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RIASSUNTI MATERIALE di PEDAGOGIA GENERALE - Elena Madrussan, Sintesi del corso di Pedagogia

Testi riassunti: ABITARE LA SCUOLA, SPAZI CHE GENERANO FLUSSI, ESPERIENZE FORMATIVE NELLA SCUOLA SECONDARIA, L’IRRAZIONALITA’ DELLA VIOLENZA IN ADOLESCENZA, LA CONDIZIONE METROPOLITANA, L’EDUCAZIONE COME ESPERIENZA VISSUTA, FORMARSI NEI LUOGHI DELL’ANIMA, ETICA DELLA PROFESSIONALITA’ EDUCANTE.

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021
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Scarica RIASSUNTI MATERIALE di PEDAGOGIA GENERALE - Elena Madrussan e più Sintesi del corso in PDF di Pedagogia solo su Docsity! L’EDUCAZIONE COME ESPERIENZA VISSUTA – Antonio Erbetta ABITARE LA SCUOLA – Grazia Massara Dopo che l’ERT (Tavola Rotonda Europea degli industriali) sì è lamentata alla Commissionedella UE della poca influenza dell’industria sui programmi didattici, Alan Touraine ha denunciato la riduzione dell’individuo alle sue funzioni sociali. Infatti, questo delinea un percorso che ponga a centro il rafforzamento della libertà individuale. La scuola deve essere democratica e ‘’democratizzante’’, nel senso che deve rafforzare la capacità degli individui di diventare attori sociali e di riconoscimento della libertà propria e altrui. Secondo Massa, la scuola ha perso il ruolo di luogo di costruzione di significati perché ci si è limitata ad esprimere preoccupazioni sociali. Portare la pedagogia a scuola significa lottare per una scuola concentrata sull’elaborazione del sapere, non solo alla sua riproduzione. Educare significa de-strutturare e solo così sarà possibile in- struire, ricollocare cioè l’istruzione nell’educazione, riflettere sull’esperienza educativa, fare della pedagogia la critica della pedagogia. La formazione non deve solo essere un passivo sistema di controllo sociale. Merleau-Ponty si interrogava sulla funzione del sapere filosofico per la vita e ribadiva come la conoscenza umana non può risolversi in un sapere certo e definitivo.I l soggetto non deve pretendere di cogliere la verità ultima, non deve credere di poter ricercare la verità, ma accettare la realtà dell’esistenza, accettare cioè di non avere alcuna possibilità di comprendere il senso univoco delle cose ma solo di poter riflettere su di esso. La scuola deve aiutare il soggetto a formarsi e per questo si configura come progetto metodologico orientato verso il soggetto. Risulta necessario un nuovo modo di “abitare” la scuola, l’assunzione cioè di un vero e proprio stile di vita di radicale criticità dei saperi precostruiti, che riscopra la valenza della libertà soggettiva. Elementi principali da prendere in considerazione sono: - Relazione → La relazione originaria con l’altro aiuta il soggetto a comprendere il proprio rapporto con il mondo e con le cose del mondo ed è proprio nella relazione educativa che il soggetto trova ciò. La scuola è quindi il luogo in cui entrano in relazione soggettività differenti e interpretazioni del mondo multiple. - Narratività → Il soggetto è il risultato in fieri di una storia. La narratività è quindi dimensione interrogante e continua ricerca di senso, che ci aiuta a scoprire sempre qualcosa in più di noi e della nostra vita. - Gioco → La narrazione dei vissuti, è un gioco narrativo che vuole segnare un punto di rottura con la passiva conformazione sociale, è la messa in discussione dei saperi costituiti. SPAZI CHE GENERANO FLUSSI – Pierangelo Barone Le traiettorie adolescenziali oggi sembrano portare verso fenomeni di transitorietà e di “dispersione”, di attraversamenti che generano movimenti e flussi, difficilmente ancorabili a luoghi significativi di identificazione e appartenenza. Le modalità di fruizione dei luoghi educativi risultano sempre più connotate da un “nomadismo” metropolitano in cui si esprime un bisogno di movimento continuo. la dimensione metamorfica che appartiene in modo quasi “naturale” all’adolescenza, in quanto processo di trasformazione fisica e psichica, costituisce con altrettanta efficacia una chiave di lettura utile a descrivere i processi radicali che ridefiniscono la struttura materiale dei luoghi urbani risignificandone profondamente le funzioni sociali. Da questo punto di vista, la sociologia urbana propone ricorsivamente la metafora della città come organismo sottoposto alle trasformazioni culturali e sociali, in cui appare il concetto di “metamorfosi urbana”. L’analisi delle condizioni sociali chiede di affrontare il tema della “liquidità”, nel senso in cui è stata teorizzata da Zygmunt Bauman, in rapporto al divenire stesso del costrutto culturale di adolescenza. “Fine dell’adolescenza”→Si usa questa espressione per indicare che il cambiamento delle caratteristiche che storicamente sono state attribuite alla condizione adolescenziale, rappresenta una trasformazione sociale per cui l’adolescenza di oggi non è più categorizzabile secondo gli schemi descrittivi del secolo scorso e che portano oggi a parlare di una vera e propria mutazione antropologica. Tratto importante di tale fenomeno è ciò che si indica con il termine di “società adolescente”, ovvero il fatto che i paesi ad economia avanzata abbiano compiuto una “regressione” culturale in rapporto alla rappresentazione del divenire adulti. La “società adolescente” mostra infatti una realtà occidentale ossessionata da un’idea di potere basata sul controllo, l’operosità, la capacità di consumo