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Riassunti seconda parte, Dispense di Diritto Processuale Penale

Riassunti del manuale di procedura penale (Tonini) dalle indagini preliminari alle impugnazioni straordinarie. Integrato con la riforma Cartabia.

Tipologia: Dispense

2022/2023

In vendita dal 24/05/2023

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giuseppe-lipari 🇮🇹

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Scarica Riassunti seconda parte e più Dispense in PDF di Diritto Processuale Penale solo su Docsity! 1 NON LI PASSARE A NESSUNO SONO GIA’ INTEGRATI CON LA RIFORMA (GIUSEPPE LIPARI) PARTE TERZA: IL PROCEDIMENTO ORDINARIO CAPITOLO 1: INDAGINI PRELIMINARI 1. DISPOSIZIONI GENERALI CONSIDERAZIONI PRELIMINARI Le indagini preliminari costituiscono la prima fase del procedimento penale. Essa inizia nel momento in cui una notizia di reato perviene alla polizia giudiziaria o al PM e termina quando quest’ultimo esercita l’azione penale o ottiene dal giudice l’archiviazione richiesta. Le indagini preliminari consistono nelle investigazioni svolte dal PM e dalla polizia giudiziaria. In base all’art. 327la direzione delle indagini spetta al PM. La norma tende ad attuare il principio costituzionale secondo cui l’autorità giudiziaria dispone direttamente della polizia giudiziaria. All’interno delle indagini preliminari vi sono atti che sono compiuti ad iniziativa della polizia giudiziaria e atti compiti ad iniziativa del PM. La distinzione comporta una regolamentazione parzialmente diversa anche sotto il profilo della utilizzabilità di alcuni atti in dibattimento. Resta comunque il dato fondamentale che gli atti di indagine sono svolti in segreto da soggetto che investiga e, quindi, sono assunti in modo unilaterale e senza contraddittorio. Per tale motivo, gli atti d’indagine non sono utilizzabili ai fini della decisione pronunciata in dibattimento. La norma cardine è enunciata dalla costituzione, secondo la quale “il processo penale è regolato dal principio del contraddittorio per la formazione della prova” (art. 111 c.4); ed è attuata nel codice dall’art. 526, in base al quale: “il giudice non può utilizzare ai fini della deliberazione prove diverse da quelle legittimamente acquisite nel dibattimento”. LE FINALITÀ DELLE INDAGINI La struttura complessiva del codice fa comprendere che gli elementi acquisiti servono al PM per ottenere dal GIP i vari provvedimenti che soltanto quest’ultimo può disporre, tra i quali le misure cautelari e l’autorizzazione alle intercettazioni. Quindi i risultati ottenuti sono utilizzati non soltanto dal PM per le sue scelte ma anche dal GIP per emettere provvedimenti limitative di garanzie. Per cui tali elementi acquisiti sono utilizzati come prove nelle prime due fasi del procedimento (indagini e udienza preliminare). Un’altra finalità delle indagini preliminari è ben delineata da quella norma costituzionale: art. 111 comma 5, in base alla quale la formazione della prova non ha luogo in contraddittorio per consenso dell’imputato o per non ripetibilità oggettiva o per effetto di condotta illecita del dichiarante. In tali casi, il giudice in dibattimento può utilizzare eccezionalmente gli elementi raccolti durante le indagini preliminari. IL GIP (GIUDICE INDAGINI PRELIMINARI) Nel corso della fase in esame è previsto l’intervento del giudice per le indagini preliminari; questi svolge una funzione di controllo imparziale sui provvedimenti quali (convalida dell’arresto e del fermo, emissione di provvedimenti cautelari, autorizzazione alle intercettazioni), senza esercitare poteri di iniziativa. La sua giurisdizione è semipiena perché incontra due limiti: - la funzione è esercitata soltanto nei casi previsti dalla legge su richiesta di parte (es. convalida di arresto e fermo), non ha cognizione piena del quadro probatorio e deve decidere sulla base dei verbali presentati dalle parti; - la funzione giurisdizionale è svolta in tali casi prima dell’esercizio dell’azione penale, in ciò derogandosi al principio nulla iurisdictio sine actione. Deroga giustificata dall’esigenza di assicurare un organo imparziale in una fase in cui il PM chiede provvedimenti che incidono su libertà fondamentali della Cost. 2 Nel caso di delitti di associazione mafiosa e assimilati le funzioni di GIP sono esercitate da un magistrato del tribunale del capoluogo del distretto nel cui ambito ha sede il giudice competente (quelle di PM sono svolte dal procuratore distrettuale). La riforma Cartabia . si è posta l’obiettivo di contemperare l’efficienza del procedimento con le fondamentali garanzie costituzionali. Ciò ha comportato la modifica di alcuni snodi delle indagini preliminari. In primo luogo, è stata razionalizzata la durata delle indagini in modo da garantirne l’efficienza e, al tempo stesso, sono stati introdotti nuovi poteri di controllo spettanti al giudice per le indagini preliminari, tra i quali particolare rilievo assumono il vaglio sulle iscrizioni delle notizie di reato al fine di poter disporre l’iscrizione di un nominativo o la retrodatazione dell’iscrizione stessa e il controllo sull’inerzia del pubblico ministero. In secondo luogo, è previsto che nei progetti organizzativi delle procure siano individuati criteri di priorità trasparenti e predeterminati al fine di selezionare le notizie di reato da trattare con precedenza rispetto alle altre, tenendo conto anche del numero degli affari da portare avanti e dell'utilizzo efficiente delle risorse disponibili. Nella trattazione delle notizie di reato e nell’esercizio dell’azione penale il pubblico ministero deve attenersi a tali criteri. In terzo luogo, il magistrato del pubblico ministero ha l’obbligo di chiedere l'archiviazione quando gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari non consentono una ragionevole previsione di condanna; pertanto, potrà esercitare l’azione penale soltanto quando gli atti raccolti costituiranno una base probatoria forte a carico dell’imputato. 2. LA NOTIZIA DI REATO CONSIDERAZIONI GENERALI La notizia di reato è un’informazione che permette alla polizia giudiziaria ed al PM di venire a conoscenza di un illecito penale. La notizia di reato produce tre effetti: - segna il passaggio dalla funzione di polizia di sicurezza, tendente a prevenire reati, a quella di polizia giudiziaria, che indaga su di un reato del quale si ha notizia; - impone alla polizia giudiziaria, che abbia avuto il primo contatto con la notizia di reato, l’obbligo di informare il PM; - impone a quest’ultimo l’obbligo di provvedere alla immediata iscrizione della notizia nel registro delle notizie di reato. Il codice regola espressamente due notizie di reato: la denuncia ed il referto. Inoltre prevede le condizioni di procedibilità, e cioè la querela, l’istanza, la richiesta di procedimento e l’autorizzazione a procedere, sono condizioni di procedibilità nel senso che la loro mancanza impedisce al PM di esercitare l’azione penale e contengono l’informativa su un illecito penale al PM e la manifestazione della volontà che si proceda contro il responsabile dello stesso. DENUNCIA È l’atto con il quale si dà notizia di un reato perseguibile d’ufficio che può esser presentato da chiunque abbia avuto notizia del reato; può essere orale o scritta, contiene l’esposizione degli elementi essenziali del fatto, il giorno dell’acquisizione della NR e le fonti di prova già note. Di regola è facoltativa anche se vi sono casi in cui è obbligo sanzionato penalmente per persone che svolgono determinate funzioni o professioni; la legge determina i casi in cui la denuncia è obbligatoria. E’ doverosa per un cittadino privato quando abbia avuto notizia contro la personalità dello stato per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo; quando abbia subito un furto d’armi o esplosivi; quando abbia avuto conoscenza di un sequestro di persona a fini di estorsione. È doverosa per i pubblici ufficiali e gli incaricati di un pubblico servizio quando vi è una relazione tra la funzione svolta e la conoscenza del reato, quando ne vengano a conoscenza sia nell’esercizio delle loro funzioni che a causa della funzione (anche fuori l’orario di lavoro). Bisogna precisare che il cpp definisce che le funzioni e il servizio 5 però al termine del procedimento si ha una sentenza di proscioglimento e si dimostri la colpa grave del querelante, allora, le spese saranno a carico di quest’ultimo. Vi sono dei casi tassativi in cui la remissione incontra dei limiti: delitti sessuali; atti persecutori (stalking); atti commessi con modalità gravi. La riforma Cartabia (d.lgs. n. 150 del 2022) ha modificato l’art. 152 c.p. disciplinando alcune ipotesi specifiche di remissione tacita. In particolare, ai sensi dell’art. 152, comma 3 c.p. vi è altresì remissione tacita: 1) quando il querelante, senza giustificato motivo, non compare all’udienza alla quale è stato citato in qualità di testimone (art. 90-bis, comma 1, lett. n-bis) (81); 2) quando il querelante ha partecipato a un programma di giustizia riparativa concluso con un esito riparativo; nondimeno, quando l’esito riparativo comporta l’assunzione da parte dell’imputato di impegni comportamentali, la querela si intende rimessa solo quando gli impegni sono stati rispettati. La remissione può intervenire solo prima della condanna, salvi i casi per i quali la legge disponga altrimenti (art. 152, comma 5 c.p.). La remissione non può essere sottoposta a termini o a condizioni. Nell'atto di remissione può essere fatta rinuncia al diritto alle restituzioni e al risarcimento del danno (art. 152, comma 6 c.p.) ISTANZA( art. 341): è un atto con il quale la persona offesa manifesta la volontà che si proceda per un reato che è stato commesso all’estero e che, se fosse stato commesso in Italia, sarebbe procedibile d’ufficio. RICHIESTA DI PROCEDIMENTO (art.342): è l’atto con cui il ministro della giustizia manifesta la volontà che si proceda per un determinato reato commesso all’estero o per altri reati espressamente previsti dagli artt. 127, 313 c.4 e 604 c.p. (delitti contro il presidente della repubblica; fatto commesso all’estero in danno di un cittadino italiano o viceversa). AUTORIZZAZIONE A PROCEDERE (art. 343): è un atto discrezionale ed irrevocabile che viene emanato da un organo dello stato. Ciò avviene per due ragioni: - per la qualità dell’imputato, rappresentante di organo pubblico (ministro, per un reato nell’esercizio delle sue funzioni si può procedere solo su autorizzazione dell’assemblea legislativa alla quale appartiene il ministro stesso, per evitare che venga “disturbato” dal potere giudiziario; - per la persona offesa dal reato, che è un organo pubblico del quale si vuole evitare venga compromesso il prestigio in un processo penale. Qualsiasi condizione di procedibilità venga presentata alla polizia giudiziaria, essa ha l’obbligo di inviare l’informativa della notizia di reato al PM; in mancanza della condizione non ha l’obbligo di informarlo salvo il caso in cui siano state compiute indagini. In mancanza di autorizzazione a procedere si possono disporre misure cautelari reali e personali ma questi ultimi solo nei confronti di altri diversi dalla persona rispetto alla quale è necessaria l’autorizzazione, e questa può procedere ad interrogatorio solo se lo richieda. La nuova improcedibilità per superamento dei termini massimi per il processo in appello e in cassazione . La riforma Cartabia (legge n. 134 del 2021) ha eliminato la prescrizione in appello e in cassazione e ha introdotto il diverso istituto della improcedibilità dell’azione (art. 344-bis c.p.p.): l’istituto in oggetto, dal punto di vista sistematico, è stato collocato nel codice di procedura tra le condizioni di procedibilità. La novità legislativa ha comportato in definitiva la previsione di termini massimi per il processo in appello e in cassazione. Dal meccanismo dell’improcedibilità, tuttavia, sono esclusi i reati imprescrittibili, e cioè quelli puniti con l’ergastolo anche come effetto dell’applicazione di circostanze aggravanti (art. 344-bis, comma 9). Sono previste cause di sospensione dei termini e proroghe da pronunciarsi con ordinanza motivata se il processo è «particolarmente complesso» (art. 344-bis, comma 4). Per la trattazione organica della nuova improcedibilità si rinvia al capitolo II, Il processo penale dalla Costituzione al codice vigente, par. 12 e ai capitoli sull’appello e sul ricorso in cassazione. 6 4. IL SEGRETO INVESTIGATIVO E IL DIVIETO DI PUBBLICAZIONE Nel procedimento si cerca di contemperare due esigenze: la necessità di proteggere la ricerca di verità contro atti che potrebbero inficiare la genuinità di una prova e quella di assicurare il diritto alla difesa. L’esigenza di tutela delle indagini impone di coprire col segreto gli atti iniziali del procedimento; la garanzia del diritto di difesa richiede che gli atti possono essere conosciuti dall’indagato e dalle altre potenziali parti private. Su questo sfondo si colloca l’art.111 comma 3Cost., in base al quale l’accusato ha il diritto di essere informato riservatamente nel più breve tempo possibile della natura e dei motivi dell’accusa elevato a suo carico. Per gli atti di indagine compiuti dal PM e dalla polizia giudiziaria è previsto come regola l’obbligo del segreto, un vincolo posto alla conoscibilità degli atti che opera in modo oggettivo gravando su tutti i soggetti che siano a conoscenza dell’atto segreto, art.329 comma 1. GLI ATTI CONOSCIBILI DALL’INDAGATO La conoscenza degli atti di indagine svolge una funzione opposta. Essa permette all’indagato di verificare la credibilità delle fonti di prova ricercate dall’accusa e l’attendibilità dei risultati ottenuti; permette inoltre di ricercare le prove a proprio favore. Il codice ha operato un bilanciamento tra la protezione della società e la difesa dell’indagato prevedendo deroghe alla segretezza, in favore del diritto di difesa. Gli atti garantiti sono quelli ai quali il difensore ha diritto di assistere previo avviso che deve essergli dato almeno 24 ore prima del compimento dell’atto stesso; si tratta: dell’interrogatorio, dell’ispezione e del confronto ai quali partecipa l’indagato e dell’ispezione alla quale non deve partecipare l’indagato. L’avviso può essere omesso quando il PM procede a ispezione e vi è fondato motivo di ritenere che le tracce o gli altri effetti materiali del reato possano essere alterati; è fatta salva, in ogni caso, la facoltà del difensore di intervenire. Nella categoria degli atti garantiti rientra altresì l’accertamento tecnico non ripetibile disposto dal PM su persone, cose o luoghi il cui stato è soggetto a modificazione o la modificazione dei quali è determinata dall’accertamento stesso. Quando vi è fondato motivo di ritenere che il ritardo nel compimento di uno di questi atti possa pregiudicare la ricerca o l’assicurazione delle fonti di prova, il PM può compierlo prima del termine dando tempestivamente avviso al difensore. Vi è poi una seconda categoria, definibile come atti a sorpresa; in essa rientrano gli atti ai quali il difensore ha facoltà di assistere senza tuttavia avere diritto al preavviso. Si tratta delle perquisizioni e dei sequestri. Degli atti sia garantiti, sia a sorpresa, è previsto il deposito del verbale a prescindere dal fatto che il difensore abbia partecipato o meno all’atto medesimo. Il deposito avviene presso la segreteria del PM entro il terzo giorno successivo al compimento dell’atto, con facoltà del difensore di esaminare il verbale ed estrarne copia nei 5 giorni successivi. Quando il PM ritiene di compiere un atto garantito, egli ha l’obbligo di inviare all’indagato ed alla persona offesa l’informazione di garanzia. Il contenuto più importante dell’informazione di garanzia è l’invito ad esercitare la facoltà di nominare un difensore di fiducia. Occorre ricordare che il pubblico ministero deve avvisare l’indagato e l’offeso dal reato della facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa (art. 369, comma 1-ter, introdotto dalla riforma Cartabia). Se non provvede in tal senso, il PM designa un difensore d’ufficio chiedendo il nominativo all’ufficio presso l’ordine forense del capoluogo di corte d’appello. Nel compimento di un atto garantito, il PM deve preavvisare il difensore ma questo ha la facoltà e non l’obbligo di assistere all’atto, pertanto l’atto si ritiene validamente compiuto comunque. GLI ATTI SEGRETI Fra gli atti segreti, che costituiscono la regola durante le indagini, rientrano ad esempio gli accertamenti tecnici ripetibili, l’individuazione di persone o di cose, l’assunzione di informazioni da possibili testimoni. Questi atti sono coperti dal segreto investigativo fino all’avviso di conclusione delle indagini(art.415bis). Tale segreto opera in modo oggettivo e si riferisce a tutte le persone che hanno partecipato o assistito al compimento dell’atto. La violazione dell’obbligo del segreto investigativo può rientrare in almeno due fattispecie incriminatrici: 7 -Rivelazione di segreti inerenti ad un procedimento penale (reclusione fino ad un anno)art. 379bis cp. Questo vincolo di segretezza concerne lo svolgimento e la documentazione dell’atto del procedimento ma non si estende al fatto storico oggetto di reato. Per cui per esempio, un possibile testimone non può rivelare le domande a lui rivolte ma può rivelare i fatti storici. -Rivelazione del segreto d’ufficio: art. 326, punisce il pubblico ufficiale o l’incaricato di pubblico servizio che rivela un atto segreto violando i doveri inerenti alle sue funzioni o al servizio o comunque abusando della propria qualità. Il codice indica due momenti nei quali viene meno l’obbligo del segreto: -in primo luogo quando l’indagato può avere conoscenza dell’atto (possibilità legale di conoscenza) che può aversi anche quando di fatto il difensore non è stato presente all’atto o non ha esaminato il verbale; -quando si perviene alla chiusura delle indagini preliminari (discovery). Nel caso di richiesta di archiviazione, solo se il giudice la accoglie de plano la richiesta, gli atti restano ignoti al difensore dell’indagato ma l’obbligo del segreto decade in quanto vi è stata chiusura del delle indagini, che corrisponde al decreto di archiviazione. Il codice ha tenuto conto della possibilità che in concreto si presenti l’esigenza di rendere segreti quegli atti che, per legge, sono nati come conoscibili o lo sono diventati successivamente perché devono essere depositati. Il PM esercita il potere di segretazione in caso di necessità per la prosecuzione delle indagini, e in particolare quando la conoscenza dell’atto può ostacolare le indagini riguardanti altre persone. L’obbligo del segreto concerne lo svolgimento dell’atto ed è ammesso solo se l’indagato stesso lo consenta, che la conoscenza dell’atto possa ostacolare le indagini riguardanti altre persone. In questi casi l’obbligo del segreto vincola coloro che sono a conoscenza dell’atto a non rivelare o divulgarlo a terze persone. L’art 391quiquies attribuisce al PM l’ulteriore potere di segretazione su atti già segreti ex 329 ed amplia il divieto di rivelazione poiché il segreto riguarda non solo lo svolgimento dell’atto ma i fatti storici; concerne quegli atti di indagine che comportano l’assunzione di dichiarazioni di possibili testimoni o indagati ed occorrono specifiche esigenze attinenti alle indagini. In presenza di questi requisiti il PM può vietare alle persone sentite di non rivelare con decreto motivato fino a 2 mesi: i soggetti avranno dunque un doppio vincolo, quello generale ex 329 e questo ex 391. DIVIETO DI PUBBLICAZIONE Diverso dal problema della segretezza degli atti all’interno del procedimento, che riguarda i soggetti che vi prendono parte, è il divieto di pubblicare gli atti del procedimento penale con il mezzo della stampa o con altro mezzo di diffusione. Nei confronti degli atti di indagine che sono segreti ex 329 è posto il divieto assoluto di pubblicazione, e cioè è vietato pubblicarne sia la riproduzione totale o parziale, sia il riassunto, sia il contenuto generico per non vanificare l’investigazione che si sta svolgendo, può anche accadere che per agevolare l’indagine il PM quando è necessario ai fini delle indagini può consentire con decreto la pubblicazione di singoli atti o parti di atti (identikit, videoripresa dell’autore del reato) che vengono depositati nella cancelleria del PM. Per gli atti conoscibili vige un divieto attenuato di pubblicazione, nel senso che è vietato pubblicare l’atto, e cioè il testo parziale o totale dell’atto stesso. Viceversa, è consentito pubblicare il contenuto dello stesso, cioè notizie di stampa più o meno generiche e privi di riscontri documentali riguardanti il contenuto di atti. Questo regime vige fino all’udienza preliminare. Dopo che il giudice dispone il giudizio e forma i due fascicoli, bisogna distinguere che gli atti del fascicolo del PM sono pubblicabili solo nel loro contenuto generico, mentre il loro testo solo dopo la pronuncia della sentenza in appello; gli atti del fascicolo del dibattimento sono pubblicabili attraverso la riproduzione totale o parziale del loro testo. 