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RIASSUNTI SCHEMATICI Procedura Civile 1: processo ordinario di cognizione e procedimenti speciali, Appunti di Diritto Processuale Civile

• PROCESSO ORDINARIO DI COGNIZIONE (fase introduttiva, trattazione, acquisizione probatoria, fase decisoria) • PROCESSO DI ESECUZIONE ED ESPROPRIAZIONE FORZATA • ACCENNO AI PROCEDIMENTI SPECIALI (SOMMARI E CAUTELARI) • IL PROCEDIMENTO DI INGIUNZIONE • IL PROCEDIMENTO PER CONVALIDA DI SFRATTO • IL PROCEDIMENTO SOMMARIO DI COGNIZIONE • I PROCEDIMENTI DI VOLONTARIA GIURISDIZIONE.

Tipologia: Appunti

2018/2019

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Scarica RIASSUNTI SCHEMATICI Procedura Civile 1: processo ordinario di cognizione e procedimenti speciali e più Appunti in PDF di Diritto Processuale Civile solo su Docsity! PROCEDURA CIVILE 1: riassunti schematici • PROCESSO ORDINARIO DI COGNIZIONE (fase introduttiva, trattazione, acquisizione probatoria, fase decisoria) • PROCESSO DI ESECUZIONE ED ESPROPRIAZIONE FORZATA • ACCENNO AI PROCEDIMENTI SPECIALI (SOMMARI E CAUTELARI) • IL PROCEDIMENTO DI INGIUNZIONE • IL PROCEDIMENTO PER CONVALIDA DI SFRATTO • IL PROCEDIMENTO SOMMARIO DI COGNIZIONE • I PROCEDIMENTI DI VOLONTARIA GIURISDIZIONE (separazione fra coniugi, interdizione e inabilitazione, amministrazione di sostegno, ordini di protezione contro gli abusi familiari). IL PROCESSO ORDINARIO DI COGNIZIONE: Il processo di cognizione ordinario è quel “processo tipo” svolto dinnanzi al Tribunale (o al Giudice di Pace), in cui il giudice viene chiamato:  ad accertare le situazioni di fatto esistenti tra le parti in controversia;  a individuare la norma giuridica che deve essere applicata alla fattispecie;  a decidere con sentenza, definendo la questione sorta. Le fasi del processo di cognizione sono 3:  fase preparatoria o introduttiva: riguarda la costituzione in giudizio delle partii e la formazione dei fascicoli d’ufficio e di parte;  fase istruttoria: comprende a sua volta 2 sottofasi: • trattazione: attività diretta all’esposizione e alla discussione della domanda e delle eccezioni; • istruzione probatoria: attività diretta all’acquisizione delle prove, svolta dal giudice nel contraddittorio delle parti;  fase decisoria: caratterizzata dall’emissione della sentenza del giudice 1) FASE PREPARATORIA: l’introduzione della causa La causa è introdotta con la proposizione e notificazione della domanda; segue la costituzione in giudizio delle parti e la designazione del giudice istruttore. Proposizione della domanda. La domanda si propone con le forme proprie dell’atto di citazione, che è un atto unico, unilaterale e doppiamente recettizio (diretto al convenuto e al giudice). La funzione della citazione è duplice:  citare in causa colui nei cui confronti l’attore intende far valere un proprio diritto (c.d. “vocatio in ius”). A tal fine la domanda dell’attore deve: • indicare il Tribunale davanti al quale la domanda è proposta; • indicare le generalità dell’attore e del convenuto (compreso c.f.); • indicare il proprio difensore e la sua PEC; • indicare il giorno, il mese e l’anno dell’udienza di comparizione; • invitare il convenuto a costituirsi almeno 20 giorni prima la data di comparizione, a pena di decadenze di cui all’art. 167 c.p.c. (impossibilità di proporre domande riconvenzionali ed eccezioni non rilevabili d’ufficio, impossibilità di chiamare in causa un terzo);  chiedere al giudice la tutela di un proprio diritto attraverso l’indicazione dei fatti e delle ragioni poste a base della proria domanda (c.d. “editio actionis”). Sotto questo profilo, l’atto di citazione deve contenere: • determinazione della cosa oggetto della domanda, ossia del diritto di cui si chiede la tutela (c.d. “petitum mediato”); • esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni. Termini. La legge fissa i termini minimi per comparire, che devono necessariamente intercorrere tra la data di notifica della citazione e quella della prima udienza di comparizione e trattazione della causa. Essi sono:  90 giorni: se il luogo di notificazione è in Italia;  150 giorni: se il luogo di notificazione è all’estero. Questi termini sono previsti al fine di consentire al convenuto di preparare una difesa adeguata. Per ragioni di urgenza il presidente del Tribunale può, si istanza dell’attore, abbreviare i termini sino alla metà. 2) FASE ISTRUTTORIA: l’istruzione della causa L’istruzione è quella fase del processo che serve alla raccolta degli elementi di giudizio che consentono al giudice di decidere la causa. Tale fase è dominata dalla figura del giudice istruttore, il quale svolge attività di coordinamento delle azioni processuali e attività di propulsione, cercando di dare concretezza ai principi di oralità, immediatezza e concentrazione. Giudice istruttore. I poteri del giudice istruttore possono raggrupparsi in 2 grandi gruppi:  direzione del procedimento: l’art. 175 c.p.c. afferma che “il giudice esercita tutti i poteri intesi al più sollecito e leale svolgimento del procedimento. Egli fissa tutte le udienze successive e i termini entro i quali le parti devono svolgere gli atti processuali”;  istruzione della causa: il giudice, sulle domande e sulle eccezioni delle parti, sentite le loro ragioni, dà in udienza i provvedimenti opportuni, oppure si riserva di pronunciarli, dandone poi comunicazione alle parti. Provvede inoltre all’assunzione dei mezzi di prova e, esaurita l’istruzione, rimette le parti al collegio (trattenendola presso sé se il giudice è monocratico oppure trasferendola al collegio se il giudice è collegiale) per la decisione (art. 188 c.p.c.). Poteri di ordinanza del giudice istruttore. Tutti i provvedimenti con cui il giudice istruttore esercita i poteri attribuitigli dalla legge, realizzando l’istruzione in senso ampio, assumono la forma dell’ordinanza (art. 176 c.p.c.). Le ordinanze del giudice istruttore si distinguono in:  ordinatorie (es: fissazione dell’udienza di rinvio);  decisorie (es: ammissibilità di un mezzo di prova, opportunità di chiamare in causa un terzo). Le ordinanze sono modificabili e la revocabili in qualsiasi momento dallo stesso giudice che l’ha pronunciata, ad eccezione dei seguenti casi:  ordinanze pronunciate su accordo delle parti in materia di cui esse possono disporre; per la revoca è necessario l’accordo delle parti;  ordinanze dichiarate espressamente non impugnabili dalla legge;  ordinanze per le quali la legge prevede uno specifico mezzo di reclamo. 