combinata al massimo profitto individuale, dove ogni segno di debolezza o incertezza va interpretato come incapacità e inadeguatezza sociale. La città da sempre costituisce l’emblema materiale e simbolico delle metamorfosi sociali, economiche, culturali dei popoli. Per capire meglio l’importanza dei cambiamenti odierni della vita urbana, vanno studiate le differenze strutturali e funzionali delle metropoli nel passaggio alla postmodernità. Il segno più evidente di tale trasformazione è dato dal declino del modello di “Città-fabbrica” che ha caratterizzato la forma architettonica e topologica, degli edifici e del sistema viario, tra la seconda metà del XIX e la fine del XX secolo. Lo sfondamento della città, soprattutto dopo la seconda guerra mondiale, è stato motivato tanto dall’immigrazione, quanto dalle potenzialità dei mezzi di trasporto pubblici e privati, che hanno permesso di estendere i limiti fisici del territorio urbano e di stabilire relazioni fra luoghi differenti e lontani. Declino della città moderna → Dagli anni ’80 si assiste al rapido declino della città moderna fondata sul lavoro, sulla produzione e sull’idea di progresso. Le ragioni riguardano la crisi della “grande fabbrica” che comporta licenziamenti, il decentramento della produzione al di fuori del tessuto urbano, e poi sempre più in aree del sud del mondo. Le nuove esigenze commerciali hanno portato alla riconfigurazione spazio-temporale e al progressivo accorciamento delle distanze; mobilità e velocità costituiscono due variabili decisive. “Città-vetrina” → Perduta la funzione prevalente – quella produttiva – il ruolo della città contemporanea si basa sulla dicotomia consumo-piacere, dove al centro dell’esperienza urbana è posta la possibilità o meno di accedere ai luoghi e di ottenere gli oggetti che garantiscono un significativo status sociale. Ancor più, tra i compiti della città contemporanea vi è quello di promuovere e favorire l’ingresso di soggetti e di capitali esterni per implementare il consumo. I tratti dell’ibridazione hanno effetti rilevanti sul piano dell’identità culturale. Le nuove generazioni, e in particolare gli adolescenti, sono toccate dai mutamenti materiali e simbolici dei luoghi urbani. La metamorfosi della città contemporanea può essere letta infatti in virtù di un cambiamento dei significati materiali e simbolici che le categorie di spazio e di tempo hanno assunto. L’uso del meno, ma può scegliere se scalare o no.] Il significato del dato bruto si differenzia in base alla situazione in cui il soggetto lo pone. Nell’ambiente scolastico, il dato bruto è costituito dall’ordine e dal tipo di scuola, dal suo contesto sociale ed economico. COEFFICIENTE DI AVVERSITA’ → risultato dell’incrocio tra il dato bruto e la propria effettiva azione. A determinare ciò che accade dentro la scuola non sono solo le intenzioni pedagogiche, le capacità economiche e amministrative e il livello culturale di studenti. Ma anche le possibilità, le conoscenze che si creano in-situazione. L’insegnante deve ricercare il ‘possibile’, ciò che non è già dato ma deve essere ‘scoperto’. Questa ricerca è come un’ ‘’officina’’ in cui la mano (le pratiche) lavora la conoscenza. Questo lavoro ha due conseguenze: il conoscere realizza un modo nuovo di ‘’vedere e sentire’’; l’opera trasforma anche il soggetto stesso. Tre proposte pratiche per il ruolo dell’insegnante: la pratica della negazione è un antidoto all’ovvietà (affidarsi all’abitudine può essere un rischio); la pratica dell’emersione favorisce l’apertura di nuovi campi e temi su cui lavorare, basandosi su segnali individuati dall’insegnante; la pratica della decostruzione valorizza sapere e vita come valori imprescindibili e fecondi. Decostruire un contenuto significa separarne le parti per mettere in evidenza la problematicità, raffrontando posizioni diverse. Ci sono poi possibili strumenti da utilizzare nel lavoro didattico-formativo come la metafora, il paradosso, l’ironia, l’avventura, il riso, il mistero. CASO 1 -Scuola Media ‘’Alessandro Antonelli’’ di Torino Obiettivo: offrire agli studenti strumenti di riflessione e azione per una convivenza civile in un mondo di avversità. Progetto: studio delle leggi razziali e del movimento per i diritti civili degli afro-americani negli USA nei ‘60. Materiali: fotocopie con esercizi, powerpoint, immagini, video, software, musica, testimonianze scritte. Si mette in evidenza come lo studio delle civiltà possa assumere un ruolo fondamentale nel processo di formazione personale. Gli allievi con cui si è lavorato vivono in una zona di Torino caratterizzata da cambiamenti nella popolazione determinati da flussi migratori. Negli anni ‘60, la crescita industriale torinese portò a un flusso migratorio da nord a sud. Infatti, gli allievi oggi provengono da famiglie piemontesi e di altre regioni, da immigrati cinesi, africani, marocchini, albanesi,… Composta da 24 alunni (14 f – 10 m), 3 con certificazione DSA (Disturbi Specifici dell’Apprendimento) e 1 ADHD (Deficit dell’Attenzione e Disturbo dell’Iperattività), e 2 ripetenti. Percorso diviso in 5 unità e in 10 ore di lezione. OBIETTIVI GENERALI (linguistici, culturali e formativi)→ 1) richiamare le conoscenze pregresse; 2) analizzare e comprendere gli aspetti di un tema di civiltà; 3) creare materiali utili alla comprensione e allo studio degli argomenti trattati; 4) promuovere l’interazione in lingua straniera. Ad ogni unità ci