Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Riassunti Marazzini (IV-IX), Sintesi del corso di Linguistica

Riassunto Marazzini, Storia della lingua italiana, 4-9

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 13/04/2020

elisaraso
elisaraso 🇮🇹

4.3

(28)

36 documenti

1 / 31

Toggle sidebar

Documenti correlati


Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunti Marazzini (IV-IX) e più Sintesi del corso in PDF di Linguistica solo su Docsity! R I A S S U N T I M A R A Z Z I N I Capitolo 4 Non esiste assoluta omogeneità linguistica perché la sua natura varia, nella varietà di esprime la creatività del parlante. Lingua scritta e parlato sono in opposizione fra loro. Nell’oralità ci sono elementi assenti nello scritto come ad esempio l’azione. Lo scritto dura di più, permette la correzione e il ripensamento, è più controllato. Lo storico della lingua si occupa di testi scritti. Difficoltà negli studi sul parlato. Studio in cui l’attenzione all’oralità possa avere un posto di assoluto ed esclusivo rilievo si ha solo per il 900. Utilizzazione di materiale orale presenta comunque dei problemi. Bisogna affrontare il problema dei canali da cui attingono le informazioni . Non è facile cogliere la lingua via nelle sue manifestazioni reali. Maggior parte della storia linguistica va ricostruita sulla base du documenti e testi scritti. Lingua scritta orale hanno un funzionamento diverso, ma alle volte nelle scritture si avverte l’influenza dell’oralità con differenti gradazioni che rendono possibile una classificazione, come quella messa in atto da D’achille nel 1990 il quale per studiare alcuni fenomeni del parlato presenti anche nella tradizione scritta ha tenuto conto della: natura privata della fonte scritta, la spontaneità e il rapporto con le versioni orali. Testo teatrale: caos particolare, considerato simulazione del parlato, un parlato recitato che non però parlato a tutti gli effetti. Pirandello però ha creato un documento di certi aspetti del parlato. Parlato viene introdotto anche nella narrativa: novelle dove i dialoghi possono avere come scopo la caratterizzazione del personaggio e le sue battute carattere dialettale, popolare. Nella tradizione italiana si è avuto il caso di un parlato novellistico ispirato al modello Boccacciano e poi cristallizzato e tipizzato. Il parlato del teatro quindi non potrà mai essere assunto come documento del parlato reale in quanto creazione letteraria. La lingua cambia in dipendenza del livello culturale e sociale di chi la usa. Italiano popolare di chi non riesce a staccarsi dal dialetto e per conseguenza contamina i codici dando luogo agli errori. Per i linguisti gli errori sono fenomeni da interpretare e comprendere indicandone la genesi e le motivazioni. Varietà DIASTRATICHE: per indicare le differenze che si riscontrano nell’uso dei diversi strati sociali con diversi livelli di cultura. Concetto elaborato dalla sociolinguistica nell’analisi sincronica. Può essere utilizzato dallo storico della lingua. Davanti ad un documento bisogna sempre chiedersi a quale livello sociale si colloca lo scrivente. Esame dei testi classificabili come italiano popolare risalenti alla fase storica anteriore all’unità d’italia, permette di approfondire il discorso relativo alle differenze sociali della lingua. Bruni nei capitoli dedicati alle singole regioni italiane offre indicazioni utili per uno studio del genere. Oggi i linguisti sono interessati a scritture di questo tipo. Maraschio ha sintetizzato per Pagina di 1 31 campione le principali tendenza della grafia della gente comune così come si manifestano dal ‘500 all’’800 in toscana e fuori. Per chi si occupa di livelli bassi dell’uso linguistico è importante estendere l’osservazione a testi scritti su supporti non convenzionali: graffiti, cartelli diffamatori.. è più facile trovare elementi del parlato popolare. A quest’epoca l mancanza di una norma linguistica codificata e riconosciuta rendeva normale il ricordo a forme della lingua viva variamente filtrate attraverso la grafia latineggiante → VARIETA’ DIATOPICHE cioè geografiche. Dal 500 poi con l’affermassi della codificazione di Bembo, chi si discosta dalla norma scivola in maniera evidente in una scrittura semicolta, popolare. Nel passato anche individui appartenenti al ceto elevato poteva parlare in modo semicolto sortito per chi viveva in zone periferiche non avendo occasione di studiare. A partire dal ‘500 l’italiano letterario divenne lingua della comunicazione scritta ai diversi livelli della società. Da allora in poi quanto più è modesto il livello culturale dello scrivente, tanto più emergono vistosi gli elementi legati al dialetto. Le varietà DIATOPICHE della lingua sono definibili anche come geografiche. L’italiano parlato nel nostro paese non è uniforme. Le differenze riguardano il livello fonetico e fonologico ma anche morfologico e lessicale. Ad esempio vocali aperte e chiuse indistinte. Anche a livello lessicale e sintattico: tengo fame. Varietà diatopiche possono dividere anche la stessa regione. La varietà diatopica si riconosce nel parlato e nello scritto. Si è in grado di ricondurre un testo alla regione di appartenenza, ma la ricerca non è facile siccome dal 500 ogni scrivente colto sapeva celare i localismi ma qualche elemento rimane sempre. Dal De Vulgari Eloquentia la teorizzazione linguistica ha indicato la via dell’uniformità: Dante ha condannato i volgari che sapessero di plebeo e di locale. Inizia il processo di eliminazione dei tratti locali a partire dal 300 con l’imitazione delle 3 corone. La lingua poetica realizzò nel miglior modo nella lingua poetica perchè si toccavano sempre le medesime situazioni e lessico. Divenne presto una maniera. Per la prosa più problemi, specialmente int Eula di tipo pratico in cui rientravano termini quotidiani e il lessico dell’artigiano e delle arti. La toscanizzazione delle scritture familiare divenne un assillo solo a metà dell’800 e dopo le idee linguistiche di Manzoni. È un’esperienza pedagogica che prese piede dopo l’unità d’italia, in precedenza l’esistenza di varietà diatopiche non era un ostacolo alla comunicazione fra regioni in quanto di ricorreva a quello che Foscolo definisce linguaggio itinerario. Già nella seconda metà del 500 Guazzo aveva teorizzato una lingua del genere riservandola all’uso orale dei ceti più elevati e accettando parole non toscane purché non troppo vistose. In tutta la storia linguistica italiana il problema dell’esistenza di varietà diatoniche è stato avvertito come uno di quelli con cui era necessario fare i conti se si voleva ottenere un’omogenea lingua sovraregionale. Non tutti furono del parere che fossero da eliminare completamente le parole non toscane. Pagina di 2 31 Lista di 227 parole o forme o grafie non corrispondenti alla buona norma. III-IV secolo dc. A non B. Speculum non speclum. Occasione per riflettere sulla presenza nel latino volgare di una serie di tendenze aberranti rispetto alla norma