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Riassunti schematici esame Procedura Civile 1, Appunti di Diritto Processuale Civile

• GIURISDIZIONE • COMPETENZA • AZIONE CIVILE • PRINCIPI DEL PROCESSO CIVILE • PARTI PROCESSUALI • ATTI PROCESSUALI • PROCESSO ORDINARIO DI COGNIZIONE •PECULIARITA’ DEL GIUDIZIO DI COGNIZIONE DINNANZI AL GIUDICE DI PACE • LE IMPUGNAZIONI • COSA GIUDICATA • IL PROCESSO DI ESECUZIONE IN GENERALE • L’ESPROPRIAZIONE FORZATA • L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE E AGLI ATTI ESECUTIVI • SOSPENSIONE ’ESTINZIONE DEL PROCESSO ESECUTIVO.

Tipologia: Appunti

2018/2019

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Scarica Riassunti schematici esame Procedura Civile 1 e più Appunti in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! PROCEDURA CIVILE 1: riassunti schematici • GIURISDIZIONE • COMPETENZA • AZIONE CIVILE • PRINCIPI DEL PROCESSO CIVILE • PARTI PROCESSUALI • ATTI PROCESSUALI • PROCESSO ORDINARIO DI COGNIZIONE (fase introduttiva, trattazione, acquisizione probatoria, fase decisoria) •PECULIARITA’ DEL GIUDIZIO DI COGNIZIONE DINNANZI AL GIUDICE DI PACE • LE IMPUGNAZIONI (appello, ricorso per Cassazione, revocazione ordinaria e straordinaria, opposizione di terzo) • COSA GIUDICATA • IL PROCESSO DI ESECUZIONE IN GENERALE • L’ESPROPRIAZIONE FORZATA • L’OPPOSIZIONE ALL’ESECUZIONE E AGLI ATTI ESECUTIVI • LA SOSPENSIONE E L’ESTINZIONE DEL PROCESSO ESECUTIVO. LA GIURISDIZIONE La giurisdizione è una delle funzioni tipiche con cui si esplica la sovranità dello Stato e consiste nella potestà pubblica diretta a garantire la concreta applicazione delle norme stabilite dal potere legislativo in via generale ed astratta. Il potere giurisdizionale è esercitato attraverso i giudici e i suoi ausiliari. Potere giurisdizionale. La giurisdizione è attribuita a particolari organi dello Stato che costituiscono, nel loro complesso, il potere giudiziario. Scopo della funzione giurisdizionale è quello di stabilire quale norma applicare alla situazione controversa e di costringere chi si rifiuti di assoggettarvisi ad osservarla. Il potere giurisdizione si distingue dal:  potere legislativo: crea le norme giuridiche (regole di condotta vincolanti per i consociati), le quali, nel loro insieme, costituiscono l’ordinamento giuridico;  potere esecutivo: traduce l’indirizzo politico espresso dal Parlamento in concreti programmi d’azione. Caratteri della giurisdizione. I caratteri della giurisdizione sono:  esclusiva: tale funzione è monopolio dello Stato, il quale esplica la sua sovranità, sottraendo la risoluzione delle controversie all’iniziativa dei cittadini (se i cittadini potessero farsi giustizia da sé sarebbe messa in pericolo la pace sociale);  strumentale: in quanto rappresenta uno strumento di cui il diritto si serve per imporsi all’obbedienza dei consociati;  sostitutiva: poiché subentra solo in via secondaria a ristabilire l’efficacia del diritto, quando tale diritto non sia stato in via primaria pacificamente e spontaneamente osservato dai consociati. Classificazione della giurisdizione. La giurisdizione in base al criterio che il giudice è autorizzato dalla legge ad utilizzare per risolvere la controversia si divide in:  giurisdizione di diritto: quando il giudice, per tutelare il bene-interesse leso applica al caso concreto una norma giuridica;  giurisdizione di equità: quando la legge autorizza espressamente il giudice, per la risoluzione della controversia, ad ispirarsi a criteri di convenienza o di equità. In base allo scopo che ha l’intervento del giudice, distinguiamo invece tra:  giurisdizione contenziosa: è quella in cui il giudice interviene per risolvere, attraverso il processo, una controversia esistente tra due parti in conflitto;  giurisdizione esecutiva: ha la funzione di realizzare coattivamente un risultato equivalente a quello che avrebbe dovuto compiere un altro soggetto, in adempimento di un obbligo giuridico;  giurisdizione volontaria: non è diretta a risolvere controversie, ma a gestire un negozio o un affare, per la cui partecipazione è necessario l’intervento partecipativo di un terzo estraneo e imparziale (es: in materia di protezione dei minori, degli interdetti e inabilitati ecc..). In base alla materia, infine, distinguiamo tra:  costituzionale: è attribuita alla Corte Costituzionale, ed ha il compito di sindacare la conformità delle leggi alla Costituzione e di risolvere i conflitti tra i poteri dello Stato e delle Regioni. Giudica infine sulle accuse mosso contro il Presidente della Repubblica;  ordinaria: ha carattere generale in quanto si riferisce alla generalità degli interessi da tutelare. Essa è limitata solo in senso negativo, in quanto attiene a tutte le controversie che la legge non attribuisce a giudici speciali;  speciale: è quella cui sono devolute solo alcune materie espressamente indicate dall’ordinamento e attribuita organi non  disponibilità delle prove: ai sensi dell’art. 115 c.p.c. il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove offerte dalle parti (o dal PM), nonché i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita (c.d. “principio dispositivo”). Egli di regola non può avvalersi della propria scienza per acquisire la conoscenza dei fatti di causa, né può ricercare di propria iniziativa i mezzi per accertare i fatti. Giudice monocratico e giudice collegiale. Per quanto concerne la sua composizione, distinguiamo tra:  giudice monocratico: quando il giudice esercita da solo la funzione giurisdizionale;  giudice collegiale: quando la giurisdizione è esercitata da più giudici riuniti in collegio. L’art. 50-bis c.p.c. stabilisce che il Tribunale giudica in composizione collegiale (3 votanti):  nelle cause nelle quali è obbligatorio l’intervento del PM;  nelle cause di impugnazione, opposizione, revocazione e in quelle conseguenti a dichiarazione tardiva dei crediti;  nelle cause devolute alle sezioni specializzate;  nelle cause di omologazione del concordato fallimentare e del concordato preventivo;  nelle cause in materia societaria;  nelle cause di impugnazione dei testamenti e di riduzione per lesioni di legittima;  nelle cause per la responsabilità civile dei magistrati;  nei procedimenti in Camera di Consiglio (artt. 737 ss c.pc.);  nelle cause relative alle azioni collettive risarcitorie (c.d.”class action”). A capo del collegio è previsto un Presidente e, nei collegi divisi in più sezioni, sono previsti anche singoli Presidenti di Sezione; essi hanno funzione di coordinamento e organizzazione dell’ufficio giudiziario. Al di fuori dei casi sopra indicati, il Tribunale giudica in composizione monocratica, ossia in persona del giudice istruttore o del giudice dell’esecuzione, in funzione di giudice unico, con i medesimi poteri del collegio. I giudici civili nel nostro ordinamento sono:  Giudice di Pace: è un giudice monocratico di primo grado e giudica nelle materie espressamente previste dalla legge, se la causa sta entro un determinato valore;  Tribunale ordinario: è un giudice monocratico di primo grado che decide la causa in tute le materie non espressamente affidate ad altro giudice. È giudice monocratico di secondo grado per le cause svoltesi in primo grado dinnanzi al Giudice di Pace;  Corte d’Appello: è un giudice collegiale di secondo grado per le cause svoltesi in primo grado dinnanzi al Tribunale ordinario;  Corte di Cassazione: è un giudice collegiale, ha giurisdizione su tutto il territorio della Repubblica Italiana ed ha sede in Roma. Svolge il riesame delle sentenza impugnata per motivi di diritto e mai di merito (c.d. “giudizio di legittimità”). Mezzi sostitutivi della giurisdizione civile. In alcuni casi l’ordinamento, per ragioni di economicità, affida alle stesse parti la facoltà di decidere personalmente, o far decidere da terzi, le controversie sorte tra loro. I c.d. “mezzi sostitutivi della giurisdizione” sono :  transazione: è il contratto con cui le parti, facendosi reciproche concessioni, si accordano per porre fine ad una lite già iniziata oppure per prevenire una lite che potrebbe insorgere;  conciliazione: è l’accordo raggiunto tra le parti su libera iniziativa ovvero a mezzo di appositi organi o uffici pubblici. Essa sostituisce la giurisdizione se interviene prima che la causa sia instaurata, ed in luogo di essa, in sede non contenziosa. Questo tipo di conciliazione va distinto dalla conciliazione in pendenza di lite, che il giudice deve tentare. L’organo che esercita l’attività conciliativa sono il Giudice di Pace ed apposite sezioni conciliative per la conciliazi9one delle controversie di lavoro;  arbitrato: è il mezzo attraverso cui le parti affidano la decisione della controversia a terzi, sostituendo in tal modo il giudice civile ordinario. La decisione degli arbitri è detta “lodo” e ha, dalla data della sua ultima sottoscrizione, gli effetti della sentenza pronunciata dall’autorità giudiziaria. Il Pubblico Ministero. Il PM è un organo dello Stato istituito per garantire l’attuazione della legge da parte degli organi giurisdizionali in quelle materie in cui viene in rilievo la necessità di garantire la tutela degli interessi generali o sociali, che non può essere lasciata all’esclusiva iniziativa dei privati. Anche se il PM è il protagonista del rito penale, esso è talvolta presente anche nel rito civile. Qui la dottrina distingue tra:  PM agente: è quello che esercita l’azione in tutti i casi tassativi in cui può promuoverla;  PM interveniente: si ha nei casi di intervento obbligatorio o facoltativo in giudizio. Al riguardi si distingue tra: • intervento obbligatorio: a pena di nullità, è previsto nelle cause che lo stesso PM può proporre (cause matrimoniali, cause relative allo stato e alla capacitò delle persone, cause relative alla querela di falso ecc..); • intervento facoltativo: è previsto per ogni altro caso in cui il PM ravvisi un pubblico interesse. Gli ausiliari del giudice. Il giudice, nello svolgimento della sua attività, si serve di un apparato organizzativo di figure professionali, alcune delle quali (cancelliere e ufficiale giudiziario) fanno parte della struttura organizzativa dei singoli uffici giudiziari, mentre altre (consulente tecnico e custode) sono estranee ad essa e svolgono la loro funzione sulla base dell’incarico loro conferito di volta in volta. Gli ausiliari del giudice sono:  consulente tecnico (artt. 61-64 c.p.c): è un ausiliario, provvisto di particolare competenza tecnica, scelto fra persone iscritte in albi speciali. Egli presta assistenza al giudice, presenta relazione su determinati quesiti, fornisce chiarimenti sia in udienza sia in camera di consiglio. Al fine di distribuire gli incarichi equamente, la L.69/2009 a previsto che a nessun CTU possano essere conferiti incarichi in misura superiore al 10% di quelli affidati all’ufficio;  custode (artt. 65-67 c.p.c): è un ausiliario di cui il giudice si serve per la conservazione dei beni sequestrati o pignorati. Deve esercitare la custodia con la diligenza del buon padre di famiglia ed è responsabile verso le parti dei danni a lui imputabili. La sua nomina compete al giudice o all’ufficiale giudiziario. Se non esegue l’incarico assunto, il custode può essere condannato dal giudice ad una pensa pecuniaria compresa tra 250 e 500 Euro;  il cancelliere: è l’ufficio complementare dell’organo giudiziario, con funzioni prevalentemente burocratiche ed amministrative. È il principale collaboratore del giudice in quanto le sue varie attività, pur essendo subordinate al lavoro del giudice, sono integrative di questo e perciò autonome. I suoi compiti principali sono inerenti all’attività di registrazione, custodia degli atti giudiziari, nonché di documentazione, consistente nell’attribuire pubblica fede alle attività proprie, a quelle degli organi giudiziari e a quelle delle parti (es: redazione verbali d’udienza). Il funzionario di cancelleria, inoltre, si occupa anche del rilascio di copie ed estratti autentici di documenti prodotti, all’iscrizione della causa al ruolo, alla formazione del fascicolo d’ufficio, alla conservazione dei fascicoli delle parti, alle comunicazioni e alle richieste di notifiche previste dalla legge o dal giudice, e alla • un foro generale: è quello del luogo del convenuto. Distinguiamo ulteriormente tra: - foro generale delle persone fisiche (dove il convenuto ha la residenza, il domicilio o la dimora); - foro generale delle persone giuridiche (dove si trova la sede, lo stabilimento o un rappresentante della società/ente autorizzato a stare in