si interroga su ciò che è accaduto i classe, si opera in situazione. Gli studenti, abituati a tipologie di lezioni diverse, ora sono portati a svolgere il lavoro in gruppo, a coppie e solo di rado individualmente. L’insegnante ‘co-ordinava le idee’, interveniva per dare consigli. Il lavoro si sviluppa in 3 fasi: 1 → impostazione della situazione stimolo; 2 → domande che possano stimolare gli studenti e lavoro di individuazione delle fonti più utili; 3 → l’insegnante e gli allievi raccolgono i frutti del lavoro svolto e danno un senso complessivo. - ATTIVITA’: photo analysis – ogni osservatore può descrivere quello che nota da una foto, un dettaglio sempre nuovo e unico. Hanno dovuto analizzare , descrivere ed interpretare un’immagine legata al Civil Rights Movement e poi hanno compilato una tabella che riassumesse le principali opinioni emerse. Hanno individuato almeno tre parole chiave per gruppo (segregation, black people, racism, civil rights). Poi è stato presentato un powerpoint ‘Jim Crow Laws’ e sono emerse in seguito le stesse parole chiave dell’attività precedente. I personaggi principali presentati sono stati: Rosa Parks, Emmett Till, Martin Luther King e Malcolm X. Per primo, gli studenti hanno letto il documento ufficiale dell’arresto di Rosa Parks del 1995 (efficace perché ha reso reale ciò che fino ad allora era stato un racconto). Emmett Till (scelto perché all’età dell’omicidio aveva la stessa età degli studenti, 14 anni) è stato analizzato attraverso due attività: completando la canzone di Bob Dylan a lui dedicata e con domande di comprensione del testo musicale. Poi, mettono a confronto MLK e MX, analizzando le somiglianze e le differenze. Passano alla visione del discorso di MLK del 1963 a Washington. Come ultima attività si è proposta la visione del film The Help, prima con l’analisi della sua locandina e avanzando ipotesi sul film. Con una scheda in seguito si sono individuati i concetti chiave del film . Alla fine, l’unità si è conclusa con test scritto di valutazione delle conoscenze apprese, e i risultati hanno dimostrato come buna parte della classe abbia interiorizzato i contenuti con capacità critica. L’insegnante deve impegnarsi affinché negli allievi si sviluppino tre grandi capacità: immaginativa (arricchimento esistenziale, emotivo e culturale), critica (educazione alla complessità del momento interpretativo) e cognitiva (arricchimento delle conoscenze specifiche e linguistiche della disciplina). CASO 2 – Scuola Media Caretto a Montegrosso d’Asti Progetto: apertura ad altre culture attraverso una giornata di incontro con giovani stranieri africani (18 ai 25 anni) e residenti nel centro accoglienza. Obiettivo: permettere a tutti gli studenti di secondo e terzo di scoprire realtà nuove e diverse. Al termine della narrazione, gli studenti sono intervenuti con varie domande, dalle abitudini africane a domande personali sulla felicità o tristezza per la nuova vita in un paese lontano da casa. La giornata non ha ricevuto la totale approvazione di alcune famiglie, forse non pronte all’incontro con l’alterità. L’insegnamento della lingua e della civiltà francese è risultato pertinente a tale tematica, dato che la Francia ha una lunga tradizione multiculturalista. Alcune ore di lingua francese, infatti, sono state dedicate all’elaborazione dell’accaduto, in cui gli allievi sono stati invitati ad esprimersi liberamente. Sono stati scelti due testi: Le Racisme expliqué à ma fille e la poesia Poème à mon frère blanc. Infine si è scelta la commedia Bienvenue à Marly-Gomont, che narra le difficoltà di adattamento di un giovane medico del Congo in un villaggio francese. L’ultima attività richiedeva di rispondere a domande di riflessione sul percorso affrontato. Ancora una volta, si è confermato che l’apprendimento risulta più efficace se ancorato all’esperienza, se gli argomenti suscitano interesse e si legano alla sfera emotiva dell’individuo. Dopo la lettura della poesia, gli studenti sono intervenuti autonomamente commentando il testo. L’insegnante ha chiesto di parlare di tale tematica a casa, raccontando la lezione, così da conoscere l’opinione dei genitori. Il secondo incontro, infatti, si è aperto parlando di quanto avvenuto in famiglia. Si passa poi all’ascolto di alcuni brani dello scrittore marocchino Jelloun, in cui gli studenti prendono nota delle frasi importanti. Il dibattito è terminato con la creazione di un cartellone da appendere in classe con su le azioni che favoriscono la tolleranza. Con il nuovo anno, si è notato come l’atteggiamento della classe fosse radicalmente cambiato, mostrando maggiore disponibilità all’ascolto e alla comprensione. CASO 3 – Liceo Linguistico Curie Vittorini di Grugliasco La letteratura ha un importante ruolo formativo di ‘’costruzione del proprio senso nel mondo’’, però gli studenti spesso percepiscono la conoscenza delle opere come un accumulo di saperi inutili. Il Liceo linguistico dell’I.S.S. Curie- Vittorini di Grugliasco è stato attestato tra i migliori della provincia (basato su risultati posteriori alla frequenza nel liceo). Molti studenti qui non raggiungono la classe finale, poiché si richiede che alla fine arrivino solo i ‘migliori studenti’. Se si prosegue solo una didattica già stabilita a priori, però, si rischia di perdere di vista i fini educativi della scuola. Si sottovaluta spesso il manifestarsi di nozionismo, scolasticismo e didattismo (volto cattivo