2a) TRATTAZIONE Trattazione della causa. La trattazione della causa comprende tutte quelle attività preparatorie del giudizio, compiute dal giudice istruttore e dalle parti a mezzo dei loro difensori, dalla prima udienza fino al momento in cui la causa è rimessa al collegio per la decisione (esclusa solo l’attività istruttoria in senso stretto, ovvero l’acquisizione delle prove, che forma una fase a sé). Momenti della fase di trattazione. La Legge 534/1995 che aveva apportato una riforma al processo civile, distingueva nettamente tra udienza di comparizione e udienza di trattazione; la Riforma del 2005, ha invece accorpato in un’unica maxiudienza (c.d. “udienza di comparizione delle parti e trattazione della causa”) le attività che prima si svolgevano in 3 udienze (comparizione, trattazione e ammissione delle prove). In tale maxiudienza:  il giudice verifica d’ufficio la regolarità del contraddittorio, chiede alle parti i chiarimenti necessari e indica le questioni rilevabili d’ufficio delle quali ritiene opportuna la trattazione;  l’attore può proporre le domande e le eccezioni che sono conseguenza della domanda riconvenzionale o delle eccezioni proposte dal convenuto, e può essere autorizzato a chiamare in causa un terzo, se l’esigenza è sorta dalle difese del convenuto;  le parti possono precisare e modificare le domande,le eccezioni e le conclusioni già formulate;  il giudice, se le parti ne fanno richiesta, concede: • un termine di 30 giorni per il deposito delle memorie limitate alle sole precisazioni o modificazioni delle domande, delle eccezioni e delle conclusioni già proposte; • un termine di ulteriori 30 giorni per replicare alle domande ed eccezioni nuove, o modificate dall’altra parte, per proporre le eccezioni che sono conseguenza delle domande e delle eccezioni medesime, e per l’indicazione dei mezzi di prova e delle produzioni documentali;  il giudice provvede, in udienza o con provvedimento adottato fuori udienza, sulle richieste istruttorie delle parti, fissando l’udienza per l’assunzione delle prove (ammissibili e rilevanti) e può disporre d’ufficio mezzi di prova. Nel corso della prima udienza, per quanto riguarda la comparizione delle parti, possono verificarsi le seguenti ipotesi:  mancata comparizione di entrambe le parti: il giudice fissa una nuova udienza. Se anche alla nuova udienza le parti non compaiono, il giudice ordina la cancellazione della causa dal ruolo e dichiara l’estinzione del processo;  mancata comparizione dell’attore costituito: se il convenuto non chiede che si proceda, il giudice fissa una nuova udienza e, se l’attore non compare e il convenuto non chieda che si proceda, il giudice ordina la cancellazione della causa dal ruolo e dichiara l’estinzione del processo;  mancata comparizione del convenuto costituito: il processo prosegue;  mancata comparizione di entrambe le parti nel corso del processo: il giudice fissa una nuova udienza. Se anche alla nuova udienza le parti non compaiono, il giudice ordina la cancellazione della causa dal ruolo e dichiara l’estinzione del processo. Sviluppi successivi alla trattazione. Successivamente alla prima udienza, la causa potrebbe già presentarsi matura per la decisione, non necessitando dell’acquisizione probatoria; il giudice istruttore, quindi, rimette la causa in decisione. Di solito, però, la causa ha natura più complessa. Infatti:  verificandosi una questione pregiudiziale (es: competenza) con priorità logica rispetto alla decisione finale oppure una questione preliminare attinente al merito, il giudice può decidere discrezionalmente se rimettere la causa in decisione oppure accantonare tali questioni e procedere all’istruzione, rinviando il tutto a quando potrà essere deciso anche il merito;  rendendosi necessaria l’indagine istruttoria, il giudice istruttore procede all’ammissione delle prove e alla loro assunzione. Provvedimenti anticipatori di condanna. La riforma del 1990 ha introdotto la possibilità per il giudice istruttore di emettere provvedimenti di condanna in corso di causa, che anticipano gli effetti dell’eventuale sentenza di condanna, essendo automaticamente ed immediatamente esecutivi. Tali provvedimenti pur presentando le qualità tipiche dell’ordinanza istruttoria, hanno valore decisorio-finale (sopravvivono anche in caso di estinzione del processo). Il giudice istruttore, su istanza di parte e fino al momento della precisazione della conclusione, può disporre: far interrogare l’avversario deve proporre le domande, deducendo articoli separati e specifici. Il giudice istruttore, ammette l’interrogatorio con ordinanza. Se la parte che deve rispondere non si presenta oppure si rifiuta di rispondere senza giustificato motivo, il giudice potrà, valutato ogni altro elemento di prova, ritenere come ammessi i fatti dedotti nell’interrogatorio. Il c.d. “interrogatorio libero”, invece, si differenzia da quello formale ad istanza di parte, in quanto, mentre quest’ultimo è diretto a provocare dichiarazioni contrarie all’interesse dell’interrogato, il primo è diretto a spiegare al giudice le ragioni addotte da ciascuna parte. Le dichiarazioni rese non vengono verbalizzate e non assumono valore confessorio; il giudice ha la facoltà di avvalersi di tali dichiarazioni solo per corroborare prove già acquisite al processo o per disattenderle. B2) confessione (artt. 228-232 c.p.c.): è la dichiarazione di una parte sulla verità di fatti a sé sfavorevoli e favorevoli alla controparte. È un atto giuridico con efficacia probatoria e deve provenire da persona capace di disporre del diritto a cui i fatti si riferiscono. La confessione può essere: • giudiziale: quando e resa in giudizio e forma piena prova contro colui che l’ha fatta. La confessione giudiziale può essere spontanea oppure provocata dall’interrogatorio formale. • stragiudiziale: quando è resa fuori dal giudizio. b3) giuramento (artt. 233-243 c.p.c.): è la dichiarazione con cui una parte asserisce come vero un fatto, nella forma solenne prevista dalla legge; esso comporta che un fatto si ritiene pienamente e definitivamente provato (c.d. “prova legale”). Il giuramento può essere di due specie: • decisorio: è quello che una parte deferisce all’altra, per farne dipendere la decisione totale o parziale della causa. La parte a cui è stato deferito il giuramento può riferirlo all’avversario, cioè sfidare a sua volta il deferente a giurare fino a quando non abbia dichiarato di essere pronto a giurare; • suppletorio: è quello deferito d’ufficio dall’organo giudicante ad una delle parti al fine di decidere la causa, quando la domanda o le eccezioni sono sono pienamente provate, ma non sono nemmeno del tutto sfornite di fondamento. Una particolare specie di esso è il c.d “giuramento estimatorio”, che serve a stabilire il valore della cosa domandata, se non si può accertarlo altrimenti. b4) prova testimoniale (artt. 244-257 c.p.cp): è la narrazione al giudice dei fatti della causa, nel corso del processo e con determinate forme, da soggetti terzi rispetto al processo stesso (ovvero da soggetti diversi dalle parti) ed estranei agli interessi in contesa. Essa non è un mezzo di prova molto sicuro, in quanto le percezioni dei testimoni spesso mancano di precisione ed esattezza. I limiti posti dalla legge all’ammissibilità della prova per testimoni sono: • è esclusa quando si controverte di un atto per il quale la forma scritta è richiesta ad substantiam; • non è ammessa quando abbia per oggetto un contratto, un pagamento o una remissione di debito per un valore superiore ad Euro 2,58; • non è