classica. Errore come deviazione rispetto alla norma. Il futuro della lingua non è in mano ai grammatici. Quando l’errore non viene più combattuto ma si generalizza, l’infrazione diventa norma per i parlanti. La lingua è governata da una censura collettiva, solo le innovazioni che la superano possono essere accolte. Nel latino volgare serpeggiavano tenenze innovative che spingevano verso la differenziazione dai modelli di lingua letteraria. Si parla di sostrato: il latino si impose su lingue preesistenti, in italia c’era l’etrusco, l’osso- umbro… alcuni fenomeni linguistici sono stati riportati all’influenza del sostrato. Ad esempio si è piegata con ili estratto celtico la presenza di vocali turbate nell’italiano settentrionale. Viene spesso discusso anche il ruolo del superstrato: influenza esercitata da lingue che si sovrapposero al latino come avvenne al tempo delle invasioni barbariche. Esiste anche l’adstrato cioè l’azione esercitata da una lingua confinante. L’azione del superstrato sul latino volgare avvenne mediante le diverse invasioni germaniche: • L’invasione dei Goti che portò meno di una settantina di nuovi termini, anche per il breve periodo di permanenza; nastro, melma, astio, bega, stecca • L’invasione dei Longobardi, più violenta e brutale, nonché più duratura, portò oltre duecento parole longobarde, soprattutto per quanto riguarda toponomia, termini giuridici e tecnici, verbi concreti ed espressivi; si può attuare distinzione fra prestito longobardo e uno gotico o franco. Sono longobardi i termini come guancia, stinco, nocca • L’insediamento dei Franchi ebbe un carattere diverso; non un’intera popolazione, ma una selezionata élite di nobili e funzionari si insediarono in Italia. Da essi derivò un influsso anche gallo-romanzo. Ne derivano termini relativi all’organizzazione politica e sociale. Termini come bosco, dardo, guanto, biondo. I nobili franchi che vennero in italia dovevano essere bilingui e il loro seguito non era prevalentemente germanofono . L’influenza d’oltralpe si fece sentire poi fortemente nei secoli 9 e 11 con la diffusione anche da noi della letteratura provenzale e di quella francese, tanto che nel 200 vi furono trovatori settentrionali che poetarono in lingua d’oc, mentre opere come il Tresor di Brunetto Latini e il Milione di marco polo forno scritte in francese. - Quando nasce una lingua: il problema dei “primi documenti” Come detto, la trasformazione dal latino all’italiano durò secoli, e si svolse sul piano dell’oralità. Nel corso del tempo, però, lo stesso latino scritto cambiò, in parte per l’ignoranza degli scriventi, oltre che per nuove abitudini ormai invalse. Si parla, infatti, di un latino medievale, diverso da quello classico e diverso anche dal latino volgare. Vi fu dunque un lungo lasso di tempo in cui la lingua volgare esistette nell’uso, sulla bocca dei parlanti, ma ancora non venne utilizzata per scrivere; in questa fase, interamente affidata all’oralità, non furono prodotti documenti. Ad un certo punto, l’esistenza del volgare cominciò a farsi sentire, almeno in maniera indiretta; la si avverte nel latino medievale, pieno di volgarismi. Pagina di 5 31 Nel Breve de inquisitione, un verbale del 715 d.C., vi sono raccolte varie deposizioni degli interrogatori, dalle quali emerge un latino ispirato e influenzato dal volgare (unus usato come articolo, molti tecnicismi giuridici e liturgici nuovi e non propri del latino classico). Perché si affermasse la dignità delle nuove parlate romanze era necessario, però, che si accettasse di metterle per iscritto e si prendesse l’abitudine a farlo sistematicamente; cosa che presentava più problemi. Dal punto di vista tecnico, non è facile scrivere una lingua che in precedenza sia sta sempre orale, e non abbia tradizione di cultura alle proprie spalle (ad esempio, può creare problemi la resa di grafica di certi suoni o fonemi). Mettere per iscritto una lingua orale è dunque un’operazione complessa, che implica una scelta difficile, la quale può essere determinata solo da profonde ragioni di ordine culturale. Solo dal Duecento si inizia ad utilizzare il volgare in letteratura, prima di questa data vi sono solo documenti di tipo pratico (atti notarili, graffiti, elenchi di conti, ecc.) che testimoniano in parte l’esistenza del volgare. La caratteristica di questi documenti è la casualità: casualità nella loro realizzazione, sempre dovuta ad eventi accidentali, e casualità nel ritrovamento. Altra categoria caratteristica è la rusticità linguistica come elemento necessario per l’affermazione della coscienza del volgare in quanto lingua autonoma, e bisogna tenere conto anche della disposizione psicologica da cui nascono i singoli documenti antichi del volgare. Uno dei problemi che si devono affrontare esaminando antichi documenti del volgare, è dunque la loro intenzionalità, che può fare capire se ci si trova davanti ad un vero testo della lingua nuova. A volte, infatti, non è facile fissare una separazione tra latino e volgare. - I glossari Si può parlare di un vero e proprio filone di glosse bilingui, che accostano una parola nota ad una meno nota, la quale necessita di spiegazione. Il Glossario di Monza, risalente forse ai primi decenni del X secolo, è un glossarietto bilingue romanzo-romanico (greco bizantino) conservato nell’ultima pagina di un codice della Biblioteca Capitolare di Monza. Si tratta di un elenco di poco più di sessanta lemmi in cui, accanto alla voce latino-romanza, viene data la voce greco-bizantina, secondo questo modello: de capo: cefali colo: trahilos gula: garufas Le parole a sinistra spiegano la definizione di “romanzo” usata per questo tipo di rustica romana lingua, che non si identifica nel latino, ma molto spesso si avvicina alle forme del dialetto. Questo documento non si può considerare come uno dei primi documenti del volgare italiano, assomiglia più a uno di quei testi che, come l’Indovinello veronese, stanno a mezza strada tra latino e nuova lingua parlata, in una sorta di “registro intermedio”. Anche nell’Editto di Rotari, la prima stesura scritta delle leggi longobarde (VII sec.), si trova la spiegazione di certi termini mediante sinonimi più popolari. Pagina di 6 31 Un documento molto più tardo, che interessa l’area piemontese, conferma la durata dell’abitudine di raccogliere glosse di questo tipo: risale all’inizio del XIII secolo, e presenta un testo di alcune glosse come “Parapsis vulgariter dicitur scutella”, in cui un termine colto latino (parapsis = piatto) viene contrapposto al termine d’uso popolare (vulgariter dicitur, “volgarmente si dice”). - Il graffito della catacomba di Commodilla a Roma È un anonimo graffito tracciato su un muro della cripta dei santi Felice e Adàutto. L’interesse per questo documento deriva dal fatto che si tratti di un antica testimonianza, la quale, benché sembri a prima vista conservare un aspetto latineggiante, vistosamente rivela il suo reale carattere di registrazione del parlato. L’analisi