5. ATTIVITA’ D’INIZIATIVA DELLA POLIZIA GIUDIZIARIA All’interno delle indagini preliminari il codice distingue tra attività a iniziativa della polizia giudiziaria ed attività del PM. La distinzione ha la finalità di precisare la differente regolamentazione degli atti sotto vari profili. Tra gli atti di iniziativa della polizia e del PM è possibile distinguere tra atti tipici, espressamente disciplinati dalla legge e atti 10 dichiarazioni rese alla polizia giudiziaria possono essere utilizzate mediante lettura alle condizioni previste dall'art. 512 (v. infra, parte III, cap. 5). Considerazioni siffatte fanno comprendere come una corretta ed integrale documentazione, accompagnata dalla trascrizione, potrebbe essere l’unico modo per consentire un pieno apprezzamento di dichiarazioni che possono divenire prove nel futuro dibattimento e che comunque vengono utilizzate per tutte le decisioni prese nel corso delle indagini preliminari o a chiusura di tale fase (si pensi al nuovo ruolo assunto dall’udienza preliminare nel sistema introdotto dalla riforma Cartabia) 83. Sommarie informazioni da possibili testimoni vulnerabili. Una regolamentazione specifica è stata prevista quando si devono assumere informazioni da minorenni in relazione a delitti di prostituzione minorile, adescamento di minori, atti persecutori, maltrattamenti in famiglia, pedopornografia ed assimilati (84). In base al nuovo comma 1-ter, inserito nell’art. 351 dalla legge n. 172 del 2012, la polizia giudiziaria deve avvalersi «dell’ausilio di un esperto in psicologia o in psichiatria infantile, nominato dal pubblico ministero». L’atto di indagine deve essere diretto dall’ufficiale di polizia giudiziaria. Allo stesso modo (con l’ausilio di un esperto in psicologia o psichiatria) la polizia giudiziaria procede quando deve assumere sommarie informazioni da una persona offesa, anche maggiorenne, in condizione di particolare vulnerabilità, e ciò a prescindere da un elenco tassativo di reati (art. 90-quater). In ogni caso, la polizia «assicura che la persona offesa particolarmente vulnerabile, in occasione della richiesta di sommarie informazioni, non abbia contatti con la persona sottoposta ad indagini e non sia chiamata più volte a rendere sommarie informazioni, salva l'assoluta necessità per le indagini» (art. 351, comma 1-ter). La documentazione. Con condivisibile previsione, la riforma Cartabia (d.lgs. n. 150 del 2022) ha stabilito che le dichiarazioni della persona minorenne, inferma di mente o in condizioni di particolare vulnerabilità sono documentate integralmente, a pena di inutilizzabilità, con mezzi di riproduzione audiovisiva o fonografica, salvo che si verifichi una contingente indisponibilità di strumenti di riproduzione o di personale tecnico e sussistano particolari ragioni di urgenza che non consentano di rinviare l’atto (art. 357, comma 3-ter). Anche in tal caso, la trascrizione della riproduzione audiovisiva o fonografica è disposta solo se assolutamente indispensabile e può essere effettuata dalla polizia giudiziaria (art. 357, comma 3- quater). Il rafforzamento della documentazione costituisce senz’altro un passo avanti nella tutela di fonti dichiarative particolarmente delicate dalle quali, peraltro, possono dipendere le sorti del processo. Si tratta di una previsione che tutela contemporaneamente la funzione accertativa del processo penale e il diritto di difesa dell’imputato. Sempre nella forma delle sommarie informazioni l’ufficiale di polizia giudiziaria, che agisce di propria iniziativa, può opporre domande all’imputato o indagato di un procedimento connesso o collegato. Questi ha il diritto a essere assistito da un difensore, il quale deve essere tempestivamente avvisato e ha diritto ad assistere all’atto. IDENTIFICAZIONE E’ un atto non garantito con cui viene dato un nome ad un volto: oggetto dell’identificazione, cioè, è una persona fisica individuata di cui però non si conoscono le generalità. Lo scopo dell’individuazione pertanto non è la scoperta del colpevole, ma eventualmente del nome dell’indagato. Possono essere sottoposte ad identificazione, la persona offesa, la persona sottoposta alle indagini e i possibili testimoni, ossia tutte le persone che possono avere un ruolo negli sviluppi del procedimento e che può essere utile contattare. Il codice prevede la possibilità di esercizio di un potere coercitivo in capo alla polizia giudiziaria. Infatti, ogni volta che una persona rifiuta di farsi identificare, oppure fornisce generalità o documenti falsi, è possibile l’accompagnamento coattivo per identificazione trattenendola nell’ufficio di polizia per il tempo strettamente necessario o comunque non oltre le 12ore. In ogni caso, dell’accompagnamento e dell’ora in cui questo è stato compiuto occorre dare immediata notizia al PM che può ordinare in qualsiasi momento che la persona trattenuta sia rilasciata qualora non sussistano le condizioni. La persona sottoposta alle indagini ha l’obbligo di dichiarare le generalità e commette reato se non le fornisce o le dia false. Nel caso si rifiuti di dichiarare le generalità, ex art.651c.p., rischia una reclusione di un mese e un’ammenda fino a 206 euro; in caso di false dichiarazioni sulla propria identità, ex art.496c.p., rischia una reclusione da 3 a 5 anni. Per la completa identificazione la polizia richiede all’indagato oltre alle generalità, il soprannome, le condizioni di vita individuale. Tra i rilievi da compiersi nei confronti dell’indagato per fini di 11 identificazione è compreso il prelievo di capelli o saliva, che può avvenire su consenso dell’interessato. Anche se la polizia può procedere al prelievo coattivo nel rispetto della dignità ma con autorizzazione del PM. Scopo dei rilievi non è l’identificazione in sé ma anche la ricerca di eventuali precedenti. L'elezione di domicilio per le notificazioni . Inoltre, la persona sottoposta alle indagini viene invitata, ai sensi dell'art. 349, comma 3, ad eleggere un domicilio per le notificazioni previste dall’art. 161, nonché ad indicare il recapito della casa di abitazione, del luogo in cui esercita abitualmente l’attività lavorativa e dei luoghi in cui ha temporanea dimora o domicilio, oltre che ad indicare i recapiti telefonici o gli indirizzi di posta elettronica nella sua disponibilità ( 86). In base alla disciplina dell'art. 161, comma 1, così come risultante a seguito della riforma Cartabia (d.lgs. n. 150 del 2022), le notificazioni dell’avviso dell’udienza preliminare, degli atti di citazione in giudizio e del decreto penale di condanna devono essere eseguite nel domicilio dichiarato o eletto ; tutte le altre notificazioni, diverse dalle predette, saranno effettuate mediante consegna al difensore di fiducia o di ufficio. E’ ovvio che tutti questi adempimenti non possono essere eseguiti se non presso gli uffici della polizia giudiziaria . possono procedere tanto gli ufficiali quanto gli agenti di polizia GIUDIZIARIA. Dell’identificazione è redatto un verbale integrale. L’identificazione è un tipico atto non garantito, pertanto non deve essere dato alcun avviso al difensore, questi comunque non potrebbe parteciparvi. SOPRALLUOGO Il sopralluogo è il mezzo più veloce per l’identificazione del colpevole. Purtroppo, le tracce lasciate sul luogo del reato e perdute per sfortuna o incapacità degli inquirenti non possono essere più recuperate. Pertanto, gli atti fondamentali di tipo investigativo sono proprio i rilievi e gli accertamenti urgenti, che hanno le seguenti finalità: comprendere la dinamica del fatto dalla quale spesso dipende l’esistenza o meno del reato; raccogliere gli elementi di prova presenti; cercare spunti per la successiva attività di indagine. Nel corso del sopralluogo l’attività della polizia si caratterizza in: attività generica di conservazione che consiste nel curare che le cose o tracce pertinenti al reato siano conservate e che lo stato dei luoghi non sia mutato prima dell’intervento del PM, impedendo che vengano asportate cose o cancellate tracce. Poi, i rilievi urgenti che consistono nell’attività di osservazione dello stato dei luoghi, delle cose o delle persone, nonché nella descrizione delle tracce degli effetti materiali del fatto reato. I rilievi sono atti non ripetibili che devono essere compiuti di propria iniziativa dagli ufficiali di polizia giudiziaria in presenza di due presupposti: che il PM non possa intervenire tempestivamente; che ci sia il pericolo che nel frattempo lo stato dei luoghi cambi o le tracce vadano perdute. L’accertamento urgente è un’operazione di tipo tecnico che deve essere compiuta dalla polizia in presenza dei presupposti sopra menzionati. Ove sul posto siano reperiti dati, informazioni e programmi informatici o sistemi informatici o telematici, gli ufficiali della polizia giudiziaria devono adottare le misure tecniche e devono impartire le prescrizioni necessarie ad assicurarne la conservazione e ad impedirne l’alterazione e l’accesso. La polizia quando agisce di propria iniziativa deve conservare gli elementi di prova e non modificarli; viceversa il PM può farlo nelle forme garantite ex 360 (accertamento tecnico non ripetibile) La polizia giudiziaria compie il sequestro probatorio se vi è pericolo nel ritardo ed il PM non può intervenire tempestivamente. Il verbale è trasmesso entro 48h al PM nel luogo dove il sequestro è estato eseguito, il quale dovrà convalidarlo se ne ricorrono i presupposti. I rilievi, gli accertamenti urgenti, e il sequestro, compiuti dalla polizia giudiziaria in sede di sopralluogo, sono atti che nascono all’origine come non ripetibili; essi sono inseriti nel fascicolo delle indagini e, successivamente, confluiranno nel fascicolo per il dibattimento dopo che il GUP avrà deciso il rinvio a giudizio. Si tratta di atti a sorpresa ai quali può assistere senza preavviso il difensore dell’indagato. 1. Altri atti di iniziativa della polizia giudiziaria. La perquisizione su iniziativa della polizia giudiziaria. Occorre ricordare quali sono i requisiti della perquisizione su iniziativa della polizia giudiziaria (art. 352). Il primo requisito consiste nell'oggetto da ricercare: cose o tracce 12 pertinenti al reato, ovvero la persona dell'indagato o dell'evaso. Il secondo requisito riguarda la situazione in cui la perquisizione avviene questa può essere eseguita solo nei seguenti casi alternativi: a) nella flagranza del reato (art. 382); b) in caso di evasione; c) se si deve procedere al fermo di una persona indagata, ovvero all'esecuzione di un'ordinanza che dispone la custodia cautelare, ovvero che dispone la carcerazione per uno dei delitti per i quali è previsto l'arresto obbligatorio in flagranza (73). Il terzo requisito è dato dal pericolo nel ritardo: occorre ricercare subito cose o tracce, che si possono cancellare o disperdere, altrimenti, l'elemento di prova potrebbe andare perduto sia casualmente, sia per volontà dell'autore del reato o dei suoi complici. Il quarto requisito è il fondato motivo di ritenere che nel luogo o sulla persona vi siano le cose o le persone ricercate: per fondato motivo si deve intendere un insieme di elementi obiettivi dai quali emerga con sufficiente probabilità (non mera possibilità) che le cose o persone ricercate si trovino nel luogo in cui viene effettuata la perquisizione. Regolamentazione della perquisizione: la convalida . Per quanto riguarda gli aspetti procedimentali, ricordiamo che all'indagato, che sia presente, la polizia giudiziaria deve dare avviso della facoltà di nominare un difensore di fiducia (art. 114 disp. att.); questi può assistere all'atto. Inoltre, la polizia entro quarantotto ore deve trasmettere al pubblico ministero del luogo, ove la perquisizione è stata eseguita, il relativo verbale perché questi, nelle quarantotto ore successive, possa disporre la convalida con decreto motivato (art. 352, comma 4). Ai sensi del nuovo comma 4-bis, introdotto nell’art. 352 dalla riforma Cartabia (d.lgs. n. 150 del 2022), salvo che alla perquisizione sia seguito il sequestro, entro dieci giorni dalla data in cui hanno avuto conoscenza del decreto di convalida, l’indagato e la persona nei cui confronti la perquisizione è stata disposta o eseguita (se da lui diversa) possono proporre opposizione, sulla quale il giudice provvede in camera di consiglio. Il giudice accoglie l’opposizione quando accerta che la perquisizione è stata disposta fuori dei casi previsti dalla legge (art. 252-bis, comma 3 richiamato dall’art. 352, comma 4-bis). Si tratta di un rafforzamento del controllo sulla legalità della perquisizione, volto a colmare un vuoto di tutela dell’ordinamento processuale messo in luce dalla Corte europea nella sentenza 27 settembre 2018, Brazzi c. Italia. Da notare che, come espressamente precisato nella Relazione al d.lgs., la disciplina è congegnata in modo tale da fare comunque salvo il sequestro, da considerarsi alla stregua di un atto dovuto, secondo la giurisprudenza della Cassazione che si è pronunciata con riguardo al corpo del reato. La perquisizione di sistemi informatici o telematici è disposta, in presenza dei requisiti menzionati, quando gli ufficiali di polizia giudiziaria hanno fondato motivo di ritenere che in tali sistemi «< si trovino occultati dati, informazioni, programmi informatici o tracce comunque pertinenti al reato che possono essere cancellati o dispersi >>. La perquisizione è disposta anche se i sistemi informatici (es. computer) o telematici sono << protetti da misure di sicurezza »; Perquisizioni previste da leggi speciali. Da segnalare, infine, che sono previste da leggi speciali svariate ipotesi di perquisizione di iniziativa delle forze di polizia sia a fini di repressione, sia a fini di prevenzione dei reati; le più importanti sono quelle in materia di armi ed esplosivi (art. 41 T.U.L.P.S.), quelle per blocchi di edifici (art. 27, comma 2, 1. n. 55 del 1990; art. 25-bis, L. n. 356 del 1992) e quelle in materia di stupefacenti (artt. 99 e 103 d.p.r. n. 309 del 1990) (75). La relazione di servizio è un atto della polizia in cui viene riferito tutto quello che è emerso durante il servizio e che è destinato al dirigente dell'ufficio (artt. 36 e 37 r.d. n. 690 del 1907). La relazione era nata come un atto a rilevanza meramente interna al corpo di appartenenza; ma in base alla giurisprudenza tradizionale essa poteva essere trasmessa al pubblico ministero ed inserita nel fascicolo per il dibattimento, in quanto atto non ripetibile. Una sentenza delle sezioni unite della Cassazione ha iniziato a tracciare alcune distinzioni di notevole importanza. La documentazione dell’attività di polizia giudiziaria (art. 357). La polizia giudiziaria annota secondo le modalità ritenute idonee ai fini delle indagini, anche sommariamente, tutte le attività svolte, comprese quelle dirette alla individuazione delle fonti di prova (art. 357, comma 1). Fermo quanto disposto in relazione a specifiche attività, redige verbale dei seguenti atti: a) denunce, querele e istanze presentate oralmente; b) sommarie informazioni rese e dichiarazioni spontanee ricevute dalla persona nei cui confronti vengono svolte le indagini; c) informazioni assunte, a norma dell'articolo 351; d) perquisizioni e sequestri; e) operazioni e accertamenti previsti dagli articoli 349, 353 e 354; f) atti, che descrivono fatti e situazioni, eventualmente compiuti sino a che il pubblico ministero 15 di retrodatazione deve indicare, a pena di inammissibilità, le ragioni che la sorreggono e gli atti del procedimento dai quali è desunto il ritardo (art. 335-quater, comma 1) ( 93). La retrodatazione è disposta dal giudice quando il ritardo è «inequivocabile» e «non è giustificato» (art. 335-quater, comma 2). Questi aggettivi, già presenti nella legge-delega n. 134 del 2021, mirano a ridurre ad ipotesi eccezionali il sindacato sulle scelte del pubblico ministero, in modo da evitare di riconoscere all’indagato e al giudice una sorta di generalizzato potere di intromissione nelle valutazioni della pubblica accusa, che derivano dall’esercizio di una discrezionalità tecnica imposta dall’assetto costituzionale. Forme e termini per la richiesta . Ai sensi dell’art. 335-quater, comma 3, la richiesta di retrodatazione deve essere proposta, a pena di inammissibilità, entro venti giorni da quello in cui la persona sottoposta alle indagini ha avuto facoltà di prendere conoscenza degli atti che dimostrano il ritardo nell’iscrizione. Al fine di evitare una ingiustificata reiterazione di istanze è stato previsto che ulteriori richieste siano ammissibili soltanto se proposte nello stesso termine e fondate su atti diversi, in precedenza non conoscibili. Di regola, competente a decidere è il giudice che procede o, nel corso delle indagini preliminari, il giudice per le indagini preliminari (art. 335-quater, comma 4). L’art. 335-quater, comma 5 disciplina l’ipotesi in cui nel corso delle indagini preliminari si instauri un procedimento incidentale con l’intervento del pubblico ministero e dell’indagato: si faccia il caso in cui sia stata disposta una misura cautelare. In tale ipotesi, se la retrodatazione è rilevante ai fini della decisione, l’interessato può scegliere se presentare la richiesta nel procedimento principale oppure se presentarla nel procedimento incidentale (si pensi all’ipotesi in cui si svolga l’udienza sul riesame di fronte al tribunale della libertà): in tal caso essa è trattata e decisa in tale sede. Il procedimento incidentale. L’art. 335-quater, comma 6 stabilisce che – quando non è presentata in udienza o nel procedimento incidentale – la richiesta determina l’attivazione di un procedimento, di regola cartolare. Essa è depositata presso la cancelleria del giudice, con la prova dell’avvenuta notificazione al pubblico ministero. Il pubblico ministero, entro sette giorni, può depositare memorie e il difensore del richiedente può prenderne visione ed estrarne copia. Entrambe le parti hanno facoltà di depositare ulteriori memorie entro i sette giorni successivi. Decorso tale ultimo termine, il giudice, se ritiene che non sia necessario un contraddittorio orale, provvede sulla richiesta. Soltanto se il giudice lo ritiene necessario, evidentemente in ragione dell’esigenza di completare la base informativa disponibile, egli fissa una udienza in camera di consiglio e ne dà avviso al pubblico ministero e al difensore del richiedente. All’udienza, il pubblico ministero e il difensore sono sentiti se compaiono. La decisione è adottata con ordinanza. Ai sensi dell’art. 335-quater, comma 8, in caso d’accoglimento della richiesta, il giudice indica la data nella quale deve intendersi iscritta la notizia di reato e il nome della persona alla quale il reato stesso è attribuito. Occorre tenere presente che se i presupposti per la retrodatazione maturano durante l’udienza preliminare o in giudizio non si attiva un incidente apposito e la questione è trattata e decisa in udienza (art. 335-quater, comma 7). I controlli. Della decisione del giudice può dolersi l’indagato in caso di rigetto della richiesta di retrodatazione e il pubblico ministero e la parte civile in caso di accoglimento (art. 335-quater, comma 9). Gli interessati possono, a pena di decadenza, chiedere che la questione sia nuovamente esaminata prima della conclusione dell’udienza preliminare o, se questa manca, entro il termine previsto per le questioni preliminari al dibattimento. Nel dibattimento preceduto da udienza preliminare, la domanda di nuovo esame della richiesta di retrodatazione può essere proposta solo se già avanzata nell’udienza preliminare. Ai sensi dell’art. 335-quater, comma 10, l’ordinanza del giudice dibattimentale può essere impugnata nei casi e nei modi previsti dai primi due commi dell’articolo 586. Il registro ordinario. Al netto della disciplina appena esposta, occorre tenere presente che, in effetti, esistono tre tipi di registri; trattiamo immediatamente del registro ordinario, e cioè di quello che contiene le notizie di reato (art. 335). Il pubblico ministero, nel momento in cui ordina che sia iscritta nel registro la singola notizia di reato, può non essere in grado di individuare la persona alla quale debba essere addebitato il medesimo (registro denominato “modello 44”). Se anche, per ipotesi, la polizia giudiziaria ritenesse di aver individuato il responsabile, la pubblica accusa non sarebbe vincolata da questa indicazione; soltanto quando ritiene di formulare un addebito nei confronti di una persona, il pubblico ministero ordina alla segreteria di iscrivere il nominativo dell'indagato nel registro, accanto alla notizia di reato già inserita (il registro è denominato, in questo caso, “modello 21”). Successivamente l'iscrizione può essere aggiornata sia se muta la qualificazione giuridica del fatto, sia se ne risultano modificate le 16 circostanze. Resta fermo il potere di retrodatazione riconosciuto al pubblico ministero dall’art. 335, comma 1-ter. Viceversa, si dovrà procedere ad iscrizioni del tutto nuove se a carico della medesima persona sono addebitati reati concorrenti ovvero se il medesimo fatto è addebitato anche ad altre persone. Dalla data in cui è iscritto nel registro il nome della persona alla quale il reato è attribuito, decorre il termine (di regola, un anno per i delitti e sei mesi per le contravvenzioni) entro cui il pubblico ministero deve concludere le indagini o chiedere al giudice una proroga del termine (art. 405, comma 2) Le Sezioni Unite hanno affermato che il termine per le indagini decorre dal quando il PM iscrive il nome dell’indagato nel registro, sena che il giudice possa stabilire una diversa decorrenza. Infatti il codice non riconosce al giudice in caso di ritardo nelle iscrizioni, la possibilità di adottare atti surrogatori. La cosa è invece prevista in caso di richiesta di archiviazione poiché è ignoto l’autore del fatto. Infatti si dà al GIP un potere sostitutivo ove ritenga che il reato è attribuibile a una persona già individuata, ordinando l’iscrizione nel registro. Una volta che il nome dell’indagato è stato