giudizio): • alcuni fori speciali: valgono solo per determinate controversie. Distinguiamo infatti tra: - foro (facoltativo) per le cause relative a diritti di obbligazioni: è il luogo in cui è sorta o deve essere adempiuta l’obbligazione. L’attore ha quindi la facoltà di citare il convenuto nel suo foro oppure oppure in quello speciale; - foro per cause relative a diritti reali immobiliari o azioni possessorie: il foro è rispettivamente quello in cui è sito l’immobile e quello in cui è avvenuto il fatto che ha causato l’azione possessoria; - foro per le cause ereditarie: è il foro del territorio in cui si è aperta la successione del de cuius; - foro per le cause tra soci e condomini: è quella del luogo in cui ha sede la società o dove si trova la maggior parte dei beni condominiali; - foro delle gestioni tutelari e patrimoniali: è quello del luogo in cui è esercitata la tutela; - foro della Pubblica Amministrazione: è quello del luogo in cui ha sede l’Ufficio dell’avvocatura dello Stato, nel cui distretto si trova il giudice che sarebbe competente secondo le regole ordinarie. Criteri per la distribuzione della competenza. Il D. Lgs. 51/1998 ha disciplinato la figura del giudice unico di primo grado e soppresso la figura del pretore, la cui competenza è passata al Tribunale. Ai sensi dell’art. 9 il Tribunale ha competenza residuale, ovvero è competente per tutte le cause non espressamente devolute al Giudice di Pace. Il Tribunale è altresì esclusivamente competente per le cause in materia di tasse, per quelle relative allo stato e alla capacità delle persone, per la querela di falso, per l’esecuzione forzata e, in generale, per ogni causa di valore indeterminabile. In tutti questi casi il Tribunale istruisce e decide la causa in composizione monocratica, mentre nei casi previsti dall’art. 50-bis decide in composizione collegiale. Deroghe alla competenza. Deroghe alla competenza si hanno in caso di:  litispendenza: si ha quando pendono dinnanzi a giudici diversi due identiche cause (stesso petitum, stessa causa petendi, stessi soggetti, come vedremo successivamente). In tal caso il giudice successivamente adito deve dichiarare con ordinanza la litispendenza e disporre la cancellazione della causa dal ruolo, in qualsiasi stato e grado del giudizio, anche d’ufficio. Per l’individuazione del giudice competente è utilizzato il c.d. “criterio della prevenzione”, nel senso che prosegue il giudizio iniziato per primo (in base alla data di notifica della citazione);  continenza: si ha quando tra una causa e l’altra vi è rapporto tra contenuto e contenente, cioè il petitum della seconda è più ampio di quello della prima. Se il giudice preventivamente adito è competente anche per la causa proposta successivamente, il secondo giudice dichiara con ordinanza la continenza e fissa un termine perentorio per la riassunzione davanti al primo giudice (c.d. “criterio della prevenzione”). Se invece il giudice preventivamente adito NON è competente anche per la causa proposta successivamente, egli dichiara la continenza e fissa un termine perentorio per la riassunzione davanti al secondo giudice (c.d. “criterio dell’assorbimento”);  connessione: si ha quando più azioni, malgrado siano diverse, abbiano in comune almeno uno degli elementi di identificazione. In ragione della maggiore intensità del rapporto che collega le cause fra loro, il legislatore ha disposto la trattazione di queste simultaneamente (es: connessione per accessorietà, per garanzia, cumulo soggettivo, accertamento incidentale, eccezione di compensazione, domanda riconvenzionale ecc..). L’incompetenza. Con la riforma del Codice di procedura civile del 1990 (ma in vigore dal 30/04/1995) venne stabilito che:  l’incompetenza per materia, valore e territorio inderogabile erano rilevabili anche d’ufficio, ma non oltre la prima udienza di trattazione;  l’incompetenza per territorio derogabile era rilevabile solo su eccezione di parte a pena di decadenza nella comparsa di risposta e purché fosse indicato il giudice ritenuto competente; Con la novella introdotta dalla L. 69/2009 il regime della rilevabilità della competenza risulta ulteriormente amplificato. È stato infatti previsto che:  l’incompetenza per materia, valore e territorio deve essere eccepita, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta tempestivamente depositata;  l’incompetenza per territorio deve indicare anche il giudice ritenuto competente;  l’incompetenza per materia, valore e territorio inderogabile possono essere rilevate anche d’ufficio, ma non oltre la prima udienza di comparizione e trattazione. Regolamento di incompetenza. Per impugnare una pronuncia sulla competenza è possibile proporre i normale mezzi d’impugnazione (appello e ricorso in Cassazione) oppure utilizzare uno strumento specificamente diretto a far valere tali questioni immediatamente innanzi alla Corte di Cassazione, al fine di ottenere una pronuncia definitiva sulla competenza. Questo strumento è il regolamento di competenza, che si ha in tutti i casi in cui sorga un conflitto tra uno o più giudici in ordine alla competenza a trattare una determinata lite. Per legge, giurisdizione e competenza devono essere accertati dal giudice adito, il quale può giudicare sulla propria competenza e quindi dichiararsi incompetente oppure decidere la causa; qualora anche un altro giudice adotti analogo atteggiamento, sorge un conflitto di competenza. Il Codice distingue due tipi di regolamento di competenza:  su istanza di parte (mezzo di impugnazione ordinario), può essere: - necessario: qualora l’ordinanza abbia deciso solo sulla competenza (affermandola o negandola), senza aver pronunciato sul merito. Si dice necessario perché è l’unico strumento previsto per contestare una pronuncia sulla competenza; - facoltativo: qualora il provvedimento ha deciso sulla competenza (affermandola) e sul merito. Si dice facoltativo perché il provvedimento che si sia pronunciato contemporaneamente su competenza e merito, può essere contestato sia con il regolamento di competenza (se si intende contestare solo la competenza), sia con i mezzi ordinari di impugnazione (se si intende contestare sia la competenza che il merito);  d’ufficio o per disposizione del giudice: presuppone un conflitto tra due o più giudici e si verifica qualora il primo si dichiari incompetente e il secondo (ritenendosi ugualmente incompetente)deve chiedere d’ufficio il regolamento (art. 45 c.p.c.). Attività del convenuto. Il convenuto che sia stato regolarmente citato in giudizio dall’attore, può assumere nel giudizio stesso vari atteggiamenti, da cui dipende lo svolgimento del processo. Egli infatti può:  essere contumace (art. 291 c.p.c.): quando il convenuto non si costituisce in giudizio e non si presenta davanti al giudice. In tal caso è sufficiente ce l’attore fornisca la prova del suo diritto perché la domanda venga accolta (art. 2697 c.c.);  essere assente: quando il convenuto si costituisce (depositando in cancelleria la propria comparsa di costituzione e risposta), ma dopo questa attività iniziale rimane inerte e non compare davanti al giudice;  contestare la domanda: il convenuto si è costituito, è presente in giudizio e svolge la sua difesa contestando la fondatezza della domanda, negando l’esistenza dei fatti costitutivi o delle norme invocate dall’attore;  sollevare un’eccezione: il convenuto introduce l’esistenza di un fatto estintivo (es: pagamento), modificativo (es: novazione) o impeditivo (es: decadenza) del diritto dell’attore. L’onere della prova contraria incombe ovviamente su chi propone l’eccezione. Con l’eccezione, il fatto oggetto di giudizio resta nell’ambito della situazione giuridica dedotta nel processo dall’attore;  proporre domanda riconvenzionale: il convenuto introduce nel processo una situazione giuridica nuova e autonoma, collegata a quella dedotta nell’atto introduttivo dell’attore. Essa deve essere proposta, a pena di decadenza, nella comparsa di risposta depositata tempestivamente;  proporre domanda di accertamento incidentale: con essa il convenuto chiede al giudice di decidere, con sentenza idonea a passare in giudicato, una questione collegata pregiudizialmente alla domanda principale, al fine di neutralizzare quest’ultima. In tal caso il convenuto eccede dall’ambito della domanda attrice ed investe un rapporto più ampio, ponendo in tal modo una vera e propria domanda autonoma, diretta alla difesa (come scopo mediato) e all’accertamento del rapporto incidentale (come scopo immediato). I PRINCIPI DEL PROCESSO CIVILE Il processo, inteso come sequenza di atti finalisticamente collegati, è retto da alcuni principi che ne condizionano lo svolgimento. Essi sono:  Principio della domanda (art. 99 c.p.c.): chi vuol far valere un diritto in giudizio deve proporre domanda al giudice competente, terzo ed imparziale. Ai sensi dell’art. 24 Cost. “tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti ed interessi legittimi”.  Principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato (art. 112 c.p.c.): tale principio fissa un limite alla discrezionalità del giudice. “Il giudice deve pronunciare su tutta la domanda e non oltre i limiti di essa; e non può pronunciare d’ufficio su eccezioni, che possono essere proposte soltanto dalle parti”;  Principio del contraddittorio (art. 101 c.p.c.): il giudice, salvo che la legge disponga altrimenti, non può statuire sopra alcuna domanda, se la parte contro la quale è proposta non è stata regolarmente citata e non è comparsa. Tale principio configura quindi un riflesso del diritto di difesa sancito dall’art. 24 Cost. Con tale norma il legislatore ha voluto garantire una eguale posizione di tutte le parti dinnanzi al giudice (in ossequi al principio di uguaglianza sancito dall’art. 3 Cost.) ponendo le condizioni per il contraddittorio al fine di consentire al giudice una più ampia , articolata e veritiera visione dei fatti su cui si controverte. Se il giudice ritiene di porre a fondamento della decisione una questione rilevata d’ufficio, deve assegnare alle parti, a pena di nullità, un termine non inferiore a 20 giorni e non superiore a 40 dalla comunicazione di volersi riservare la decisione, per il deposito in cancelleria di memorie contenenti osservazioni sulla questione rilevata d’ufficio;  Principio dispositivo (art. 115 c.p.c.): il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal pubblico ministero. Al potere di proporre la domanda, si aggiunge l’onere per l’attore di fornire la prova dei fatti che giustificano le ragioni della domanda, così come il convenuto ha l’onere di provare i fatti su cui si fondano le eccezioni sollevate. La legge vieta al giudice, salvo rare eccezioni, di esperire indagini d’ufficio, sicché la raccolta del materiale probatorio è nella disponibilità delle parti. Il giudice deve porre a fondamento della decisione i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita.; è invece invariata la possibilità di porre a fondamento della decisione le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza (c.d. “fatti notori”).  