ammessa, indipendentemente dal valore, se ha per oggetto patti aggiunti o contrari al contenuto di un documento, qualora si alleghi che la stipulazione è stata anteriore o contemporanea. Qualora si dimostri, invece, che il patto aggiunto o contrario è stato stipulato dopo la formazione del documento, il giudice può consentire la prova per testimoni in base al criterio della verosimiglianza. La prova testimoniale è invece sempre ammessa: - quando preesiste un principio di prova per iscritto; - quando il contraente è stato nell’impossibilità materiale o morale di procurarsi una prova scritta; - quando il contraente ha perso, senza sua colpa, il documento che gli forniva la prova. La testimonianza deve essere dedotta, dalla parte che la propone, con indicazione specifica delle persone da interrogare e dei fatti da chiedere; b5) esibizione (artt. 210-213 c.p.c): il giudice, su istanza di parte, ha istanza di ordinare alla parte o ad un terzo di esibire in giudizio un documento o altra cosa di cui ritenga necessaria l’acquisizione, purché ciò possa avvenire senza grave danno della parte o del terzo, e senza costringere gli stessi a violare il segreto d’ufficio o professionale. Se la parte o il terzo si rifiuta di esibire, il giudice può trarre da tale rifiuto argomenti di prova. La procedura per l’esibizione può essere esperita d’ufficio anche nei confronti della Pubblica Amministrazione. b5) ispezione (artt. 258-260): il giudice ha il potere di ordinare l’ispezione di luoghi, persone o cose, mobili o immobili. È disposta dal giudice istruttore che ne fissa il tempo, il modo e il luogo, e vi procede personalmente anche se l’ispezione deve eseguirsi fuori dalla circoscrizione del Tribunale. Il giudice istruttore può farsi assistere da un consulente tecnico, se sono necessarie particolari cognizioni tecniche (es: il giudice istruttore può disporre riproduzioni, calchi, esperimenti cinematografi o fotografici ecc..). b6) rendimento dei conti: se il giudice ordina la presentazione di un conto consultivo, questo deve essere depositato in cancelleria, con i documenti giustificativi, almeno 5 giorni prima dell’udienza fissata per la discussione di esso. A seguito della presentazione: • se il conto è accettato, il giudice istruttore ne dà atto nel processo verbale ed ordina il pagamento delle somme che risultano dovute. L’ordinanza rappresenta titolo esecutivo; • se il conto è impugnato, la parte che lo impugna deve specificare le partite che intende contestare. 3) FASE DECISORIA: la decisione della causa Quando il giudice istruttore ritiene la causa matura per la decisione, invita le parti a precisare le conclusioni, nei limiti di quelle formulate nei rispettivi atti introduttivi; quindi rimette la causa in decisione. Da tale ultima data cominciano a decorrere i 60 giorni entro i quali le parti devono depositare le comparse conclusionali e, nei 20 giorni ancora successivi, le memorie di replica (art. 190 c.p.c.). La decisione della causa spetta al Tribunale in composizione monocratica (singolo giudice), tranne nelle ipotesi tassative previste dall’art. 50-bis c.p.c., in cui la decisione è collegiale. L’udienza di discussione davanti al collegio è comunque solo facoltativa; se almeno una delle parti lo chieda al momento della precisazione delle conclusioni, riproponendo la richiesta alla scadenza del termine per il deposito delle memorie di replica, il Presidente del Tribunale potrà disporla fissandone la data. In questa fase il collegio ha ampi poteri: può emanare sentenze e pronunciare ordinanze quando, senza definire il giudizio, provvede solo su questioni relative all’istruzione della causa e si limita a dare disposizioni per il proseguo del giudizio stesso (art. 279 c.p.c.). La decisione. Quando la causa è di competenza del Collegio, la decisione viene deliberata nel segreto della Camera di Consiglio, con votazione a maggioranza; quando invece la causa è di competenza del giudice istruttore in funzione di giudice unico, il procedimento è ovviamente semplificato, in quanto decide un solo soggetto. Dell’avvenuto deposito della decisione, il cancelliere dà notizia in via telematica alle parti costituite. Quando invece la causa è di competenza del giudice istruttore in funzione di giudice unico, il procedimento è ovviamente semplificato, in quanto decide un solo soggetto. IL PROCESSO DI ESECUZIONE IN GENERALE Il processo di esecuzione tende all’attuazione coattiva di un diritto di credito già accertato, in sede di cognizione oppure stragiudizialmente, ma non eseguito spontaneamente dalla parte soccombente. Per tale motivo il titolare del diritto esercita l’azione esecutiva ottenendo la soddisfazione della sua pretesa, anche contro la volontà del debitore. Soggetti dell’attività processuale esecutiva. I soggetti ai quali fa capo l’attività processuale esecutiva sono:  l’organo esecutivo: è l’Ufficio giudiziario operante sotto il controllo del giudice dell’esecuzione;  il creditore: è colui che propone la domanda esecutiva, esercitando la relativa azione, quasi come l’attore nel processo di cognizione;  il debitore:è colui che subisce l’esecuzione di un diritto altrui già accertato, in quanto, ai sensi dell’art. 2740 c.c., il debitore risponde dell’adempimento delle obbligazioni assunte con tutti i suoi beni, presenti e futuri. Caratteri dell’attività processuale esecutiva. I caratteri specifici del processo di esecuzione sono i seguenti:  il contraddittorio è atipico: la convocazione delle parti è disposta dal giudice dell’esecuzione quando la ritiene necessaria o quando la legge la prescrive, ed avviene non per costituire un formale contraddittorio ma solo per il migliore svolgimento del processo. Solo se i debitore o un altro soggetto (es. terzo) propone opposizione, si apre un giudizio di cognizione che ha ad oggetto l’esistenza o le modalità di esecuzione;  la domanda all’organo esecutivo (Ufficiale Giudiziario) è proposta verbalmente o per iscritto;  la volontà dell’organo esecutivo consiste in una serie di operazioni materiali (es: accesso presso la casa del debitore e apprensione dei beni), mentre quella del giudice consiste in una serie di provvedimenti formali (ordinanze o decreti);  il particolare presupposto formale è il c.d. “titolo esecutivo”;  la legittimazione attiva è la titolarità ed attualità del diritto sancito nel titolo esecutivo posto a base dell’esecuzione. Competenza. L’art. 9 c.p.c. sancisce la competenza esclusiva del Tribunale in composizione monocratica, in materia di esecuzione forzata in generale, senza distinzione tra espropriazione mobiliare ed espropriazione immobiliare (come avveniva prima della riforma del giudice unico). Per quanto riguarda la competenza territoriale (art. 26 c.p.c.):  è competente il giudice del luogo in cui si trovano i beni mobili, se si tratta di esecuzione su beni mobili o immobili;  è competente il giudice del luogo di residenza del terzo debitore, nel caso di espropriazione di crediti;  è competente il giudice del luogo dove l’obbligo deve essere adempiuto, nell’esecuzione