iscritto nel registro della notizia di reato, le indagini continuano a svolgersi di regola in segreto; ciò vuol dire che, se non vengono compiuti atti conoscibili e non viene disposta alcuna misura cautelare, l’indagato non ha conoscenza ufficiale che è in corso un procedimento penale. In tal caso il primo momento certo nel quale l’indagato ottiene una notizia ufficiale del procedimento a suo carico si ha nel momento in cui il PM ha concluso le indagini preliminari e ritiene che debba essere chiesto il rinvio a giudizio (inviando all’indagato l’avviso di conclusioni delle indagini, gli atti sono stati depositati e possono essere visionati dal difensore). Vi può essere una conoscenza ufficiosa da parte dell’indagato, o tramite stampa e TV. Ancora, l’indagato e l’offeso possono ottenere una notizia ufficiale dell’esistenza di un procedimento che li riguarda se chiedono alla segreteria del PM di avere conoscenza delle iscrizioni che le riguardano. Non sempre però l’iniziativa di parte trova soddisfazione, poiché le iscrizioni nel registro in alcuni casi eccezionali restano segreti. Tali casi sono: - se si procede per delitti di criminalità mafiosa, le iscrizioni sono segrete fino a 2 anni; se si procede per gravi delitti non mafiosi, le iscrizioni restano segrete fino ad un anno, infatti per questi reati la durata iniziale delle indagini è 1 anno e non 6 mesi; infine se si procede per altri reati il PM può disporre la segretazione fino a 3 mesi quando vi è pericolo di inquinamento delle prove. Prima della conclusione delle indagini l’indagato avrà notizia ufficiale, ancora, se il PM vuole richiedere l’applicazione di una misura cautelare oppure compiere un atto di garanzia conoscibile quindi dal difensore, avendo notizia tramite informazione di garanzia. In mancanza di tutto ciò l’indagato non avrà notizia ufficiale se non al termine delle indagini. Qualora il PM stia per compiere un atto garantito deve inviare all’indagato e alla persona offesa l’informazione di garanzia. Tale atto contiene l’invito ad esercitare la facoltà di nominare un difensore di fiducia. Deve essere inviata per posta tramite raccomandata con ricevuta di ritorno. Deve essere precisato l’addebito, le norme di legge che si assumono violate, la data e il luogo del fatto storico. Il diritto dell’indagato alla tempestiva conoscenza dell’addebito è garantito dal 111comma 3. Inoltre in adempimento ad una direttiva EU del 2013, l’informazione di garanzia deve contenere l’avviso che l’indagato o offeso ove ne facciano richiesta possono ottenere la comunicazione delle iscrizioni contenute nel registro. Ulteriore contenuto dell'informazione di garanzia . Infine, il pubblico ministero deve avvisare l’indagato e l’offeso della facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa (art. 369, comma 1-ter, introdotto dal d.lgs. n. 150 del 2022). L’informazione sul diritto di difesa deve essere inviata all’indagato in occasione del primo tra gli atti garantiti che si svolgono su iniziativa del PM, al fine di comunicargli la nomina del difensore d’ufficio. Contiene una serie di elementi allo scopo di comunicare tutti gli obblighi e le facoltà connessi alla difesa d’ufficio: l’obbligatorietà della difesa tecnica nel processo penale con l’indicazione dei diritti attribuiti dalla legge all’indagato; il nominativo del difensore d’ufficio; la precisazione che nonostante questo l’indagato ha la facoltà di nominare un difensore di fiducia; l’obbligo di retribuire il difensore; l’indicazione delle condizioni per essere ammessi al patrocinio a spese dello stato. Nella prassi questa informazione è inviata unitamente all’informazione di garanzia in un unico atto. Il codice precisa che deve comunque essere inviata prima dell’invito a presentarsi per rendere l’interrogatorio al 17 PM. Ma siccome questo è un atto eventuale, un D.L.vo del 2014 ha previsto che deve essere comunicata quantomeno contestualmente all’avviso di conclusione delle indagini. Bisogna precisare ex art. 375, quando il PM deve compiere un atto che richiede la presenza dell’indagato, inviandogli un invito a presentarsi che contiene anche una sommaria enunciazione del fatto addebitato, se all’interno di tale atto è aggiunto l’ulteriore invito a nominare un difensore di fiducia, esso sarà un atto equipollente ed equivale dunque all’informazione di garanzia e se contiene anche le indicazioni relative alla difesa tecnica, cumula in sé anche l’informazione sul diritto di difesa. ATTI COMPIUTI PERSONALMENTE O SU DELEGA Il PM può compiere atti di indagine personalmente o può delegarli alla polizia giudiziaria. La delega può riguardare sia gli atti atipici(pedinamento), sia gli atti tipici purché specificatamente delegati, ciò perché il legislatore vuole evitare che il PM dia alla polizia giudiziaria una delega generica a compiere atti previsti dal codice. E’ previsto in modo implicito il divieto di delegare l’interrogatorio dell’indagato arrestato o sottoposto a misure cautelari; è ricavabile dalla natura dell’atto il divieto di delegare l’accertamento tecnico in quanto spetta al PM personalmente la scelta dell’esperto e dei quesiti; è previsto in modo esplicito il divieto di compiere ispezioni, perquisizioni e sequestri, che si svolgono negli uffici dei difensori e che sono disposti nel corso delle indagini preliminari; ad essi provvede personalmente il PM in forza di un motivato decreto di autorizzazione del giudice. Gli atti assunti dal PM vengono verbalizzati dall’ufficiale di polizia giudiziaria o dall’ausiliario che assiste il PM. Per quanto riguarda le denunce, le querele presentate oralmente, gli interrogatori dell’indagato, le ispezioni, perquisizioni e sequestri, delle sommarie informazioni, degli interrogatori degli imputati connessi e degli accertamenti non ripetibili, è redatto un verbale in forma integrale. Le altre indagini sono verbalizzate in forma riassuntiva. L’interrogatorio dell'imputato detenuto . riforma Cartabia (d.lgs. n. 150 del 2022) ha ulteriormente rafforzato la documentazione. Nella sua versione attuale, l’art. 141-bis stabilisce che, a pena di inutilizzabilità, ogni interrogatorio reso fuori udienza da una persona, che si trovi a qualsiasi titolo in stato di detenzione, deve essere documentato integralmente con mezzi di riproduzione audiovisiva o, se ciò non è possibile, con mezzi di riproduzione fonografica ( 95). Quando si verifica una indisponibilità di strumenti di riproduzione audiovisiva o fonografica o di personale tecnico, si procede con le forme della perizia o della consulenza tecnica. La trascrizione della riproduzione è disposta soltanto se richiesta dalle parti. Di tale interrogatorio deve essere inoltre redatto verbale in forma riassuntiva ASSUNZIONI DI INFORMAZIONI DAL POSSIBILE TESTIMONE Le persone informate sui fatti possono essere assunte dal PM personalmente o ad opera della polizia giudiziaria da lui delegata. Come già detto, costoro hanno una posizione sostanzialmente analoga a quella di testimone poiché davanti al PM hanno un dovere di verità penalmente sanzionato. L’art.362comma 1(secondo periodo), pone al PM e alla polizia giudiziaria il divieto di chiedere alle persone già sentite dal difensore o dal suo sostituto informazioni sulle domande formulate e sulle risposte date nel corso dell’intervista. Le sommarie informazioni sono documentate mediante verbale che non è, tranne nel caso di contestazione, utilizzabile in dibattimento. Il possibile testimone gode di un’ulteriore garanzia contro l’autoincriminazione. Se dalle informazioni rese emergono indizi di reità a suo carico, l’autorità inquirente ne interrompe l’esame e lo avvisa che a seguito di tale dichiarazioni potranno essere svolte indagini nei suoi confronti. Il codice pone un’alta garanzia ancora più estesa allo scopo di evitare che l’inquirente senta come possibile testimone una persona che viceversa dovrebbe interrogare in qualità di indagato. In tal caso le sue dichiarazioni non possono essere utilizzate. L'attività di iniziativa del pubblico ministero. c. L'assunzione di informazioni dal possibile testimone (persona informata). La documentazione ., la riforma Cartabia (d.lgs. n. 150 del 2022) ha stabilito che le dichiarazioni della persona minorenne, inferma di mente o in condizioni di particolare vulnerabilità sono documentate integralmente, a pena di inutilizzabilità, con mezzi di riproduzione audiovisiva o fonografica, salvo che si verifichi una contingente 20 è possibile che l’accertamento diventi successivamente non ripetibile, in tal caso si applicherà l’art512 cpp (lettura degli atti quando per fatti o circostanze imprevedibili ne è divenuta impossibile la ripetizione); - accertamento tecnico non ripetibile il codice prevede l’ipotesi che l’accertamento tecnico appaia irripetibile; la non ripetibilità può derivare da varie situazioni: 1)l’accertamento riguarda persone, cose e luoghi il cui stato è soggetto a modificazioni (tracce polvere da sparo);2)può essere lo stesso accertamento a determinare la modifica di luoghi, cose o persone. In detti casi il PM deve dare un previo avviso all’indagato, all’offeso ed ai difensori in quanto costoro possono nominare consulenti tecnici come avviene per la perizia. I difensori, i CT eventualmente nominati hanno diritto di assistere al conferimento dell’incarico, a partecipare agli accertamenti e a formulare osservazioni e riserve. Il verbale relativo confluirà nel fascicolo del dibattimento dopo che è stato disposto il rinvio a giudizio. Ai sensi dell’art. 360, comma 3-bis introdotto dalla riforma Cartabia, il pubblico ministero può autorizzare la persona sottoposta alle indagini, la persona offesa dal reato, i difensori e i consulenti tecnici a partecipare a distanza al conferimento dell’incarico o agli accertamenti. La persona sottoposta alle indagini potrebbe pensare che il PM disponga gli accertamenti tecnici irripetibili per eludere la garanzia dell’incidente probatorio, allora l’art.360 consente alla parte di formulare riserva di procedere a incidente probatorio. Ciò consente che il PM deve rivalutare la situazione in quanto a quel punto egli deve o procedere nonostante la riserva agli accertamenti tecnici irripetibili nel caso in cui questi se differiti, non possono essere più utilmente compiuti o accogliere la riserva e procedere con le forme dell’incidente probatorio richiedendolo al GIP. Se il PM procedesse con gli accertamenti tecnici irripetibili senza un palese motivo nonostante la riserva il relativo verbale è inutilizzabile al dibattimento, in quanto la situazione sarebbe ascrivibile ai casi di incidente probatorio, ma è utilizzabile a tutti gli altri fini. Se l’accertamento è non differibile perché in un momento successivo non può più essere utilmente compiuto, il relativo verbale è utilizzabile in dibattimento. ACCERTAMENTI CHE INCIDONO SULLA LIBERTÀ PERSONALE Dopo anni di silenzio da parte del legislatore, la L. 89/2009 ha disciplinato l’ipotesi in cui il PM debba porre in essere accertamenti tecnici che richiedono il compimento di atti idonei ad incidere sulla libertà personale in mancanza di consenso della persona ad essi sottoposta. Il nuovo art.359-bis disciplina l’ipotesi in cui la necessità di svolgere un accertamento coattivo si presenti al PM nel corso delle indagini preliminari. L’art. 359bis permette il prelievo coattivo di capelli, peli e mucosa del cavo orale su persone viventi, finalizzato alla tipizzazione del profilo genetico, ed il compimento di accertamenti medici. Il PM deve chiedere al GIP l’autorizzazione al compimento dell’atto. Il giudice concede l’autorizzazione con ordinanza in presenza di delitto doloso o preterintenzionale, per consumato tentato, per il quale la legge ha previsto la pena dell’ergastolo o della reclusione superiore nel massimo di tre anni. In secondo luogo, occorre che l’accertamento tecnico risulti assolutamente indispensabile per la prova dei fatti. Le operazioni sono eseguite nel rispetto della dignità e del pudore da chi vi è sottoposto. L’INDIVIDUAZIONE DI PERSONE E DI COSE Durante le indagini preliminari il PM può procedere all’individuazione di persone o cose personalmente o mediante delega alla polizia giudiziaria; si tratta di un atto simile a quel mezzo di prova che è denominato ricognizione e che può essere disposto dal giudice in dibattimento o nell’incidente probatorio. La normativa prevista dal codice è basata su di un presupposto implicito, e cioè che l’atto di individuazione sia sempre ripetibile in un momento decisivo davanti al giudice nella forma della ricognizione. Poiché l’atto è ritenuto sempre ripetibile il PM, ricognizione sono poste a pena di nullità al fine di assicurare l’attendibilità del risultato. Non è prevista la presenza del difensore. Il difensore non conosce neanche il verbale dell’atto perché questo è segreto. Il codice si limita a prescrivere che il PM proceda ad individuazione di persone o cose quando è necessario per l’immediata prosecuzione delle indagini. L’indicazione temporale “quando” fa comprendere che non si è voluto restringere l’utilizzabilità ai soli fini investigativi. 21 ALTRE ATTIVITÀ DI INIZIATIVA DEL PM Tra gli atti di iniziativa del PM rientrano i mezzi di ricerca della prova, dai quali il codice tratta nel libro III artt. 244ss.: 1)perquisizione: si tratta in genere di un atto delegabile alla polizia giudiziaria con decreto, nel quale devono essere specificati i luoghi, le persone, ed in particolare se si è consentito l’ingresso coattivo e se la perquisizione si possa estendere anche agli altri luoghi di cui il perquisito disponibilità. 2)sequestro probatorio: il PM quando delega il sequestro alla polizia giudiziaria, indica l’oggetto da sequestrare; se non lo fa ma dispone genericamente il sequestro di quanto rinvenuto costituente corpo o pertinenza del reato, si ritiene che la polizia giudiziaria debba chiedere la convalida al magistrato. 3)ispezione personale: è un atto che, per la sua particolarità della sfera personale del soggetto ad esso sottoposto, è stato riservato all’iniziativa del PM: questi nell’esecuzione materiale dell’atto può affidarsi all’opera di un medico. Il soggetto sottoposto a ispezione (offeso, indagato) ha il diritto di farsi assistere da una persona di fiducia. L’ispezione è un atto garantito, che impone il preavviso di 24h al difensore dell’indagato. 4)operazione sotto copertura: al fine di acquisire elementi di prova relativi a delitti molto gravi, è prevista una causa di non punibilità che consente ad alcuni corpi di polizia, autorizzati dal PM, di svolgere operazioni sotto copertura, e cioè indagini compiute da soggetti incaricati che si infiltrano all’interno di associazioni criminali. Nell’ambito di tali attività, è possibile che gli infiltrati si rendono autori di reati, che sono dichiarati dalla legge non punibili con una specifica causa di giustificazione. E’ previsto un procedimento che consente all’ufficio superiore di accertare se il PM, che svolge le indagini, sia legittimato, e cioè sia quello che è collocato presso il giudice competente. Tale controllo opera su richiesta di parte. Il richiedente ha l’onere di indicare, a pena d’inammissibilità, il giudice competente. IL che costituisce, un’autentica probatio diabolica. Qualora il PM procedente rigetti la richiesta, l’originario richiedente può riproporre la richiesta nei successivi 5 gg. La richiesta deve essere presentata al procuratore generale presso la corte d’appello o al procuratore generale presso la corte di cassazione. AVVISO DI CONCLUSIONE DI INDAGINI Quando il PM ritiene di chiedere rinvio a giudizio, deve far notificare all’indagato e al suo difensore un atto dal contenuto piuttosto articolato: l’avviso di conclusioni dell’indagine preliminari ex art. 415bis. Tale avviso, che deve essere notificato prima della scadenza del termine per le indagini, contiene la sommaria enunciazione del fatto per il quale si procede, con l’indicazione delle norme di legge che si assumono violate, della data e del luogo del fatto. In tal modo la persona sottoposta alle indagini, che può non aver mai ricevuto l’informazione di garanzia o atto equipollente, viene per la prima volta informata dell’esistenza di un procedimento penale a proprio carico. Inoltre, l’avviso contiene l’avvertimento che l’indagato ed il suo difensore hanno la facoltà di prendere visione del fascicolo delle indagini. L’adempimento assume importanza anche in relazione all’ulteriore contenuto dell’avviso. L’indagato ha infatti avvertito che entro il termine di 20gg può esercitare le seguenti facoltà: a) può presentare memorie, produrre documenti, può presentare documentazione relativa d’investigazioni del difensore; b) può chiedere al PM il compimento di atti di indagine; c) può presentarsi per rilasciare dichiarazioni ovvero chiedere di essere sottoposto ad interrogatorio. Il PM non è vincolato ad adempiere alle richieste dell’indagato, salvo in un caso. Quando l’indagato di essere sottoposto ad interrogatorio, l’inquirente ha l’obbligo di procedervi. Il codice prevede una nullità se il PM non invita l’indagato a presentarsi per rendere l’interrogatorio ai sensi dell’art. 375, qualora l’indagato stesso abbia chiesto di essere sottoposto a tale atto entro il termine di cui all’art.415-bisc.3 cioè 20gg dall’avviso di conclusione delle indagini; la nullità(intermedia) concerne la richiesta di rinvio a giudizio e il decreto di citazione diretta (artt.416comma 1 e 552). 7. L’ARRESTO IN FLAGRANZA E IL FERMO 22 CONSIDERAZIONI PRELIMINARI Il codice accoglie il principio generale secondo cui soltanto il giudice è competente ad applicare una misura cautelare limitativa della libertà personale con un provvedimento avente effetti permanenti nel tempo, anche se tali misure hanno comunque un termine massimo di durata. La polizia giudiziaria ha il potere di disporre misure coercitive temporanee denominate arresto e fermo, che limitano la libertà personale dell’indagato in situazioni di urgenza, fino a quando non interviene la convalida del giudice entro 48 ore; se non arriva la convalida, tali misure cessano di avere efficacia. Queste misure sono dette precautelari, per indicare che consistono in un anticipo della tutela predisposta mediante le misure cautelari: quando non è possibile attendere che si svolga il procedimento cautelare, in quanto il destinatario della misura coercitiva potrebbe sottrarsi alle ricerche, si dà alla polizia giudiziaria il potere di agire tempestivamente, a condizione che la magistratura sia investita del caso in termini brevissimi. Le misure precautelari sono ammesse dalla carta fondamentale, dall’art.13 comma 3, in quanto funzionali alla successiva adozione di una misura cautelare. La gravità del delitto che consente l’applicazione delle misure precautelari, ex 379, è determinata con le medesime modalità che valgono per le misure cautelari, ovvero ex 278: determinata ex art. 4 cpp, tenendo conto dell’aggravante dell’aver approfittato di situazioni di tempo, di luogo o di persone tali da ostacolare la pubblica o provata difesa e dell’attenuante del danno o del lucro di speciale tenuità; sulla quantità così individuata devono essere operati gli aumenti o le diminuzioni di pena previsti dalle circostanze indipendenti o ad effetto speciale. Il PM e la polizia giudiziaria possono anche disporre misure coercitive temporanee che non comportano restrizione della libertà personale, ma impongono limiti alla libertà di circolazione: si tratta dell’accompagnamento coattivo. ARRESTO L’arresto in flagranza è un provvedimento che di regola è disposto dalla polizia giudiziari ed eccezionalmente dai privati. Il potere di arresto ha la finalità di assicurare alla giustizia gli autori del reato e di impedire che il reato medesimo venga portato a conseguenze ulteriori. La situazione di flagranza è descritta nell’art.382: è in stato di flagranza colui che viene colto nell’atto di commettere il reato; è in quasi flagranza il soggetto che, subito dopo il reato, è inseguito dalla polizia giudiziaria ovvero è sorpreso con cose o tracce dalle quali appaia che abbia commesso il reato immediatamente prima. Vi è poi la “flagranza differita”, che autorizza la polizia giudiziaria ad operare l’arresto di persone che abbiano commesso atti violenti nelle manifestazioni sportive. Arresto obbligatorio. Il 380 comma 1 prevede un criterio quantitativo: in presenza di un delitto non colposo (consumato o tentato) per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel minimo a 5 anni o nel massimo 20 anni; il comma 2 aggiunge un criterio qualitativo di applicabilità: associazione mafiosa; traffico di stupefacenti; furto aggravato; rapina; estorsione; pornografia minorile ecc. Arresto ad opera di persone private. L’arresto può essere effettuato da ogni persona se il delitto è procedibile d’ufficio. Il soggetto, ex 383, deve consegnare il soggetto e le cose costituenti il corpo del reato alla polizia giudiziaria, che redige verbale della consegna e ne rilascia copia. Arresto facoltativo. Ex 381, l’arresto è rimesso alla discrezionalità dell’ufficiale o agente di polizia, il quale deve valutare se la misura sia giustificata dalla gravità del fatto o dalla pericolosità del soggetto, desunta dalla sua personalità o dalle circostanze del fatto. In presenza di tali condizioni l’arresto in flagranza è consentito quando si procede sia per un delitto non colposo, per il quale la legge ne stabilisce la pena della reclusione superiore nel massimo a tre anni, sia per un delitto colposo, per il quale la legge stabilisce la pena della reclusione non inferiore nel massimo a 5 anni. Il comma 2 del 381 prevede ipotesi in cui si può applicare la misura dell’arresto facoltativo, a prescindere dalla pena edittale (es. violenza o minaccia a pubblico ufficiale, furto, truffa, evasione, corruzione di minorenni). Il D.L. 92/2008 ha introdotto come caso di arresto facoltativo in flagranza, la falsa attestazione dell’identità personale e le fraudolente alterazioni per impedire l’identificazione personale. 