Principio della libera valutazione delle prove (art. 116 c.p.c.): una volta addotte, le prove devono essere valutate dal giudice per essere acquisite al processo. La valutazione sulla veridicità e utilizzabilità della prova è fatta: • preventivamente dal legislatore: è il caso delle c.d. “prove legali”, quando il legislatore ha cristallizzato in una norma giuridica massime di esperienza, in base alle quali ha ritenuto astrattivamente valide determinate prove (es: confessione: il giudice deve limitarsi ad acquisirla, senza operare alcuna valutazione personale); • successivamente dal giudice: è il caso delle c.d. “prove libere”, valutate di volta in volta dal giudice secondo il suo prudente apprezzamento, in base a procedimenti logici e razionali;  Principio dell’onere della prova (art. 2697 c.c.): se il giudice non dispone di elementi probatori che dimostrino il fatto affermato dalle parti, è posto a carico di queste ultime l’onere di ricercarli e sottoporli all’esame dell’organo giudicante. L’art. 2697 c.c. afferma che “chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provarne i fatti che ne costituiscono il fondamento”; tale principio, quindi, rappresenta un corollario del principio della domanda;  Applicazione del diritto e giudizio di equità (artt. 113 e 114 c.p.c.): il giudice, nel decidere il caso concreto sottoposto al suo esame, è vincolato dalle norme del diritto. Esistono però dei casi nei quali il giudice può decidere secondo equità, adattando i principi giuridici alla particolarità del caso. Il giudice, cioè, può formulare la regola da applicare al caso concreto tenendo conto dei principi generali del diritto e delle regole etico-sociali diffuse nella coscienza comune. Il giudice può decidere secondo equità SOLO nei casi in cui la legge espressamente lo autorizzi, ovvero: • cause il cui valore non eccede i 1.100,00 Euro; • cause riguardanti diritti disponibili delle parti, quando queste ne facciano espressa richiesta;  Principio del “giusto processo” (art. 111 Cost.): il processo, innanzitutto, è giusto se è regolare sotto il profilo formale, ovvero se si svolge nel contraddittorio delle parti, in condizioni di parità, davanti ad un giudice terzo ed imparziale. Essenziali al giusto processo sono anche il requisito della “ragionevole durata” e quello della “equa riparazione” del soggetto che abbia subito un danno a causa dell’eccessiva durata del processo stesso. PLURALITA’ DI PARTI NEL PROCESSO (LITISCONSORZIO). Vi è litisconsorzio quando in un processo vi sono più attori (c.d. “litisconsorzio attivo”) oppure più convenuti (c.d. “litisconsorzio passivo”) oppure ancora più attori e più convenuti (c.d. “litisconsorzio misto”). Può essere:  originario: quando il processo inizia con una pluralità di parti;  successivo: quando in pendenza del processo si verifica l’ingresso di più soggetti per intervento o per unione di più cause. L’intervento in causa di un soggetto diverso dalle parti principali può essere: • volontario (art. 105 c.p.c.): è dovuto all’iniziativa spontanea del terzo e a sua volta si suddivide in: - principale: quando l’interveniente afferma un diritto proprio, in contrasto sia con l’attore che con il convenuto; - adesivo autonomo o litisconsortile: quando l’interveniente, pur facendo valere un diritto autonomo assume una posizione uguale a quella di una parte; - adesivo semplice o dipendente: è quello del terzo che partecipa al giudizio per sostenere le ragioni di una delle parti; • coatto (artt. 106 e 107 c.p.c.): a sua volta si suddivide in: - su istanza di parte: quando la parte chiama nel processo un terzo al quale ritiene la causa comune o dal quale pretende di essere garantita (c.d. “chiamata in garanzia”); - su ordine del giudice: il giudice può disporre l’intervento quando ritiene che il processo si debba svolgere nei confronti di un terzo al quale la causa sia comune;  necessario: quando la decisione non può essere pronunciata che nei confronti di più parti, benché il rapporto sostanziale sia unico. Se il giudizio viene promosso senza la presenza di tutti i litisconsorti, il giudice deve ordinare l’integrazione del contraddittorio in un termine perentorio da lui stabilito; se tale onere non viene adempiuto nel termine, il processo si estingue. Vi sono casi di litisconsorzio necessario previsti dalla legge (es: azione surrogatoria, azione di condanna al pagamento di un capitale gravato da usufrutto, azione di danneggiamento nei confronti del danneggiante e della compagnia di assicurazioni ecc..).  facoltativo: quando per ragioni pratiche più azioni vengono esercitate nello stesso processo. Il litisconsorzio facoltativo può essere: • proprio: quando più persone possono agire o essere convenute nello stesso processo, a condizione che tra le cause esista una connessione per oggetto o titolo; • improprio: quando la decisione dipende dalla risoluzione di identiche questioni. GLI ATTI PROCESSUALI Il processo, come vedremo, è costituito da una sequenza temporale e logica di atti, compiuti dai soggetti processuali, tra loro finalisticamente collegati per l’emanazione, ad opera dell’organo giudicante, del provvedimento finale. Gli atti processuali sono quindi gli atti posti in essere dai soggetti del processo secondo le norme del Codice di Procedura Civile e che hanno per conseguenza immediata la costituzione, la modifica o l’estinzione di un rapporto processuale. GLI ELEMENTI DEGLI ATTI PROCESSUALI. A) TIPI. Gli elementi degli atti processuali sono i seguenti:  causa: è l o scopo proprio dell’atto, ovvero il fine che l’atto processuale deve essere diretto a realizzare;  volontà: è quella di compiere l’atto, e non anche quella di raggiungere determinati effetti, che sono già predeterminati dalla legge. Da ciò consegue che l’atto processuale, una volta formato volontariamente, è produttivo di effetti (non avendo alcun rilievo l’intenzione del soggetto). Con riferimento alla volontà, gli atti possono essere: • semplici: se sono determinati dalla volontà di un solo soggetto; • collegiali: se risultano dalla volontà della maggioranza di più soggetti, costituenti un unico organo; • discrezionali: se sono espressione di una libertà di scelta del soggetto che li pone in essere; • vincolanti: se chi li pone in essere non ha alcuna libertà di scelta in ordine ad essi; • necessari: se costituiscono l’esplicazione di un onere gravante sul soggetto; • dovuti: se costituiscono l’adempimento di un obbligo gravante sul soggetto; • unilaterali o bilaterali: a seconda che siano espressione della volontà di una parte (es: citazione) o di due parti (es: rinuncia agli atti del giudizio).  Forma: è il complesso dei requisiti che gli atti processuali devono presentare con riferimento al modo di espressione delle attività, al luogo e al tempo in cui tali attività devono compiersi e, infine, al modo in cui le stesse devono essere portate a conoscenza dei destinatari. La forma degli atti più importanti e significativi del processo, generalmente, è stabilita dalla legge; eccezionalmente, la legge pone il principio della libertà della forma, in forza del quale gli atti per cui la legge non richiede forme determinate possono essere compiuti nella forma ritenuta dal soggetto più idonea per il raggiungimento dello scopo. In particolare, le norme vigenti in ordine alla forma sono le seguenti: • per quanto riguarda la lingua, è regola generale che gli atti del processo devono essere compiuti nella lingua italiana (art. 122 c.p.c.); • per quanto riguarda i mezzi di espressione delle attività processuali, questi possono essere la parola e/o lo scritto, secondo quanto di volta in volta prescritto dalla legge. Quando l’atto è orale, esso deve essere documentato nel processo verbale. B) TEMPO. Le condizioni di tempo vengono in rilievo sotto un duplice profilo:  come tempo necessario per lo svolgimento del processo: l’udienza. Esso è il periodo di tempo in cui il giudice siede in una sala dell’ufficio giudiziario e prende contatto diretto con le parti, i loro difensori e i terzi interessati al processo;  come tempo necessario per determinare l’ordine di compimento dei singoli atti processuali e ad assicurare l’ordine formale del procedimento: il termine. Il termine individua l’inizio e/o la fine di un determinato periodo di tempo prescritto per il compimento di un atto processuale. Il termine può essere: • legale: se è stabilito dalla legge; • giudiziale: se è stabilito dal giudice; • ordinatorio: se la sua decorrenza non comporta la decadenza del soggetto dal potere di compiere un atto; • perentorio: se la sua decorrenza comporta la decadenza del soggetto dal potere di compiere un atto. Il termine perentorio deve essere tale per espressa previsione di legge e non può essere abbreviato o prorogato, nemmeno in base all’accordo delle parti; • iniziale: indica il momento del tempo a partire dal quale un atto può essere compiuto; • finale: indica il momento del tempo oltre il quale un atto NON può più essere compiuto.; • dilatorio: indica il tempo che deve trascorrere prima che sia compiuto un atto per consentire alle parti e al giudice di prendere conoscenza degli eventi processuali. procedimento. Può essere pronunciata in udienza e fuori udienza. Normalmente è impugnabile e revocabile. Decreto (art. 135 c.p.c.) È un provvedimento che normalmente assolve ad un’attività preparatoria del processo o di vari atti del processo. Non presupponendo l’insorgere di questioni, di solito è reso senza contraddittorio tra le parti. È pronunciato d’ufficio o su istanza (anche verbale) di parte. Non è impugnabile né revocabile. A volte ordinatorio e senza motivazione D) Atti del cancelliere. Gli atti del cancelliere si dividono in:  processo verbale: atto redatto dl cancelliere in udienza, sotto la direzione del giudice, che descrive tutte le attività svolte, nonché le persone intervenute in udienza. Tale atto è importante in quanto è destinato ad avere rilevanza esterna;  comunicazioni: atti con i quali il cancelliere porta a conoscenza delle parti e degli altri soggetti determinati fatti del processo. A partire dal 30/06/2014 il deposito degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori avviene esclusivamente in modalità telematica. E) Atti dell’ufficiale giudiziario. L’ufficiale giudiziario è, insieme al cancelliere, l’altro ufficio complementare dell’organo giudiziario. Nell’ambito delle attività cui è preposto, di particolare rilievo è la notificazione con cui si porta a conoscenza di un determinato soggetto del rapporto processuale (escluso il giudice) l’esistenza di un atto a cui tale soggetto abbia interesse. Oggetto della notificazione è la copia conforme dell’atto originale. Il Codice di Procedura Civile disciplina vari tipi di notificazione:  in mani proprie;  ai naviganti e ai militari;  all’estero;  alle Amministrazioni dello Stato;  a persone giuridiche;  a mezzo del servizio postale;  a mezzo di posta elettronica certificata;  per pubblici proclami. INVALIDITA’ DEGLI ATTI PROCESSUALI. L’invalidità, essendo una categoria generale, comprende una vasta gamma di vizi (e una diversa intensità dei medesimi) che possono inficiare l’atto processuale. Essa abbraccia quindi ogni forma di vizio dell’atto, da quello che produce una mera irregolarità, a quello che determina la nullità o addirittura l’inesistenza dello stesso. Le invalidità disciplinate dal Codice di Procedura Civile sono infatti l’inesistenza, la nullità, l’irregolarità e la decadenza. A) Inesistenza. È inesistente l’atto processuale che manchi anche di quel minimo di elementi necessari affinché esso possa essere riconosciuto come tale. L’inesistenza è una patologia dell’atto processuale, che integra l’aspetto più intenso dell’invalidità; può essere fatta valere in ogni momento e NON può essere sanata dal passaggio in giudicato dalla sentenza (es: sentenza priva della sottoscrizione del giudice). B) Nullità. È nullo l’atto che manca di uno o di alcuni elementi prescritti dalla legge, ovvero l’atto che non è idoneo al raggiungimento dello scopo per cui è stato compiuto. Per esigenza di economia degli atti processuali (scelta legislativa) se l’atto, seppur viziato, raggiunge il suo scopo, la nullità è sanata (art. 156 comma 3 c.p.c.). La nullità può essere:  assoluta: deve essere dichiarata dal giudice e può essere rilevata in qualunque grado e stato del giudizio;  relativa (o annullabilità): non può essere rilevata d’ufficio ma solo su istanza di parte e, in particolare, solo di quella parte che ha interesse alla pronuncia e non abbia dato causa alla nullità stessa e non vi abbia rinunciato. La nullità inoltre si distingue in:  sanabile: la nullità può essere sanata (e l’atto produce quindi i suoi normali effetti) in due casi: • quando l’atto ha comunque raggiunto lo scopo cui era destinato; • quando la parte che potrebbe giovarsi della nullità non la deduce tempestivamente oppure rinuncia a valersene  insanabile: l’art. 158 c.p.c. dispone che la nullità derivante da vizi relativi alla costituzione del giudice o all’intervento del PM è insanabile e deve essere rilevata d’ufficio. Se una nullità è insanabile (oppure è sanabile ma non viene sanata) colpisce anche gli atti successivi all’atto nullo e da esso dipendenti, in quanto ad esso coordinati nell’ambito del procedimento. La nullità di un atto non comporta la nullità degli atti precedenti e di quelli successivi che ne sono indipendenti (c.d. “limiti esterni della nullità”); la nullità di una parte dell’atto non colpisce le altre parti che ne sono indipendenti (c.d. “limiti interni della nullità”). C) Irregolarità. L’atto è irregolare in tutti i casi in cui il difetto di un suo requisito non comporta nullità, in quanto non fa venir meno l’idoneità dell’atto stesso a conseguire il suo scopo. L’atto irregolare è sanabile in ogni stato del procedimento, per cui può essere corretto in ogni momento del processo. D) Decadenza. Si verifica nelle ipotesi di inosservanza di termini perentori; infatti l’atto compiuto dopo la scadenza di un termine