degli obblighi di fare e non fare. Per quanto concerne la competenza per valore (art. 17 c.p.c.):  nelle cause di opposizione del debitore, la competenza è determinata in base al valore del credito per cui si procede;  nelle cause di opposizione di terzi, la competenza è determinata in base al valore dei beni controversi;  nelle controversie sorte in sede di distribuzione, la competenza è determinata in base al valore del maggiore dei crediti contestati. Vari tipi del processo di esecuzione. Il processo di esecuzione si distingue in:  espropriazione forzata per crediti di denaro o esecuzione forzata in forma generica: consistente nel procedimento esecutivo diretto a sottrarre coattivamente al debitore determinati beni facenti parte del suo patrimonio e trasformali in denaro da destinare alla soddisfazione del credito. Può consistere anche nell’assegnazione coattiva della titolarità dei crediti del debitore al creditore, sempre al soddisfacimento delle sue pretese. L’espropriazione generica si suddivide in: • espropriazione mobiliare presso il debitore (artt. 513-542 c.p.c.); • espropriazione presso terzi (artt. 543-554 c.p.c.); • espropriazione immobiliare (artt. 555-598 c.p.c.); • espropriazione di beni indivisi (artt. 599-601 c.p.c.); • espropriazione contro il terzo proprietario (artt. 602-604 c.p.c.).  esecuzione forzata in forma specifica. Si suddivide in: • esecuzione per consegna di cosa mobili o rilascio di immobili (artt. 605-611 c.p.c.): consiste nel processo esecutivo diretto a far conseguire al creditore la materiale disponibilità di una determinata cosa mobile o immobile, oggetto della consegna o del rilascio; • esecuzione forzata di obblighi di fare o non fare: consiste nel procedimento esecutivo diretto all’esecuzione di una sentenza di condanna per violazione di un obbligo di fare o di non fare (artt. 612- 614 c.p.c.). ATTI PRELIMINARI ALL’ESECUZIONE: TITOLO ESECUTIVO E PRECETTO. Una peculiare caratteristica del processo di esecuzione è rappresentata dalla presenza di alcuni atti che, pur potendosi qualificare come atti esecutivi, devono essere compiuti prima dell’inizio del processo in quanto atti preliminari o preparatori. Tali atti hanno la funzione di preannunciare al debitore il proposito del creditore di procedere all’esecuzione forzata consentendogli in tal modo:  la possibilità di adempiere la sua obbligazione, evitando l’esecuzione e le relative spese;  la possibilità di conoscere gli elementi della preannunciata esecuzione e di contestarne, eventualmente, la legittimità. Questi atti preliminari sono previsti dall’art. 479 c.p.c. il quale sancisce che “se la legge non dispone altrimenti, l’esecuzione forzata deve essere preceduta dalla notificazione del titolo in forma esecutiva e dalla notificazione del precetto”. A partire da questo momento, l’esecuzione deve iniziare non prima di 10 giorni, salvo autorizzazione all’esecuzione immediata, ma entro 90 giorni dalla notifica del precetto. A) Il titolo esecutivo. L’azione esecutiva presuppone l’accertamento del diritto che sia stato fatto in sede di cognizione oppure stragiudizialmente. Tale accertamento deve essere consacrato in un documento che lo rappresenti senza incertezze, in modo tale che l’organo esecutivo possa operare senza preoccupazioni. Questo documento prende il nome di “titolo esecutivo”. Da esso si deduce chi sia il creditore e chi sia il debitore; deve inoltre risultare un diritto di credito:  certo (la cui esistenza non è controversia);  liquido (preciso nel suo ammontare);  esigibile (non sottoposto a condizione o termine). L’art. 474 c.p.c. elenca gli atti considerati titoli esecutivi:  le sentenze, i provvedimento e gli altri atti ai quali la legge attribuisce espressamente efficacia esecutiva;  le scritture private autenticate, relativamente alle obbligazioni di somme di denaro in esse contenute, nonché gli altri titoli di credito ai quali la legge attribuisce espressamente la stessa efficacia;  gli atti ricevuti da notaio o da altro Pubblico Ufficiale autorizzato dalla legge a riceverli. Il giudice dell’esecuzione ha poteri più estesi rispetto al giudice istruttore. Le due funzioni esaminate possono cumularsi in quelle parentesi di cognizione che, nel processo esecutivo, sono rappresentate dalle opposizioni; qui il G.E. decide in funzione di unico giudice, senza rimessione della causa al Collegio. Con la riforma del giudice unico (02-06-1999) giudice dell’esecuzione è sempre il Tribunale in composizione monocratica (mai i l Giudice di Pace). Il G.E. viene nominato al momento della formazione del c.d. “fascicolo dell’espropriazione”, contenente, all’inizio, il titolo esecutivo e l’atto di precetto notificati e il pignoramento effettuato (art. 488 c.p.c.). Delega delle operazioni di vendita. Per ottenere l’alleggerimento del carico di procedimenti gravanti sui giudici, il legislatore ha previsto la delegabilità ai notai e ad altri professionisti (es: avvocati e commercialisti) delle operazioni di vendita con incanto, ora considerata il modello principale per la vendita dei beni. La delega è prevista sia nel caso di esecuzione di beni immobili, sia di beni mobili registrati; è prevista la possibilità per le parti di rivolgersi al giudice dell’esecuzione in caso di contestazione all’operato del professionista. Il professionista provvede alla determinazione del valore del bene, all’incanto, alla formazione del progetto di distribuzione ecc; provvede altresì ad avvisare sia i creditori sugli elementi della vendita (divisione in lotti, prezzo, data dell’incanto) sia il giudice circa il mancato versamento del prezzo. La delega ai professionisti, non è totale poiché non solo resta il controllo del giudice sul loro operato, ma nel caso di opposizioni (artt. 615-617 c.p.c) che attivano il procedimento contenzioso, si riespande interamente la funzione ordinaria del G.E. L’ESPROPRIAZIONE FORZATA L’espropriazione forzata è quel tipo di processo esecutivo costituito da un complesso di atti diretti a sottrarre coattivamente al debitore determinati beni facenti parte del suo patrimonio e a convertirli in denaro, con cui soddisfare il creditore. Essa quindi è una forma di esecuzione indiretta, a differenza dell’esecuzione in forma specifica, che può definirsi diretta in quanto avente ad oggetto proprio il bene dovuto, sottratto al debitore e consegnato al creditore. Tipi di espropriazione. In relazione all’oggetto, e cioè a seconda che riguardi beni mobili o beni immobili, l’espropriazione può essere:  mobiliare: ha per oggetto beni mobili: A sua volta può dirigersi: • nei confronti del debitore: se i beni mobili sono nella sua disponibilità diretta; • nei confronti di terzi: se i beni mobili del debitore sono nella disponibilità diretta di un terzo o se oggetto dell’espropriazione è un credito del debitore verso terzi;  immobiliare: ha per oggetto beni immobili. FASI DELL’ESPROPRIAZIONE FORZATA. Il procedimento di espropriazione (artt. 483 – 512 c.p.c.) si svolge attraverso 3 fasi:  pignoramento;  vendita o assegnazione del bene pignorato;  distribuzione del bene ricavato. 