25 CONSIDERAZIONI PRELIMINARI Il legislatore ha fatto la scelta fondamentale di riservare al dibattimento la formazione della prova, poiché in tale sede è garantito il contraddittorio nella sua più ampia manifestazione. Tuttavia il principio di immediatezza, che ispira tale scelta, non può essere assicurato in modo assoluto: vi sono casi in cui esigenze pratiche richiedono di procedere subito all’assunzione della prova. La legge delega al codice aveva previsto la possibilità di assumere la prova in contraddittorio già nel corso delle indagini preliminari quando essa non fosse rinviabile al dibattimento. A tal fine è stato predisposto l’incidente probatorio: esso consiste in un’udienza che si svolge in camera di consiglio senza la presenza del pubblico e nella quale, davanti al GIP, si assumono le prove nelle medesime forme che sono prescritte per il dibattimento. Il testo originario aveva infatti tipizzato i motivi e i casi di rinviabilità. Il principio di immediatezza prevaleva sul diritto alla prova non rinviabile. Così vi fu un raro utilizzo dell’incidente probatorio, fino al 1994, quando la Corte Costituzionale ha precisato che il diritto alla prova non rinviabile deve prevalere sul principio di immediatezza, ritenendo illegittimi gli artt. 392 e 393 nella parte in cui non prevedevano la possibilità dell’incidente probatorio nell’udienza preliminare. CASI DI INCIDENTE PROBATORIO Alcuni mezzi di prova possono essere assunti nell’incidente probatorio se sono presenti i casi tassativi di non rinviabilità al dibattimento, ex art.392: a) comma 1 lett. a, b, e  testimonianza e confronto, che sono ammessi se il dichiarante non potrà deporre in dibattimento a causa di un grave impedimento o di una minaccia in atto affinché non deponga o deponga il falso. b) comma 1 lett. f esperimento giudiziale e perizia urgente, che sono ammessi se la prova riguarda una persona, una cosa o un luogo il cui stato è soggetto a modificazione non evitabile. c) comma 1 lett. g ricognizione, che è ammessa se particolari ragioni di urgenza non consentono di rinviare l’atto al dibattimento. Vi sono poi altri mezzi di prova che devono essere assunti nell’incidente senza che sia necessario il requisito della rinviabilità né dell’urgenza, ma la prova deve essere pertinente e rilevante; serve la richiesta di una parte. 1) Ex 392 comma 1 lett. d  esame dell’indagato, quando questi debba deporre su fatti concernenti la responsabilità altrui, l’esame dell’imputato connesso o collegato ex 210; in tal modo si realizza il diritto a confrontarsi con l’accusatore. 2) Ex comma 2 perizia di lunga durata, poiché se disposta nel dibattimento ne determinerebbe una sospensione superiore a 60gg. 3) Ex art. 224 bis perizia coattiva, in quanto atto idoneo a incidere sulla libertà personale, per cui si procede al prelievo coattivo di capelli, peli o mucosa. 4) Ex 391bis comma 11  testimonianza o esame delle persone che si siano avvalse della facoltà di non rispondere o di non rendere la dichiarazione scritta nel corso dell’intervista svolta dal difensore. 5) Ex 392 comma 1bis  testimonianza di persona offesa minorenne o persona offesa maggiorenne per alcuni delitti di violenza contro la persona. La cassazione nel 2007 ha precisato che nei casi di reati sessuali con vittime minori di tenera età è indispensabile l’audizione degli adulti con cui per primi si fosse confidata la persona offesa, per assicurare la genuinità del racconto; ciò però non toglie la possibilità di sentire la vittima stessa. Vi è l’ulteriore esigenza di non sottoporre a stress la persona offesa. In tal caso si ritiene che il difensore conosca tutti gli atti di indagine e che l’assunzione avvenga con metodi protette con l’obbligo di registrazione fonografica e audiovisiva. Si era posto il problema se la originaria normativa fosse applicabile alla persona offesa minorenne. La Corte di Giustizia, investita in via incidentale della questione da un GIP italiano, ha ritenuto che il minore vittima deve poter rendere la propria deposizione con un livello di tutela adeguato. IL CONTRADDITTORIO SULL’AMMISSIBILITA’ DELL’INCIDENTE 26 L’incidente probatorio si svolge in varie fasi. Esse sono: 1) il contraddittorio sull’ammissibilità dell’incidente; 2) la decisione del giudice sull’ammissibilità e fondatezza della richiesta; 3) lo svolgimento dell’udienza in camera di consiglio; 4) l’eventuale integrazione del contraddittorio. Possono chiedere incidente probatorio il PM, l’indagato e il suo difensore; la persona offesa può invece fare richiesta al PM, ex 394, che ha l’obbligo di pronunciare decreto motivato se non la accoglie. Il richiedente deve precisare nella richiesta, a pena di inammissibilità:  la prova da assumere, i fatti che ne costituiscono l’oggetto e le ragioni della sua rilevanza;  le persone nei confronti delle quali si procede per i fatti oggetto della prova;  i motivi per cui la prova non è rinviabile al dibattimento. La richiesta di incidente è presentata alla cancelleria del GIP ed è notificata alla controparte. Il giudice decide sulla richiesta di incidente con un’ordinanza non impugnabile. In caso di accoglimento, fissa la data dell’udienza e indica l’oggetto della prova e le persone interessate alla assunzione della stessa; a queste, alla persona offesa e ai loro difensori, oltreché al PM, viene dato avviso della data dell’udienza. Ex 398 comma 5bis, nel caso di indagini di cui al 392 comma 1bis, qualora vi sia da escutere un minorenne, il giudice deve stabilire luogo, tempo e modalità in cui assumere la prova, qualora vi siano specifiche esigenze. La norma si applica anche nel caso in cui sia da escutere un maggiorenne in particolari condizioni di vulnerabilità. Il PM ha inoltre il potere di chiedere al giudice il differimento dell’incidente “quando la sua esecuzione pregiudicherebbe uno o più atti d’indagine preliminare”. La decisione è presa dal giudice senza contraddittorio ed è comunicata al PM e notificata per estratto alle persone interessate. Il codice dispone che il differimento non è consentito “quando pregiudicherebbe l’assunzione della prova”. I testimoni e gli imputati, una volta indicati nella richiesta di incidente probatorio, non possono essere più sentiti dinanzi alla polizia giudiziaria e al PM, possono essere sentiti solo davanti al giudice: la violazione di tale norma comporta l’inammissibilità delle informazioni. IL DIRITTO AD EFFETTUARE CONTESTAZIONI PROBATORIE Il difensore dell’indagato nella fase delle indagini preliminari conosce soltanto i pochi atti che siano stati depositati ai sensi dell’art. 366 presso la segreteria del PM. Soltanto il PM conosce integralmente tutti gli atti d’indagine; ma la conoscenza di tali atti è indispensabile per condurre in modo efficace l’esame incrociato e, soprattutto, per controllare la credibilità e l’attendibilità del dichiarante. Il codice pone dunque al PM l’obbligo di depositare prima dell’udienza i verbali delle dichiarazioni che la persona da esaminare ha rilasciato in precedenza alla polizia giudiziaria e al PM: così il giudice fa notificare all’indagato, all’offeso e ai difensori l’avviso del giorno in cui avverrà l’incidente probatorio, “con l’avvertimento che nei due giorni precedenti l’udienza” costoro potranno “prendere cognizione ed estrarre copia delle dichiarazioni già rese dalla persona da esaminare”. Si contemperano il diritto di difesa e il principio di segretezza delle indagini. In casi di reati di violenza sessuale, di pedofilia, di tratta di persona e assimilati, il diritto al contradditorio è tutelato in modo ampio: con la richiesta di incidente probatorio avente ad oggetto la testimonianza di un minorenne o della persona offesa maggiorenne, si dispone che il PM depositi tutti gli atti d’indagine compiuti. L’indagato e i difensori delle parti private hanno il diritto di esaminare ed ottenere copia degli atti compiuti dal PM e depositati presso la cancelleria del giudice. SVOLGIMENTO DELL’UDIENZA L’udienza è regolamentata in aderenza alle finalità dell’incidente probatorio di costituire un’anticipazione del dibattimento durante la fase delle indagini preliminari. Le parti private potenziali conoscono soltanto parzialmente gli atti assunti nelle indagini. L’udienza si svolge in camera di consiglio ex 127: è necessaria la partecipazione del PM e dell’indagato e del suo difensore. In tale sede il difensore dell’offeso ha il diritto ma non l’obbligo di partecipare all’udienza, e non può porre domande direttamente al dichiarante, bensì può chiedere al giudice di rivolgerle. A loro volta l’indagato e l’offeso hanno il diritto di assistere personalmente all’udienza quando si deve esaminare un testimone o un’altra persona; negli altri casi possono assistere solo su autorizzazione del giudice. 27 Le prove sono assunte e documentate con le « forme » stabilite per il dibattimento (art. 401, comma 5). Pertanto, sarà necessario procedere alla riproduzione audiovisiva dell’esame dei dichiaranti, nonché degli atti di ricognizione e confronto. Poiché non vi è un rinvio generale alla disciplina del dibattimento, il giudice per le indagini preliminari non ha il potere di assumere d'ufficio nuove prove; ciò del resto è imposto dal principio della domanda, che vale per l'intero incidente probatorio. Viceversa, pare applicabile l'art. 506, che attribuisce al giudice limitati poteri in ordine all'esame dei testimoni e delle parti private; in particolare, il giudice può rivolgere domande alle persone « già esaminate ». Infatti tale potere costituisce un necessario complemento dell'esame incrociato L'avviso di conclusione delle indagini. Quando il pubblico ministero ritiene di chiedere il rinvio a giudizio, deve far notificare all'indagato ed al suo difensore un atto dal contenuto piuttosto articolato: l'« avviso di conclusione delle indagini preliminari . Tale avviso, che deve essere notificato prima della scadenza del termine per le indagini, contiene « la sommaria enunciazione del fatto per il quale si procede » con l'indicazione delle norme di legge che si assumono violate, della data e del luogo del fatto viene ufficialmente informato della conclusione delle indagini a proprio carico . Inoltre, l'avviso contiene l'avvertimento che l'indagato ed il suo difensore hanno la facoltà di prendere visione del fascicolo delle indagini, depositato presso la segreteria del pubblico ministero (art. 415-bis, comma 2). In tal modo la difesa può conoscere tutti gli atti di indagine in un momento anteriore al deposito della richiesta di rinvio a giudizio (v. atto 3.1.14). L'adempimento assume importanza anche in relazione all'ulteriore contenuto dell'avviso. L'indagato è infatti avvertito che entro il termine di venti giorni può esercitare le seguenti facoltà: a) può << presentare memorie, produrre documenti, depositare documentazione relativa ad investigazioni del difensore >>; b) può «< chiedere al pubblico ministero il compimento di atti di indagine c) può presentarsi per rilasciare dichiarazioni ovvero chiedere di essere ad interrogatorio (art. 415-bis, comma 3). Nella medesima ottica, la riforma Cartabia (d.lgs. n. 150 del 2022), che ha previsto una disciplina organica della giustizia riparativa (v. infra il capitolo sui Procedimenti speciali), ha stabilito che l’avviso deve contenere altresì «l’informazione della facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa» (art. 415-bis, comma 3) aggiornamento per i procedimenti che sono iscritti dopo il 31 agosto 2020. Il deposito delle intercettazioni al momento dell'avviso della conclusione delle indagini. Nel nuovo comma 2-bis dell'art. 415-bis (introdotto dal d.l. n. 161 del 2019, conv. in legge n. 7 del 2020) si prevede espressamente l'ipotesi in cui, durante le indagini, il pubblico ministero sia stato autorizzato dal giudice al deposito differito e, quindi, non sia avvenuta l'udienza di stralcio. In tal caso, l'avviso di conclusione delle indagini deve contenere l'avvertimento che il difensore dell'indagato ha facoltà di esaminare gli atti depositati relativi alle intercettazioni. Il difensore può ,entro il termine di 20 gg, depositare l’elenco delle ulteriori registrazioni ritenuti rilevanti e di cui chiede copia. Sull’istanza decide il pm con decreto motivato. La richiesta dell'indagato di essere interrogato . Il pubblico ministero non è vincolato ad adempiere alle richieste dell'indagato, salvo in un caso. Quando lindagato chiede (entro venti giorni dalla notifica dell'avviso) di essere sottoposto ad interrogatorio l'inquirente ha l'obbligo di procedervi. In tutte le altre ipotesi, il pubblico ministero valuta discrezionalmente la necessità di compiere nuove indagini a seguito delle richieste dell'indagato. Se ritiene di svolgerle, esse debbono essere compiute entro il termine di trenta giorni dalla presentazione della richiesta. Il termine può essere prorogato dal giudice su richiesta del pubblico ministero << per una sola volta e per non più di sessanta giorni » (art. 415-bis, comma 4) (140). Le dichiarazioni rilasciate dall’indagato, l’interrogatorio del medesimo e i nuovi atti di indagine compiuti dal pubblico ministero a seguito delle sollecitazioni della difesa sono utilizzabili se compiuti entro tale termine, anche se i termini per le indagini sono scaduti (art. 415-bis, comma 5) 30 pubblico ministero a dover individuare la data dalla quale far decorrere il termine per le indagini nei confronti di tale indagato (art. 335-ter, comma 2). In ogni caso, quest’ultimo, se dovesse ravvisare abusi, potrà chiedere l’accertamento della tempestività dell’iscrizione (art. 335-quater). In tali ipotesi, il termine per le indagini decorrerà dall’iscrizione del nome della persona nel registro. I termini massimi per le indagini. Il codice pone alle indagini preliminari termini massimi (comprensivi della proroga). Il termine ordinario per i delitti è di un anno e sei mesi e per le contravvenzioni è di un anno (art. 407, comma 1). È previsto un termine di due anni nei seguenti casi (art. 407, comma 2): a) se le indagini preliminari riguardano delitti gravi o di criminalità organizzata, indicati specificamente ); b) se le investigazioni sono particolarmente complesse per il numero di reati collegati o di indagati o di persone offese; c) se le indagini richiedono il compimento di atti all’estero; d) se si tratta di procedimenti collegati . Sanzioni in caso di superamento dei termini massimi. «non possono essere utilizzati gli atti di indagine compiuti dopo la scadenza del termine per la conclusione delle indagini preliminari stabilito dalla legge o prorogato dal giudice». La sanzione colpisce gli atti di indagine e non le richieste che la pubblica accusa può presentare fuori termine. Le ragioni della riforma. Vigente il codice del 1988, nella prassi accadeva spesso che il pubblico ministero, terminate le indagini preliminari, non si attivasse per chiedere l’archiviazione o per esercitare l’azione penale. Nel tempo si è così avvertita la necessità di porre rimedio e, per la prima volta, è stata la riforma Orlando (l. n. 103 del 2017) ad apprestare una disciplina espressa. La novella aveva introdotto il c.d. “periodo di riflessione” concedendo alla pubblica accusa un termine per assumere le proprie determinazioni, una volta concluse le indagini preliminari. Si trattava, tuttavia, di una disciplina che necessitava di qualche messa a punto anche sul piano sistematico al fine di tracciare una netta distinzione tra il termine per le indagini preliminari e il c.d. termine per l’azione e di individuare un adeguato meccanismo di controlli sull’inerzia del pubblico ministero108. Su tali profili è intervenuta la riforma Cartabia (d.lgs. n. 150 del 2022) con una disciplina estremamente complessa informata al principio dei pesi e contrappesi che prevede controlli sull’inazione del pubblico ministero sia in via “gerarchica” attraverso l’intervento del procuratore generale, sia attraverso il riconoscimento all’indagato e all’offeso del diritto di sollecitare il sindacato del giudice per le indagini preliminari. Nel complesso, la disciplina, pur allestendo un complesso meccanismo di controlli, non è idonea a garantire né la durata ragionevole del “periodo di riflessione”, né l’effettiva coercibilità dell’obbligo di assumere le determinazioni in ordine all’esercizio dell’azione penale e, dunque, in definitiva l’obbligatorietà della stessa. Il periodo di riflessione. esso è pari a tre mesi nelle ipotesi ordinarie ed a nove mesi se si tratta delle ipotesi previste dall’art. 407, comma 2 (in cui il termine massimo per le indagini è pari a due anni) (110). Il termine decorre dalla scadenza dei termini per le indagini. Se il pubblico ministero ha disposto la notifica dell’avviso di conclusione delle indagini, il termine per l’azione inizia a decorrere dalla scadenza del termine riconosciuto all’indagato per presentare memorie e produrre documenti (art. 415-bis, comma 3) ovvero, se l’indagato chiede nuove indagini, dalla scadenza del termine di trenta giorni (prorogabile per non più di sessanta giorni) dalla presentazione della richiesta, riconosciuto al pubblico ministero per svolgere le indagini sollecitate dalla difesa (art. 415-bis, comma 4). La richiesta di differimento dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari. la riforma Cartabia ha previsto che il pubblico ministero, prima della scadenza del termine per le indagini previsto dall’art. 405, comma 2, possa presentare richiesta motivata di differimento della notifica dell’avviso di conclusione al procuratore generale presso la corte di appello (art. 415-bis, comma 5-bis). Il differimento può essere chiesto nei seguenti casi: a) quando è stata richiesta l’applicazione della misura della custodia cautelare in carcere o degli arresti domiciliari e il giudice non ha ancora provveduto o quando, fuori dai casi di latitanza, la misura applicata non è stata ancora eseguita; b) quando la conoscenza degli atti d’indagine può concretamente mettere in pericolo la vita di una persona o la sicurezza dello Stato. È poi previsto, per i soli delitti indicati dall’art. 407, comma 2, che il differimento possa essere chiesto quando la conoscenza degli atti di indagine possa «arrecare un concreto pregiudizio, non evitabile attraverso la separazione dei procedimenti o in altro modo, per atti o attività di indagine 31 specificamente individuati, rispetto ai quali non siano scaduti i termini di indagine e che siano diretti all’accertamento dei fatti, all’individuazione o alla cattura dei responsabili o al sequestro di denaro, beni o altre utilità di cui è obbligatoria la confisca» (art. 415-bis, comma 5-bis) . Entro venti giorni dal deposito della richiesta del pubblico ministero, se ne ricorrono i presupposti, il procuratore generale autorizza con decreto motivato il differimento per il tempo strettamente necessario e, comunque, per un periodo complessivamente non superiore a sei mesi o, se si procede per taluno dei delitti indicati nell’art. 407, comma 2, non superiore a un anno. In caso contrario, il procuratore generale ordina con decreto motivato al procuratore della Repubblica di provvedere alla notifica dell’avviso di conclusione entro un termine non superiore a venti giorni. L’ordine del giudice per le determinazioni sull’azione penale. I commi 5-quater, 5- quinquies e 5-sexies dell’art. 415-bis, così come risultante a seguito della riforma Cartabia, disciplinano le ipotesi in cui il pubblico ministero sia rimasto inerte e cioè non abbia esercitato l’azione penale, né richiesto l’archiviazione successivamente allo scadere dei termini per l’azione previsti dall’art. 407-bis, comma 2. In base a tale norma, come abbiamo ricordato supra, il pubblico ministero esercita l’azione penale o richiede l’archiviazione entro tre mesi per le ipotesi ordinarie o nove mesi nei casi previsti dall’art. 407, comma 2. Tali termini decorrono dalla scadenza di termini per le indagini o, se è stata disposta la notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari dalla scadenza di termini riconosciuti alla difesa per presentare documentazione e richieste (art. 415-bis, comma 3) oppure imposti al pubblico ministero che intenda svolgere le eventuali indagini sollecitate dalla difesa (art. 415-bis, comma 4). Ai sensi dell’art. 415-bis, comma 5-quater, se il pubblico ministero è rimasto inerte, dopo aver notificato l’avviso di conclusione delle indagini, la persona sottoposta alle indagini e la persona offesa possono chiedere al giudice per le indagini preliminari di ordinare al pubblico ministero di assumere le determinazioni sull’azione penale. Sulla richiesta il giudice provvede nei venti giorni successivi con decreto motivato. In caso di accoglimento, il giudice ordina al capo dell’ufficio del pubblico ministero di assumere le determinazioni sull’azione penale entro un termine non superiore a venti giorni. Copia del decreto è comunicata al pubblico ministero ed al procuratore generale presso la corte d’appello (ai fini dell’eventuale avocazione) e notificato alla persona che ha formulato la richiesta (art. 415-bis, comma 5-quater). Il pubblico ministero trasmette al giudice e al procuratore generale