di questo documento ha portato diversi problemi, tra cui la datazione, in quanto si tratta di un messaggio anonimo e senza indicazioni cronologiche. Si è arrivati a indicare una fascia di tempo alla quale fare riferimento: tra il VI-VII secolo (al cui risale l’affresco su cui è incisa) e la metà del IX (data di abbandono della cappella). Il graffito si può così trascrivere: “NON / DICE / RE IL / LE SE / CRITA / A BBOCE”, cioè “non dicere ille secrita a bboce”, non dire (que)i segreti a voce alta. I segreti si riferiscono alle operazioni segrete della messa; l’iscrizione sarebbe dunque da attribuire a un religioso, il quale forse voleva invitare i colleghi a recitare a voce bassa il Canone della messa, secondo un uso documentato a partire dal VIII secolo (data che rientra e conferma l’intervallo stabilito per la datazione). Dal punto di vista linguistico, il tratto più notevole si riscontra a partire dall’osservazione della particolare grafia di “a bboce” (la cui seconda b, visibilmente più piccola, è stata aggiunta in un secondo momento). Tale grafia rende in maniera fedele la pronuncia con betacismo (passaggio da V a b) e raddoppiamento fonosintattico. Inoltre, ILLE, dimostrativo latino, qui è già usato in funzione di articolo determinativo. - L’iscrizione della basilica romana di San Clemente Iscrizione anch’essa, come quella di Commodilla, romana e di natura murale, di parola esposta allo sguardo. Tuttavia, mentre il graffito di Commodilla è frutto di una certa casualità, in quanto è stato aggiunto in forma parassitaria e posticcia sopra l’intonaco preesistente, l’iscrizione di San Clemente rientra invece in un progetto grafico ben più complesso: si tratta di un affresco in cui parole in latino e in volgare sono state dipinte fin dall’inizio accanto ai personaggi rappresentati, per identificarli e per mostrare il loro ruolo nella storia narrata. È dunque importante il fondamentale contrasto tra il latino nobile e il volgare plebeo, in un accostamento che spicca straordinariamente e rivela in chi ha ideato la composizione un atteggiamento consciamente ispirato ad una volontà stilistica. Esso narra una storia miracolosa; il pittore ha aggiunto una serie di parole che hanno funzione didascalica o che indicano le frasi pronunciate dai personaggi raffigurati: queste frasi sono in volgare vivace e popolarescamente espressivo. Costituiscono dunque una testimonianza eccezionale per il suo carattere e per la sua antichità. Anche in questo caso vi è il problema della datazione: l’affresco si colloca tra il 1084 (data di costruzione del muro su cui appoggia) e il 1128 (data di consacrazione della basilica). Pagina di 7 31 - Il filone religioso nei primi documenti dell’italiano • Al filone religioso vanno condotti il graffito delle catacombe di Commodilla e l’iscrizione della basilica di san Clemente. • Nel 1880 in un codice della Biblioteca Vallicelliana di Roma fu scoperta la formula di confessione Umbra. Il codice proveniva dal monastero di Sant’Eutizio presso Norcia. Data: fissata tra il 1037 e 1080. Era una formula di confessione che il fedele poteva leggere o recitare. Norcia luogo della metafonesi, presente anche nel testo: dibbi < debui. • Tra i testi religiosi si possono collocare anche i Sermoni subalpini che provengono dal Piemonte. È una raccolta di prediche in volgare piemontese, in un corpus di 22 testi piuttosto ampi. Data: a cavallo tra il XII e il XIII secolo. Alternano parti in latino al corpo vero e proprio in volgare locale. Passaggio da a tonica ad e negli infiniti: doner e richiamo al francese nel mantenimento di -s per i plurali. • Alla seconda metà del XII secolo o ai primi del XIII risale un frammento di soli 3 versi volgari in un dramma in latino sulla Passione. - Documenti pisani • Recente scoperta di una carta pisana che risale alla metà del XI secolo e la metà del XII secolo. Documento che fu tagliato, cancellato e riscritto e utilizzato per la ricostruzione della rilegatura di un nuovo codice. Scoperta avvenuta in America da Baldelli. È un elenco di spese navali, o forse un riepilogo delle spese sostenute per l’armamento di una squadra navale. La localizzazione toscana e pisana del testo discende da considerazioni linguistiche → es. dittongo di E breve latina in ie e anche esito in i del nesso latino rj. Propria dell’antico pisano è la conservazione di au davanti a l: taule per tavole. Il testo abbonda di parole settentrionali della marineria e dell’artigianato. La carta proviene dalla Toscana, culla della lingua italiana, regione che però in questa fase iniziale non è più presente di altre. Firenze addirittura assente. • A Pisa si ricollega un documento più tardo, anteriore al 1200: un’iscrizione su di un sarcofago del Camposanto, un’epigrafe che si inquadra nel ben noto tema del morto che parla al vivo. - Primi documenti letterari Vero sviluppo della letteratura italiana a partire dalla Scuola siciliana nel XIII secolo. • Non mancano in precedenza alcuni documenti di carattere poetico seppure sempre in forma frammentaria. Il carattere ritmino si riscontra dall’Indovinello veronese, interpretato inizialmente come canto di bifolchi. Anche la Postilla amiatina sembra avere una forma metrica. Un documento poi rivelatosi falso → iscrizione del Duomo di Ferrara fu considerata nel 700 campione di poesia antichissima e sembrava risalisse al XII secolo. Anche se fosse stata autentica, l’italia non avrebbe potuto vantare qualche cosa di così Pagina di 10 31 antico come la francese Sequenza di Sant’Eulalia del IX secolo (800) o come la Chanson de Roland, il primo vero capolavoro della letteratura di Francia che risale al 1100. • Alla prima metà del XI (1000) secolo risale il Poema di Boezio in provenzale e forse più antico è il ritornello romanzo di una celebre Alba bilingue. • Se cerchiamo componimenti poetici italiani nel secolo XI restiamo senza nulla. È possibile trovare qualcosa dalla seconda metà del XII secolo nella forma di ritmo: nome generico che indica un componimento in versi delle origini, il nome allude alla sua metrica che si accosta alla verificazione ritmica medievale e non moderna. Si trovano 4 versi volgari in una memoria latina esaltante le vittorie delle milizie di Belluno e di Feltre du delle di Treviso nel 1193 e 1196, trasmessa da copie 500esche. È il cosiddetto Ritmo bellunese. • Altri versi in volgare italiano risalenti al XII secolo sono usciti dalla penna di autori non italiani ma che hanno soggiornato in italia, come il trovatore provenzale Rambaldo di Vaquieras che ha scritto le prime strofe regolari che siano pervenute nella nostra lingua, in un celebre Contrasto tra un giullare che parla provenzale e una donna genovese. Suo achee u altro componimento, il discordo plurilingue in cui compaiono 5 idiomi diversi: provenzale, francese, italiano, guascone, gallegho-portoghese, • Nelle corti d’Italia settentrionale in questo periodo si usa ascoltare poesia provenzale non italiana. Per trovare versi italiani dobbiamo