dell’istruzione). In un contesto scolastico del genere, agli alunni si presentano due scelte: diventare adulti precoci (per via del conformismo appreso forzatamente dal mondo adulto); contenere la libertà non potendo mostrare la propria peculiarità (conduce a una pratica di negazione o ribellione). La letteratura può aprire il cammino alla propria conoscenza personale, la ricerca dei propri significati in autonomia. Come dice Contini, l’insegnante ha il compito di sostenere la ‘’capacità conoscitiva delle emozioni’’, perché se le passioni giovanili vengono ignorate dagli adulti, ciò porta a comportamenti distruttivi nei propri o nei confronti degli altri. Contini sostiene che a causa dell’eccesso di informazione si perda molta conoscenza e che tutte quelle nozioni portano che sé il rischio che la conoscenza diventi noiosa e venga percepita come un peso. La letteratura ha la capacità di dare a ciascuno un’esperienza umana attraverso storie individuali, ma anche di dare la bellezza al mondo. I personaggi letterari indagano aspetti dell’animo umano in cui tutti gli uomini possono rivedersi. CASO 4 – I.I.S. Galileo Ferraris di Settimo Torinese Nel contesto degli Istituti professionali, da sempre il fine dell’istruzione è la sua spendibilità nel mondo del lavoro, si punta alla ‘professionalizzazione’ dell’individuo. Le materie di studio professionalizzanti sono più e più rilevanti di quelle umanistiche. Si è scelto dunque di proporre qualcosa di nuove a 3 classi quinte, ovvero di assistere alla rappresentazione della Turandot al Teatro Regio. Si pensava, infatti, che esporre gli studenti al bello artistico avrebbe contribuito a sviluppare in loro una sensibilità nuova. Inizialmente, la reazione degli allievi è stata di rifiuto, perché la sentivano come poco utile alla loro formazione. A questo proposito, gli insegnanti hanno posto due sfide: convincerli che l’attività fosse utile; coniugare quell’esperienza a un percorso didattico per coinvolgerli maggiormente. Hanno creato un percorso che facesse conoscere agli allievi la figura di Pucccini e che affrontasse due temi in particolare (dell’opera): quello degli enigmi e della donna ‘lunare’. Tutto ciò con l’inserimento della lingua inglese. Sono stati letti dei brani di Shakespeare, poi analizzati. Come i temi di Turandot, per il Mercante di Venezia è stato scelto quello degli enigmi e poi della donna come sorgente di luce positiva (contrapposta alla donna lunare della Turandot), o sottomessa e vittima di gelosia in Otello. Alcuni allievi si sono mostrati lusingati per la fiducia data alle loro capacità, altri, al contrario, in disaccordo. Dopo due mesi di preparazione, gli studenti si sono recati al Teatro Regio. Storia, letteratura italiana e letteratura inglese erano le discipline tirate in causa nel progetto. I ragazzi sono stati in grado di risolvere l’enigma in autonomia e di capire il testo letterario. Infine, piuttosto che terminare con verifiche si è scelto di dare maggior peso alla riflessione individuale, premiando la partecipazione. L’esperienza ha mostrato ai ragazzi la possibilità di esplorare territori fino a quel momento inesplorati e hanno poi sentito il progetto come utile per loro stessi. CASO 5 – Torino 1/3 degli allievi è di origine straniera. Non sempre riescono a collaborare o a mostrarsi uniti. L’idea è dunque di far sì che si mostrino più collaborativi e si mettano in gioco. Si vuole elaborare uno spettacolo in più lingue straniere. Questa cooperazione per raggiungere un comune obiettivo, favorisce le relazioni interpersonali e potenzia le capacità di negoziazione dei discendenti. Le attività di recitazione in aula diventano occasione per acquisire maggiore competenza linguistica. Creare i propri personaggi, fargli dire le cose, è un modo per far emergere la creatività. E’ richiesto di creare una breve intervista a personaggi famosi, attività che fa sì che anche i più timidi si mettano in gioco, e gli altri devono indovinare l’identità della celebrità (si evita che qualcuno si estranei coinvolgendo il pubblico). Gli studenti non vengono interrotti per correggere gli errori mentre presentano per evitare blocchi nei più introversi. Altre attività richiedono l’uso della creatività: inventare un finale per un racconto famoso, produrre un cortometraggio, progettare la città ideale. Viene proposto di immaginare una storia in cui vi sono parlanti di lingua inglese e spagnola e man mano si crea una trama. Due scuole rivali sono protagoniste: una di studenti di lingua inglese e l’altra spagnola. Anche le docenti sono invitate a prestare parte alla scena. 1/3 delle ore settimanali di lingua straniera viene dedicata alla stesura dei dialoghi., frutto di varie proposte individuali poi accettate dal resto. Una delle studentesse di lingua inglese viene invitata dalle allieve della scuola rivale ad allenarsi con loro, e così capirà di non dover avere pregiudizi. I vari Benasayang, ci ha posto davanti alla ‘’formattazione del conflitto’’ → alla rimozione della molteplicità conflittuale che costituisce una condizione esistenziale caratteristica dei soggetti. Dunque, non vi è più nulla da desiderare o sperimentare, perché eliminando il conflitto, non vi è più nessuno contro cui lottare. La violenza diviene quindi senza un fine, decontestualizzata. Ogni forma di ribellione viene additata con psico-diagosi per trovare un possibile disturbo. Ma poiché il conflitto non può completamente essere