perentorio è inefficace, essendosi estinto per decadenza del diritto a compierlo. Tale invalidità è assoluta e insanabile, salvi casi eccezionali in cui è ammessa la rimessione in termini (art. 294 c.p.c.) quando la parte dimostra di essere incorsa in decadenza per causa ad essa non imputabile COSTITUZIONE IN GIUDIZIO DELLE PARTI. a) costituzione dell’attore. La costituzione in giudizio è l’atto d’impulso processuale con la quale la parte si rende giuridicamente presente nel processo. L’attore, entro 10 giorni dalla notificazione della citazione al convenuto, deve costituirsi in giudizio a mezzo del procuratore, depositando in cancelleria la nota d’iscrizione a ruolo e il proprio fascicolo contenente l’originale della citazione (con la relata di notifica), la procura e i documenti offerti in comunicazione (prove). b) costituzione del convenuto. Il convenuto deve costituirsi in giudizio almeno 20 giorni prima dell’udienza di comparizione, depositando in cancelleria il fascicolo contenente la sua comparsa di costituzione e risposta. Essa deve:  proporre tutte le sue difese, prendendo posizione sui fatti posti dall’attore a fondamento della sua domanda. Se non contesta qualche fatto, il giudice lo ritiene sussistente, senza alcun bisogno di prova;  indicare i mezzi di prova di cui intende avvalersi e i documenti che deposita;  formulare le conclusioni, la cui totale assenza comporta l’inammissibilità dell’atto stesso;  a pena di decadenza deve proporre le eccezioni processuali e di merito non rilevabili d’ufficio dal giudice, le domande riconvenzionali e le chiamate in causa dei terzi. A norma dell’art. 171 c.p.c.:  se nessuna delle parti si costituisce in giudizio entro la prima udienza di comparizione e trattazione, il processo potrà essere riassunto entro 3 mesi dal termine fissato per la costituzione del convenuto o dalla data del provvedimento di cancellazione, altrimenti si estingue;  se una parte si costituisce nei termini e l’altra invece si costituisce direttamente alla prima udienza (quindi oltre i termini previsti per la sua costituzione) occorre distinguere: - se a costituirsi in udienza è il convenuto, quest’ultimo evita la contumacia ma non potrà più proporre domande riconvenzionali ed eccezioni non rilevabili d’ufficio, e dalla facoltà di chiedere l’autorizzazione a chiamare in causa un terzo; - se a costituirsi in udienza è l’attore, evita anch’egli la contumacia, ma a differenza del convenuto non incorre in nessuna decadenza;  se una parte si costituisce nei termini e l’altra non si costituisce affatto, quest’ultima è dichiarata contumace. Se è il convenuto a non essersi costituito a causa della nullità della notifica dell’atto di citazione, il giudice assegna all’attore un termine perentorio per rinnovare la notificazione. Designazione del giudice istruttore. Il giudice istruttore è il giudice a cui viene affidata l’istruzione della causa. Le modalità di designazione del giudice istruttore sono disciplinate dall’art. 168-bis c.p.c. Il giudice è designato con decreto del presidente del Tribunale; se il giorno designato non ha udienza nel giorno indicato dall’attore nell’atto di citazione, la causa è rinviata d’ufficio all’udienza successiva. Il giudice designato è inamovibile, ma può essere sostituito con decreto del presidente del Tribunale solo in caso di assoluto impedimento o di gravi esigenze di servizio. -------------------------------------------------------------------------- 2) FASE ISTRUTTORIA: l’istruzione della causa L’istruzione è quella fase del processo che serve alla raccolta degli elementi di giudizio che consentono al giudice di decidere la causa. Tale fase è dominata dalla figura del giudice istruttore, il quale svolge attività di coordinamento delle azioni processuali e attività di propulsione, cercando di dare concretezza ai principi di oralità, immediatezza e concentrazione. Giudice istruttore. I poteri del giudice istruttore possono raggrupparsi in 2 grandi gruppi:  direzione del procedimento: l’art. 175 c.p.c. afferma che “il giudice esercita tutti i poteri intesi al più sollecito e leale svolgimento del procedimento. Egli fissa tutte le udienze successive e i termini entro i quali le parti devono svolgere gli atti processuali”;  istruzione della causa: il giudice, sulle domande e sulle eccezioni delle parti, sentite le loro ragioni, dà in udienza i provvedimenti opportuni, oppure si riserva di pronunciarli, dandone poi comunicazione alle parti. Provvede inoltre all’assunzione dei mezzi di prova e, esaurita l’istruzione, rimette le parti al collegio (trattenendola presso sé se il giudice è monocratico oppure trasferendola al collegio se il giudice è collegiale) per la decisione (art. 188 c.p.c.). Poteri di ordinanza del giudice istruttore. Tutti i provvedimenti con cui il giudice istruttore esercita i poteri attribuitigli dalla legge, realizzando l’istruzione in senso ampio, assumono la forma dell’ordinanza (art. 176 c.p.c.). Le ordinanze del giudice istruttore si distinguono in:  ordinatorie (es: fissazione dell’udienza di rinvio);  decisorie (es: ammissibilità di un mezzo di prova, opportunità di chiamare in causa un terzo). Le ordinanze sono modificabili e la revocabili in qualsiasi momento dallo stesso giudice che l’ha pronunciata, ad eccezione dei seguenti casi:  ordinanze pronunciate su accordo delle parti in materia di cui esse possono disporre; per la revoca è necessario l’accordo delle parti;  ordinanze dichiarate espressamente non impugnabili dalla legge;  ordinanze per le quali la legge prevede uno specifico mezzo di reclamo. 2a) TRATTAZIONE Trattazione della causa. La trattazione della causa comprende tutte quelle attività preparatorie del giudizio, compiute dal giudice istruttore e dalle parti a mezzo dei loro difensori, dalla prima udienza fino al momento in cui la causa è rimessa al collegio per la decisione (esclusa solo l’attività istruttoria in senso stretto, ovvero l’acquisizione delle prove, che forma una fase a sé). Momenti della fase di trattazione. La Legge 534/1995 che aveva apportato una riforma al processo civile, distingueva nettamente tra udienza di comparizione e udienza di trattazione; la Riforma del 2005, ha invece accorpato in un’unica maxiudienza (c.d. “udienza di comparizione delle parti e trattazione della causa”) le attività che prima si svolgevano in 3 udienze (comparizione, trattazione e ammissione delle prove). In tale maxiudienza:  il giudice verifica d’ufficio la regolarità del contraddittorio, chiede alle parti i chiarimenti necessari e indica le questioni rilevabili d’ufficio delle quali ritiene opportuna la trattazione;  l’attore può proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto, e può essere autorizzato a chiamare in causa un terzo, se l’esigenza è sorta dalle difese del convenuto;  le parti possono precisare e modificare le domande,le eccezioni e le conclusioni già formulate; 2b) ISTRUZIONE PROBATORIA: acquisizione dei mezzi di prova Assunzione delle prove. L’istruzione probatoria è quella parte della fase istruttoria diretta a raccogliere le prove necessarie per la decisione delle questioni individuate e discusse in sede di trattazione. Le prove sono i mezzi processuali necessari per fornire la dimostrazione dell’esistenza di un fatto dedotto dalla parte. Ai sensi dell’art. 2697 c.c. “chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento. Chi eccepisce l'inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si e' modificato o estinto deve provare i fatti su cui l'eccezione si fonda”; se la parte non fornisce tale prova, soccombe nella causa (c.d. “onere della prova”). Gli organi competenti all’assunzione della prova sono:  Giudice istruttore; da solo, o con l’ausilio di un consulente tecnico;  Giudice del luogo in cui la prova va assunta: su delega del giudice istruttore;  Collegio: qualora se ne ravvisi la necessità. Salvo rari casi previsti dalla legge, il giudice non può andare alla ricerca dei mezzi che possano servire alla conoscenza dei fatti; sono infatti le parti, che devono porre le prove a fondamento delle loro pretese (c.d. “principio dispositivo”) L’assunzione della prova deve essere disposta dal giudice, con ordinanza, che fissa altresì il tempo, il luogo e le modalità; l’ordinanza che dispone l’assunzione di una prova, implica un suo giudizio di ammissibilità (ovvero è configurata come una delle prove previste dalla legge) e rilevanza (ovvero risulta utile ai fini dell’accertamento dei fatti di causa). Per quanto concerne la vera e propria assunzione dei mezzi di prova, vi provvede personalmente il giudice istruttore, il quale risolve eventuali questioni con ordinanza; il giudice o un suo assistente, inoltre, redige processo verbale sotto la direzione del giudice istruttore medesimo. Se non si presenta la parte su istanza della quale deve iniziarsi o proseguirsi la prova, essa decade dall‘assunzione (art. 208 c.p.c.), salvo che l’altra parte presente ne chieda l’assunzione. L’assunzione della prova si chiude (art. 209 c.p.c.) quando:  sono state espletate le prove ammesse;  viene dichiarata la decadenza dalle prove residue;  il giudice ritiene superflua l’ulteriore istruzione. I SINGOLI MEZZI DI PROVA. a) prova documentale. Esse si basano su un oggetto materiale idoneo a rappresentare o dare conoscenza di un fatto. Sono prove documentali: • atto pubblico (art.2699 c.c.): fa piena prova fino a querela di falso della provenienza del documento dal pubblico ufficiale e/o delle dichiarazioni avvenute in sua presenza; • scrittura privata (art. 2702 c.c.): qualsiasi documento sottoscritto dalla parte. Essa fa piena prova solo se colui contro il quale la scrittura è prodotta ne riconosce come propria la sottoscrizione; • verificazione della scrittura privata (artt. 214-220 c.p.c.): è il mezzo di prova mediante il quale una parte chiede di accertare l’autenticità della scrittura o della sottoscrizione di una scrittura privata, dopo che questa è stata disconosciuta dalla controparte, proponendo i mezzi di prova che ritiene utili e indicando le scritture che possono servire di comparazione. Sulla verificazione decide il Collegio con sentenza e, se riconosce che la sottoscrizione proviene dalla parte che l’ha disconosciuta, potrà condannare quest’ultima ad una pena pecuniaria. b) prove costituende. A differenza delle prove documentali (già precostituite prima dell’inizio del processo), le prove costituende sono quelle che vengono formate soltanto nel processo mediante l’assunzione del mezzo di prova. Le prove costituende sono le seguenti: b1) interrogatorio formale (artt. 228-232 c.p.c.): è il mezzo di prova che tende a provocare la confessione della parte (c.d. “confessione giudiziale”). Quest’ultima forma piena prova contro colui che l’ha fatta, purché non verta su fatti relativi a diritti indisponibili. La parte che intende far interrogare l’avversario deve proporre le domande, deducendo articoli separati e specifici. Il giudice istruttore, ammette l’interrogatorio con ordinanza. Se la parte che deve rispondere non si presenta oppure si rifiuta di rispondere senza giustificato motivo, il giudice potrà, valutato ogni altro elemento di prova, ritenere come ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio. Il c.d. “interrogatorio libero”, invece, si differenzia da quello formale ad istanza di parte, in quanto, mentre quest’ultimo è diretto a provocare dichiarazioni contrarie all’interesse dell’interrogato, il primo è diretto a spiegare al giudice le ragioni addotte da ciascuna parte. Le dichiarazioni rese non vengono verbalizzate e non assumono valore confessorio; il giudice ha la facoltà di avvalersi di tali dichiarazioni solo per corroborare prove già acquisite al processo o per disattenderle. B2) confessione (artt. 228-232 c.p.c.): è la dichiarazione di una parte sulla verità di fatti a sé sfavorevoli e favorevoli alla controparte. È un atto giuridico con efficacia probatoria e deve provenire da persona capace di disporre del diritto a cui i fatti si riferiscono. La confessione può essere: • giudiziale: quando e resa in giudizio e forma piena prova contro colui che l’ha fatta. La confessione giudiziale può essere spontanea oppure provocata dall’interrogatorio formale. • stragiudiziale: quando è resa fuori dal giudizio. b3) giuramento (artt. 233-243 c.p.c.): è la dichiarazione con cui una parte asserisce come vero un fatto, nella forma solenne prevista dalla legge; esso comporta che un fatto si ritiene pienamente e definitivamente provato (c.d. “prova legale”). Il giuramento può essere di due specie: • decisorio: è quello che una parte deferisce all’altra, per farne dipendere la decisione totale o parziale della causa. La parte a cui è stato deferito il giuramento può riferirlo all’avversario, cioè sfidare a sua volta il deferente a giurare fino a quando non abbia dichiarato di essere pronto a giurare; • suppletorio: è quello deferito d’ufficio dall’organo giudicante ad una delle parti al fine di decidere la causa, quando la domanda o le eccezioni sono sono pienamente provate, ma non sono nemmeno del tutto sfornite di fondamento. Una particolare specie di esso è il c.d “giuramento estimatorio”, che serve a stabilire il valore della cosa domandata, se non si può accertarlo altrimenti. b4) prova testimoniale (artt. 244-257 c.p.cp): è la narrazione al giudice dei fatti della causa, nel corso del processo e con determinate forme, da soggetti terzi rispetto al processo stesso (ovvero da soggetti diversi dalle parti) ed estranei agli interessi in contesa. Essa non è un mezzo di prova molto sicuro, in quanto le percezioni dei testimoni spesso mancano di precisione ed esattezza. I limiti posti dalla legge all’ammissibilità della prova per testimoni sono: • è esclusa quando si controverte di un atto per il quale la forma scritta è richiesta ad substantiam; • non è ammessa quando abbia per oggetto un contratto, un pagamento o una remissione di debito per un valore superiore ad Euro 2,58; • non è ammessa, indipendentemente dal valore, se ha per oggetto patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento, qualora si alleghi che la stipulazione è stata anteriore o contemporanea. Qualora si dimostri, invece, che il patto aggiunto o contrario è stato stipulato dopo la formazione del documento, il giudice può consentire la prova per testimoni in base al criterio della verosimiglianza.  