cavalcare la soglia del XIII secolo visto che a quella data alcuni spostano ora il cosiddetto Ritmo laurenzio. Alla fine del XII secolo si collocano il Ritmo cassinese e il marchigiano Ritmo su Sant’Alessio. Del resto nel XIII secolo i tempi sono maturi con un poeta con San Francesco e la nascita di una vera scuola poetica in Sicilia. • Recentemente sono venuti ad arricchire il panorama italiano delle origini due nuovi componenti collocato alla fine del XII secolo. Il primo è una canzone di decasillabi e il secondo si compie di cinque endecasillabi → sono le più antiche testimoniante di poesia lirica d’amore in volgare italiana, conserva sul verso di una pergamena il cui recto contiene un contratto di vendita in latino, datato 1127. Le poesie potrebbero essere di origine settentrionale oppure meridionale con acquisizione di tratti settentrionali in seguito. La scoperta fa nascere il dubbio che sia esistita una tradizione poetica in lingua italiana anche prima della scuola Siciliana. Anche Castellani ammette la possibilità che l’autore del testo abbia subito un influsso letterario proveniente dall’estrema Italia meridionale. - Dai provenzali ai poeti siciliani Differenza fra uso occasionale del volgare all’interno di documenti notarili e l’adozione del volgare stesso come lingua letteraria. La scelta del volgare, riservata alla poesia, implicava una maggiore considerazione della nuova lingua. Questa fu la caratteristica della prima scuola poetica italiana dell’inizio del XIII secolo: la scuola siciliana. Quando si sviluppò, alte due letterature romanze si erano già affermate: la letteratura francese in lingua d’oil e quella provenzale in lingua d’oc. Quest’ultima esercitava un grande fascino, era una poesia incentrata sul tema amoroso sviluppatasi nelle corti di Provenza, Aquitania e Delfinato, la sua influenza si era estesa al di qua delle Alpi, troviamo infatti poeti provenzali Pagina di 11 31 ospitati in Italia settentrionale. Troviamo anche poeti italiana che scrivono versi provenzali, imitando i trovatori. Anche i poeti siciliani fecero qualcosa di simile imitando la poesia provenzale: ebbero l’idea di sostituire a quella lingua forestiera un volgare italiano, il volgare di Sicilia. Questa sostituzione fu geniale e decisa. Dante diede un giudizio assai positivo di della scuola e all’eredità (es. sonetto) che essa lasciò alla nostra letteratura. Per valutare la scelta linguistica compiuta dia poeti della corte di Federico occorre tener presente che l’adozione del siciliano non era dettata da un gusto per il popolare. Ci si può infatti chiedere perché venne adottato proprio il siciliano insulare, siccome Federico stesso poetò in quella lingua benché non fosse siciliano di nascita. La corte federiciana era un ambiente interazione e disponibile addirittura agli apporti della cultura araba. La scelta del siciliano fu dotata di valore formale, e infatti il volgare della poesia siciliana è formalizzato e raffinato. vi entrano in gran numero termini provenzali come le forme in -agio e in -anza. Le forme provenzali non erano obbligate, a volte si alternano a quelle italiane. Coletti fa notare la compresenza di chiaro-clero oppure acqua-aigua. In certi casi la forma apparentemente italiana deriva da un calco provenzale: caso di partenza e far partenza per ‘divisione’ e guardare per ‘proteggere’. La presenza di provenzalismi nella poesia siciliana si spiega facilmente anche con l’influenza che la letteratura in lingua d’oc esercitò sulla corte di Federico. All’inizio dell’ottocento vi furono resistenze ad accogliere il primato della poesia di Provenza e ammettere la sua funzione di guida. Guido Perticari immaginava che i poeti della scuola siciliana avessero scritto nella lingua illustre comune, una lingua lingua sovra regionale diffusa in tutta Italia e derivata dalla lingua romana intermedia. I provenzalismi erano spiegati come eredità dell’antica lingua intermedia che era comune a italia e Provenza. Raynouard contestò in parte questa tesi in nome dell’evidente primato provenzale da cui gli italiani avevano imparato a far poesia. Anche Dante nel De Vulgari Eloquentia aveva coscienza della linea storica dai provenzali ai siciliani. Proprio in Dante pero stava l’opinione che i siciliani, staccandosi dal volgare plebeo dell’isola, avessero poetato in una lingua illustre sovraregionale. La difficoltà di giudicare il vero carattere della lingua dei poeti siciliani era dovuta al fatto che sia Dante sia Perticari leggeva questi poeti in forma diversa da quella autentica. La tradizione del testo è determinante per comprendere i problemi interpretativi. Il corpus della poesia delle nostre origini è stato trasmetto da codici medievali scritti da copisti toscani. Nel medioevo i copisti erano liberi di intervenire per migliorare il testo: i copisti toscani intervennero sulla forma linguistica della posta siciliana e nel corso dei secoli si perse la coscienza di questo intervento e la forma toscanizzata fu presa per buona. Dante potè quindi ritenere che i siciliani si fossero liberati dai tratti locali della loro parlata quando in realtà la pulizia era stata fatta dopo e da altri. Perticare poteva dunque supporre in buona fede che la lingua dei siciliani fosse un volgare illustre comune e indipendente e anteriore all’affermazione del toscano → valutazione sbagliata ma che poteva essere cronologicamente corretta. Pagina di 12 31 La storia delle lingue naturali incomincia proprio qui: loro caratteristica è il mutare nello spazio e nel tempo visto che le lingue medesime sono soggette a trasformazione. La grammatica delle lingue letterarie come quella del greco e del latino è una creazione artificiale dei dotti, intesa a frenare la mutevolezza della lingua. Anche il volgare per farsi letterario deve acquisire stabilità, distinguendosi dal parlato popolare. Per arrivare a definire i caratteri del volgare letterario Dante procede in maniera ordinata seguendo al diversificazione geografico-spaziale delle lingua naturali e concentrando la sua attenzione su spazi geografici via via più ristretti. La sua attenzione si concentra sull’Europa e si avvicina poi verso il gruppo linguistico costituito da francese, provenzale e italiano → volgari che hanno comune origine come dimostrano le concordanze lessicali di parole come Dio, amore, mare, terra, cielo. Si restringe alla sola area italiana diversificata al suo interno da parlate locali, egli esamina queste parlate eliminandole perchè considerate indegne del volgare illustre. Tra le più severe condanne c’è quella per il fiorentino e per il toscano. Migliori risultano siciliano e bolognese ma solo nella forma alta della corte di Fede e di Guinizzelli. Il discorso si sposta poi alla letteratura: Dante sta cercando una lingua ideale, illustre priva di tratti locali, selezionata e formalizzata. La nobilitazione del volgare deve avvenire attraverso la letteratura. Il toscano viene condannato, la condanna coisce poeti come Guittone