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Riassunti "Movimenti sociali e azioni di protesta", Sintesi del corso di Sociologia Del Mutamento

riassunto del testo "Movimenti sociali e azioni di protesta" di Katia Pilati

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020
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Caricato il 19/06/2020

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Scarica Riassunti "Movimenti sociali e azioni di protesta" e più Sintesi del corso in PDF di Sociologia Del Mutamento solo su Docsity! Riassunti Sociologia del mutamento Introduzione: Azioni collettive di protesta –> forma di attività politica complementare ai canali partecipativi istituzionali. Presenza di azioni di protesta è indicatore del livello di democrazia di un paese a prescindere dalla forma di governo. Per comprendere le azioni collettive di protesta –> necessità di un’analisi specifica, in quanto sono attività politiche con caratteristiche specifiche (impatto emotivo, immagini mediatiche forti, talvolta violente, con conseguenze sulla percezione individuale degli eventi…) –> utilizzo di diverse prospettive teoriche. Protesta –> analizzata come specificazione di una categoria più ampia: le azioni collettive. Le azioni collettive di protesta comprendono a loro volta diverse dinamiche conflittuali: fenomeni rivoluzionari, guerre civili, conflitti etnici, movimenti sociali (quelli su cui il testo si focalizza). Azioni collettive di protesta: def. –> azioni realizzate da gruppi organizzati che agiscono in vista di un obbiettivo, di un cambiamento o di resistenza ad un cambiamento; sono intraprese pubblicamente; sono tendenzialmente non convenzionali; vengono svolte da gruppi con risorse troppo scarse per accedere ai canali politici istituzionali. Sono: azioni collettive, non individuali; azioni politiche, cioè implicano un conflitto con l’autorità, sia esso in merito a cambiamenti di natura sociale, politica, economica, culturale; sono azioni politiche non convenzionali, cioè svolte attraverso canali non convenzionali, non riconosciuti come modalità appropriate per accedere alla sfera politica (anche se si può andare da azioni legittimate ad azioni meno legittimate, o illegali) –> sono generalmente associate a maggiori costi di partecipazione (tempo, sicurezza …). Nel testo ci si riferisce al repertorio di azioni tipico delle società occidentali contemporanee (repertorio di azioni: costruzione sociale). PARTE PRIMA: Dai classici all’analisi del comportamento collettivo. CAP 1. Movimenti sociali, rivoluzioni, riots: questo capitolo tratta di diversi fenomeni che possono essere spiegati facendo riferimento al quadro concettuale dell’analisi delle azioni collettive di protesta. Movimenti sociali –> specifiche dinamiche delle azioni collettive di protesta; così come le ribellioni, i cicli di protesta, le rivoluzioni… Azioni collettive di protesta (vedi def. nell’Introduzione) –> 1. individui e gruppi sociali agiscono unitariamente; le azioni collettive sono differenti dai comportamenti collettivi (cap.3): natura intenzionale, c’è poca spontaneità/irrazionalità; sono azioni dotate di senso per i membri del gruppo. 2. le azioni collettive sono coordinate, ovvero organizzate; esiste quindi la presenza di qualche forma organizzativa della protesta, e/o di un leader della protesta (anche questo le distingue dai comportamenti collettivi). 3. gli attori individuali riconoscono e perseguono un obbiettivo comune. Non è necessario che ci sia solidarietà condivisa, l’obbiettivo può derivare dall’interesse individuale dei singoli membri –> non è necessaria una base valoriale comune (possibile coordinare azioni ad hoc per singoli interessi, di breve durata); la presenza di identità e solidarietà è elemento specifico di alcune dinamiche di azione collettiva di protesta durevoli nel tempo, quali i movimenti sociali. 4. le azioni collettive di protesta implicano un conflitto; relazione instaurata implica interazioni intenzionali tra due o più parti in competizione tra loro per il controllo di risorse; talvolta i challengers rivendicano il riconoscimento dei propri interessi o della propria identità contro quelli dei targets, talvolta genericamente contro quelli dominanti e socialmente riconosciuti. Il conflitto può essere di natura politica (orientati alle elité politiche in seguito a leggi o policies) o di natura culturale (in merito a generare trasformazioni riguardanti l’interpretazione dominante della realtà). I movimenti sociali –> emergono solo dopo la rivoluzione industriale e quella francese, in concomitanza con l’avvento della società moderna; prima –> competitive claims (rivendicazioni di gruppi in competizione, 1400-1500); reactive claims (rivendicazioni di diritti di specifici gruppi in reazione alle nuove istituzioni Stato- nazione, mercato nazionale etc., 1600-1700) –> competitive e reactive claims sono rivendicazione di carattere locale; dal 1800 prevalgono rivendicazioni proattive (proactive claims) –> i gruppi chiedono nuovi diritti e risorse, di cui non hanno mai goduto; solo da questo punto si crea la base per l’azione di movimento sociale, i gruppi iniziano ad intervenire ripetutamente con azioni coordinate su larga scala, cumulative e con scopi indipendenti dalle elité locali (classificazione di Tilly). Creazione dello Stato-nazione, sua gestione delle attività produttive e politiche, avvento dei diritti del cittadino –> contributo alla nascita dei movimenti sociali e al temperamento delle rivalità locali nelle proteste. Varie definizioni di movimento sociale: influenzate dalle varie azioni collettive di protesta e la loro interpretazione –> teoria –> definizione esaltante le caratteristiche centrali: McCarthy e Zald, teoria della mobilitazione delle risorse (RMT): insieme di opinioni e credenze che rappresentano preferenze orientate al cambiamento di alcuni elementi della struttura sociale e/o della distribuzione delle risorse in una società (enfasi sulla natura razionale e il carattere strumentale delle azioni). Tilly, teoria della struttura delle opportunità politiche (POS): azioni sostenute e organizzate che sfidano le autorità esistenti in nome di una popolazione deprivata o esclusa che si sviluppano a partire dal 1790; Tarrow: sfide collettive orientate a contrastare coloro che detengono posizioni di potere, le élite; –> enfasi sul conflitto con le élite e il ruolo delle opportunità definite dal contesto esterno. Tra gli autori italiani: Melucci, Pizzorno; approccio più “culturale”–> ruolo dell’identità collettiva, del network e dell’investimento personale –> approccio focalizzato sulle caratteristiche e le dinamiche interne al movimento. Alcuni autori –> tentativo di definizioni trasversali agli approcci: es. Diani identifica tre elementi comuni: 1. il conflitto: movimenti sociali –> dinamiche conflittuali caratterizzate dalla presenza di azioni non convenzionali, le proteste; conflitti di natura politica, contro le élite politiche; e/o culturale, in contrapposizione alle categorie e alle interpretazioni della realtà dominanti. Nella fase di istituzionalizzazione del movimento –> proteste azioni marginali: il conflitto è messo in secondo piano rispetto alla negoziazione; le proteste non sono mai l’unica azione svolta dal movimento (scambi interni di risorse e informazioni, collaborazioni…) 2. l’identità collettiva: movimenti sociali –> gruppi che si definiscono e si percepiscono come appartenenti alla stessa collettività grazie alla presenza di sentimenti di appartenenza condivisi; non si tratta di tratti esterni. Gruppi come le coalizioni non hanno questa caratteristica, l’identità condivisa è limitata o assente; nei mov. Soc. l’identità condivisa permette un’azione unitaria e durevole nel tempo. L’identità collettiva è dinamica poiché ha origine nella rete di relazioni e interazioni; senza reti e interazioni non potrebbe esistere identità collettiva, perché non esisterebbe lo scambio che permette la condivisione di esperienze e visioni. 3. la rete: network che permette agli attori di agire in maniera organizzata e coordinata –> fitta rete di scambi. Organizzazioni di movimento sociale (SMO) –> rendono possibile il coordinamento, la gestione dei gruppi e delle risorse, la leadership, lo scambio di risorse simboliche e quindi l’identità collettiva. Nelle SMO le relazioni sono informali e poco strutturate. (Alcuni studiosi sostengono che i media digitali e la rete diretta tra individui renda meno centrali le SMO nell’organizzazione del movimento sociale). Altre azioni collettive di protesta: Le coalizioni, a cui si è già accennato, sono gruppi che a differenza dei movimenti sociali non sono caratterizzati dalla presenza di identità collettiva, solidarietà, base valoriale comune. Le subculture politiche, al contrario, hanno questa caratteristica ma non presentano l’elemento conflittuale che invece caratterizza i mov. soc. Anche gli eventi rivoluzionari possono essere compresi come specificazione dell’unità base “azione collettiva di protesta”: possono coinvolgere vari episodi di azione collettiva di protesta, ma si differenziano da essi per l’obbiettivo di rovesciamento istituzionale; inoltre la scala delle proteste è ampissima e quella dei cambiamenti larga al punto da coinvolgere ogni sfera del vivere; i cambiamenti sono inoltre eccezionalmente rapidi. (NB: sebbene alcuni autori esaltino la violenza delle rivoluzioni, essa non è un elemento necessario per la loro definizione, vedi Ghandismo in India). Seppur rivoluzioni e movimenti dall’opera più recente e dai dati empirici; egli si dimentica di dar anche minimo peso alla possibilità che le proteste si originassero dall’intenzione di contrastare cambiamenti come l’industrializzazione, l’urbanizzazione, la marginalizzazione delle fasce più povere, la crescita della borghesia (reactive claims di Tilly); per Tilly le proteste sono intenzionali, razionali, orientate verso le élite politiche; gli attori sono consapevoli delle proprie azioni. Le evidenze mostrano anche come gli attori in protesta, lungi dall’essere un agglomerato, si riconoscano come gruppo sociale e tessano così una rete di partecipazione-solidarietà. Le teorie del collasso sociale: social breakdown theories, si sviluppano nel corso del Novecento come variante del funzionalismo –> idea che la società sia un sistema di parti integrate –> conflitto come patologico, disfunzionale e da marginalizzare per il benessere sociale. I movimenti sociali sono per questi approcci ancora comportamenti collettivi, frutto dell’atomizzazione e dell’anomia della società (mancanza di riferimenti) e/o delle tensioni sociali. Killian e Turner: la protesta deriva da sistemi normativi ambigui e vaghi, non è irrazionale come per Le Bon; gli individui in protesta adottano comportamento collettivo in quanto percepiscono l’ambiguità e la vaghezza dell’ordine normativo –> quest’ambiguità non è causata da contraddizioni normative, quanto dal cambiamento dell’ordine. I movimenti sociali sono forme routinarie di comportamenti collettivi, sono forme emergenti e non derivano da precedenti organizzazioni o culture (specificità dei movimenti sociali). Smelser: per lui il comportamento collettivo è principalmente la risposta alla tensione sociale; i movimenti sociali sono comportamenti collettivi che implicano attività spontanee e sregolate e mirano a ricostituire l’ambiente socioculturale circostante sulla base di una credenza generalizzata –> comportamenti non istituzionali, non convenzionali, mirati all’innovazione normativa (tentativo di ristabilire, proteggere o creare norme). Ted Gurr 1970 –> teoria della deprivazione relativa: Gurr esamina in particolare la violenza politica in tutte le sue forme; gli episodi di violenza politica (ribellioni, rivoluzioni, movimenti etc.) avvengono quando gli attori individuali percepiscono uno scarto tra le value expectation e le value capablities, ovvero tra le aspettative in merito alle proprie condizioni e la realtà –> deprivazione relativa –> sentimento di frustrazione e rabbia individuale –> violenza politica collettiva (agglomerato di azione individuale); la protesta ha origine quindi nello stato mentale, psicologico (situazione soggettiva) degli individui, uno stato che risulta, come per le teorie del collasso sociale, “disturbato”, e che può portare alla violenza politica come ad altri atti devianti. Sviluppo dei sentimenti di frustrazione: tre possibili sviluppi storici: •aspirational deprivation (aspirazioni crescenti, condizioni reali costanti; es. influenza di nuove ideologie, possibilità confronto con standard di gruppi privilegiati); •decremental deprivation (caduta degli standard di vita con aspirazioni costanti; es. crisi economica, chiusura delle opportunità politiche); •progressive deprivation (inizio: crescita parallela di condizioni e aspettative, poi: condizioni smettono di crescere e aspettative no –> sentimento di paura di perdita dei guadagni precedenti). Evidenze empiriche: mostrano come negli USA la frequenza delle azioni di protesta per il movimento dei diritti civili crebbero fino al 1969 nonostante i progressi ottenuti dai primi ’60; smentiscono la teoria di Gurr. Critiche alle teorie del collasso sociale e della deprivazione relativa: • bias psicologico: Gurr e i teorici del collasso sociale si dimenticano delle variabili strutturali, deputando agli stati individuali il ruolo di causa delle proteste; per loro il passaggio dallo stato psicologico alla protesta è “automatico”; non individuano le condizioni di disuguaglianza a cui gli attori si oppongono intenzionalmente e altri fattori che politicizzano lo scontento e trasformano le preferenze in azione; • unità di analisi individuale: individui pensati come attori isolati; comportamento collettivo attribuito ad aggregati di individui –> queste teorie non sono in grado di comprendere i gruppi come collettività e luoghi in cui si sviluppano solidarietà e coesione; • mancanza dell’analisi delle strutture intermedie: le frustrazioni, le tensioni sociali e l’anomia non possono spiegare direttamente l’intrapresa di azioni collettive; (necessità di studiare le risorse disponibili, la capacità di organizzazione, la possibilità politica … –> fattori più importanti del livello di frustrazione). Differenze tra comportamento e azione collettiva: - comportamento collettivo: presenza di aggregati sociali di individui senza sentimenti di condivisione identitaria; poca intenzionalità dell’agire, spontaneità, quasi irrazionalità; limitazione nel tempo, interazione tra individui sporadica e circoscritta; confini poco definiti (no identità, no antagonisti definiti chiaramente a cui indirizzare l’azione); - azione collettiva: presenza di gruppi sociali e di sentimenti di condivisione identitaria che permettono l’unitarietà dell’azione; azioni intenzionali e spesso organizzate; relazioni continuative e durevoli che alimentano gli interessi e l’identità condivisi; confini netti (individuazione chiara di un nemico verso cui è ordinata l’azione collettiva). CAP 4. La teoria della mobilitazione delle risorse (RMT): è il primo approccio a mettere i MS al centro della propria analisi; nasce dal paradigma sociologico dominante negli anni ’70 –> la teoria della scelta razionale (RAT), che assume la razionalità degli individui –> gli attori scelgono razionalmente massimizzando i benefici e minimizzando i costi delle proprie azioni. Per la RMT i MS sono un insieme di opinioni e credenze che rappresentano le preferenze dei gruppi sociali orientate al cambiamento di alcuni elementi della struttura sociale e/o della distribuzione delle risorse in una società. Punto centrale dell’approccio: importanza delle risorse; le azioni collettive sono analizzate evidenziando la razionalità delle azioni e le strategie orientate alla mobilitazione delle risorse necessarie per l’azione collettiva (MS azioni intenzionali, dotate di senso, orientate verso altri attori in vista di un cambiamento). Studi che contribuiscono all’emergere della teoria: • Olson 1965 –> esplora le implicazioni dell’assunto di razionalità individuale per l’azione collettiva –> problema del free rider –> un individuo razionale non sceglierebbe di partecipare ad un azione collettiva perché consapevole che la sua singola non-partecipazione ridurrebbe i suoi costi senza ridurre il suo guadagno in bene pubblico (che per definizione non può essere limitato ai partecipanti) –> soluzione: necessità di incentivi e sanzioni che spingano alla partecipazione –> prerogativa delle organizzazioni, capaci di mobilitare in questo modo le risorse (è in questo che Olson anticipa la RMT). • Tilly 1978 –> fondamento del POS, ma riflessioni chiave anche per la RMT; –> sposta l’attenzione dall’individuo alla collettività dell’azione; mette in evidenza l’organizzazione come attore collettivo in grado di mobilitare le risorse: organizzazione –> disponibilità risorse, possibilità di assemblarle e utilizzarle –> mobilitazione risorse –> agevolazione della partecipazione attiva degli individui –> azione di protesta; in particolare, i challengers cercano di accumulare più risorse possibili e ridurre quelle dei gruppi antagonisti; la possibilità di mobilitare risorse dipende per Tilly dal grado di organizzazione pre-esistente e dalle opportunità del contesto esterno; elemento innovativo –> gli individui non assumono comportamenti di protesta per la frustrazione o l’anomia, ma intraprendono azioni collettive, anche essendo scarsamente frustrati, nel momento in cui sono affiliati ad un gruppo minimamente organizzato che mobiliti risorse (tra queste, anche la solidarietà, che permette al gruppo di agire come entità collettiva); per Tilly le variabili fondamentali sono quindi le risorse mobilitate dai challengers e la capacità di controllo sociale dell’autorità (RMT + POS). Sviluppo della teoria –> McCarthy e Zald 1977: articolo “manifesto” della RMT –> assunto: incapacità delle teorie del collasso e della deprivazione di spiegare molti fenomeni associati alle proteste e ai movimenti –> i fattori collegati allo sviluppo di azione collettiva non sono stati psicologici o ambiguità del sistema di norme sociali, ma sono relativi alla disponibilità di risorse individuali o collettive per l’azione; l’unità di analisi è l’organizzazione di movimento sociale (non l’individuo). Base dei MS: non solo i membri che beneficiano dell’azione di protesta, ma tutti gli attori che la supportano orientando risorse verso il movimento sociale (distacco dalla teoria della scelta razionale: gli individui non si dedicano esclusivamente alle attività che li ripagano in interessi) –> anche le élite e i simpatizzanti nella popolazione sono fondamentali nello sviluppo del MS. Inoltre –> possibilità di analisi delle figure “professionali” della protesta (nuove figure nei mov. Degli anni Settanta), che intraprendono carriere all’interno delle organizzazioni (leaders o imprenditori della protesta). Riflessione cruciale –> modalità di mobilitazione delle risorse: (come per Tilly) si tratta del trasferimento di risorse dagli individui ad attori e organizzazioni di movimento sociale (i challengers); questi individui possono essere anche esterni al movimento; la capacità di mobilitare risorse verso il movimento è propria delle organizzazioni, che nella RMT diventano unità d’analisi –> le SMO (social movement organization) –> organizzazioni formali complesse che identificano i propri obiettivi con le preferenze dei movimenti sociali con lo scopo di implementarli; le preferenze dei MS non possono tradursi automaticamente in azioni, necessitano di un’organizzazione pre-esistente e dell’integrazione del supporto di altre parti sociali; popolazioni con alti livelli di organizzazione interna hanno più capacità di produrre azioni collettive di protesta. Insieme delle SMO attive in un certo movimento –> Social movement Industry (SMI) –> condividono tutte gli obbiettivi più ampi del movimento, mantenendo interessi propri (solitamente, l’azione collettiva nasce sul terreno comune delle varie SMO costruito attraverso un lavoro di costante negoziazione; gli obbiettivi di un MS non coincidono quindi con gli obbiettivi di una singola SMO). Insieme di tutte le SMI in una società –> Social movement sector (SMS). Problema principale: discutere circa la capacità di mobilitare risorse; le risorse di cui le SMO hanno bisogno sono molteplici e scarse –> le organizzazioni devono riuscire ad entrarne in possesso e ad allocarle nel miglior modo; McCarthy e Zald sviluppano ipotesi in merito: • se le risorse disponibili per la popolazione aumentano, crescono le risorse disponibili al SMS (i due autori parlano soprattutto di tempo e denaro): maggiore è il reddito, maggiore il supporto in denaro alle organizzazioni; maggiore è il tempo disponibile agli individui (quindi a livelli educativi più alti), maggiore è l’attività di volontariato anche all’interno delle SMO. • maggiori e migliori sono le infrastrutture presenti in un territorio, migliori i mezzi di trasporto, più facile sarà il lavoro delle organizzazioni. • in più i due autori riconoscono l’importanza di altri elementi del contesto esterno, come i meccanismi di repressione degli agenti di controllo sociale. • maggiori sono le risorse disponibili agli attori che supportano le organizzazioni di movimento sociale, maggiore è la possibilità che nascano nuove SMO e SMI –> differenza con Olson (gli individui supportano anche movimenti e organizzazioni di cui non sono membri e da cui non traggono interessi); ribaltamento teoria della deprivazione (fondamentale è la disponibilità di risorse all’individuo, non la dinamica deprivazione –> frustrazione). Critiche alla teoria della mobilitazione delle risorse: principale critico della RMT –> McAdam, principale elaboratore del modello del processo politico (POS); egli riconosce i meriti della RMT, ovvero il cambiamento dello status ontologico dei MS, il riconoscimento del ruolo dei gruppi esterni e dell’interazione tra gruppi formali e informali, ma pone alcune critiche: • difficoltà della RMT nel distinguere SMO e gruppi d’interesse –> se le organizzazioni sono in grado di mobilitare risorse, cosa le differenzia da gruppi di pressione che possono partecipare alla politica attraverso i canali istituzionali? McAdam sottolinea che i MS sono esclusi dai canali istituzionali di partecipazione politica. • supporto esterno da parte delle élite? McAdam sottolinea il rapporto spesso fondamentalmente conflittuale dei MS con le élite; i MS spesso hanno come obbiettivo il cambiamento sociale-politico e portano avanti un discorso di ribaltamento o messa in discussione delle strutture dominanti –> il ruolo fondamentale che McCarthy e Zald attribuiscono alle élite nel sostegno alle SMO è quindi dubbio. • la RMT minimizza, viceversa, il ruolo delle élite nello smantellamento dei MS (controllo sociale, istituzionalizzazione e ridimensionamento/riorientamento degli obbiettivi). • concetto di risorsa –> il concetto risulta troppo vago; non si capisce il tipo di risorse che gli autori considerano importanti per l’azione collettiva. • marginalizzazione delle frustrazioni –> per McAdam gli stati psicologici individuali non sono determinanti dell’azione collettiva, ma sono da considerare per comprendere il significato soggettivo che gli attori danno all’azione, che resta un importante oggetto per una sociologia che vuole comprendere le azioni collettive di protesta. In generale, la RMT per McAdam compie l’errore di focalizzarsi sulle élite e non considerare il ruolo della base del movimento sociale; è adatta ad analizzare dinamiche di pressione politica da parte di attori organizzati con accesso ai canali politici istituzionali con obbiettivi moderati, ma non ad analizzare i movimenti sociali. Doug McAdam: interpretazione marxista del potere –> gruppi dominanti con maggiore accesso alle risorse per l’accesso alla sfera politica (e quindi al potere); potere e ricchezza –> concentrati nelle mani delle élite, i gruppi costantemente deprivati di risorse hanno accesso limitato ai canali istituzionali e ai canali extra- istituzionali più routinari della partecipazione politica; MS –> tentativi razionali di esercizio dell’influenza politica e di difesa di interessi collettivi attraverso azioni non convenzionali –> attenzione verso la base del movimento (mass base), tendenzialmente minoranze marginalizzate. Ipotesi principale: la struttura delle opportunità politiche (POS), mutando in seguito ad ampi processi sociali, economici e politici, influenza la nascita, lo sviluppo e il declino dei MS; all’elemento della POS si aggiungono nello studio di McAdam anche altri due elementi nello spiegare l’azione collettiva di protesta: la capacità organizzativa dei challengers e il processo di liberazione cognitiva. La struttura delle opportunità politiche (POS) riguarda la ristrutturazione delle relazioni di potere esistenti in seguito a cambiamenti strutturali che minano la stabilità dell’ordine politico e aumentano la possibilità di negoziazione dei challengers; permette di capire come il contesto influenzi lo sviluppo dell’azione collettiva –> l’apertura della POS comporta due meccanismi conseguenti: agevolazione della percepita possibilità di perseguire il cambiamento da parte dei challengers, aumento delle risorse per la negoziazione. Il concetto di POS è stato soggetto ad una critica riguardante la vaghezza delle sue dimensioni, in seguito alla quale McAdam ha identificato le 4 dimensioni della POS: •apertura o chiusura del sistema politico istituzionale; •rapporti interni alle élite (elementi di stabilità-instabilità); •presenza-assenza di alleanze delle élite con altri attori; •propensione alla repressione delle autorità politiche. (queste 4 dimensioni sono un tentativo di sintesi delle dimensioni individuate dai vari autori del modello del processo politico). La capacità organizzativa dei challengers è il secondo fattore per l’emersione dei movimenti sociali; anche per McAdam, come per Tilly, sono le organizzazioni a incrementare questa capacità; le organizzazioni forniscono ai MS 4 risorse: •possibilità di reclutare nuovi membri, trasformare simpatizzanti in membri attivi; •fornire incentivi simbolici quali forme di solidarietà per il superamento di problemi di azione congiunta come quello del free-rider; •costruzioni di reti di collaborazione organizzativa e inter-organizzativa con scambio di informazioni; •possibilità di fornire leader che coordinino l’azione. La liberazione cognitiva è il terzo elemento che facilita l’azione collettiva di protesta; è la percezione che le strutture sociali esistenti abbiano perso legittimità e che la partecipazione possa fare la differenza nel risultato; 3 passaggi: •percezione della progressiva perdita di legittimità dell’ordine politico-sociale; •superamento del fatalismo circa l’impossibilità del cambiamento (inizio delle rivendicazioni); •definitiva percezione di efficacia politica della partecipazione all’azione collettiva di protesta. L’elemento della liberazione cognitiva reintroduce nell’analisi il significato soggettivo che l’individuo da all’azione, che era stato estromesso dalla RMT. Sidney Tarrow: anche Tarrow ha una concezione dei MS come attori in contrapposizione con le élite (vedi def. MS di Tarrow Cap.1); anche per lui, inoltre, è l’apertura della POS a spiegare lo sviluppo dei movimenti sociali –> questa costituisce un insieme di segnali coerenti che incoraggiano i challengers ad intraprendere con le proprie risorse azioni collettive di protesta; gli attori prima disorganizzati, autonomi, dispersi, saranno incentivati al coordinamento dell’azione collettiva di protesta. Tarrow evidenzia 5 dimensioni della POS: •opportunità politiche istituzionali: la possibilità accresciuta di partecipare ai canali politici istituzionali favorisce per Tarrow lo sviluppo di MS; •processi che destabilizzano le élite, in particolare cambiamenti negli allineamenti tra le élite; •struttura di alleanze: presenza di alleati influenti può essere determinante per lo sviluppo dei MS; •presenza di divisioni tra le élite (es. PSI nel governo del 1963); •capacità di repressione da parte dell’autorità. Il ciclo di proteste, concetto formulato da Tarrow, indica la presenza di MS e di molteplici gruppi sociali attivi in azioni collettive di protesta che durano nel tempo, e che si diffondono su un vasto territorio; un ciclo di protesta coinvolge molti settori della società e mostra vari tipi di repertori di azione; ha un andamento parabolico e si compone delle seguenti fasi: 1. La fase iniziale: apertura delle opportunità politiche e conseguente mobilitazione delle risorse che incoraggiano le attività da parte di uno o più movimenti sociali; 2. Le proteste tendono a diffondersi e coinvolgere vari gruppi sociali; 3. L’andamento delle proteste mostra un picco in termini di numerosità di eventi, la protesta si estende a nuovi gruppi sociali grazie all’uso di tattiche innovative; 4. Periodo di riforme ma anche misure repressive, gruppi e azioni sottoposti a due processi: istituzionalizzazione e radicalizzazione; un terzo processo, non individuato da Tarrow, è quello della frammentazione dei gruppi. Tarrow analizza in particolare il ciclo delle proteste italiano da metà degli anni Sessanta a metà degli anni Settanta. Il ciclo di proteste italiano analizzato da Tarrow –> analisi del contesto politico italiano-internazionale nel periodo immediatamente precedente l’inizio delle proteste: Guerra Fredda (Chruscev - Kennedy) riflessa nella politica interna –> confronto DC (base sociale ceto medio, componente cattolica) - PCI (base sociale classe operaia –> condizione deprivata: operai comuni soprattutto emigrati dal Sud, basso livello educativo e paghe basse); in tale contesto –> 1963 primo governo di centro sinistra DC - PSI (apertura repentina della POS per gli operai, si pensi che nel 1960 al governo c’era l’MSI); inoltre, emergono altri cleavages sociali –> ridiscussione del ruolo della donna nella famiglia e nella società; Chiesa: papa Giovanni XXIII sostiene un clima di apertura verso le esperienze religiose eterodosse e locali come quella di Don Milani e quella di Don Mazzi; si diffonde quindi una cultura di protesta che facilita la costruzione di movimenti e alleanze tra i gruppi. I protagonisti del ciclo di proteste italiano: sono coinvolti numerosi settori della popolazione; le forme di azione più diffuse sono abbastanza convenzionali per quanto riguarda le proteste: scioperi, cortei, incontri pubblici; le azioni più dirompenti (occupazioni, interruzione del traffico, autoriduzione dei prezzi) e le azioni violente sono meno numerose. Il primo settore a mobilitarsi è la popolazione studentesca e soprattutto universitaria –> forte carica anti-autoritaria; sfida alle precedenti associazioni studentesche per il loro legame con i partiti politici; occupazioni a Pisa 1965, Trento 1966, Torino 1967; declino 1969; Della Porta individua tre fasi di sviluppo: 1. Assemblee studentesche: costruzione sentimenti di condivisione di identità e interessi, creazione di uno spirito “d’effervescenza collettiva”; rivendicazioni interne all’università; 2. 1967-1968 dimostrazioni pubbliche e cortei; ricerca riconoscimento dal pubblico esterno; rivendicazioni più ampie in merito alla trasmissione della conoscenza (approccio critico, anti-autoritarismo scientifico); 3. Anni dopo il ’68, incontro con il movimento operaio; azioni congiunte con gli operai es. picchettaggio; richieste marcate dal discorso di classe anti-capitalista. Quadro 6.2 pagina 117 per approfondimento mov. operaio. Conclusioni Tarrow –> piena maturità della democrazia italiana mostrata dalla presenza di un vasto repertorio di azioni di partecipazione democratica di molti gruppi sociali. 1971: inizia la fase di declino dei movimenti studentesco e operaio (movimento femminista attivo anche nei Settanta); la narrazione giornalistica-memorialistica è schiacciata sulla violenza politica, ma anche altri processi sono rilevanti: •anni ’70 caratterizzati dal passaggio di alcune riforme (anche) frutto della protesta degli anni precedenti (es. Statuto dei lavoratori, divorzio e aborto, legge Basaglia etc.) •osservazione di tre processi: - istituzionalizzazione dei gruppi e delle azioni, frammentazione di gruppi e delle azioni e radicalizzazione e uso della violenza da parte di alcuni attori. Per quanto riguarda l’istituzionalizzazione: gruppi organizzati, formali e stabili, azioni che tendono ad essere gestite direttamente da tali organizzazioni, struttura decisionale centralizzata, membership organizzata a liv. nazionale, azioni routinarie, negoziazione piuttosto che conflitto, obbiettivi moderati; es. gli operai iniziano a ricorrere ai tribunali per risolvere le dispute capitale-lavoro, anche per il passaggio dello Statuto dei lavoratori; anche i gruppi di sinistra extra- parlamentare operanti risultano piuttosto istituzionalizzati: organizzazione di conferenze e dibattiti, produzione di riviste. Per quanto riguarda la frammentazione: progressivo isolamento dei gruppi e azioni non collegate; gruppi tendenzialmente piccoli, informali, con struttura decentrata. Per quanto riguarda la radicalizzazione: uso della violenza da parte da alcuni gruppi, anche se rimangono azioni minoritarie; l’evidenza empirica suggerisce una soluzione di continuità tra questi gruppi e quelli delle azioni collettive fino al ’71: bassa posizione socio-economica, provenienti da gruppi marginalizzati, bassi livelli educativi, insomma lontani dal profilo degli studenti universitari; anche i principali gruppi della sinistra extra- parlamentare, seppur fosse diffusa la retorica della violenza, non erano effettivamente inclini alla sua pratica; in più, fino al 1973, il 95% di azioni politiche violente sono praticate da gruppi di estrema destra. Come spiegare la radicalizzazione della protesta? Vari studi sociologici –> analisi rispetto all’aumento della violenza generale (non politica); ambiente organizzativo competitivo; disponibilità ideologie radicali, per alcuni autori simil-religiose (Brigate Rosse); contrapposizione con il passato fascista. Gli studi che analizzano il contesto politico esterno lo fanno studiando i vari attori, istituzionali e non; 1973: compromesso storico tra il PCI e la DC (Berlinguer - Moro) –> spostamento del PCI verso il centro, poche aperture nei confronti della sinistra extra-parlamentare; l’introduzione di politiche d’austerità allontana i giovani, colpiti dalla crisi economica, dal PCI; le interazioni dei gruppi di sinistra extra-parlamentare avvengono con due attori rilevanti: i gruppi di estrema destra –> stragismo, a partire da Piazza Fontana nel ’69 (principale gruppo Ordine Nuovo); “strategia della tensione” –> ipotizzata collaborazione tra gli stragisti, i servizi segreti e le forze dell’ordine, che sono il secondo attore rilevante –> accresciuta attività di controllo, tecniche repressive (crescita delle denunce, processi, arresti, cariche) lungo il corso degli anni Settanta; varie disposizioni in materia di ordine pubblico facilitano l’attività delle forze dell’ordine; la repressione scoraggia la partecipazione a proteste pacifiche (della Porta). Le critiche al modello del processo politico sono esclusivamente concentrate sul concetto di POS: •specificazione poco chiara delle dimensioni; abbiamo visto che McAdam tenterà di riassumere le dimensioni individuate dai vari autori del modello del processo politico; •marginalizzazione delle altre due componenti (ruolo delle risorse, significati soggettivi); abbiamo visto in realtà che gli autori di cui abbiamo parlato ne trattano ampiamente –> questa critica è soprattutto riferita alle applicazioni successive del modello, che schiacciano le spiegazioni sulla POS. CAP 7. Frames, performances, emozioni: RMT, modello del processo politico –> analisi strutturale; primo, tendono ad ignorare dimensione soggettiva (analisi delle percezioni e dei significati) e secondo, marginalizzano la cultura intesa come insieme di simboli e pratiche che incorporano significati (Swidler –> queste due dimensioni sono ricondotte a una prospettiva weberiana e durkheimiana). RMT e modello del processo politico vogliono contrapporsi alle teorie del collasso sociale, per questo tendono ad ignorare la dimensione psicologiche dell’azione collettiva. Anni Ottanta –> svolta culturale in sociologia, nuovi interessi anche nella letteratura dei movimenti sociali –> tradizione weberiana: interesse per la percezione del significato dell’azione collettiva a livello individuale e collettivo –> approccio del framing; tradizione durkheimiana: interesse per la cultura come insieme di significati incorporati (embodied) in simboli, ovvero performances come eventi, rituali, testi. La prospettiva del framing: assunto –> il lavoro di costruzione di idee e visioni del mondo condivise che rende possibile la mobilitazione e l’azione è problematico, ed è stato ignorato. Frame: schema interpretativo che semplifica e condensa la realtà esterna, codificando in modo selettivo oggetti, situazioni, eventi, esperienze e sequenze di azioni di fatti presenti e passati ––> organizza l’esperienza, guida l’azione; approccio del framing: analisi di dinamiche a livello micro –> processo di attribuzione di significato. Questo processo integra le dimensioni evidenziate dalla RMT e dal POS. David Snow, uno dei primi autori ad utilizzare questo approccio, sottolinea l’importanza delle reti sociali e dei processi discorsivi –> interazione e comunicazione influenzano l’azione andando a sviluppare, diffondere, negoziare idee, significati condivisi –> processo di allineamento degli schemi interpretativi (frame alignment) –> azione collettiva unitaria guidata dai collective action frames: insieme dei significati, valori, norme orientati all’az. coll.; sono frutto di costruzione sociale, un continuo processo di negoziazione; sono generati dall’allineamento dei frames individuali o delle singole SMO che si compone di 4 processi: •unione dei frames: collegamento di due o più frames ideologicamente coerenti ma disconnessi; •amplificazione di un frame: capacità di accentuare idee e valori preesistenti, cioè far diventare salienti credenze e narrative che già esistono; •estensione di un frame verso attori esterni: inclusione nel frame di temi, problemi che si ritiene importanti per nuovi potenziali aderenti o utili per collaborazioni con altre SMO; •trasformazione del frame: necessaria quando si aderisce ad una causa non supportata da frame già presenti. Il processo di framing permette di arrivare a definizioni condivise rispetto ad alcune questioni cruciali per un MS; questo processo di compone di: •framing diagnostico (identificazione della causa, dei responsabili e delle vittime del problema; individuazione del “nemico”, politicizzazione delle frustrazioni); •framing prognostico (articolazione di una soluzione condivisa, determinazione delle strategie; è una delle dimensioni che differenzia maggiormente tra loro le SMO); •framing motivazionale (fornisce la motivazione per l’impegno collettivo; è un “perchè è importante intraprendere l’azione?”). Alcuni studi si sono focalizzati sugli svantaggi comportati dalla base strutturale composta da piccoli gruppi informali: -relazioni costruite tendono a durare meno (difficoltà nel perseguimento di obbiettivi a lungo termine); -problemi con l’efficienza (assenza di leader); -costante rischio di frammentazione; -difficoltà nella condivisione di obbiettivi ampi. Le pratiche culturali dei NMS sono in contrasto con le categorie culturali dominanti –> implicano un conflitto culturale; i conflitti per i NMS non hanno quindi origine politica e non sono orientati esclusivamente alle autorità politiche, tuttavia è bene notare come storicamente siano comunque le élite politiche gli attori identificati da movimenti come sostenitori delle categorie dominanti (attraverso le leggi e l’ordine). Il conflitto a scopo politico non è il fine principale dei NMS: essi non desiderano accesso o redistribuzione di risorse, ma il riconoscimento della propria identità al fine della trasformazione culturale –> tensione alla politicizzazione del privato, dello stile di vita, della qualità della vita, con pratiche che concernono il consumo, la vita familiare, la ricerca scientifica, la gestione del tempo e dello spazio (es. quadro 8.2 il consumo critico). CAP 9. Il conflitto capitale-lavoro: a partire dagli anni Settanta il cleavage politico-sociale capitale-lavoro si frammenta in una molteplicità di rivendicazioni concernenti lo stile e la qualità della vita, l’espressione individuale, l’autorealizzazione (cosiddetti valori post-materialistici della società post-industriale) –> il conflitto basato sulle appartenenza di classe perde centralità. In America, anche prima dei Settanta, poca attenzione alle appartenenze di classe (dominio funzionalità + attenzione al movimento per i diritti civili); in Europa la centralità del mov. operaio ha permesso invece lo sviluppo di una letteratura più articolata sul conflitto capitale-lavoro. Azione collettiva di protesta più importante nel mondo del lavoro: lo sciopero; importante strumento di azione economica e politica –> a difesa degli interessi dei lavoratori e in sfida delle élite decisionali. In Italia: numero di scioperi più elevato negli anni Sessanta e Settanta, poi declino ancora in corso. Gli studiosi tendono a associare la presenza di scioperi alla presenza della struttura organizzativa sindacale (in linea con l’approccio della RMT), che facilita la protesta per la sua capacità di mobilitazione e coordinazione delle risorse; in realtà, la relazione è complessa. I sindacati rappresentano gli interessi dei lavoratori in contrapposizione al capitale: da un lato organizzano attività conflittuali come gli scioperi, dall’altro intrattengono negoziazioni ad un livello più istituzionale con sindacati imprenditoriali e governo. Varie evidenze empiriche hanno dimostrato l’importanza del ruolo dei sindacati nello sviluppo degli scioperi (Baglioni e Crouch, Tilly e Shorter - FR 1830-1968, Pizzorno - ITA anni Sessanta –> i primi lavoratori a mobilitarsi sono quelli specializzati, più affiliati ai sindacati). Tuttavia, altri autori evidenziano altri aspetti del ruolo del sindacato: talvolta si osserva una separazione della leadership sindacale dalla basse dei lavoratori; questa leadership tende spesso a perseguire il mantenimento della propria posizione più che il raggiungimento degli obbiettivi dei lavoratori (es. Piven e Cloward- USA anni Trenta); i sindacati possono privilegiare processi istituzionali a basso livello di conflittualità per il distacco dalla base dei lavoratori e la vicinanza agli alti organi istituzionali –> questo avviene soprattutto a livello nazionale, meno a livello locale. Alcuni studiosi, inoltre, hanno messo in discussione l’organizzazione sindacale delle attività di sciopero, evidenziando invece lo spontaneismo delle proteste dei lavoratori, la loro capacità di costruire legami informali (solo in una seconda fase i sindacati inizierebbero a negoziare ad un livello istituzionale); questo argomento è stato verificato anche in contesti extra-europei: es. l’aumento di scioperi in Vietnam a cavallo dei due millenni sembra non accompagnato da una presenza organizzativa sindacale; in realtà, si nota che molte proteste si sono sviluppate in ambienti lavorativi fortemente sindacalizzati nella fase immediatamente precedente –> il sindacato quindi aveva creato un clima di efficacia politica dell’azione e aiutato a costruire legami organizzativi, oltre che fornire protezione ai lavoratori. Negli ultimi 30 anni –> politiche di liberalizzazione del mercato del lavoro –> flexibility, perdita di tutele, riduzione della spesa pubblica, delocalizzazione dei processi produttivi –> conseguenza sulla forza lavoro: frammentazione, dualizzazione tra lavoratori tipici ed atipici; crescente esclusione dei giovani, delle donne e dei lavoratori immigrati dal mercato del lavoro (emersione di nuove identità collegate ai fenomeni di precarizzazione basate sulla condivisione di tratti quali la razza, il genere, l’etnia …). Per quanto riguarda il processo di delocalizzazione –> alcuni autori hanno preso in considerazione il “sistema-mondo” e esaminato la dimensione geografica come elemento fondamentale per l’analisi dello sviluppo dei movimenti operai; Silver –> ri-localizzazione causa il semplice spostamento delle proteste; ogni ri-localizzazione della produzione crea nuovi gruppi di proletari militanti con coscienza di classe –> globalizzazione come premessa di un possibile internazionalismo; altri autori come Crouch sostengono invece l’impossibilità della creazione di una classe lavoratrice globale. Altro processo importante –> decentralizzazione della negoziazione dei patti sociali: dal livello nazionale alla singola fabbrica o azienda –> tendenza all’esclusione dei sindacati. Questi processi hanno importanti conseguenze descritte nei prossimi paragrafi: • trasformazioni nella forza lavoro –> declino della classe operaia e dualizzazione della forza lavoro tra tipici ed atipici, frammentazione della base strutturale necessaria per facilitare l’emergere delle azioni collettive –> assenza di stabilità nelle relazioni sul luogo di lavoro, mancanza di costruzione di solidarietà condivisa (“coscienza di classe”), di possibilità di allineamento dei frames (diversi segmenti di lavoratori identificano diversi problemi rilevanti); oggi il conflitto capitale-lavoro trascende il luogo di lavoro attraverso nuove modalità d’azione: petizioni, manifestazioni di piazza (alleanza con altri settori della società); altri studi mostrano il processo di individualizzazione del conflitto (soprattutto in USA): sabotaggio, mantenimento di bassi livelli di produttività … e di radicalizzazione: boss-napping, occupazioni, resistenza individuale … • i protagonisti delle proteste circa il mondo del lavoro vengono ad essere, quindi, più eterogenei –> temi ed obbiettivi più estesi, azioni collettive inserite in conflitti focalizzati su temi trasversali e trans-nazionali, master frames come l’esclusione sociale, l’austerità, la riduzione del welfare state … • ulteriore elemento innovativo –> attori organizzati su nuove identità collettive capaci di mobilitare gli individui, lavoratori e non, soppiantando il ruolo dei sindacati confederali (CGIL, CISL, UIL); a partire dagli anni Ottanta –> calo della partecipazione sindacale, indebolimento dell’influenza politica dei sindacati –> strategia dei sindacali confederali per rivitalizzarsi: istituzionalizzazione –> partecipazione ai tavoli negoziali (social partnership); il supporto istituzionale ha disincentivato l’organizzazione di azioni conflittuali e di iniziative locali, ha dato la possibilità ai sindacati di partecipare al disegno di varie riforme riguardanti il sistema pensionistico (legge Dini) e il mondo del lavoro negli anni ’90 al prezzo di una moderazione degli obbiettivi –> questa strategia ha reso i sindacati disattenti verso la possibilità di cooptare la nuova forza di lavoro atipico e verso la costruzione di alleanze sui temi del lavoro; nei decenni successivi i sindacati hanno progressivamente perso anche il potere di contrattazione con le controparti imprenditoriale e governativa –> nascita di sindacati autonomi quali CISAL, CUB, COBAS, CONFSAL, FSI, USB –> tra i più radicali: forma di partecipazione diretta e conseguente capacità di gestire le richieste dei lavoratori precari; frammentazione sindacale e tendenza al particolarismo. In GB e USA: risposta al declino sindacale –> non istituzionalizzazione ma attenzione verso le nuove forme di lavoro atipico + costruzione di alleanze su temi trasversali che toccano il mondo del lavoro –> Social Movement Unionism: molteplicità di reti e organizzazioni protagoniste di rivendicazioni ampie (sindacati, ONG, partiti politici, gruppi informali). CAP 10. Media digitali e azioni collettive: diffusione di nuovi mezzi di informazione, comunicazione e tecnologia (media digitali) –> conseguenze sull’azione collettiva di protesta; possibilità di rivisitare alcuni concetti all’interno della letteratura sui MS; negli ultimi due decenni –> varie azioni collettive sviluppate con l’ausilio dei media digitali, utilizzati in vari modi (Occupy Wall Street, Indignados, Primavere Arabe). Media digitali –> aumento della possibilità di mobilitazione delle risorse; hanno reso più veloce questo processo e hanno fornito strumenti di facile utilizzo –> numero sempre maggiore di studi. Il ruolo complementare delle reti online rispetto ai classici legami offline (organizzazioni, scambi di informazioni, contatti regolare) aumenta le opportunità per mobilitare risorse e far partecipare gli individui –> questa apertura si può leggere come una variabile legata alle dimensioni della struttura delle opportunità politiche (POS); infatti le reti online permettono alleanze politiche, attraverso maggiori contatti, e aumentano la possibilità di sfruttare divisioni tra le élite; internet può superare la censura in contesti di chiusura estrema della POS. Le possibilità partecipative aumentano grazie anche a: • abbassamento dei costi per reclutamento e organizzazione delle attività, con possibilità di connettere un numero di persone molto elevato; reclutamento più veloce, senza la necessità della presenza di un leader o imprenditore della protesta • abbassamento dei costi della partecipazione individuale –> le attività online sono meno costose in termini di tempo e fatica e possono essere coordinate attività attorno a temi specifici (i critici parlano del rischio di una partecipazione apparente) • possibilità di superare asimmetrie tra gli attori partecipanti; offline –> più possibilità di rafforzare il proprio frame a quegli attori con più riconoscimento sociale; online –> risorse necessarie minori. I più critici sostengono tuttavia la presenza del digital divide; inoltre, anche i contatti personali influenzano le possibilità dei singoli attori nelle comunità virtuali –> comunque più possibilità di far passare le proprie definizioni (si possono considerare le comunità online come reti policefale) • abbassamento dei costi legati alla comunicazione e al mantenimento della struttura organizzativa, sia per quanto riguarda infrastrutture (che possono essere trasferite online es. videoconferenza) sia per quanto riguarda ruoli specializzati (es. imprenditore della protesta, direttivo etc.) • facilitazione del consumo autonomo e frammentato delle notizie, accesso diretto alle informazioni e agli atti, possibilità di comunicazione diretta delle info –> possibilità di costruire narrative in modo più efficace; trasformazione del pubblico in moltitudine di autori di contenuti online; sfida ai mass media offline. Sono state riconosciute alcune specificità delle azioni che si sviluppano utilizzando i media digitali; in particolare, Bennet e Segerberg identificano una nuova forma partecipativa chiamata azione connettiva: logica diversa dalle azioni collettive sia nella sua dimensione organizzativa che simbolica; il contesto più ampio individuato è la frammentazione della struttura sociale e l’individualizzazione delle azioni –> i legami nello spazio online sono un luogo di questa frammentazione –> passaggio verso legami più fluidi, forme partecipative più personalizzate e meno dipendenti dalla mediazione delle organizzazioni, sia per quanto riguarda la costruzione dell’opinione politica e sociale che per quanto riguarda l’azione di protesta; gli individui personalizzano i contenuti dell’azione poiché possono produrre, distribuire, condividere, selezionando le informazioni e creando contenuti da zero e scegliendo la modalità attraverso le quali farlo (ovvero le piattaforme e il mezzo comunicativo, es. video su YT o post su FB). Mentre nell’ottica delle azioni collettive il lavoro di definizione dei contenuti delle azioni era svolta in gran parte dalle SMO in seguito ad una negoziazione tra questa, gli individui e i gruppi, la teoria dell’azione connettiva sostiene che grazie ai media digitali gli individui possono partecipare direttamente con un’azione dai contenuti personalizzati (possono scegliere a quali petizioni aderire, quali opinioni condividere, a quali meeting online partecipare, senza che a fronte ci sia un processo di definizione di obbiettivi/allineamento dei frames gestito dalle SMO). ––> le SMO perdono la loro centralità per l’azione di protesta; gli stessi processi comunicativi che avvengono online sono importanti forme di organizzazione; addirittura le organizzazioni possono essere il problema contro cui gli individui si mobilitano. Altri studiosi hanno criticato la teoria dell’azione connettiva; ad es. si è mostrato che anche nelle reti online ci sono attori, gruppi o individui, con una superiore capacità organizzativa e di coordinazione –> il coinvolgimento direttamente personale è sì presente, ma ciò non significa che non si sviluppino forme di leadership; solamente i nodi più influenti riescono a coordinare molti gruppi disconnessi; inoltre, le SMO non perdono di importanza totalmente, ma si comportano in due modi: funzionano come “connettori” tra vari gruppi e individui che si mobilitano più spontaneamente; “ibridano” i propri repertori, fornendo spazi per il confronto e rendendo meno stringenti i loro criteri di membership. Anche se l’azione connettiva tende ad essere definita “spontanea”, richiamando al concetto di folla, le “folle” di internet non presentano le caratteristiche dei comportamenti collettivi; esse sono comunque in grado di gestire i processi associati alle SMO, quindi la negoziazione di idee e frames, definendone di centrali, e di stabilire norme partecipative; la “folla” online è quindi si un fenomeno più spontaneo delle azioni organizzate dalle SMO, ma non è un comportamento collettivo. lineare positiva (processo di backlash: l’aumento della repressione favorisce le azioni collettive di protesta; avviene solo negli Stati repressivi ma con capacità militare limitata); •relazione lineare negativa (all’aumento della repressione le proteste tendono a diminuire); •relazione curvilineare a U; •relazione curvilineare a U rovesciata; queste ultime due ipotesi sono più articolate poiché introducono la presenza di altri fattori variabili che intervengono a modificare la relazione repressione-protesta (vedi sotto). Nei contesti repressivi –> free space per i challengers –> molto limitato (controllo del governo sugli organi politici o potenzialmente indipendenti; + misure repressive come arresti, divieti, censure) –> effetti sul repertorio delle azioni dei challengers: gli studiosi ne hanno individuati tre –> •radicalizzazione; •moderazione; •trans-nazionalizzazione; la radicalizzazione rimanda agli argomenti di Della Porta circa l’Italia degli anni ’70: diminuzione della protesta di massa pacifica, aumento dei gruppi clandestini violenti; Tarrow ha parlato delle dinamiche di trans-nazionalizzazione: spesso riguarda organizzazioni che agiscono nell’ambito dei diritti umani e del diritto internazionale (supportate magari da istituti internazionali, come succede per le ONG) –> alcuni studi hanno messo in evidenza come queste organizzazioni debbano collaborare con le autorità per poter agire sul territorio di Stati repressivi, di conseguenza rinunciano alla protesta anti-governativa; un’altro effetto è la moderazione del repertorio: pratiche di resistenza che non fanno sentire minacciate le autorità, es. espressioni come canti o danze, non immediatamente politiche ma che sviluppano un senso di appartenenza e affermano le identità –> temi apolitici molto importanti per lo sviluppo delle Primavere Arabe (partecipazione a gruppi letterari, di canto, di preghiera …). Questi meccanismi possono sovrapporsi. Secondo alcuni autori la relazione tra repressione e protesta è moderata da diversi fattori (vedi sotto) –> relazione complessa; una condizione importante è quella riguardo alla possibilità di gruppi e organizzazioni di mobilitare le risorse necessarie: nei contesti repressivi non è sempre realizzabile –> in questi contesti le caratteristiche organizzative sono diverse; le misure repressive hanno conseguenze sulla diffusione, sulla numerosità, sulla qualità e sulle forme d’azione –> la struttura organizzativa deve quindi essere in grado di adattarsi a questa limitazione nella mobilitazione delle risorse; per questo i gruppi sociali che operano in contesti repressivi hanno alcune peculiarità: –> molti gruppi e organizzazioni, nei contesti repressivi, sono cooptati dal governo; questo è vero soprattutto per le organizzazioni politiche come i sindacati (in Egitto gli scioperi già a partire dal 2006 sono resi possibili da reti informali tra lavoratori, il sindacato è controllato dal governo; lo stesso è vero in Tunisia dove la leadership nazionale del sindacato non supporta le proteste). Le attività delle SMO in contesti non democratici deve essere moderata per non essere percepita come minacciosa da parte delle autorità (es. Kifaya in Egitto 2004-2005, un’organizzazione di avvocati che con la limitazione del numero dei partecipanti ai suoi cortei riesce a manifestare in merito a questioni legate al regime di Mubarak). A differenza delle organizzazioni politiche, le organizzazioni a-politiche che si occupano di fornire servizi di welfare (es. scuole, beneficienza, org. sociali islamiche) e altre associazioni come quelle sportive, club letterari … possono essere uno “spazio libero” per l’attivismo perchè non rappresentano una minaccia per le autorità statali; talvolta possono mobilitare le risorse per la protesta –> es. Islam religioso, ruolo chiave per le Primavere Arabe: capacità di coordinare reti sociali periferiche e istituzioni non in competizione con il potere centrale; identificazione morale con gli obblighi religiosi (framing); modalità di reclutamento basata su rapporti e solidarietà pre-esistenti (fiducia); impossibilità del governo di vietare o controllare le attività nelle Moschee. Occupazione piazza Tahir al Cairo 2011 –> presenza di molti gruppi a- politici, in particolare di ultrà calcistici. Pur non essendo di natura politica, all’interno di queste organizzazioni avvengono processi di socializzazione politica; essendo organizzazioni attive, inoltre, esse permettono la mobilitazione di risorse quali leadership, capacità di coordinamento, esperienza nella gestione, condivisione di informazioni … ; possono anche fornire un “kit culturale” di significati e simboli utilizzabili come frames della protesta –> coscienza politica, identità. Strutture intermedie più adatte ai contesti repressivi –> piccoli gruppi informali: poca visibilità; luoghi di incontro al limite tra il pubblico e il privato; possibilità di fornire flessibilità, adattamento, immediatezza; militanza anonima e di breve durata (abbassamento costi di partecipazione). Le solidarietà permettono la costruzione di identità, mentre le reti latenti la messa in pratica di pratiche di resistenza politica; in condizioni di rischio estremo, la partecipazione a questi gruppi è più facile visti i legami di fiducia preesistenti. Questi gruppi sono attivi a livello locale, con un alto grado di frammentazione generale. L’evidenza empirica dimostra quanto questi gruppi siano stati importanti per lo sviluppo delle proteste in Nord Africa e Medio Oriente (da ricordare il ruolo dei sindacati ufficiali sopraindicato). Es. Clark –> nadwas: gruppi di studio femminili del Corano in spazi privati –> contatto regolare, processi di micro-mobilitazione collegati alle dinamiche di framing, sviluppo di solidarietà. NB: questa struttura è la stessa individuata da Melucci nello studio dei NMS (reti latenti); i rischi comportati sono gli stessi: poca stabilità nel tempo (no obbiettivi a lungo termine); solidarietà forti a livello locale (pochi membri e focalizzazione su questioni locali) ma frammentate a livello generale/nazionale –> difficoltà a condividere temi ampi.
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