copia dei provvedimenti emanati in conseguenza dell’ordine del giudice di assumere le determinazioni sull’azione penale (art. 415-bis, comma 5-quinquies). Nessun rimedio, peraltro, è previsto se il pubblico ministero non assume alcun provvedimento e se il procuratore generale non dispone l’avocazione che è disciplinata dall’art. 412 come facoltativa. Garanzie per la persona offesa in caso di ordine del giudice. Ai sensi dell’art. 415-bis, comma 5-sexies, nei casi in cui il giudice abbia emesso l’ordine di assumere le determinazioni sull’azione penale, alla persona offesa "attiva", alla quale non sia già pervenuto l’avviso di conclusione delle indagini preliminari, deve essere notificato l’avviso del deposito forzoso previsto dall’art. 415-ter, comma 1; in caso di omissione, il procuratore generale, se non dispone l’avocazione, ordina al procuratore della Repubblica di provvedere alla notifica dell’avviso di deposito (art. 415-ter, comma 2). La discovery forzosa degli atti di indagine in caso di omesso invio dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari. Il nuovo art. 415-ter si occupa delle ipotesi in cui il pubblico ministero, scaduti i termini per l’azione (art. 407-bis, comma 2), non abbia preso alcuna determinazione e non abbia neppure fatto notificare l’avviso di conclusione per le indagini preliminari113. In tal caso, è previsto un vero e proprio deposito forzoso in segreteria della documentazione relativa alle indagini espletate. All’indagato e alla persona offesa che, nella notizia di reato o successivamente, abbia dichiarato di voler essere informata della conclusione delle indagini è altresì immediatamente notificato avviso dell’avvenuto deposito, con indicazione della facoltà di esaminare la documentazione relativa alle indagini e di estrarne copia e della facoltà di chiedere al giudice di ordinare al pubblico ministero di assumere le determinazioni inerenti all’esercizio dell’azione penale (art. 415-ter, comma 1). Naturalmente, ai fini dell’esercizio del potere di avocazione, copia dell’avviso è comunicata al procuratore generale presso la corte di appello (art. 415-ter comma 1). Anche se la norma non specifica nulla, è da ritenere che spetti al pubblico ministero procedente attivarsi alla scadenza del termine sia per effettuare il deposito, sia per notificare il relativo avviso. Al fine di rendere effettivo il rispetto di tale obbligo, l’art. 415-ter, comma 2 stabilisce 32 che se, decorsi dieci giorni dalla scadenza dei termini per l’azione, il procuratore generale non riceve la comunicazione dell’avviso di deposito, quest’ultimo può disporre l’avocazione delle indagini preliminari oppure ordinare con decreto motivato al capo dell’ufficio della procura della Repubblica di provvedere alla notifica dell’avviso entro un termine non superiore a venti giorni. Copia del decreto del procuratore generale è notificata alla persona sottoposta a indagini e alla persona offesa che, nella notizia di reato o successivamente, abbia dichiarato di voler essere informata della conclusione delle indagini. L’ordine del giudice di procedere alle determinazioni sull’azione. Dalla notifica dell’avviso di deposito forzoso effettuata dal pubblico ministero o dal decreto che ordina il deposito disposto dal procuratore generale, inizia, poi, a decorrere il termine entro il quale il pubblico ministero deve assumere le proprie determinazioni sull’azione penale. Il termine è di un mese nei procedimenti ordinari e di tre mesi nei casi previsti dall’art. 407, comma 2 (116). Nel caso in cui il pubblico ministero persista nell’inerzia, la persona sottoposta alle indagini e la persona offesa possono chiedere al giudice di ordinare al pubblico ministero di provvedere. La procedura è identica a quella che abbiamo visto supra per il caso in cui il pubblico ministero resti inerte dopo l’invio dell’avviso di conclusione delle indagini: sulla richiesta il giudice provvede nei venti giorni successivi con decreto motivato117. In caso di accoglimento, il giudice ordina al capo dell’ufficio del pubblico ministero di assumere le determinazioni sull’azione penale entro un termine non superiore a venti giorni. Copia del decreto è comunicata al pubblico ministero ed al procuratore generale presso la corte d’appello (ai fini dell’eventuale avocazione) e notificato alla persona che ha formulato la richiesta (art. 415-bis, comma 5-quater). Il pubblico ministero trasmette al giudice e al procuratore generale copia dei provvedimenti assunti in conseguenza dell’ordine del giudice di assumere le determinazioni sull’azione penale (art. 415-bis, comma 5-quinquies). Quando, in conseguenza dell’ordine emesso dal giudice, è notificato l’avviso di conclusione delle indagini preliminari, i termini per l'azione decorrenti dalle richieste formulate dalla difesa o dallo svolgimento delle indagini sollecitate dalla difesa sono ridotti di due terzi. Il differimento del deposito forzoso. L’art. 415-ter fa seguito al richiamo della legge-delega della necessità di tutelare in alcune ipotesi il segreto investigativo (art. 9, comma 1, lett. f). Prima della scadenza dei termini per l’azione, se non ha già in precedenza presentato richiesta di differimento dell’avviso di conclusione delle indagini, il pubblico ministero può presentare richiesta motivata di differimento del deposito forzoso e della relativa notifica al procuratore generale che provvede sulla richiesta secondo le regole previste per la richiesta di differimento dell’avviso di conclusione delle indagini (art. 415-ter, comma 4)119. Di conseguenza, il procuratore generale, entro venti giorni dal deposito della richiesta, potrà autorizzare con decreto motivato il differimento per il periodo di tempo strettamente necessario e comunque non superiore a sei mesi o, se si procede per i delitti indicati nell’art. 407, comma 2 non superiore a un anno. Avocazione delle indagini preliminari per mancato esercizio dell’azione penale. A completamento della disciplina fin qui esposta, l’art. 412 nella versione modificata dalla riforma Cartabia traccia la disciplina dell’avocazione per mancato esercizio dell’azione penale. Si tratta di una avocazione facoltativa: «il procuratore generale presso la corte d’appello può disporre, con decreto motivato, l’avocazione delle indagini preliminari se il pubblico ministero non ha disposto la notifica dell’avviso di conclusione delle indagini preliminari, oppure non ha esercitato l’azione penale o richiesto l’archiviazione», entro i termini previsti dall’art. 407-bis, comma 2 oppure entro i termini previsti in caso di rigetto della richiesta di differimento dell’avviso di conclusione delle indagini da parte del procuratore generale (art. 415-bis, comma 5-ter) o, ancora, entro i termini previsti dall’art. 415-ter, comma 3 a seguito del deposito forzoso della documentazione investigativa. Occorre tenere presente, che al fine di orientare la discrezionalità insita nel potere di avocazione, il nuovo art. 127-bis disp. att., stabilisce che il procuratore generale presso la corte d’appello tiene conto dei criteri di priorità contenuti nel progetto organizzativo dell’ufficio della procura della Repubblica che ha iscritto la notizia di reato (120). Una volta disposta l’avocazione, si applicano, in quanto compatibili, le disposizioni relative alle ipotesi in cui il giudice emetta l’ordine di azione di cui agli art. 415-bis, commi 5-quater e 5-quinquies, e 415-ter, comma 1 e 3 (art. 412, comma 1). Anche nei confronti delle indagini avocate, dunque, sono praticabili le nuove ipotesi di finestre di giurisdizione previste dalle norme sopra richiamate. Il procuratore generale può altresì disporre l’avocazione a seguito delle comunicazioni previste dagli art. 409, comma 3 e cioè nel caso in cui la persona offesa proponga opposizione alla richiesta di archiviazione oppure se il giudice fissa comunque l’udienza sull’archiviazione; infine, può essere 35 di formulare una ragionevole previsione di condanna». Poiché, ai sensi dell’art. 50, comma 1: «il pubblico ministero esercita l'azione penale quando non sussistono i presupposti per la richiesta di archiviazione», è chiaro che i presupposti per l’esercizio dell’azione penale sono esattamente speculari a quelli previsti per la richiesta di archiviazione. Dalla lettura combinata di tali norme, si ricava anche la quantità di prova che giustifica la richiesta di rinvio a giudizio: il pubblico ministero potrà chiedere il rinvio a giudizio soltanto quando gli elementi acquisiti nelle indagini preliminari consentono una ragionevole previsione di condanna. In buona sostanza, è necessario che l’accusa sia in grado di effettuare una prognosi attendibile circa il peso degli elementi raccolti: essi devono avere una resistenza tale da sostenere l’urto del contraddittorio dibattimentale e superare la soglia del ragionevole dubbio. La corte costituzionale ha ritenuto che tale norma fosse la traduzione nel sistema accusatorio del principio di non superfluità del processo: dire che gli elementi acquisiti non sono idonei a sostenere l’accusa equivale a dire che l’accusa è insostenibile, dunque che la notizia sia infondata sul piano processuale. L’art. 129 disp. att. impone al PM alcuni doveri di informazione quando è stata esercitata l’azione penale o quando sono state applicate misure cautelari o precautelari personali: a) deve informare di tali misure l’autorità da cui dipende l’imputato che è impiegato dello stato o di altro ente pubblico; b) deve informare l’ordinario della diocesi a cui appartiene l’imputato che abbia la qualifica di ecclesiastico o religioso di culto cattolico; c) deve informare il ministro dell’ambiente e la regione competente in relazione ad un reato che comporti un pericolo o pregiudizio per l’ambiente; analogo dovere ha nei confronti del ministro della salute e di quello delle politiche agricole in relazione ad un reato che comporta un pericolo per la salute o alla sicurezza agroalimentare; d) deve informare la procura generale della corte dei conti quando il reato ha cagionato un danno per l’erario; e) deve informare l’autorità nazionale anticorruzione dei delitti contro la PA. CARATTERISTICHE DELL’AZIONE PENALE. L’azione penale ha quattro caratteristiche. OBBLIGATORIA. Ai sensi dell’art. 112 cost. il PM ha l’obbligo di esercitare l’azione penale. Il principio obbliga il PM a valutare la fondatezza di ciascuna notizia di reato compiere le indagini necessarie per decidere se occorre formulare l’imputazione o richiedere l’archiviazione. L’obbligatorietà dell’azione penale ha il fine di assicurare il principio di eguaglianza (art. 3 cost.), dunque se la persona offesa non ha le possibilità economiche, ciò non deve impedire che il reato sia comunque perseguito, e il principio di legalità (art. 25 comma 2 cost.), in quanto può essere soltanto la legge a determinare chi debba essere punito e chi debba andare esente da pena. Dal principio di obbligatorietà discende che debba essere previsto uno strumento tecnico che renda effettivo l’adempimento di tale dovere. Tale strumento consiste in un controllo effettuato dal giudice. I criteri di priorità nell’esercizio dell’azione penale. Naturalmente, alla prova dei fatti, il principio di obbligatorietà dell’azione penale – anche nell’interpretazione ragionevole sopra prospettata – ha dovuto fare i conti con la mole delle notizie di reato che pervengono ad ogni singola procura della Repubblica e con la necessità di individuare quali di esse debbano essere portate avanti con priorità rispetto alle altre con il conseguente rischio, per queste ultime, di incorrere nella scure della prescrizione con possibile elusione del principio di obbligatorietà. Si è posta, dunque, la questione dei c.d. criteri di priorità nell’esercizio dell’azione penale e della compatibilità degli stessi con il principio stabilito dall’art. 112 Cost., anche in ragione delle modalità con le quali i criteri di priorità avrebbero dovuto essere individuati tenendo conto dell’esigenza di legalità ed uniformità nell’esercizio dell’azione penale, da un lato, e dell’esigenza di tenere conto anche delle realtà locali e delle situazioni contingenti, dall’altro lato. È prevalsa alla fine un’interpretazione informata alla ineludibile ragion pratica che impone di individuare ex ante i criteri alla luce dei quali il singolo ufficio del pubblico ministero deve dare un ordine alle notizie di reato da trattare anche in ragione delle risorse disponibili e delle tipologie di criminalità da fronteggiare. 36 L’efficace e uniforme esercizio dell’azione penale. La ricerca di un punto di equilibrio è sfociata nella legge- delega n. 134 del 2021 secondo cui gli uffici del pubblico ministero, per garantire l’efficace e uniforme esercizio dell’azione penale, nell’ambito dei criteri generali indicati dal Parlamento con legge, devono individuare criteri di priorità trasparenti e predeterminati, da indicare nei progetti organizzativi delle procure della Repubblica, al fine di selezionare le notizie di reato da trattare con precedenza rispetto alle altre, tenendo conto anche del numero degli affari da portare avanti e dell’utilizzo efficiente delle risorse disponibili (art. 1, comma 9, lett. i). L’attuazione di tale previsione si è articolata lungo due direttrici. Da un lato, nelle more della predisposizione del decreto legislativo, è stata approvata la legge 17 giugno 2022, n. 71 che ha modificato l’art. 1 d.lgs. 20 febbraio 2006, n. 106 relativo alla organizzazione dell’ufficio del pubblico ministero. Tale norma, al comma 6, prevede ora che il progetto organizzativo della procura debba avere come contenuto necessario l’individuazione di «criteri di priorità finalizzati a selezionare le notizie di reato da trattare con precedenza rispetto alle altre e definiti, nell’ambito dei criteri generali indicati dal Parlamento con legge, tenendo conto del numero degli affari da trattare, della specifica realtà criminale e territoriale e dell’utilizzo efficiente delle risorse tecnologiche, umane e finanziarie disponibili». Dal canto suo, il decreto legislativo n. 150 del 2022 ha introdotto l’art. 3-bis disp. att. al fine di rimarcare anche in sede di disciplina processuale che i criteri di priorità non hanno valenza puramente organizzativa ma sono destinati ad incidere sulle scelte procedimentali del pubblico ministero, fin dall’attività successiva alla iscrizione della notizia di reato. Così, la predetta norma, rubricata «priorità nella trattazione delle notizie di reato e nell’esercizio dell’azione penale» stabilisce che «nella trattazione delle notizie di reato e nell’esercizio dell’azione penale, il pubblico ministero si conforma ai criteri di priorità contenuti nel progetto organizzativo dell’ufficio». Al tempo stesso, l’art. 127-bis disp. att. prevede che nel valutare l’eventuale avocazione della notizia di reato il procuratore generale presso la corte di appello «tiene conto dei criteri di priorità contenuti nel progetto organizzativo dell’ufficio della procura della Repubblica che ha iscritto la notizia di reato». Di modo che, un eventuale inadempimento dell’obbligo di esercitare l’azione penale, sia valutato al netto dell’urgenza attribuita alla notizia di reato sulla base di una corretta applicazione dei criteri di priorità. MONOPOLIO DELL’AZIONE PENALE. Il monopolio dell’azione penale non è imposto dalla carta fondamentale. L’art. 112 cost. configura in capo al PM il dovere di esercitare l’azione penale; non prescrive che quest’ultima sia esercitata soltanto da un organo pubblico. La corte costituzionale ha affermato che la titolarità dell’azione penale può essere conferita anche a soggetti diversi dal PM, in quanto è sufficiente che ciò non vanifichi il dovere di quest’ultima di esercitarla. Il cpp ha attribuito unicamente al PM il potere di esercitare l’azione penale. La riforma, che ha attribuito competenze penali al giudice di pace, ha però previsto l’iniziativa del privato per i reati procedibili a querela. PROCEDIBILITA’ D’UFFICIO: quando non è necessaria una condizione di procedibilità, ovvero la querela, l’istanza, la richiesta o l’autorizzazione a procedere, l’azione penale è esercitata d’ufficio. Da ciò è ricavabile, di regola, che il PM non è vincolato, nella sua azione, all’iniziativa di altri soggetti (tranne le eccezioni suddette): è sufficiente che rilevi l’esistenza di un fatto storico previsto dalla legge come reato. IRRETRATTABILITA’ DELL’AZIONE PENALE. L’esercizio dell’azione penale può essere sospeso o interrotto soltanto nei casi espressamente previsti dalla legge. Sono però previste eccezioni all’art. 71: se risulta che lo stato mentale dell’imputato è tale da impedirne la cosciente partecipazione al procedimento, il giudice dispone con ordinanza che questo sia sospeso. Ogni sei mesi il giudice fa svolgere accertamenti sullo stato di mente dell’imputato e qualora non vi fosse più tale impedimento la sospensione è revocata. Inoltre la sospensione è concedibile solo se si prevede che l’imputato venga condannato. 2. ARCHIVIAZIONE Considerazioni preliminari. Quando il pubblico ministero ritiene che non vi siano elementi per esercitare l'azione penale, formula una richiesta di archiviazione che è sottoposta al controllo del giudice per le indagini preliminari. Di regola, il controllo è effettuato de plano (e cioè senza udienza) e la forma della decisione è un decreto; 37 viceversa, ove vi sia stato un previo contraddittorio, la forma della decisione è un’ordinanza. Infatti, il controllo del giudice diventa penetrante e dà luogo a un contraddittorio in due casi. E cioè quando il giudice non accoglie la richiesta di archiviazione o quando la persona offesa presenta opposizione alla richiesta archiviativa della pubblica accusa. La materia è stata profondamente modificata dalla legge n. 103 del 2017 (riforma Orlando) che, da un lato, ha razionalizzato il ruolo processuale della persona offesa dal reato e, da un altro lato, ha previsto nuovi termini volti ad accelerare il procedimento di archiviazione evitando inutili stalli allo scopo di perseguire la ragionevole durata del procedimento. Successivamente, è intervenuta la riforma Cartabia (d.lgs. n. 150 del 2022) che ha ridisegnato il volto dell’archiviazione dal punto di vista delle regole di giudizio che devono essere applicate prima dal pubblico ministero al momento della richiesta e poi dal giudice al momento della decisione. Presupposti di fatto. L'archiviazione è pronunciata dal giudice per le indagini preliminari in presenza di presupposti di fatto e di diritto. È pronunciata in presenza di presupposti di fatto quando «gli elementi acquisiti nel corso indagini preliminari non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna» (art. 408, comma 1). Si tratta di effettuare un vaglio sulle indagini svolte applicando, allo stato degli atti, la regola di giudizio dell’al di là del ragionevole dubbio che opererebbe in dibattimento. L’applicazione di un simile criterio impone due corollari: 1) la completezza delle indagini. Più le indagini sono complete e più attendibile è la ragionevole previsione di condanna. Se viceversa, il panorama investigativo è parziale, esso risulta troppo distante dalla base probatoria che verosimilmente il giudice avrà a disposizione in dibattimento e rende la prognosi “non ragionevole”; 2) la necessità di applicare agli atti di indagine le norme generali sulle prove in quanto compatibili. Più alta è la qualità accertativa degli atti di indagine, più la previsione di condanna risulta vicina rispetto alle valutazioni che si potrebbero effettuare in dibattimento e, dunque, “ragionevole” (122). L’archiviazione è pronunciata su presupposti di diritto secondo quanto dispone l’art. 411, ovvero quando: a)manca una condizione di procedibilità (es. querela); b) il reato è estinto (es. è prescritto il reato); c) il fatto non è previsto dalla legge come reato (es. illecito amministrativo depenalizzato); d) qualora siano ignoti gli autori del reato; e) per particolare tenuità del fatto (D.L.vo 28/2015). RICHIESTA DI ARCHIVIAZIONE NEI CONFRONTI DI UN INDAGATO. Con la richiesta di archiviazione, il PM trasmette al GIP il fascicolo delle indagini preliminari contenente la notizia di reato, la documentazione relativa alle investigazioni e i verbali degli atti compiuti davanti al giudice. Il codice prevede che il PM insaturi con la persona offesa un contradditorio. A tal fine, l’avviso della richiesta è notificato, a cura del pubblico ministero, alla persona offesa che, nella notizia di reato, o successivamente alla sua presentazione, abbia dichiarato di volere essere informata circa l’eventuale archiviazione (art. 408, comma 2). La riforma Cartabia (d.lgs. n. 150 del 2022) ha escluso l'obbligo di notificazione dell'avviso della richiesta di archiviazione alla persona offesa che abbia rimesso la querela (art. 408, comma 2). Nell’avviso è precisato che nel termine di venti giorni la persona offesa può prendere visione degli atti e presentare opposizione motivando le ragioni per le quali chiede la prosecuzione delle indagini preliminari. Inoltre, nell’avviso è indicata l’informazione della facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa (art. 408, comma 3, mod. dal d.lgs. n. 150 del 2022). Per i «delitti commessi con violenza alla persona» (123) e per il delitto di furto in abitazione o con strappo (art. 624-bis c.p.) l’avviso della richiesta di archiviazione è in ogni caso notificato alla persona offesa (e cioè, anche in assenza di una sua richiesta di essere avvisata, ma nessuna notifica deve essere effettuata se vi è stata rimessione di querela) ed il termine per l'opposizione è di trenta giorni (art. 408, comma 3- bis) (124). L'opposizione deve essere presentata presso la segreteria del pubblico ministero e può essere presentata anche dalla persona offesa che non ha chiesto di essere avvisata (125). L’offeso non presenta opposizione. Se l'offeso non presenta opposizione, il giudice per le indagini preliminari effettua un controllo de plano, e cioè senza udienza. Se accoglie la richiesta presentata dal pubblico ministero, il giudice emette decreto di archiviazione (art. 409, comma 1) (126). Il giudice per le indagini preliminari, quando non accoglie la richiesta presentata dal pubblico ministero, fissa entro tre mesi (termine introdotto dalla c.d. 40 successivamente alla sua presentazione, abbia dichiarato di voler essere informata circa l’eventuale archiviazione, salve le ipotesi di rimessione di querela (133). Nell’avviso è precisato che nel termine di venti giorni la persona offesa può prendere visione degli atti e presentare opposizione con richiesta motivata di prosecuzione delle indagini preliminari; la persona offesa è altresì informata della facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa (art. 408, comma 2). Per i «delitti commessi con violenza alla persona» e per il delitto di furto in abitazione o con strappo (art. 624-bis c.p.) l’avviso della richiesta di archiviazione è in ogni caso notificato a cura del pubblico ministero alla persona offesa (e cioè, anche in assenza di una sua richiesta di essere avvisata, salve comunque le ipotesi di rimessione di querela) ed il termine per l'opposizione è di trenta giorni (art. 408, comma 3- bis). Se l'offeso non si oppone, il giudice per le indagini preliminari può accogliere la richiesta de plano; viceversa, se l'offeso si oppone o se comunque il giudice non accoglie la richiesta, deve svolgersi una udienza in camera di consiglio (art. 409, comma 2). Il giudice fa dare avviso della data dell'udienza al pubblico ministero e all'offeso (134); naturalmente nessun avviso viene inviato all’indagato, dal momento che si procede contro ignoti. L'udienza si svolge nelle forme del procedimento in camera di consiglio (art. 127). Decisioni. A seguito dell'udienza, il giudice per le indagini preliminari può prendere una delle seguenti decisioni (art. 415, comma 2). 