente incoraggiando la famiglia a essere capace di identificarlo da sé stessa. Infine, il terapeuta cerca di fare sì che la famiglia sia in grado di individuare il pattern senza suggerimenti, interventi o sostituzioni in una forma più sana di interazione. La transazione fa riferimento alla capacità del terapeuta di comprendere le problematiche della famiglia, in quanto fonte essenziale di aiuto per la famiglia. viene realizzata tramite l’uso della metafora e dell’empatia, e con l’impiego di tecniche di sistemazione, di mimesi e di inseguimento. Il terapeuta deve applicare tali tecniche discretamente ed entro un certo limite:  Sistemazione: accettazione da parte del terapeuta, anche se soltanto temporaneamente, della struttura corrente della famiglia. è impiegata spesso all’inizio della terapia, quando un terapeuta cerca di “unirsi” ai vari individui nella loro interpretazione dei problemi della famiglia.  Mimesi: è l’approvazione da parte del terapeuta dei modi impiegati abitualmente dalla famiglia, come il linguaggio e i tempi.  Inseguimento: processo complesso che permette di assistere alle numerose funzioni dei modelli di comunicazione messi in atto dalla famiglia: chi sta parlando, chi risponde e come, che cosa sta dicendo e i numerosi segnali non verbali. Oltre che sentire le parole specifiche di una conversazione, è importante per il terapeuta strutturale sentire l’”ombra” della conversazione, atta a cogliere il relativo processo sottostante. Questo tipo di ascolto chiede al terapeuta la capacità di mettere da parte i suoi propri pensieri, specialmente quelli di ansia, per poter avere completa facoltà e disponibilità ad assistere e condurre la comunicazione. La ristrutturazione della transazione può verificarsi tramite diverse tecniche: focalizzazione sul sintomo (tecnica che considera il problema presentato anche nei suoi aspetti positivi), ricomposizione del sistema (richiede l’aggiunta o l’omissione dei membri del sistema familiare; p.es. se un adolescente incontra difficoltà nella separazione della famiglia, può essere incoraggiato dal terapeuta a sviluppare relazioni e attività fuori dal sistema famiglia; occasionalmente la separazione fisica può essere necessaria per iniziare questi cambiamenti nel sistema), modificazione strutturale. Il lavoro del terapeuta risulta essere conseguentemente un lavoro da “non esperto”, ossia che non dà soluzioni, ma che opera sull’incremento del potere personale e dell’identità dell’individuo. David Epston (1994) oltre all’uso delle domande come veicolo principale di intervento, che lo accomuna a White, adotta mezzi letterari, soprattutto lettere. Secondo la teoria per cui il terapeuta è un allenatore che guida la famiglia e l’individuo a trovare i passaggi giusti per le proprie evoluzioni esistenziali, nel rispetto dell’identità di ogni piccola cultura familiare, l’uso delle lettere ha anche un correlato pragmatico. Il terapeuta annota quanto i clienti dicono nel corso della seduta al fine di essere meglio preparato a scrivere le lettere e di rileggere con i clienti quanto hanno detto durante la terapia. La teoria che problema e persona siano entità separate è in qualche modo generata e rinforzata dal fatto stesso di oggettivare il problema su un foglio di carta; questa prassi contribuisce a consolidare una delle metafore più forti del decennio: la terapia come testo. Nonostante questi autori facciano, come il gruppo di Milano, uso di domande con un minimo intervento di riformulazione e direzione da parte del terapeuta, il carattere delle domande è notevolmente diverso. Le domande circolari (tipiche del gruppo di Milano) tendono a spostare l’attenzione dell’intervistato verso le relazioni con gli altri o verso gli eventi della vita, per poi eventualmente tornare al soggetto, con un movimento dall’esterno all’interno. Le domande narrative, invece, si centrano proprio sull’esperienza soggettiva e sull’identità, per passare in un secondo momento a considerare le relazioni, realizzando così un movimento dall’interno all’esterno. Il punto focale di queste terapie ad approccio narrativo di White ed Epston resta sempre l’individuo. PARTE SECONDA – ATTACCAMENTO E RELAZIONI FAMILIARI CAP 3 – la teoria dell’attaccamento La teoria dell’attaccamento (Bowlby) rappresenta attualmente una delle prospettive più studiate e validate in ambito di ricerca. Bowlby, pur essendosi formato inizialmente all’interno della società psicoanalitica inglese, non viene considerato uno “psicoanalista”, quanto piuttosto un “teorico dell’età evolutiva”. Tentativi di collegare l’attaccamento al trattamento psicoanalitico sono attualmente in corso, ma un modello più generale sulla teoria della tecnica non è ancora ben sviluppato. Un ambito relativo agli interventi familiari in cui attualmente è in atto un grosso tentativo di integrazione è quello tra la teoria dell’attaccamento e interventi familiari di tipo sistemico. 3.1 background teorico Bowlby definisce l’attaccamento come una propensione dell’essere umano a costruire specifici legami affettivi con altri soggetti significativi (generalmente, per il bambino, la madre). Il legame di attaccamento è un tipo particolare di una classe più ampia di relazioni che Bowlby (1973) e Ainsworth e collaboratori (1978) hanno descritto come “legami affettivi”. Il concetto di attaccamento attinge in particolare ai concetti di: - Imprinting: osservazioni etologiche mostrano come il legame che il piccolo stabilisce con la madre sia indipendente dal fatto che la madre fornisca nutrimento e si verifichi come un “imprinting” (gli anatroccoli di Lorenz, 1935); - Bisogno di calore: da Harlow e Zimmermann in seguito alle osservazioni sui primati-> si riscontra una preferenza per una madre manichino soffice che non fornisce cibo, rispetto a una madre manichino duro che fornisce nutrimento. L’attaccamento è un bisogno primario osservabile in tutti gli esseri umani, che ha una funzione biologica di protezione con una propria motivazione interna, distinta e non conseguente al soddisfacimento di bisogni primari legati al comportamento alimentare, come era invece asserito dalla originaria formulazione freudiana. La teoria dell’attaccamento è comunque una teoria spaziale, dal momento che quando si è vicini a chi si ama si sta bene, mentre quando si è lontani si è ansiosi (Holmes). Sentirsi “sicuramente attaccati” significa sentirsi sicuri e protetti. Il bambino è fortemente portato a cercare la prossimità e il contatto con quell’individuo, specialmente in certe condizioni specifiche. Per contrasto, nel caso di attaccamento insicuro, può coesistere una miscellanea di emozioni verso le proprie figure di attaccamento: amore, dipendenza, paura del rifiuto, irritabilità, vigilanza. Si può teorizzare che la mancanza di sicurezza susciti un desiderio simultaneo di essere vicini e la determinazione rabbiosa di punire le proprie figure di attaccamento per il più piccolo indizio di abbandono. Nei confronti della figura di attaccamento, in particolare nella prima infanzia, ma anche lungo il ciclo della vita, viene definito come comportamento di attaccamento, quello che una persona manifesta nel mantenere la prossimità e la vicinanza a un’altra, ritenuta in grado di affrontare il mondo in maniera più adeguata. Si manifesta in particolare in quelle situazioni in cui la persona è spaventata, si sente minacciata e/o in pericolo e si attenua invece quando riceve delle cure. Il comportamento di attaccamento è innescato dalla (minaccia di) separazione e viene mitigato o eliminato dalla vicinanza. In tale modo viene postulata l’esistenza di una organizzazione psicologica interna con un certo numero di caratteristiche specifiche che comprendono schemi di sé e della/e figura/e di attaccamento. Le esperienze precoci di relazione, infatti, creano rappresentazioni interne delle modalità relazionali, dei modelli di attaccamento in cui vengono rappresentati il sé, gli altri significativi e le loro interrelazioni. Verso i due anni, nella maggior parte dei bambini, è possibile riscontrare un comportamento di attaccamento abbastanza tipico; l’integrità dei sistemi comportamentali viene attivata dall’allontanamento della madre o da esperienze paurose e gli stimoli che più facilmente vi pongono fine sono la vista o il contatto fisico con la madre. Dobbiamo a Mary Ainsworth la fondamentale scoperta che le risposte del bambino potevano essere raggruppate in tre distinti, coerenti e organizzati pattern di attaccamento: sicuro, insicuro-evitante, insicuro- ambivalente, in seguito definiti pattern di attaccamento “organizzato”. Successivamente fu aggiunta una quarta tipologia: insicuro-disorganizzato/disorientato, derivata dalla scoperta che anche i genitori potevano diventare sorgente di paura per il bambino e quindi loro stessi esporlo a una situazione che li spaventava, in aggiunta alla paura che poteva derivare da condizioni esterne. 3.2 la misura dell’attaccamento nel bambino Come strumento per l’assessment dell’attaccamento nel corso dell’infanzia, Mary Ainsworth ha ideato la Strange Situation Procedure, una procedura osservativa che, pur svolgendosi in laboratorio, assume un carattere naturalistico. La Strange Situation Procedure si propone di osservare l’attaccamento (e il suo complemento, il comportamento esplorativo) di fronte a indizi naturali singoli e combinati di pericolo. Il bambino e la sua figura di attaccamento, di solito la madre, vengono osservati mentre rispondono a tre tipi di elementi naturali di pericolo: a) Un setting non familiare b) L’approccio di un estraneo c) Due separazioni e riunioni tra il bambino e la sua figura di attaccamento La procedura consiste in otto episodi che, eccetto il primo lungo un minuto per l’introduzione nella e alla stanza da parte di un assistente alla ricerca, sono della durata di tre minuti ciascuno. Gli episodi si susseguono secondo quello che Bretherton ha definito un dramma in miniatura. Nella sequenza degli episodi in cui si struttura, il bambino sicuro gioca felicemente con i giocattoli ed esplora l’ambiente prima della separazione; mostra segni di perdere la madre, quali chiamare o piangere, durante la separazione; cerca la vicinanza immediatamente e attivamente almeno nel periodo della seconda separazione, spesso indicando anche il desiderio di essere preso in braccio; prima della fine di ciascun episodio di riunione, ritorna all’esplorazione e al gioco, ancora una volta sicuro alla presenza del genitore, fiducioso nella sua disponibilità. Tale fiducia e sicurezza viene promossa da un genitore capace di fornire disponibilità e sensibilità ai segnali emessi dal bambino. Il bambino insicuro-evitante non mostra alcun sego di disagio quando la madre lascia la stanza, continua a giocare e a esplorare; quando la madre ritorna, non solo non le fa qualche cenno di saluto, ma attivamente si volta dall’altra parte, la ignora e tante volte addirittura si allontana da lei. Il bambino insicuro-ambivalente mostra comportamenti di attaccamento anche dopo parecchio tempo che la madre è tornata, dimostrando che essa non segnala “sicurezza” al suo ritorno. 3.3 la misura dell’attaccamento nell’adulto L’estensione del concetto all’età adulta è stata indicata come il passaggio allo stadio della rappresentazione. Questo ha portato al concetto chiave di Internal Working Models (IMW), secondo il quale il bambino in fase di sviluppo costruisce una serie di modelli (schemi cognitivo-affettivi) di sé stesso e degli altri basati su modelli ripetuti di esperienze interattive. I modelli operativi individuali del Sé e delle figure di attaccamento sono complementari. Queste rappresentazioni delle interazioni, sottoposte a generalizzazioni, formano dei pattern rappresentazionali relativamente fissi, che il bambino usa per predire il mondo e mettersi in relazione con esso. Il termine working (operativo) sta a significare che la rappresentazione è un processo dinamico, e models rimanda alla struttura relazionale della rappresentazione, cioè di riproduzione della relazione che si struttura nella realtà; internal, poi, definisce il fatto che tali modelli costituiscono gli schemi mentali attraverso cui il bambino interpreta la realtà, garantendo la base delle azioni in molte situazioni relazionali, dentro e fuori la famiglia. Gli IMW sono costrutti cognitivi e affettivi che si sviluppano nel corso dell’interazione tra il bambino e i suoi genitori. Bowlby sostiene che nel corso della crescita e dell’interazione con il proprio ambiente, fisico e sociale, il bambino si costruisce delle rappresentazioni interne che comprendono il Sé e le figure di attaccamento, rappresentazioni che scaturiscono dai pattern relazionali tra il bambino e le figure di attaccamento: se il modello relativo a tali figure è di tipo positivo (genitori attenti, amorevoli, che si prendono cura del bambino) allora il bambino svilupperà un complementare modello del Sé buono e meritevole d’amore e di attenzioni. Queste rappresentazioni diventano a loro volta lo “strumento” attraverso cui il bambino interpreta gli eventi, dirige e orienta la percezione e interpretazione degli avvenimenti. Gli IMW, che si formano durante i primi cinque anni di vita del bambino, funzionano continuamente e in maniera automatica, senza che il soggetto ne sia consapevole. Un bambino con attaccamento sicuro immagazzina un modello operativo interno di una persona che si prende cura di lui, amorosa, affidabile; al contrario un bambino dall’attaccamento insicuro può vedere il mondo come un posto pericoloso nel quale le persone devono essere trattate con precauzione. Secondo Bowlby, gli IMW non dovrebbero essere considerati come rappresentazioni di strategie generali di relazione, ma piuttosto come relazione-specifici. L’autore sostiene che i pattern di relazione precoci possono influenzare il modo in cui il bambino può entrare in relazione con ulteriori caregiver adulti e con i pari e così pure nell’età adulta con il futuro partener e con i propri figli. Risulta rilevante, però, che Bowlby sottolinei che con il modificarsi delle competenze cognitive, emotive e affettive gli IMW vengono rivisti e in più subiscono un profondo cambiamento nel tempo quando il bambino guadagna una maggiore comprensione dei sentimenti emotivi della propria figura di attaccamento. Una volta raggiunto tale livello, i bambini diventano capaci di sviluppare IMW di relazioni di attaccamento condivise, in cui da entrambe le parti ci sia un dare e un prendere e in cui gli scopi conflittuali possano essere più facilmente risolti attraverso una negoziazione reciproca. Questa modalità viene chiamata goal-corrected partnership. Gli IMW possiedono la caratteristica di essere relativamente stabili e influenzano le aspettative, le strategie e il comportamento nelle relazioni “fuori dalla famiglia”. Come per la rilevazione dei pattern di attaccamento a livello osservativo è stata ideata la Strange Situation Procedure, così per rilevare gli IMW sono stati ideati degli strumenti specifici. Lo strumento classico è l’Adult Attachment Interview (AAI), ma attualmente è stato introdotto anche l’Adult Attachment Projective (AAP). 3.3.1 Adult Attachment Interview L’AAI (Kaplan, 1996) è un’intervista strutturata e semiclinica, della durata di circa un’ora, che può essere somministrata a soggetti adolescenti e adulti, per valutare le rappresentazioni delle relazioni di attaccamento IMW. L’intervista è basata sui presupposti della teoria dell’attaccamento, centrata sul racconto delle prime esperienze relazionali avute dal paziente durante la sua infanzia e sui loro effetti. Le diciotto domande che compongono l’intervista, per le quali vengono chieste delle “prove” a supporto delle affermazioni fornite dal soggetto, si focalizzano soprattutto sulle sue relazioni familiari passate. L’intervista comprende due parti, nella prima parte vengono poste domande che riguardano il racconto delle prime esperienze relazionali del paziente (madre, padre, fratelli) concentrandosi sulla descrizione delle figure di riferimento. Nella seconda parte vengono poste domande che riguardano il vissuto rispetto a eventi significativi: malattie, lutti, eventi traumatici. L’AAI puà essere condotta, e successivamente siglata, a seguito di un apposito training. L’intervista viene integralmente Alcune volte l’oggetto di esclusione difensiva non è il ricordo dell’evento traumatico, ma l’emozione diventa disconnessa a livello cognitivo rispetto alla persona che l’ha suscitata. In alcuni di questi casi il Sé assume responsabilità di una situazione causata da altri, specialmente quando il bambino desidera assolvere il genitore dalla colpa. Un’altra possibilità di traduce nel fatto che il bambino si preoccupa talmente dei dettagli della sua stessa sofferenza che è incapace di riflettere sulle ragioni di questa sua esperienza relazionale dolorosa. Facendo riferimento alle teorizzazioni di Tulving (1972), Bowlby ritiene che il processo di esclusione difensiva può essere facilitato nella situazione in cui le informazioni provenienti da diverse fonti, quali l’esperienza del bambino o l’interpretazione della stessa da parte dei genitori, sono conservate in differenti sistemi di memoria. La prima appartiene alla cosiddetta memoria episodica, la seconda a quella semantica. Spesso le parole dei bambini dipingono una figura eccessivamente idealizzata del genitore, rispetto a quello che è stato il comportamento effettivo. Relativamente alla stabilità degli IWM molti problemi rimangono aperti. In una recente rassegna di Elaine Scharfe (2002), l’autrice distingue i lavori rispetto all’età (infanzia, fanciullezza, età adulta). Per ognuna delle ricerche citate vengono riportati il numero dei soggetti, il tempo intercorso tra la prima e la seconda rilevazione, la percentuale di stabilità nelle categorie di attaccamento e/o il coefficiente medio di stabilità. Inoltre, relativamente all’età adulta, tenendo presente la questione relativa alla problematica metodologica dell’uso dell’intervista rispetto all’impiego dei questionari, distingue le ricerche condotte con l’uno o l’altro tipo di strumento. L’autrice conclude che:  La maggior parte delle ricerche che hanno esplorato la stabilità dell’attaccamento nei primi decenni di vita ha dimostrato come esso tenda a rimanere da moderatamente a elevatamente stabile;  Durante periodi di transizione nel corso dello sviluppo, però, in presenza di cambiamenti ambientali, si possono verificare delle variazioni nell’attaccamento, che, a seconda di come vengono gestite, possono andare nel senso o della sicurezza o della insicurezza;  Le emozioni materne sembrano giocare un ruolo sulla stabilità dell’attaccamento;  Coloro che si occupano di attaccamento adulto devono stare molto attenti al fatto che stanno valutando la relazione di attaccamento e non soltanto legami di non-attaccamento difensivi a breve termine;  Ci sono comunque, relativamente a questi risultati, delle limitazioni che possono avere enormi implicazioni per il lavoro clinico: la maggior parte delle ricerche sulla stabilità dell’attaccamento è rivolta a campioni “privilegiati”, che provengono dalla classe media e da universitari; mancano indagini incentrate su altre tipologie di soggetti; le ricerche che hanno affrontato la tematica hanno trovato che la stabilità dell’attaccamento è più elevata in campioni di classe media e a basso rischio se confrontati con campioni ad alto rischio e poveri; non ci sono lavori che si siano occupati di rilevare la stabilità dell’attaccamento con persone che abbiano subito esperienze traumatiche (guerre e disastri naturali);  Rimane comunque ancora aperta la questione di come e quando le rappresentazioni dell’attaccamento mutino: allo stato attuale della ricerca si è giunti alla conclusione che i cambiamenti nell’attaccamento non si verificano a caso; benché i predittori del cambiamento siano ben documentati nella fanciullezza, deve essere fatto ancora molto lavoro per capire perché gli adulti continuino a mostrare lo stesso grado di cambiamento. Relativamente alle direzioni future di ricerca, l’autrice evidenza il bisogno di: indagare se sia necessario un certo grado di sicurezza per consentire di rivalutare e riorganizzare un attaccamento insicuro; spiegare perché alcuni individui sono aperti al cambiamento e altri no; verificare se i soggetti sicuri siano più aperti e flessibili al cambiamento o se gli individui insicuri possano rivedere i loro modelli di insicurezza quando forniti da una base sicura, p.es. quella offerta dalla relazione terapeutica. CAP 4 – attaccamento, parenting e relazioni di coppia 4.1 stabilità materna e attaccamento Potenti metanalisi hanno verificato un’associazione tra sensibilità materna e sicurezza dell’attaccamento così come gli interventi dell’impatto delle caratteristiche del bambino quale il temperamento. La prima autrice a investigare la relazione tra sicurezza dell’attaccamento misurato a 12 mesi e sensibilità materna durante il primo anno di vita fu Mary Ainsworth (1973). Benché su un campione molto piccolo, costituisce senza dubbio la prima ricerca volta a indagare empiricamente le dimensioni teoriche presupposte da Bowlby, identificando nella sensibilità materna la variabile significativa per lo sviluppo di un attaccamento sicuro nel bambino. Circa vent’anni più tardi, Isabella e Belsky (1991) hanno proseguito questo filone di studi conducendo una ricerca osservativa di follow-up con coppie madre-bambino. Le madri, tutte di razza bianca e di classe sociale media, venivano osservate con i loro bambini a casa in momenti successivi (1,3,9 mesi e 4 anni e mezzo) e venivano istruite a proseguire nella loro routine domestica quotidiana, non tenendo conto della presenza dell’osservatore. Il metodo era diverso da quello di Ainswortrh; infatti, a partire da un’analisi fattoriale gli studiosi hanno costituito un punteggio combinato di stimolazione verificando come un attaccamento insicuro evitante si sviluppasse in risposta a una modalità di cura materna intrusiva e iperstimolante, mentre un attaccamento insicuro resistente insorgesse quando la madre si rivelava insufficientemente responsiva e sottostimolante. Infine, come ipotizzato, un attaccamento sicuro corrispondeva a un punteggio intermedio. È stato confermato come l’influenza fosse attribuibile principalmente alla componente materna. I risultati sono stati confermati da un successivo lavoro di Isabella e Belsky (1991) e recentemente riconfermati da Belsky (2005) su un campione di più di 1000 bambini, valutati nella dimensione dell’attaccamento a 15 mesi. 4.2 attaccamento, parenting e sviluppo Gli studiosi che si occupano della ricerca nell’ambito dell’attaccamento per primi riconoscono che le esperienze iniziali di attaccamento non sono collegate con qualsiasi o tutti i risultati del percorso evolutivo e che le variazioni in esse riscontrabili non devono essere assunte come cause uniche e/o inevitabili di difficoltà e/o adeguatezza nello sviluppo. Bowlby ha sempre sostenuto un modello di percorso/processo in cui sia le esperienze iniziali che quelle successive di vario tipo contribuiscono assieme a dare forma a risultati evolutivi in cui la causa veniva vista in termini probabilistici. Molto recentemente Sroufe e collaboratori (2005) hanno evidenziato come la funzione dell’essere genitori si esplichi attraverso una serie di compiti, tra cui quello di fornire una base sicura e un “paradiso” sicuro è solo un aspetto. Tra i compiti del genitore gli autori identificano la regolazione, il provvedere a una stimolazione appropriatamente modulata, il costituire una guida adeguata, il fornire limiti e struttura (scaffolding), il mantenere chiare delimitazioni nella relazione genitore-bambino, la socializzazione e il contenimento dell’espressione emotiva, la capacità di dare supporto nella risoluzione di problemi, l’incentivare i contatti del bambino col mondo sociale più allargato e, infine, l’accettarne la crescente autonomia. Sembra, tuttavia, che molte di queste funzioni siano in qualche misura correlate con la sicurezza nell’attaccamento, come viene indicato, p.es., dalla ricerca di Matas, Arend e Sroufe, secondo cui, quando c’è stato un attaccamento ansioso nell’infanzia, i genitori hanno maggiore difficoltà a fornire limiti e supporto nel periodo di autonomia che caratterizza il bambino che inizia a camminare. È possibile pure incontrare situazioni opposte. Potrebbe accadere che un genitore che ha fornito al figlio una base sicura non sia, p.es., sufficientemente capace di porre dei limiti al bambino o di introdurlo adeguatamente al mondo sociale in una fase diversa dello sviluppo che richiede l’attivazione di altre capacità genitoriali. Pertanto, se è possibile affermare che esiste un qualche legame tra l’attaccamento e queste funzioni genitoriali, è possibile ipotizzare anche una certa indipendenza tra essi. Inoltre, al di là delle influenze dirette, si riconoscono comunque influenze indirette: la qualità della relazione genitoriale, l’andare e venire di figure maschili a casa, la quantità di stress generale che viene sperimentata dai genitori, l’esperienza con i fratelli. 4.3 Dall’attaccamento nell’infanzia alla relazione di coppia In una delle concettualizzazioni più recenti sull’attaccamento, Carol George (2005) riprende con estrema chiarezza quanto espresso già da Bowlby. Secondo l’autrice, l’attaccamento: a) È collegato al ciclo della paura e della rassicurazione, b) Rinvia alla protezione, c) Consente l’esplorazione, d) Contribuisce alle competenze evolutive e alla salute mentale, e) Ha origini attribuibili all’evoluzione della specie (anche su questo non esiste un’attuale concordanza). Parallelamente definisce anche ciò che l’attaccamento non è. Esso non è: amore, amicizia, relazione romantica, empatia, regolazione delle emozioni, intersoggettività e teoria della mente, anche se ci possono essere delle relazioni positive tra la qualità dell’attaccamento e queste dimensioni psicologiche. Esiste un qualche nesso tra attaccamento così come si costituisce nell’infanzia e relazioni d’amore nell’età adulta? Le metanalisi mostrano come i giovani adulti non si scelgono sulla base della relazione di attaccamento. Diverse ricerche longitudinali stanno approfondendo la problematica del rapporto tra relazione di coppia e attaccamento infantile; a titolo esemplificativo ne presentiamo una: il Minnesota Study (concentrandoci sulla parte interessata). 