caratterizzati da stile rozzo e plebeo diverso da quello dei siciliani. Il trattato si trasforma in un trattato di teoria letteraria. Le pagine di condanna del toscano e del fiorentino furono tre le più discusse e la parte iniziale deprimo libro in cui si parla della creazione del linguaggio e del suo sviluppo storico ha destato molto interesse ai nostri tempi tra storici e studiosi. - Dante lirico Prime esperienze poetiche id Dante appaiono radicate nella cultura e nella poesia volgare di Firenze, sia per i temi, sia per le strutture linguistiche e stilistiche. Sono presenti sicilianismi e gallicismi. Diminuiscono gli apporti tradizionali come le parole con suffissi in -anza e -enza e le dittologie sinonimiche. Il lessico della poesia segna una crescita quantitativa. Nella prima giovinezza di Dante ci sono comunque forma legate alla tradizione come ad esempio il meridionalismo saccio e molti provenzalismi. Nella vita nova Dante commentando in prosa realizzò un connubio particolare tra i due generi. A priorità va comunque alla lirica e la posa è qui posta al suo servizio. - La prosa Il livello di prosa 200esca pare più modesto rispetto alla poesia. Serianni ricorda che non solo vi fu il ritardo del sorgere della letteratura italiana dopo le altre d’oltralpe. Ma inoltre vi è da noi anche uno sfasamento tra prosa e poesia a svantaggio della prosa. Coletti osserva che al tempo di Boccaccio la prosa italiana era ancora alla ricerca dei suoi modelli e delle sue autorità, mentre la poesia era già organizzata. Pagina di 15 31 Il testo narrativo più interessante ed originare del XIII secolo, il Novellino, si può osservare una semplicità sintattica vistosa e una certa povertà. Noi guardiamo a questa prosa come documento del tempo e non ci poniamo questioni relative ad una canonizzazione ‘esemplare’. Il latino nel duecento ha il primato assoluto nel campo della prosa, come strumento di comunicazione scritta e di cultura, veniva usato per documenti giuridici, giudiziari, filosofia, religione e medicina. A volte si tratta di un lato che assume forme domestiche in cui affiorano tracce di un espressivo parlato in lingua volgare: ad esempio nella Chronica di frate Salimbene de Adam in cui la sintassi ha un andamento lontano da quello canonico latino e in cui ricorrono parole come truffa, raviolos o ribaldus. Il volgare per essere autonoma deve emergere rubando terreno al latino, ma nel comunque influenzato. Lo dimostrano i volgarizzamenti, un genere costituito da traduzioni, imitazioni di testi classici. Il volgarizzamento non equivale alla nostra traduzione perché l’uomo medievale aveva nel rapporto con le sue fonti un atteggiamento libero. Nel trasporre in volgare partendo da un testo latino o francese si realizzava una scrittura di alto valore sperimentale e si stabilivano le strutture della prosa italiana. In confronto al grande debito della prosa del duecento nei confronti del latino, minore risulta l’influenza del francese, anche se esso fu usato da alcuni scriventi italiani (lo stesso Brunetto Latini autore del Tresor). L’influenza del francese sul volgare italiano si può verificare nel gran numero di prestiti lessicali: moltissime parole francesi erano presenti nei volgarizzamenti duecenteschi ma non riuscirono a varcare la soglia del 1300. Ad esempio nel Tresor di Brunetto troviamo vistosi francesismi come giadì, argento, vile… - Varietà linguistica della prosa duecentesca Nel duecento alle due lingua di comune impiego nella prosa, cioè latino e francese, non si contrapponeva un volgare in risalto, predominava la varietà. Ci sono testi in posa dall’aspetto settentrionale, altri bolognesi, città di Guido Fiaba, autore della Gemma purpurea in cui il volgare è minimo, e autore dei Parlamenta et epistole che contengono modelli di oratoria e di lettere in bolognese illustre, lingua esposta all’influenza del latino. Si tratta di un esperimento notevole perché l’autore vuole applicare al volgare le regole retoriche. In questa prosa i tratti dialettali vengono eliminati anche se non del tutto, come nota Serianni, le forme noi e voi non hanno metafonesi perché seguono il modello latino, ma altre parole come audirite e intenderite presentano metafonesi laddove il latino non offre più la forma a cui appoggiarsi direttamente. Inoltre le vocali finali sono saldo, anche se di tanto in tanto la filigrana dialettale originaria è leggibile attraverso vocali anaetimologiche, le vocali finali vengono cioè introdotte a posteriori e a volte quindi la ricostruzione è arbitraria (la vostro pietà). Rimane comunque una prosa elevata, in essa entrano elementi che potremmo definire di natura poetica come il cursus (particolari clausole ritmiche impiegate per terminare il periodo). Nella prosa di Guittone oltre al cursus si trova anche un lessico di evidente origine poetica poi calato nella prosa. Non esisteva quindi un prosa come modello anche se il ruolo della toscana stava emergendo ma non ancora quello di Firenze. Ad Arezzo troviamo frate Ristoro autore del trattato Pagina di 16 31 scientifico la Composizione del mondo, unico libro di scienza che tenta la via del volgare in cui troviamo diversi tecnicismi che ritroveremo poi nella Commedia. Non si parla solo di prosa letteraria, erano molto importanti anche le scritture mercantili. Documenti analoghi furono raccolti dal Castellani. A volte documenti in vogare sono di carattere pubblico in forma di conti di spese, oppure come il trattato di pace fra i Pisani e l’emiro di Tunisi risalente al 1264 in cui i titoli dei vari capiteresti erano in latino e passarono poi al volgare. Il testo è tutto in volgare fino alla forma notarli finale in cui si accenna all’operazione di traduzione dall’arabo. Capitolo 7 Nella Storia della lingua italiana il Migliorini dedica a Dante u intero capitolo in quanto padre dell’italiano. L’eccezionalità della Commedia le permette di essere isolata dalle altre opere. Essa infatti è scritta in una lingua diversa da quella teorizzata nel De Vulgari Eloquentia e offrì una promozione del volgare dimostrando che la nuova lingua aveva effettivamente potenzialità illimitate. Il toscano iniziò così la sua espansione. Il processo fu reso irreversibile anche grazie al Decameron e al Canzoniere. Si può anche ammettere che il fiorentino aveva comunque più probabilità di primeggiare rispetto agli dialetti grazie alla posizione centrale, grazie alla vivace società, ai rapporti mercantili con il resto d’italia, alla somiglianza con il latino. Ma tale successo non ci sarebbe stato senza letteratura in un paese non politicamente unito. - Varietà linguistica della Commedia Dante realizza un’opera usando una lingua nuova, imprimendole un’accelerazione tale che essa fosse in grado di toccare tutti gli argomenti, stati d’animo, paesaggi e settori possibili. È un’opera universale scritta in una lingua matura, se in grado di produrre un’opera di questo valore. La valutazione del volgare nel 400 infatti passava attraverso la valutazione