1) Può accogliere la richiesta del pubblico ministero e disporre l'archiviazione con ordinanza. 2) Se ritiene necessarie ulteriori indagini, il giudice le indica con ordinanza al pubblico ministero fissando il termine indispensabile per il compimento delle stesse. Le ulteriori indagini devono comunque rispettare il termine finale previsto per le indagini preliminari dall’art. 405, comma 2. 3) Se ritiene che il reato sia da attribuire a persona già individuata, il giudice ordina al pubblico ministero che il nome di questa sia iscritto nel registro delle notizie di reato (art. 335- ter). Approfondimento. Fino ad oggi questa previsione era contenuta nell’art. 415, comma 2 ed era l’unica norma che espressamente riconosceva al giudice il potere di ordinare al pubblico ministero l’iscrizione del nome dell’indagato nel registro delle notizie di reato. Era stata proprio questa disposizione ad ispirare il filone giurisprudenziale che, sulla base di una interpretazione analogica ed estensiva delle possibilità riconosciute all’organo giudicante, aveva ritenuto esercitabile tale potere anche in sede di richiesta di archiviazione contro indagati noti. Come si è precisato supra, la riforma Cartabia ha introdotto il nuovo art. 335-ter che regola in via generale l’ordine di iscrizione disposto dal giudice. In base alla nuova norma, quando deve compiere un atto del procedimento, il giudice per le indagini preliminari, se ritiene che il reato per cui si procede debba essere attribuito a una persona che non è stata ancora iscritta nel registro delle notizie di reato, sentito il pubblico ministero, ordina a quest'ultimo con decreto motivato di provvedere all’iscrizione (art. 335-ter, comma 1). Tale disposizione è naturalmente applicabile anche in sede di archiviazione contro ignoti. Occorre tenere presente che la riforma Orlando aveva introdotto nell’art. 415 un nuovo comma 2-bis in base al quale il termine per le indagini avrebbe iniziato a decorrere dal provvedimento del giudice. Tale norma è stata abrogata dalla riforma Cartabia; tuttavia, dal sistema e dalla lettera dell’art. 405, comma 2 che, anche nella versione modificata dal d.lgs. n. 150 del 2022, fa decorrere il termine per le indagini «dalla data in cui il nome della persona alla quale è attribuito il reato è iscritto nel registro delle notizie di reato», si ricava che la previsione è tuttora valida. Dunque, il termine per le indagini preliminari decorre dalla data dell’iscrizione nominativa disposta dal giudice originariamente richiesto di disporre l’archiviazione per essere ignoto l’autore del reato. Del resto, proprio al fine di evitare incertezze, l’art. 335-ter, comma 2 stabilisce che il pubblico ministero provvede all’iscrizione ordinata dal giudice, indicando la data a partire dalla quale decorrono i termini delle indagini. L'accertamento della tempestività dell’iscrizione. l’indagato può chiedere al giudice di accertare se è stata tempestiva l’iscrizione del suo nome nel registro delle notizie di reato e può richiedere la retrodatazione. Può, dunque, configurarsi l’ipotesi che, venuto a conoscenza dell’indagine a suo carico magari in ragione del compimento di un atto che prevede il proprio intervento, l’indagato rilevi che già prima dell’ordine di iscrizione disposto dal giudice l’indagine fosse già chiaramente effettuata nei propri confronti, per quanto formalmente si procedesse ancora contro ignoti. In tal caso, può essere esperito il nuovo rimedio allestito dalla riforma Cartabia. Si tratta di un'applicazione del principio dei pesi e contrappesi, volto ad evitare abusi nella delicata fase in cui l’indagine si è aperta in assenza di una iscrizione nominativa. 41 RIAPERTURA DELLE INDAGINI IN SEGUITO AD ARCHIVIAZIONE. Quando il procedimento contro un indagato è stato archiviato, il PM può compiere nuove indagini soltanto dopo essere stato autorizzato con decreto motivato del GIP, se sussistono nuove esigenze di investigazione. Ottenuta l’autorizzazione, il PM procede ad una nuova iscrizione nel registro di reato. La riforma Cartabia (d.lgs. n. 150 del 2022) ha previsto criteri più stringenti ai fini dell'adozione del decreto di riapertura delle indagini. Oggi l’art. 414, comma 1, secondo periodo stabilisce che «la richiesta di riapertura delle indagini è respinta quando non è ragionevolmente prevedibile la individuazione di nuove fonti di prova che, da sole o unitamente a quelle già acquisite, possono determinare l’esercizio dell’azione penale». Si tratta di una materia molto delicata. Fino ad oggi era prevalsa l’interpretazione secondo cui la riapertura delle indagini fosse un vero e proprio “atto dovuto” in favore del pubblico ministero. Per ottenere l'autorizzazione non era necessario che fossero presentati nuovi elementi, bensì era sufficiente che il pubblico ministero prospettasse al giudice un nuovo piano di indagine che poteva anche « scaturire dalla diversa interpretazione degli elementi già acquisiti » (Relazione al progetto preliminare). La Relazione illustrativa al d.lgs. precisa che, anche a seguito della riforma, non risulta comunque necessario che il pubblico ministero presenti nuovi elementi; tuttavia è evidente che l’autorizzazione a proseguire è un provvedimento che deve essere attentamente calibrato. Resta da considerare che, come anche in passato, un eventuale diniego da parte del giudice non è impugnabile; inoltre, nell'attesa dell'autorizzazione, il pubblico ministero può avere urgenza di compiere indagini, ma di tale situazione il codice non tiene conto. Qualora manchi l’autorizzazione, se il PM chiede rinvio al giudizio per un caso già archiviato per cui non vi è stata autorizzazione, tale rinvio è affetto da nullità assoluta ex art.178 lett. b e 179 cpp. L'archiviazione come deflazione processuale a. L’archiviazione per particolare tenuità del fatto . L’archiviazione come strumento di deflazione processuale. Le recenti riforme hanno introdotto due ipotesi nelle quali l’archiviazione si configura come un vero e proprio strumento di deflazione processuale. La prima è quella della archiviazione per particolare tenuità del fatto, introdotta dal d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28 (art. 131-bis c.p.). L’istituto della esclusione della punibilità per particolare tenuità del fatto è stato poi ulteriormente valorizzato dalla riforma Cartabia (d.lgs. n. 150 del 2022), che ne ha esteso l’ambito applicativo eliminando il tetto costituito dalla pena detentiva fino a cinque anni nel massimo. La seconda ipotesi di archiviazione deflativa opera con riguardo al nuovo istituto della estinzione di alcune contravvenzioni per adempimento di prescrizioni impartite dall’organo accertatore, introdotto dalla riforma Cartabia. Quando l’offesa è particolarmente tenue e segue ad un comportamento non abituale, il giudice deve evitare di irrogare la sanzione penale. Naturalmente, solo a seguito di un accertamento rigoroso di tali condizioni lo Stato può rinunciare ad applicare la pena. Il danneggiato – che non trova soddisfazione nel processo penale – ha la possibilità di chiedere la condanna del responsabile al risarcimento del danno e lo può fare davanti al giudice civile. Dal punto di vista del diritto penale sostanziale, l’istituto è stato costruito come una singolare “condizione di non punibilità” basata sull’accertamento di presupposti precisati dalla legge in modo dettagliato. Dal punto di vista processuale, l’archiviazione per particolare tenuità del fatto è un procedimento speciale rispetto a quello ordinario di archiviazione, le cui norme trovano applicazione soltanto se richiamate espressamente. Il primo presupposto per la declaratoria di particolare tenuità del fatto sta nell’avere l’imputato commesso un fatto storico che rientra in una fattispecie 42 tipica antigiuridica, e cioè in concreto non deve essere presente una causa di giustificazione, né una esimente. Inoltre, il reato compiuto deve essere concretamente offensivo di un bene giuridico, anche se l’offesa è di «particolare tenuità». Il secondo presupposto consiste nella pena prevista per il fatto tipico. In base all’art. 131- bis, comma 1 c.p., così come modificato dalla riforma Cartabia, deve trattarsi di un reato per il quale è prevista la pena detentiva non superiore nel minimo a due anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla pena detentiva. Ai fini della determinazione della pena non si tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale (art. 131-bis, comma 5)(135). Il terzo presupposto concerne l’offesa provocata in concreto, che deve essere di particolare tenuità per le modalità della condotta del responsabile, da valutare in base ai consueti criteri dell’art. 133, comma 1 c.p (e cioè, in base agli indici della gravità del reato) e per l’esiguità del danno o del pericolo cagionato dal responsabile del fatto. La riforma Cartabia ha precisato che la particolare tenuità deve valutarsi «anche in considerazione della condotta susseguente al reato», così incentivando condotte riparatorie, in linea con l’ispirazione complessiva del novum normativo (art. 131-bis, comma 1 c.p.). L’art. 131-bis, commi 2 e 3 c.p., così risultanti dall’intervento della riforma Cartabia, precisano i limiti oggettivi di applicabilità. Limiti dovuti alla natura dell’offesa. Anzitutto, vi sono alcune esclusioni generali che dipendono dalla condotta: «l'offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità quando l'autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà» (…) o «ha adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima» (…) o quando la condotta ha cagionato (o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute) «la morte o le lesioni gravissime di una persona» (art. 131-bis, comma 2 c.p.). Limiti per tipologia di reato. La riforma Cartabia ha introdotto una serie di esclusioni della particolare tenuità in ragione del tipo di reato per il quale si procede, con una vera e propria “presunzione di intensità” dell’offesa. Ulteriore presupposto è che il comportamento non debba essere abituale: dunque non opera quando il soggetto sia delinquente abituale, professionale o per tendenza o sia recidivo. La declaratoria di particolare tenuità viene emessa con le forme previste per la chiusura della fase del procedimento in cui è dichiarata. La dottrina aveva ritenuto che l’operabilità dell’istituto nel corso delle indagini preliminari dovesse integrare una causa di improcedibilità e non una causa di giustificazione; ma si è ritenuto necessario amplificare al massimo l’operatività dell’istituto. Per quanto riguarda il procedimento, il PM che accerti i requisiti del 131bis, può chiedere al GIP l’archiviazione per particolare tenuità del fatto. Si applica il 409: dunque al momento della richiesta, il PM fa dare all’indagato e alla persona offesa l’avviso che costoro, nel termine di 10 giorni, possono prendere visione degli atti e presentare opposizione in cui indicare, a pena d’inammissibilità, le ragioni del dissenso rispetto alla richiesta. Se l’opposizione è presentata dall’indagato o dalla persona offesa ed è ammissibile, il giudice avvisa il PM, l’offeso e l’indagato della data di udienza. L’udienza si svolge in camera di consiglio e, sentite le parti, il giudice decide con ordinanza: a) può accogliere la richiesta e pronunciare ordinanza motivata di archiviazione; b) può rigettare la richiesta e:  ordinare che gli atti siano restituiti al PM;  indicare al PM un termine per nuove indagini e fissare un termine per compimento delle stesse;  disporre che il PM formuli imputazione. Qualora l’opposizione non sia presentata, oppure sia stata ritenuta inammissibile dal giudice, il giudice può, de plano: a) Se accoglie la richiesta presentata dal pubblico ministero, il giudice emette decreto di archiviazione; b) non accogliere la richiesta del PM, restituendogli gli atti. b. L'archiviazione per l'adempimento delle prescrizioni nelle contravvenzioni in materia di alimenti e bevande. la riforma Cartabia ha introdotto una causa di estinzione delle contravvenzioni, destinata ad operare nella fase delle indagini preliminari. L’istituto in esame è volto, da un lato, a deflazionare il processo favorendo 45 difensive ed è obbligato a tenere un registro che si differenzia in più aspetti da quello tenuto dall’investigatore privato “generico”. Egli, inoltre, può opporre all’autorità il segreto professionale di cui all’art. 200 c.1 lett. b cpp; egli, cioè, non può essere obbligato a deporre su quanto ha conosciuto per ragione della propria professione. Vi sono poste garanzie a suo favore come il divieto di procedere a sequestro presso l’investigatore privato, sia di intercettare le conversazioni e comunicazioni effettuate da tale soggetto. Di regola, il difensore ha facoltà di delegare ai suoi ausiliari tutte le attività di investigazione difensiva. Un limite è desumibile implicitamente dall’art. 391-bis, relativo all’intervista: mentre anche gli ausiliari possono conferire in modo informale con le persone informate sui fatti, soltanto il difensore ed il suo sostituto hanno la facoltà di assumere informazioni o ricevere dichiarazioni scritte da tali persone. 5. L’INTERVISTA DIFENSIVA L’intervista di possibili testimoni e di indagati connessi è il più importante tra gli atti d’indagine. L’art. 391-bis disciplina tre distinte modalità di acquisizione e prevede un nucleo di disposizioni comuni a tutte le ipotesi. Le modalità consistono nello svolgimento di un colloquio non documentato; nell’assunzione di informazioni da verbalizzare; nel rilascio di una dichiarazione scritta. Prima che il colloquio abbia inizio, il difensore o il suo ausiliario deve avvertire la persona intervistata, a pena di inutilizzabilità dell’atto: a) della propria qualità e dello scopo del colloquio; b) se intende semplicemente conferire ovvero ricevere dichiarazioni o assumere informazioni indicando, in tal caso, le modalità e la forma di documentazione; c) dell’obbligo di dichiarare se è sottoposta ad indagini o imputata nello stesso procedimento, in un procedimento connesso o per un reato collegato ( in questo caso è necessaria la presenza del difensore dell’intervistato, che è preavvisati almeno 24h prima); d) della facoltà di non rispondere o di non rendere dichiarazioni; e) del divieto di rivelare le domande eventualmente rivoltegli dalla polizia giudiziaria o dal PM e le risposte date; f) delle responsabilità penale conseguenti alla falsa dichiarazione. Una normativa ulteriore è stata prevista quando si devono assumere informazioni da minorenni in relazione ai delitti di prostituzione minorile, adescamento di minori, pedopornografia ecc.: in tali casi il difensore, quando assume informazioni da persone minori, deve avvalersi dell’ausilio di un esperto in psicologia o in psichiatria infantile. L’ultima regola generale concerne le modalità con le quali può procedersi a intervista di un soggetto detenuto. Il difensore deve munirsi di specifica autorizzazione da parte di quel giudice che procede nei confronti della persona ristretta nella sua libertà. 1)colloquio non documentato: si tratta di un atto che può essere compiuto anche dagli ausiliari del difensore. Di regola tale colloquio è funzionale a vagliare il possibile testimone allo scopo di verificare quali sono i fatti che conosce e se egli può fornire gli elementi di prova a favore della persona assistita dal difensore. 2) assunzione di informazioni da verbalizzare: di regola il difensore potrà chiedere al possibile testimone di narrare liberamente quanto è a sua conoscenza, oppure può condurre l’intervista formulando domande. Una volta che il difensore ha deciso di documentare le informazioni, queste devono essere verbalizzate secondo le regole prevista dagli artt. 134 ss. cpp. Il codice vieta che all’assunzione delle informazioni assistano l’indagato, l’offeso e le altre parti private. Dal momento in cui la persona intervistata rende dichiarazioni, dalle quali emergono indizi di reità a suo carico, il difensore o il sostituto devono interrompere l’assunzione di informazioni. La documentazione rafforzata introdotta dalla riforma Cartabia. La riforma Cartabia (d.lgs. n. 150 del 2022) ha introdotto anche per il difensore – alla stessa stregua di ciò che è stato previsto per le indagini preliminari – una documentazione rafforzata per le dichiarazioni. Le informazioni sono documentate anche mediante riproduzione fonografica, salva la contingente indisponibilità di strumenti di riproduzione o di personale tecnico (art. 391-bis, comma 3-bis). Quando si tratta di dichiarazioni di persona minorenne, inferma di mente o in condizioni di particolare vulnerabilità, esse sono documentate integralmente, a pena di inutilizzabilità, con mezzi di riproduzione audiovisiva o fonografica, salvo che si verifichi una contingente indisponibilità di strumenti di riproduzione o di personale tecnico e sussistano particolari ragioni di urgenza che 46 non consentano di rinviare l’atto (art. 391-ter, comma 3-ter). La trascrizione della riproduzione audiovisiva o fonografica di cui ai commi 3-bis e 3-ter è disposta solo se assolutamente indispensabile (art. 391-quater). 3) dichiarazione scritta: la dichiarazione resa dalla persona intervistata deve essere da lei sottoscritta; il difensore o il sostituto autenticano la firma, l’intervistatore deve redigere una relazione, che è allegata alla dichiarazione. Nella relazione devono essere riportati: la data; le generalità; l’attestazione di aver rivolto gli avvisi suddetti; i fatti sui quali verte la dichiarazione. 6. AUDIZIONE DELLA PERSONA CHE SI È AVVALSA DELLA FACOLTÀ DI NON RISPONDERE Il difensore può chiedere che tale soggetto sia sentito con incidente probatorio anche fuori dai casi di non rinviabilità; oppure può chiedere al PM di disporre l’audizione del possibile testimone. Nel primo caso, si procede con incidente probatorio all’escussione del testimone o all’esame dell’imputato connesso che si siano avvalsi della facoltà di non rispondere. Nel secondo caso, il difensore può chiedere al PM l’audizione del dichiarante che si sia avvalso della facoltà di non rispondere. Il difensore deve indicare al PM le circostanze in relazione alle quali vuole che la persona si sentita e le ragioni per le quali le circostanze medesime sono utili ai fini delle indagini. Il PM valuta la richiesta e dispone l’audizione entro 7 giorni. La particolarità consiste nel fatto che l’audizione si svolge alla presenza del difensore che per primo formula le domande: egli conduce la prima parte dell’esame; successivamente, il PM può procedere all’assunzione delle informazioni. Oggi la legge punisce con la reclusione fino a 4 anni la persona che davanti al PM rende dichiarazioni false o tace, in tutto o in parte, ciò che sa. 7. LA PRESENTAZIONE DELLA DOCUMENTAZIONE DIFENSIVA Durate le indagini la documentazione, presentata dal difensore (che ha la facoltà e non l’obbligo di presentarla agli inquirenti pubblici e al giudice) è inserita in un apposito fascicolo. Il fascicolo del difensore. “fascicolo del difensore ”. Durante le indagini la documentazione, presentata dal difensore, è inserita nella parte del fascicolo informatico riservata al difensore. I documenti redatti e depositati in forma di documento analogico sono conservati in originale o, se il difensore ne chiede la restituzione, in copia, presso l’ufficio del giudice per le indagini preliminari (art. 391-octies, comma 3). Di tale documentazione il pubblico ministero può prendere visione ed estrarre copia soltanto quando deve essere adottata una decisione su richiesta delle altre parti o con il loro intervento (137). 