sentenze non definitive: sono quelle che non definiscono il giudizio, il quale proseguirà nel merito. Ciò avviene: • quando il giudice respinge l’eccezione di incompetenza o il difetto di giurisdizione; • quando il giudice rigetta eccezioni pregiudiziali o preliminari di merito; • quando il giudice accerta l’esistenza generica di un diritto ad una prestazione (an debeatur) e quindi rimetta la causa per l’accertamento del quantum; • quando il giudice, investito della decisione su più domande, emette sentenza non definitiva su alcune domande già mature e quindi dispone, con separata ordinanza, i provvedimenti istruttori che reputa necessari per le altre domande;  ordinanze: l’ordinanza del giudice può essere: • autonoma: quando si limita ad emettere un provvedimento istruttorio, senza decidere con sentenza alcuna questione; • dipendente: quando accompagna ad essa una sentenza non definitiva, disponendo per il proseguo del giudizio. In questo caso l’ordinanza è un provvedimento anche formalmente distinto dalla sentenza. Esecutività della sentenza di primo grado. Gli artt. 282 e 283 c.p.c. dispongono che le sentenze di primo grado sono provvisoriamente esecutive tra le parti. La provvisoria esecutività può essere sospesa dal giudice d’appello se ricorrono gravi e fondati motivi, anche in relazione alla possibilità di insolvenza di una delle parti, su istanza della parte interessata. Se però l’istanza è inammissibile o manifestamente infondata, il giudice con ordinanza non impugnabile può condannare la parte che l’ha proposta ad una pena pecuniaria. L’ordinanza è revocabile solo con la sentenza che definisce il giudizio. A seguito del deposito della sentenza il cancelliere ne dà comunicazione telematica ai difensori delle parti costituite. La parte che ha interesse a far decorrere il termine breve di 30 giorni per l’impugnazione, deve notificare la sentenza all’altra parte (altrimenti il termine per impugnare è di 6 mesi dalla data della sentenza). Procedimento di correzione. Per quanto riguarda il contenuto della sentenza, gli errori materiali, le omissioni e i meri errori di calcolo dovuti ad una semplice disattenzione o svista del giudice nella redazione del provvedimento (sentenze, ordinanze o decreti) possono essere corretti mediante un particolare procedimento, disciplinato dagli artt. 287 ss c.p.c. Alla correzione provvede, su istanza di parte, con decreto o con ordinanza, lo stesso giudice che ha redatto la sentenza. Possono essere corrette per errore materiale o di calcolo, con il procedimento ex artt. 287 ss c.cp.c. anche le sentenze della Corte di Cassazione, nonché le ordinanze pronunciate ai sensi dell’art. 375 c.p.c. PECULIARITA’ DEL GIUDIZIO DI COGNIZIONE INNANZI AL GIUDICE DI PACE Il D. Lgs. 51/1998 ha definito la normativa di istituzione del Giudice unico di primo grado, disponendo la soppressione dell’Ufficio del Pretore e il trasferimento delle relative competenze al Tribunale. Il Codice di Procedura Civile dedica il Titolo II del Libro II al procedimento innanzi al Giudice di Pace. L’obiettivo fondamentale perseguito dal legislatore della riforma del 1998 è stato quello di costruire il processo davanti al Giudice “laico” come un processo ispirato al principio di oralità, estremamente concentrato e fortemente semplificato in funzione di una definizione più rapida. Peculiarità del procedimento davanti al Giudice di Pace. Il procedimento dinnanzi al Giudice di Pace si svolge secondo le regole generali del procedimento di cognizione di primo grado dinnanzi al Tribunale (vedi capitoli precedenti), salvo le seguenti particolarità:  la domanda introduttiva può essere proposta anche verbalmente: di essa il Giudice fa redigere processo verbale che, a cura dell’attore, è notificato con citazione a comparire a udienza fissa (art. 316 c.p.c.);  le parti possono stare in giudizio personalmente, nelle cause di valore fino a Euro 1.100 (per cause di valore superiore serve l’autorizzazione del Giudice). La parte potrà inoltre farsi rappresentare da persona non professionalmente qualificata;  tra il giorno della notificazione e quello della comparizione devono intercorrere non meno di 45 giorni se il convenuto è in Italia, non meno di 75 giorni se è all’estero (rispetto al processo ordinario in Tribunale i termini a comparire sono quindi ridotti alla metà);  la costituzione delle parti è semplificata rispetto alla previsione degli artt. 165 e 166 c.p.c.; di conseguenza entrambe le parti possono costituirsi fino alla prima udienza;  nel corso della prima udienza le parti vengono interrogate liberamente; se la conciliazione non riesce, il Giudice di Pace invita le parti a precisare definitivamente i fatti che esse pongono a fondamento della domanda, della difesa e delle eccezioni. Se lo richiede l’attività svolta dalle parti nella prima udienza, il giudice fissa, per una sola volta, una nuova udienza per ulteriori produzioni e richieste di prova. Il regime di preclusioni che caratterizza il processo davanti al Tribunale, è previsto anche per quello del Giudice di Pace; soddisfare un proprio interesse, diverso da quello dell’impugnazione principale. Esse presuppongono una soccombenza, seppur parziale. Presupposti, termini e acquiescenza. Il potere di impugnare la sentenza nasce nel processo ed è assolutamente indipendente dall’azione. Esso presuppone:  la qualità di parte nel giudizio (tranne che per l’opposizione di terzo);  l’interesse all’impugnazione: deriva dalla soccombenza, totale o parziale, nella causa. La soccombenza consiste nel fatto che la pronuncia del giudice non corrisponde, in tutto o in parte, a quanto richiesto dal soggetto;  l’impugnabilità della sentenza: sono impugnabili tutte le sentenze definitive e non definitive, tranne quelle che hanno pronunciato esclusivamente sulla competenza (per le quali può proporsi, ovviamente, solo il regolamento di competenza). Inoltre, l’art. 11 Cost. ha sancito la ricorribilità per Cassazione di tutti i provvedimento a contenuto decisorio. La legge stabilisce termini perentori entro le quali l’impugnazione deve essere proposta, a pena di decadenza; conseguentemente la tardività della proposizione è rilevabile d’ufficio e non sanabile nemmeno per accordo delle parti. Il termine per proporre l’appello, la revocazione e l’opposizione di terzo è di 30 giorni dalla data di notificazione della sentenza, 60 giorni per il ricorso in Cassazione, sempre a partire dalla data di notificazione della sentenza (questi sono i c.d. “termini brevi”). In mancanza della notifica della sentenza, inizia a decorrere il termine generale di 6 mesi dalla pubblicazione della sentenza (c.d. “termine lungo”). Colui che sarebbe nelle condizioni di poter impugnare la sentenza non può, tuttavia, farlo se vi ha fatto “acquiescenza”, ovvero se ha tenuto un comportamento univoco incompatibile con la volontà di impugnarla. L’acquiescenza può consistere (art. 329 c.p.c.):  nell’accettazione espressa o nell’espressa dichiarazione di non voler impugnare la sentenza (c.d. “acquescenza espressa”);  in un contegno incompatibile con la volontà di impugnare, come ad esempio dare esecuzione spontanea ad un contratto la cui risoluzione costituiva l’oggetto della domanda (c..d “acquiescenza tacita”). L’acquiescenza si differenzia dalla rinuncia all’impugnazione (art. 338 c.p.c.) perché nel primo caso il potere di impugnare non è stato ancora esercitato, mentre nel secondo, dopo il suo esercizio, se ne dispone rinunciandovi. Il litisconsorzio nelle impugnazioni. Nell’ipotesi in cui nel giudizio di primo grado vi si stata una pluralità di parti (c.d. “litisconsorzio”) il Codice ha espressamente previsto il principio dell’unanimità del procedimento d’impugnazione, disponendo che tutte le impugnazioni proposte separatamente contro la stessa sentenza debbono essere riunite, anche d’ufficio, in un solo processo (art. 335 c.p.c.). Ispirandosi a tale principio, nel caso di pluralità di legittimati attivi o passivi, il Codice distingue se la causa, nel grado nel quale fu pronunziata la sentenza, era scindibile o inscindibile:  L’ 331 c.p.c. prevede che se la sentenza pronunciata tra più parti in causa inscindibile o in cause tra loro dipendenti, non è stata impugnata nei confronti di tutte, il giudice ordina l'integrazione del contraddittorio issando il termine nel quale la notificazione deve essere fatta e, se è necessario, l'udienza di comparizione. L'impugnazione è dichiarata inammissibile se nessuna delle parti provvede all'integrazione nel termine fissato.  L’art 332 c.p.c. stabilisce invece se l'impugnazione di una sentenza pronunciata in cause scindibili è stata proposta soltanto da alcuna delle parti o nei confronti di alcune di esse, il giudice ne ordina la notificazione alle altre, in confronto delle quali l'impugnazione non è preclusa o esclusa, fissando il termine nel quale la notificazione deve essere fatta e, se è necessario, l’udienza di comparizione. La notificazione ordinata dal giudice non avviene, il processo rimane sospeso fino a che non siano decorsi i termini previsti negli articoli 325 e 327primo comma. La sentenza nel processo di impugnazione. Il primo comma dell’art. 336 c.p.c. detta la regola del c.c. “effetto espansivo interno”, il quale consiste nell’estensione immediata dell’efficacia della riforma in appello o della Cassazione anche ai capi della sentenza non espressamente investiti dall’impugnazione, ma collegati a quelli impugnati da un rapporto di dipendenza; se invece non sussiste un siffatto rapporto, sui capi non espressamente impugnati scenderà, ovviamente, il giudicato. Il secondo comma dell’art. 336 c.p.c. prevede invece il c.d. “principio espansivo esterno”, in virtù del quale la riforma in appello o in Cassazione determina la caducazione immediata degli atti esecutivi posti in essere in base alla sentenza di primo grado impugnata, cadacazione non più subordinata al passaggio in giudicato della sentenza di secondo grado. La ratio della norma va individuata nell’intento di bloccare il ricorsi per Cassazione meramente dilatori, ossia proposti al solo fine di differire gli effetti della riforma in Appello. L’APPELLO Concetti e caratteri. L’appello è il più ampio mezzo di impugnazione, in quanto è concesso alla parte per il solo fatto di essere rimasta soccombente. Con l’appello si ha un totale riesame della controversia decisa dal giudice di primo grado e non solo il riesame di particolari vizi che inficerebbero la sentenza, come per gli altri mezzi di impugnazione (c.d. “principio del doppio grado di giurisdizione”). L’appello non rappresenta quindi una prosecuzione del giudizio di primo grado, ma un vero e proprio giudizio di verifica (sono infatti vietate nuove domande, eccezioni