dell’opera di Dante. In che modo incrementò il patrimonio linguistico italiano? - il confronto va fatto innanzitutto con la lingua classica, sono infatti presenti molti latinismi che arrivano a dante dalle sacre scritture, dalla letteratura, dalla filosofia e dalla scienza medievale. Quando si parla di latinismi è importante ricordare il VI paradiso, dove nel discorso di Giustiniano appaiono moti termini costruiti con l’aiuto della lingua classica (es. latra per grida, tetragono da tetragonus). Il plurilinguismo è una delle categoria utilizzate per descrivere l’opera, in contrapposizione al filone lirico e al suo monolinguismo. Il plurilinguismo è la disponibilità ad accogliere elementi di provenienza disparata: latinismi, termini forestieri, plebeo, toscani e non. Questa varietà deriva dalla varietà di tono: dal livello basso e dal turpiloquio si passa al livello alto e al sublime teologico, anche se a volte le parole forti entrano violentemente anche nei contesti elevati. Nonostante i termini forestieri, l’opera è un’opera fiorentina che sembra però contraddire il De Vulgari Eloquentia, troviamo infatti termini specifici condannati nel trattato sul volgare come ad esempio introcque per ‘intanto’). Pagina di 17 31 - Volgarizzamenti Molto importanti per la formazione della prosa italiana, questo tipo di libera traduzione continua anche del Trecento. Importanti: Le vite dei santi padri di Domenico Cavalca e i Fioretti di San Francesco, traduzione anch’essa dal latino. Un volgarizzamento da una precedente redazione latina contente La vita di Cola di Rienzo. La lingua in questo caso è l’antico romanesco per intento divulgativo dell’autore, quindi per farsi capire. - L’epistola napoletana di Boccaccio Uno dei più antichi testi in volgare napoletano è una lettera scritta da Boccaccio nel 1339, risalente al suo periodo a Napoli. È scritta in tono scherzoso, con la consapevolezza di utilizzare un volgare diverso dal suo. A volte troviamo ipercorrettismi, Boccaccio inserisce dittonghi dove il napoletano non li prevedeva come ad esempio nuostro. Capitolo 8 Latino e volgare - Il rifiuto umanistico del volgare e il confronto con il latino Petrarca iniziatore dell’umanesimo affidava la parte che riteneva più importante del suo messaggio al latino. Egli considerava la differenza fra il latino medievale e quello classico. Diede inizio alla crisi del volgare, il che non vuol dire che non fu più utilizzato, ma che venne screditato agli occhi dei dotti. vi furono umanisti della prima generazione che non usarono il volgare come ad esempio Coluccio Salutati, che dirigeva la cancelleria fiorentina ed ebbe quindi modo di influire largamente diffondendo il propri stile latino. Importante citare Dialogus ad Petrum Paulum Histrum, opinioni espresse in un dialogo letterario in cui si dice che la Commedia sarebbe dovuta essere scritta in latino e che Dante doveva essere rimosso dalla schiera dei letterati e lasciato in compagnia di lanaioli e fornai. Tra i pochi che la pensavano diversamente troviamo Leonardo Bruni che credeva che ogni lingua avesse la sua perfezione quando chi scrive sa essere un elegante dicitore. Uno scrittore aveva il diritto di essere giudicato non per la lingua adottata ma per la qualità delle proprie realizzazioni. Ci volle un po’ di tempo perchè si affermasse questo principio. L’atteggiamento più comune era il disprezzo per il volgare, nel XV secolo la cultura letteraria è dominata da un movimento che si esprime e riconosce nel latino. Anche le prime discussioni sull’origine del volgare e sui suoi rapporti con il latino classico non nacquero da un interesse per la nuova lingua, ma da ricerche storiche avviate quando gli umanisti si posero il problema di come potesse essere avvenuto il crollo della romanità. - Macaronico e polifilesco La cultura umanistica produsse alcuni tipi di scrittura letteraria in cui latino e volgare entrarono in simbiosi, ma non con intento serio. Macaronico e polifilesco sono due forme di contaminazione ‘colta’ tra volgare e latin. Macaronico: linguaggio nato aPadova alla fine del 400. Si tratta di una latinizzazione parodica delle parole volgari: puttanarum. Pagina di 20 31 Polifilesco: detto anche pedantesco, prova di questo linguaggio nella Guerra d’amore in sogno dell’amatore di Polia, opera pubblicata nel 1499 a Venezia e scritta in un volgare che sopporta l’estrema dose di latinizzazione possibile, al limite dello snaturamento. Il polifilesco non è una scrittura comica e parodica perché il volgare che viene combinato al latino è toscano, boccaccesco. - Fenomeni di mescidanza nella predicazione Italia settentrionale, nella seconda metà del 400 alcuni predicatori usano lingua simile al macaronico, in cui volgare e latino si mescolano. Già nella predica medievale il latino serviva come punto di partenza ma ricorreva sovente più volte nel corpo della predica stessa come citazione delle Scritture. Esistono versioni scritte di queste predicazioni che sicuramente possono aver subito adattamenti, ma non c’è ragione di pensare che esse si distacchino dalla predicazione reale. - Altri casi di contaminazione tra latino e volgare Nel 400 le scritture mostrano compresenza tra latino e volgare e un gran numero di latinismi, anche in testi a scopi pratici. Il latinismo era spesso una consuetudine come ad esempio nelle lettere, le formule inviali e finali si scrivevano in latino. Ricordiamo l’epistola di Esterolo Visconti al duca Francesco Sforza data e luogo sono in latino così come la sottoscrizione del mittente, tutto il reso è in volgare. Il latino quindi resistette di più dove ricorrono formule obbligate e legate alla consuetudine. In un testo di natura giuridica ad esempio saranno in latino i termini tecnici. Nel Liber visitationis di Atanasio Calceopulo, un verbale di una visita pastorale compiuta in monasteri basiliani di rito greco del sud italia, troviamo registrazione in volgare molto vivaci come ‘officio di merda’. - Leon Battista Alberti Volgare viene quindi rallentato dagli umanisti, manca dunque un letteratura con piena fiducia verso l’italiano. Il De Vulgari Eloquentia non era conosciuto nel 400 quindi non aveva influenza. Leon Battista Alberti, versatile figura di intellettuale, iniziò il movimento definibile come umanesimo volgare ed elaborò un programma di promozione della nuova lingua → realizzazioni di poesia e prosa di tono alto, impiegata per trattare argomenti seri ed importanti. Nella proemio al terzo libro della sua opera Della famiglia, Leon Battista Alberti si ricollega a tematiche affrontate nelle discussioni umanistiche sul passaggio dal latino all’italiano. l’Alberti attribuisce la causa della perdita della lingua latina alla calata die barbari. In questo modo si sarebbero introdotti nel linguaggio barbarismi. Compito del volgare è quello di riscattare se stesso facendosi ornato come il latino. L’Alberti era convinto che bisognasse imitare i latini prima di tutto in questo → essi avevano scritto in una