1) PIGNORAMENTO. Il pignoramento è l’atto con cui inizia ogni forma si espropriazione (solo nel caso in cui i beni da pignorare siano soggetti a pegno o ipoteca il creditore procedente può chiedere la vendita o l’assegnazione, anche senza che tale richiesta sia preceduta dal pignoramento). Il pignoramento consiste in un’ingiunzione che l’Ufficiale Giudiziario fa al debitore di astenersi da qualunque atto diretto a sottrarre alla garanzia del credito i beni che si assoggettano all’espropriazione. Scopo del pignoramento è quindi vincolare i beni da assoggettare all’esecuzione, ossia sottrarli alla libera disponibilità del debitore. L’Ufficiale Giudiziario, quando constata che i beni assoggettati a pignoramento appaiono insufficienti per la soddisfazione del creditore procedente, invita il debitore ad indicare altri beni utilmente pignorabili ed il luogo in cui si trovano. Sotto il profilo soggettivo, il pignoramento è un atto dell’Ufficiale Giudiziario, che lo pone in essere su istanza del creditore, previa esibizione da parte dello stesso del titolo esecutivo e del precetto ritualmente notificati. Sotto il profilo oggettivo, invece, consiste in un’ingiunzione fatta al debitore, eseguita previa l’esatta indicazione del credito e dei beni che vengono assoggettati all’espropriazione. Il pignoramento può avere ad oggetto:  beni determinati: scelti tra quelli rientranti nel patrimonio del debitore (art. 2910 c.c);  beni appartenenti a terzi: quando tali beni sono vincolati a garanzia del credito oppure quando sono oggetto di un atto che è stato revocato perché compiuto in pregiudizio del creditore. Non sono invece beni pignorabili:  perché non suscettibili all’espropriazione: • beni demaniali dello Stato, delle Province e dei Comuni (es: cimiteri); • beni facenti parte del patrimonio indisponibile dello Stato, delle Province e dei Comuni; • edifici destinati all’esercizio del culto cattolico, anche se appartenenti a privati; • le cose sacre e quelle che servono all’esercizio del culto; • gli immobili di cui agli artt. 14-16 del Trattato del Laterano dell’ 11/02/1929; • i beni di Stati e sovrani stranieri aventi destinazione pubblica (es: residenze diplomatiche); • beni e ragioni dotali destinate ad sustinenda onera matrimonii (non però i frutti dotali); • l’usufrutto legale dei minori; • i diritti di uso e abitazione; • i beni del fondo patrimoniale e i frutti di essi, per i debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia;  perché sottratti all’espropriazione: • l’anello nuziale, i vestiti, la biancheria, i letti, gli utensili di casa e cucina; • i commestibili e i combustibili necessarie per un mese al mantenimento del debitore e della sua famiglia; l’autorizzazione della vendita o dell’assegnazione, o dopo la presentazione del ricorso per l’assegnazione o la vendita qualora il valore dei beni pignorati non superi Euro 20.000), il debitore copignorante partecipa alla distribuzione della somma ricavata dopo che è stato soddisfatto il creditore procedente  partecipazione alla distribuzione della somma ricavata: possono intervenire nell’esecuzione i creditori che non sono divenuti copignoranti, ovvero: • i creditori muniti di titolo esecutivo, anche se il loro credito è sorto dopo il pignoramento , i quali partecipano alla distribuzione della somma ricavata; • i creditori privi di titolo esecutivo, i quali, al momento del pignoramento, avevano già un credito qualificato (=avevano eseguito un sequestro sui beni pignorati, avevano un diritto di pegno o prelazione, o erano titolari di un credito di somma di denaro risultante da scritture contabili). I creditori intervenuti hanno il diritto di:  partecipare all’espropriazione (presentando osservazioni e istanze al giudice);  provocare gli atti esecutivi (es: formulare istanza di vendita, chiedere la distribuzione del ricavato ecc..);  partecipare alla distribuzione della somma ricavata; L’intervento del creditore può essere tempestivo o tardivo: la differenza rileva ai fini della collocazione dei creditori in sede di distribuzione della somma o dei beni. 2) VENDITA E ASSEGNAZIONE. Per il realizzo del credito, il creditore procedente (o altro creditore intervenuto, munito di titolo esecutivo) deve ottenere la liquidazione dei beni oggetto di espropriazione, ossia la trasformazione di tali beni in denaro. Egli ha 2 possibilità:  fare istanza per la vendita dei beni pignorati;  fare istanza per la loro assegnazione in pagamento. Tale alternativa è possibile:  in via preventiva: solo nell’espropriazione mobiliare di titoli di credito o di quelle cose aventi valore determinato o determinabile;  in via successiva: solo dopo che siano falliti gli esperimenti di vendita. L’istanza può essere presentata solo 10 giorni dopo il pignoramento. Il giudice competente fissa l’udienza per l’autorizzazione della vendita o per l’assegnazione; tale udienza fissa il momento preclusivo per l’intervento tempestivo. In essa, inoltre, sono decise tutte le opposizioni agli atti esecutivi; restano invece ancora proponibili le opposizioni all’esecuzione e le opposizioni di terzi. Si procede quindi alla vendita, la quale può essere all’incanto o senza incanto. Il creditore pignorante può chiedere l’assegnazione, ossia l’attribuzione diretta del bene pignorato al fine di soddisfare il suo credito. L’assegnazione (atto concorrente alla vendita) è rimessa alla discrezione dei creditori, entro i seguenti limiti:  nell’espropriazione mobiliare: • l’assegnazione può essere chiesta fin dall’inizio per i titoli di credito o per quei beni il cui valore risulti da listino di borsa o mercato; • per tutti gli altri beni (ad eccezione di quelli in oro o argento), non può essere chiesta l’assegnazione in caso di esisto negativo del primo incanto, ma deve essere fissato un nuovo incanto a un prezzo inferiore di 1/5 rispetto a quello precedente;  nell’espropriazione immobiliare: l’assegnazione può essere chiesta solo 10 giorni prima della data dell’incanto; se la vendita non ha luogo per mancanza di offerte, essa concorre con l’amministrazione giudiziale o con un nuovo incanto;  nell’espropriazione mobiliare presso terzi: l’assegnazione è l’unica forma satisfattoria prevista quando il terzo si dichiara debitore di somme di denaro immediatamente esigibili o esigibili in un termine non superiore a 90 giorni. La vendita e l’assegnazione sono considerati atti processuali condizionati, in quanto posti in essere sotto condizione sospensiva:  in caso della vendita, la condizione sospensiva è data dal versamento del prezzo (nel modo e nel termine fissato);  in caso dell’assegnazione, la condizione sospensiva è data dal deposito della parte di prezzo eccedente il credito dell’assegnatario, o dal versamento della somma non inferiore al valore minimo del bene, o dal prezzo determinato dal valore dell’immobile. Una volta che la condizione si è verificata, il giudice potrà pronunciare il provvedimento che trasferisce la proprietà del bene. Con tale provvedimento si verificano:  effetti sostanziali. Essi sono: • effetto traslativo: il bene passa nella proprietà dell’aggiudicatario. nell’espropriazione mobiliare tale effetto si verifica al momento del pagamento del prezzo, mentre in quella immobiliare al momento dell’aggiudicazione; • effetto estintivo (o purgativo): con il decreto che trasferisce il bene, il giudice ordina che si cancellino le trascrizioni dei pignoramenti e le iscrizioni ipotecarie.  