e prove). L’appello presenta le seguenti caratteristiche:  ha natura di gravame: comporta cioè un riesame totale della controversia ed è sempre concesso alla parte soccombente;  ha effetto devolutivo: devolve al nuovo giudice la cognizione dello stesso rapporto sostanziale conosciuto dal primo giudice. Il soccombente pertanto potrà ottenere una nuova pronuncia che, anziché riformare o revocare, si sovrappone ad essa, prendendone il posto. L’effetto devolutivo tuttavia non p automatico ma è limitato alle domande e alle eccezioni riproposte in appello;  non dà vita ad un nuovo processo, ma costituisce la verifica del processo di primo grado. Sono appellabili tutte le sentenze pronunciate in primo grado. Esiste tuttavia una differenza tra:  sentenze definitive: vale la regola dell’impugnazione nei termini prescritti (in ossequio al principio della certezza del diritto);  sentenze non definitive: la parte può o fare appello immediato nei termini, o fare riserva di appello insieme alla sentenza definitiva. Tale riserva non può farsi (o se fatta rimane senza effetto) se la sentenza definitiva è appellata immediatamente da alcuna delle altre parti. Son invece inappellabili:  le sentenze pronunciate secondo equità ex art. 114 c.p.c.;  le sentenze del Giudice di Pace pronunciate secondo equità nelle cause il cui valore non eccede i 1.100, a meno che con l’impugnazione si faccia valere la violazione delle norme sul procedimento, norme costituzionali o comunitarie, o principi regolatori della materia (c.d. “appello a critica vincolata”); Rinvio al giudice di primo grado. Il giudice d’appello deve rinviare la causa al giudice di primo grado nei seguenti casi:  quando il primo giudice abbia negato la giurisdizione che, secondo il giudice d’appello, gli competeva;  quando è dichiarata nulla la notificazione della citazione introduttiva, il che comporta l’irregolare dichiarazione di contumacia avvenuta nel giudizio di primo grado;  quando in primo grado doveva essere integrato il contraddittorio o non doveva essere estromessa la parte;  quando è dichiarata la nullità della sentenza di primo grado per mancanza di sottoscrizione;  quando il primo giudice ha dichiarato l’estinzione del processo e il giudice d’appello riformi la sentenza. IL RICORSO PER CASSAZIONE Il ricorso per Cassazione è un mezzo di impugnazione che non dà luogo, a differenza dell’Appello, ad una nuova valutazione del merito della causa, ma solo ad un riesame delle attività processuali che hanno portato alla sentenza impugnata, nonché del giudizio di diritto reso con la sentenza stessa. Il ricorso per Cassazione non ha effetto sospensivo né devolutivo e dà luogo ad un nuovo ed autonomo processo, distinto dal giudizio di merito di primo e di secondo grado (la Cassazione è giudice della sola legittimità ovvero è solo giudice del diritto). La Corte di Cassazione è unica per tutto il territorio della Repubblica Italiana ed ha sede in Roma. Impugnabilità delle sentenze. Possono essere impugnate per Cassazione:  le sentenze del giudice ordinario pronunciate in grado di appello o in unico grado (quando non è ammesso l’appello);  le sentenze appellabili del Tribunale quando le parti siano d’accordo per omettere l’appello. In questo caso il ricorso è ammesso solo per violazione o falsa applicazione delle norme di diritto e dei contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro;  le sentenze e i provvedimenti che incidono su diritti soggettivi e siano idonei al giudicato, emessi da giudici ordinari o speciali in grado di appello o in unico grado, che siano impugnabili per violazione di legge;  i provvedimenti di primo grado contro i quali è stato proposto appello dichiarato inammissibile;  ricorso contro le decisioni dei giudici speciali per motivi attinenti alla giurisdizione o per violazione di legge;  conflitti di giurisdizione fra giudici speciali e giudici ordinari;  conflitti di attribuzione della giurisdizione fra Pubbliche Amministrazioni e giudice ordinario;  ricorso per regolamento di giurisdizione (deciso a Sezioni Unite);  ricorso per regolamento di competenza. Fondamento dell’impugnativa. Il ricorso per Cassazione è ammesso solo contro gli errori di diritto contenuti nella sentenza. Tali errori possono essere di 2 tipi:  errores in iudicando (vizi di giudizio): sono gli errori in cui è incorso il giudice nell’individuazione e applicazione delle norme concernente il rapporto giuridico dedotto in giudizio. I vizi di giudizio sono quelli nascenti da violazione o falsa applicazione di una norma di diritto sostanziale e di contratti o accordi collettivi nazionali di lavoro;  errores in procedendo (vizi di attività): sono gli errori di carattere procedurale, attinenti cioè all’osservanza delle norme giuridiche che regolano lo svolgimento del processo. I vizi di attività sono: • motivi attinenti alla giurisdizione; • violazione delle norme sulla competenza, quando non è prescritto il regolamento necessario di competenza; • nullità della sentenza o del procedimento; • omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio, che è stato oggetto di discussione tra le parti. Il ricorso in Cassazione è dichiarato inammissibile:  quando il provvedimento impugnato ha deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisdizione della Corte e l’esame dei motivi non offre elementi per confermare o mutare l’orientamento della stessa;  quando è manifestamente infondata la censura relativa alla violazione dei principi regolari del giusto processo. Ricorso in Cassazione.  per quanto concerne il contenuto del ricorso ricordiamo: • indicazione delle parti; • indicazione della procura rilasciata a difensore; • indicazione della sentenza o della decisione impugnata; • esposizione sommaria dei fatti di causa; • indicazione dei motivi per i quali si chiede l’annullamento della sentenza e delle norme di diritto sui quali si fondano; • specifica indicazione degli atti processuali, dei documenti e dei contratti o accordi collettivi sui quali si fonda;  per quanto concerne gli adempimenti: • il ricorso deve essere notificato all’altra parte entro 60 giorni dalla notifica della sentenza o, se questa non fu notificata, entro 6 mesi dalla pubblicazione; • deposito del ricorso presso la Cancelleria della Corte di Cassazione entro 20 giorni dall’ultima notificazione alle parti contro le quali è proposto;  per quanto riguarda gli atti che devono essere depositati insieme al ricorso ricordiamo: • eventuale decreto di concessione del gratuito patrocinio; • copia autentica della sentenza o della decisione impugnata, con relazione di notifica; • procura speciale, se conferita con atto separato dal ricorso; • gli atti processuali, i documenti, i contratti o accordi collettivi sui quali il ricorso si fonda. La parte contro la quale è diretto il ricorso, se intende contraddire, deve farlo mediante controricorso (art. 370 c.p.c.); è un atto scritto che deve avere i medesimi contenuti del ricorso (corrisponde alla comparsa di risposta nel giudizio di merito. Può avere solo contenuto difensivo e non deve contenere censure alla sentenza impugnata (la sua unica funzione, infatti, è resistere al gravame avversario). Il controricorso deve essere notificato al ricorrente nel domicilio eletto entro 20 giorni dalla scadenza del termine stabilito per il deposito del ricorso. Deve essere depositato in cancelleria insieme ai documenti dei quali la parte intende avvalersi e con la procura entro 20 giorni dalla notificazione. Il ricorso per Cassazione NON sospende l’esecuzione della sentenza impugnata; l’art. 367 c.p.c. stabilisce infatti che la sospensione del processo di merito è prevista solo se il giudice ritenga la contestazione della giurisdizione non manifestamente infondata. REVOCAZIONE Caratteri generali. La revocazione è un mezzo di impugnazione diretto contro un vizio della volontà del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata; tale vizio è fondato sull’esistenza di particolari circostanze che, se fossero state conosciute dal giudice, avrebbero portato ad un giudizio differente. La revocazione può essere:  ordinaria: quando impedisce il passaggio in giudicato della sentenza, essendo proponibile entro 30 giorni dalla notificazione della stessa;  straordinaria: quando è proponibile anche dopo il passaggio in giudicato della sentenza. Sono impugnabili per revocazione le sentenze pronunciate in unico grado (inappellabili), in grado d’appello e le sentenze della Cassazione. È proponibile la revocazione straordinaria anche nei confronti di altri provvedimenti a contenuto decisorio: decreto ingiuntivo, sentenza arbitrale, sentenza dichiarativa di fallimento e ordinanza di convalida dello sfratto. Motivi della revocazione. I motivi sono tassativamente indicati dall’art. 395 c.p.c. La revocazione è ammessa: 1) se la sentenza è l’effetto del dolo di una parte in danno dell’altra; 2) se il giudice ha deciso in base a prove riconosciute o dichiarate false; 3) se dopo la sentenza sono stati uno o più documenti decisivi, non prodotti per causa di forza maggiore o per fatto dell’avversario; 4) se la sentenza è l’effetto di errore di fatto risultante dagli atti e documenti della causa; 5) se la sentenza è contraria ad altra precedente avene autorità di giudicato tra le parti; 6) se la sentenza è l’effetto del dolo del giudice, accertato con sentenza passata in giudicato. Termini e legittimazione. I termini per la revocazione sono fissati in:  30 giorni dalla notifica della sentenza per i casi di revocazione n.4 e n.5;  30 giorni dalla scoperta del dolo o della falsità, dal recupero del documento o dal passaggio in giudicato della sentenza che accerta il dolo del giudice, negli altri casi. Legittimato attivo nell’impugnazione per revocazione è la parte soccombente; legittimato passivo, è l’altra parte. Anche il PM è legittimato, quando la sentenza è stata pronunciata senza la sua preventiva audizione,o quando la sentenza è effetto della collusione delle parti diretta a frodare la legge. Procedimento. La domanda si propone con citazione davanti allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata (inteso, ovviamente, come Ufficio Giudiziario e non come medesima persona fisica). Il procedimento è quello ordinario e si svolge:  prima con una fase rescindente: in cui si valuta l’esistenza o meno del motivo di revocazione;  poi con una fase rescissoria: in cui è deciso il merito della causa. Il procedimento si conclude con sentenza, che può essere di rigetto, di accoglimento, di inammissibilità o improcedibilità. Contro di essa sono ammessi i normali mezzi d’impugnazione, tranne la revocazione. OPPOSIZIONE DI TERZO Caratteri generali. L’opposizione di terzo (art. 404 c.p.c.) è un mezzo di impugnazione straordinario (in quanto proponibile nonostante il passaggio in giudicato della sentenza), concesso al terzo per rimuovere gli effetti pregiudizievoli che una sentenza, pronunciata tra altre parti, può avere sulla sua sfera giuridica. L’opposizione di terzo presenta alcune caratteristiche eccezionali:  è proponibile da chi non fu parte nel processo, ma terzo rispetto al giudizio sfociato nella sentenza impugnata;  è un rimedio facoltativo, in quanto la sua mancata proposizione non determina preclusioni. Infatti, le ragioni non fatte valere con opposizione di terzo possono essere tutelate con altri strumenti giuridici (es: eccezione di inopponibilità della sentenza pronunciata inter alios; autonoma azione di accertamento finalizzata alla dichiarazione della inopponibilità della sentenza al terzo e della sussistenza del diritto di quest’ultimo ecc..). L’opposizione di terzo può essere:  ordinaria: è quella concessa ai terzi che siano titolari di un diritto assolutamente incompatibile con il diritto dichiarato nella sentenza pronunciata inter alios, oppure incompatibile con un diritto dipendente dal titolo in base al quale il diritto dichiarato nella sentenza fu fatto valere;  revocatoria: è quella concessa ai terzi (creditori a aventi causa di una delle parti) che soffrirebbero un pregiudizio di fatto, quando la sentenza sfavorevole al loro debitore o dante causa, sia stata pronunciata a loro danno per effetto di dolo o collusione tra le parti. Procedimento. La sentenza, per essere opponibile dal terzo, deve essere passata in giudicato o deve essere quantomeno esecutiva. La competenza appartiene allo stesso giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata. Le forme del procedimento sono quelle da osservare davanti al giudice presso cui è proposta l’opposizione. L’opposizione ordinaria non è soggetta a termini; l’azione revocatoria, invece, deve essere proposta sempre entro 30 giorni. Il giudice, nel decidere sull’opposizione, potrà:  dichiarare inammissibile o improcedibile la stessa per motivi di rito;  rigettare l’opposizione per infondatezza dei motivi di merito;  accogliere l’opposizione dichiarando l’illegittimità della sentenza nei confronti del terzo. Limiti del giudicato. I limiti del giudicato possono essere:  oggettivi: si riferiscono all’oggetto della sentenza e alla causa petendi. La cosa giudicata si forma su tale oggetto in relazione alla causa petendi e non anche sulle questioni eventualmente presentatesi in corso di causa e risolte incidenter quantum. Il giudicato copre il dedotto e il deducibile in relazione all’oggetto della domanda, nel senso che il giudicato esclude che si possano far valere questioni che potrebbero porre in discussione il contenuto della sentenza, anche se non proposta ed esaminata nel processo.  