lingua universalmente compresa, di uso generale. Quindi anche il volgare aveva il merito di essere una lingua di tutti, ma occorreva mirare ad una una promozione da affidare ai dotti. Il latino indicava al volgare la strada da percorrere, non a caso la prosa di Leon Battista Alberti è caratterizzata da una forte incidenza dei latinismi soprattutto a livello sintattico oltre che lessicale e fonetico → si discostava comunque molto dalla prosa di Boccaccio, che non esercitava nessun fascino su di lui e non era considerata modello da imitare. Pagina di 21 31 L’imitazione del latino si unisce però all’uso disinvolto di molti tratti popolari della lingua toscana. All’Alberti è attribuita anche un’altra impresa: la realizzazione della prima grammatica della lingua italiana, la Grammatica della lingua toscana tramandata da un unico coite apografo scritto per il Bembo conservati nella biblioteca vaticana. Nasce dalla volontà di dimostrare che anche il volgare ha una sua struttura grammaticale ordinata proprio come il Altino. Uscì nel 1516. Caratteristica di questa grammatica è l’attenzione prestata all’uso toscano del tempo verificabile in alcune indicazione relative alla morfologia: scelta dell’articolo el anziché il, così la preferenza per l’imperfetto in -o. Quanto all’articolo, il era stata la forma prevalenza a Firenze fino alla metà del 300, ma nel 400 si era affermato appunto il tipo el. Analogamente a Firenze l’imperfetto del tipo io amavo aveva preso sopravvento nel 400 sulla forma io amava. La norma a cui di rifà Leon Battista Alberti sta nell’uso. La promozione della lingua oscena da parte di Leon Battista Alberti culminò con il Certame coronario, 1441. Organizzò una gara poetica in cui i concorrenti si affrontarono con componimenti in volgare. La giuria composta da umanisti non assegnò il premio, facendo fallire la gara. Alla giuria fu indirizzata una protesta anonima attribuibile all’Alberto stesso che lamenta che gli avversarsi del volgare ritenessero indegno che una lingua come l’italiano pretendesse di gareggiare con il latina → critica alla posizione conservatrice propria della tradizione umanistica. - L’umanesimo volgare alla corte di Lorenzo il Magnifico: l’aspirazione al primato di Firenze A Firenze all’età di Lorenzo il Magnifico, si ebbe un forte rilancio dell’iniziativa in favore del toscano; i protagonisti di questa svolta furono Cristoforo Landino e il Poliziano. Landino fu cultore della poesia di Dante e Petrarca ed espose tesi che in parte ricordavano quelle dell’Alberti, riprese poi nel XVI secolo: negava la naturale inferiorità del volgare rispetto al latino e invitava i concittadini di Firenze a darsi da fare perché la città avesse ottenuto il primato della lingua. Lorenzo il Magnifico, nel proemio al Comento per alcuni suoi sonetti, tra il 1482 e il 1484, prospettava uno sviluppo del fiorentino. Lo sviluppo della lingua si legava ad una concezione patriottica, intesa come patrimonio e potenzialità dello stato mediceo. LANDINO TRADUTTORE DI PLINIO Famoso è il suo commento a Dante e la sua traduzione in volgare della “Naturalis historia”di Plinio, un testo difficile per a gran quantità di tecnicismi legati al contenuto scientifico- enciclopedico dell’opera. Landino sosteneva la necessità che il fiorentino si arricchisse con un apporto delle lingue latina e greca: la traduzione aveva una funzione importante. Pagina di 22 31 lacuna lessicale lasciata dall’artificiale coscienza toscana dello scrivente e quindi adempie a una funzione non puramente ornamentale e stilistica, ma strutturale. Quindi nell’incertezza di un uso non ancora codificato da grammatiche e vocabolari, il latinismo era un punto di appoggio. La koinè si sviluppò anche nell’uso tecnico-scientifico. Castiglione, partito nelle sue lettere da un linguaggio cortigiano corrispondente alla koinè cancelleresca mantovana, se ne staccò tramite piccole conversioni linguistiche, man mano che veniva a contatto con le corti italiane. FORTUNA DEL TOSCANO LETTERARIO - Modelli della lingua toscana nelle corti d’italia Il volgare toscano acquistò un prestigio crescente dalla seconda metà del ‘300, a partire dalla presenza fuori dalla Toscana, di autori come Dante e Petrarca, che si mossero in area settentrionale: precoce fu la diffusione della Commedia e del Canzoniere. Il Decameron non fu da meno,anche se in certe zone fu tradotto in francese. Si formarono le biblioteche di studio, di impronta umanistica, in cui avevano spazio esclusivo gli autori latini. Il pubblico ideale, signorile, era bilingue o trilingue: lettura di libri italiani, francesi e latini. A Milano l’apertura verso la letteratura toscana fu avviata da Filippo Maria Visconti che leggeva Petrarca e Boccaccio e che fece compilare intorno al 1440 un commento all’Inferno dantesco, fece commentare Petrarca dal Filelfo. Si diffuse la stampa di testi italiani prodotti in territorio lombardo: segno di una richiesta del mercato, indirizzato in maniera positiva verso la letteratura volgare. Insieme a Firenze e Milano, anche Venezia era una città di stampa: dal 1470 era uscito il Canzoniere di Petrarca e nel 1471 il Deacmeron. Boiardo in ambiente emiliano, si dedicava all’imitazione petrarchesca negli “Amorum libri”, dove la toscanizzazione è più forte. - Un caso di toscanizzazione nel settentrione d’italia: la lirica di Boiardo Matteo Maria Boiardo arrivò alla poesia in volgare dopo un’esperienza poetica in lingua latina. Egli operò in una dimensione acronica, quindi volontariamente sradicato dal proprio terreno linguistico dialettale e assimilò librescamente il toscano, senza percepire questo linguaggio come lingua vera. Egli non era influenzato dalla letteratura medicea dell’Umanesimo volgare e il suo punto di riferimento era il Trecento, in particolare la poesia del Petrarca. Un altro punto di riferimento era il latino: frequenti erano i latinismi che si riflettevano sul vocalismo tonico, in cui ricorrevano i e u al posto di e ed o. Il confronto tra Boirardo e il suo “Orlando innamorato” è reso difficile dal fatto che non si possiede l’originale; le due più antiche edizioni del poema sono del 1487 e del 1506 e sono giunte a noi in un’unica copia. Questa rarità si spiega con il carattere popolare del testo, che comporta una vera e propria usura. Si ha anche un manoscritto, che però è posteriore al 1495. Pagina di 25 31 - Il linguaggio della lirica nell’italia meridionale Quando si instaurò a Napoli la corte aragonese. Fiorì una poesia cortigiana di cui sono esponenti autori come Francesco Galeota, Caracciolo, Pietro Jacopo de Jennaro. La lingua di questi autori può essere studiata confrontandola con la koinè meridionale, con il toscano letterario e il toscano contemporaneo. I tratti linguistici più comuni emersi sono: • Forme anafonetiche fiorentine e forme senza anafonesi • Oscillazione tra ar protonica locale e er fiorentino nei futuri e condizionali dei verbi • Oscillazione tra possessivi toa, soa e i toscani tua, sua • Forme