4.3.1 il Minnesota Study I soggetti sono stati seguiti ed esaminati a partire dal primo anno di vita e fino all’età di 19 e 26 anni, con valutazioni intermedie a 12 e 18 mesi, a 2 anni, a metà della fanciullezza e a 13 anni. A 12 e 18 mesi è stata applicata la Strange Situation Procedure, a 19 e 26 anni l’AAI. Ai soggetti (84) che avevano un’età compresa tra i 20 e i 26 anni e che avevano avuto una relazione per almeno 4 mesi, è stato proposto un assessment completo sulla relazione d’amore con i loro partner o a casa o in laboratorio. In tali soggetti è stata rilevata una relazione di durata media di 2-4 anni con una deviazione standard di 1-10 mesi. In queste osservazioni videoregistrate le coppie dovevano prima discutere un problema da esse stesse identificato e poi collaborare alla compilazione di un Q-sort che descriveva la coppia ideale. I partecipanti giudicati sicuri alla AAI a 19 anni risultavano coinvolti, a 20-21 anni, in una relazione d’amore di qualità più elevata di quelli insicuri. Sroufe e collaboratori evidenziano comunque che, se nelle relazioni anche adulte fondamentale importanza viene acquisita dall’attaccamento, un ruolo altrettanto centrale viene assunto dalla variabile qualità e competenza nella relazione con i coetanei: la sicurezza nell’attaccamento nell’infanzia è correlata con la competenza nelle amicizie nella media fanciullezza. Se si aggiungono altri aspetti del parenting (quali guidance e stimolazione appropriata), la previsione della competenza nell’amicizia aumenta molto e così pure nell’adolescenza. Relativamente alle competenze relazionali adulte, la questione fondamentale è come le esperienze di attaccamento si inseriscono nella complessità dei processi evolutivi dell’individuo. Se anche la relazione di attaccamento gioca un ruolo importante, i risultati più rilevanti si riscontrano quando si consideri come essa agisca insieme ad altri aspetti dell’esperienza. Riassumiamo i principali risultati: - La storia di attaccamento infantile prevede il processo di relazione romantica. - Quando alle variabili relative all’attaccamento infantile si aggiunge la competenza con i pari all’età di 13 anni, o quando si aggiungono variabili genitoriali, pure la previsione sulla qualità della relazione romantica aumenta. - Si osservano anche delle complicate interazioni: p.es. se si considera l’ostilità osservata nelle relazioni romantiche, essa viene predetta da una parte dall’attaccamento infantile, dall’altra dalla competenza nella fanciullezza, mentre questi ultimi non sono correlati; invece, per quanto riguarda la predizione della risoluzione del conflitto, esso non incide direttamente, ma influenza altre variabili misurate a 13 anni che a loro volta influenzano la risoluzione del conflitto. 4.4 l’attaccamento adulto dal punto di vista dei pattern di attaccamento Per affrontare la tematica si parte dalla presentazione della ricerca Adult Attachment Models: Development after Marriage (Crowell, Waters, 2005). Crowell, nel 1989, cominciò questo progetto ipotizzando che la relazione di attaccamento tra partner adulti subisca uno sviluppo e che parte di questo processo includa l’elaborazione di una specifica rappresentazione cognitiva della relazione adulta. Crowell imposta un vasto progetto di ricerca, ideando pure uno specifico strumento per la valutazione dell’attaccamento adulto: la Current Relationship Interview (Crowell, Owens, 1996).  Stile dismissing-distanziante (bassa angoscia/alto evitamento): proprio delle persone che si sentono degne d’amore ma che si distaccano freddamente dagli altri perché percepiti come non leali; sono persone poco interessate alle relazioni, con bassa soddisfazione e bassa intimità nelle stesse;  Stile evitante-spaventato (alta angoscia/alto evitamento): proprio di persone che tendono a evitare il contatto con gli altri per anticipare un possibile rifiuto sociale; si innamorano meno facilmente ed evitano intimità. Questi stili di attaccamento sono costituiti da una componente relativa al Sé (come degno o non degno) e una relativa all’altro (rappresentato come accettante e di cui poter avere fiducia, oppure rifiutante). L’attaccamento sicuro riflette un modello positivo del Sé e dell’altro; un attaccamento insicuro riflette, di converso, un modello negativo. Secondo molti autori pattern dell’attaccamento e stile di attaccamento non sono di fatto costrutti analoghi. A livello statistico non si riscontrano correlazioni significative tra pattern (status) di attaccamento e stili di attaccamento. 5.2 studi recenti Nel 2002, Shaver e Mikulincer, a partire dalla letteratura classica sull’attaccamento e sull’estensione del modello del sistema di attaccamento secondo le quattro dimensioni, hanno proposto un nuovo paradigma che include tre principali componenti: monitoraggio e valutazione della disponibilità e della responsività della figura di attaccamento che provvede al supporto dei bisogni; variazione del senso di sicurezza nell’attaccamento, distinguendo tra persona “sicura” e “insicura” qualora ansioso, evitante o una combinazione di entrambi; monitoraggio della ricerca di prossimità rispetto all’attaccamento insicuro. Una volta che il sistema di attaccamento si attiva, una risposta affermativa alla domanda circa la disponibilità della figura significativa risulta l’elemento chiave per definire la sicurezza o meno della relazione. Quando la ricerca di prossimità è sentita come vitale o essenziale, le persone adottano una strategia di attaccamento iperattivo, che include un intenso legame alla figura di attaccamento come fonte di conforto. Nei contesti minacciosi, automaticamente e inconsciamente si attivano le rappresentazioni della figura di attaccamento, confermando la nozione che il sistema di attaccamento si innesca in condizioni di pericolo. Questo è applicabile anche alla situazione matrimoniale. Individui con attaccamento ansioso si sentono minacciati, e conseguentemente attivano più frequentemente il loro sistema, anche in situazioni in cui altri individui non percepirebbero il pericolo, e sono più “vigili” nei confronti del proprio partner. È così più facile diventare insoddisfatti e arrabbiati. Individui con attaccamento evitante eludono le minacce e sperano di non focalizzare la loro attenzione su di esse. Qualora le affrontino, lo fanno senza fare riferimento al partner. Le teorizzazioni degli autori citati sono basare sui questionari self-report, hanno dato il via a numerosi lavoro empirici. Infine traggono delle indicazioni anche per un possibile intervento di coppia sulla base dei risultati delle ricerche effettuate.  Caregiving e supporto La percezione dei partner della propria interazione è pregiudicata dallo stile di attaccamento e dalla qualità della relazione. L’attaccamento ansioso ed evitante predice come le persone parlano delle esperienze di cura dei propri partner nel momento del bisogno. La percezione del partner come supporto è importante per le persone con attaccamento ansioso. Nello studio di donne incinte e dei loro mariti l’attaccamento ansioso influenza il supporto percepito nella depressione post partum.  Qualità delle relazioni e soddisfazione nei legami di coppia L’attaccamento insicuro è associato a un buon livello di soddisfazione nella relazione, mentre l’attaccamento insicuro è associato a un deterioramento della relazione e a un’insoddisfazione personale. Nelle dinamiche di coppia sono importanti le differenze di genere. Per esempio, la sicurezza delle mogli è predittiva della soddisfazione nei mariti. D’altra parte, una moglie con attaccamento ansioso è incapace di accettare la distanza emotiva richiesta dal marito evitante. La qualità della relazione è fortemente determinata dalla modalità evitante negli uomini e dall’alta ansietà nelle donne.  Sessualità La qualità della vita sessuale di coppia è un importante contributo al grado di soddisfazione ed è influenzata dalla modalità di attaccamento sicuro/insicuro. Per esempio persone con attaccamento sicuro si mostrano aperte all’esplorazione sessuale nel contesto di una relazione stabile. Inoltre individui con attaccamento ansioso preferiscono aspetti intimi della sessualità, mentre i soggetti con attaccamento evitante tendono a non ricevere piacere dalla vicinanza sessuale.  Conflitto Il conflitto di coppia è influenzato dallo stile di attaccamento. L’ansietà di entrambi i partner è importante nell’esprimere il comportamento conflittuale. Feeney afferma che coppie con partner ansiosi funzionano in modo povero, trovandosi coinvolte in alti livelli di manipolazione emotiva e giochi di potere. le aggressioni fisiche sono determinate spesso dall’unione di un partner ansioso con uno evitante. Ci si aspetta che individui evitanti proiettino i propri tratti che non accettano sul partner per poi criticarlo e rifiutarlo.  Dinamiche nella coppia Molte persone preferiscono partner sicuri. Un partner sicuro infonde sicurezza all’interno della coppia e incoraggia l’apertura e il reciproco scambio. Una coppia che contiene almeno un membro insicuro può erodere il senso di sicurezza di entrambi i membri. Per esempio, un individuo evitante può portare il partner sicuro a comportamenti tipici di una modalità ansiosa.  Implicazioni per la terapia Una delle aree più problematiche nella terapia di coppia è la fiducia che può facilmente essere minata da ferite nell’attaccamento. Queste si verificano quando un partner non risponde con cura e supporto nei momenti di paura e distress. 5.3 la prospettiva sociale dell’attaccamento nel ciclo di vita L’attaccamento è stato affrontato dal punto di vista della sua trasformazione lungo tutto l’arco della vita a partire dal momento della costruzione del legame di coppia. Considerando la simmetria vs asimmetria, quale parametro del legame di attaccamento, si può affermare che, inizialmente, il legame che il bambino ha con i genitori è di tipo asimmetrico; in adolescenza comincia una fase di trasferimento durante la quale, con la sperimentazione di nuove interazioni, a partire dal primario legame genitoriale di base sicura, l’adolescente costruisce nuovi investimenti attribuendo al partner la funzione di protezione. Questo momento segna il passaggio a un nuovo modo di vivere il legame di attaccamento con le figure genitoriali, nella direzione di una maggiore simmetria e, nel momento in cui la coppia da romantica diviene anche parentale, una nuova assunzione di funzioni nei confronti della prole. Si tratta quindi di una modificazione della qualità verso l’asimmetria: le funzioni di cura saranno prima rivolte al giovane figlio e ai genitori anziani. Un altro orientamento integra il ciclo evolutivo dell’attaccamento con la prospettiva familiare e intergenerazionale. Il ciclo evolutivo della famiglia può essere descrittivamente il seguente: una famiglia si costituisce (starting point) quando il giovane adulto decide di sposarsi/andare a convivere ecc. La coppia appena sposata costituisce una nuova cellula, differenziata dal sistema familiare precedente, dove rispetto alle due famiglia di origine ciascuno dei due membri della nuova coppia deve rinegoziare una serie di compiti e di funzioni. Successivamente, con l’arrivo della prole, la coppia viene in primo piano rispetto alle funzioni evolutive, mentre la famiglia di origine indietreggia per fare in modo di agevolare l’assunzione di ruolo genitoriale. I compiti in questa fase riguardano pertanto sia il rapporto con la famiglia d’origine che il rapporto interno alla coppia, in cui la relazione si articola per includere reciprocamente nella rappresentazione del partner il ruolo di genitore. Un momento particolarmente significativo e potenzialmente problematico è l’adolescenza del figlio. È infatti il momento in cui compare l’istanza della differenziazione: la coppia genitoriale è chiamata e gestire con flessibilità tale istanza, al fine di favorire nel figlio il percorso di entrata e uscita dal sistema. Si tratta chiaramente di un periodo nella vita della famiglia in cui la sicurezza dei legami di attaccamento sembra essere fattore di un buon esito di tale processo. CAP 6 – teoria dell’attaccamento e interventi in ambito familiare Sono soprattutto autori di stampo sistemico quelli che si sono rivolti alla teoria dell’attaccamento per ideare modelli in ambito familiare. Prima di passare a questo punto è importante la questione stabilità vs modificazione dei modelli di attaccamento: infatti, in base alla minore o maggiore stabilità e/o flessibilità dei modelli di attaccamento individuali rispetto al modificarsi di fronte a nuove proposte di esperienze, sarebbe possibile una maggiore o minore facilità a modificare o meno lo status e/o lo stile dell’attaccamento adulto. Se la questione è una delle più dibattute e aperte sul piano della ricerca, tutto si complica ulteriormente quando ci rivolgiamo alle sue implicazioni nell’ambito dell’intervento. Sono diverse le modalità attraverso cui la teoria dell’attaccamento può essere utilizzata per indagare le relazioni familiari, tenendo presente questa fondamentale questione. 1. In base alla prospettiva evolutiva, Bowlby (1973) afferma che l’attaccamento è uno specifico legame che si genera nella prima infanzia tra bambino e caregiver e crea una base relazionale attraverso cui esplorare il mondo e, successivamente, anche la situazione di coppia. Questo implica che il soggetto si approccia al partner e a eventuali figli in un modo particolare: in generale si ipotizza che al figlio venga trasmesso lo stesso stile di attaccamento dei genitori, ma come abbiamo visto il matching tra le coppie quasi mai si basa sui pattern di attaccamento. Questo può portare a incroci nelle situazioni genitoriali e di coppia molto difficili, in quanto un membro della relazione può avere delle richieste e delle necessità che il partner può non capire. 2. Gli autori che si occupano dell’attaccamento in una prospettiva sociale sembrano essere molto più ottimisti nella possibilità di modificare gli esiti di attaccamento soprattutto nell’ambito delle relazioni romantiche. I modelli di intervento sviluppati in ambito familiare seguono la prospettiva sociale dell’attaccamento e propongono di aiutare a migliorare l’attaccamento di coppia, ma dal punto di vista teorico non sappiamo se si tratta dello stile o del pattern di attaccamento. 6.1 riflessioni cliniche sulla stabilità degli IWM nelle coppie parentali e coniugali Al solo scopo di riflessione sulle questioni di teoria della tecnica su possibili interventi in ambito familiare, sulla base della rilevazione degli IWM individuali, proponiamo due esempi: il primo riguarda la coppia genitoriale, il secondo la coppia coniugale.  Esempio 1: la coppia genitoriale La coppia A, costituita da madre e padre, desidera adottare un bambino. Entrambi i genitori hanno purtroppo scoperto, dopo numerosi accertamenti medici, di non essere fertili e quindi hanno fatto richiesta di adozione. A entrambi viene somministrata l’AAI per verificare in quale tipologia di attaccamento rientrano. Lo psicologo che dovrà decidere per l’idoneità all’adozione ritiene che una caratteristica fondamentale per il concetto di genitorialità sia il fornire da parte di entrambi i genitori una base sicura da cui il bambino o l’adolescente possa fare delle uscite nel mondo esterno ed alla quale possa ritornare sapendo che di sicuro quando ci ritorna è benvenuto, nutrito fisicamente ed emotivamente, confortato quando a disagio, rassicurato quando spaventato. In essenza, questo ruolo è quello di essere disponibile, pronto a rispondere quando gli viene richiesto di incoraggiare e magati di dare assistenza, ma di intervenire quando chiaramente necessario (Bowlby). Dalla somministrazione dell’AAI risulta che: o Il signore A viene classificato sicuro; o La signora A invece risulta di tipo insicuro evitante; si prevede che la signora nei confronti del bambino che le venga eventualmente dato in adozione, eviterà il contatto fisico, non lo abbraccerà, non lo porterà spesso con sé, lo consolerà poco, lo farà giocare da solo e nell’educazione si appiglierà alla regola, senza permettergli di capirne il significato; In seguito ai risultati ottenuti, lo psicologo di fronte alla richiesta dei due genitori si rende conto di come la situazione riscontrata non sia la migliore rispetto alla teoria dell’attaccamento, dove sarebbero preferibili genitori sicuri per facilitare il compito. Se la CRI mostrasse comunque un attaccamento di  Se il comportamento di attaccamento fallisce nell’invocare conforto e contatto dalla figura significativa, si instaura un processo di rabbia e depressione che può culminare in un eventuale distacco; la depressione rappresenta la risposta naturale alla perdita della relazione; Bowlby considera la rabbia nella relazione come la possibilità di definire un contatto con una figura di attaccamento inaccessibile e distinguere tra la rabbia della speranza e la rabbia della disperazione;  Alcuni sposi sono in grado di esprimere quando si sentono rifiutati, altri cadono nel silenzio per giorni; Bowlby sottolinea il contenuto cognitivo della rappresentazione del Sé; l’attaccamento sicuro è caratterizzato da un modello operativo del Sé che è ricco di amore, cura e fiducia per i modelli operativi degli altri; le persone hanno più di un modello ma uno risulta più accessibile e dominante; questi schemi includono obiettivi, credenze e strategie e sono pesantemente intrisi di emozioni;  È importante riconoscere che per l’attaccamento è essenziale la teoria del trauma (Atkinson, Johnson), poiché descrive il trauma da deprivazione, perdita, rifiuto e abbandono di coloro i quali necessitano di più cure; Bowlby inizia la sua carriera studiando la deprivazione materna; egli vede questi stressors traumatici come aventi un forte impatto sulla personalità e sulle abilità individuali. 7.2 ciclo evolutivo del singolo, della famiglia e del legame di attaccamento La teoria più classica dell’attaccamento viene condivisa soprattutto dagli psicologi dell’età evolutiva che cercano di comprendere come le persone concepiscono tale relazione intervistandole sui loro propri genitori. La teoria dell’attaccamento non è stata investigata ugualmente bene a tutti i livelli di età. I terapeuti della coppia e della famiglia conoscono bene lo stress e gli effetti della deprivazione e della separazione. I terapeuti della coppia e della famiglia tendono a vedere l’attaccamento e gli stili di attaccamento da una prospettiva transazionale, cioè come continuamente costruita e ricostruita nelle interazioni tra coloro che si amano. Gli stili di attaccamento adulto possono cambiare e cambiano a mano a mano che le persone apprendono e crescono nelle relazioni. Gli psicologi sociali, che studiano l’attaccamento adulto attuale, lo fanno però tramite l’uso di questionari e adoperano un linguaggio lievemente differente. Alcuni autori osservano che i primi tre pattern di attaccamento siano simili ai tre principali pattern di struttura familiare di Minuchin: adattivo, disimpegnato, invischiato. Una perdita non risolta o un trauma nella storia del caregiver è fortemente associato con un attaccamento disorganizzato. Il meccanismo per questo legame è complesso e l’idea di base è che una perdita non risolta o un trauma nella storia del caregiver sia associato a una paura conscia o inconscia di perdita o trauma, che insorge ogni volta che il comportamento di attaccamento del figlio attiva il sistema di attaccamento del genitore. Questo atteggiamento di paura si esalta nel comportamento di accudimento quando il bambino è spaventato o pauroso, cioè soprattutto quando il figlio ha bisogno di una base sicura, e il genitore si sente minacciato dal riattivarsi delle paure e dei traimi non risolti: come risultato il caregiver abdica alla sua funzione protettiva e chiede al figlio di prendersi cura di lui, attuando una inversione di ruolo. 7.3 un approccio sistemico all’adattamento adulto: la Emotionally Focused Couples Therapy Il modello Emotionally Focused Couples Therapy (EFT), terapia di coppia focalizzata sulle emozioni, è un intervento breve empiricamente validato, e che permette alla coppia di ridefinire e riparare i propri legami di attaccamento. L’EFT considera le relazioni della prospettiva della teoria dell’attaccamento, integrandola con interventi sistemici, per affrontare i pattern di interazione negativa, e incoraggiare nuovi legami al fine di promuovere pattern di sicurezza. La denominazione EFT ha lo scopo di evidenziare l’importanza del significato dell’emozione e della comunicazione emotiva nell’organizzazione delle risposte che costituiscono le relazioni di attaccamento. La prospettiva EFT considera la teoria dell’attaccamento come una teoria sistemica e transazionale. Secondo Kobab (1999), infatti, l’attaccamento è transazionale e sistemico; la sua essenza consiste in uno sguardo sull’intero sistema e su come gli elementi del sistema si organizzano e si mantengono. Il sistema consta di un “insieme” di oggetti, di relazioni tra questi e di attributi degli oggetti, mentre gli oggetti sono le persone e le relazioni che si instaurano tra esse. Secondo Bowlby la relazione tra l’individuo e il suo ambiente (inclusi gli altri) è l’anello più esterno del sistema e deve essere complementare all’anello più interno, così da mantenere un equilibrio. Il modello EFT, a differenza della prospettiva sistemica, considera l’esperienza emotiva e comunicativa degli oggetti. Le risposte e i modelli sono legati a una relazione specifica, piuttosto che a una tendenza globale che si costituisce durante l’infanzia; le rappresentazioni interne dei modelli di attaccamento sono considerate più fluide e intercambiabili, come nella concezione dell’attaccamento proposta dalla visione sociale dello stesso. Secondo Susan Johnson esistono collegamenti significativi tra la teoria dell’attaccamento e la teoria sistemica. Entrambe: a) Sono in grado di integrare l’intrapsichico e l’interpersonale in una prospettiva olistica; b) Si occupano di condizioni non patologiche; c) Hanno una visione simile della disfunzione poiché considerano la flessibilità e l’abilità nel rispondere e nell’adattarsi un segno di benessere e salute, mentre valutano la rigidità come un aspetto problematico; d) Usano il concetto di causalità circolare per spiegare come avvengono le interazioni intime e come si creano stabili pattern di interazioni; e) Evidenziano come i modelli del Sé e degli altri siano costantemente definiti in termini di interazione. Addirittura, a parere dell’ideatrice del modello, è possibile ricondurre la teoria dell’attaccamento a un’estensione della teoria sistemica: la teoria dell’attaccamento viene infatti a porsi, per certi versi, al di là della prospettiva sistemica in quanto permette di aggiungere significati al sistema specifico della relazione tra i familiari e di meglio specificare come particolari interazioni siano importanti nella definizione della relazione e come alcune emozioni, quali la paura, possano avere, in un particolare momento, il controllo su altri elementi. Le terapie di coppia sono state per lungo tempo considerate una tecnica in cerca di una teoria, e questa e altre ragioni hanno limitato la loro applicabilità alle relazioni intime. Le ricerche condotte in questo campo danno la possibilità di comprendere e spiegare come specifici pattern della relazione siano importanti per definire la relazione stessa, ma possano anche compromettere la stabilità; p.es. possono spiegare perché la depressione sia una naturale conseguenza della separazione. 7.3.1 background teorico Secondo Susan Johnson (2003) ogni terapia di coppia che condivida un approccio sistemico, e contemporaneamente consideri la relazione intima in termini di attaccamento, si articola lungo i seguenti principi:  Pone il focus sui processi di interazione, all’interno dei quali i bisogni di attaccamento sono espressi;  Privilegia la comunicazione emotiva, attribuendo particolare attenzione allo stile di attaccamento ansioso che tende a organizzare risposte negative;  Fa emergere i cruciali legami di attaccamento e anche eventuali ferite e violazioni degli stessi;  Crea una base sicura e un heaven of safety nelle sessioni di terapia; la sicurezza e il supporto incoraggiano gli individui a esplorare il proprio mondo interno e ad affermare i propri bisogni;  Riconosce l’importante processo dell’autodefinizione che è implicito in ogni interazione di attaccamento e usa attivamente nuove interazioni per rivedere i modelli negativi del Sé che inibiscono il coinvolgimento emotivo del partner;  Indirizza specifici momenti dell’interazione che definiscono la relazione come insicura; più specificatamente il focus è sulle ferite di attaccamento che bloccano le relazioni;  Analizza gli aspetti chiave della relazione adulta attraverso la teoria dell’attaccamento adulto. Anche nel modello EFT la terapia di coppia integra la storia dell’attaccamento con la teoria sistemica, seguendo i principi indicati. 