zittito, questo torna sotto forma di violenza diretta a un ‘nemico’ casuale. Stiamo assistendo alla scomparsa dell’adulto come polo della dialettica esistenziale dell’adolescenza. Si deve dunque ripartire dall’assenza di significazione e riconoscimento. LA CONDIZIONE METROPOLITANA – Giuseppe Burgio METROPOLI →1) indica la madrepatria nel movimento colonialista; 2) conglomerato urbano che caratterizza la postmodernità. La condizione metropolitana mostra come il contatto tra le differenze sia intra-culturale ormai, quindi ha portato la pedagogia interculturale ad essere intesa come plurale pedagogia delle differenze. Per Erodoto, la metropolis era la città madre, il centro rispetto al quale le colonie si costituivano come periferia. Tuttavia, il termine indica oggi il modello di organizzazione attraversato da tutte le differenze. Da Cristoforo Colombo, le nazioni colonizzatrici hanno reso il continente europeo la metropolis di vastissimi imperi coloniali. E neppure oggi, dopo la decolonizzazione, la polarizzazione tra metropolis e colonie è scomparsa. Il confine tra metropolis e colonia non esiste più. Il colonialismo europeo nasce, agli inizi dell’età moderna, contemporaneamente al capitalismo. Anzi, secondo i teorici marxisti, proprio le ricchezze delle Americhe e la tratta degli schiavi africani permisero quell’accumulazione che produsse il capitalismo. La ricchezza venne spremuta dalle colonie grazie al fatto che, per lavorare la terra delle piantagioni, venivano utilizzati “lavoratori coloniali coatti” oppure schiavi. Il lavoro non pagato era un elemento centrale dell’economia coloniale. Un altro importante cambiamento nella nostra Storia fu rappresentato dall’affermazione del lavoro salariato. Ci sarebbe, come ha teorizzato Moulier Boutang, un legame tra schiavitù, lavoro coatto e moderno lavoro salariato, cioè tra colonialismo e capitalismo. L’antica Grecia, ad esempio, conosceva la schiavitù, che si esercitava attraverso lo sfruttamento dell’Altro nella terra dello stesso colonizzatore. Secondo Finley, infatti, il lavoro schiavile nasce, nell’antica Grecia. Lo sfruttamento economico e l’espropriazione dell’Altro appare insomma realizzabile tanto nel territorio della metropolis (come ricorda Finley) quanto in quello coloniale. All’origine delle attuali migrazioni internazionali sta l’inserimento dei Paesi poveri (impoveriti dal colonialismo) nel mercato dell’economia. In questo modo, “la massa della popolazione è stata messa nella condizione di essere costretta a lavorare per il capitale per poter sopravvivere. Arrivati nella nostra economia, i migranti diventano lavoratori di serie B, meno protetti, più sfruttati, peggio retribuiti. Il clima di sospetto (e razzismo) costringe a subire lo sfruttamento, ad accettare condizioni lavorative pessime. Il mercato del lavoro invece oggi implica necessariamente l’esistenza delle migrazioni. Il territorio della metropolis appare così oggi caratterizzato da una pluralità di lavoratori fragilizzati: immigrati comunitari, immigrati extracomunitari nonché migranti interni . Il mercato del lavoro è ora diventato transnazionale e viene gestito al fine dell’accumulazione capitalista attraverso politiche di tipo migratorio. I permessi di soggiorno legati a un contratto di lavoro, i Centri di Identificazione ed Espulsione, il razzismo, la ghettizzazione, etc., funzionano cioè anche come strumenti di gestione del mercato del lavoro. Poiché la vecchia metropolis è oggi territorio di sfruttamento coloniale, ormai anche “tutte le città europee possono essere definite postcoloniali”. Le nostre metropoli sono postcoloniali dato che vi persistono pratiche di dominazione coloniali che fruttano i migranti provenienti dalle ex colonie e creano una gerarchizzazione paragonabile a quella coloniale all’interno della popolazione autoctona, in un processo di autocolonizzazione. Dalla metropolis partivano i colonizzatori per andare nelle colonie. Oggi dai territori ex-coloniali si muovono uomini e donne verso l’Europa. Oggi non ci sono quasi più francesi in Algeria ma ci sono molti algerini in Francia. Le attuali migrazioni internazionali sembrano rappresentare una sorta di effetto boomerang della colonizzazione storica. Le migrazioni internazionali si dirigono infatti verso le grandi città: in Italia “quasi la metà della popolazione straniera (48,2%) risiede nei comuni capoluoghi di provincia. I lavoratori migranti costituiscono così ormai un decimo della nostra forza lavoro, generano una parte cospicua del PIL, sostengono il sistema pensionistico, interagiscono col mercato del credito, si fanno imprenditori e consumano. Se il fenomeno migratorio continuerà a crescere, aumenterà anche la multiculturalizzazione delle metropoli, grazie all’urbanizzazione dei migranti. Ciò rende le metropoli produttrici di grandi ricchezze e povertà. Nelle metropoli, tutti (migranti e non) realizziamo un costante intreccio tra pratiche di filiazione, di trasmissione culturale all’interno della famiglia e della comunità, e di affiliazione, di trasmissione assicurata dai gruppi di appartenenza che si attraversano nelle varie fasi della vita. La tradizione è quindi un ingrediente fondamentale per la formazione di nuove identificazioni in contesti sociali e culturali in mutamento. Nella metropoli si mostra chiaramente come, seguendo Clifford, la cultura di un popolo non sia un oggetto che esiste prima dei contatti con le altre culture, ma