effetti procedurali: l’oggetto del processo esecutivo, una volta trasferito il bene, non è più la cosa ma il prezzo sul quale dovrà soddisfarsi il creditore. Nel caso di mancato versamento del prezzo da parte dell’aggiudicatario o dell’assegnatario: • nella vendita mobiliare all’incanto, l’organo esecutivo incaricato della vendita, dopo aver preso atto dell’inefficacia della prima vendita, procede a nuovo incanto, che avviene a spese e sotto la responsabilità del primo aggiudicatario; • nella vendita immobiliare con incanto il giudice, se il prezzo non è depositato nel termine, con decreto: - dichiara la decadenza dell’aggiudicatario; - pronuncia la perdita della cauzione; - dispone un nuovo incanto. In conclusione possiamo affermare che:  l’assegnazione è un atto ad un tempo liquidativo e satisfattivo immediato. Ha natura di datio in solutum o di datio pro solvendo, a seconda che abbia per oggetto una cosa o un credito;  la vendita forzata realizza invece la liquidazione dei beni pignorati, ossia la loro trasformazione in denaro liquido da distribuire al creditore procedente e ai creditori intervenuti. 3) DISTRIBUZIONE DELLA SOMMA RICAVATA. È l’ultima fase del processo di esecuzione. Consiste nella ripartizione tra i creditori della somma ricavata dalla vendita forzata dei beni del debitore, al fine di realizzare il soddisfacimento del suo credito. La massa attiva (art. 509 c.p.c.) che deve essere ripartita tra i creditori intervenuti nell’espropriazione è composta da:  prezzo dei beni venduti;  conguaglio per le cose assegnate (= differenza tra il valore attribuito al bene e il credito vantato dall’assegnatario);  rendite e proventi dei beni pignorati: frutti civili (es: interessi) o naturali dei beni pignorati; I PROCEDIMENTI SPECIALI IN GENERALE I procedimenti speciali sono caratterizzati dalle notevoli differenze che si presentano, sia nei presupposti che nello svolgimento, rispetto all’ordinario processo di cognizione. I procedimenti speciali sono riuniti e disciplinati per la maggior parte nel Libro IV del Codice di Procedura Civile, agli artt. 633 s.s., e in parte in leggi speciali o nel Codice Civile. Nonostante le notevoli diversità che ciascun tipo di procedimento speciale presenta rispetto agli altri, è tuttavia possibili una classificazione sulla base degli elementi che caratterizzano ciascun gruppo. Possiamo distinguere i procedimenti speciali in procedimenti sommari, procedimenti cautelari, procedimenti in Camera di Consiglio e altri procedimenti speciali. Procedimenti sommari. Sono dei normali processi di cognizione, caratterizzati o dal fatto che che in essi la cognizione è sommaria, almeno in fase iniziale, oppure riguardano speciali situazioni sostanziali. Appartengono al primo gruppo:  procedimenti per ingiunzione;  procedimenti per convalida di sfratto;  procedimenti sommari di cognizione. Appartengono al secondo gruppo:  procedimenti di separazione e divorzio;  procedimenti di interdizione o inabilitazione e amministrazione di sostegno;  giudizio di divisione;  processo del lavoro;  ordini di protezione contro gli abusi familiari. Procedimenti cautelari. Non sono provvedimenti di cognizione ma sono diretti a garantire l’efficace svolgimento e il proficuo risultato di procedimenti di cognizione ed esecuzione. Essi sono:  procedimenti per sequestro;  denunce di nuova opera e danno temuto;  procedimenti possessori;  provvedimenti d’urgenza;  procedimenti d’istruzione preventiva. Procedimenti in Camera di Consiglio. I procedimenti camerali sono quei procedimenti mediante i quali viene esercitata la c.d. “volontaria giurisdizione”, in quanto non vi è una controversia da risolvere, ma un negozio o un affare da gestire che, per svariati motivi, richiede l’intervento partecipativo di un terzo estraneo e imparziale. In tali atti la volontà del giudice si affianca a quella del soggetto privato, consentendone la formazione. I principali procedimenti in Camera di Consiglio sono:  nomina de curatore dello scomparso;  provvedimenti relativi a minori e incapaci;  provvedimenti per l’apertura di successioni;  apposizione e rimozioni dei sigilli. Altri procedimenti speciali. In tale categoria vengono considerati tutti gli altri procedimenti speciali, diversi da quelli precedenti, ma che non è possibile raggruppare sulla base di elementi comuni. Essi sono:  riconoscimento di provvedimenti giurisdizionali stranieri;  arbitrato;  processo societario. ------------------------------------------------------------------------------------ IL PROCEDIMENTO DI INGIUNZIONE Il procedimento di ingiunzione è un procedimento speciale caratterizzato dalla sommarietà della cognizione. Si individuano due fasi:  una fase a cognizione sommaria, ad iniziativa di chi si afferma creditore, senza contraddittorio e che si conclude con la pronuncia di un provvedimento di accoglimento (decreto) o rigetto della domanda;  una fase a cognizione piena, ad iniziativa dell’eventuale debitore (che fa opposizione) e conclusa da una sentenza (di accoglimento o rigetto dell’opposizione) che sostituisce il decreto ingiuntivo opposto. Procedimento. Lo schema della procedura in esame è lineare:  il giudice, su ricorso del creditore, emana un ordine (con decreto) a l debitore di pagare (entro un termine stabilito) una somma di denaro o di consegnare una determinata quantità di cose fungibili, o una cosa mobile determinata;  il debitore può proporre opposizione, e solo in mancanza di essa il decreto acquista valore di sentenza passata in giudicato;  in caso di opposizione, invece, si apre un normale procedimento di cognizione contenziosa; per questo si parla si “procedimento a contraddittorio eventuale” Competenza. La competenza nel procedimento di ingiunzione appartiene al giudice che sarebbe competente in via ordinaria, ossia al Giudice di Pace o al Tribunale in composizione monocratica. Decreto ingiuntivo. Può ottenere un decreto ingiuntivo:  il creditore di una somma liquida di denaro o di una determinata quantità di cose fungibili;  chi ha diritto alla consegna di una cosa mobile determinata;  gli avvocati i cancellieri, gli Ufficiali Giudiziari e chiunque abbia prestato la sua opera in occasione di un processo, per il pagamento degli onorari dovuti per le loro prestazioni;  i notai e gli altri esercenti una libera professione o arte per la quale esiste una tariffa legalmente approvata, per onorari o rimborsi spese. La prova che il creditore deve fornire in ordine all’esistenza del suo diritto è di regola, una prova scritta (es: polizze, estratti autentici di scritture