7.3.2 indicazioni di rilevanza per il trattamento (ovvero per quali tipi di famiglie il trattamento sembra particolarmente rilevante) Le coppie con le quali l’EFT funziona bene sono quelle per le quali ha senso il focus sui bisogni dell’attaccamento, la creazione di fiducia e una connessione emotiva. Il predittore più importante del successo dell’EFT sembra essere la particolare fiducia della donna che il suo partner si prenda cura di lei. Sembra pure indicato per coppie in cui il partner maschile è descritto dalla propria partner come inespressivo. Questo tipo di intervento non è indicato invece quando ci si trovi di fronte a coppie che portano con sé una storia di abuso: solo dopo una terapia che argini la loro rabbia e il comportamento abusante è possibile; e neppure per coppie formate da un uomo indipendente e una donna tendente alla dipendenza. Per le coppie che si stanno separando è prevista una versione ridotta dell’EFT. 7.3.3 finalità del trattamento Relativamente alle finalità del trattamento, il terapeuta, nel corso dell’intervento stesso, si focalizza su due compiti fondamentali: 1. Accesso e riformulazione delle risposte emotive  Si concentra sull’esperienza emotiva saliente dell’individuo in termini di bisogno di attaccamento e sperimentazione della paura;  Gioca un ruolo centrale nell’organizzazione dei pattern di interazione negativa;  Usa interventi legati all’esperienza dell’individuo e interpretazioni empatiche. 2. Formulazione di nuove interazioni basate su queste risposte, ossia:  Riflette sui pattern di interazione identificando quelli negativi;  Usa tecniche strutturali come la ripetizione e crea nuove regole nella relazione;  Chiede a un partner di raccontare le proprie paure nei confronti dell’altro: i problemi sono ripetuti ciclicamente in termini di bisogni di attaccamento. Le coppie entrano in terapia non solo in uno stato generale di stress ma anche con l’obiettivo di portare particolari eventi traumatici e instaurare l’intimità e la fiducia perdute. Durante la terapia infatti, questi eventi spesso riemergono in modo intenso, spesso come un flashback traumatico. Quando le ferite dell’attaccamento sono risolte il terapeuta può effettivamente lavorare sulla fiducia e creare nuovi legami e connessioni. 7.3.4 struttura del processo terapeutico Il processo dell’EFT si sviluppa lungo tre stadi. 1) Primo stadio: “cycle de-escalation”. Si propone di: a) Cercare di formare un’alleanza e articolare il nucleo dei conflitti e delle problematiche relative all’attaccamento (assessment); b) Identificare le problematiche che generano e mantengono un attaccamento di tipo insicuro; c) Inquadrare il problema nei termini del ciclo sistemico e dell’attaccamento; d) Favorire l’accesso alle emozioni sconosciute. 2) Secondo stadio: “changing interactional position”. Si propone di: a) Promuovere l’identificazione dei bisogni di attaccamento e degli aspetti del Sé non riconosciuti dall’individuo; b) Favorire l’accettazione negli altri dei bisogni sopra indicati; c) Facilitare l’espressione dei bisogni specifici e il coinvolgimento emotivo. 3) Terzo stadio: “consolidation and integration”. Si propone di: a) Facilitare l’emergenza di nuove soluzioni ai vecchi problemi relazionali in un’atmosfera di collaborazione e sicurezza; b) Consolidare nuove posizioni caratterizzate da accessibilità e da responsività. Susan Johnson precisa anche le tipologie fondamentali dell’intervento specificando per ognuna il significato e le funzioni principali:  Ultime sessioni Il terapeuta ha lavorato per aiutare moglie e marito a esprimere i loro bisogni di attaccamento. Susanna diventa capace di permettere a Riccardo di prendersi cura di lei. Riccardo diventa più forte e più intimo, riesce a sentirsi “uomo” e “padre”; continua a uscire con gli amici ma non scappa dalla relazione.  Fine della terapia Susanna e Riccardo dicono di avere ancora qualche problema, di litigare ancora, ma di essere capaci di affrontare le situazioni difficili. Susanna descrive il marito come più maturo e responsabile. Riccardo vede la moglie come meno controllante, finalmente anche lui sente di avere il suo spazio e un ruolo bene definito all’interno del contesto familiare. PARTE TERZA – L’APPROCCIO PSICOANALITICO CAP 8 – aspetti trasversali dei modelli di intervento su base psicoanalitica in ambito familiare 8.1 background teorico Definizione di Freud (1922) di psicoanalisi: “psicoanalisi è nome: 1. di un procedimento teorico per l’indagine dei processi psichici cui altrimenti non sarebbe possibile accedere; 2. di un metodo terapeutico (basato su tale indagine) per il trattamento dei disturbi nevrotici; 3. di una serie di conoscenze psicologiche acquisite per questa via che gradualmente si assommano e convergono in una nuova disciplina scientifica”. Dalle iniziali teorizzazioni di Freud, si sono diramate molte differenti concettualizzazioni dell’individuo, a partire dai postfreudiani fedeli alla corrente pulsionale, seguiti dagli psicologi dell’Io, dagli psicologi del Sé e dagli psicologi delle relazioni oggettuali, fino ad arrivare alle proposte attuali legate all’infant research, agli approcci multimotivazionali, alle teorie sugli affetti. Nell’orientamento psicoanalitico occupa uno spazio fondamentale la dialettica informazione/individualità- relazione. Tale polo è caratterizzato dall’attenzione al paziente nella sua unicità e specificità. Ogni paziente si è costruito una propria personalità sulla base delle sue caratteristiche individuali e delle proprie esperienze, e tramite questa si relaziona con i membri della sua famiglia e con il terapeuta. La terapia psicoanalitica familiare permette al mondo interno della famiglia-paziente di manifestarsi in un contesto dinamico di interazione psichica con lo psicologo. L’empatia, il rispetto, l’umiltà e la comprensione, il modo di relazionarsi dello psicologo unitamente al suo controtransfert permettono di incontrare il disagio, la conflittualità e la sofferenza della famiglia. Alcuni concetti accomunano le varie teorie: l’esistenza dell’inconscio, il conflitto, le difese. Relativamente a tutte queste dimensioni, si assiste a una rivisitazione continua all’interno delle nuove concettualizzazioni; p.es., riguardo all’inconscio viene ipotizzata l’influenza di elementi sia consci che inconsci sulle modalità dell’individuo di essere e di rappresentarsi, anche se la nozione di inconscio è molto diversa da quella concepita da Freud di contenitore di aspetti eliminati dalla coscienza e si colora di significati collegati ai singoli nuovi modelli teorici proposti. Alcuni orientamenti attuali si rivolgono, per esempio, a concetti neuropsicologici per una comprensione dei fenomeni inconsapevoli. Relativamente al conflitto, esso va considerato come polarità di tendenze opposte sia tra i singoli membri, sia tra finalità, aspirazioni e risoluzioni all’interno del gruppo familiare. La concettualizzazione delle difese indica come esse vengano messe in atto quando l’individuo si sente in qualche modo minacciato sia da aspetti angoscianti relativi al proprio mondo interno, sia di fronte a bisogni, esigenze, angosce inerenti alla sua relazione con gli altri membri della famiglia. La letteratura psicoanalitica ha sempre rivolto una specifica attenzione al significato che ha il contesto genitoriale e familiare, per il bambino prima e per l’adulto poi: si pensi al conflitto edipico, la madre sufficientemente buona di Winnicott (1971). Tuttavia l’interesse peculiare a questo approccio è soprattutto connesso alla componente intrapsichica dell’individuo. Attualmente, relativamente alla tecnica degli interventi in ambito familiare, ci sembra di poter individuare due tipologie distinte di lavori. Una prima tipologia riguarda modelli di interpretazione e di intervento del funzionamento di coppia, familiare, della relazione genitori-figli, che però vengono utilizzati solamente per una migliore comprensione del mondo intrapsichico dell’individuo (paziente). Non viene elaborata una vera e propria terapia della tecnica. Una seconda tipologia propone un approccio in cui gli autori si rivolgono alla realtà dell’intervento, alla famiglia, alla coppia sia parentale che coniugale, alla relazione genitore-bambino. Essi ipotizzano che l’individuo abbia modalità specifiche di agire che influenzano la relazione con gli altri membri della famiglia e che a loro volta tali relazioni possano modificare alcuni aspetti del comportamento individuale, di cui la teoria psicoanalitica può dare modelli interpretativi di comprensione e di funzionamento. Essi considerano che l’individuo abbia delle modalità forti di agire che influenzano la relazione con gli altri membri della famiglia da cui, a sua volta, viene influenzato: proprio per questo, l’intervento non si rivolge al singolo individuo ma alla famiglia o a un suo sottosistema. Se pure l’attenzione sia mantenuta sull’individuo come persona con un suo mondo interno individuale e soggettivo, in questa seconda tipologia di modelli, viene aggiunta la variabile fondamentale della relazione e dell’influenza reciproca dei membri della famiglia. si dà peso a due poli, dell’individualità da una parte e della famiglia nella sua complessità dall’altra. Distinzione tra i quattro “soggetti” fondamentali a cui può essere diretto l’intervento: la relazione genitori-figli, la relazione di coppia e le relazioni afferenti all’intera famiglia. 8.1.1 le prime relazioni genitori-figli nella teoria psicoanalitica Le prime relazioni madre-bambino, e successivamente padre-bambino, hanno costituito, a partire dalla concettualizzazione freudiana de complesso edipico, e tuttora costituiscono un nucleo fondamentale di tutte le correnti psicoanalitiche, nelle diverse sfaccettature teoriche; l’attenzione è stata posta sul mondo in cui esse vengono rappresentate nel mondo interno dell’individuo, sulla loro influenza nello sviluppo psichico individuale. Fin dalle prime evoluzioni, alcune correnti avevano spostato l’attenzione da una visione dell’uomo che cerca una sua soddisfazione personale a una visione dell’uomo in cui hanno un ruolo fondamentale le rappresentazioni interne e le aspettative relative al porsi in relazione con gli altri. L’importanza della rappresentazione della relazione viene prima di tutto evidenziata dai teorici delle relazioni oggettuali (Fairbairn, Klein, Bion), ma anche da alcuni degli esponenti degli “indipendenti” inglesi, quali Winnicott e Bowlby. Tuttavia, anche alcuni autori che si inseriscono nella corrente degli psicologi dell’Io, p.es. all’interno della teoria della separazione-individuazione di Margaret Mahler, sono molto interessati alle concettualizzazioni relative alle “rappresentazioni dell’oggetto”. Se anche permane da parte di alcuni autori la convinzione di considerare la persona nella sua individualità, p.es. nei termini di identità processuale secondo Erikson o di carattere secondo Kernberg, o anche nei termini di una psicologia del Sé, viene tuttavia data importanza a un aspetto “costante” nell’individuo definito come schema relazionale interno. Vengono ideati modelli in cui viene ipotizzato che lo stato interno di un individuo si regoli attraverso il rapporto con l’altro. Nonostante alcuni autori sostengano che le motivazioni che spingono l’individuo siano legate a compiti evolutivi elaborati internamente da una sorta di schema preprogrammato definito “motivazione emergente” (Lichtenberg), esse sono considerate suscettibili di modificazione sulla base della “sintonizzazione affettiva” con l’oggetto di riferimento. Viene dato spazio a modelli psicoanalitici che pongono enfasi sulla teoria degli affetti (Ammaniti, Dazzi, Zavattini), sulla tendenza alla socializzazione come motivazione significativa ai tempi dell’intersoggettività nei termini di “senso del noi” (Klein). L’uomo diventa agente attivo in un sistema diadico di rappresentazioni e stati interni. Ogni individuo, all’interno delle relazioni e di uno scambio affettivo, si crea aspettative su sé stesso e gli altri e acquisisce maggiore consapevolezza di sé e dei propri stati interni. Spesso permane uno scarso interesse da parte del clinico a orientamento psicoanalitico verso possibili aperture a interventi con la realtà della coppia genitori-figli. Esistono comunque delle eccezioni. Precisamente in due ambiti: gli interventi nella prima infanzia e il lavoro con la coppia genitoriale. 8.1.2 la relazione di coppia nella teoria psicoanalitica Per amore romantico si intende un rapporto che contiene in sé l’amicizia e il desiderio erotico, all’interno di una relazione di gratificazione reciproca e non incestuosa tra due adulti. Ogni discussione relativa a intimità di coppia, infedeltà, egoismo o incapacità di amare o raggiungere relazioni di coppia profonde e gratificanti deve sostanzialmente partire dal concetto di “amore romantico” e dalle possibili “sindromi” psicopatologiche della vita di coppia. L’intervento con la coppia coniugale, nel senso di diade romantica a prescindere dalla presenza o meno di figli e dai ruoli genitoriali degli individui, dovrebbe essere strutturato tenendo conto di quelle che sono state le teorie che via via hanno portato contributi in quest’area. Da Freud e da analisti successivi che si sono occupati della tematica: Winnicott, Balint, Guntrip, la coppia e il legame profondo sessuale-sensuale (Lichtenberg) che la caratterizza sono stati oggetto di attenzione, soprattutto alla luce del fallimento doloroso di questa relazione. In sintesi Freud sostiene che l’amore: a) Richiede una struttura dell’Io abbastanza forte da reggere alle minacce potenziali ai suoi confini e all’emergere periodico delle componenti istintuali; b) Ha una sua funzione narcisistica e trae le sue origini dall’iniziale relazione madre-bambino; c) Richiede l’affermazione dell’Io ideale attraverso la forza narcisistica che deriva dal partner con una predominanza degli aspetti di Io ideale su aspetti solamente narcisistici nella relazione: “l’oggetto amato dovrà essere messo al posto dell’Io ideale”; d) Implica la necessità di una fusione di scopi libidici (erotici e affettivi) e di una sintesi di tali scopi con quelli aggressivi; e) Richiede una significativa rinuncia alle spinte edipiche. Freud sostiene che, per assicurare un atteggiamento del tutto normale verso l’amore, sia necessario che si sintetizzino due fondamentali componenti: la tenerezza e la sessualità. La tenerezza si costituisce in connessione con le cure fornite inizialmente a livello corporeo e psicologico dagli oggetti primari, in particolare la madre; la sessualità si realizza con la pubertà. Quando le due componenti affettive e sessuali si sintetizzano, l’amore romantico può rivolgersi verso oggetti extrafamiliari, con cui l’unione sessuale è possibile e permessa. Quando questa sintesi non avviene gli individui, nel momento in cui amano, non possono desiderare e, nel momento in cui desiderano, non possono amare. Freud propone anche delle ipotesi distinte relative alla vita erotica degli uomini e delle donne, affermando che negli uomini esista una generalizzata tendenza alla ipervalutazione dell’oggetto sessuale, legata a un bisogno di vittoria sul padre nel complesso edipico, e nella donna vi sia la tendenza a evocare mentalmente o realmente la condizione di proibizione a cui è stata educata, legata alla rinuncia alla madre e al ripiego edipico sul padre. Di conseguenza, per innalzare il piacere sessuale le donne hanno bisogno di creare mentalmente (o attualmente rievocare) la condizione di proibizione, mentre gli uomini sono portati a scegliere oggetti d’amore percepiti come inferiori o più deboli (p.es. una donna di livello socioculturale inferiore). Per dare ragione alla diminuzione del piacere erotico nel matrimonio, Freud dichiara che il valore psichico dei bisogni erotici si riduce al progredire del loro soddisfacimento e ne dà delle spiegazioni in termini di sviluppo pulsionale. Tuttavia, egli aggiunge che c’è probabilmente qualcosa di inerente alla natura del desiderio sessuale che rende elusiva la sua completa soddisfazione. Freud mostra un maggiore ottimismo nei riguardi di un secondo matrimonio. Con la nuova concettualizzazione relativa al narcisismo (Freud, 1914), l’argomento del matrimonio viene rivisitato tramite la nuova prospettiva della distinzione tra due forme d’amore: narcisistica (che deriva dai bisogni di autoaffermazione dell’Io) e anaclitica (che deriva dal desiderio per le qualità amorevoli e accudenti dell’oggetto amato). Le due correnti dell’amore narcisistico e anaclitico sono indissolubilmente legate, poiché amare/desiderare l’altro ed essere da esso corrisposti determina un innalzamento dell’autostima di origina narcisistica: da qui il grande dolore del non essere ricambiati o del tradimento, poiché la caduta dell’amore anaclitico procura il venir meno dell’aspetto narcisistico. Successivamente, Freud (1915-17) osserva come, affinché si verifichi un amore profondo, sia necessaria una sintesi degli scopi libidici e aggressivi. Freud sostiene che anche nell’amore normale si assiste a un fenomeno di transfert che differisce da quello che si riscontra nel contesto psicoanalitico principalmente per l’intensità. Infine, Freud (1930) si rivolge allo stato inusuale dell’essere innamorati, affermando che al picco di tale esperienza c’è la minaccia che venga spazzato via il confine tra l’Io e l’oggetto. Secondo Freud alcune persone si difendono dal dolore che deriva dalla perdita dell’oggetto dirigendo il loro amore invece che a una persona nella sua complessità e interessa, alle sue istituzioni culturali: questo “affetto inibito nello scopo” costituisce anche la base per i legami familiari e di amicizia. Comunque queste ipotesi sull’amore vengono esplicitate da Freud dal punto di vista di un modello di funzionamento individuale e di dinamiche interne dell’individuo. Autori successivi hanno formulato ipotesi sull’amore adulto. incremento del senso di colpa e depressione dell’individuo affetto da questo problema nella vita amorosa. La nascita di un figlio riattiva sia aspetti edipici che fusionali, la rabbia e il senso di colpa, mettendo il soggetto in uno stato di profondo conflitto bisogno/paura, ambivalenza. L’intervento di approccio psicoanalitico per essere efficace deve fare forza sugli aspetti dell’ambivalenza del soggetto e cercare di evidenziare la paura e il bisogno, all’interno della coppia e nella relazione transferale, per mitigare il timore della fusionalità. Contemporaneamente dovrebbe prendere in carico, nel partner, gli aspetti di aggressività e distruttività riflessi dalla depressione e dall’invidia. Questa strategia purtroppo è continuamente a rischio di fluttuazioni della vicinanza e anche di interruzione della terapia a causa della potente ambivalenza del paziente-coppia.  Innamorarsi della persona sbagliata Strettamente collegata agli aspetti precedentemente individuati è la tendenza a innamorarsi della persona sbagliata, di solito una persona inadeguata o proibita o irraggiungibile, perché troppo giovane e/o troppo vecchia, perché consanguinea, perché già sposata e impegnata o clericale. Tutti questi esempi, inconsciamente, richiamano e si sostituiscono all’oggetto edipico, riattivando il conflitto e la scissione pre-edipica tra seno buono e seno cattivo. Un tipico esempio è il pensiero, conscio o inconscio, spesso diffuso tra gli uomini che hanno molte relazioni extraconiugali, del ruolo della moglie “madonna” e delle amanti “puttane”, dove affetto e carica erotica sono vicendevolmente inibiti e mantenuti su oggetti separati, rappresentanti la scissione dell’oggetto di amore originario. Nelle donne un meccanismo simile viene evidenziato dalla comparsa di un potente attaccamento erotico verso l’analista, oggetto d’amore irraggiungibile.  Incapacità di disinnamorarsi e terminare una relazione Apparentemente potrebbe sembrare strano che l’incapacità di disinnamorarsi sia una psicopatologia dell’amore, ma in realtà va letta come rifiuto tenace di accettare che l’altro non sia più innamorato e abbia posto fine alla relazione. In circostanze normali, infatti, quando uno dei due partner della coppia non è più legato e innamorato, l’innamoramento anche dell’altro partner nel tempo tende a decrescere, proprio grazie al legame inscindibile che esiste tra amore anaclitico e amore narcisistico. Tuttavia, in soggetti con strutture fortemente nevrotiche o borderline o con tratti psicotici, la tendenza è proprio opposta: in queste strutture ancora irrisolte a livello edipico o ancora sotto la pressione del bisogno di accettazione pre-edipico, si assiste a un’intensificazione dell’amore e del desiderio verso chi non è più innamorato. Sembra che questa non accettazione della fine di un amore sia una difesa estrema nei confronti della rabbia enorme che l’abbandono o il rifiuto provoca nell’individuo. Le persone che restano legate e innamorate per anni e anni dopo che le relazioni sono finite soffrono di una mancanza di costanza oggettuale, delegano la loro autostima e il loro equilibrio affettivo all’oggetto esterno, non tollerano le frustrazioni e le negano, per evitare di regredire a uno stato di rabbia aggressiva o suicidaria. All’interno della coppia, e tra i principali motivi di segnalazione, emerge la rigida incapacità o il rifiuto di accettare la realtà e i limiti che questa impone, come difesa estrema da una rabbia incontrollata e distruttiva. Molti autori sottolineano come l’intervento con il singolo e con la coppia debba essere focalizzato sulla gestione della rabbia e del transfert erotico e maligno che scatena all’interno del setting con questi pazienti, soprattutto donne. Nella situazione di coppia come in quella clinica, questo transfert si caratterizza con domande coercitive di “amore” e gratificazione, anche se sessuale; con un controllo ostile e malcelato di questi desideri; con l’assenza di un controtransfert sessualizzato nel terapeuta; con l’inconsolabilità del paziente. Il trattamento della coppia, se esiste ancora una coppia, e del singolo, si focalizza sulla cura del transfert erotico maligno e delle implicazioni aggressive che esso comporta.  Incapacità/impossibilità di sentirsi amati Poco è stato detto relativamente al fatto che anche la capacità di sentirsi amati ha dei prerequisiti fondamentali e strutturali: la costanza del Sé e il raggiungimento del narcisismo secondario sono fondamentali per potersi sentire amati. Inoltre molti altri raggiungimenti strutturali sono necessari, come la capacità essere umili e grati, di riconoscere il valore degli altri e, di conseguenza, tollerare l’invidia, di rinunciare a una visione cinica del mondo e alle rappresentazioni masochistiche del bambino ad essa collegate, di godere della vita interiore e di quella reale gestendo gli impulsi e i sentimenti in una visione dove le imperfezioni di sé e degli altri vengono accettate e si rinuncia all’onnipotenza infantile, di sentire il senso di colpa e la possibilità di riparare ai torti e all’aggressività verso l’oggetto amato. molti narcisisti, paranoidi o schizoidi, sono magari amati, ma non possono sentirsi amati, perché nell’altro rischierebbero di vedere il riflesso di loro stessi. A volte l’incapacità di sentirsi amati è accompagnata da un atteggiamento attivo di rifiuto o di distruzione delle possibili relazioni che si creano; questo è il caso, p.es., del narcisismo maligno. Queste persone distruggono ogni tipo di amore che viene loro fornito o proposto, con un atteggiamento di fredda distanza e superiorità, che castra, deumanizza e toglie vitalità agli altri; disprezzano l’amore e idealizzano l’odio, identificandosi totalmente con gli aspetti aggressivo-distruttivi e gli oggetti interni cattivi, che vengono idealizzati. Tutto ciò è una difesa estrema contro gli oggetti buoni, che premono per la dipendenza e l’attaccamento agli altri e alle relazioni. I soggetti affetti da narcisismo maligno in grado lieve percepiscono una dolorosa solitudine e un leggero senso di colpa conseguente alla loro fredda rigidità nel distruggere le persone e i legami, sebbene difficilmente credano che qualcuno possa in qualche modo aiutarli. Questi soggetti, quindi, difficilmente si rivolgono allo psicologo. Le coppie che ricorrono a un terapeuta spesso si segnalano per problemi di depressione reattiva nel partner che ha un compagno narcisista, più che per qualche vera sofferenze di quest’ultimo. L’intervento risulta molto complesso e spesso mirato ad aumentare la consapevolezza e le risorse nel soggetto che manifesta depressione, a causa della fuggevolezza del narcisista. Agganciare quest’ultimo, infatti, è arduo poiché speso presenta tratti di personalità similparanoici e sente il terapeuta o disinteressato a lui o addirittura infastidito e rifiutante. 