soggettivi: la cosa giudicata fa stato solo tra le parti del processo, i loro eredi e aventi causa. Essa deve essere riconosciuta da tutti, ma i suoi effetti non si estendono ai terzi. IL PROCESSO DI ESECUZIONE IN GENERALE Il processo di esecuzione tende all’attuazione coattiva di un diritto di credito già accertato, in sede di cognizione oppure stragiudizialmente, ma non eseguito spontaneamente dalla parte soccombente. Per tale motivo il titolare del diritto esercita l’azione esecutiva ottenendo la soddisfazione della sua pretesa, anche contro la volontà del debitore. Soggetti dell’attività processuale esecutiva. I soggetti ai quali fa capo l’attività processuale esecutiva sono:  l’organo esecutivo: è l’Ufficio giudiziario operante sotto il controllo del giudice dell’esecuzione;  il creditore: è colui che propone la domanda esecutiva, esercitando la relativa azione, quasi come l’attore nel processo di cognizione;  il debitore:è colui che subisce l’esecuzione di un diritto altrui già accertato, in quanto, ai sensi dell’art. 2740 c.c., il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni assunte con tutti i suoi beni, presenti e futuri. Caratteri dell’attività processuale esecutiva. I caratteri specifici del processo di esecuzione sono i seguenti:  il contraddittorio è atipico: la convocazione delle parti è disposta dal giudice dell’esecuzione quando la ritiene necessaria o quando la legge la prescrive, ed avviene non per costituire un formale contraddittorio ma solo per il migliore svolgimento del processo. Solo se i debitore o un altro soggetto (es. terzo) propone opposizione, si apre un giudizio di cognizione che ha ad oggetto l’esistenza o le modalità di esecuzione;  la domanda all’organo esecutivo (Ufficiale Giudiziario) è proposta verbalmente o per iscritto;  la volontà dell’organo esecutivo consiste in una serie di operazioni materiali (es: accesso presso la casa del debitore e apprensione dei beni), mentre quella del giudice consiste in una serie di provvedimenti formali (ordinanze o decreti);  il particolare presupposto formale è il c.d. “titolo esecutivo”;  la legittimazione attiva è la titolarità ed attualità del diritto sancito nel titolo esecutivo posto a base dell’esecuzione. Competenza. L’art. 9 c.p.c. sancisce la competenza esclusiva del Tribunale in composizione monocratica, in materia di esecuzione forzata in generale, senza distinzione tra espropriazione mobiliare ed espropriazione immobiliare (come avveniva prima della riforma del giudice unico). Per quanto riguarda la competenza territoriale (art. 26 c.p.c.):  è competente il giudice del luogo in cui si trovano i beni mobili, se si tratta di esecuzione su beni mobili o immobili;  è competente il giudice del luogo di residenza del terzo debitore, nel caso di espropriazione di crediti;  è competente il giudice del luogo dove l’obbligo deve essere adempiuto, nell’esecuzione degli obblighi di fare e non fare. Per quanto concerne la competenza per valore (art. 17 c.p.c.):  nelle cause di opposizione del debitore, la competenza è determinata in base al valore del credito per cui si procede;  nelle cause di opposizione di terzi, la competenza è determinata in base al valore dei beni controversi;  nelle controversie sorte in sede di distribuzione, la competenza è determinata in base al valore del maggiore dei crediti contestati. Vari tipi del processo di esecuzione. Il processo di esecuzione si distingue in:  espropriazione forzata per crediti di denaro o esecuzione forzata in forma generica: consistente nel procedimento esecutivo diretto a sottrarre coattivamente al debitore determinati beni facenti parte del suo patrimonio e trasformali in denaro da destinare alla soddisfazione del credito. Può consistere anche nell’assegnazione coattiva della titolarità dei crediti del debitore al creditore, sempre al soddisfacimento delle sue pretese. L’espropriazione generica si suddivide in: • espropriazione mobiliare presso il debitore (artt. 513-542 c.p.c.); • espropriazione presso terzi (artt. 543-554 c.p.c.); • espropriazione immobiliare (artt. 555-598 c.p.c.); • espropriazione di beni indivisi (artt. 599-601 c.p.c.); • espropriazione contro il terzo proprietario (artt. 602-604 c.p.c.).  esecuzione forzata in forma specifica. Si suddivide in: • esecuzione per consegna di cosa mobili o rilascio di immobili (artt. 605-611 c.p.c.): consiste nel processo esecutivo diretto a far conseguire al creditore la materiale disponibilità di una determinata cosa mobile o immobile, oggetto della consegna o del rilascio; • esecuzione forzata di obblighi di fare o non fare: consiste nel procedimento esecutivo diretto all’esecuzione di una sentenza di Non contenendo alcuna domanda giudiziale, il precetto può essere sottoscritto dalla parte personalmente, da un mandatario ad negotia o da un mandatario ad litem. Il difetto di sottoscrizione, anche se non è motivo di nullità, è deducibile con l’opposizione dell’intimato. La nullità della notificazione del titolo esecutivo e del precetto non può mai comportare l’esclusione del diritto all’esecuzione ma, eventualmente, solo la necessità di una nuova rituale notifica. Tuttavia ogni vizio, anche di nullità, che investe la notificazione del precetto, rimane sanato per effetto dell’opposizione dell’intimato. Il precetto diviene inefficace se l’esecuzione non inizia entro 90 giorni dalla sua notificazione; tale termine è previsto a pena di decadenza e non può mai essere superiore alla misura massima prevista dalla legge. Il termine è tuttavia sospeso, se contro il precetto viene proposta opposizione ai sensi degli artt. 615 ss c.p.c., e riprende a decorrere, per la parte dei 90 giorni che residua:  dal passaggio in giudicato della sentenza di primo grado che decide l’opposizione;  dalla comunicazione della sentenza di appello che respinge l’opposizione. Ai sensi del’art. 482 c.p.c. l’esecuzione forzata non si può iniziare prima che sia decorso il termine indicato nel precetto e, in ogni caso, non prima che siano decorsi 10 giorni dalla notificazione di esso; il Presidente del Tribunale competente per l’esecuzione o un giudice da lui delegato, se vi è pericolo nel ritardo, può autorizzare l’esecuzione immediata, con cauzione o senza. L’autorizzazione viene data con decreto scritto in calce al precetto e trascritto a cura dell’Ufficiale Giudiziario nella copia da notificarsi. Il mancato rispetto di tale termine dilatorio determina la nullità insanabile del pignoramento eseguito, a nulla rilevando il fatto che il debitore non abbia adempiuto dopo il decorso di esso. Il giudice dell’esecuzione. L’organo direttivo del processo di esecuzione è il giudice dell’esecuzione (G.E.), la cui funzione si esplica attraverso:  potere di ordinanza: in seguito a ricorso, anche orale, delle parti. Le ordinanze emesse nel corso del processo esecutivo possono essere modificate o revocate dallo stesso giudice dell’esecuzione fino a quando non abbiano avuto esecuzione;  potere di audizione degli interessati: esercitato mediante la fissazione di un’udienza apposita, con decreto comunicato dal cancelliere. Il giudice dell’esecuzione ha poteri più estesi rispetto al giudice istruttore. Le due funzioni esaminate possono cumularsi in quelle parentesi di cognizione che, nel processo esecutivo, sono rappresentate dalle opposizioni; qui il G.E. decide in funzione di unico giudice, senza rimessione della causa al Collegio. Con la riforma del giudice unico (02-06-1999) giudice dell’esecuzione è sempre il Tribunale in composizione monocratica (mai i l Giudice di Pace). Il G.E. viene nominato al momento della formazione del c.d. “fascicolo dell’espropriazione”, contenente, all’inizio, il titolo esecutivo e l’atto di precetto notificati e il pignoramento effettuato (art. 488 c.p.c.). Delega delle operazioni di vendita. Per ottenere l’alleggerimento del carico di procedimenti gravanti sui giudici, il legislatore ha previsto la delegabilità ai notai e ad altri professionisti (es: avvocati e commercialisti) delle operazioni di vendita con incanto, ora considerata il modello principale per la vendita dei beni. La delega è prevista sia nel caso di esecuzione di beni immobili, sia di beni mobili registrati; è prevista la possibilità per le parti di rivolgersi al giudice dell’esecuzione in caso di contestazione all’operato del professionista. Il professionista provvede alla determinazione del valore del bene, all’incanto, alla formazione del progetto di distribuzione ecc; provvede altresì ad avvisare sia i creditori sugli elementi della vendita (divisione in lotti, prezzo, data dell’incanto) sia il giudice circa il mancato versamento del prezzo. La delega ai professionisti, non è totale poiché non solo resta il controllo del giudice sul loro operato, ma nel caso di opposizioni (artt. 615-617 c.p.c) che attivano il procedimento contenzioso, si riespande interamente la funzione ordinaria del G.E. L’ESPROPRIAZIONE FORZATA L’espropriazione forzata è quel tipo di processo esecutivo costituito da un complesso di atti diretti a sottrarre coattivamente al debitore determinati beni facenti parte del suo patrimonio e a convertirli in denaro, con cui soddisfare il creditore. Essa quindi è una forma di esecuzione indiretta, a differenza dell’esecuzione in forma specifica, che può definirsi diretta in quanto avente ad oggetto proprio il bene dovuto, sottratto al debitore e consegnato al creditore. Tipi di espropriazione. In relazione all’oggetto, e cioè a seconda che riguardi beni mobili o beni immobili, l’espropriazione può essere:  mobiliare: ha per oggetto beni mobili: A sua volta può dirigersi: • nei confronti del debitore: se i beni mobili sono nella sua disponibilità diretta; • nei confronti di terzi: se i beni mobili del debitore sono nella disponibilità diretta di un terzo o se oggetto dell’espropriazione è un credito del debitore verso terzi;  immobiliare: ha per oggetto beni immobili. FASI DELL’ESPROPRIAZIONE FORZATA. Il procedimento di espropriazione (artt. 483 – 512 c.p.c.) si svolge attraverso 3 fasi:  pignoramento;  vendita o assegnazione del bene pignorato;  distribuzione del bene ricavato. 