privare ecc..). Se non sussiste alcun motivo per respingere il ricorso (es: per insufficiente prova del credito), il giudice pronuncia decreto con il quale ingiunge all’altra parte di pagare la somma o consegnare la cosa richiesta nel termine di 40 giorni, con l’avvertimento espresso che nello stesso termine può essere fatta opposizione e che, in mancanza, si procederà ad esecuzione forzata. Il giudice può immediatamente concedere provvisoria esecuzione al decreto, nelle seguenti ipotesi:  se il credito è fondato su cambiale, assegno bancario o circolare,su certificato di borsa o atto, o su atto ricevuto da notaio o da altro Pubblico Ufficiale;  se vi è pericolo di grave pregiudizio del ritardo;  se il ricorrente produce documentazione sottoscritta dal debitore, che fornisce la prova del diritto fatto valere. Il decreto, insieme al ricorso, deve essere notificato all’ingiunto; dalla data di notifica decorre il termine per l’opposizione e per il pagamento. Il decreto diviene inefficace se non è notificato entro 60 giorni dalla pronuncia; la domanda, tuttavia, può essere riproposta successivamente.  sfratto per morosità, che si intima per il mancato pagamento dei canoni alle scadenze stabilite. In tutti e 3 i casi il procedimento inizia con un’intimazione, rivolta dal locatore (o concedente), di lasciar libero l’immobile, con contestuale citazione del conduttore per la convalida; tra il giorno della notifica dell’intimazione e quello dell’udienza devono intercorrere termini liberi (= non si conta né il giorno iniziale né quello finale) non minori di 20 giorni. La citazione, inoltre, deve contenere l’avvertimento al convenuto che in caso di mancata comparizione o di mancata opposizione, il giudice convalida la licenza o lo sfratto (art. 663 c.p.c.). Il provvedimento di convalida è un’ordinanza che, apposta in calce alla citazione, ha la portata di una condanna immediatamente esecutiva al rilascio. Se invece l’intimato compare, può fare opposizione all’intimazione; a tali controversie si applica il rito speciale del lavoro. L’art. 667 c.p.c. dispone che il giudice emetta ordinanza per il mutamento del rito, dopo aver provveduto provvisoriamente (e sempre che sia stata proposta opposizione). Nell’ordinanza il giudice fissa l’udienza, dando alle parti un termine per integrare gli atti introduttivi. La competenza in materia spetta al Tribunale. Precisiamo che:  se le eccezioni dell’opponente sono fondate su prova scritta o se, pur non essendo tali, sussistono gravi motivi, si apre il procedimento di cognizione;  se invece le eccezioni dell’opponente NON sono fondate su prova scritta o se NON sussistono gravi motivi, il giudice convalida l’intimazione pronunciando ordinanza non impugnabile di rilascio (che può essere subordinata a una cauzione per danni e spese), immediatamente esecutiva, con riserva di esaminare le eccezioni del convenuto. Lo sfratto per morosità. Lo sfratto per morosità presenta, rispetto alla licenza per finita locazione e allo sfratto per scadenza del contratto, le seguenti particolarità:  la convalida è subordinata all’attestazione, resa in giudizio dal locatore, che la morosità persiste;  il locatore, con lo stesso atto, può chiedere anche l’ingiunzione di pagamento dei canoni scaduti e di quelli che scadranno fino al rilascio. In questo caso il giudice emette il decreto ingiuntivo in calce a una copia dell’atto di intimazione (art. 664 c.p.c.);  se il convenuto contesta l’ammontare della somma pretesa, il giudice può disporre il pagamento della somma non contestata, concedendo un termine non superiore a 20 giorni. In caso di mancato pagamento entro il termine, il giudice convalida lo sfratto e pronuncia decreto ingiuntivo per il pagamento dei canoni (art. 666 c.p.c.). Da ricordare, infine, che la morosità del conduttore nel pagamento dei canoni, può essere sanata in giudizio per non più di 3 volte nel corso del quadriennio; altrimenti il locatore potrà chiedere la risoluzione del contratto. IL PROCEDIMENTO SOMMARIO DI COGNIZIONE Il procedimento per convalida di sfratto è una delle più importanti novità introdotte con la L. 69/2009: si tratta si un rito alternativo rispetto a quello ordinario di cognizione da utilizzare per ottenere una sollecita definizione delle controversie per le quali sia sufficiente una fase istruttoria sommaria. L’importanza che riveste detto procedimento trova conferma nel D. Lgs. 150/2011, con il quale sono state semplificate le procedure previste dalla normativa speciale,riducendole a 3 tipi fondamentali:  procedimento ordinario di cognizione;  processo del lavoro;  procedimento sommario di cognizione. Sono regolate dal rito sommario di cognizione le controversie in materia di liquidazione delle competenze di avvocato, di opposizione al decreto di pagamento ex d.P.R. 115/2002, di opposizione alla convalida del trattamento sanitario obbligatorio ecc.. Nozione e caratteri. IL procedimento sommario di cognizione, di natura non cautelare, è esperibile nelle controversie in cui il Tribunale giudica in composizione monocratica. In un’ottica di semplificazione e riduzione dei riti, la L. 69/2009, in relazione a quelle controversie che non necessitano di un’istruttoria complessa, ha disciplinato un giudizio sommario di primo grado, destinato a concludersi con un’ordinanza che, oltre ad essere provvisoriamente esecutiva, costituisce titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale e per la trascrizione. Forma della domanda e costituzione delle parti. L’art. 702-bis prevede che la domanda si debba propone al Tribunale competente con ricorso, il quale sottoscritto a norma dell’art. 125 c.p.c., deve contenere:  indicazione del Tribunale davanti al quale la domanda è proposta;  nome, cognome, codice fiscale, residenza dell’attore, del convenuto, e delle persone che rispettivamente li rappresentano o li assistono;  la determinazione della cosa oggetto della domanda;  esposizione dei fatti e degli elementi di diritto costituenti le ragioni della domanda, con le relative conclusioni;  indicazione specifica dei mezzi di prova dei quali l’attore intende valersi, e in particolare dei documenti che offre in comunicazione;  il nome e il cognome del procuratore e l’indicazione della procura, qualora questa sia già stata rilasciata;  l’avvertimento al convenuto che la costituzione oltre 10 giorni prima dell’udienza fissata dal giudice con decreto implica le decadenze di cui agli artt. 38 e 167 c.p.c. Il giudice designato fissa con decreto l’udienza di comparizione delle parti, assegnando il termine per la costituzione del convenuto, che deve avvenire non oltre 10 giorni dalla prima udienza; il ricorso, unitamente al decreto di fissazione dell’udienza, deve essere notificato al convenuto almeno 30 giorni prima della data fissata per la sua costituzione. L’art. 702 c.p.c. disciplina la costituzione in giudizio del convenuto, che va effettuata mediante deposito in cancelleria di una comparsa di risposta, nella quale il convenuto medesimo deve:  proporre le sue difese e prendere posizione sui fatti posti dal ricorrente a fondamento della domanda;  indicare i mezzi di prova di cui intende avvalersi e i documenti che offre in comunicazione, nonché formulare le conclusioni;  a pena di decadenza, proporre le eventuali domande riconvenzionali e le eccezioni processuali e di merito che non sono rilevabili d’ufficio;  qualora intenda chiamare un terzo in garanzia, farne dichiarazione, a pena di decadenza, nella comparsa di costituzione e chiedere al giudice designato lo spostamento dell’udienza. Tra i procedimenti di volontaria giurisdizione ricordiamo:  separazione personale fra i coniugi;  interdizione e inabilitazione;  amministrazione di sostegno;  ordini di protezione contro gli abusi familiari. 