8.1.3 modelli psicoanalitici di funzionamento della coppia e della famiglia La psicoanalisi non trascura l’”oggetto”, teorizza sulla relazione parentale, sull’amore adulto, sulla relazione tra fratelli, e lo fa con un interesse principalmente rivolto a come l’individuo si costruisca delle rappresentazioni interne di queste relazioni e imposti la sua vita attorno a questo suo mondo interno. Tutti concordano sul fatto che la famiglia o la coppia costituisca un’entità che va al di là delle singole parti. Il filone che maggiormente prenderemo in considerazione ha iniziato a svilupparsi e ha acquisito man mano molto rilievo in Inghilterra verso gli anni ’60. Mentre in Italia risulta essere una pratica non ancora ampiamente adottata, in altri paesi europei (soprattutto Inghilterra) e negli Stati Uniti, questo approccio è largamente impiegato e viene attualmente considerato una modalità valida di intervento. Molti dei modelli fanno riferimento alla terapia della coppia, ma alcuni si occupano dell’intera famiglia. di rilievo particolare è il modello per la comprensione degli interventi sulla coppia proposto da Norsa e Zavattini (1997). A Zavattini dobbiamo riconoscere anche il merito di cercare di diffondere in Italia l’importanza di una terapia della coppia su base psicoanalitica. Vorremmo comunque precisare che i modelli d’intervento con la famiglia sviluppati in ambito psicoanalitico formulano tutti ipotesi diversificate. In Inghilterra, la tradizione del lavoro con la coppia coniugale è ormai consolidata. Nella scuola inglese, l’eredità proviene direttamente dai teorici delle relazioni oggettuali (Fairbairn, Klein) che hanno influenzato notevolmente tutti gli studi successivi delle relazioni di coppia. Tale teoria, in opposizione a quella classica pulsionale e a quella degli psicologi dell’Io, viene ancora considerata la più utile per fornire la base per una comprensione del rapporto di coppia in ambito psicoanalitico. La teoria delle relazioni oggettuali viene privilegiata per due ragioni fondamentali: a) perché sembra più adatta all’ampliamento delle relazioni di coppia e/o familiari; b) per le tipologie di meccanismi di difesa che privilegia nello svilupparsi del mondo interno dell’individuo: scissione, proiezione e identificazione proiettiva. Questo centro iniziò la propria attività clinica nel 1948 con le psicoanaliste Lily Pincus e Kathleen Bannister che si occuparono, sia teoricamente che clinicamente, della crisi di coppia. Tuttavia, è a Henry Dicks (1967) che dobbiamo una concezione precisa della teoria e della tecnica nell’ambito dell’intervento con le coppie. L’autore considera il matrimonio, o una relazione terapeutica naturale da intendersi come campo di manifestazione delle relazioni oggettuali irrisolte. Ogni coniuge, rispetto all’altro, risulta il portatore che agisce da contenitore di un oggetto interno del partner cui vengono affidati aspetti di sé. Questa posizione ha portato successivi autori negli Stati Uniti a proporre un modello di funzionamento a base psicoanalitica sia della coppia che dell’intera famiglia. I modelli che si rivolgono alla coppia e all’intera famiglia spesso fanno riferimento ad alcuni concetti classici della teoria delle relazioni oggettuali e dei meccanismi di difesa. La complessità attuale della teoria psicoanalitica sembra rivolgersi ancora e quasi solamente al suo ambito classico di studio e di lavoro: l’interpretazione del funzionamento individuale. Tutti i paradigmi proposti, comunque, rinviano a quelle teorizzazioni che danno importanza soprattutto alle rappresentazioni delle relazioni oggettuali e concordano sul fatto che le relazioni rappresentate hanno componenti sia consce sia inconsce e che esse non sono una fotografia o una fotocopia di quelle realmente vissute. Le relazioni passate sono ancora presenti nel mondo interno del cliente che chiede l’intervento anche come membro di un sistema familiare e giocano un loro ruolo nel rapporto con il partner, con i figli, con altri membri della famiglia. 8.1.4 teoria della tecnica Tutti gli autori che si immettono nell’ambito dell’intervento familiare su base psicoanalitica evidenziano l’importanza di alcuni principi fondamentali di tale tecnica (gli affetti, la riflessione e l’insight, la relazione terapeutica in particolare nei suoi aspetti transferali e controtransferali) come fattori curativi del trattamento. Questi tre aspetti possono assumere pesi diversi a seconda che ci si ponga maggiormente verso il polo espressivo o verso il polo supportivo. 8.2 definizione di famiglia sana vs famiglia patologica Tutti gli autori ipotizzano che una componente della psicopatologia familiare sia da attribuire a bisogni inconsci e a meccanismi di difesa che influenzano la relazione attuale con gli altri membri della famiglia. si parla di proiezione, esternalizzazione, identificazione proiettiva di bisogni e desideri di un partner nei confronti dell’altro. Tuttavia ogni autore presenta dei modelli peculiari di funzionamento sano e/o psicopatologico. 8.3 metodi per diagnosticare la disfunzione o patologia e unità di interesse (individuale, diadica, triadica, sistemica) Negli interventi familiari su base psicoanalitica lo strumento principale per la diagnosi è lo scambio verbale sotto forma di colloquio, anche se svolgendosi l’incontro tra due o più pazienti contemporaneamente la conduzione non è quella classica della seduta individuale. L’unità è diadica o di sistema a seconda che ci si rivolga alla coppia, sia essa coniugale o genitoriale, o all’intero sistema familiare. Il momento diagnostico è separato e precede la fase di trattamento. 8.4 finalità del trattamento Da premettere che le finalità vengono precisate alla fine del processo diagnostico di consultazione. La conclusione non viene di solito prefissata ma dovrebbe derivare in comunanza tra terapeuta e famiglia dal processo terapeutico stesso, come da esso dovrebbe derivare che lo scopo è stato raggiunto. Scopo generale della terapia familiare sulla base di un background psicoanalitico è accogliere la sofferenza delle famiglie all’interno di un contesto relazionale, senza centrare l’attenzione solo sull’aspetto obiettivo sintomatico o solo su un’analisi del malfunzionamento delle dinamiche relazionali, tenendo conto dell’influenza sia del singolo membro sia delle relazioni e dei significati consci e inconsci delle modalità relazionali che si sono costituite all’interno della famiglia. nello specifico ci si propone di aiutare le famiglie a condividere ed esprimere emozioni e stati affettivi, ad accettare e comunicare anche momenti di disagio e malessere sostenendosi vicendevolmente senza angosciarsi eccessivamente, a risolvere i problemi che le hanno portate al trattamento, a vivere, tollerare ed elaborare le situazioni conflittuali affrontandole con una maggiore flessibilità e un uso più elastico e adattivo dei meccanismi difensivi. È fondamentale promuovere lo sviluppo di una migliore capacità di insight, di autoriflessione e di riflessione rispetto a come e perché certe cose succedano all’interno della famiglia e/o della coppia, sia essa coniugale o genitoriale. 8.5 struttura del processo terapeutico  Setting. La coppia e la famiglia si riuniscono in uno spazio adibito alla specificità dell’incontro, con sedie disposte in modo da dare spazio a tutti i partecipanti; la frequenza di solito è settimanale e la durata è C. La realtà personale a livello consapevole dove due persone si accoppiano perché scientificamente cercano in maniera matura e differenziata una relazione “sanzionata” cooperativa in cui si forniscono reciprocamente amore, attaccamento, ammirazione, validazione in virtù della creazione della successiva generazione; D. La realtà personale a livello inconsapevole dove, seguendo la teorizzazione di Fairbairn, gli autori ipotizzano che si attui, accanto alla complessa relazione consapevole, un legame a livello inconscio e costruito attorno alle relazioni oggettuali scisse e rimosse di tipo eccitante (libidico) e rigettante (antilibidico). La coppia esperisce tutto questo con un senso di aggiustamento. Sembra che i due partner tendano a essere allo stesso grado di maturità. Eccezioni al normale costituirsi della coppia sono rappresentate dalle situazioni in cui essa si forma sulla base di una relazione sadomasochistica, dove sessualità e aggressività sono fuse in modo che gli scambi aggressivi e rifiutanti all’interno della coppia sono talmente pesantemente sessualizzati che i due non possono differenziarsi. La coppia usa la mutua aggressività come modalità eccitante per costruire proprio questo tipo di legame. Questo è il caso in cui prevalgono i fattori rifiutanti e cattivi, che non possono essere rielaborati e restituiti (famiglie non funzionanti o patologiche). Alla base del funzionamento di coppia e familiare gli Scharff propongono una ulteriore concettualizzazione esplicativa dei processi familiari: uno specifico concetto di holding (contenimento). Secondo gli Scharff la partnership psicologica, la capacità di instaurare relazioni intime e relazioni familiari d’affetto, si basa oltre che sulle relazioni oggettuali sulla costituzione di uno spazio transizionale secondo la teorizzazione di Winnicott. Gli aspetti fisici della partnership psicosomatica infantile con la madre giocano un ruolo fondamentale e primario nella relazione di coppia adulta. Il punto di partenza è l’ipotesi che la relazione madre-bambino si sviluppi da una partnership fisica (la simbiosi intrauterina) e una partnership mente-corpo che evoca la ricchezza di una intenza relazione che è al contempo estremamente fisica e fondamentalmente psicologica. Il mondo interno del bambino è completamente organizzato tramite le cure materne dell’holding e dell’handling. Da essi si costituisce lo spazio transizionale, base di una buona intimità adulta. A partire da questa ipotesi, gli Scharff introducono tre fondamentali processi utili per la comprensione della dinamica familiare, che hanno origine e si sviluppano nello spazio transizionale tra madre e bambino:  Relazionarsi: madre e bambino partecipano, naturalmente con le corrispondenti capacità, a un processo di comunicazione intima, di relazionarsi con e prendere dentro l’esperienza reciproca di mutua identificazione, al centro del loro Sé fisico e mentale, ciascuno validando l’identità dell’altro, pur rapportandosi nel confine del proprio Sé corporeo e mentale.  “Holding” centrato: corrisponde al concetto di handling di Winnicott ed è tutto l’insieme delle attività fisiche e psicologiche (preoccupazione materna primaria) che la madre mette in atto per lo stabilirsi e svilupparsi della relazione.  “Holding” contestuale: il fornire il contesto generale fisico e mentale affinché si verifichi la relazione, in cui un ruolo fondamentale viene vissuto anche dalla figura paterna. 9.1.2 metodi per diagnosticare la disfunzione o patologia e unità di interesse (individuale, triadica, sistemica) Gli Scharff evidenziano come molto raramente una famiglia si presenti come bisognosa di aiuto nella sua totalità e con la richiesta di un intervento familiare in toto; spesso si presentano i genitori con un problema del figlio. Essi propongono un assessment che comprende incontri singoli con i genitori e il figlio (che si svolgono sotto forma di colloqui individuali e/o con la coppia genitoriale). Propongono anche una seduta con tutta la famiglia, motivandola con il fatto che il paziente su cui si accentra la problematica vive in un certo ambito familiare di cui è fondamentale avere una conoscenza complessiva. Non viene fatto obbligo a tutta la famiglia di partecipare, benché sia auspicata la presenza di tutti i membri. Nel processo diagnostico viene rivolta l’attenzione alla fase evolutiva in cui si situa l’interazione familiare, alla capacità della famiglia di poter iniziare una terapia familiare espressiva di stampo psicoanalitico; questo implica valutare le risorse e le debolezze della famiglia, ma anche, dal punto di vista della tecnica, la capacità di accettare la frustrazione e l’angoscia, di sviluppare un’attitudine psicologica e di lavorare tramite l’interpretazione e l’utilizzazione del transfert e del controtransfert, in cui vengono condotti test di verifica durante la consultazione diagnostica con l’intera famiglia. 9.1.3 finalità del trattamento Lo scopo della terapia familiare di stampo psicoanalitico è espandere la capacità di mettere in atto le funzioni di holding per i suoi membri e le loro potenzialità di offrirsi holding l’uno con l’altro, di aiutare ciascuno di essi ad avere comprensione e compassione per gli altri, un po’ come succede nella relazione madre-bambino. Si tratta di sostenere e nello stesso tempo di raggiungere il nucleo centrale della famiglia. lo scopo è quello di comprendere le relazioni oggettuali inconsce, tra le quali quelle rifiutanti e aggressive. Secondo gli Scharff, ogni famiglia tramite i suoi membri esprime aspetti della comunicazione relativi ai propri oggetti interni. Anche il terapeuta ha un proprio mondo interno di relazioni oggettuali, la cui organizzazione corrisponde a quella del paziente, anche se si ipotizza che sia meno rigida, con un numero inferiore di aspetti rimossi e scissi, più mobile e più flessibile. 9.1.4 struttura del processo terapeutico  Setting Gli Scharff descrivono nel dettaglio il setting. Essi dispongono delle sedie circolarmente o almeno attorno alla stanza prima della diagnosi e poi della terapia, mettendo al centro un tavolino per bambini, con pennarelli e giochi, questo sia per indicare lo spazio psicologico attribuito alla presenza dei figli e della loro comunicazione, sia per evidenziare che nella stanza anche agli adulti possono essere permessi eventuali movimenti regressivi. Secondo gli Scharff la terapia familiare non deve avere un setting fisso e autoritario, dove tutti i membri sono obbligati a partecipare, ma può essere condotta con la porzione di famiglia che voglia contribuirvi. Nella terapia familiare espressiva psicoanalitica il processo è di lunga durata e con conclusione non prefissata come in ogni altro tipo di trattamento psicoanalitico. La famiglia si incontra settimanalmente per una seduta della durata classica di 45-50 minuti.  Fattori di cambiamento Il modello proposto dagli Scharff può essere definito come terapia espressiva. Come tale condivid molti degli aspetti della teoria della tecnica psicoanalitica classica, anche se con degli adattamenti. I pazienti esprimono il loro mondo interno soggettivo al terapeuta tramite materiale manifesto. Questo materiale è tutto quello di cui il terapeuta ha bisogno per capire e giungere al mondo interno del paziente: relazioni oggettuali, parti di sé e degli altri scisse o rimosse. Tutti questi aspetti sono fuori dalla consapevolezza del paziente, ma vengono comunicati inconsciamente al terapeuta. Si tratta di un messaggio metapsicologico che viene accolto e interpretato dal terapeuta. All’interno di questo messaggio vengono a inserirsi i movimenti di transfert e controtransfert. Tuttavia gli Scharff ritengono importante distinguere un transfert contestuale da un transfert focalizzato. Il transfert contestuale si rivolge al terapeuta come fornitore di un ambiente che sostiene (holding) le angosce dell’intera famiglia e precede il costituirsi del transfert focalizzato. Si tratta dello spazio che il terapeuta crea affinché la famiglia possa maturare e svilupparsi, acquisire una nuova forza psicologica. Le sue radici si possono ritrovare nell’holding della madre e del padre nei confronti del bambino piccolo, nell’holding del padre nei riguardi della madre e della coppia madre-bambino piccolo, nell’holding reciproco dei genitori a livello sessuale, nell’holding di padre e madre insieme nei confronti della famiglia, inclusi i fratelli, nell’holding della famiglia di padre, madre e figli, nell’holding che la precedente generazione ha fornito alla famiglia attuale. Di importanza fondamentale per la terapia sia individuale che familiare è il transfert contestuale all’inizio della terapia. In tale situazione il terapeuta rappresenta ancora un familiare affettuoso che ascolta quello che al paziente sta succedendo. Nella terapia familiare si tratta di un holding dell’intera famiglia, dove il terapeuta assume la posizione di una madre che sostiene il bambino e di un padre che supporta. Quello che costituisce l’unicità della famiglia è che essa rappresenta una cornice in cui ogni membro fornisce un holding per l’altro, per consentire a ognuno di sviluppare i propri oggetti interni e questo con membri che vivono in relazione intima tra di loro. Il terapeuta per poter contenere il transfert contestuale deve prima di tutto essere equidistante da tutti i membri della famiglia. L’holding contestuale viene mediato tramite l’handling (gestione) degli arrangiamenti: la competenza nel condurre i colloqui, il condividere la preoccupazione per la sicurezza della famiglia e, cosa molto semplice, il vedere l’intera famiglia stessa lavorare, scambiare opinioni, ascoltare. L’holding centrato si manifesta nel momento in cui il terapeuta ingaggia il cuore delle questioni della famiglia, ed essa lo incontra come una persona su cui fare affidamento, interattiva e comprensiva, che aggancia la famiglia e si prende profondamente cura di essa. Questo consente un po’ alla volta di raggiungere la modalità comunicativa profonda (centered relating) tra i vari membri della famiglia. La terapia familiare basata sulla teoria psicoanalitica delle relazioni oggettuali deriva dai classici principi psicoanalitici dell’ascoltare, del rispondere al materiale inconscio, dell’interpretare, dello sviluppare insight e del lavorare tramite il transfert e il controtransfert. Questi aspetti nella terapia familiare fanno riferimento all’intero sistema familiare, anche se in maniera diversa dagli approcci sistemici. L’insight si verifica quando si può vedere insieme come il modo in cui la famiglia si relaziona con il terapeuta rifletta il transfert di sentimenti repressi e di comportamenti che hanno le loro radici nelle iniziali esperienze all’interno della famiglia di origine. Il ripetersi di tali fenomeni nel setting terapeutico consente a tali sentimenti e alle relative difese di diventare consci. La relazione terapeutica offre un ambiente abbastanza simile a quello reale in modo da permettere una reale elaborazione. La differenza sta nel fatto che il terapeuta, in conseguenza al suo training, alla sua esperienza e alla sua crescita personale, porta nella relazione una capacità sviluppata di sostenere il dolore, l’angoscia e la perdita che rende i membri della famiglia capaci di confrontarsi con le loro difese e di affrontare le angosce come gruppo. Lo scopo immediato non è la risoluzione del sintomo ma la progressione, attraverso la fase attuale di sviluppo della famiglia, con una migliorata capacità di lavorare come gruppo e di differenziare e soddisfare i bisogni individuali dei singoli membri. Quando il terapeuta lavora con la coppia deve oscillare tra l’holding contestuale della coppia, il mondo interno di ciascun membro e le difficoltà che derivano dalle proiezioni e introiezioni del transfert focalizzato di un membro sull’altro. Questi sono in realtà i momenti in cui la coppia si presenta: quando capiscono che qualcosa non funziona più, che qualcosa tra di loro è andato storto. Di solito ci si trova di fronte a transfert negativi di tipo rifiutante e persecutorio di un membro sull’altro. Se si presentano mentre stanno insieme, questo significa che i loro sentimenti positivi mantengono il loro progetto mentre cercano di capire che cosa è andato storto. Lo scopo è di comprendere quelle relazioni oggettuali inconsce che interferiscono con l’ulteriore sviluppo di relazioni oggettuali più mature nella famiglia.  Difese contro un eccessivo controtransfert  Distanziarsi. Il terapeuta sceglie di rimanere distante per evitare diverse trappole immaginarie. Bisogna distinguere questo meccanismo da quando la famiglia ha un inconscio bisogno di distanziare il terapeuta e di questo il terapeuta si rende conto. Invece, quando il terapeuta si distanzia inconsciamente, sempre più penosamente è incastrato in una posizione di outsider, vede sempre di più ma impara sempre di meno tramite l’esperienza di essere con la famiglia. è come un membro della famiglia escluso e separato che vede dall’esterno. Egli può provare pena e confusione a differenza del terapeuta sistemico che diviene attivo nella terapia. Questi sentimenti possono derivare da esperienze infantili con i fratelli o i genitori e vanno elaborati.  Interpretazioni non empatiche, aggressive e premature che possono distruggere il lavoro con la famiglia. Sebbene una interpretazione temporalmente opportuna, soprattutto allorché la famiglia è presa da accessi di aggressività reciproca e rabbia, sia utilissima, l’interpretazione che realmente raggiunge nel momento adatto il funzionamento inconscio del sistema aiuta a far sentire la famiglia compresa e la aggancia al lavoro terapeutico stesso.  Prendere le parti, escludere le diadi. Talvolta, evitare di includere nella famiglia alcuni sottosistemi è dovuto in realtà alla incapacità di gestione da parte del terapeuta di vissuti relativi alla diade genitoriale, alla coppia, ai fratelli. di un’ora e un quarto ciascuno condotti da un terapeuta esperto. Il ruolo centrale viene svolto dal colloquio clinico. Il colloquio, orientato per aree, servirà al terapeuta a definire maggiormente quali siano le dinamiche inconsce della coppia, gli ambiti che più vengono indagati in questo particolare modello di intervento sono: la natura dell’angoscia, i meccanismi di difesa utilizzati e la loro fluidità, il tipo di relazione oggettuale. Questi aspetti consentono al terapeuta di verificare quanto sia primitiva la relazione di coppia portata dai pazienti. Talvolta i coniugi riferiscono situazioni conflittuali nella sola area del matrimonio, altre volte, invece, ci si imbatte in difficoltà che pervadono tutta la vita dei soggetti. Il terapeuta, in questi casi, esperisce una sensazione controtransferale di incapacità di distinguere l’uno dall’altro, ed è lo stesso terapeuta spesso a sentirsi indistinto dai pazienti, controllato, minacciato. Nel caso di coppie identificabili nella posizione depressiva, ovvero, come abbiamo visto, quelle maggiormente evolute, si riscontrano per lo più i seguenti meccanismi inconsci: a) L’angoscia è di tipo depressivo, con marcata paura di perdita dell’oggetto; b) Le difese sono maggiormente maniacali, ossessive, e la rimozione viene registrata più frequentemente della scissione; c) Le relazioni oggettuali sono più complesse, l’oggetto viene percepito come intero e separato; d) Non mancano, però, slittamenti fluttuanti nella posizione schizo-paranoide. Nelle coppie a impianto schizo-paranoide, invece: a) L’angoscia è di tipo persecutorio; b) Le difese riscontrate sono per lo più scissione, identificazione proiettiva e idealizzazione/svalutazione; c) Le relazioni oggettuali sono di tipo narcisistico, l’oggetto è inteso come parziale, ne viene negata ogni separatezza e c’è una confusione dei confini dell’Io; d) La posizione schizo-paranoide è più rigida e meno flessibile per poter consentire il passaggio alla posizione depressiva. 9.2.5 struttura del processo terapeutico  Setting L’intervento di coppia di stampo psicoanalitico prevede la partecipazione di entrambi i partner. Le sedute, della durata di un’ora, vengono condotte da un unico terapeuta con cadenza settimanale, nonostante Ruszczynski riferisca di coppie viste da lui anche due volte la settimana. I tempi del trattamento sono piuttosto variabili, anche se la maggior parte dei casi presentati dall’autore non supera l’anno e mezzo o i due anni. Si tratta di terapie a lungo termine, senza conclusione prefissata. Lo scopo è fornire un setting in cui entrambi i partner vengono aiutati ad esplorare la loro relazione, capire le loro difficoltà e cercare di cambiare. Il modello è psicoanalitico, il che implica che l’attenzione venga rivolta agli aspetti sia consapevoli sia inconsci, che possono rendere conto dell’esperienza/e vissuta/e. Nella terapia di coppia, la coppia stessa viene considerata come un paziente, quindi sarà proprio la natura della relazione tra i partner l’oggetto di interpretazione da parte dello psicoterapeuta.  Le tecniche adottate e le loro finalità Il compito fondamentale della terapia psicoanalitica di coppia (come nel processo psicoanalitico individuale) consiste nell’analisi e nell’interpretazione delle dinamiche inconsce per permettere l’insight e lo sviluppo di una maggiore conoscenza di sé all’interno della relazione di coppia. L’autore parla di processo di interpretazione per evidenziare come quest’ultima, di per sé un commento verbale, sia preceduta e seguita da una serie di attività cliniche essenziali che, nel loro insieme, costituiscono l’attività ermeneutica: ascolto, osservazione, commento favoriscono un nuovo collegamento per il paziente (interpretazione in senso stretto) e la risposta da parte del paziente, a sua volta, fornisce una misura di accuratezza e utilità della nostra interpretazione. Nella terapia di coppia tale pratica è più complessa poiché tra i partner sussiste una mutua dinamica transferale e controtransferale, esiste quindi una seconda fonte di informazioni sul mondo interno dei soggetti che si esprime nella natura condivisa del modo di relazionarsi. Lo psicoterapeuta di coppia ha a disposizione due scenari: la relazione di transfert della coppia nei confronti dello psicoterapeuta e la relazione di transfert interna alla coppia stessa, anche se è comunque possibile che le dinamiche interne alla coppia siano legate alla relazione tra lo psicoterapeuta e la coppia stessa. Per proporre un’interpretazione interna alla coppia è condizione necessaria che la coppia stessa sia capace di una sana ambivalenza, di gestire l’angoscia, di preoccuparsi per l’altro, di contenere le proiezioni del partner, di senso di separatezza; in altre parole, è necessario che la coppia interagisca all’interno della posizione depressiva. Qualunque coppia, tranne la più disturbante, evidenzia momenti in cui la relazione avviene all’interno di tale modalità. Al contrario, in coppie che funzionano più su una posizione schizo-paranoide, l’interpretazione si deve collocare nel transfert verso il terapeuta perché un commento diretto sul reciproco comportamento sarebbe in opposizione alle loro richieste difensive, fondate su scissione e proiezione, e verrebbe sentito come persecutorio. La relazione di tali coppie, infatti, si basa su un rifiuto difensivo della conoscenza, che risulta più potente di qualsiasi desiderio di comprensione. Steiner (1993) vede la necessità di distinguere da un lato l’interpretazione centrata sul paziente, che cerca di collegare i vissuti e le parole di quest’ultimo alle sue motivazioni e angosce (possibile soprattutto con soggetti più evoluti perché implica una loro capacità di riconoscere come qualcosa di proveniente da sé ciò che ha compreso l’analista e che loro stessi ora devono riassumere in sé) e dall’altro lato l’interpretazione centrata sull’analista, utile soprattutto con pazienti che mostrano una struttura principalmente difensiva, che li agevola nella possibilità di riconoscere come essi stessi siano più interessati a cosa succede nella mente dell’analista piuttosto che nella propria, e poiché ciò che occupa il paziente è il suo vissuto visto dall’analista, l’analista stesso dovrebbe offrire un’interpretazione centrata su di sé. Tale differenza è più schematica che reale, poiché a un livello più profondo tutte le interpretazioni sono centrate sul paziente e riflettono lo sforzo dell’analista di comprenderne il vissuto e di comunicarglielo. Questa distinzione secondo Ruszczynski risulta particolarmente utile nel lavoro clinico con le coppie, in quanto può aiutare a discernere meglio dove collocare l’interpretazione del transfert: transfert verso il terapeuta o transfert sulla natura della relazione di coppia.  