8. 9. 10. ALTRE ATTIVITA’ DI INVESTIGAZIONE DIFENSIVA RICHIESTA DOCUMENTI ALLA PA Un altro atto d’indagine, dopo l’intervista, consiste nella richiesta di documentazione alla PA (ad es. una pratica amministrativa per il rilascio di una licenza edilizia). La richiesta deve essere rivolta all’amministrazione che ha formato il documento o lo detiene stabilmente. L’amministrazione ha il dovere di esibire il documento, poiché questo serve ai fini dell’esercizio della difesa in una procedura giudiziaria, ove la PA si rifiuti verrà disposto il sequestro nel corso delle indagini preliminari. CONSULENZA TECNICA DI PARTE Un altro strumento a favore delle parti, più agile della perizia, è la consulenza tecnica di parte, al fine di svolgere investigazioni specialistiche al di fuori della perizia e anche se questa non è stata disposta. Egli può: esaminare le cose sequestrate nel luogo in cui esse si trovano; intervenire alle ispezioni compiute dagli organi di accusa; esaminare l’oggetto delle ispezioni alle quali il consulente non è intervenuto. Tutto ciò solo se vi è la previa autorizzazione dell’autorità giudiziaria. ACCESSO AI LUOGHI Nel corso delle investigazioni, il difensore e i suoi ausiliari possono avere necessità di visionare i luoghi o le cose pertinenti al reato ovvero di procedere alla descrizione degli stessi o infine di eseguire rilievi tecnici, grafici, planimetrici, fotografici e audiovisivi. L’esame o il sopralluogo hanno come esito, ma non necessariamente, la 47 redazione di un verbale nel quale sono riportati: a) data e luogo di accesso; b) le generalità; c) descrizione dello stato dei luoghi o cose; d) l’indicazione degli eventuali rilievi tecnici, grafici, planimetrici, fotografici e audiovisivi eseguiti. 11. 12. ACCERTAMENTI TECNICI NON RIPETIBILI E LORO UTILIZZABILITA’ Quando il difensore sta compiendo un accertamento tecnico non ripetibile deve darne avviso senza ritardo al PM. A questo punto il PM ha tre possibilità: 1) può assistere all’accertamento condotto dal consulente privato; 2) può procedere ad un proprio accertamento tecnico non ripetibile; 3)può esercitare le facoltà previste dall’art. 360 cpp. Il verbale degli accertamenti tecnici non ripetibili compiuti dal difensore deve essere inserito nel fascicolo del dibattimento. In dibattimento gli atti di indagine difensiva seguono il regime di utilizzabilità proprio del fascicolo nel quale sono stati inseriti, per cui se sono contenuti nel fascicolo del dibattimento (accert. Tecnici irrip.) allora potranno essere letti e utilizzati, se inseriti nel fascicolo del PM allora potranno essere utilizzati per le contestazioni probatorie. SEZIONE III: INVESTIGAZIONE DIFENSIVA E LEGGE SULLA PRIVACY 13. CODICE IN MATERIA DI PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI L’art. 11 di tale codice stabilisce che i dati personali trattati in violazione della disciplina rilevante in materia di trattamento dei dati personali non possono essere utilizzati. Il termine utilizzati è impiegato in senso atecnico a indicare tutte quelle finalità che sono differenti dall’utilizzazione di una prova nel processo penale. In quest’ultima sede, infatti, il valore degli interessi in gioco impone di considerare irrilevanti le violazioni della disciplina sulla privacy. 14. INVESTIGAZIONI SU DATI “NON SENSIBILI” In questi casi sono superabili, a determinate condizioni, i più importanti limiti posti dalla legge sulla privacy. I dati devono essere trattati esclusivamente per le finalità concernenti l’investigazione difensiva o la tutela giudiziaria di un diritto e per il periodo strettamente necessario al loro perseguimento, inoltre il soggetto deve essere informato sulla finalità dell’intervista e dell’identità di colui che opera il trattamento. Tali dati possono essere trattati ove ciò si strettamente indispensabile per l’esecuzione di specifiche prestazioni professionali richieste dai clienti per scopi determinati e legittimi e solo per il tempo strettamente necessario al perseguimento di tali finalità. CAPITOLO 3: UDIENZA PRELIMINARE 1. CONSIDERAZIONI GENERALI L'udienza preliminare è una delle fasi del procedimento penale; essa ha la funzione di assicurare che un giudice controlli la legittimità ed il merito della richiesta di rinvio a giudizio formulata dal pubblico ministero. A questa funzione fondamentale se ne aggiunge una ulteriore: l’udienza preliminare è la sede nella quale si possono svolgere i procedimenti speciali che eliminano il dibattimento, e cioè il rito abbreviato, l’applicazione della pena su richiesta delle parti (c.d. patteggiamento) e la sospensione del procedimento con messa alla prova. La struttura dell'udienza preliminare ha subìto vari mutamenti dal 1988 ad opera del legislatore. Nel testo originario del codice si prevedeva un'udienza allo stato degli atti con limitati poteri di controllo da parte del giudice: si pensi che questi poteva pronunciare la sentenza di non luogo a procedere soltanto se l'innocenza dell'imputato era evidente (138). Il giudice dell'udienza preliminare. Il magistrato, al quale sono assegnate le funzioni di giudice dell'udienza preliminare, è tratto dall'ufficio dei giudici per le indagini preliminari, ma non può essere quel magistrato che ha svolto le funzioni di giudice per le indagini preliminari nel medesimo procedimento. Infatti, l'art. 34 comma 2-bis pone, di regola, una incompatibilità, che può essere superata soltanto quando il giudice per le indagini preliminari si è limitato a svolgere funzioni di tipo non decisorio (commi 2-ter e 2-quater). Pertanto, un magistrato può esercitare le attività di g.i.p. e di g.u.p. in procedimenti differenti, ma non nel medesimo procedimento (v. supra, Parte II, cap. 1, § 2, lett. n) (139). 50 possibilità di dichiarare l’assenza dell’imputato. A quanto già in passato stabilito, la riforma Cartabia ha affiancato due ulteriori ipotesi in cui l’imputato deve essere considerato presente: c) si tratta dell’imputato che ha richiesto per iscritto, nel rispetto delle forme di legge, di essere ammesso ad un procedimento speciale, oppure d) dell’imputato che è rappresentato in udienza da un procuratore speciale nominato per la richiesta di un procedimento speciale. In tali situazioni, non solo è certo che l’imputato ha avuto conoscenza del processo e della sua imputazione, ma risulta che ha addirittura deciso di avvalersi del diritto (riconosciutogli dalla legge in relazione alla scelta dei riti speciali) di partecipare con una istanza scritta o con un procuratore speciale. 5) L’imputato dichiarato “assente consapevole”. Se le notificazioni sono regolari, l’imputato non è presente, non è impedito e non deve considerarsi presente, si procede alla dichiarazione di “assenza”. Rispetto al sistema del 2014, la riforma ha voluto garantire l’effettiva conoscenza della pendenza del processo e non già del mero procedimento o dell'accusa. Ai sensi dell’art. 420-bis, commi da 1 a 3 il giudice dichiara l’assenza dell’imputato in quattro casi, tutti accomunati dalla volontà normativa di garantire il principio della volontarietà e della consapevolezza dell’assenza. Il primo caso è quello in cui l’imputato è stato citato a comparire a mezzo di notificazione dell’atto in mani proprie o di persona da lui espressamente delegata al ritiro dell’atto si tratta dell’ipotesi meno problematica. B) Il secondo caso è quello in cui l’imputato ha espressamente rinunciato a comparire o ha rinunciato espressamente a farlo valere. In entrambe le predette ipotesi può ritenersi raggiunta la certezza circa la consapevolezza dell’udienza e la volontarietà dell’assenza. C) Il terzo caso è disciplinato dall’art. 420-bis, comma 2 e rimette al giudice la valutazione sulla consapevolezza e volontarietà dell’assenza. Il giudice procede alla dichiarazione di assenza anche quando «ritiene altrimenti provato che lo stesso ha effettiva conoscenza della pendenza del processo e che la sua assenza all’udienza è dovuta ad una scelta volontaria e consapevole». A tal fine, il giudice tiene conto delle modalità della notificazione, degli atti compiuti dall’imputato prima dell’udienza, della nomina di un difensore di fiducia e di ogni altra circostanza rilevante. Con questa disciplina, il legislatore ha inteso superare il sistema delle presunzioni favorendo il principio dell’accertamento in concreto della effettiva conoscenza del processo. Gli elementi da considerare ai fini della dichiarazione di assenza sono meramente indicativi: la scelta degli indici e dei criteri di valutazione è rimessa all’apprezzamento dell’organo giurisdizionale nel caso concreto. D) Il quarto e ultimo caso è quello in cui l’imputato è stato dichiarato latitante o si è in altro modo volontariamente sottratto alla conoscenza della pendenza del processo. Il tentativo di notifica personale all’assente inconsapevole. Quando non ricorra una delle predette ipotesi in cui l’imputato può essere dichiarato assente, si apre la via alla c.d. sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza del processo. Tuttavia, prima di percorrere tale via – che costituisce una extrema ratio – il giudice deve rinviare l’udienza e disporre che l’avviso ex art. 419, la richiesta di rinvio a giudizio e il verbale d’udienza siano notificati all’imputato personalmente ad opera della polizia giudiziaria (art. 420-bis, comma 5). Si tratta di una procedura che porterà o a rintracciare effettivamente l’imputato oppure ad acclarare una concreta impossibilità di rintracciarlo. La revoca dell’ordinanza che dichiara l’assenza per comparizione dell’imputato. Ai sensi dell’art. 420- bis, comma 6, l’ordinanza che dichiara l’assenza dell'imputato è revocata anche d’ufficio se, prima della decisione, l’imputato compare. La medesima norma precisa, inoltre, quali sono le ipotesi in cui l’imputato comparso è rimesso nel termine per esercitare le facoltà dalle quali è decaduto. Come precisato nella Relazione ministeriale al decreto legislativo, tale possibilità è riconosciuta in varie situazioni: a) nel caso in cui l’imputato, in presenza di una corretta dichiarazione di assenza, dimostri che l’assenza non è dovuta a sua colpa; b) nel caso in cui il giudice abbia erroneamente dichiarato l’assenza. In particolare, ai sensi dell’art. 420-bis, comma 6, la rimessione nel termine per l’esercizio delle facoltà scatta: c) se l’imputato fornisce la prova che, per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento, si è trovato nell’assoluta impossibilità di comparire in tempo utile per esercitare le facoltà dalle quali è decaduto e che non ha potuto trasmettere tempestivamente la prova dell’impedimento senza sua colpa; d) se, nei casi di previsti dai commi 2 (consapevolezza e volontarietà accertate dal giudice) e 3 (latitanza o volontaria sottrazione), l’imputato fornisce la prova di non aver avuto effettiva conoscenza della pendenza del 51 processo e di non aver potuto intervenire senza sua colpa in tempo utile per esercitare le facoltà dalle quali è decaduto; La revoca dell’ordinanza che ha dichiarato l’assenza in mancanza delle relative condizioni. L’art. 420-bis, comma 7 stabilisce infine che, anche quando l’imputato non è comparso, se risulta che le condizioni per procedere in assenza non erano soddisfatte, il giudice deve revocare, anche d’ufficio, l’ordinanza che dichiara l’assenza dell’imputato, deve rinviare l’udienza e disporre che l’avviso ex art. 419, la richiesta di rinvio a giudizio e il verbale d’udienza siano notificati all’imputato personalmente ad opera della polizia giudiziaria secondo quanto stabilito dall’art. 420-bis, comma 5 per le ipotesi in cui il giudice si avveda fin dall’inizio della mancanza delle condizioni per dichiarare l’assenza (149). c. La sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza del processo La mancata conoscenza del processo. Qualora le notificazioni siano regolari, non vi sia legittimo impedimento dell’imputato e non ricorrano le condizioni per dichiarare l’assenza, il giudice, se l’imputato non è presente, pronuncia sentenza inappellabile di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo da parte dell’imputato (art. 420-quater, comma 1). Si tratta di un provvedimento che chiude il processo anche se lascia in vita un'attività di ricerca. Ai sensi dell’art. 420-quater, comma 2, la sentenza contiene: a) l’intestazione “in nome del popolo italiano” e l’indicazione dell’autorità che l’ha pronunciata; b) le generalità dell’imputato o le altre indicazioni personali che valgono a identificarlo, nonché le generalità delle altre parti private; c) l’imputazione; d) l’indicazione dell’esito delle notifiche e delle ricerche effettuate; e) l’indicazione della data fino alla quale dovranno continuare le ricerche per rintracciare la persona nei cui confronti la sentenza è emessa (che si individua facendo riferimento al doppio del termine di prescrizione del reato); f) il dispositivo, con l’indicazione degli articoli di legge applicati; g) la data e la sottoscrizione del giudice. Le nuove ricerche. Con la sentenza il giudice dispone che, fino a quando per tutti i reati oggetto di imputazione non sia superato il doppio del termine di prescrizione, secondo quanto previsto dall’articolo 159, ultimo comma c.p. contestualmente modificato, la persona nei cui confronti è stata emessa la sentenza sia ricercata dalla polizia giudiziaria e, nel caso in cui sia rintracciata, le sia personalmente notificata la sentenza (art. 420-quater, comma 3). Alla disciplina in esame si è accompagnata la nuova regolamentazione della sospensione della prescrizione: quando è pronunciata la sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo, il corso della prescrizione rimane sospeso sino al momento in cui è rintracciata la persona nei cui confronti è stata pronunciata, ma in ogni caso non può essere superato il doppio dei termini di prescrizione stabiliti dall’art. 157 c.p. Ai sensi dell’art. 420-quater, comma 4, la sentenza contiene altresì a) l’avvertimento alla persona rintracciata che il processo a suo carico sarà riaperto davanti alla stessa autorità giudiziaria che ha pronunciato la sentenza; b) quando la persona non è destinataria di un provvedimento applicativo della misura cautelare degli arresti domiciliari o della custodia in carcere, l’avviso che l’udienza per la prosecuzione del processo è fissata: 1) il primo giorno non festivo del successivo mese di settembre, se è stato rintracciato nel primo semestre dell’anno; 2) il primo giorno non festivo del mese di febbraio dell’anno successivo, se è stato rintracciato nel secondo semestre dell’anno; c) l’indicazione del luogo in cui l’udienza si terrà; d) l’avviso che, qualora la persona rintracciata non compaia e non ricorra alcuno dei casi di cui all’articolo 420-ter, si procederà in sua assenza e la stessa sarà rappresentata in udienza dal difensore (150). Il contenuto della sentenza assicura, dunque, al destinatario della notifica la conoscenza della vocatio in iudicium, in modo da evitare che nell’eventuale prosecuzione del processo si pongano di nuovo problematiche analoghe.. Irrevocabilità della sentenza. Una volta decorso il termine finale di prescrizione senza che l’imputato sia stato rintracciato, la sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo diviene irrevocabile (art. 420-quater, comma 5). Assunzione di atti urgenti. Poiché le ricerche successive alla pronuncia della sentenza di non doversi procedere possono protrarsi anche per un tempo molto lungo, l’art. 420-quinquies, comma 1 prevede che il giudice che l’ha 52 pronunciata assuma, a richiesta di parte, le prove non rinviabili nelle forme dell’incidente probatorio (art. 401). Al fine di garantire il contraddittorio, del giorno, dell’ora e del luogo stabiliti per il compimento dell’atto è dato avviso almeno ventiquattro ore prima al pubblico ministero, alla persona offesa e ai difensori già nominati nel procedimento in cui è stata pronunciata la sentenza. Revoca della sentenza di non doversi procedere per mancata conoscenza della pendenza del processo. Ai sensi dell’art. 420-sexies, comma 1, quando rintraccia la persona nei cui confronti è stata emessa sentenza di non doversi procedere, che non sia destinataria di un provvedimento applicativo di una misura cautelare custodiale, la polizia giudiziaria le notifica la sentenza e le dà avviso della riapertura del processo. La polizia giudiziaria comunica alla persona rintracciata che sia rimasta priva del difensore che lo assisteva nel giudizio concluso con la sentenza, e che non provveda alla nomina di un difensore di fiducia, le generalità di un difensore d’ufficio, nominato ai sensi dell’art. 97, comma 4, e provvede agli adempimenti necessari per individuare i luoghi delle successive notificazioni (art. 161). In ogni caso avvisa la persona rintracciata che al difensore sarà notificata la data dell’udienza. Di tutte le attività e gli avvisi è redatto verbale (art. 420-sexies, comma 2). Tale verbale, insieme alla relazione di notificazione, è trasmesso senza ritardo al giudice (art. 420- sexies, comma 3). Il giudice con decreto revoca la sentenza e fa dare avviso al pubblico ministero, al difensore dell’imputato e alle altre parti della data dell’udienza. L’avviso è comunicato o notificato almeno venti giorni prima della data predetta . Nell’udienza, il giudice procede alla verifica della regolare costituzione delle parti; salve le ipotesi di irregolarità della notifica oppure di legittimo impedimento, in caso di mancata comparizione dell’imputato, viene dichiarata l’assenza ex art. 420-bis, comma 1, lett. a (imputato che è stato citato a comparire a mezzo di notificazione a mani proprie). Nei casi in cui siano state disposte misure cautelari, il giudice fissa l’udienza per la prosecuzione e dispone che l’avviso del giorno, dell’ora e del luogo dell’udienza sia notificato all’imputato, al difensore dell’imputato e alle altre parti, nonché comunicato al pubblico ministero, almeno venti giorni prima. All’udienza il giudice procede alla verifica della regolare costituzione delle parti, secondo le modalità ordinarie. I rimedi per l’assenza erroneamente dichiarata. il legislatore ha allestito un sistema di rimedi sia per l’ipotesi in cui l’imputato, correttamente dichiarato assente, compaia ed intenda esercitare le proprie facoltà, sia per la diversa ipotesi in cui, in qualunque momento, risulti che l’assenza è stata erroneamente dichiarata dal giudice (art. 420-bis, commi 6 e 7). L’imputato può far valere tali circostanze sia nel dibattimento (art. 489); sia chiedendo la rimessione nel termine per proporre impugnazione (art. 175, comma 2.1); sia in sede di appello (artt. 604); sia in cassazione (art. 623); sia mediante rescissione del giudicato (art. 629-bis). SVOLGIMENTO ORDINARIO L'udienza preliminare si svolge in camera di consiglio (e cioè senza la presenza del pubblico) in base a norme che impongono un contraddittorio più completo rispetto a quello previsto nell'art. 127. Infatti, all'udienza devono comunque essere presenti il pubblico ministero ed il difensore (di fiducia o d'ufficio) dell'imputato (art. 420, comma 1). La persona offesa è avvisata della data dell'udienza e può essere presente personalmente e per mezzo del proprio difensore. Tuttavia quest'ultimo può partecipare all'udienza presentando richieste soltanto se la persona offesa si è costituita parte civile. Il verbale di udienza è redatto “di regola” in forma riassuntiva .Tuttavia è possibile che l'udienza preliminare assuma caratteri di complessità e, in tal caso, può risultare opportuna la verbalizzazione integrale sia ai fini dell'esercizio del diritto di difesa, sia al fine di permettere una migliore valutazione dell'attendibilità dell'atto assunto. Lo svolgimento ordinario dell'udienza vede susseguirsi i momenti seguenti. a) Costituzione delle parti (art. 420, comma 2); è questo il momento in cui il difensore del danneggiato deve presentare all'ausiliario del giudice la dichiarazione di costituzione di parte civile (art. 78). Il giudice accerta se le parti si sono costituite regolarmente. Si ricorda che, ai sensi dell’art. 79, comma 1, come modificato dalla riforma Cartabia, nei processi con udienza preliminare, l’eventuale costituzione di parte civile deve avvenire, a pena di decadenza (art. 79, comma 2) entro il compimento degli accertamenti relativi alla regolare costituzione delle parti. La fase di accertamento della regolare costituzione delle parti può divenire anche molto complessa qualora debbano accertarsi le ragioni della mancata comparizione dell’imputato e debbano adottarsi i provvedimenti conseguenti (si veda supra, par. 2, lett. b e c). b) L'accertamento della genericità o dell'indeterminatezza dell'imputazione. Il momento nel quale si colloca il controllo sull’imputazione è stato collocato subito dopo la conclusione degli accertamenti relativi alla costituzione 55 La modifica dell’imputazione su iniziativa del pubblico ministero. Passiamo a trattare dei limiti di modificabilità. Finché si tratta di variare la descrizione del fatto storico (che comunque deve restare inalterato negli elementi essenziali della fattispecie), il pubblico ministero è legittimato a contestare all'imputato un fatto « diverso » da quello descritto nella richiesta di rinvio a giudizio; lo stesso vale se si tratta di aggiungere una circostanza aggravante, un fatto commesso in esecuzione del medesimo disegno criminoso (reato continuato) o un altro reato commesso con la medesima condotta (concorso formale) (art. 423, comma 1). Nelle predette ipotesi il pubblico ministero modifica l'imputazione (art. 423, comma 1) (160). La modifica dell’imputazione su iniziativa del giudice. La riforma Cartabia (d.lgs. n. 150 del 2022) ha previsto un potere di controllo del giudice sulla corrispondenza dell’imputazione alle risultanze processuali, modellata sull’analogo potere riconosciuto al giudice in caso di imputazione generica. Se rileva che il fatto, le circostanze aggravanti e quelle che possono comportare l’applicazione di misure di sicurezza non sono indicati nell’imputazione in termini corrispondenti a quanto emerge dagli atti o che la definizione giuridica non è corretta, il giudice invita il pubblico ministero a operare le necessarie modificazioni (art. 421, comma 1-bis). Quando il pubblico ministero, di propria iniziativa o su impulso del giudice, modifica l’imputazione, essa è inserita nel verbale di udienza e contestata all’imputato presente. Quando l’imputato non è presente, fisicamente o mediante collegamento a distanza, il giudice rinvia a una nuova udienza e dispone che il verbale sia notificato all’imputato entro un termine non inferiore a dieci giorni dalla data della nuova udienza (art. 421, comma 1-bis cui rinvia l’art. 423, comma 1-ter). La restituzione degli atti per mancante o inadeguata modifica dell’imputazione. Qualora, invece, a seguito dell’impulso del giudice il pubblico ministero non provveda ad una adeguata modifica dell’imputazione che la renda corrispondente agli atti, l’organo giurisdizionale, sentite le parti, dispone con ordinanza, anche d’ufficio, la restituzione degli atti al pubblico ministero (art. 423, comma 1-bis). Il fatto nuovo. Se nel corso dell'udienza risulta a carico dell'imputato un fatto « nuovo » non enunciato nella richiesta di rinvio a giudizio, il pubblico ministero può chiedere che sia contestato all'imputato, purché si tratti di un reato procedibile d'ufficio. In tal caso, l'imputato può consentire, o meno, alla modifica dell'imputazione; ove l'imputato consenta, il giudice autorizza la contestazione (art. 423, comma 2). Siamo in presenza di scelte che restano di spettanza delle due parti necessarie del processo. Per un verso, il pubblico ministero può decidere se iniziare un separato procedimento nel quale svolgere le indagini che reputa necessarie. Per un altro verso, l'imputato valuta se gli conviene percorrere lo svolgimento ordinario di un nuovo procedimento o affrontare direttamente la valutazione del giudice nell'udienza preliminare (161). 