1) Separazione personale fra coniugi (artt. 706-711 c.p.c.). Il procedimento per la separazione personale tra coniugi tende ad ottenere una sentenza che ordini la separazione dei coniugi, con gli effetti previsti dall’art. 156 c.c. La separazione personale fra i coniugi può essere:  giudiziale: se è richiesta da una parte nei confronti dell’altra. In tal caso il procedimento è contenzioso e si conclude con sentenza. Giudice competente è il Tribunale del luogo dell’ultima residenza comune dei coniugi o, in mancanza, quello del luogo in cui il convenuto ha la residenza. Il processo si distingue in 2 fasi: una fase presidenziale (necessaria) e una fase dinnanzi al giudice istruttore e al collegio (fase eventuale). Il Presidente ha innanzitutto la funzione di conciliare le parti. Se la conciliazione non riesce il Presidente adotta con ordinanza i provvedimenti temporanei e urgenti che ritiene opportuni nell’interessi dei coniugi e dei figli. Nomina il giudice istruttore, fissando l’udienza di comparizione e trattazione delle parti davanti a costui. La causa prosegue quindi con le forme ordinarie.  consensuale:si ha quando i coniugi decidono di separarsi di comune accordo. La domanda si propone con ricorso sottoscritto da entrambi i coniugi o da uno solo e va presentata al Tribunale del luogo di residenza o domicilio del coniuge che ha proposto la domanda o, in caso di proposizione congiunta, alternativamente ai Tribunale dei luoghi in cui i coniugi hanno la residenza, se diversi. Il procedimento si articola in 2 fasi: fase presidenziale e fase di omologazione. All’udienza di comparizione davanti al Presidente, quest’ultimo tenta la conciliazione dei coniugi: • se la conciliazione non riesce, si dà atto, nel verbale d’udienza, del consenso dei coniugi alla separazione e delle condizioni stabilite di comune accordo e riguardanti sia i coniugi stessi che la prole; • se la conciliazione riesce, il Presidente fa redigere il processo verbale dell’avvenuta conciliazione. Il procedimento termina con l’omologazione del Tribunale, in attesa della quale il consenso dei coniugi alla separazione non può essere revocato unilateralmente. L’omologazione, pronunciata dal Tribunale in Camera di Consiglio, attribuisce efficacia alla separazione consensuale. L’omologazione, in sostanza, è un controllo di legittimità e di opportunità sulle modalità della separazione. 2) Interdizione e inabilitazione (artt. 712 -720 c.p.c.). La domanda si propone con ricorso diretto al Tribunale del luogo in cui la persona da interdire o inabilitare ha la residenza o il domicilio (“competenza funzionale”) da parte di:  coniuge;  parenti entro il quarto grado;  affini entro il secondo grado;  tutore o curatore,  Pubblico Ministero. La prima fase del procedimento si svolge davanti al Presidente che deve verificare la fondatezza dell’azione, per non dare inizio ad un procedimento infondato. Il Presidente, se non rigetta il ricorso, nomina con decreto il giudice istruttore e fissa l’udienza di comparizione dei ricorrenti, dell’interdicendo e di altre eventuali persone di cui ritenga utili le informazioni. Il ricorso e il decreto sono notificati a cura del ricorrente, entro il termine fissato nel decreto stesso, alle persone indicate. Il decreto è inoltre comunicato al P.M. L’istruttoria consiste quindi:  nell’esame dell’interdicendo, diretto a determinare quali siano le sue facoltà intellettuali;  assumere il parere delle persone citate;  raccogliere le prove ritenuti utili ai fini del giudizio. Esaurita l’istruzione la causa viene rimessa al collegio e il procedimento si chiude con sentenza. 3) Amministrazione di sostegno (art. 720-bis c.p.c.). Il procedimento dell’amministrazione di sostegno p stato introdotto dalla L. 6/2004. Per quanto concerne le peculiarità dell’istituto, il primo elemento che si evidenzia è la flessibilità dell’istituto che si pone come strumento valido per sostenere una situazione grave e lunga di incapacità, ma non definitiva né totale, anche derivante da menomazione fisica (es: anziani, lungodegenti, portatori di handicap ecc..) o da tossicodipendenza. Si prevede anche la possibilità che un soggetto, in previsione della propria futura incapacità, indichi il nome (o più nomi, nell’ipotesi in cui il primo non accetti) della persona che desidera come suo Amministratore di sostegno. Per il resto il procedimento si interseca con quello per l’interdizione e l’inabilitazione, sia utilizzando i medesimi meccanismi (domanda proposta con ricorso, esame del soggetto, capacità e autorizzazione del designato, revoca della pronuncia), sia intervenendo sugli stessi, modificandoli (nomina preventiva del tutore e del curatore, ampliamento delle persone legittimate attive). Il procedimenti, infine, viene ricompreso tra quelli che possono essere trattati nel periodo feriale (art. 92 Ordine Giudiziario). La Corte Costituzionale, con sentenza n. 440/2005 ha peraltro affidato al giudice il difficile compito di individuare l’istituto a tutela degli incapaci, tra i numerosi regolati dal Codice, da applicare al caso concreto in modo da garantire all’incapace la sua tutela e, al tempo stesso, limitare nella misura minore possibile le sue capacità residue; in altre parole in giudice deve individuare lo strumento meno invasivo. 4) Ordini di protezione contro gli abusi familiari. La L. 154/2001 è intervenuta in un delicato settore, qual’è quello della violenza domestica, che rappresenta, purtroppo, un fenomeno in aumento in tutti i paesi industrializzati, compresa l’Italia. Tale Legge ha previsto misure rapide, di carattere cautelare e provvisorio, sia ad opera del giudice penale che di quello civile. A questo scopo ha inoltre introdotto nel Codice di Procedura Civile il nuovo Capo V-bis, che all’art. 736-bis c.p.c. elenca i “Provvedimenti di adozione degli ordini di protezione contro gli abusi familiari”. L’art. 342-bis c.c. dispone che quando la condotta del coniuge o di altro convivente è causa di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro coniuge o convivente, il giudice (competente è il Tribunale), qualora il fatto non costituisca reato perseguibile d’ufficio, su istanza di parte, può adottare con decreto uno o più provvedimenti di cui all’art. 342-ter c.c.
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