come iorno, iace ( passaggio dj a j) • Articoli lo e lu • Forme del futuro in –aio e –aggio La generazione successiva dei poeti meridionali, ebbe come rappresentanti Cariteo e Sannazzaro; quest’ultimo è ricordato per l’ “Arcadia”, appartenente al genere bucolico, di cui esistono due redazioni e in cui si alternano egloghe pastorali e parti in prosa. La prima redazione risale al 1484-1486 e la seconda fu pubblicata nel 1504. La prosa dell’Arcadia è importante, in quanto è la prima prosa d’arte composta fuori falla Toscana, in lingua ex novo ed è il primo esempio di revisione linguistica in senso toscaneggiante ad opera di uno scrittore periferico. Pagina di 26 31 Capitolo 9 - Italiano e latino Nel 500 il volgare raggiunse una piena maturità, ottenendo un riconoscenti da parte dei dotti. Nel rinascimento il Altino non era sicuramente in secondo piano, ma si avvertiva un nuovo clima, la crisma umanistica era superata. La fiducia derivò anche dal processo di regolamentazione grammaticale allora in corso. Si ebbero le prime grammatiche, i primi lessici. La maggior parte dei latori non era interessata alle discussioni sulla natura del volgare, ma voleva risposte pratiche, delle guide che dicessero come scrivere. Verso la metà del 500 si assiste al tramonto della scrittura koinè che nessun letterato, a causa delle contaminazione fra parlata locale, latino e toscano, usava senza vergogna in quanto troppo rozza. L’italiano dopo il suo livellamento raggiunse uno status di lingua di alta dignità. Anche il latino ebbe una posizione rilevante in determinati settori, come quello della pubblica amministrazione e della giustizia. Migliorini osserva che nel 1500 la > parte degli statuti editi nella città italiane erano ancora in latino, però ad esempio in Lazio attorno alla metà del 500 molti comuni tradussero i propri statuti in volgare. LA META’ DEL SECOLO SEGNA UNA SVOLTA. Per quanto riguarda il diritto e l’amministrazione della giustizia il latino aveva una prevalenza. Il latino era infatti il pane quotidiano per i giuristi. Nella pratica di tutti i giorni, nei verbali, processi, il volgare prese man mano spazio. Ad esempio negli interrogatori e processi di Campanella e Bruno troviamo una mescolanza dei due codici. Nel processo contro Campanella possiamo leggere la deposizione di un aguzzino che descrive il comportamento dello scrittore dopo 40 ore di tortura, e la frase riportata è in volgare. Si passa facilmente da latino ad italiano. Marazzini offre un campione che dà idea del rapporto tra le due lingue nel campo del diritto civile: privilegi concessi all’edizione del Decameron. Su 11 privilegi, sette sono integralmente in latino, fra cui quello concesso dal governante del Piemonte, scelta che contrasta la decisione compiuta da Ema Filiberto che aveva introdotto l’italiano nelle procedure giudiziarie, nelle verbalizzazioni e negli atti notarili. In generale le scritture giuridico-normative contenevano elementi locali, sia italiani che ispanici nelle zone sottoposte malgoverno spagnolo (es. papeli per dire documenti). Per avere idea del rapporto tra italiano e latino è utile considerare il reciproco peso nella produzione dei libri. Seguendo Migliorini si può far riferimento ai vari generi in cui lo spazio occupato dalla lingua classica è differente: in latino → filosofia, medicina e matematica, volgare → arti applicate, letteratura, storiografi. La percentuale più alta di libri in volgare viene stampata dall’editoria di Venezia, seconda quella di Firenze (appena al di sotto del 75%). Invece a Roma, Torino e Pavia si sta sotto il 50%, a Roma perché il latino era lingua della chiesa, a Pavia e Torino perché erano città influenza dalla cultura universitaria. Pagina di 27 31 propria della natura umana. Concetto di lingua veniva discusso nell’ambito di una concezione sociale. Questa teoria vanificava il rigore delle Prose, sanciva che esisteva un’autorità popolare da affiancare quella dei grandi scrittori → principi che permisero a Firenze un nuovo controllo sulla lingua. - Le grammatiche Nel 500 nacquero le prime grammatiche e i primi vocabolari. In toscana risentiva meno il bisogno di consultare strumenti normativi, in toscano la lingua italiana era reputata locale, non di proprietà comune. Si ebbe solamente la grammatica di Giambullari, 1552, libro che si rivolge a chi non era fiorentino, un fallimento. Dalla prima meta del 500 si diffondo anche i primi lessici, contenevano parole ricavare dalle 3 corone. Come ad esempio le Tre fontane di Niccolò Liburnio, 1526 dove compaiono lessici dedicati al singolo autore. L’adozione della soluzione di Bembo aveva il vantaggio di liberare gli scriventi italiani dall’incertezza. L’effetto più noto si ebbe sull’Orlando furioso, Ariosto ricorre alla terza edizione (1532) per seguire le indicazioni delle Prose. Ariosto da temp osi muoveva verso la toscanizzazione trova in Bembo la norma. Stella mette a confronto le lettere private di Ariosto con le edizioni dell’opera. Nel lettere anteriori al 1516 ci sono forme non detonate così come nella 1 e 2 edizione, nella terza però solo tre forme (visera, destrero, prigionero) corrette poi da Ruscelli nel 1556. - Italiano come lingua popolare e pratica Italiano dei semicolti Al di fuori della letteratura nel 500 c’è una crescita sostanziale dell’impiego della lingua italiana. L’analfabetismo era diffuso ma sembra che non mancassero popolani in grado di leggere e scrivere anche se a stento. Giovan francesco Fortunio 1516 Regole grammaticali della vulgar lingua Non si discosta totalmente da Bembo, la base delle norme proposte sta nei grandi del 300. Le parti del discorso in analisi sono 4 e sono nome, verbo, pronome, avverbio Ludovico Dolce 1550 Osservazioni nella volgar lingua Libro di piccole dimensioni, un’opera tascabile e facile da consultare in cui vengono illustrate le teorie di Bembo Sansovino di Venezia 1562 Osservazioni della lingua volgare de diversi uomini illustri Riunisce 5 opere grammaticali Girolamo Ruscelli 1581 Commentarii della lingua italiana Sulla linea di Bembo Pagina di 30 31 Le teorie di Bembo agiscono sugli scriventi colti, al di sotto di questo livello le forme di scrittura rispondo alle necessità quotidiane. Bianconi recentemente ha preso in esame i carteggi dei cardinali Carlo e Federico Borromeo che possono dare un’idea delle diverse forme di italiano non letterario. Alcune lettere inviate ai Borromeo sono di matrice semicolta, con una lingua satura di elementi dialettali, con forme settentrionali. Il genere della lettera è uno dei primi in cui è dato trovare l’italiano prodotto dai semicolti, non sempre però il livello è così basso → missiva del 1599 da un capitano sabaudo → elementi locali attenuati con molti ipercorrettismi. Anche certi libri a stampa di ricette mediche, culinarie ed igieniche offrono materiale per la verifica di un italiano extraletterario e ricco di termini quotidiani. Pagina di 31 31
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved