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Riassunti procedura civile, Prove d'esame di Diritto Processuale Civile

Risposte per le domande sui principi generali di diritto processuale civile - università di Verona

Tipologia: Prove d'esame

2015/2016

Caricato il 21/01/2016

paolamontolli
paolamontolli 🇮🇹

2 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunti procedura civile e più Prove d'esame in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! 1 - TUTELA DI MERO ACCERTAMENTO La tutela di mero accertamento è una delle tre tipologie di tutela dichiarativa, insieme a quella di condanna e quella costitutiva. La funzione della tutela dichiarativa (detta anche tutela giurisdizionale di cognizione) è quella di individuare i comportamenti leciti e doverosi che i soggetti potranno e dovranno tenere in relazione ad una situazione soggettiva protetta. Se un soggetto lamenta la lesione di una propria situazione soggettiva, è quindi compito del giudice, attraverso l’attività cognitiva, accertare l’esistenza di tale situazione e la lesione subita a causa dell’illecito, infine individuare gli effetti necessari per eliminare la lesione stessa. * In particolare, nel caso della tutela di mero accertamento, il provvedimento finale stabilirà solo i comportamenti che le parti dovranno tenere in relazione alla situazione sostanziale; in tal senso, l’accertamento normativo effettuato guarda al futuro, mentre l’accertamento di quanto in essere è meramente strumentale. Il diritto leso non è accertato in sé, ma in riferimento alla lesione subita per poterne rimuovere le conseguente negative. 2 – TUTELA DI CONDANNA Vd sopra + In particolare si giunge ad un provvedimento di condanna quando il diritto è insoddisfatto perché l’obbligato non ha tenuto il comportamento dovuto: l’esistenza dell’obbligo è attuale. Come nella tutela di mero accertamento, vengono prescritti i comportamenti doverosi per le parti ed inoltre si permette di esperire una tutela esecutiva. Possono esserci diverse forme di condanna tra cui: la condanna condizionale, eseguibile al solo verificarsi di alcune condizioni; la condanna generica, il cui oggetto è limitato all’accertamento della sussistenza del diritto, ma si riserva al futuro la quantificazione della prestazione dovuta; condanna in futuro, possibile solo nei casi previsti dalla legge, che permette di agire prima che la lesione avvenga e che diventerà eseguibile quando la prestazione sarà esigibile; condanna con riserva, nei soli casi previsti dalla legge, che prevede, quando il diritto azionato è facilmente accertabile mentre le difese sono di lunga indagine, la riserva di accertare le eccezioni successivamente alla condanna. 3 – TUTELA COSTITUTIVA Vd sopra + In particolare, è necessaria la tutela costitutiva nei casi in cui il titolare può esercitare il proprio diritto potestativo solo in via giudiziale. Il provvedimento in questo caso serve a modificare la situazione sostanziale, costituendo, modificando o estinguendo una situazione giuridica. Il giudice quindi, accertata le sussistenza dei presupposti per far valere il diritto potestativo, e determina i nuovi comportamenti leciti e doverosi conseguenti alla mutata situazione sostanziale. In questo caso quindi le regole di comportamento non sono date dalla situazione esistente prima del processo (come nella tutela di mero accertamento), ma dalla nuova situazione che viene a costituirsi. 4 – DURATA RAGIONEVOLE DEL PROCESSO La ragionevole durata del processo, riconducibile al più ampio principio di economia processuale, è in primo luogo garantita dal secondo comma dell’articolo 2 della Costituzione, introdotto ad opera della legge costituzionale n°2 del 1999. Il principio era comunque già presente all’art 6 della CEDU, ratificata in Italia ai sensi della legge n°848 del 1955, ma era spesso disatteso; a poco è servita anche l’introduzione in Costituzione. È quindi intervenuta anche la legge n°89 del 2001 (cd. Legge Pinto), la quale prevede un risarcimento per il danno subito dall’eccessiva durata del processo, equivalente a quello che si otterrebbe proponendo ricorso presso la Corte EDU. I termini ragionevoli sono fissati di 3 anni per il primo grado, 2 anni per il secondo grado ed 1 per il giudizio in Cassazione. 5 – DIRITTO DI DIFESA E CONTRADDITTORIO Il secondo comma dell’articolo 24 della Costituzione sancisce che la difesa è un diritto inviolabile, in ogni stato e grado del processo; infatti costituisce una garanzia fondamentale del giusto processo (art 111 Cost.), il quale deve mettere le parti nella condizione di replicare l’una ai mezzi di attacco e di difesa dell’altra. Sotto questo aspetto quindi viene in evidenza il principio del contraddittorio, sancito dal secondo comma dell’articolo 111 della Costituzione e dall’articolo 101 del cpc. Il principio del contraddittorio infatti si esplica sia tra le parti che nei confronti dell’attività del giudice. Nel primo caso, al potere di una parte di compiere atti deve corrispondere il potere simmetrico dell’altra di replicare. Sotto il secondo aspetto, il giudice non può statuire su una domanda se la parte contro la quale è stata proposta non è stata regolarmente citata e non è comparsa (salvo diversa disposizione di legge), e deve sottoporre alla discussione delle parti qualsiasi questione rilevata d’ufficio. Nei procedimenti a tutela dichiarativa, il contraddittorio è a bilateralità perfetta, in quanto l’incertezza riguarda esistenza e modo d’essere della situazione dedotta; nel processo esecutivo invece, il diritto da tutelare è presupposto: il contraddittorio è eventuale riguarda l’an dell’esecuzione, ma rimane pieno in relazione alle misure esecutive. Per finire, nei processi a cognizione piena (processo ordinario e, ad esempio, rito del lavoro), l’attuazione di tali principi non trova ostacolo; per quanto riguarda i processi sommari, il diritto di difesa può risultare compresso, ma la parte ha comunque la possibilità di chiedere un processo a cognizione piena, esercitando così il proprio diritto di difesa. 6 – PETITUM Il petitum, insieme alla causa petendi, fa parte degli elementi oggettivi della domanda giudiziale. Individua l’oggetto della domanda, la tutela richiesta in relazione alla lesione che si dice aver subito. Si scompone in petitum immediato, cioè il provvedimento di cui si chiede emanazione al giudice, e petitum mediato, cioè la situazione sostanziale dedotta, il bene vita oggetto del processo. Il petitum nella sua interezza è elemento necessario dell’atto introduttivo del processo. 7 – CAUSA PETENDI La causa petendi, insieme al petitum, fa parte degli elementi oggettivi della domanda giudiziale. È il titolo su cui si fonda la domanda, la fattispecie costitutiva del diritto dedotto in giudizio e consiste nell’allegazione da parte dell’attore dei fatti costituenti il diritto stesso. La causa petendi è quindi necessaria quando il diritto dedotto è eteroindividuato, mentre non lo è quando il diritto è autoindividuato, dal momento che per indentificarlo bastano titolare, bene oggetto e tipo di utilità garantito 8 – DIRITTI AUTOINDIVIDUATI I diritti autoindividuati si identificano sulla base del loro titolare, del bene che ne costituisce l’oggetto e il tipo di utilità garantito dall’ordinamento. Non è necessario stabilire la loro fattispecie costitutiva, ne importa solo l’attuale esistenza: il diritto rimane lo stesso, indipendentemente da come è sorto, e rimane unico anche al moltiplicarsi dei titoli di acquisto (come detto nel Digesto “res amplius quam semel mea esse non potest”). Fanno parte di questa categoria i diritti assoluti (reali, ad esempio la proprietà, e non, come i diritti della personalità) ed i diritti che hanno ad oggetto un bene determinato (diritti personali di godimento). 9 – DIRITTI ETEROINDIVIDUATI I diritti eteroindividuati vengono identificati dal loro oggetto e dalla loro fattispecie costitutiva; il moltiplicarsi dei titoli d’acquisto quindi moltiplica i diritti. Fanno quindi parte di questa categoria i diritti di credito aventi ad oggetto una prestazione ripetibile. Tuttavia, non tutte le modificazioni di elementi di fatto comportano il mutamento del diritto: rimane il medesimo se il fatto storico è comunque sussumibile nello stesso elemento della fattispecie costitutiva e quando, pur comportando la modificazione della fattispecie, i sentenza in cui dichiara il proprio difetto di giurisdizione, deve anche indicare il giudice a suo avviso fornito della giurisdizione per quella controversia. Così può avvenire la translatio iudicii: le parti possono, entro tre mesi dal passaggio in giudicato della sentenza di rito riguardante la giurisdizione, riproporre la domanda al giudice indicato nella sentenza stessa; in questo modo gli effetti processuali e sostanziali sono fatti salvi, come se la domanda fosse stata da subito proposta al giudice indicato come fornito di giurisdizione. Le parti sono quindi vincolate nella scelta del giudice indicato, il quale può invece rilevare la propria mancanza di giurisdizione, a meno che la sentenza in cui era indicato non provenisse dalle sezioni unite della Corte di Cassazione; in ogni caso, non può semplicemente rilevare il proprio difetto di giurisdizione, ma deve rimettere la questione con ordinanza alla sezioni unite. Se le parti non rispettano il termine dei tre mesi, il giudice adito dichiara estinto il precedente processo; il trascorrere dei tre mesi però non impedisce alle parti di proporre una nuova domanda, che darà vita a propri effetti processuali e sostanziali e permetterà l’instaurarsi di un nuovo processo. 17 – REGOLAMENTO DI GIURISDIZIONE Per decidere una questione di giurisdizione le parti, finché la causa non è decisa nel merito in primo grado, possono ricorrere (ex art. 41, I cpc) al regolamento di giurisdizione: il potere di decidere sulla questione è sottratto al giudice adito e rimesso alla Corte di Cassazione. In questo modo le parti possono avere subito una decisione definitiva sulla giurisdizione, con una pronuncia vincolante per tutti i giudici. È quindi legittimato anche l’attore, perché anch’egli ha interesse che la questione sia decisa subito e in modo definitivo. La proposizione del regolamento di giurisdizione provoca una sospensione discrezionale: il giudice sospende il processo di merito, a meno che non valuti il regolamento manifestamente infondato o inammissibile. Se il processo di merito continua arrivando ad una sentenza, può presentarsi un problema nel caso in cui la Cassazione arrivi a decidere negativamente sulla giurisdizione. La sentenza di merito presuppone che il giudice adito abbia giurisdizione e risulta quindi condizionAta: se la Cassazione nega la giurisdizione, la sentenza di merito perde un suo presupposto necessario e quindi deve necessariamente cadere. Se c’è già stata una sentenza di primo grado, le parti potranno ricorrere ai normali mezzi di impugnazione. Qui sta la differenza: il regolamento è un mezzo preventivo, in quanto previene la decisione del giudice ordinario sul punto, mentre i mezzi di impugnazione vengono dopo, mirando a modificare una pronuncia già emessa. Il regolamento può essere proposto ex art 41, II cpc anche dalla pubblica amministrazione, benché non sia parte in causa, quando ritenga che il giudice manchi di giurisdizione per i poteri che la legge attribuisce alla p.a. stessa, rivendicando quindi l’esercizio di propri poteri. 18 - FORI FACOLTATIVI NELLE OBBLIGAZIONI Per quanto riguarda la competenza per territorio, gli articoli 18 e 19 cpc stabiliscono il foro generale, che si applica cioè a tutte le controversie, a meno che non ci siano diverse previsioni di legge. A questo foro può aggiungersi il foro facoltativo, previsto dall’articolo 20 cpc: a differenza del foro esclusivo che è appunto inderogabile, quello facoltativo offre la possibilità all’attore di scegliere tra fori concorrenti. Quando le cause sono relative a diritti di obbligazione, è competente anche il giudice del luogo in cui è sorta o deve essere eseguita l’obbligazione dedotta. Se l’obbligazione è contrattuale, sorge nel luogo in cui si è perfezionato il contratto; se è extracontrattuale, nel luogo in cui si verifica l’ultimo elemento di fatto che produce il sorgere dell’obbligazione. Per quanto riguarda invece il luogo dell’adempimento, si deve fare riferimento all’articolo 1182 cc. L’obbligazione di consegnare una cosa certa e determinata deve essere adempiuta nel luogo in cui si trovava quando l’obbligazione è sorta. Le obbligazioni aventi ad oggetto una somma di denaro devono essere adempiute al domicilio del creditore solo se la somma è liquida. In tutti gli altri casi (compresa perciò un obbligazione di pagare una somma di denaro non liquida), l’obbligazione deve essere adempiuta al domicilio del debitore: in quest’ultima ipotesi quindi il forum destinatae solutionis coincide con il foro generale. 19 – RILEVAZIONE DELLE QUESTIONI DI COMPETENZA L’art 38 cpc disciplina la rilevazione della questione di competenza. Nel caso in cui l’incompetenza sia per territorio derogabile per accordo delle parti, è rilevabile solo su eccezione di parte nella comparsa di risposta tempestivamente depositata. Nel caso in cui l’incompetenza sia per materia, valore o territorio inderogabile ex art 28 cpc, è rilevabile anche d’ufficio ma non oltre la prima udienza di trattazione.; il giudice può rilevare d’ufficio anche l’incompetenza territoriale derogabile qualora la deroga sia contenuta in una clausola in un accordo business to consumer. Quando il convenuto eccepisce l’incompetenza del giudice adito, deve necessariamente indicare il giudice a suo avviso competente, altrimenti l’eccezione è come non proposta. In questo modo si dà vita ad un accordo tra le parti endoprocessuale: se le parti accettano tale indicazione, il giudice chiude il processo e la competenza del giudice indicato rimane ferma se la causa è riassunta entro tre mesi. Se invece le parti non raggiungono l’accordo o l’incompetenza riguarda valore e materia, è il giudice a dover decidere sulla questione. Se sono rilevanti fatti extraprocessuali, che quindi non si affermano negli atti processuali, il giudice dovrà accertarli; per la sola competenza tra i presupposti processuali, non sono necessari i normali mezzi di istruzione probatoria, al giudice basta assumere sommarie informazioni. Se nel provvedimento il giudice nega la propria competenza, questo avrà forma di ordinanza. Se invece il giudice si dichiara competente, la pronuncia può essere solo di rito ma anche mista e riguardare anche il merito; in questo caso il provvedimento sarà in forma di sentenza. 20 – REGOLAMENTO NECESSARIO DI COMPETENZA A differenza del regolamento di giurisdizione che è uno strumento preventivo, il regolamento di competenza è un mezzo di impugnazione. Al contrario degli altri mezzi di impugnazione però, i presupposti per esperirlo non attengono alla fase del processo in cui il provvedimento discusso è stato emesso, ma al contenuto del provvedimento stesso: è utilizzabile contro tutti i provvedimenti che decidano della competenza (sia dal punto di vista statico che dinamico), escluse le decisioni del giudice di pace, indipendentemente dal grado di giudizio. * Se il provvedimento ha deciso anche questioni di merito, il regolamento di competenza è facoltativo, se invece ha deciso solo della competenza, è necessario. Infatti in quest’ultimo caso, il regolamento di competenza è ex art 42 cpc l’unico mezzo di impugnazione disponibile per le parti. * Il regolamento deve essere proposto entra 30 giorni dalla comunicazione dell’ordinanza (sentenza) che ha deciso sulla competenza (o dalla notificazione dell’impugnazione ordinaria). La Cassazione decide con ordinanza e la pronuncia è vincolante per tutti i giudici dell’ordinamento. Se la Cassazione nega la competenza del giudice adito, il processo cade e deve ricominciare ex novo oppure essere trasferito davanti al giudice indicato. 21 – REGOLAMENTO FACOLTATIVO DI COMPETENZA Vd sopra + Se il provvedimento ha deciso solo sulla competenza, il regolamento di competenza è necessario, perché è l’unico mezzo di impugnazione esperibile. L’art 43 cpc si occupa invece del caso in cui il provvedimento ha deciso sia sulla competenza che nel merito: in questo caso il regolamento è facoltativo, nel senso che la parte soccombente può decidere tra quello e gli altri mezzi di impugnazione. Se si decide di utilizzare un altro mezzo di impugnazione però, si deve impugnare anche il merito, non la sola questione di competenza. Dal momento che i rimedi possono coesistere, sono necessarie delle regole di coordinamento. Se si propone prima il regolamento di competenza, i termini per proporre l’impugnazione ordinaria sono sospesi fino all’ordinanza sulla competenza. Se la competenza è confermata, i termini per l’impugnazione tornano a decorrere, altrimenti è la pronuncia di merito stessa a cadere perché il procedimento mancava di un suo presupposto necessario e il processo può quindi essere riassunto. Può succedere anche che il regolamento di competenza sia esperito dopo l’impugnazione ordinaria: la parte vittoriosa infatti, pur riscontrando un difetto di competenza, non ha interesse ad impugnare la questione di competenza perché la sentenza gli dà ragione nel merito. Qualora la parte soccombente però utilizzi un mezzo di impugnazione ordinaria, la parte vittoriosa può esperire il regolamento di competenza. Questo gli conviene solo nel caso in cui sia debole nel merito: se si difende solo nel merito, sulla questione di competenza si forma il giudicato, rendendo impossibile sollevarla in futuro nel caso in sede di impugnazione rimanga soccombente nel merito. Se invece è forte nel merito, non avrebbe senso utilizzare il regolamento di competenza, perché nel caso la questione fosse accolta, andrebbe a travolgere anche il merito. Quando viene esperito il regolamento di competenza, il processo relativo all’impugnazione ordinaria è sospeso, e continuerà nel caso in cui la competenza sia confermata; altrimenti la prima sentenza è travolta e quindi non esisterà più nemmeno un processo relativo all’impugnazione. Visti in alcuni casi i punti in comune tra regolamento facoltativo di competenza e mezzi ordinari di impugnazione, è possibile una conversione tra i due atti, sempre che l’atto errato abbia tutti i requisiti dell’atto giusto. + vedi sopra 22- TRANSLATIO IUDICII A SEGUITO DI DECLINATORIA DI COMPETENZA Quando viene riscontrata l’incompetenza del giudice adito (sia dal giudice stesso in seguito a rilevazione della questione di competenza, sia dalla Cassazione in seguito a regolamento di competenza), l’art 50 cpc stabilisce che la causa può essere riassunta davanti al giudice dichiarato competente. Questo permette che siano fatti salvi gli effetti della domanda, come se fosse stata proposta fin dall’inizio davanti al giudice competente; gli atti di trattazione compiuti davanti al giudice incompetente, a meno che tutte le parti siano d’accordo, non sono invece utilizzabili (ma sul punto in dottrina e giurisprudenza si trovano opinioni discordanti). Il giudice dichiarato competente è vincolato da tale indicazione, tranne nel caso in cui l’incompetenza rilevata sia per materia o territorio inderogabile. In questo caso il giudice può rilevare la questione, ma non può pronunciarsi sulla propria incompetenza: deve richiedere un regolamento di competenza d’ufficio e rimettere la questione alla Corte di Cassazione, che così emetterà una decisione definitiva. Perché il processo possa continuare la riassunzione deve avvenire entro i termini indicati nel provvedimento che ha deciso dell’incompetenza oppure, in mancanza di tale previsione esplicita, entro tre mesi. Se il termine non è rispettato, la causa è estinta: tutti gli atti compiuti (tranne l’eventuale ordinanza della Cassazione) perdono effetto; ovviamente, può essere proposta una domanda ex novo. 23 – LIMITI OGGETTIVI DEL GIUDICATO La sentenza passata in giudicato incontra dei limiti oggettivi, soggettivi e temporali. I limiti oggettivi riguardano quanto statuito dalla sentenza. L’oggetto di questa prima sentenza passata in giudicato può ipoteticamente essere in relazione con l’oggetto di una domanda successiva: si deve stabilire se ed in quali termini la prima sentenza produca effetti e quindi condizioni la decisione della seconda controversia. La prima relazione ipotizzabile è l’identità: l’oggetto della seconda domanda e quindi del secondo processo è lo stesso della prima sentenza. Per riscontrare l’identità di oggetto è necessario guardare a causa petendi e petitum: devono coincidere sia la situazione sostanziale dedotta, sia la lesione lamentata, sia la tutela richiesta. In questo caso vige il principio del ne bis in idem: il giudice non può decidere nel merito una domanda che è già stata decisa. Un altro possibile rapporto tra due situazioni sostanziali è quello di pregiudizialità dipendenza. L’ordinamento collega ad una fattispecie un determinato effetto giuridico. La fattispecie può essere costituita da meri fatti storici, ma anche dall’esistenza o meno di altri effetti giuridici, discendenti da un’altra fattispecie. In questo caso la prima fattispecie è dipendente dalla seconda, la quale è quindi pregiudiziale alla prima. Se una sentenza passata in giudicato ha come oggetto la situazione pregiudiziale rispetto alla situazione oggetto del secondo processo, la prima sentenza è vincolante. Se invece la sentenza passata in giudicato ha ad oggetto la situazione dipendente, quanto affermato dal giudice in quella sede forma giudicato anche per la questione pregiudiziale (ora oggetto di un secondo processo) solo se così è previsto dalla legge oppure vi è stata esplicita domanda delle parti; altrimenti costituisce una mera cognizione incidenter tantum. Quindi, le sentenze sul diritto pregiudiziale si espandono verso il diritto dipendente; le sentenze sul diritto dipendente non si espandono verso il diritto pregiudiziale, sul quale si forma il giudica solo per esplicita domanda, configurandosi un cumulo di domande nel processo. 24 – GIUDICATO FORMALE L’art 324 cpc dà la definizione di cosa giudicata formale: è passata in giudicato quella sentenza che non è più soggetta ai mezzi ordinari di impugnazione, cioè quei mezzi di impugnazione spendibili contro i vizi palesi fatti. Altro problema riguardante lo ius supervenies è l’effetto su una sentenza già passata in giudicato. Se la norma non è retroattiva, non può avere effetti su una cosa giudicata. Il conflitto c’è nei casi di norma retroattiva. La sentenza fa stato solo fino al momento della sua emanazione: se l’interesse giuridico disciplinato è istantaneo, la nuova norma resta irrilevante. Se invece l’interesse è permanente, la nuova norma retroattiva trova applicazione dall’emanazione della sentenza in poi. 30 – LITISPENDENZA Si ha litispendenza in senso stretto quando due cause aventi lo stesso oggetto sono proposte davanti a due giudici diversi, intesi come diversi uffici giudiziari. I due processi devono avere quindi gli stessi soggetti (in senso sostanziale), la stessa causa petendi e lo stesso petitum; se uno solo di questi elementi non è comune, non si ha litispendenza ma un altro tipo di connessione. Per impedire un eventuale contrasto tra le due sentenze ed evitare attività processuali inutili, non possono continuare entrambi i procedimenti. L’art 39 cpc prevede che il giudice adito per secondo dichiari con ordinanza la litispendenza, chiudendo in rito il processo e facendo continuare solo quello davanti al giudice adito per primo. Per determinare la prevenzione si fa riferimento al momento del perfezionamento notificazione della citazione. 31 – CONTINENZA Si ha continenza tra cause proposte davanti ad uffici giudiziari diversi quando: l’oggetto di un processo rappresenta un quid minus - in relazione al tipo di tutela richiesta o ai diritti dedotti in giudizio – (ad es. accertamento del possesso), rispetto all’oggetto dell’altro (ad es. rivendicazione); l’oggetto di un processo è contenuto nell’altro; nei due processi sono dedotti diritti che sono l’effetto dello stesso rapporto giuridico. Per impedire un eventuale contrasto tra le due sentenze ed evitare attività processuali inutili, non possono continuare entrambi i procedimenti. L’art. 39, II cpc prevede due ipotesi. Nella prima, se il giudice preventivamente adito è competente anche per la seconda causa, il secondo giudice dichiara la continenza. Se invece il primo giudice non è competente per la seconda causa, sarà questi a dichiarare la continenza e il secondo giudice prosegue. In definitiva prosegue il processo iniziato per primo, a condizione che il giudice sia competente anche per l’altro processo; altrimenti, prosegue il giudice adito per secondo. Per determinare la prevenzione si fa riferimento al momento del perfezionamento notificazione della citazione. Nell’ordinanza in cui dichiara la continenza, il giudice assegna anche il termine per trasferire la causa; in questo modo continua un solo processo contenente gli oggetti di entrambe le precedenti domande. 32 – CONNESSIONE Si ha connessione quando le cause proposte davanti a diversi uffici giudiziari hanno degli elementi in comune; a differenza di litispedenza e continenza, è una possibilità offerta alle parti, non un obbligo. La ratio della norma è formare quel simultaneus processus che poteva formarsi fin dall’inizio a norma degli artt. 31-36 cpc, per perseguire il coordinamento delle decisioni e l’economia processuale. A norma dell’art. 40 cpc, la connessione può essere eccepita dalle parti o rilevata d’ufficio entro la prima udienza della causa proposta successivamente; in ogni caso, la riunione delle cause non può avvenire se la trattazione della prima è già in uno stato d’istruttoria avanzato tale da impedire l’esaustiva trattazione anche della seconda. Le cause possono così essere riunite, fissando un termine per la riassunzione della causa accessoria davanti al giudice della causa principale, oppure negli altri casi della seconda causa davanti al giudice della prima. La riunione può avvenire anche in deroga alle regola di competenza ordinaria. La questione si complica quando il cumulo avviene tra cause soggette a riti processuali diversi. Se una causa è soggetta al rito ordinario e l’altra ad un rito speciale, va preferito il primo a meno che il rito speciale non sia una causa di lavoro o previdenziale, nel qual caso si prosegue con il rito del lavoro. Se entrambe le cause sono di diritto speciale, se presente prevale il rito del lavoro; altrimenti si utilizza il rito della principale se l’altra è accessoria oppure il rito di quella di maggior valore. L’art. 40 si occupa solo di competenza territoriale, ma si deve presumere che se una delle due cause connesse è di competenza del giudice di pace, può essere attratta davanti al tribunale. 33 – LEGITTIMAZIONE PROCESSUALE La legittimazione o capacità processuale è uno dei presupposti processuali: se la parte ne è sprovvista, non si può giungere alla decisione nel merito. Disciplinata dall’art. 75 cpc, è la capacità di compiere gli atti processuali e corrisponde sul piano sostanziale con la capacità d’agire ex art 2 cc. Ha quindi capacità processuale chiunque possa disporre sul piano sostanziale in relazione al diritto controverso. Di norma la parte in senso formale, cioè appunto chi compie gli atti processuali coincide con la parte in senso sostanziale, cioè il soggetto destinatario degli effetti degli atti processuali; ma non è sempre così. La prima ipotesi è quella della rappresentanza legale: gli incapaci devono essere rappresentati, assistiti o autorizzati a seconda delle norme che regolano la loro incapacità. Nel caso in cui un soggetto abbia capacità giuridica ma non capacità di agire, si ha la scissione tra la parte in senso formale e quella in senso sostanziale: l’incapace è destinatario degli effetti giuridici degli atti processuali compiuti dal suo rappresentante legale. Nel caso della rappresentanza volontaria abbiamo la medesima scissione tra parte in senso formale e parte in senso sostanziale, ma anche il rappresentato può compiere atti processuali validi. Ultima ipotesi è quella della rappresentanza organica: il rappresentante organico sta in giudizio per l’ente, al quale però si imputano non solo gli effetti, ma anche gli atti processuali stessi. Il difetto di capacità di agire può essere rilevato in ogni stato e grado del processo, anche d’ufficio. Il vizio è però sanabile; in caso di sanatoria però gli atti devono essere comunque compiuti di nuovo, a meno che non si abbia ratifica dell’interessato (cioè il rappresentante). La sanatoria fa salvi gli effetti della domanda ex tunc. Non si deve confondere la rappresentanza con l’autorizzazione: la carenza della prima rappresenta un difetto dei presupposti processuali ed impedisce una pronuncia nel merito, mentre quella della seconda comporta solo l’invalidità degli atti emessi. 34 – RAPPRESENTANZA PROCESSUALE VOLONTARIA Nei casi di rappresentanza processuale, la parte in senso formale, cioè colui che sta nel processo e compie gli atti processuali, non corrisponde con la parte in senso processuale, cioè colui che è destinatario degli effetti degli atti del processo. Questo può avvenire perché la parte in senso processuale non ha legittimazione processuale, come nel caso del minore o dell’interdetto: sono le ipotesi di rappresentanza legale. In altri casi invece la rappresentanza è volontaria: rimane la scissione tra ci compie gli atti e chi ne riceve gli effetti, ma il rappresentato ha anch’egli il potere di compiere gli atti. 35 – LEGITTIMAZIONE AD AGIRE La legittimazione ad agire è uno dei presupposti processuali: se la parte ne è sprovvista, non si arriva alla decisione nel merito. L’art. 81 cpc stabilisce che nessuno può far valere in nome proprio un diritto altrui, esclusi i casi espressamente previsti dalla legge. Dalla norma si può ricavare la nozione di legittimazione ad agire: l’attore deve agire in giudizio per tutelare un diritto proprio e deve chiamare in causa i titolari del dovere corrispondente e funzionale ad ottenere la tutela richiesta. È quindi legittimato colui che dovrà seguire le regole di condotta enunciate nella sentenza. Il giudice deve valutarne la sussistenza esaminando la domanda, senza scendere nel merito; se poi in fase di istruttoria la parte risulterà non titolare del diritto o del dovere, la domanda sarà rigettata nel merito. Il difetto di legittimazione ad agire può essere rilevato in ogni stato e grado del processo anche d’ufficio e non è sanabile. 36 – SOSTITUZIONE PROCESSUALE In ipotesi tassativamente previste, l’ordinamento prevede che un terzo faccia valere in nome proprio un diritto altrui: è il caso della sostituzione processuale o legittimazione straordinaria., in contrasto con la regola generale della legittimazione ad agire prevista dall’art. 81 cpc. L’esempio più importante riguarda l’azione surrogatoria: il creditore per vedere tutelato il proprio diritto può esercitare le azioni che spettano al proprio debitore. L’oggetto del processo quindi è un diritto altrui e la sentenza avrà effetti immediati e diretti nei confronti del titolare del diritto, e solo indirettamente tali effetti influiranno nella sfera giuridica del legittimato straordinario. È chiaro perché le ipotesi di legittimazione straordinaria sono tassative: l’ordinamento può permettere solo in casi espressamente previsti che prevalga l’interesse del terzo rispetto al diritto del titolare di decidere liberamente se agire o meno. A differenza della rappresentanza, dove il rappresentante agisce in nome del rappresentato, nella legittimazione straordinaria il legittimato speciale agisce in nome proprio anche se per tutelare un diritto altrui: gli effetti degli atti si imputano al legittimato straordinario, solo quelli di merito al legittimato ordinario. Di norma il legittimato ordinario è litisconsorte necessario: dal momento che è destinatario degli effetti di merito, deve partecipare al contraddittorio. Ma non sempre è così: ad esempio nell’estromissione del garantito. Secondo parte della dottrina le locuzioni “sostituzione processuale” e “legittimazione straordinaria” sono equivalenti; secondo altra parte invece, la legittimazione straordinaria è il genus, mentre la sostituzione processuale è la species in cui il legittimato ordinario non è litisconsorte necessario. 37 – INTERESSE AD AGIRE A norma dell’art. 100 cpc, può presentare una domanda o contraddire la stessa solo chi vi abbia interesse. L’interesse ad agire è quindi un altro dei presupposti processuali inerenti alle parti. La sua funzione è collegata al principio di economia processuale: serve ad evitare che si scenda nel merito quando domanda e difesa possono essere anche fondate, ma il loro accoglimento non produrrebbe alcun effetto utile. L’interesse può essere carente con riferimento al mezzo processuale scelto o al risultato richiesto. Nel primo caso, l’effetto chiesto è utile, ma non può essere ottenuto utilizzando potere di natura sostanziale. Nel secondo invece, il mezzo giurisdizionale è adatto per gli effetti richiesti, i quali però sono inutili perché lasciano la parte nella stessa situazione (ad esempio se si richiede l’accertamento di un diritto non contestato). Lo stesso può valere per l’interesse a contraddire: il mezzo scelto per difendersi è fondato, ma non serve. Il difetto di interesse ad agire è rilevabile in ogni stato e grado del giudizio, anche d’ufficio. La sua carenza però non provoca l’invalidità della sentenza, quanto la sua inutilità. 38 – ONERE DI SPECIFICA CONTESTAZIONE In seguito alla riforma operata dalla l 69/2009, l’art. 115 cpc prevede che il giudice deve, salvi i casi previsti dalla legge, basare le proprie decisioni sulle prove fornite e sui fatti non specificatamente contestati dalle parti. In questo modo si conferma l’orientamento della Cassazione, che a partire dal 2002 affermava l’esistenza a carico delle parti dell’onere di specifica contestazione. Il giudice deve quindi tenere conto dei fatti allegati da una parte e non contestati dall’altra senza il bisogno di verificarne la sussistenza. La sentenza della Cassazione del 2002 distingueva tra fatti principali, da cui le norme fanno discendere degli effetti, e fatti secondari, indizi che non dimostrano direttamente l’avvenire storico dell’elemento; solo per i primi valeva l’onere di specifica contestazione. L’art. 115 non distingue, facendo presuppore che valga per entrambe le tipologie di fatti; nonostante questo, molti giudici seguono ancora l’orientamento della Cassazione. La ratio dell’onere sta nel principio di economia processuale e nella responsabilità delle parti nell’allegazione di prove. 39 – ECCEZIONE DI MERITO IN SENSO STRETTO Quando il convenuto decide di difendersi può farlo attraverso semplici difese, cioè contestando la fondatezza della domanda in fatto o in diritto, proponendo a sua volta una domanda, oppure attraverso le eccezioni. Con l’eccezione il convenuto arricchisce di nuovi fatti la cognizione del giudice. L’attore infatti ha l’onere di provare i fatti costitutivi del diritto di cui chiede la tutela; il convenuto deve quindi provare che tale diritto è inefficace oppure che si è estinto o modificato, e può farlo provando i fatti impeditivi, estinti o modificativi del diritto stesso. Tra le eccezioni si distinguono quelle in senso lato (o exceptio facti), che possono essere rilevate anche dal giudice, e quelle in senso stretto (o exceptio iuris), lasciate alla disponibilità delle parti: il legislatore lascia all’interessato la facoltà di valutare l’opportunità di far valere estintivo, modificativo o decisione dell’altra. Trattandosi di litisconsorzio facoltativo, le cause possono essere scisse: su istanza di tutte le parti oppure quando la trattazione unitaria diventa gravosa. 45 – LITISCONSORZIO UNITARIO Il litisconsorzio unitario è un istituto intermedio tra il litisconsorzio necessario e quello facoltativo. I diversi soggetti non devono necessariamente essere parti del processo, ma una volta realizzata la pluralità di parti la decisione deve essere unica. È un litisconsorzio facoltativo nell’instaurazione e necessario nella prosecuzione. Gli effetti della decisione si producono nei confronti di tutti, anche coloro i quali non hanno partecipato al processo. L’attività processuale di una parte si comunica alle altre. Un esempio è rappresentato dall’impugnazione delle delibere assembleari delle s.p.a.. 46 – INTERVENTO VOLONTARIO Si ha intervento volontario quando un terzo entra a far parte del processo di sua spontanea iniziativa; dall’art 105 cpc se ne possono ricavare tre tipologie. Nell’intervento principale (o ad excludendum) il terzo fa valere nei confronti di tutte le parti un diritto relativo all’oggetto o dipendente dal titolo dedotto nel processo. Quando invece il diritto relativo all’oggetto o dipendente dal titolo dedotto è fatto valere nei confronti di alcune parti, si ha intervento litisconsortile (o adesivo autonomo): l’interventore presenta la domanda solo contro alcune parti. Infine, si ha intervento adesivo dipendente quando l’interventore non presenta alcuna domanda, ma partecipa in via adesiva al processo per ottenere una sentenza favorevole ad una delle parti. A norma dell’art. 268 cpc, l’intervento può avvenire fine all’udienza di precisazione delle conclusioni e l’interventore non può compiere gli atti che siano già preclusi alle parti e accetta il processo in statu et terminis. Parte della dottrina però la pensa diversamente. Distingue la disciplina nei casi di intervento innovativo (quando cioè l’interventore presenta una domanda, introducendo quindi una propria situazione sostanziale nel processo, il cui oggetto è così ampliato) dalla disciplina nei casi di intervento non innovativo (cioè l’intervento adesivo dipendente, nel quale il terzo interviene in relazione ad una situazione sostanziale altrui già dedotta). Per l’intervento innovativo, il terzo non incorre alle limitazioni a cui soggiacciono le parti; non incorre nelle limitazioni nemmeno l’interventore adesivo soggetto agli effetti della sentenza. 47 – INTEVENTO PRINCIPALE L’intervento principale (o ad excludendum) è una delle tipologie di intervento volontario: il terzo fa valere nei confronti di tutte le parti un diritto relativo all’oggetto o dipendente dal titolo dedotto nel processo. Il diritto del terzo deve presentare tre caratteristiche. La prima è l’autonomia: l’emananda sentenza, se il terzo non intervenisse, non formerebbe giudicato nei confronti del terzo. Questo avviene quando il diritto del terzo non è dipendente sul piano sostanziale dal diritto delle parti, oppure quando è dipendente sul piano sostanziale ma non su quello processuale, essendo sorto prima della litispendenza (sempre che non si tratti di situazione sostanziale permanente). La seconda caratteristica è l’incompatibilità: la situazione sostanziale del terzo, se esistente, esclude in tutto o in parte la tutela chiesta dalle parti originarie; ciò avviene quando la situazione rappresenta un fatto impeditivo o estintivo dell’altra. La terza, collegata all’incompatibilità, è la prevalenza: tra i di diritti incompatibili, uno dei due deve soccombere. Se il contrasto è tra due acquisti a titolo derivativo che hanno origine nello stesso dante causa, prevale di norma quello acquistato per primo (ma non sempre, come nelle norme sulla trascrizione). Se non c’è un comune dante cause, si deve risalire ad un acquisto a titolo originario e prevale quello più recente. La posizione dell’interventore è quindi completamente autonoma rispetto alle parti; la pronuncia può tutelare o l’inteventore o una delle parti. Ciascuno è in lite con gli altri; non è possibile la separazione anche per garantire la decisione unitaria della controversia. 48 – INTERVENTO LITISCONSORTILE (O ADESIVO AUTONOMO) L’intervento litisconsortile (o adesivo autonomo) è una delle tipologie di intervento volontario: il terzo fa valere nei confronti di alcune delle parti un diritto relativo all’oggetto o dipendente dal titolo dedotto nel processo. Ha gli stessi presupposti e le stesse funzioni del litisconsorzio facoltativo, solo che la pluralità di soggetti si crea in itinere, su iniziativa di un terzo. Le cause (quella originaria e quella introdotta tramite l’intervento) sono parallele, in quanto le situazioni dedotte sono autonome e non in rapporto di pregiudizialità-dipendenza: le pronunce non rilevano l’una per l’altra. 49 – INTERVENTO ADESIVO (O ADESIVO DIPENDENTE) L’intervento adesivo dipendente è una delle tipologie di intervento volontario: l’interventore non presenta alcuna domanda, ma partecipa in via adesiva al processo per ottenere una sentenza favorevole ad una delle parti, perché ve ne ha interesse. L’oggetto del processo quindi non è ampliato: si tratta di un intervento non innovativo. La situazione del terzo non entra nel processo, serve solo a legittimarlo ad intervenire. Il terzo quindi ha solo poteri di allegazione e poteri istruttori. Il terzo è titolare di una situazione giuridica protetta, condizionata dal riconoscimento della situazione sostanziale di una delle parti, e può quindi ricevere un pregiudizio dalla sentenza. Questo accade quando gli effetti della sentenza valgono anche nei confronti del terzo, secondo le regole dei limiti soggettivi del giudicato. Secondo parte della dottrina può intervenire anche il titolare di una situazione dipendente ma istantanea e nata dopo la litispendenza: la sentenza non produce effetti nei suoi confronti, ma la sua situazione sostanziale è comunque pregiudicata dalla sentenza. La funzione dell’intervento è quella di integrare la difesa della parte adiuvata, qualora il terzo la ritenga insufficiente e quindi tema un pregiudizio per la propria situazione. 50 – INTERVENTO COATTO SU ISTANZA DI PARTE Con l’intervento coatto su istanza di parte, un terzo entra a far parte del processo non di sua spontanea iniziativa, ma perché chiamato da una o più parti già costituite. A norma dell’art. 106 cpc ciò può avvenire in due circostanze. La prima è la comunanza di causa; l’espressione ha portata molto ampia: in astratto ogni connessione può consentire la chiamata del terzo. Un esempio può essere il caso di titolarità alternativa: si se il convenuto non contesta l’esistenza del diritto, ma il fatto di essere il vero obbligato, si può chiamare in causa chi si asserisce essere il vero obbligato. Una volta chiamato in causa, il terzo sarà vincolato dalla sentenza e non potranno esserci pretese future sul medesimo oggetto. La chiamata del terzo può essere non innovativa, quando cioè non viene proposta nessuna nuova domanda nei suoi confronti ed egli si limita a partecipare al processo, oppure innovativa, quando cioè viene proposta una domanda nei suoi confronti, realizzando un cumulo oggettivo, che si sarebbe potuto realizzare ab initio proponendo una domanda alternativa. La seconda tipologia di intervento coatto su istanza di parte è la chiamata in garanzia: il garantito può chiamare in causa il proprio garante; in questo modo gli effetti della sentenza saranno immediatamente efficaci anche nei confronti del garante. È importante distinguere tra diverse forme di garanzia. Innanzitutto tutto, abbiamo garanzia formale ei casi di acquisti di titolo derivativo: il dante causa deve garantire l’avente causa. In questo tipo di garanzia, il garante è obbligato non solo a tenere indenne sul piano sostanziale il garantito in caso di soccombenza, ma anche ad assumerne la difesa processuale (che permette anche l’estromissione del garantito). Si ha garanzia semplice quando il garante ha il solo obbligo sul piano sostanziale di tenere indenne il garantito; riguarda essenzialmente le ipotesi di regresso e fideiussione. Entrambe queste prime ipotesi sono forme di garanzia propria perché costituiscono il modo d’essere della regolamentazione di un rapporto sostanziale e discendono direttamente dalla previsione normativa. Si ha invece garanzia impropria quando la garanzia discende invece da una connessione estrinseca, soprattutto sorgente da collegamenti negoziali (l’esempio tipico si trova nella vendita a catena). Secondo la giurisprudenza, solo per la garanzia propria è possibile derogare alle regole di competenza, permettendo che domanda principale e domanda di garanzia siano decise insieme dal giudice superiore quando sarebbero invece di competenza di giudici diversi. Il terzo chiamato ha pieni poteri solo se la chiamata è innovativa; in ogni caso, l’udienza alla quale è chiamato costituisce per lui la prima udienza del processo, quindi non operano nei suoi confronti le preclusioni già avvenute per le parti. 51 – INTERVENTO PER ORDINE DEL GIUDICE (IUSSU IUDICIS) L’art. 107 cpc prevede che il giudice possa, quando lo ritenga opportuno, ordinare l’intervento in causa di un terzo soggetto al quale la causa è comune. A differenza del litisconsorzio necessario, nel quale il giudice non ha poteri valutativi, qui il giudice deve valutare l’opportunità della chiamata, oltre ai presupposti che legittimano l’intervento. Il potere discrezionale del giudice trova diverse declinazioni in base ai diversi tipi di connessione sussistenti tra la situazione dedotta nel processo e quella di cui il terzo è titolare. La disciplina deve rispettare il principio della domanda, per il quale solo la parte può individuare l’oggetto, mentre al giudice ne spetta la decisione. Però l’intervento del terzo è in via adesiva: il processo non vede ampliarsi il suo oggetto, che rimane quello individuato dall’attore e quindi il principio della domanda non è violato. L’atto con cui una delle parte adempie all’ordine del giudice e chiama il terzo, è un mero atto di impulso processuale; in questo caso la chiamata non è innovativa. Le parti però possono a questo punto proporre una domanda contro il terzo, oppure il terzo può proporre una domanda contro una o più delle parti: si ha così un processo cumulato; solo in questo caso il terzo avrà pieni poteri. L’udienza alla quale è chiamato, è la sua prima udienza, quindi non operano nei suoi confronti le preclusioni che già colpiscono le parti originarie. 52 – ESTROMISSIONE Con l’estromissione, un soggetto che era parte del processo lo abbandona e perde la qualità di parte: non gli sono più imputabili gli effetti degli atti processuali. Le ipotesi sono due. La prima, prevista dall’art. 108 cpc è l’estromissione del garantito. Nella garanzia formale, grava sul garante l’obbligo processuale di assumere la difesa del garantito: se il garante non contesta il rapporto di garanzia ed accetta tale obbligo, il garantito può chiedere di essere estromesso. In questo caso si verifica la sostituzione processuale: il garante sta in giudizio in nome proprio per una situazione sostanziale altrui, e il garantito non è litisconsorte necessario (infatti può essere estromesso). Gli effetti della sentenza di merito si spiegano anche nei confronti dell’estromesso (ed indirettamente nei confronti del garante), mentre non lo toccano le pronunce di rito: l’estromesso rimane parte sostanziale ma perde la qualità di parte processuale. L’estromissione può avere luogo qualora le parti non si oppongano; la controparte potrebbe opporsi qualora il garante non gli garantisse sufficientemente il pagamento delle spese. Qualora non ci siano opposizioni, il giudice si pronuncia con ordinanza; qualora ci siano opposizioni invece il giudice le deve valutare e motivare la propria decisione, quindi il provvedimento ha forma di sentenza. La seconda ipotesi è l’estromissione dell’obbligato, disciplinata dall’art. 109 cpc. Il presupposto è la lite tra contendenti: controversa non è l’esistenza del diritto, ma la sua titolarità. L’obbligato può non avere interesse a partecipare il processo: sa di essere obbligato, non sa nei confronti di chi deve adempiere. Così può depositare la somma o la cosa oggetto dell’obbligo e il giudice lo estromette. Con il deposito, l’obbligato non rinuncia alla somma o alla cosa: se non si giunge alla pronuncia di merito oppure il giudice ritiene che nessuno dei due contendenti è il titolare, la somma o la cosa ritorna nella disponibilità dell’estromesso. Anche in questo caso, l’oggetto del processo non muta e l’estromesso continua ad essere parte sostanziale. La forma del provvedimento è l’ordinanza o la sentenza, come nel caso dell’estromissione del garantito. L’ultima ipotesi è quella dell’estromissione del dante causa, prevista dall’art. 111 cpc. Se in corso di processo il diritto controverso è trasferito a titolo particolare, il dante causa rimanere parte del processo, ma può intervenire o essere chiamato anche l’avente causa: a questo punto il dante causa può chiedere di essere estromesso, sempre che la successione abbia riguardato l’intero oggetto della domanda e le altre parti acconsentano. 53 – SUCCESSIONE UNIVERSALE NEL PROCESSO Quando una parte del processo viene meno (per morte o altra causa), il processo non può continuare: è necessario quindi che venga sostituita. L’art. 110 cpc prevede che il processo è proseguito dal (o nei confronti del) successore universale. Non importa a chi è trasferita la situazione sostanziale: la ratio della norma è individuare la nuova parte in senso processuale a cui imputare gli effetti di rito; gli effetti di merito si dispiegano invece nei confronti della parte in senso sostanziale, cioè il titolare della situazione dedotta. Il successore universale è l’erede per le persone fisiche, la società che risulta dalla fusione nei casi di fusione
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