1) PIGNORAMENTO. Il pignoramento è l’atto con cui inizia ogni forma si espropriazione (solo nel caso in cui i beni da pignorare siano soggetti a pegno o ipoteca il creditore procedente può chiedere la vendita o l’assegnazione, anche senza che tale richiesta sia preceduta dal pignoramento). Il pignoramento consiste in un’ingiunzione che l’Ufficiale Giudiziario fa al debitore di astenersi da qualunque atto diretto a sottrarre alla garanzia del credito i beni che si assoggettano all’espropriazione. Scopo del pignoramento è quindi vincolare i beni da assoggettare all’esecuzione, ossia sottrarli alla libera disponibilità del debitore. L’Ufficiale Giudiziario, quando constata che i beni assoggettati a pignoramento appaiono insufficienti per la soddisfazione del creditore procedente, invita il debitore ad indicare altri beni utilmente pignorabili ed il luogo in cui si trovano. • il debitore che chiede la conversione deve depositare in cancelleria, unitamente all’istanza, la somma corrispondente ad 1/5 dell’importo dei crediti per i quali è stato eseguito il pignoramento o proposto intervento; • è ammessa la possibilità del pagamento rateale della somma (per un massimo di 18 mesi) in caso di espropriazione immobiliare; • l’istanza di conversione può essere avanzata una sola volta, a pena di inammissibilità;  chiedere la c.d. “riduzione del pignoramento”: quando il valore dei beni pignorati è superiore all’importo delle spese e dei crediti. La riduzione del pignoramento deve essere chiesta al giudice e viene da lui disposta con ordinanza. Il pignoramento perde efficacia se l’assegnazione o la vendita non sono chieste entro 90 giorni dal suo compimento; tale termine è perentorio, ovvero, prescritto a pena di decadenza. Il termine rimane sospeso nel caso di opposizione agli atti esecutivi; se invece vi è opposizione all’esecuzione, la sospensione non ha luogo automaticamente, la deve essere ordinata dal giudice. Nel processo esecutivo è ammesso l’intervento di altri creditori. In tal caso il creditore che ha assunto l’iniziativa viene chiamato “creditore procedente”, mentre tutti gli altri creditori sono detti “creditori intervenuti”. È inoltre previsto il c.d. “avviso ai creditori” che sui beni abbiano un diritto di prelazione (art. 498 c.p.c.). il nostro Codice accoglie i seguenti principi generali per il caso in cui l’esecuzione debba servire a più creditori:  sullo stesso bene è ammesso un solo processo di esecuzione;  i creditori intervenuti, se muniti di titolo esecutivo, possono provocare i singoli atti espropriativi nell’inerzia del creditore procedente;  in sede di distribuzione del prezzo tutti i creditori sono, per il principio della “par condicio creditorum”, in condizioni di parità, salvo coloro che godono di cause di prelazione (privilegi ed ipoteche). L’intervento dei creditori può avvenire in 2 forme:  partecipazione all’atto di pignoramento: in casi di pignoramenti contemporanei su un medesimo bene, si procede all’unione degli stessi in un unico pignoramento. In caso di pignoramenti successivi, tutti i pignoramenti sono trattati in un unico processo, mediante inserimento dei vari fascicoli in uno solo. Nel caso di pignoramento successivo tardivo (=effettuato dopo l’udienza fissata per l’autorizzazione della vendita o dell’assegnazione, o dopo la presentazione del ricorso per l’assegnazione o la vendita qualora il valore dei beni pignorati non superi Euro 20.000), il debitore copignorante partecipa alla distribuzione della somma ricavata dopo che è stato soddisfatto il creditore procedente  partecipazione alla distribuzione della somma ricavata: possono intervenire nell’esecuzione i creditori che non sono divenuti copignoranti, ovvero: • i creditori muniti di titolo esecutivo, anche se il loro credito è sorto dopo il pignoramento , i quali partecipano alla distribuzione della somma ricavata; • i creditori privi di titolo esecutivo, i quali, al momento del pignoramento, avevano già un credito qualificato (=avevano eseguito un sequestro sui beni pignorati, avevano un diritto di pegno o prelazione, o erano titolari di un credito di somma di denaro risultante da scritture contabili). I creditori intervenuti hanno il diritto di:  partecipare all’espropriazione (presentando osservazioni e istanze al giudice);  provocare gli atti esecutivi (es: formulare istanza di vendita, chiedere la distribuzione del ricavato ecc..);  partecipare alla distribuzione della somma ricavata; L’intervento del creditore può essere tempestivo o tardivo: la differenza rileva ai fini della collocazione dei creditori in sede di distribuzione della somma o dei beni. 2) VENDITA E ASSEGNAZIONE. Per il realizzo del credito, il creditore procedente (o altro creditore intervenuto, munito di titolo esecutivo) deve ottenere la liquidazione dei beni oggetto di espropriazione, ossia la trasformazione di tali beni in denaro. Egli ha 2 possibilità:  fare istanza per la vendita dei beni pignorati;  fare istanza per la loro assegnazione in pagamento. Tale alternativa è possibile:  in via preventiva: solo nell’espropriazione mobiliare di titoli di credito o di quelle cose aventi valore determinato o determinabile;  in via successiva: solo dopo che siano falliti gli esperimenti di vendita. L’istanza può essere presentata solo 10 giorni dopo il pignoramento. Il giudice competente fissa l’udienza per l’autorizzazione della vendita o per l’assegnazione; tale udienza fissa il momento preclusivo per l’intervento tempestivo. In essa, inoltre, sono decise tutte le opposizioni agli atti esecutivi; restano invece ancora proponibili le opposizioni all’esecuzione e le opposizioni di terzi. Si procede quindi alla vendita, la quale può essere all’incanto o senza incanto. Il creditore pignorante può chiedere l’assegnazione, ossia l’attribuzione diretta del bene pignorato al fine di soddisfare il suo credito. L’assegnazione (atto concorrente alla vendita) è rimessa alla discrezione dei creditori, entro i seguenti limiti:  nell’espropriazione mobiliare: • l’assegnazione può essere chiesta fin dall’inizio per i titoli di credito o per quei beni il cui valore risulti da listino di borsa o mercato; • per tutti gli altri beni (ad eccezione di quelli in oro o argento), non può essere chiesta l’assegnazione in caso di esisto negativo del primo incanto, ma deve essere fissato un nuovo incanto a un prezzo inferiore di 1/5 rispetto a quello precedente;  nell’espropriazione immobiliare: l’assegnazione può essere chiesta solo 10 giorni prima della data dell’incanto; se la vendita non ha luogo per mancanza di offerte, essa concorre con l’amministrazione giudiziale o con un nuovo incanto;  nell’espropriazione mobiliare presso terzi: l’assegnazione è l’unica forma satisfattoria prevista quando il terzo si dichiara debitore di somme di denaro immediatamente esigibili o esigibili in un termine non superiore a 90 giorni. La vendita e l’assegnazione sono considerati atti processuali condizionati, in quanto posti in essere sotto condizione sospensiva:  in caso della vendita, la condizione sospensiva è data dal versamento del prezzo (nel modo e nel termine fissato);  in caso dell’assegnazione, la condizione sospensiva è data dal deposito della parte di prezzo eccedente il credito dell’assegnatario, o dal versamento della somma non inferiore al valore minimo del bene, o dal prezzo determinato dal valore dell’immobile. Una volta che la condizione si è verificata, il giudice potrà pronunciare il provvedimento che trasferisce la proprietà del bene. Con tale provvedimento si verificano:  effetti sostanziali. Essi sono: • se manca l’accordo o l’approvazione del giudice, il piano di distribuzione della somma ricavata è formato dal giudice. LE OPPOSIZIONI L’opposizione è il rimedio esperibile dal debitore o dal terzo nel caso in cui esso di duole di aver subito la lesione di un suo diritto in conseguenza di un atto di esecuzione che ritiene ingiusto. l’esecuzione, una volta proposta, dà luogo ad un ordinario processo di cognizione autonomo, che si inserisce nell’ambito di un processo di esecuzione come un incidente. Tipi di opposizione. Il Codice di Procedura Civile disciplina i seguenti tipi di opposizione:  opposizioni proponibili dall’esecutato (debitore o terzo assoggettato all’esecuzione) e comprendono: • opposizione all’esecuzione (artt. 615 e 616 c.p.c.); • opposizione agli atti esecutivi (artt. 617 e 618 c.p.c.);  opposizione di terzi, estranei all’esecuzione, ma che vantano diritti sui beni esecutati (artt. 619 – 622 c.p.c.). Tutte queste opposizioni presentano alcune caratteristiche comune:  si fondano sulla pretesa illegittimità dell’esecuzione nella sostanza o nella forma; nel primo caso operano contro l’esecuzione nel suo complesso, nel secondo caso operano contro singoli atti esecutivi;  operano solo su istanza di parte e mai di ufficio;  danno luogo a giudizi di cognizione, che possono provocare la sospensione del processo esecutivo fino alla decisione sull’opposizione. LE OPPOSIZIONI DELL’ESECUTATO. Le opposizioni proponibili dal debitore o dal terzo assoggettato all’esecuzione sono di 2 tipi: opposizione all’esecuzione e opposizione agli atti esecutivi. A) L’opposizione all’esecuzione. L’opposizione all’esecuzione consiste nella contestazione, da parte del debitore, del diritto della parte istante a procedere ad esecuzione forzata. Essa consiste nell’impugnare l’azione esecutiva per una questione di merito, deducendo l’ingiustizia dell’esecuzione perché, ad esempio, priva di titolo esecutivo oppure relativa a determinati beni dei quali il debitore affermi l’impignorabilità. Con l’opposizione all’esecuzione si contesta, in sostanza, che nel caso concreto non concorrano le condizioni dell’azione esecutiva. Tali condizioni possono riguardare:  inesistenza, originaria o sopravvenuta, del titolo esecutivo;  inidoneità soggettiva del titolo a fondare l’esecuzione ad opera di quel soggetto o contro quel soggetto (es: l’esecutato nega la sua qualità di erede);  inidoneità del titolo a fondare quel tipo di esecuzione (es: esecuzione dell’obbligo di fare sulla base di un titolo stragiudiziale). Sono legittimati a proporre opposizione:  legittimato attivamente: è il soggetto passivo dell’esecuzione ossia l’esecutato (debitore o terzo assoggettato all’esecuzione) o anche un suo creditore, quale suo sostituto processuale ex art. 2900 c.c.;  legittimato passivamente: è il soggetto attivo dell’esecuzione, cioè il creditore procedente. Gli altri creditori sono legittimati a contraddire solo nel senso che possono intervenire volontariamente nella causa o essere chiamati ad intervenire per comunanza di controversia. L’opposizione al precetto si propone con citazione davanti al giudice competente, che può sospendere l’efficacia esecutiva del titolo. Alla prima udienza di comparizione il giudice fissa un termine perentorio per il giudizio di merito e quando la causa è matura decide con sentenza. Se invece il giudice si dichiara incompetente, rimette le parti davanti all’Ufficio Giudiziario competente, assegnando un termine perentorio per la riassunzione. Se invece l’opposizione è successiva rispetto all’inizio dell’esecuzione, il soggetto legittimato presenta ricorso al giudice dell’esecuzione, anche oralmente in udienza; il giudice fissa con decreto l’udienza di comparizione e il termine perentorio per la notifica alla controparte, dopodiché quando la causa è matura decide nel merito con sentenza. Se invece il giudice si dichiara incompetente, rimette le parti davanti all’Ufficio Giudiziario competente, assegnando un termine perentorio per la riassunzione. B) L’opposizione agli atti esecutivi. L’opposizione agli atti esecutivi consiste nella contestazione della regolarità formale del titolo esecutivo, del precetto o degli altri atti del procedimento di esecuzione. Essa quindi è diretta a sollevare una questione puramente processuale, impugnandosi con essa il singolo atto esecutivo, di cui si sostiene l’invalidità. L’opposizione in questione, pertanto, può essere diretta:  a contestare la regolarità formale degli atti del processo, ovvero: • la regolarità formale del titolo esecutivo e del precetto; • la regolarità formale della notificazione del titolo esecutivo e del precetto, e quella dei singoli atti esecutivi;  a contestare l’opportunità degli atti esecutivi. Sono legittimati a proporre opposizione:  legittimato attivamente: è il debitore o terzo proprietario assoggettato all’esecuzione, il creditore pignorante e gli intervenuti, e i terzi che si trovano ad essere coinvolti nel processo esecutivo (es: terzi detentori di cose del debitore ecc..);  legittimato passivamente: è il soggetto che ha compiuto l’atto al quale si oppone. Per quanto concerne il procedimento:  l’opposizione anteriore all’inizio dell’esecuzione, con la quale si fa valere l’irregolarità formale del titolo esecutivo o del precetto, deve essere proposta entro il termine perentorio di 20 giorni dal momento in cui è stato compiuto l’atto contro il quale essa si dirige. Essa va proposta con citazione davanti al giudice competente per l’esecuzione (giudice della residenza dichiarata o del domicilio eletto nel precetto; in mancanza, giudice del luogo ove il precetto è stato notificato). L’istruzione avviene secondo le norme generali e la decisione viene assunta con sentenza non impugnabile;  opposizione anteriore all’inizio dell’esecuzione, con la quale si fa valere l’irregolarità formale dei singoli atti di esecuzione, deve essere proposta entro il termine perentorio di 20 giorni dal momento in cui è stato compiuto l’atto contro il quale essa si dirige. Essa va proposta con ricorso davanti al giudice dell’esecuzione. Il giudice può prendere i provvedimenti opportuni e indilazionabili nei casi urgenti e può sospendere la procedura quando lo ritiene opportuno. L’istruzione avviene secondo le norme generali e la decisione viene assunta con sentenza non impugnabile.
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