Fattori di cambiamento Se l’interpretazione riesce a connettere realmente diverse esperienze della situazione globale dell’incontro analitico, essa è utile per spostare il paziente da una posizione schizo-paranoide a una posizione depressiva. Più la relazione coniugale è difensiva, più sarà possibile che l’interesse principale di entrambi i partner sia di mantenere il sistema di proiezioni come difensivamente si era stabilito tra loro. Tale struttura è simile a quella che si ritrova in pazienti in terapia individuale il cui interesse primario è il rifiuto della propria conoscenza. Nella terapia di coppia è auspicabile che l’interpretazione si collochi nella relazione con lo psicoterapeuta come comprensione di come la coppia funziona in relazione al terapeuta stesso. Infatti, il tipo di interazione tra i due partner della coppia influenza il processo psicoanalitico e in particolare il processo di interpretazione. 9.3 il modello Norsa-Zavattini Diana Norsa e Giulio Cesare Zavattini sono psicoanalisti dell’International Psychoanalytical Association e hanno lunga esperienza clinica nell’ambito del lavoro con la coppia. 9.3.1 background teorico Il modello di Norsa-Zavattini (1997) risulta, in Italia, quello più elaborato e appartiene a quel filone di interventi che ha iniziato a svilupparsi e acquisire sempre maggior rilievo in Inghilterra verso gli anni sessanta, in particolare presso il Tavistock Marital Studies Institute. Suddivisione ambiti della teoria di riferimento degli autori in alcuni filoni principali (dopo ci si sofferma sulla loro integrazione): 1. I meccanismi di difesa. Partendo da Anna Freud con la nozione di esternalizzazione inizia a delinearsi, accanto ai meccanismi di difesa di livello intrapsichico, una modalità specifica di utilizzare il rapporto con l’altro in ottica difensiva. Ciò che avviene nel mondo interno, spesso, affinché possa essere accettato, ed eventualmente rielaborato, deve essere “trasformato in esterno”. Appare così il concetto di proiezione, come più tardi Klein (1954) rinominerà l’esternalizzazione, che consente di eliminare parti non riconoscibili del Sé e attribuirle al mondo esterno. Secondo l’ottica classica, in seguito al meccanismo difensivo di scissione (che fa sì che l’individuo separi gli oggetti interni in buoni e cattivi) e contenuti mentali inaccettabili vengono ricondotti all’altro. Un ulteriore meccanismo cardine del rapporto di coppia risulta essere l’identificazione proiettiva, termine coniato da Klein, secondo cui il soggetto su cui vengono proiettati gli oggetti interni “cattivi” accoglie tali contenuti e inizia a comportarsi conformemente alle aspettative del partner. Vengono a crearsi, quindi, interazioni dinamiche circolari in cui risulta sempre più difficile distinguere il mondo interno dell’uno da quello dell’altro. Secondo Clulow (2005) l’identificazione proiettiva può avere una duplice valenza: da un lato possiamo assoggettare l’altro (tu sei me), dall’altro siamo noi ad assoggettarci all’altro (io sono te). 2. Il tema dell’uso dell’altro. Gli autori sostengono che questo sia il concetto cardine della teoria di intervento con la coppia. Partendo dalla concezione classica, in cui l’altro viene visto come oggetto della scarica libidica, si riprende la felice metafora di Bion del contenuto/contenitore, ovvero la capacità individuale di accettare la realtà psichica dell’altro. L’incapacità di distinguere tra sé e l’altro comporta la necessità di negare i lati dolorosi del proprio mondo interno e, contemporaneamente, di soggiogare le proprie relazioni intime alla propria visione delle cose. Tale visione evolve, nella concettualizzazione del “coniuge portatore” di Teruel (1966), ovvero il partner assorbe e contiene i lati oscuri dell’altro. 3. La coppia genitoriale interna. Riguarda l’interiorizzazione della relazione di coppia dei genitori, così come è stata vista dall’individuo, ma soprattutto come è stata vissuta, come è stata fantasticata. Sono costruzioni che l’individuo fa in rapporto alla natura della relazione dei propri genitori, che contribuiscono all’emergere di aspettative nei confronti delle relazioni attuali e che determineranno la qualità delle stesse. La rappresentazione di coppia genitoriale interna è la risultante sia delle interazioni reali tra i genitori, sia delle fantasie dell’individuo su di esse. Quanto più questi due aspetti risulteranno incongruenti o lontani tra loro, tanto più sarà difficile per il soggetto crearsi aspettative realistiche nei confronti dei propri rapporti di coppia. Nel ciclo di vita il soggetto aggiusterà tale rappresentazione in accordo con i dati di realtà forniti dal mondo circostante, ma non sempre questi accomodamenti riveleranno un adeguato grado di esame di realtà. 4. Teoria del modello. Gli autori cominciano a considerare i meccanismi di difesa come una consueta modalità di regolare le priorie emozioni. Da un lato alcune persone tendono ad attribuire agli altri i lati oscuri di sé stessi, dall’altro viceversa, si accolgono le problematiche dell’altro. Secondo gli autori, però, è necessario sottolineare la dimensione intersoggettiva di tali difese, in particolare dell’identificazione proiettiva, di cui troppe volte è stato enfatizzato il solo aspetto individuale. In questo modello si parla di “identificazioni proiettive incrociate”, che riguardano vicendevolmente colui che attualizza il meccanismo difensivo e colui che lo accoglie. Secondo Norsa e Zavattini, inoltre, l’affido reciproco, ovvero la possibilità dei coniugi di usarsi a vicenda, immettendo nell’altro parti del Sé, se da un lato in alcune coppie può avere la funzione di riparare adeguatamente il proprio mondo interno, dall’altro diviene co-creare una relazione distorta, talvolta troppo compiacente. Esiste infatti una sorta di “coinvolgimento” nella formazione della coppia che, a seconda delle circostanze e soprattutto della personalità dei partner, può consentire di progredire nei propri compiti evolutivi o comunque di autoregolarsi, anche se troppo spesso in maniera patologica. L’ingaggio di coppia ha, comunque, sempre una valenza difensiva, l’altro viene sempre usato per fuggire dal proprio mondo interno, e, soprattutto, non è mai casuale. Le relazioni appaiono dipanarsi lungo un continuum che dalla polarità di “complementarità inconscia” arriva all’altra polarità di collusione. 9.3.2 definizione di famiglia sana vs famiglia patologica Secondo questa concezione, ovvero la teorizzazione del “coniuge portatore” di Teruel, ogni partner, in maniere vicendevole, contiene l’oggetto interno dell’altro, a cui a sua volta vengono attribuiti aspetti di sé. Tale ipotesi, che l’autore estende a tutte le coppie, tanto alle coppie “sane” quanto a quelle che non lo sono, abbiamo visto come derivi dalla nozione bioniana di contenuto/contenitore, requisito primo affinché possa essere di natura categoriale (il terapeuta è protettivo – la rappresentazione di un padre protettivo), ma possono esserci anche rappresentazioni diadiche, in cui entrambi i terapeuti vengono investiti di significati affettivi; la relazione terapeutica, però, può anche essere il luogo in cui ci si confronta con un’altra coppia adulta e mette in gioco le rappresentazioni interne triangolari di ciascuno. Il transfert nel lavoro con le coppie può avere due valenze, una positiva, in cui il terapeuta e l’intervento vengono vissuti con forti aspettative di aiuto, e una decisamente negativa, in cu la coppia difende le sue dinamiche attraverso la svalutazione della terapia. Spesso però, nel lavoro con le coppie i partner anche a livello di transfert si distribuiscono i ruoli, per cui ci sarà uno dei due più disponibile e l’altro più distaccato. Le interpretazioni di tutte le dinamiche transferali nel lavoro con le coppie sono volte a condurre gli individui al raggiungimento di una capacità autoriflessiva, della capacità di accettare la raggiunta dimensione triangolare della relazione. È consueto, però, che uno dei due partner fruisca più dell’altro delle interpretazioni dei terapeuti e non di rado si verifica che anche in questo caso sia fondamentale l’uso dell’altro.  Fattori di cambiamento Il cambiamento avviene a livello di ristrutturazioni del mondo interno dei due coniugi. Questo tipo di trattamento, attraverso la comprensione dell’intreccio relazionale tra i partner, consente ai pazienti di “decolludere” e di gestire attraverso una modalità maggiormente consapevole la sofferenza intrinseca alla domanda di aiuto. 9.4 ipotesi di linea evolutiva nella rappresentazione della coppia e della famiglia Le teorizzazioni si fondano soprattutto sul paradigma delle relazioni oggettuali. Poco spazio, a nostro parere, viene dato a un modello di rappresentazioni interne di oggetti e relazioni d’oggetto che tenga presente una evoluzione stadiale e quelle che in termini di Anna Freud potremmo definire “linee evolutive”. Alcuni cenni di questo tipo di teorizzazioni compaiono in Zavattini e negli Scharff, ma ci sembra che esse siano poco sviluppate. Probabilmente la ragione risiede nel fatto che la teoria stadiale è sempre stata tradizionalmente legata al punto di vista pulsionale e strutturale, ritenuto poco capace di interpretare le dinamiche di coppia e familiari. L’ipotesi di base, che ogni membro della famiglia tende ad avere rappresentazioni dell’altro e delle relazioni, che hanno componenti inconsce, e che esse vengono a colorare le modalità con cui le relazioni stesse si costituiscono e si sviluppano, rimane l’ipotesi generale. I meccanismi utilizzati potrebbero rimanere fondamentalmente gli stessi per quanto riguarda scissione, proiezione o anche il termine più “generalmente usato” di identificazione proiettiva, di idealizzazione e svalutazione, ma potrebbero esserci anche meccanismi di esteriorizzazione e spostamento. Relativamente alle rappresentazioni, un approccio stadiale permette di vedere a quale stadio di sviluppo si situi la relazione oggettuale di ciascun partner nei confronti dell’altro (edipico, simbiotico, adolescenziale, genitale), come essa risulti compatibile, se la relazione si basi su componenti regressive. In altre parole, il capitolo del profilo di Anna Freud sul funzionamento stadiale delle relazioni d’oggetto potrebbe essere utile per vedere: a) Se ciascun membro adulto della famiglia ha raggiunto uno stadio genitale, come singolo e nella rappresentazione che ha del partner; b) Se le rappresentazioni inconsce e i desideri collegati si situino allo stesso livello, per esempio se un livello di atteggiamento genitale si scontra con desideri di dipendenza infantile nell’altro partner; c) Se la dinamica relazionale si struttura a un livello genitale e/o a livelli precedenti. Da Freud, nell’ottica psicoanalitica, il momento specifico in cui il bambino riconosce la presenza della coppia, che lo coinvolge in relazioni separate (madre-bambino) ma al contempo lo esclude dal rapporto di coppia dei genitori, rappresenta il punto nodale dello sviluppo, il passaggio intorno a cui si struttureranno sia l’intera personalità dell’individuo sia l’organizzazione delle rappresentazioni dei legami successivi. Per Freud questo passaggio risulta essere il complesso di Edipo che, se da un lato deriva dall’incontro con la coppia, dall’altro induce il bambino al desiderio della sua cancellazione. Secondo la teoria psicoanalitica classica è molto forte l’aspetto sessuale all’interno della problematica edipica, in cui il bambino per arrivare in possesso della madre deve procedere attraverso l’eliminazione del padre. È solo l’angoscia di castrazione, stando a Freud, che protegge il bambino dal passaggio all’atto, ma le emozioni, le fantasie, i conflitti legati a questa tappa evolutiva condizioneranno irreversibilmente la tipologia di legami che si stabilizzeranno da adulti. Melanie Klein, successivamente, riprendendo il concetto di complesso edipico indica come non sia soltanto l’angoscia di castrazione a inibire l’agito del bambino, ma concorrano anche la capacità di amare i genitori e la capacità di tollerare la frustrazione. D’altro canto i genitori, come individui ma anche come relazione, vengono proprio in questo momento interiorizzati dal bambino come “oggetti interni”. Altri autori hanno proposto una rivisitazione della problematica edipica (Britton, Emde) evidenziando invece come il complesso di edipo sia fortemente connotato dal senso di esclusione vissuto dal bambino, ovvero la difficoltà di concepire che la propria madre non è un proprio possesso, non è un’estensione del proprio essere. È una conquista difficile, per il bambino, che deve imparare che esiste un’altra relazione di profonda intimità, la relazione di coppia dei genitori, in cui lui non può essere coinvolto. È lo “spazio triangolare” di Britton. Tale acquisizione permette di capire la prospettiva dell’altro mantenendo la propria. Al bambino viene quindi richiesta la capacità di accettare il rapporto tra i genitori e al contempo di apprendere che di alcune relazioni rimarrà sempre e solo spettatore, mentre altre vedranno lui come protagonista. Secondo Fisher, addirittura, tale sensazione di esclusione è così difficile da accettare che può, in casi estremi, risolversi solo nel momento in cui, da padri, si rivive il complesso edipico al contrario. L’autore, infatti, sottolinea che il matrimonio sia l’”erede” della tensione edipica, luogo in cui si può ricalcare l’incontro originale del bambino con la madre e l’eventuale figlio potrebbe essere vissuto come disturbante nella relazione di coppia. Di Ceglie (1995) si allinea a questa posizione amplificando l’effetto distruttivo della gelosia nei confronti della relazione di coppia dei genitori. Di Ceglie presenta tre casi di analisi da lei condotte, in cui i pazienti, seppur molto differenti tra loro come dinamiche e a livelli diversi di disturbo nello sviluppo della relazione coniugale, riflettevano nella relazione col partner prima e con l’analista poi le versioni interne dei propri genitori, ovvero i propri oggetti interni interiorizzati. Uno dei tre casi ci è apparso piuttosto esemplificativo per comprendere il pensiero e la tecnica dell’autrice all’interno di questo filone di lavoro psicoanalitico con la coppia.  Questo paziente, con un’infanzia connotata da deprivazione e violenza, esponeva la propria unica relazione sentimentale nello stesso modo in cui descriveva la relazione con i suoi genitori. L’idea di coppia genitoriale era talmente inesistente perché probabilmente era stata letteralmente distrutta non appena creata. L’autrice (seguendo Bion) interpreta che il paziente possa essere stato deprivato da bambino dell’uso dell’identificazione proiettiva, e quindi abbia introiettato un oggetto di tipo ostruttivo, che impedisce ogni contatto basato su quel meccanismo. Il paziente, sia da bambino che da adulto, deve scindere l’immagine del padre dal rapporto con la madre, tale è la precarietà della relazione con la madre. Il pensiero dell’analista non è differenziabile dal rapporto genitoriale quindi risulta intollerabile e la sopravvivenza del paziente è data esclusivamente dalla distruzione dell’idea di coppia nella propria mente. In questo approccio teorico la tecnica di intervento è quella dell’analisi classica, individuale, in cui grande enfasi deve essere data al ruolo del transfert e del controtransfert nel riconoscere le problematiche del complesso edipico come “oggetto interno”. CAP 10 – modelli supportivi 10.1 modelli di intervento supportivi I modelli di intervento in ambito familiare, anche su base psicoanalitica, polarizzano l’attenzione sul disagio come espressione di una difficoltà relazionale, in cui sono coinvolti aspetti consci e inconsci. Il disagio viene inserito in una complessità di significati collegata alla “realtà intrapsichica delle relazioni familiari”. È come se esistesse, oltre alla realtà intrapsichica individuale, uno spazio relazionale complesso in cui ognuno dei membri mette delle parti del Sé che vengono a confrontarsi con l’altro in modo poi ulteriormente specificato da ciascuno dei modelli presentati. È in questo complesso spazio che si ipotizza venga a costituirsi il disagio familiare. Gli interventi finora descritti in termini di valutazione del trattamento possono essere definiti “terapie espressive” rispetto alle “terapie supportive”. Tale differenziazione fa riferimento sia alle finalità che all’uso delle tecniche all’interno dello svolgimento della seduta. Se le prime conducono il paziente a una ristrutturazione della personalità e a una soluzione più adeguata dei conflitti, in una prospettiva evolutiva, cambiando il mondo delle rappresentazioni oggettuali e del Sé operando nel “profondo”, quelle supportive si propongono di accompagnare il soggetto in un percorso che sta compiendo. Gli obiettivi che vengono prefissati sono più limitati e di conseguenza maggiormente mirati. Un aspetto importante è il potenziamento dell’alleanza terapeutica. La differenziazione tra terapie espressive e terapie supportive implica anche specificità nell’uso dell’interpretazione, del transfert e del controtransfert. Le terapie di sostegno possono essere terapie brevi o meno. Spesso comunque rientrano nella categoria delle terapie a lungo termine. A differenza delle terapie a breve termine, non vengono prefissate fin dagli inizi una durata e quindi una conclusione. Inoltre quelle in ambito familiare richiedono anche una elaborazione più specifica dei propri vissuti transferali e controtransferali nei confronti delle dinamiche familiari. Come osservano Scharff e Scharff, il terapeuta in ambito familiare deve tener presente il transfert (e quindi il controtransfert) nei confronti del terapeuta: di ogni singolo membro della famiglia nella sua totalità, di ogni coppia di membri. All’estremo opposto degli interventi con la famiglia esistono tuti quegli approcci che vengono definiti counseling o con una terminologia forse più “antica” guidance. Viene definito guidance quell’insieme di interventi in cui vengono dati consigli ai genitori per aiutarli nel loro ruolo educativo. Il counseling si differenzia dai modelli di intervento in psicologia clinica sia per la scelta di specifiche procedure (quali la terapia centrata sul cliente di Rogers, 1951), sia perché si rivolge soprattutto alle persone “relativamente prive di disturbi”. Gli psicologi del counseling possono diagnosticare e assistere sia individui sia gruppi relativamente ai problemi della loro vita, ai progetti per la carriera, a difficoltà relazionali, alle scelte accademiche e così via. Lo scopo del counseling personale è aiutare i soggetti ad affrontare le difficoltà della vita con la finalità di prevenire lo sviluppo di disturbi gravi e di innalzare e migliorare il funzionamento personale e la soddisfazione nella vita. Il counseling in ambito matrimoniale si occupa in particolare di lavorare con le coppie (sposate o no) e con le famiglie con bambini per assisterle nelle difficoltà attese delle relazioni, inclusi la comunicazione, la risoluzione dei conflitti, i problemi di vicinanza e fiducia, le pratiche dell’allevamento dei figli. L’oggetto è lo stesso dei modelli presentati, ma fa riferimento alla salute e alle risorse dell’individuo. Il counseling si appoggia e viene guidato da diversi modelli teorici e si basa sulla comunicazione verbale, sull’aiutare il cliente a riflettere sulle proprie parti sane ed evolutive, su aspetti consapevoli. La distinzione tra terapie supportive e counseling diviene molto sfumata, tant’è che se esiste un netto discrimine tra counseling e psicoterapie espressive in ambito familiare, non sempre è possibile distinguere tra counseling a indirizzo psicoanalitico e psicoterapia supportiva. I risultati della ricerca empirica in psicoterapia in ambito psicodinamico o più in particolare psicoanalitico hanno evidenziato due aspetti molto importanti: a) Le terapie di stampo psicoanalitico comunque comportano sia interventi supportivi che interpretativi anche se con spazio diverso attribuito ad essi; b) Sembra che siano fondamentali l’alleanza terapeutica e gli interventi di sostegno più che l’interpretazione vera e propria. L’intervento di sostegno viene applicato generalmente nell’ambito della terapia individuale, ma può essere facilmente esteso al campo familiare e a quello di coppia, intesa come coppia coniugale o genitoriale. Gli interventi di sostegno impiegano tecniche che appartengono a diverse scuole o discipline psicoterapeutiche. Non esiste un’unica modalità per la loro manualizzazione. Tuttavia esistono attualmente delle proposte. 10.1.1 aspetti condivisi Le terapie supportive su base psicoanalitica nell’ambito dell’intervento familiare condividono alcuni principi teorici e di teoria della tecnica delle terapie espressive. percorso attraverso il quale ognuno possa comprendere aspetti degli altri componenti fino ad allora non riconosciuti;  Uno spazio di pensiero con finalità principalmente osservative ha anche l’obiettivo di strutturare una prima alleanza di carattere diagnostico in un clima di sperimentazione reciproca, senza che la coppia si senta precocemente ingaggiata in un percorso di cura che potrebbe essere percepito come pericolosamente destrutturante: in un setting così costituito la coppia può sentirsi più libera di esprimersi in un momento conoscitivo che può accogliere ansie, dubbi e incertezze nell’affrontare un percorso comune alla presenza di un terzo;  Viene data molta attenzione ali affetti consapevoli che vengono espressi nella relazione; specifico rilievo è attribuito al rewording di quanto la famiglia vive in quel particolare momento;  Verbalizzazioni e chiarificazioni secondo quanto definito da Kernberg costituiscono la modalità di base del lavoro con le famiglie;  Il clinico cerca di favorire l’instaurarsi di un processo di autoconoscenza attraverso le chiarificazioni dei punti oscuri presenti nelle comunicazioni intrafamiliari e nel modo di porsi di fronte ai problemi di ciascun componente;  Il clinico, tramite la formulazione di semplici domande, incoraggia l’espressione dei familiari attraverso la verbalizzazione degli stati d’animo di cui sono portatori ma che non riescono a mettere in parola;  Le interpretazioni vengono utilizzate solo quando specificamente necessario in momenti di particolare stallo o di espressione di affetti incontrollabili;  Il terapeuta viene ben presto a costruirsi un’immagine della complessità delle relazioni e dei bisogni e desideri spesso inconsci di cui ogni membro è portatore nei riguardi degli altri, e contiene dentro di sé questa complessità; quello che Winnicott definisce holding è fondamentale.  Nella terapia di sostegno in ambito familiare la storia delle relazioni personali interiorizzate non fa parte della interpretazione e dell’insight, ma è scarsamente evidenziata a meno che la famiglia stessa non vi si focalizzi e il terapeuta senta che è indispensabile inferire dei collegamenti; il lavoro è svolto, soprattutto e fin dove è possibile, interpretando bisogni e desideri attuali;  Il terapeuta deve rassicurare i componenti della famiglia aiutandoli a comprendere che esistono altre e diverse soluzioni disponibili al problema presentato e che la strategia più adattiva da intraprendere deve essere negoziata all’interno del contesto familiare o di coppia. 2. Relativamente alla tecnica:  Alcuni elementi già traspaiono da quanto detto al punto 1;  Il clinico deve essere empatico, aiutare i pazienti a modulare la propria affettività e rispettare le limitazioni del setting; deve inoltre essere capace di indurre i componenti della famiglia o della coppia a esprimere i propri pensieri, le fantasie e i sentimenti, salvaguardando la loro autonomia; il clinico supporta ogni membro a sviluppare la propria capacità empatica anche e soprattutto nei confronti dei familiari;  Il clinico crea e cerca di mantenere assieme alla famiglia un’alleanza sia di lavoro che terapeutica: il clinico deve allearsi con l’Io osservante dei pazienti affinché collabori nello sviluppare obiettivi comuni e strategie adattive per raggiungerli, deve essere in grado di non schierarsi con un membro in particolare affinché le possibili rivalità eventualmente già esistenti tra i componenti della famiglia e della coppia non si acuiscano; nella famiglia e nella coppia, sia genitoriale che coniugale, è fondamentale che anche tra i membri si crei l’alleanza per la condivisione di un percorso comune;  Il clinico è moto attento a che cosa in quel momento la famiglia è capace di sentire come un disagio e come espressione sintomatica;  Il clinico propone un intervento in cui prima di tutto venga accettata la componente consapevole, pur avendo magari una visione della complessità della situazione che richiederebbe anche altri tipi di intervento;  Si focalizza l’intervento su alcuni aspetti del sistema o sottosistema;  Il terapeuta incrementa le abilità di coping: è necessario che i soggetti tornino a gestire concretamente le richieste della quotidianità in maniera produttiva; le abilità dei singoli membri devono essere evidenziate ed enfatizzate affinché concorrano a produrre un bagaglio di risorse comune per affrontare la realtà;  Il terapeuta è consapevole degli aspetti transferali e controtransferali e li utilizza per una comprensione del funzionamento della famiglia, ma non sempre li interpreta con connessioni legate al passato dei membri e/o con confrontazioni troppo lontane dalla dimensione consapevole; il transfert, pur non essendo interpretato, viene “gestito”; come sostiene Misch secondo cui ci sono due principali regole che lo governano: in primo luogo il transfert positivo che “si usa”, p.es., se i pazienti considerano il terapeuta come onnisciente, e si sfrutterà questa cieca fiducia per perseguire gli obiettivi condivisi della psicoterapia di sostegno; in secondo luogo, se siamo in presenza di un transfert negativo, il terapeuta non deve sé interpretarlo né usarlo, ma è necessario che venga confrontato, con l’esplicitazione delle azioni che devono essere intraprese;  Viene dato molto supporto alle capacità “residue” di mantenere relazioni adeguate, alle risorse affettive esistenti, alla integrazione di risorse relative ad aspetti affettivi rispetto a quelli aggressivi e rigettanti;  Viene data importanza alla capacità di facilitare le relazioni presenti;  Viene rispettata comunque la prassi di una qualche seduta psicoterapeutica su base psicoanalitica;  Il clinico diviene un Io ausiliario per il funzionamento della famiglia;  L’atteggiamento del terapeuta non diviene attivo nel senso di “dare compiti”, ma pur partendo dalla realtà familiare accoglie, commenta, aiuta a riflettere;  Il terapeuta pone dei limiti di autorevolezza quando si accorge che alcuni sentimenti possono sopraffare l’uno o l’altro membro della famiglia, con interventi protettivi e di rispetto nei confronti di tutti;  Atteggiamento genitoriale: si ha quando la famiglia o la coppia destinataria dell’intervento di sostegno non funziona in maniera adeguata e si presuppone gestisca la sua quotidianità a un livello più primitivo; ciò giustifica un atteggiamento “genitoriale”, comunque rispettoso, del terapeuta che fornisce suggerimenti, consigli e insegnamenti ai diversi componenti affinché riconoscano i loro obiettivi, esprimano le proprie emozioni e comprendano quelle degli altri affrontando in maniera più adattiva la loro quotidianità; nell’intervento di coppia l’esigenza di coinvolgere un terzo nel proprio scenario coniugale è portatrice di bisogni regressivi di dipendenza; il terapeuta è rappresentato dalla coppia come colui che assolve funzioni di arbitrato, di giudizio; la coppia dunque contiene ed esprime simultaneamente più livelli evolutivi, un funzionamento adulto e uno più arcaico e infantile; in questa fase è possibile effettuare una riformulazione della domanda e verificare se la richiesta di terapia può essere una risposta opportuna alle difficoltà evidenziatesi, o se è invece necessario suggerire interventi di natura differente; si auspica la presenza di un terapeuta che accoglie, che non si sente sopraffatto dalle angosce e dall’aggressività, che può contenere la complessità e offrire un modello in cui potersi riconoscere, che spesso si traduce nella figura del terapeuta;  Attenzione alla capacità della famiglia di accettare un intervento più supportivo che interpretativo; a livello diagnostico e di partecipazione al setting occorre valutare la capacità di investire su un tipo di intervento o su un altro;  A differenza dello psicoanalista classico, il clinico può cominciare anche con le persone o le strutture che sono a stretti contatto con la famiglia e la coppia; 10.2 modelli che integrano la teoria psicoanalitica e la teoria sistemica I modelli e le proposte che abbiamo finora presentato si sono sviluppati all’interno di un ambito teorico di stampo psicoanalitico. Se teniamo conto del contesto storico in cui si è affermata la terapia familiare, essa nasce in opposizione all’approccio psicoanalitico più classico. Tuttavia alcune correnti hanno mantenuto dei collegamenti con la visione psicoanalitica dell’intervento in ambito familiare. In Italia vorremmo in primo luogo accennare a Cancrini (1982), che nel suo modello integra la teoria psicoanalitica, fin dall’inizio orientata a una logica circolare. Cancrini tiene sempre molto presenti le due prospettive, tentando di utilizzare le tecniche psicoanalitiche e sistemiche per formare una prassi di lavoro indipendente dalle teorie. Cancrini considera centrale il concetto di discorso: se si intende la psicoterapia come un discorso, dice, possiamo definire sintassi la struttura di fondo che ne accomuna le varie forme, ossia una specie di denominatore comune sul cui registro tutti gli interventi si allineano. In base alla sintassi psicoterapeutica si può costruire una modalità di intervento che si ripresenta in ogni situazione e con ogni terapeuta. Ciò che non si modifica mai negli anni di lavoro con la tossicodipendenza, i disturbi psicosomatici e le famiglie è l’attenzione al contesto istituzionale e la tendenza a favorire l’attività nelle sedi pubbliche. Il modello di Cancrini si è evoluto come tentativo pragmatico di costruire un paradigma universale di lavoro familiare nei servizi pubblici. Inoltre anche Malagoli Togliatti, Angrisani e Barone (2000) propongono il modello integrato dei contratti, in cui vengono valorizzati gli aspetti processuali e contestuali del lavoro psicoterapeutico con la coppia. con questo modello si incentiva il terapeuta a favorire sia la maturazione individuale che i processi evolutivi del rapporto di coppia, lavorando all’inizio con il singolo partner, ma in compresenza, in modo che la crescita del singolo sia elemento costruttivo per una più adeguata relazione di coppia. Con questo modello si ha una integrazione tra intrapsichico e interpersonale. Un ulteriore esempio può essere rappresentato da Luepnitz (1997). In realtà l’autrice mira ad approfondire le relazioni tra una terapia familiare di stampo femminista e una di stampo sistemico. Di interesse il contributo femminista che ci sembra soprattutto tener presente l’importanza dei due ruoli maschile e femminile, della presenza del padre e dei conflitti relativi al ruolo femminile nella società attuale. Tuttavia il modello di intervento proposto pur affermando che si basa su costrutti psicoanalitici viene poco elaborato sul piano teorico-metodologico lasciando al lettore di ricavarlo dagli esempi clinici illustrati. Da tali esempi risulta come il setting venga mantenuto come nel modello di specchio, con interventi che si rivolgono a volte al singolo, a volte alla coppia, a volte alla famiglia come un tutto. Infine un lavoro che ci sembra particolarmente importante è quello di Gerson (1966). L’autrice con molta chiarezza passa in rassegna tutti gli aspetti indici delle teorie sistemiche e psicoanalitiche, mettendo a confronto il processo di trattamento, dalla diagnosi alla terapia, e dando importanza sia alla relazione terapeutica sia alla possibilità di integrare, nella cura di uno stesso individuo, terapia sistemica e terapia individuale. CAP 11 – modelli specifici di intervento: il lavoro con i genitori 11.1 il lavoro supportivo su base psicoanalitica con i genitori La coppia genitoriale rappresenta un sottosistema ben definito del sistema famiglia che pur essendo costituito dagli stessi membri va distinto sotto certi aspetti dalla coppia coniugale. Quest’ultima ha come scopo quello di gestire, accudire e allevare i figli, provvedendo al loro benessere fisico e psicologico. Invece la coppia coniugale ha come scopo principale quello della propria soddisfazione. Succede di frequente che proprio all’interno del ruolo genitoriale vengano gestiti aspetti che in effetti riguardano la relazione di coppia e qualche volta anche viceversa; tuttavia riteniamo importante la distinzione teorica perché può aiutare a diversificare gli scopi della terapia e soprattutto a capire su che cosa la coppia proponga di lavorare e sia disposta a formare un’alleanza terapeutica, a riflettere ed elaborare un cambiamento. Obiettivo del presente capitolo è rivolgere l’attenzione alla coppia genitoriale di parenting, perché sente che qualcosa non funziona relativamente a uno dei propri figli. Ci sembra anche importante distinguere il lavoro con i genitori dal lavoro sul co-parenting. Nel co-parenting, spesso finalizzato alla prevenzione, l’attività riguarda modi differenti di guardare alla gestione familiare e all’educazione dei figli da parte dei genitori. Ogni qualvolta un bambino o un ragazzo, dalla nascita all’adolescenza, comunque nella minore età, presenta un problema personalmente riconosciuto, riconoscibile e obiettivamente come tale quindi sentito o evidenziato dalla famiglia e/o da parsone esterne (da amici a professionisti), viene implicato un qualche approccio alle figure di aborto, di esprimere dubbi e difficoltà per la salute del feto; possono, infine, dover affrontare problemi di eventuali trasmissioni genetiche di gravi patologie. Successivamente i genitori possono sentirsi inadeguati rispetto al bambino che piange, al bambino che non si attacca al seno, al bambino che scambia il giorno per la notte. Con i primi passi evolutivi, si incontrano i primi sorrisi, si affronta lo svezzamento, si osservano lo stare seduto e, poi, la deambulazione del bambino che cresce, le prime parole, il controllo sfinterico, l’entrata all’asilo nido e le prime angosce di separazione. Per ognuna di queste fasi evolutive i genitori possono essere preoccupati o perché non sanno come gestirle o perché il bambino sembra non acquisirle nello stesso momento e nello stesso modo che ci si attende, anche rispetto agli altri bambini della stessa età. Ansie analoghe possono insorgere quando vengono affrontate le successive classiche tappe dello sviluppo (che spesso coincidono con l’iter scolastico): il passaggio dalla scuola materna alla elementare, alla media, fino alla superiore. Tali tappe: fase di separazione-individuazione, le fasi orale, anale, edipica, la latenza, la preadolescenza, l’adolescenza, il giovane adulto, l’adulto. Si può affermare che tra i momenti citati, almeno attualmente in Italia, è l’età scolare quello in cui ci troviamo a fornire il maggior numero d’interventi, sia perché emergono problemi a causa dell’ampliamento del mondo interpersonale del bambino e di maggiori richieste che necessitano di strategie più complesse per farvi fronte, sia perché problemi già esistenti nella prima infanzia si acuiscono e vengono poi segnalati dalla scuola. 11.1.3 metodi per diagnosticare la disfunzione o patologia e unità di interesse (individuale, diadica, triadica, sistemica) Nel lavoro con i genitori si tratta in parte di appellarsi alle parti adulte e responsabili dei genitori, alle loro risorse di comprensione e di capacità genitoriale. Nei termini di Winnicott, nessuno conosce meglio il proprio figlio della madre. Si tratta comunque di valutare se la coppia genitoriale sia così disturbata da non poter espletare le sue funzioni o se sia incapace di accettare qualsiasi cambiamento in quanto rappresenta un pericolo troppo grande. Particolarmente importante è prendere in considerazione lo sviluppo delle relazioni oggettuali dei genitori nel rapporto con il figlio. Valutare la capacità dei genitori di identificarsi con le esigenze del figlio nei diversi momenti evolutivi è quindi di estrema importanza, tenendo presente che spesso essi si trovano soli e impreparati a rivisitare quel passato che emerge con forza dalla relazione con il loro bambino, un passato che, da fonte di sicurezza quale dovrebbe essere, diventa a volte una barriera per l’avvio di una relazione sana. Ciò può accadere quando, secondo quanto è stato osservato da Selma Fraiberg, la relazione tra il bambino e i suoi genitori è contaminata da quelli che lei definisce i fantasmi della nursery, i visitatori provenienti dal passato rimosso dei genitori, gli ospiti non invitati al battesimo. Quando il fantasma che si è intromesso tra bambino e genitori è molto ingombrante, la relazione è compromessa poiché i genitori non sono in grado di riconoscerlo. 11.1.4 finalità del trattamento Lo scopo generale del lavoro supportivo con i genitori su base psicoanalitica è di accogliere la sofferenza della coppia genitoriale, tenendo conto sia dell’influenza del figlio sia delle relazioni e dei significati consci e inconsci delle modalità relazionali che si sono costituite all’interno della famiglia. Un altro aspetto centrale prevede di aiutare i genitori a:  Risolvere i problemi che li hanno portati a chiedere aiuto;  Migliorare la capacità di dare un nume ai sentimenti che provano (una sorta di alfabetizzazione emotiva) nei confronti dei figli, di riconoscerli e di esserne consapevoli, di confrontarsi tra loro su tali sentimenti, aumentando così la loro capacità di gestirli senza esserne angosciati e/o senza il timore di esserne sopraffatti;  Produrre delle connessioni tra episodi diversi della vita del bambino, tra comportamenti e sentimenti, tra il loro modo di relazionarsi e di rappresentarsi al figlio e il modo di comportarsi e relazionarsi del figlio;  Accrescere la capacità di autoriflessione e di domandarsi come e perché certe cose succedano col figlio e magari con quel particolare figlio;  Diventare attivi ricevendo la possibilità di confrontarsi rispetto a nuove modalità di pensare; questo consente ai genitori di agire insieme concretamente affinché venga messa in atto una nuova strategia di interazione con il figlio e di negoziare una nuova concreta risposta al problema. I genitori che accettano un lavoro supportivo del tipo che stiamo costruendo di solito hanno una immagine poco positiva o addirittura fallimentare del loro ruolo e sentono di non adempiervi adeguatamente. La decisione d’accettazione del contratto deve essere motivata da uno spirito cosciente di collaborazione da parte dei genitori grazie al quale essi si sentono parte attiva nel lavoro con lo psicologo nella prospettiva di aiuto e comprensione del figlio, da una loro esigenza di riparazione. È all’interno di questo processo, che dovrebbe condurre alla ridefinizione di sé stessi e al riconoscimento del proprio bambino come un individuo libero da qualsiasi eredità, che si colloca quella vulnerabilità dell’essere genitori che, seppure fisiologica, richiede particolare attenzione. L’attenzione che il terapeuta ha per quanto viene raccontato dai genitori ricalca, potremmo dire, il modello di contenimento rappresentato dall’attenzione premurosa che la madre dedica al proprio bambino angosciato, modello descritto da Bion tramite il concetto di reverie riflessiva: la sofferenza che ha trovato una collocazione nella mente del terapeuta può essere restituita alla famiglia, in una forma maggiormente digeribile dal punto di vista mentale ed emotivo, contribuendo a renderla più sopportabile (accessibile al pensiero). La loro ricaduta positiva offre un senso di sicurezza e competenza ai genitori e ha così lo scopo di stimolare nelle figure parentali sia la consapevolezza di essere coloro che ne sanno di più sul proprio bambino sia la fiducia di attingere alle risorse personali. 11.1.5 struttura del processo terapeutico Ora si cercherà di adattare alcuni degli elementi fondamentali elencati nel paragrafo dedicato alle terapie supportive, al lavoro con i genitori. 11.1.6 teoria psicoanalitica e lavoro supportivo con i genitori La teoria psicoanalitica mantiene un elevato potere esplicativo anche nel caso del lavoro supportivo con i genitori, ipotizzando che il bambino abbia delle modalità “forti” di agire che influenzano la relazione con i genitori e viceversa. Il bambino non viene considerato come espressione di un sintomo. Spesso, quando i genitori segnalano un problema del figlio, si limitano a parlarne e/o vengono coinvolti soprattutto dall’aspetto sintomatico che li preoccupa molto. Si cerca perciò di allargare il focus dell’attenzione del genitore in modo che colga e integri le diverse dimensioni da cui è caratterizzato il figlio.  La formulazione del caso Nella formulazione del caso lo psicologo clinico deve:  Evidenziare chiaramente se e quanto la coppia genitoriale vuole accostare il disagio del figlio proprio rispetto a quello che abbiamo definito “lavoro con i genitori”;  Capire quanto la situazione che si trova ad affrontare necessiti effettivamente di questo tipo di intervento;  La teoria della tecnica. Vengono condivisi alcuni principi fondamentali della tecnica psicoanalitica: l’importanza data agli affetti, alla riflessione e all’insight, alla dinamica transfert-controtransfert come fattori curativi del trattamento; viene valorizzata un’attenzione liberamente fluttuante nei confronti della coppia genitoriale; vengono accolte le angosce e la sofferenza. Si tengono presenti la realtà e il contesto ambientale in cui la famiglia è inserita; problemi economici, di trasferimento, tipologia di lavoro dei genitori, organizzazione pratica della famiglia, quando sono riportati dalla famiglia, non vengono considerati solo come “contenuti manifesti” di conflitti inconsci, ma anche e soprattutto a un livello consapevole di comunicazione con i genitori; questo accresce l’alleanza di lavoro e conferma e sostiene l’importanza del lavoro genitoriale. Il clinico deve accertarsi che la coppia in quanto coppia genitoriale funzioni e che i membri considerati individualmente presentino delle risorse; allo stesso modo risulta rilevante riconoscere le parti patologiche e non funzionanti, sia sul piano individuale che della coppia genitoriale. Viene data importanza all’hic et nunc (Misch) ossia il focus dell’intervento è il presente e il funzionamento di tutti i giorni. L’oggetto di interesse sono le abilità interpersonali e quelle di coping, che dovrebbero trovare un loro utilizzo nell’immediato. Il terapeuta può anche dare dei suggerimenti e consigli quando essi vengono a inserirsi in un contesto di rispetto e condivisione. Lo psicologo clinico si avvale dell’empatia per avvicinare la coppia genitoriale, il cui apporto ritiene indispensabile nel processo di conoscenza del figlio. Come conferma Winnicott, già il sostenere è terapeutico e fonte di cambiamento, ancora prima delle interpretazioni e dell’insight. Il lavoro con i genitori su base psicoanalitica consente loro di entrare in contatto con parti del proprio funzionamento appena al di fuori della consapevolezza, attraverso tecniche quali verbalizzazioni e chiarificazioni; molto più rare le interpretazioni perché scopo del lavoro supportivo è più la creazione di un processo di autoconoscenza, che resta molto vicino alla consapevolezza.  La tecnica. Nel lavoro supportivo con i genitori il clinico li incoraggia a sviluppare e accrescere la propria capacità empatica. La gestione del figlio, spesso accompagnata da vissuti di aggressività, deve essere invece mossa da obiettivi condivisi dei genitori: per fare emergere questi fattori il terapeuta deve allearsi con l’Io osservante della coppia (una buona intesa tra i partner è il prerequisito fondamentale per la gestione del bambino). Aspetti fondamentali per qualsiasi tipo d’intervento rimangono il “rapporto di fiducia” e “l’alleanza terapeutica” che si stabilisce con i genitori, perché garante della continuità e del successo della cura, che dovrà mirare a creare un bambino sicuro e a suo agio nell’ambiente in cui vive. Il transfert pur non essendo interpretato viene “gestito”. I colloqui vengono condotti secondo il modello psicoanalitico classico. Nell’intervento con i genitori il terapeuta diventa per certi aspetti la figura a cui affidare il compito parentale anche negli aspetti di realtà; i genitori dunque esprimono simultaneamente più livelli evolutivi, un funzionamento adulto e uno più arcaico e infantile; gli aspetti sani che lo specialista deve offrire al soggetto sono, p.es., un buon esame di realtà e un’adeguata modulazione affettiva. Nel corso del lavoro con i genitori può rendersi necessario comunicare anche con le persone o le strutture che sono a stretto contatto col bambino, p.es. la scuola. Bisogna permettere, anche dopo avere visto i genitori, che comunque continuino a incorrere negli stessi errori che hanno sempre commesso, tanto che siano disponibili ad accettare i consigli del terapeuta; entrare nella vita quotidiana delle persone significa essere disposti ad ascoltare senza fretta per poter cambiare regole di condotta assunte come normali. CAP 12 – modelli specifici di intervento: la relazione madre-bambino 12.1 processo e struttura del sistema di interazione madre-bambino Lo sviluppo del bambino è caratterizzato dall’evoluzione delle sue abilità espressive che gli permette di manifestare in modo adeguato i suoi sentimenti, di comunicare verbalmente e non, di pensare e di entrare in relazione con gli altri. Le prime relazioni influenzano lo sviluppo successivo del bambino, quindi la presenza di problemi relazionali è strettamente collegata alla possibilità che insorgano difficoltà nello sviluppo sociale, emotivo e cognitivo. I problemi che il bambino non è ancora in grado di esprimere verbalmente per chiedere aiuto si manifestano sotto altre forme di disagio, come disturbi del sonno o dell’alimentazione ecc. che, nonostante non costituiscano problematiche puramente relazionali, in realtà possono riflettere difficoltà nella 5. Approccio della terapia familiare. L’informazione clinica deriva da tutte le interazioni reciproche madre- padre-bambino e dalle rappresentazioni di ciascun genitore di sé stessi e del ruolo che investono all’interno del sistema familiare. Il terapeuta può agire direttamente sul comportamento interattivo, sulle rappresentazioni, o contemporaneamente su entrambi. Tutte le tecniche possono essere usate potenzialmente, in base al focus scelto dal terapeuta. Più recentemente Stern (1995) procede a un’altra classificazione delle psicoterapie madre-bambino in base a due aspetti: il bersaglio terapeutico (bersaglio: obiettivo del trattamento) e gli ingressi nel sistema di interazione (ingresso: oggetto dell’attenzione clinica). Questi due aspetti possono coincidere oppure l’ingresso può permettere di raggiungere il bersaglio. In questo modo Stern individua due modelli diversi: uno assume come obiettivo teorico della terapia la modificazione delle rappresentazioni dei genitori, l’altro il cambiamento delle interazioni. Il tipo di bersaglio e di chiave d’ingresso scelto dal terapeuta permette una distinzione all’interno del primo modello. Da un lato ci sono terapie che considerano le rappresentazioni dei genitori sia come ingresso nel sistema madre-bambino che come bersaglio terapeutico, dall’altro terapie che condividono lo stesso obiettivo di modificare le rappresentazioni genitoriali, ma scelgono diverse chiavi di ingresso per accedere al sistema, ovvero:  Il comportamento manifesto del bambino;  L’interazione genitore-bambino;  Le rappresentazioni del terapeuta;  Le rappresentazioni del bambino. Nel modello in cui ingresso e bersaglio coincidono, Stern fa riferimento alla psicoterapia bambino-genitore di Lieberman e Pawl e la psicoterapia breve madre-bambino di Cramer e Palacio-Espasa. Lieberman e Pawl (1993) ritengono che l’obiettivo del loro intervento si focalizzi principalmente sul cambiamento delle rappresentazioni interne che i genitori hanno del bambino e di sé stessi. Queste rappresentazioni potrebbero proprio essere l’agente patogeno e la modificazione delle stesse è data dalla peculiarità della relazione terapeutica che si traduce nella “esperienza correttiva di attaccamento”. Secondo questa prospettiva centrali sono la costruzione e il mantenimento di una buona alleanza terapeutica che permetta ai genitori di acquisire una migliore esperienza del Sé in relazione con gli altri e, soprattutto, con il bambino. L’utenza alla quale è indirizzato questo tipo di trattamento è una popolazione per lo più svantaggiata, di condizione socio-economica bassa. Tale approccio è collocabile all’interno della tradizione postfreudiana per l’attenzione alle relazioni oggettuali piuttosto che alla tecnica dell’interpretazione. L’ingresso principe resta sempre quello delle rappresentazioni della madre. Anche Cramer e Palacio-Espasa (1993) considerano le rappresentazioni genitoriali come il bersaglio teorico, concentrandosi soprattutto sui meccanismi proiettivi e di identificazione. Centrale risulta l’insieme delle rappresentazioni che spingono la madre a interpretare il comportamento del bambino, che si traducono nelle motivazioni che la inducono a reagire a questo comportamento. Postulano l’esistenza di conflitti irrisolti che risalgono all’infanzia del genitore e che sembrano riemergere proprio nell’interazione col bambino. L’agente patogeno sembra essere la psiche materna. Da qui deriva che l’interpretazione è la tecnica più adatta per sciogliere questo nodo, collegando il passato al presente della relazione. Questo tipo di intervento è adatto per il trattamento delle nevrosi. Le popolazioni alle quali è rivolto questo tipo di trattamento sono nuclei familiari per lo più completi, di classe media e che si rivolgono alla psicoterapia spontaneamente. Quando invece ingresso e bersaglio non coincidono, si hanno quattro diversi tipi di trattamento:  Il primo prevede l’ingresso nella diade attraverso il comportamento manifesto del bambino. La valutazione può avvenire in ambito pediatrico o attraverso la somministrazione di scale. Proprio la reazione concreta del bambino a queste prove risulta oggetto di discussione. L’attenzione clinica sul comportamento manifesto del bambino ha la funzione di modificare la rappresentazione che la madre ha di sé stessa e di suo figlio. Stern afferma che “se la madre riuscirà a vedere in modo più obiettivo il comportamento del bambino e le proprie precedenti iniziative fallite, potrà cominciare a smantellare le rappresentazioni disturbate che si stavano formando o consolidando”.  Il secondo prevede l’utilizzo dell’interazione genitore-bambino come ingresso nel sistema. Il comportamento interattivo manifesto ha la funzione di ritornare direttamente alle rappresentazioni e ai ricordi della madre collegati a quanto esperito.  Il terzo prevede che i sentimenti e i pensieri dell’osservatore-terapeuta siano l’ingresso principale nel sistema. Questo modello deriva dall’esperienza di autori come Bion e dai suoi concetti di madre o terapeuta come “contenitore” dell’attività psichica del bambino. Il focus dell’attenzione è rivolto alla soggettività del clinico che mette in atto la propria esperienza interiore del bambino in esame, per capirlo appieno. Attraverso il comportamento manifesto del clinico nei confronti della diade, la madre giungerebbe a sperimentare sé stessa in una relazione in cui sono presenti l’alleanza terapeutica positiva e l’attenzione positiva.  