che anzi di questi si nutre e proprio grazie a questi si struttura. A questa faccia della realtà metropolitana va però accostata anche l’altra – rappresentata dalla forte e frequente conflittualità interculturale: dalle rivolte. Palumbo ci ricorda, ad esempio, “come la rivolta degli immigrati riguardi in modo prevalente la seconda generazione, quella cioè nata nel paese ospite, di cui è parte, ma a cui è negata una piena integrazione sociale”. Il progetto dell'interazione delle differenze, portato avanti dall'intercultura, si mostra oggi chiaramente inefficace, anche perché finanziato (poco) dai governi rappresentanti i suoi interessi. Tre sono e conseguenze teoriche da ricavare. Innanzitutto, quanto detto spinge a ridefinire contatti e conflitti interculturali come conflitti ormai intraculturali, fortemente condizionati da differenziazioni interne alla società complessa. Insomma, nella condizione metropolitana, il limite tra “interno” ed “esterno”, “intraculturale” e “interculturale” si fa sfumato, spingendo sempre più l'intercultura verso una sua riconfigurazione come plurale pedagogia delle differenze . Ma, bisogna guardare ai migranti senza dare per scontato che abbiano innanzitutto un’identità etnica, una peculiarità culturale prima che una complessa soggettività individuale (Mezzadra, 2002, p. 95). Come ricorda Geertz, infatti, “«culture», «popoli», o «gruppi etnici» sono varietà di partecipazione ad una vita collettiva, che si svolge contemporaneamente a una dozzina di livelli diversi e in una dozzina di dimensioni e ambiti diversi”. Allora, non esistono più culture isolabili (e identiche a se stesse), piuttosto diverse “forme di vita” trasversali a quelle “identità” culturali. Infine dobbiamo superare quelle logiche paternalistiche e postcoloniali che vedono i migranti solo in posizione subalterna, solo come vittime, riconoscendo il progetto migratorio come intrapresa individuale tesa all’emancipazione. Così facendo è possibile riconoscere ogni migrante come una storia a sé. L'intercultura non può infatti esistere se non come pratica di resistenza, di lotta contro il modello postcoloniale che lo sfruttamento economico ha oggi assunto. L'intercultura può così, in un contesto metropolitano, declinarsi come creatività: “la capacità di inventare, costruire, dare vita a forme sociali e culturali nuove.’’ In questo modo si pongono infatti in primo piano relazioni e condivisioni, a discapito delle identità, e anche se i soggetti e le culture si situano ovviamente all'interno di campi di potere diversi, questa impostazione consente di non cadere nell'opposizione dicotomica noi/altri. Ma affinché stimoli un dialogo paritario tra le differenze, è necessario un preciso passaggio politico: la presa di parola da parte di tutti. La presa di parola contiene infatti in sé una tensione emancipativa che – può indicare la volontà di partecipare alla costruzione del dialogo interculturale. Quella interculturale esprime ovviamente una rivisitazione fortemente democratica della parrhesìa. Storicamente, infatti, il diritto di parola non è mai appartenuto a tutti. Era nel mondo greco una facoltà concessa solo ai cittadini: “colui che è privato della parresia […] non può partecipare alla vita politica della città. […] Per poter parlare all’assemblea, all’ekklesia, si deve essere cittadini”. L’uso della parrhesìa era cioè connesso a una cittadinanza piena, sicuramente non concessa agli stranieri. La situazione non sembra oggi essere cambiata: non ha di fatto diritto alla parola pubblica chi non è cittadino. E la mancata presa di parola da parte di tutti incide, da una parte, sulla mancata connotazione interculturale della nostra democrazia. FORMARSI NEI LUOGHI DELL’ANIMA – Franco Cambi Il concetto di anima ha avuto, nella cultura occidentale, soprattutto tre significati: 1) identità spirituale di tutti i soggetti (più tradizionale e più diffuso, filosofico e religioso); 2) vita interiore di ciascuno (psicoanalitico); 3) creazione di sé come soggetto-persona con una propria vita interiore (psico-esistenziale). Platone nel V secolo a.C. rese l’anima una sostanza, come separata e opposta al corpo-materia. Così inaugurò una nuova concezione del soggetto e della sua vita interiore tesa tra istinti, passioni e ragione. Inoltre l’anima come spirito è immortale. Il cristianesimo riprese questa concezione e la inserì nel suo Credo e nella sua riflessione antropologico-teologica facendola risalire all’atto della creazione al “soffio di Dio” sull’uomo-di-fango per dargli l’anima. Nel Seicento con lo spiritualismo di Cartesio tale opposizione tra corpo e anima fu rilanciata con la concezione delle due sostanze che costituiscono il reale: la res extensa (materia) e la res cogitans (lo spirito). L’uomo vive tra queste due realtà ma deve seguire la più nobile. Nel Novecento la nozione di anima è stata studiata anche dalla psicoanalisi, quella di Jung. L’anima qui è legata al vissuto psicologico dei soggetti. Non è sostanza ma forma della vita interiore. Nel Novecento c’è stato però anche un’altra scuola di pensiero riguardo alla nozione di anima, più esistenziale e personale. Tale nozione è più pedagogica e fissa l’anima non come un dato (=costitutivo) bensì come un compito da tener vivo individualmente, attraverso la formazione di sé. La cura di sé esige che ogni soggetto si sviluppi interiormente attraverso “esercizi spirituali”, che si compiono nei luoghi dell’anima. I cosiddetti luoghi dell’anima vanno, allora, frequentati ovvero visitati, compresi nel loro significato, resi propri acuendo la nostra sensibilità. I luoghi sono di diverso tipo: luoghi privati (che parlano a noi come singoli soggetti) e collettivi (che parlano a tutti); tra i comuni o collettivi ci sono i luoghi del sublime naturale (mare, montagna, cielo) e della trascendenza; i luoghi ecologici (boschi, pianure, giardini), quelli del sacro (chiese, santuari, cenobi) e della preghiera, in cui si compie l’esperienza del raccoglimento in se stessi e quella dell’interrogazione sul senso della vita; i luoghi della società e della storia (monumenti, statue, sacrari etc.) o quelli della cultura. In tutti questi luoghi l’anima parla a se stessa e cresce. E distinguiamo tra quelli privati e collettivi. I luoghi privati sono luoghi per noi significativi, perché lì é avvenuto per noi qualcosa di decisivo. Sono luoghi dell’infanzia, luoghi di incontri decisivi, di esperienze rivelative. L’acqua è l’elemento-chiave della vita e la vita viene dal mare. Questo fa parte dei luoghi del sublime naturale. Il mare è un Grande Simbolo: di continuo cambiamento, di inquietudine costitutiva, di immensità, di eternità forse. E’ la via dei viaggi (si pensi all’Odissea). E’ carica d’insidie, di rischi, come pure di scoperte di altri mondi. La montagna, come emblema culturale, è recente: dal Settecento si è sviluppata in sede scientifica, sportiva, estetica. Scalare montagne è azione di sfida e di prova, di energia e di controllo di sé. L’alpinismo però oltre che sport e studio è stato anche esercizio spirituale: uscire dal mondo sociale e umano di città, pianure e colline. La montagna è un doppio simbolo: di sfida e di prova, ma anche di contemplazione. Il cielo è lo spazio infinito che ci sovrasta e ci spaventa e ci affascina. Il cielo è stato anche simbolo centrale nell’Immaginario umano: luogo di dei o creato da Dio o leggibile come Natura nel suo complesso. E poi: spazio del “Padre Nostro” a Leopardi. Uno spazio immenso, insondabile, misterioso. I luoghi ecologici invece sono diversi. Il bosco è natura viva: che cresce libera, con alberi arbusti erbe minute (le Myricae di Virgilio e di Pascoli) e poi animali di ogni tipo e grandezza. Anche la giungla è bosco. E lo sono anche le foreste equatoriali. Ma il bosco per la specie Homo sapiens è stato in particolare un luogo simbolico. In sé è lo spazio della natura allo stato selvaggio, dove essa si sviluppa nella sua autonomia e pertanto è luogo di pericoli, di nemici, dove ci si può perdere e morire. I racconti fiabici hanno interpretato in modo netto questo aspetto dell’immaginario in tali racconti proiettano le loro ansie e paure ma anche le speranze (Cappuccetto rosso). La pianura è spazio umanizzato, creazione dell’uomo. Lì i popoli si sono stabiliti, hanno costruito città, coltivato campi, allevato animali. La pianura ci informa sul lavoro umano, sulla storia dell’uomo. Qui si può essere flaneur, cioè un passeggiatore vagabondo che osserva e si fa stimolare dalle cose che incontra per riflettere in senso sia storico sia sociale sia economico o culturale. Anche tra campi e colline si può essere flaneur. I giardini sono spazi chiusi, separati, di nostalgia della natura in sé sia di una volontà di bellezza che ricostruisce un rapporto idealizzato con la natura. Dove la vita umana si svolge in una condizione ideale di gioia e di dolcezza. Le città, ma anche i borghi e i castelli includono luoghi che hanno il ruolo di esposizione di “opere belle”, ovvero apparentemente inutili ma dense di significato e di valore. Sono i luoghi della bellezza. I musei sono i luoghi privilegiati della cultura a cui ci si avvicina con rispetto e curiosità e pronti a concentrarsi nello sguardo e nella riflessione. L’Italia poi da questo punto di vista è un paese esemplare, dotata si dice forse del 70% e più delle opere d’arte presenti al mondo, con città che sono ricche di musei: Roma, Firenze, Venezia. Un altro spazio-chiave della cultura è il teatro: spazio doppio (scena e platea) che implica un guardare partecipando. Poi le biblioteche: che sono state da sempre luoghi privilegiati: come “sacrari del sapere”. I monumenti sono segnali della storia da cui veniamo e esposti lungo le vie, nelle piazze, con iscrizioni che ci ricordano l’evento o il personaggio. Davanti ai monumenti si attiva la memoria storica, lì depositata come ricordo. Molti spazi della bellezza sono anche spazi del sacro. Sì, ma il sacro ha in sé anche un altro e fondamentale significato: lì l’anima ascolta se stessa, sì partecipando a riti che rendono più uniti in una fede. Le chiese ci parlano di una fede (che lega insieme) e lì la si celebra con riti sempre uguali che danno e certezza e identità personale e collettiva (nelle loro diverse tipologie architettoniche, da quelle paleocristiane a quelle romaniche, poi gotiche e rinascimentali e barocche fino a quelle postmoderne). I conventi sono spazi di ritiro dal mondo, ma anche luoghi di ascesi. I santuari sono luoghi di culto forte e estremo. I luoghi del sacro affascinano credenti e non, poiché lì si compie un risveglio di temi e problemi che riguardano la nostra vita e il suo senso. I cimiteri sono luoghi di sepoltura e del culto dei morti. Luoghi di addio e di ricordo. Napoleone con un editto li collocò fuori delle città ma lì anzi assunsero sempre più un aspetto monumentale e un ruolo esplicito di esaltazione