Il quarto utilizza come ingresso nel sistema le rappresentazioni (immaginate) del bambino. Questo avviene con l’esplicitazione da parte del clinico della situazione che crede stia vivendo il bambino, attraverso la drammatizzazione dell’esperienza interiore di quest’ultimo. La principale funzione di questo intervento consiste nel reclamare un più ampio spazio rappresentazionale nella mente della madre. Dolto (1971) utilizza questa tecnica ma la indirizza al bambino, nel senso che si avvale di vere e proprie interpretazioni verbali dirette al piccolo; queste influenzano notevolmente il comportamento manifesto della madre e di conseguenza anche quello del bambino. Una variante di questo modello è caratterizzata dall’osservazione dell’interazione madre-bambino mettendosi dal punto di vista di quest’ultimo. Stern descrive alcuni modelli che hanno come scopo principale quello di modificare i comportamenti interattivi manifesti; accedendo al sistema attraverso due diversi ingressi: il comportamento manifesto della madre e l’intera rete delle interazioni familiari (modello sistemico).  Il primo si concentra sullo studio del comportamento manifesto della madre come ingresso nel sistema, partendo dal presupposto che ci sia un elevato grado di reciprocità nell’interazione della diade. Stern descrive soprattutto quello di Susan McDoniugh, di comprovata efficacia terapeutica. Questo modello è stato indirizzato soprattutto a diadi svantaggiate dal punto di vista socioeconomico e culturale. Uno dei prerequisiti di questo approccio è la costruzione e il mantenimento di una buona alleanza terapeutica. I clinici si avvalgono dell’uso del videoregistratore: le interazioni, che durano dai 5 ai 15 minuti, vengono riviste con la famiglia e oggetti del lavoro terapeutico diventano i comportamenti stimati come funzionali, dai quali si può quindi cominciare a costruire. Il terapeuta non interagisce col bambino al posto della madre, perché potrebbe ridurre la fiducia della donna in sé stessa e incrinare l’alleanza terapeutica precedentemente instaurata. Successivamente è possibile abbandonare l’uso della videoregistrazione e parlare direttamente dell’interazione.  Per descrivere il secondo, Stern presenta un modello sviluppato a Losanna (Corboz; Fivaz-Depeursinge): è sia un modello sistemico sia una terapia familiare, che concentra l’attenzione sull’organizzazione dei comportamenti interattivi dei membri della famiglia, che in questo caso sono la madre, il padre e il bambino, vale a dire la neo-famiglia nucleare. La prima fase che caratterizza questo modello è quella di creare un’alleanza terapeutica sulla quale sia possibile innestare l’osservazione delle configurazioni interattive tra i membri della famiglia. la seconda fase prevede la creazione di una “cornice fisica per le interazioni” affinché i processi relazionali possano essere monitorati all’interno di un setting fisico e temporale prestabilito. Il gruppo di Losanna ha strutturato un contesto nel quale il bambino è sistemato su una piccola sdraio appoggiata su un tavolo e i genitori si accomodano di fronte creando un triangolo equilatero, poi c’è l’interazione tramite fasi. Questo pattern presenta delle vistose analogie con quello della Strange Situation Procedure: se il primo è un paradigma per studiare la natura dell’attaccamento, il secondo esplora i primi schemi interattivi della famiglia e la modalità in cui le configurazioni relazionali all’interno della triade si costituiscono e si modificano. La terza fase prevede il cambiamento delle interazioni familiari, attraverso la modificazione della struttura e del contesto relazionale. Questo modello assume particolare importanza per descrivere la triade. Il “terzo” è considerato dalla tradizione psicoanalitica classica come l’elemento centrale che favorisce la socializzazione e quindi la crescita personale del bambino ed è incarnato nei panni del padre. Più di recente, Sameroff (2004) parlando della difficoltà di pianificare un intervento, ovvero di scegliere il focus su cui concentrare l’aiuto (sforzo) terapeutico, propone un’ulteriore classificazione degli interventi madre- bambino. Poiché non esiste un intervento che da solo può risolvere tutti i problemi presentati in terapia, è necessaria un’attenta analisi di punti di forza e di debolezza del sistema al fine di focalizzare i target specifici su cui lavorare. Talvolta possono essere i comportamenti del bambino che devono essere modificati per ristabilire l’equilibrio del sistema (remediation), a volte invece possono essere le rappresentazioni del genitore l’oggetto della riconfigurazione (redefinition), altre volte ancora possono essere gli atteggiamenti di cura dei genitori verso il bambino che richiedono di essere migliorati (reeducation). Sameroof definisce questi diversi target le cosiddette “tre r” dell’intervento.  Remendation. È una strategia che ha come scopo il cambiamento del comportamento del bambino in modo da adattarlo alle preesistenti abilità di cura della famiglia di appartenenza. Tale strategia è in genere svolta al di fuori del sistema familiare, quando è necessario un recupero delle condizioni biologiche del bambino, come nel caso di interventi medici, o talvolta nel caso di disturbi del comportamento come l’iperattività. È consigliato questo tipo di intervento quando le aspettative e le richieste rivolte al bambino sono adeguate; la sua efficacia è maggiore quando è un intervento limitato nel tempo, ma è supportato dalla famiglia una volta che si conclude. Infine è da ricordare che cambiamenti nel comportamento del bambino possono avere a loro volta conseguenze sulle rappresentazioni e sulle risposte dei genitori.  Redefinition. È una strategia che ha come scopo la ridefinizione delle credenze e delle aspettative dei genitori in modo da favorire comportamenti di parenting più appropriati. Tale strategia è indicata quando le rappresentazioni della famiglia non sono adeguate alla realtà. Tale discrepanza può essere dovuta all’incapacità dei genitori di adattarsi ai limiti normali o patologici del bambino, p.es. in caso di presenza di handicap, e comportano incapacità a distinguere tra le proprie reazioni emotive, i reali comportamenti disadattivi del bambino e i pattern di cura trasmessi di generazione in generazione. Nel caso di patologia organica del bambino, l’attenzione sarà rivolta a enfatizzare i suoi comportamenti normali, come le abilità comunicative. Tale intervento è stato utilizzato anche per migliorare la relazione madre-bambino attraverso l’affinamento della capacità di responsività materna al fine di definire la distinzione tra la relazione duale attuale e quella che la paziente ha avuto in passato con il proprio caregiver. Data l’influenza esercitata dall’esperienza pregressa della madre sulle abilità relazionali espresse con il proprio bambino, l’intervento di redefinition può essere rivolto direttamente a rappresentazioni che essa ha del proprio vissuto, ridefinendo il bambino come il proprio bambino piuttosto che come simbolo delle esperienze di parenting precedenti. L’informazione clinica può derivare dalla madre, dal padre o addirittura dall’intera famiglia, per permettere al terapeuta di conoscere le rappresentazioni che possono essere disfunzionali per adattarle alla realtà.  Reeducation. Lo scopo di questa strategia è di fornire al genitore o all’intera famiglia conoscenze rispetto al bambino e a specifiche abilità di parenting. Tale adattamento è adatto per quei genitori che non dispongono di conoscenze o esperienze che permettano loro di regolare il comportamento del bambino. Interventi di questa categoria sono p.es. lo Steps Toward Effective Enjoyable Parenting (STEEP) e l’Interaction Guidance. 12.1.2 alcuni esempi di intervento madre-bambino  Psychodynamically Informed Intervention Questo modello di intervento (Beebe ed al., 2000) si basa sulla teoria delle interazioni faccia a faccia. Tale approccio attribuisce fondamentale importanza ai processi di regolazione reciproca interattivi e del Sé. La regolazione interattiva è una dinamica continua e bidirezionale in cui ciascun partner aggiusta il proprio e l’altrui comportamento, momento per momento, mentre l’autoregolazione è la capacità dei partner di regolare i rispettivi stati. Tali processi sono in equilibrio dinamico l’un l’altro. Studi microanalitici esaminano momento per momento l’interazione madre-bambino codificandone tutti i comportamenti durante il gioco faccia a faccia nei primi sei mesi di vita per cogliere le microstrutture dei pattern relazionali del Sé e dell’interazione. Specifici pattern di interazione sono poi stati collegati alle promuovere la qualità delle relazioni genitori-bambino e la buona riuscita del co-parenting. Anche per i disturbi d’ansia e per la depressione i programmi di terapia familiare cognitivo-comportamentale, in cui i genitori imparano a sostenere il bambino nell’utilizzo dell’abilità di coping, hanno condotto a risultati molto positivi. Gli interventi incentrati sulla famiglia, in particolare di stampo cognitivo-comportamentale, producono esiti paragonabili a quelli degli interventi orientati all’individuo e in alcuni casi anche risultati migliori. Sono pure in continuo aumento le evidenze empiriche a favore dell’efficacia della terapia familiare funzionale e multisistemica nei disturbi della condotta in adolescenza. Gli interventi di tipo sistemico per aiutare adulti e adolescenti con problemi di abuso d’alcol e droga portano a un miglioramento nelle relazioni familiari e nel mantenere un sano stile di vita o a una riduzione della dipendenza dalle sostanze. I programmi terapeutici di tipo sistemico finalizzati al recupero di soggetti, adulti e adolescenti, con problemi di abuso di sostanze si distinguono in trattamenti multisistemici, che includono interventi con individui, coppie, famiglie e la rete dei servizi, e interventi multimodali, che comprendono interventi di tipo sia psicosociale sia farmacologico. Le terapiue coniugali e familiari che sono state sviluppate all’interno della tradizione cognitivo-comportamentale per il trattamento dei disturbi da dipendenza di sostanze contemplano alcune o tutte le seguenti componenti: strategie attive per il coinvolgimento di tutti i membri nel trattamento e per mantenere un’alleanza positiva con l’intera rete dei componenti; tecniche per aiutare i membri della famiglia a elaborare obiettivi personalizzati, a ricontestualizzare e prevenire l’escalation di emozioni negative all’interno dei pattern di interazione in particolare nei primi stadi della terapia; infine, strategie che facilitano contemporaneamente il processo di disintossicazione e l’incremento delle abilità di coping, rinforzando le competenze di problem solving dei genitori e degli adolescenti tossicodipendenti e il piacere reciproco nell’interazione. In famiglie in cui un membro è schizofrenico, programmi di educazione familiare prevengono la ricaduta, migliorano la qualità di un’eventuale degenza e il benessere degli altri membri della famiglia. questo intervento è offerto all’interno di un programma multimodale, che include anche l’utilizzo di farmaci antipsicotici, in terapie rivolte sia a singoli che all’intera famiglia. Nei disturbi depressivi adulti, terapie cognitivo-comportamentali e sistemiche di coppia producono miglioramenti clinicamente significativi sia dell’umore sia della soddisfazione coniugale. Per le coppie in cui la depressione è mantenuta dallo stress coniugale, la terapia coniugale è particolarmente appropriata. Interventi e programmi di educazione familiare sono efficaci soprattutto per promuovere il miglioramento nell’adattamento per adulti con malattie croniche come diabete e patologie cardiache, per famiglie in cui un membro anziano è affetto da disturbi neurologici, e infine, per adulti che intendono dimagrire o smettere di fumare. 13.2 disturbi e interventi nelle relazioni di coppia La terapia di coppia ha la funzione di rafforzare la qualità delle relazioni al fine di diminuire lo stress o, p.es., di intervenire in casi di abuso. I programmi prevedono di occuparsi delle capacità comunicative ed empatiche, della gestione del conflitto, dell’espressione degli affetti e del rispetto reciproco. La terapia comportamentale coniugale e quella focalizzata sulle emozioni di coppia hanno effetti positivi sulle interazioni tra i partner. La prima include cambiamenti comportamentali, nella comunicazione e nelle abilità di problem solving; la seconda aiuta ad approfondire l’attaccamento attraverso l’espressione dei bisogni primari, senza l’eccessiva manifestazione di emozioni negative e senza mettere in atto transazioni distruttive. Nei casi di abusi domestici, p.es., la marital therapy è appropriata quando entrambi i partner coinvolti nella relazione portano gravi ferite del passato o dove non sussiste un elevato rischio imminente di violenza. La valutazione viene svolta su ogni partner separatamente. L’obiettivo del trattamento è di eliminare l’abuso, non di salvare il matrimonio. Partner violenti imparano a gestire la propria rabbia e ad autoregolarsi. 13.3 strumenti per la valutazione dell’outcome Per l’assessment dell’efficacia del trattamento sistemico della coppia esistono diversi strumenti: p.es. il Marital Satisfaction Inventory-Revised (MSI-R: Snyder, 1997), un questionario che valuta la soddisfazione coniugale in coppie eterosessuali e omosessuali. Un altro strumento, ideato da Gordon e Baucom (2003), è la Marital Forgiveness Scale (MFS), una scala basata su un modello a tre stadi che descrive il processo di recupero del rapporto dopo un tradimento: il primo stadio è quello dell’impatto prodotto dall’evento, il secondo è la ricerca di significato da attribuire ad esso e, infine, l’ultimo stadio è il recupero vero e proprio della relazione. Per quanto riguarda la valutazione del cambiamento dei singoli membri coinvolti in una terapia familiare, Skowron, Holmes e Sabatelli (2003) individuano due misure rilevate attraverso il Personal Authority in the Family System Questionnaire (PAFS-Q: Bray, Williamson, Malone, 1984) e il Differentation of Self Inventory (DSI: Skowron, Friedlander, 1998). I due principali fattori riscontrati sono l’autoregolazione e l’interdipendenza reciproca. Il primo include item che riguardano la reattività emotiva e l’abilità di mantenere una certa posizione nella relazione; il secondo rinvia a item concernenti l’autorità personale, l’intimità, la fusione intergenerazionale e il livello emotivo. L’assessment della terapia familiare sistemica prevede, prima e dopo il trattamento, l’utilizzo della Global Assessment of Relation Functional Scale (GARF: APA, 1994), scala inclusa nell’appendice del DSM-IV, che viene compilata rapidamente dal clinico esperto, il quale può attribuire un punteggio da 1 a 100 in base all’abilità di problem solving, all’organizzazione e al clima emotivo della famiglia. 13.4 la valutazione del process La valutazione del process è estremamente rilevante per la successiva analisi dell’efficacia del trattamento. Una delle variabili del process da tenere in considerazione è il coinvolgimento nella terapia. Ci sono tre step indipententi (individuati da Doss, Atkins e Christensen, 2003) all’interno del processo di coinvolgimento durante la terapia: il riconoscimento del problema, l’analisi delle diverse possibilità di trattamento e la scelta, quindi, di quello più appropriato. I risultati mostrano che le mogli sono in grado di completare questo percorso più velocemente rispetto ai relativi mariti. Entrambi i genitori utilizzano pattern attribuzionali di vergogna nei confronti del figlio. Questo accade in modo più consistente per i patrigni e, nel caso di genitori adottivi, tali attribuzioni sono di natura maggiormente funzionale: l’intervento del terapeuta ha la funzione di convertirle in contributi più benevoli e produttivi all’interno della conversazione tra i membri della famiglia. La possibilità data ai pazienti di sperimentare affetti positivi sostiene e incrementa l’ottimismo e la creatività dei membri durante le sedute. Un altro punto focale per la valutazione del processo riguarda la considerazione del terapeuta e della famiglia rispetto a ciò che si intende per aiuto all’interno del processo terapeutico. Le famiglie e terapeuti differiscono circa la considerazione di che cosa sia più importante ricevere durante la terapia. Mentre le famiglie percepiscono che l’aspetto centrale sia ricevere supporto e guadagnare la capacità di insight, i clinici vedono come fattori più rilevanti gli interventi specifici, gli aspetti strutturali delle sessioni e il relativo clima emotivo. 13.5 studi metanalitici La metanalisi è un approccio quantitativo volto a sintetizzare i risultati delle ricerche di una certa area, nel nostro caso quella che riguarda l’efficacia della terapia in ambito familiare e di coppia. Qui vi sono i vantaggi di fornire delucidazioni riguardo alla consistenza degli effetti, di dare informazioni più complete circa uno specifico settore di ricerca apportando una maggior flessibilità per l’interpretazione dei risultati di diverse indagini. La metanalisi è spesso associata all’utilizzo dell’effect size (grandezza dell’effetto). Questo indice è ricavato calcolando la differenza tra due medie poi divisa per la deviazione standard. Una volta calcolato l’effect size per ciascuno studio e con riferimento a un particolare ambito o argomento, i risultati vengono sommati ed espressi in termini di effect size medio, una misura standard che permette una più facile interpretazione degli stessi. La metanalisi ha tre vantaggi rispetto alle rassegne tradizionali presenti in letteratura: è un approccio statistico meno soggettivo; fornisce informazioni più precise rispetto ai risultati (evidenzia la reale grandezza della significatività); offre una rassegna più esaustiva poiché non è necessario eliminare studi che sono ritenuti metodologicamente più deboli. Infatti la strategia utilizzata nella metanalisi è quella di includere tutti gli studi e poi valutarne direttamente la qualità. Nel nostro caso la metanalisi offre la possibilità di riassumere una letteratura complessa. Qui di seguito vengono proposti alcuni dei più significativi studi metanalitici presenti nel panorama della letteratura, nell’ambito della psicoterapia familiare e di coppia. 13.5.1 rassegna di studi metanalitici  Terapia familiare sistemica vs non sistemica Barman (1986) ha accorpato 22 lavori che includono altrettante ricerche sull’outcome della terapia familiare. L’autore conclude che la terapia familiare è più efficace di ogni altro trattamento alternativo. Una delle più recenti metanalisi è quella di Shadish e Baldwin (2003) che raccoglie altri 20 studi metanalitici su interventi di coppia e familiari. Hazelrigg, Cooper e Borduin (1987), prima di procedere con le analisi statistiche per combinare i vari risultati, hanno condotto una delle prime reviews in cui sono stati raggruppati i risultati di studi individuali riguardanti le terapie familiari. Le procedure della rassegna della proposta da Hazzelrigg, Cooper e Borduin (1987) hanno previsto innanzitutto uno screening della letteratura esistente, attraverso motori di ricerca, riviste e volumi relativi all’ambito della terapia familiare, collezionando 281 articoli pubblicati. Le famiglie analizzate dovevano presentare almeno un genitore e un bambino, inoltre la terapia familiare svolta con il nucleo doveva essere definita come un trattamento atto a produrre cambiamenti nelle interazioni familiari. L’equiparazione dei gruppi, all’interno degli studi selezionati, è avvenuta attraverso un matching dei soggetti o una dimostrazione statistica delle equivalenze dei gruppi prima del trattamento. Infine ultimo requisito per la selezione è stato che fossero ampiamente riportate le analisi condotte per ottenere i risultati ricavati. Per la sintesi dei risultati della metanalisi, sono stati utilizzati quattro diversi strumenti statistici: il metodo dello z-score (Rosenthal, 1979) (valuta la probabilità che i riscontri siano dovuti al caso), il metodo del Fail-Safe (Cooper, 1979) (ricava una misura della stabilità degli esiti in base al possibile numero dei risultati non significativi), il metodo D di Cohen (1977) (calcola l’effect size associato a ciascuna variabile indipendente), e il metodo del x 2 (chi quadro) (misura l’omogeneità dell’effect size in un gruppo di studi. I risultati mostrano che la terapia familiare ha avuto effetti positivi rispetto a casi in cui non è applicato nessun tipo di terapia sui pazienti. L’esito del confronto tra la terapia familiare e altri trattamenti alternativi applicati alla famiglia è a favore di una maggiore efficacia della prima rispetto ai secondi. Tuttavia, la terapia familiare non risulta più efficace rispetto ai trattamenti suddetti quando la valutazione dell’efficacia stessa è misurata in una prospettiva a lungo termine di tipo follow-up. Uno dei limiti di questa rassegna è certamente la ristretta gamma di tipologie di disturbi nella casistica considerata; infatti, la maggior parte delle famiglie del campione presentava bambini con disturbi di comportamento. Inoltre, se da un lato tutti gli studi prevedevano contesti all’interno dei quali tutti i membri della famiglia prendessero parte alle sedute, dall’altro gli approcci terapeutici utilizzati sono stati estremamente vari e variabili. Gli studi sull’efficacia degli interventi familiari riflettono alcuni aspetti e problematiche già evidenziati in altri contesti, come quello delle psicoterapie individuali. In primo luogo, sono quasi del tutto assenti lavori che riguardino le terapie su base psicoanalitica ed emerge invece fortemente l’efficacy degli interventi su base cognitivo-comportamentale, sebbene anche quelli fondati sul modello sistemico dimostrino una certa efficacia. I modelli psicoanalitici semvrano riflettere un approccio teorico-concettuale a cui la ricerca empirica sulla valutazione del trattamento dà pochissimo spazio.  Terapia di coppia sistemica vs non sistemica Wampler (1982) ha condotto una metanalisi riguardante ricerche che utilizzano il Couple Communication Program (CCP: Miller, Nunnally, Wackman, 1976). L’efficacia del CCP è un importante aspetto del matrimonio e della famiglia. il CCP è una procedura strutturata di dodici ore con lo scopo di insegnare abilità comunicative alle coppie. La ricerca sulla sua efficacia è stata pure integrante di questo programma fin dalla sua ideazione. Il lavoro di Wampler è incentrato su una valutazione critica di 20 studi di Schaffer (1984) che includevano campioni poco numerosi, ma che sviluppavano ipotesi di fondo simili. Le finalità di questa indagine erano di indagare l’efficacia del CCP senza considerare il tipo di partecipanti, di valutare se il CCP fosse in grado di produrre cambiamenti nelle coppie e infine di verificare se il CCP avesse un effetto maggiore rispetto a trattamenti alternativi. Le variabili attitudinali erano state rilevate attraverso misurazioni self-report e venivano analizzate separatamente rispetto a quelle comportamentali (osservazioni). Le prime si riferivano alla qualità della comunicazione, alla soddisfazione della relazione e ad altre qualità relazionali. Tutte le misure self-report e quelle comportamentali derivano da codifiche svolte mediante l’osservazione dell’interazione di coppia. Ciascuna misura era codificata in modo tale che un effect size positivo indicasse sempre un cambiamento favorevole. Nessuna conclusione può essere tratta riguardo alle differenze emerse nel follow-up tra CCP e assenza di trattamento. In generale gli effect size sono più piccoli al follow-up, in particolare per le misure comportamentali. Avendo appurato che non esistono differenze pre-test tra il gruppo sperimentale e il gruppo di controllo, gli autori hanno proceduto con l’indagine delle differenze post-test e follow-up. Nel caso delle differenze valutative subito dopo la fine del trattamento, le coppie con CCP ricevevano punteggi leggermente più alti rispetto a coppie che avevano partecipato a trattamenti alternativi per le misure self-report. Invece l’effect size calcolato sulle misure comportamentali del post-test mostrava che il CCP aveva un forte impatto rispetto ai trattamenti alternativi. La più semplice conclusione che può essere tratta da questo studio metanalitico è che il CCP ha un effetto ampiamente positivo sulle abilità comunicative all’interno della coppia. Per quanto riguarda invece la durata dell’effetto e la superiorità di questo tipo di intervento rispetto a trattamenti alternativi per le misure self-report al post-test, il calcolo dell’effect size attesta un effetto debole. Butler e Wampler (1999) raggruppano tutti gli studi sulla CCP emersi dalla precedente rassegna metanalitica. Tale metanalisi è stata condotta su 16 lavori e in ogni caso è stato calc0olato l’effect size. C’è differenza tra le misure del 14.2 la segnalazione psicologica Classicamente, la segnalazione psicologica viene definita il momento in cui la persona, a causa di un disagio o problema che sente come non più sostenibile con le sue sole forze, richiede l’aiuto di un professionista in ambito psicologico. La segnalazione giunge in genere al clinico attraverso una telefonata. La telefonata è il risultato di un “lavoro mentale” su base cognitivo-affettiva ma anche sociale, che può derivare da un problema recente, ma che può essere frutto di un tempo molto più prolungato di riflessioni e indecisioni. Inoltre, non è detto che chi telefona abbia le idee chiare sul proprio o altrui disagio e sulle ragioni per cui chiede aiuto. La telefonata può essere indirizzata a un servizio pubblico e/o a un privato. La domanda del cliente deve essere sempre “interpretata” dal professionista, cioè il clinico attiva un processo di riflessione che lo porta a comprendere qual è la miglior chiave di ingresso a fronte di quella richiesta di aiuto. Tuttavia, chi accoglie la telefonata deve essere capace di percepire l’importanza del primo passo fatto dalla persona e di analizzare brevemente quanto viene chiesto (analisi della domanda). Due fattori fondamentali si devono tenere presenti al momento della segnalazione, con riferimento a modelli di intervento nell’ambito delle relazioni familiari: il background teorico dello psicologo e il motivo della segnalazione da parte del cliente. 14.3 la segnalazione: chi diviene “paziente” rispetto al background dello psicologo clinico Lavorando in ambito familiare, la segnalazione riguarda inizialmente tre tipologie di domande: a) La persona che telefona lo fa per una richiesta individuale (disagio che sente soggettivamente nell’ambito delle relazioni familiari) -> disagio polarizzato più verso sé; b) La persona che telefona lo fa perché evidenzia un disagio relativo a sé in relazione con un altro membro della famiglia -> disagio polarizzato più verso l’altro/gli altri; c) La persona che telefona lo fa perché avverte un disagio rispetto alla coppia di cui è membro -> disagio polarizzato più sulla relazione. 14.3.1 il background di riferimento dello psicologo clinico rivolto al singolo o al sistema o al sottosistema Il modo in cui verrà fissato il primo incontro non sempre è conseguenza diretta dell’esplicita richiesta del paziente. Ogni psicologo si forma in un contesto teorico-metodologico e si attiene a una teoria della tecnica. Ciò rende la figura del clinico e il suo modo di lavorare autorevoli, da non confondere invece con quello che può essere sentito come un atteggiamento autoritario, cioè come una imposizione non dettata da alcuna specifica regola. Singer (1969) distingue tra autorità razionale, che è basata sulla competenza, e autorità irrazionale, che deriva dal desiderio di potere o da altri tipi di desiderio non strettamente legati alla competenza del terapeuta. Possiamo classificare nelle tre seguenti categorie la segnalazione.  Richiesta di un approccio individuale da parte del paziente La risposta dipende dall’approccio teorico dello psicologo e dal suo training. 1. Approccio individuale dello psicologo clinico. Se il terapeuta privilegia nella sua teorizzazione e nel suo training un approccio individuale, il paziente verrà accolto nella sua motivazione all’assessment e al successivo eventuale trattamento individuale. Nel caso dell’impostazione psicoanalitica il trattamento verrà rivolto al mondo intrapsichico del paziente. Anche la teoria dell’attaccamento propone attualmente degli schemi individuali. L’individuo che si è segnalato diviene il paziente. 2. Approccio dello psicologo clinico rivolto al disturbo della relazione e della comunicazione. Se invece la segnalazione è fatta a un professionista che ha una formazione più orientata al disagio come espressione di una comunicazione familiare (quale quella sistemica o quelle psicoanalitiche e dell’attaccamento più centrate sul contesto familiare) e che quindi comunque ipotizza che esso non sia soltanto riferibile all’individuo, verrà probabilmente proposto al paziente di venire al primo appuntamento con l’altro membro/gli altri membri verso cui prova disagio. Il paziente è la famiglia o la coppia coniugale e/o genitoriale come sistema di relazioni.  Richiesta fatta evidenziando un disagio del paziente in relazione a un altro membro del sistema familiare È importante distinguere due fondamentali situazioni: la richiesta fatta per un familiare adulto da quella fatta per un figlio. 1. Familiare adulto: si tratta di solito del partner, ma potrebbe trattarsi anche di altri adulti conviventi. 2. Figli: può essere richiesto di coinvolgere la coppia genitoriale oppure l’intera famiglia, come nel modello proposto da Scharff e Scharff (1991).  Richiesta fatta evidenziando un disagio specifico della coppia Uno dei membri della coppia richiede esplicitamente l’aiuto per un problema che viene già individuato nella relazione “romantica”. I due partner possono essere concordi nell’effettuare la richiesta; in questo caso il percorso sarà definito in termini di accoglienza della coppia come cliente. 14.4 la motivazione e le esigenze del cliente Finora abbiamo analizzato l’accoglimento della segnalazione dal punto di vista del background teoricco dello psicologo. All’altro estremo abbiamo la motivazione e la disponibilità da parte del cliente. Non è il clinico che sceglie il paziente, ma è il paziente che sceglie il clinico. Il professionista è lì per comprendere e riformulare la richiesta del cliente e rispondere secondo la propria competenza e quella che viene definita autorevolezza, ma deve comunque tener conto della specificità della situazione che il paziente gli presenta. Distinzione tra le possibilità di approccio alla situazione dal punto di vista del paziente: 1. Il paziente chiaramente specifica fin dall’inizio che nonostante, p.es., il problema riguardi la moglie o il figlio, desidera parlarne lui personalmente e capire che cosa stia succedendo. Per un professionista che privilegia l’approccio al caso singolo la richiesta presentata si incontra con la modalità di lavoro, orientata all’individuo. Per un professionista che privilegia l’approccio alla coppia e/o alla famiglia, questo potrebbe creare dei problemi per il successivo lavoro con la coppia o con l’intera famiglia, perché la neutralità e l’equidistanza tra tutti i membri potrebbero essere minate da alleanze che un membro pensa si siano create con un altro. Il problema dovrà essere in qualche modo successivamente affrontato se il paziente accetterà assieme agli altri membri un approccio in ambito familiare. 2. Il paziente chiarisce fin dall’inizio che, pur trattandosi di un problema familiare e/o di coppia, l’altro membro non è disponibile a partecipare. È evidente che in questo caso si deve accogliere il paziente individualmente, ma ancora una volta certi interventi sulla coppia o sull’intera famiglia potrebbero successivamente comunque divenire difficili e dovranno essere rielaborati. 3. Il paziente telefona per un disagio di coppia e richiede un intervento che riguardi la coppia. Il professionista che condivide un tale tipo di approccio si troverà molto a suo agio con questa richiesta e proporrà di incontrare la coppia e/o la famiglia. Il professionista interessato al caso singolo o indicherà altri specialisti cui rivolgersi o potrebbe evidenziare aspetti più relativi all’individualità di chi ha effettuato la segnalazione e invitare per questa ragione il soggetto a un primo colloquio individuale. 4. Il paziente telefona per problemi relativi al figlio. Qui l’ipotesi verte su un malessere che riguarda l’intera famiglia oppure su un disagio concernente specificamente il figlio. Il paziente può accettare di venire con l’intera famiglia oppure da solo o con la moglie per parlare del figlio. 14.5 dalla segnalazione all’inquadramento del problema (assessment) Il primo incontro dopo la segnalazione risulta nell’intrecciarsi dei due fattori rappresentati dalle esigenze teorico- metodologiche del modello a cui fa riferimento lo psicologo e dalle motivazioni ed esigenze del paziente. Questo incontro e alcuni altri dovrebbero essere utilizzati per inquadrare la problematica del paziente (singolo, coppia, famiglia). La prima cosa da indagare è se il paziente che si presenta è realmente quello che abbiamo ipotizzato. Ci si può ritrovare a dover “ridefinire il paziente”. Un secondo problema relativo all’assessment riguarda il background del clinico, non solo dal punto di vista di “chi è il paziente”, ma con riferimento al significato che il sintomo-problema può assumere nella dinamica stessa del funzionamento del paziente. Il paziente porta un problema, un sintomo. Vediamo come esso possa essere interpretato dal punto di vista del background teorico del clinico. 14.6 il sintomo Il termine “sintomo” evidenzia un qualche aspetto non funzionante soggettivamente o obiettivamente esperito. Il sintomo può essere sia definito che interpretato, acquisendo significati completamente diversi. Quando ci si addentra nell’ambito delle relazioni familiari esso assume sfumature ancora più differenziate perché il “malfunzionamento” può riguardare sia i singoli membri, sia l’intero gruppo familiare, e può essere interpretato come espressione di disagio tanto nel singolo quanto dell’intero gruppo familiare. Classificazione di possibili significati de sintomo nell’ambito dei modelli di intervento familiare: a) il disagio di un singolo membro: pertanto ci si deve occupare soprattutto della cura di tale membro (è la visione più legata ai classici interventi individuali); in altri termini, si ritiene che sia principalmente il disagio del singolo quello che poi si riflette in un più ampio disadattamento del sistema familiare; b) risultante dalla componente individuale di un membro e di quella di uno o più altri membri della famiglia: è nell’intersezione non adattiva di queste combinazioni che si crea il (dis)funzionamento familiare; c) disagio dell’intero sistema (difficoltà di relazioni di coppia oppure di comunicazione all’interno della famiglia): la coppia e/o la famiglia si rivolgono allo psicologo perché ammettono che, p.es., non comunicano al proprio interno, che i loro stili di comportamento non sono adeguati; in altre parole viene riconosciuto che il sintomo è un problema familiare e come tale viene trattato, oppure ci si orienta verso quello che viene definito lavoro con i genitori (di solito di un bambino) o con familiari di un adulto con gravi problematiche psichiche, e l’attenzione viene prevalentemente rivolta al fatto che essi non sanno come gestire il figlio o l’adulto; d) pur essendo situato in un singolo membro del gruppo è espressione di un disagio e malfunzionamento dell’intera famiglia e come tale viene curato. 14.6.1 il sintomo come disagio del singolo membro (prospettiva a) Un approccio classico alla fobia infantile è rappresentato dalla teoria psicoanalitica, che la considera il risultato di un conflitto edipico inconscio, quindi da un punto di vista intrapsichico. Anche se modelli psicoanalitici più recenti hanno reso la visione della fobia molto più complessa, tuttavia il punto di vista intrapsichico rimane fondamentale. Il piccolo Hans (Freud, 1931) aveva sviluppato una fobia nei riguardi dei cavalli: aveva paura che i cavalli entrassero nella stanza e lo morsicassero, ma come conseguenza aveva anche paura di uscire per la strada. Freud interpreta la fobia di Hans come il risultato di uno spostamento sul cavallo di dinamiche di competizione col padre nei confronti della madre e d desideri che egli muoia per conquistarla. In altre parole la fobia è connessa a impulsi di sessualità e di aggressività. Freud, tramite il padre di Hans, interpreta al bambino i suoi sentimenti e in tale modo la fobia scompare. La psicoanalisi infantile delle fobie non procede, come aveva fatto Freud, rivolgendosi ai genitori, ma l’approccio diviene diretto tra terapeuta e bambino e inoltre utilizza due altri concetti fondamentali che coinvolgono la relazione: transfert e controtransfert; comunque si basa su un lavoro individuale di interpretazione. Verrebbe comunque anche proposto un lavoro con i genitori come sostegno alla terapia infantile. 14.6.2 il sintomo come disagio del sistema (prospettiva c) Haley (1976) illustra il suo approccio di comprensione e gestione riportando il caso di un bambino, da lui seguito in supervisione, che soffriva di fobia. Proprio volendolo confrontare con quello classico di Freud relativo al piccolo Hans, parla di un “moderno piccolo Hans” (a modern little Hans). L’intervento viene tradizionalmente considerato come un esempio di terapia sistemica di tipo strategico. Nel caso di Haley, il bambino ha paura dei cani. Ipotesi fondamentale dell’autore, nella sua visione sistemica, è che la paura dei cani non riguardi il bambino di per sé, ma sia funzionale al sistema familiare. In questo caso serve a distrarre i genitori da un reciproco non coinvolgimento. Piuttosto che focalizzarsi sulle dinamiche intrapsichiche del ragazzino, Haley si rivolge direttamente all’attualità della struttura familiare scegliendo arbitrariamente madre, padre e figlio come unità e lasciando fuori altri membri della famiglia. L’autore, in accordo con un’imposizione sistemica, ipotizza che se il allontanato, aveva iniziato a sviluppare fantasie paranoidi di tradimento, diventando sempre più ansioso nei riguardi della donna, che a sua volta non riusciva a tranquillizzarlo in merito alla propria fedeltà. In questo momento il bambino comincia a presentare il sintomo. Gli autori dicono che entrambi i genitori tendono a rivolgere sul figlio la problematica di coppia. Il marito diventa ansioso nei confronti del figlio, e lei, sentendosi accusata dal marito di non essere una brava moglie, riversa sul figlio la sua frustrazione e rabbia. In più, per ciò che attiene alle reciproche coppie genitoriali interne, la sintomatologia del figlio porta con sé i seguenti stati:  una forte identificazione proiettiva della madre, in cui reagendo con scarso interesse al disagio del bambino attualizzava una sua fantasia infantile che attribuiva a sé stessa bambina la colpa di quanto successo alla coppia dei genitori, ovvero il divorzio;  il padre, d’altro canto, vissuto in una famiglia piuttosto litigiosa, aveva attribuito alla moglie un senso di indipendenza e sicurezza molto marcato, che a lui mancava, e l’improvvisa indisponibilità affettiva della moglie gli riattivava la sensazione di ansietà e di insicurezza, introiettata da bambino dal rapporto dei propri genitori; il sintomo del figlio era funzionale all’ansia del padre che poteva, quindi, dare un oggetto alle proprie paure. Entrambi i genitori, quindi, utilizzavano il bambino e il suo malessere per “buttarsi” attivamente nelle sue cure, colmando il “vuoto affettivo”. 14.6.5 il sintomo del figlio nell’ottica dell’attaccamento Il genitore è portatore di specifiche rappresentazioni d’attaccamento che trasmetterà al figlio tramite il proprio stile genitoriale. Il sintomo, secondo questo approccio, deriverebbe dalla scarsa capacità genitoriale di comunicare una base sicura al proprio bambino. Spesso, la mancanza di un adeguato caregiving e, viceversa, l’aver interpretato il ruolo di genitore con il proprio genitore, da bambino, possono aver inibito il cristallizzarsi di rappresentazioni “sicure” di accudimento e dei conseguenti legami con le figure di accudimento questi legami “non sicuri” impediranno al bambino di sperimentare una base sicura e di interiorizzare solide esperienze di accudimento anche nell’eventualità di una separazione dai genitori. Ora un esempio afferente all’intervento basato sulla teoria bowlbiana. Si tratta, ancora, di un caso di fobia, anche se questa volta, diversamente dal piccolo Hans, risulta essere una fobia scolare. Marco ha 7 anni e viene presentato allo psicologo attraverso il racconto dei genitori, in seguito alla segnalazione della madre. È la stessa madre a riferire al clinico che Marco da qualche tempo ha iniziato a manifestare una notevole insofferenza nei confronti della scuola, dapprima solo con qualche capriccio, poi, addirittura, con attacchi di vomito. Hanno accompagnato Marco dal pediatra che ha consigliato loro di rivolgersi a uno psicologo, dopo aver escluso patologie organiche. Raccontando si è, la mamma dice di aver scelto il mestiere di casalinga solo alla nascita di Marco, mentre prima era impiegata part-time nel negozio dei propri genitori. Il marito, invece, guardia giurata, sempre alla nascita del figlio aveva deciso di abbandonare i corpi speciali e chiedere una mansione più tranquilla, in ufficio. Per quanto riguarda il sintomo del bambino, lo psicologo decide, alla fine del primo colloquio, di suggerire ai genitori di assecondare la richiesta del figlio di non andare a scuola, almeno per il momento. Negli incontri successivi i due coniugi sottolineando che il problema sembra essere notevolmente ridotto quanto a intensità (non frequenza): le crisi di vomito si verificano sempre meno. Marco gioca solo in presenza di uno dei due genitori, mai da solo in una stanza, mai fuori con altri bambini. non che gli sia precluso, è lui che preferisce avere “la mamma a portata di mano”, dice ridacchiando la madre. La signora riferisce ancora che Marco spesso, quando uno dei due genitori si allontana senza portarlo con sé, ha delle crisi isteriche. Successivamente, in un colloquio particolare, i genitori si presentano piuttosto agitati. Raccontano di avere avuto un violento litigio, qualche ora prima, e che ancora adesso fanno fatica a ritrovare un certo grado di serenità. Questa volta, diversamente dagli altri incontri, prende la parola il marito che, desideroso di sfogarsi ma soprattutto di trovare appoggio nel terapeuta, espone i contenuti del litigio. La moglie, per tutta la durata del matrimonio, dalla nascita di Marco a oggi, gli ha rimproverato di aver scelto e sposato un uomo più combattivo, non un “topo da scrivania” e ora che lui ha deciso di partire per la missione di pace in Iraq, lei gli rimprovera di abbandonare la famiglia. Il marito racconta di aver deciso di riprendere i suoi sport pericolosi e la moglie puntualizza che è avvenuto un paio di settimane prima che Marco manifestasse i sintomi. Lo psicologo riesce a collegare finalmente la sintomatologia del bambino a un episodio specifico. I genitori avevano fallito nel trasmettere al bambino la rappresentazione di base sicura. In assenza dei genitori, Marco era perso. 14.7 la diagnosi Il termine “diagnosi” è classicamente collegato all’approccio individuale al paziente. C’è una distinzione tra diagnosi descrittiva (classificazione del paziente rispetto ad aspetti sintomatologici obiettivi secondo criteri riconosciuti a livello internazionale; fa di solito riferimento all’ICD 10 o alle varie versioni del DSM) e diagnosi interpretativa (basata su una lettura del funzionamento della personalità su base psicoanalitica; viene preferita in ambito psicodinamico e in particolare psicoanalitico individuale). Quando ci si rivolge a “paziente coppia/famiglia” (ambito familiare), da qualunque prospettiva ci si ponga, l’attenzione è rivolta alla disfunzione in ambito familiare e/o in un suo sottosistema. Comunque un fattore comune per la diagnosi è la disfunzione legata alle dinamiche del sistema. In una tale visione la diagnosi consiste nell’identificare i deficit che operano nel mantenimento di dinamiche familiari disfunzionali e nel distinguerle da deficit individuali. Nella classica diagnosi sistemica l’assessment del sistema sovrasta la diagnosi dell’individuo, e gli elementi di storia individuale, che di solito vengono tenuti presenti per una diagnosi psicoanalitica, vengono sostituiti da elementi relativi all’interazione presente. Nella diagnosi che integra la terapia sistemica con quella dell’attaccamento viene dato spazio ai problemi dell’attaccamento nella coppia coniugale e nella coppia genitoriale e alle esigenze che vengono espresse in tali dinamiche nelle reciproche tipologie di attaccamento. Negli approcci che condividono una teorizzazione psicoanalitica il problema diviene molto più complicato perché il terapeuta è più sensibile sia ai deficit individuali che alle dinamiche e forse le intravede maggiormente, ma la centratura è comunque sul significato relazionale che assumono le disfunzioni. Anche nel caso delle terapie espressive, se pure viene dato spazio alle rappresentazioni inconsce, all’influenza delle rappresentazioni della propria storia relazionale, esse vengono riportate all’ambito relazionale e non del singolo individuo. È fondamentale per il clinico avere chiaro nella mente e identificare quando anche all’interno della disfunzione in ambito familiare sia presente una psicopatologia individuale: psicosi, depressione, tossicodipendenza, anoressia ecc. Queste psicopatologie sono espressione del disagio familiare. Il clinico può condividerlo, ma è probabile che l’aspetto psicopatologico richieda un intervento comunque a “diversi livelli”. 14.7.1 riassumendo Riassumendo:  L’approccio secondo la teoria dei sistemi coinvolge l’intera famiglia: l’ipotesi da cui si parte è che, se pur il sintomo manifestato riguarda un solo membro della famiglia (in tal caso il figlio), la patologia va ricercata nella disfunzione dell’intero sistema familiare; è la famiglia ad essere interpretata e ad essa ci si rivolge; il lavoro con la famiglia verterà sull’identificazione della struttura familiare e delle dinamiche reciproche messe in atto, che hanno portato alla identificazione del paziente designato.  L’approccio basato sulla teoria dell’attaccamento considera il problema del bambino in relazione alla capacità di trasmettere o meno, da parte dei genitori, una base sicura al figlio; i genitori sono considerati portatori delle rappresentazioni di varie tipologie d’attaccamento e il sintomo del figlio come derivato da specifici problemi d’attaccamento.  L’approccio familiare basato sulla teoria psicoanalitica tiene presenti le dinamiche inconsce delle rappresentazioni e del transfert e controtransfert; considera il problema del bambino comunque come fonte di difficoltà relazionale.  L’approccio individuale basato sulla teoria psicoanalitica tiene presenti le dinamiche inconsce delle rappresentazioni e del transfert e controtransfert; comporta il vedere separatamente il bambino come portatore di un conflitto intrapsichico e un lavoro con i genitori o come sostegno alla terapia oppure condotto secondo i criteri esplicitati nel cap. 4.  È stato scelto di rivolgersi al caso di un figlio perché spesso la situazione segnalata in ambito familiare riguarda proprio un problema sintomatico relativo al figlio, ma una strutturazione analoga vale anche per altre situazioni sintomatiche relative a un partner adulto, p.es. un partner alcolista. 14.8 multiapproccio Nella realtà della pratica clinica si verifica spesso che le cose si complicano. Si assiste cioè alla necessità o alla scelta di ricorrere a diversi modelli di intervento che ancora una volta derivano dalla coniugazione delle competenze e proposte del clinico da una parte, e del paziente dall’altra. Questo può sfociare in una modalità operativa definibile come multiapproccio al problema. Nell’approcciarsi al caso (momento della diagnosi), ma ancor più nella fase dell’intervento, l’azione terapeutica può essere diretta contemporaneamente sulla famiglia come sistema, sulla coppia genitoriale, sulla coppia coniugale, sul singolo (adulto e/o bambino). La parola “contemporaneamente” non significa però dallo stesso terapeuta. L’attività si svolge con la famiglia come sistema: vedendo i membri della famiglia tutti insieme. Potrebbe però essere necessario anche un lavoro sul singolo, p.es. con il figlio adolescente che necessita di uno spazio suo per rielaborare dinamiche interne più conflittuali. Questo non significa che tutte le possibilità vengano messe in atto contemporaneamente. I pazienti non possono essere coinvolti contemporaneamente a tutti i livelli di funzionamento cui abbiamo accennato. Di seguito delle situazioni esemplificative. 14.8.1 esempio 1: lavorare con la famiglia: il caso (più semplice) della famiglia con un figlio La famiglia è un sistema e come tale può essere trattato nella sua totalità. Il terapeuta che ravvisa una difficoltà nel funzionamento dell’intera famiglia proporrà un intervento in ambito familiare. La famiglia, tuttavia, costituita dal sottosistema coppia cui si aggiunge il figlio potrà essere colta nella sua duplice valenza di coppia genitoriale (il terapeuta potrà decidere di lavorare sulla diade nelle sue funzioni parentali ma indipendentemente dalla presenza del figlio) e coppia coniugale (il terapeuta potrà pure percepire la necessità di prendere in carico la diade, indipendentemente dal figlio, la relazione romantica). Per quanto concerne il figlio, però, che è funzione della relazione romantica della coppia, potrà pure ravvisarsi la necessità di un lavoro individuale con lui. Si intuisce facilmente come il lavoro su questi sottosistemi possa ulteriormente complicarsi qualora la famiglia non sia con un figlio solo ma con più figli. 14.8.2 esempio 2: lavorare con la coppia La coppia che si presenta è una coppia coniugale. In questo caso per multiapproccio si possono intendere diverse cose. 1. Il terapeuta lavora con la coppia e questo viene ritenuto sufficiente. Quando il terapeuta lavora con la coppia (terapia di coppia) deve essere posto nel contratto che il trattamento è per la relazione. In questo tipo di contratto si possono verificare imprevisti. P.es. cosa fare nel caso in cui a una terapia di coppia si presenta solo un partner? Lo si manda indietro o si lavora sulla relazione? Nel caso in cui questa assenza sia programmata, il terapeuta può mettersi d’accordo con la coppia su come affrontarla. 2. Il terapeuta lavora con la coppia, ma diagnostica la necessità di lavorare anche con il singolo per la coppia: in questo caso, l’attività con il singolo non sarà un lavoro individuale ma un percorso in cui con il singolo si guarda alla relazione. 3. Il terapeuta ravvisa la necessità di un intervento individuale per uno dei membri; si potrà allora verificare la situazione in cui la coppia è in terapia e contemporaneamente un partner è in terapia individuale (non per problemi di coppia ma per altre ragioni). 14.9 a questo punto si pone un altro problema: chi lavora per chi? In un’ottica sistemica il terapeuta si trova di frequente nella posizione di lavorare con i sottosistemi e quindi può verificarsi che egli decida che all’incontro successivo parteciperà solo il sottosistema coppia genitoriale anziché tuto il sistema familiare. Si lavora con il sottosistema avendo come obiettivo la cura del sistema più ampio.
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