del defunto e di ostensione delle sue virtù. Nell’Ottocento in tutta l’Europa cattolica i cimiteri assunsero un volto nuovo come luoghi di esaltazione delle virtù e delle famiglie borghesi ( diventa un luogo di manifestazione dell’appartenenza di classe sociale). I cimiteri prima del decreto napoleonico erano tutt’uno con le chiese, che divenivano cosi sacrari di memorie di uomini illustri, come rilevava Foscolo nel suo poema I sepolcri. Nella nostra psiche agiscono anche luoghi irreali, puramente pensati, ma che hanno in noi una presenza culturale fondamentale e divengono topoi dell’esperienze umane. Il Mediterraneo di Omero e di Ulisse. I luoghi della Bibbia o quelli del Vangelo. I luoghi dei romanzi o dei poemi. Da tutti questi fronti dell’immaginario ci giungono sollecitazioni e modelli che regolano il nostro stesso immaginare e di cui ci nutriamo più o meno consapevolmente, ma che nella nostra mente hanno un ruolo e un’identità precisa. Tanto che noi spesso li usiamo anche nel discorso quotidiano come emblemi significanti. Ma sono anch’essi “luoghi dell’anima”? Sì, poiché vivono in noi e ad essi mentalmente ci riferiamo per creare significati, indicare valori, fissare esperienze. ETICA DELLA PROFESSIONALITA’ EDUCANTE – Maria Grazia Contini Questo articolo si caratterizza sulle ‘’passioni tristi’’ che attraversano i giovani e che spengono la loro capacità progettuale. Spesso ci si focalizza troppo sulle competenze tecniche, che nel caso degli educatori è riduttivo, dato che hanno il compito di far maturare una progettualità esistenziale autonoma. La pedagogia ha sempre avuto un complesso d’inferiorità nei confronti delle “scienze esatte”. Ma ora anche le scienze esatte non vogliono le spiegazioni semplici e si misurano con le incertezze, ritenendole preziose per l’avanzare delle loro ricerche. La pedagogia ha bisogno di nutrirsi di altri saperi: è costitutiva della deontologia pedagogica (conoscere il più possibile i soggetti con cui si lavora) ha a che fare con la costruzione della personalità da parte dei soggetti in termini progettuali, in una rete complessa di rapporti con gli altri. Tutti i saperi sono utili, ma i criteri per le scelte che operiamo devono essere riconducibili alla riflessività pedagogica. Devono essere privilegiate quelle competenze che permettono all’educatore di rendersi conto di eventuali stereotipie, di eventuali nodi irrisolti o residui di analfabetismo nelle emozioni. E’ in questi termini che la competenza educativa comincia a differenziarsi dalla competenza tecnica delle altre professioni, interpellando, chi educa, a crescere sul piano complessivo della sua personalità e umanità. Gli educatori dovrebbero promuovere la nascita di passione gioiose nei soggetti, non desideri consumistici . Bisogna attuare una sorta di resistenza contro gli obbiettivi opposti perpetuati da agenzie dominanti (TV ad esempio), che mirano al consenso e alla creazione di mode → PEDAGOGIA DELLA RESISTENZA. Non bisogna lasciarsi sedurre dal conformismo, dalla competitività e dal potere, e bisogna tenere a mente che l’obiettivo educativo è quello di arricchire il conoscere, il sentire e il rapportarsi agli altri. La resistenza richiede coerenza e continuità dell’impegno. E’ giusto sostenere i bambini e i giovani che sono ‘’fuori dal gregge’’ nel percorso di straniamento, nonostante siano in un’età in cui aggregarsi ad altri dà sicurezza. Dovrebbero insegnare la resistenza contro la violenza, la prepotenza e gli imbrogli, verso un rigoroso impegno morale. Bisogna insegnare loro la resistenza contro le varie forme di discriminazione, l’assenza di pietà per i sofferenti, i poveri e gli stranieri. E’ proprio dagli uomini che detengono potere che provengono molte delle “parole logore” nei confronti di cui si deve esercitare resistenza. Da Platone in poi, il ‘’paradigma della disgiunzione’’ ha portato una separazione tra il conoscere e il sentire e ha definito la creazione di una gerarchia: prima il cognitivo, poi l’emozionale (riconducibile a soggetti sociali deboli, come donne e bambini). Gli studi in neuroscienze e scienze umane hanno messo in discussione quel paradigma.: sul piano neurologico, i circuiti che vengono attivati da pensieri ed emozioni sono gli stessi e che tali informazioni creano il nostro conoscere e sentire in modo reciprocamente connesso. Non si può privilegiare dunque il piano cognitivo trascurando quello emozionale, perché così facendo anche il primo presenterà insufficienze, dato che per ragionare bene serve una testa ‘’calda’’. Il conoscere comprende l’elemento emozionale : le emozioni risultano determinate dai processi cognitivi, poiché è a causa delle aspettative (cognitive) che si provano certe emozioni (gioia, paura,…). L’avidità economica-finanziaria ha portato povertà di vario tipo, tra cui quella di emozioni, di relazioni, che portano all’analfabetismo del pensare e del vivere. In conclusione, tre sono le cose che si dovrebbero realizzare a scuola: - Promuovere l’ ‘’apprendistato emozionale’’ attraverso la lettura di storie e la visione di film: si cerca di suscitare empatia e immedesimazione; - Realizzare momenti di gruppo in cui i giovani si raccontano, provano a chiamare per nome le loro emozioni e a comprendere quelle degli altri; - Educare al conflitto, ovvero ad accettare che la comunicazione si senta senza che comporti violenza e oppressione.
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