5 SENTENZA DI NON LUOGO A PROCEDERE Il codice prevede un unico “tipo” di sentenza di non luogo a procedere a seguito dell'udienza preliminare, senza distinguere fra lo svolgimento ordinario, il supplemento di indagine (art. 421-bis) o l'integrazione probatoria (art. 422). La sentenza è pronunciata in base a motivi di diritto o di fatto (art. 425), ossia quando: a) sussiste una causa che estingue il reato (ad es., prescrizione); b) sussiste una causa per la quale l'azione penale non doveva essere iniziata o proseguita (ad es., manca la querela); c) il fatto non è previsto dalla legge come reato; d) esiste la prova che l'imputato è, in sintesi, innocente (e cioè, che il fatto non sussiste, che l'imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato); e) sussiste la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto prevista dall’art. 131- bis c.p.; f) è accertato che l'imputato non è punibile per qualsiasi causa, ivi compreso il difetto di imputabilità. Tuttavia, il giudice non può pronunciare la sentenza di non luogo a procedere se «ritiene che dal proscioglimento dovrebbe conseguire l'applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca» (art. 425, comma 4); queste necessitano infatti di un completo controllo svolto dal giudice del dibattimento. La regola di giudizio della ragionevole previsione di condanna. La nuova disciplina dell’art. 425, comma 3 stabilisce che il giudice pronuncia sentenza di non luogo a procedere anche quando gli elementi acquisiti non consentono di formulare una ragionevole previsione di condanna. Come si è accennato in apertura, la riforma Cartabia ha mutato profondamente la regola di giudizio sulla cui base il giudice decide al termine dell’udienza 56 preliminare. Si tratta del vero e proprio perno sul quale ruota l’intervento sul procedimento ordinario. Con riferimento alla regola di giudizio che opera in udienza preliminare, può affermarsi che l’ultimo intervento normativo ha portato a compimento una vera e propria inversione rispetto all’impostazione originaria del 1988. Fatta la scelta di mantenere tale udienza nella sua funzione prettamente accusatoria di istituto a tutela della presunzione di innocenza, se ne rafforza il ruolo di filtro rispetto ai dibattimenti “inutili”, perché destinati a chiudersi con una pronuncia assolutoria. Nell’impostazione congegnata dalla riforma, l’udienza preliminare non costituisce più un filtro a maglie larghe, bensì permette l’accesso al dibattimento di quei soli processi che prevedibilmente si chiuderanno con la condanna. L’effetto virtuoso dovrebbe essere quello di riportare la conviction rate (e cioè la quantità di giudizi che si chiudono con la condanna) ad una percentuale ottimale. La pronuncia ai sensi dell'art. 129. Poiché la sentenza che dichiara le cause di non punibilità (art. 129) deve essere pronunciata d'ufficio “in ogni stato e grado del processo”, si è posto il problema se il giudice investito di una richiesta di rinvio a giudizio possa pronunciarla senza fissare l'udienza preliminare. A parere delle Sezioni unite della Corte di cassazione, nella fase che va dalla ricezione della richiesta di rinvio a giudizio allo svolgimento dell'udienza preliminare, il giudice non può pronunciare de plano l'immediata declaratoria di determinate cause di non punibilità ex art. 129; viceversa, deve dare impulso al rito tipico della fase in corso. Pertanto, deve fissare l'udienza preliminare e solo nel corso di tale udienza, se ne ricorrono i presupposti, può emettere sentenza di non luogo a procedere ai sensi dell'art. 129 . DECRETO CHE DISPONE IL GIUDIZIO Il decreto che dispone il giudizio è emesso nei casi nei quali il giudice dell'udienza preliminare non pronuncia la sentenza di non luogo a procedere. L'articolo 429 non indica il quantum di prova necessario per il decreto che dispone il giudizio, che però si può ricavare a contrario dai criteri previsti per la sentenza di non luogo a procedere (art. 425) come modificati da ultimo a seguito della riforma Cartabia ( 163). Il giudice può operare un “filtro” assai incisivo sulla richiesta di rinvio a giudizio. La Cassazione, pronunciandosi sul caso “Eternit-bis”, ha affermato che il giudice dell’udienza preliminare ha il potere di dare al fatto una differente qualificazione giuridica, purché ovviamente non sia modificato il fatto storico come «dato empirico fenomenico». Ciò non interferisce con il «potere del pubblico ministero di effettuare le relative scelte, ma estrinseca il controllo di legalità connaturato alla funzione giurisdizionale. Ne discende la possibilità per il giudice dell’udienza preliminare, che dissenta dalla definizione giuridica del fatto assegnata dal pubblico ministero, di individuare gli articoli di legge violati dal comportamento tenuto dall’imputato, come emerso dal materiale probatorio ottenuto dalle indagini, e di inserirli nel decreto che dispone il giudizio in luogo di quelli individuati con l’atto imputativo, nonché di descrivere, con la completezza che ritiene necessaria, il fatto storico oggetto dell’accusa» (164). Il decreto esprime una “decisione”, ma non è motivato in quanto il legislatore vuole evitare il pregiudizio che deriverebbe all'imputato ove un giudice prima del dibattimento affermasse l'attendibilità degli elementi di prova a carico. Il decreto contiene « l'enunciazione in forma chiara e precisa del fatto » e delle circostanze, con l'indicazione dei relativi articoli di legge (art. 429, comma 1, lett. c, mod. dalla legge n. 479 del 1999); « l'indicazione sommaria delle fonti di prova e dei fatti cui esse si riferiscono » (art. 429, comma 1, lett. d) (165). Inoltre, a seguito delle modifiche apportate dalla riforma Cartabia, che ha introdotto in materia una riforma organica, il decreto contiene l’avviso all’imputato e alla persona offesa della facoltà di accedere ai programmi di giustizia riparativa (art. 429, comma 1, lett. d-bis). Il decreto svolge altresì la funzione di citazione a giudizio in quanto convoca le parti per il dibattimento (166). Il giudice precisa luogo, giorno e ora dell’udienza dibattimentale. Nuove regole in tema di costituzione delle parti. La riforma Cartabia ha eliminato la necessità di notificare il decreto, prima prevista per l'imputato “contumace” e per l'imputato e la persona offesa comunque non presenti alla lettura del provvedimento. Infatti, nei processi con udienza preliminare, si è scelto di concentrare esclusivamente in tale sede sia la verifica della rinuncia a comparire dell’imputato o, in mancanza, l’effettiva conoscenza dell'atto introduttivo oppure della sussistenza delle altre condizioni che consentono di procedere in assenza (artt. 420- bis ss.); sia la dichiarazione di costituzione di parte civile (art. 79, comma 1). Il risultato è quello di snellire la fase della verifica della costituzione delle parti in dibattimento. La derubricazione che rende ammissibile la richiesta di giudizio abbreviato. 57 non è più ammesso il giudizio abbreviato per i reati puniti con l’ergastolo che siano stati commessi dopo l’entrata in vigore della medesima. FASCICOLO PER IL DIBATTIMENTO Subito dopo aver emesso il decreto che dispone il giudizio, il giudice provvede a suddividere il fascicolo unico delle indagini in due fascicoli; tale attività deve essere svolta nella medesima udienza «nel contraddittorio delle parti». La distinzione tra i due fascicoli costituisce uno dei punti nodali del codice; essa deriva dalle due scelte fondamentali di riservare di regola al dibattimento la formazione della prova e di evitare che in tale sede il giudice venga in qualsiasi modo condizionato psichicamente dalla conoscenza degli atti di indagine assunti fuori del contraddittorio. Si tratta del cosiddetto principio della neutralità psichica del giudice del dibattimento. Da tali princìpi deriva la necessità di suddividere gli atti processuali in due distinti fascicoli. Il fascicolo per il dibattimento. Il codice detta un elenco tassativo degli atti che debbono essere inseriti nel fascicolo per il dibattimento. In sintesi, in tale fascicolo sono raccolti quegli atti, compiuti prima del dibattimento, che si sono formati nel contraddittorio delle parti o che sono nati fin dall'origine come “non ripetibili” ( 167). In base all'art. 431 il fascicolo per il dibattimento contiene: a) gli atti relativi alla procedibilità dell'azione penale ed all'esercizio dell'azione civile; b) i verbali degli atti non ripetibili compiuti dalla polizia giudiziaria; c) i verbali degli atti non ripetibili compiuti dal pubblico ministero; d) i documenti acquisiti all'estero mediante rogatoria internazionale ed i verbali degli atti non ripetibili assunti con le stesse modalità; e) i verbali degli atti assunti nell'incidente probatorio; f) i verbali degli atti assunti all'estero a seguito di rogatoria internazionale ai quali i difensori sono stati posti in grado di assistere e di esercitare le facoltà loro consentite dalla legge italiana (168); g) il certificato generale del casellario giudiziale e gli altri documenti relativi al giudizio sulla personalità dell'imputato, dell'offeso e dei testimoni; h) il corpo del reato e le cose pertinenti al reato, qualora non debbano essere custodite altrove. Il fascicolo per il dibattimento è conosciuto dal giudice (collegiale o singolo) ed, ovviamente, dalle parti (v. tav. 3.3.2); gli atti in esso contenuti, dopo essere stati letti nei tempi e con le forme previste dall'art. 511, possono essere utilizzati ai fini della decisione . Il fascicolo del pubblico ministero. Il fascicolo del pubblico ministero ha un contenuto residuale: ai sensi dell'art. 433 vi sono raccolti gli atti « diversi » da quelli inseriti nel fascicolo per il dibattimento. Pertanto, nel fascicolo entra la documentazione di quegli atti compiuti dal pubblico ministero e dalla polizia giudiziaria che siano ripetibili in dibattimento. Nel fascicolo in oggetto sono inseriti anche gli « atti acquisiti all'udienza preliminare, unitamente al verbale dell'udienza » (art. 433, comma 1). Infine, nel fascicolo del pubblico ministero confluisce anche il fascicolo del difensore. Tale fascicolo, nel corso delle indagini, è formato e conservato presso l'ufficio del giudice per le indagini preliminari e contiene quegli atti di investigazione difensiva, che il difensore abbia presentato direttamente al giudice (art. 391-octies, comma 3). Il fascicolo del pubblico ministero è conosciuto dalle parti (pubblico ministero e difensori) e non dal giudice del dibattimento. Di regola gli atti contenuti in questo fascicolo non possono essere letti (art. 514) e, quindi, non possono essere utilizzati per la decisione, salvo quanto previsto negli articoli 500, 503, 512, 512-bis, 513, 514. L'acquisizione concordata di atti di indagine. «le parti possono concordare l'acquisizione al fascicolo per il dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero nonché della documentazione relativa all'attività di investigazione difensiva». Una volta inserito nel fascicolo per il dibattimento, il singolo atto può essere letto in base all'art. 511 e, in tal caso, diventa utilizzabile per la decisione. L'accordo è una forma di dialettica: le parti ritengono che l'elemento di prova, assunto nelle indagini pubbliche o private, possa essere utilizzato dal giudice. Accanto alla acquisizione concordata sostitutiva , ce ne può essere un'altra di tipo aggiuntivo (almeno una delle parti, che hanno prestato il consenso all'utilizzabilità dell'atto di indagine, si riserva il diritto di sentire oralmente il dichiarante nell'esame incrociato, esercitando il diritto alla prova spettantegli ai sensi dell'art. 190). Sta di fatto che, comunque, le parti tramite accordo possono rinunciare in modo totale o parziale al contraddittorio per la formazione della prova (di cui all'art. 111, comma 4 Cost.) perché lo ritengono superfluo nei limiti rispettivamente indicati (172). Tuttavia, il loro accordo non ha effetti totalmente dispositivi: ai sensi dell'art. 507, comma 1-bis, il giudice, al termine dell'istruzione dibattimentale e se risulta assolutamente necessario, può disporre anche d'ufficio l'assunzione di mezzi di prova relativi agli atti acquisiti su accordo delle parti. In tal modo il giudice 60 SEZIONE I: GLI ATTI PRELIMINARI AL DIBATTIMENTO 1. CONSIDERAZIONI GENERALI Nel libro settimo il codice regola la fase del giudizio di primo grado, che a sua volta è ripartita nei tre momenti degli atti preliminari al dibattimento, del dibattimento e degli atti successivi al dibattimento. Nel dibattimento la formazione della prova avviene nel contraddittorio: le parti pongono direttamente le domande alle persone esaminate. Inoltre si vuole assicurare un rapporto di immediatezza fra la formazione della prova e la decisione: il giudice che decide deve aver assistito all’assunzione della prova. Infine, il dibattimento dovrebbe tendenzialmente svolgersi in udienze concentrate nel tempo. Si ritiene che il dibattimento sia la fase del procedimento che più di ogni altra rispetti le caratteristiche del sistema accusatorio, poiché prevede quelle garanzie. Tuttavia, il dibattimento può essere oggetto di rinuncia da parte dell’imputato: ciò avviene quando questi richiede lo svolgimento del giudizio abbreviato o del patteggiamento. Occorre segnalare che il modello delineato non accoglie la struttura del “processo di parti”, che rappresenta la radicalizzazione del sistema accusatorio. Si ha processo di parti quando queste ultime dispongono sia dell’oggetto del processo, sia delle prove (come avviene nel processo civile). Nel processo penale ciò non avviene: l’azione penale è obbligatoria, quindi il PM non può trattare l’oggetto del processo; le parti non hanno l’esclusiva disponibilità dei mezzi di prova: una volta acquisite quelle richieste dalle parti, il giudice può assumerne nuove d’ufficio se lo ritiene necessario; ancora il giudice non è vincolato a decidere su ciò che richiedono le parti: il giudice è vincolato solo all’osservanza della legge. 2. ATTI PRELIMINARI AL DIBATTIMENTO La fase degli atti preliminari al dibattimento ha inizio nel momento in cui la cancelleria del giudice competente riceve il decreto che dispone il giudizio, da parte del GUP, ed il fascicolo per il dibattimento. La fase termina nel momento in cui, in udienza, il presidente dell’organo giudicante dichiara aperto il dibattimento. Tale fase degli atti preliminari svolge varie funzioni: la funzione che viene necessariamente espletata è quella di svelare quali sono i testimoni, consulenti tecnici, periti e imputati connessi dei quali una parte intende chiedere l’ammissione in dibattimento al momento delle richieste di prova. A tale scopo ogni parte ha l’onere di depositare una lista contenente i nomi delle persone menzionate e le circostanze sulle quali deve vertere l’esame. La fase degli atti preliminari al dibattimento svolge ulteriori funzioni eventuali come: 1) ottenere dal presidente del collegio giudicante l’autorizzazione alla citazione di testimoni, consulenti tecnici, periti e imputati connessi; 2) permettere l’assunzione di prove urgenti; 3) permetter la pronuncia di una sentenza anticipata di proscioglimento. 3. LA LISTA DEI TESTIMONI, CONSULENTI TECNICI, PERITI E IMPUTATI CONNESSI In base all’art. 468 comma 1, le parti che intendono chiedere l’esame di testimoni, periti, consulenti tecnici e imputati connessi o collegati devono depositare in cancelleria, almeno sette giorni prima della data fissata per il dibattimento, la lista con l’indicazione delle circostanze su cui deve vertere l’esame. Si pone un problema per la persona offesa e danneggiata dal reato, che non si sia costituita parte civile nell’udienza preliminare: il 79 comma 3 afferma che qualora la costituzione di parte civile avviene dopo la scadenza dei termini per la presentazione delle liste, la parte civile non può avvalersi della facoltà di presentare le liste testimoniali. La disposizione, dunque, impedirebbe alla parte civile di presentare le liste prima dell’esito positivo delle notifiche; ma la giurisprudenza ha distinto effetti civilistici e penalistici della costituzione di parte civile, riconoscendo all’offeso dal reato il diritto di presentare la lista testimoniale nei limiti di legge e, parallelamente, il diritto di depositare la dichiarazione di costituzione di parte civile in cancelleria. Il codice, al 468 comma 1, impone un vero e proprio “onere” di svelare in anticipo i mezzi di prova dichiarativa che la parte intende assumere in dibattimento a titolo di prova principale e le circostanze su cui deve vertere l’esame. È prova “principale” quella che tende a dimostrare l’esistenza di un fatto che la parte stessa afferma essere accaduto. Se tale onere non viene rispettato, scatta la sanzione dell’inutilizzabilità. 61 La dottrina tradizionale ritiene che la funzione della lista sia quella di permettere la discovery, e cioè di assicurare una previa conoscenza alle altre parti, in modo da evitare “prove a sorpresa”. Qualora debba essere sentito un coimputato o un imputato connesso o un teste assistito, l’indicazione delle circostanze sulle quali dovrà vertere l’esame svolge l’ulteriore funzione di tutelare il diritto di difesa del dichiarante. Un’altra importante funzione delle liste consiste nel permettere alle parti di esercitare il proprio diritto all’ammissione della prova contraria previsto dall’art. 468 comma 4: in relazione alle circostanze indicate nelle liste altrui, ciascuna parte può chiedere l’autorizzazione alla citazione a prova contraria di testimoni, periti, consulenti tecnici, imputati connessi o collegati, non compresi nella propria lista; altrimenti può chiederne l’ammissione direttamente in dibattimento ex 495 nelle richieste di prova. È prova contraria quella che tende a negare l’esistenza di un fatto affermato da una prova principale. Non sarebbe corretto, inoltre, utilizzare il termine controprova, dal momento che la relazione finale al testo definito del codice, in relazione al 468 comma 4, afferma che in punto di approvazione, il termine “controprova” è stato sostituito con il termine “prova contraria”, apparendo il primo una trasposizione della nozione civilistica di prova contraria dipendente. Il termine massimo per esercitare il diritto alla prova contraria in relazione a ciò che è indicato nelle liste è il momento delle richieste di prova. Altra funzione della lista è di permettere alle parti di preparare il controesame nei confronti dei dichiaranti. Il comma 4bis del 468 permette anche l’acquisizione di verbali di prove assunte in differenti procedimenti: la parte deve chiederne l’acquisizione al momento del deposito delle liste. Ex 468 comma 5, il giudice deve in ogni caso disporre la citazione del perito nominato nell’incidente probatorio. 4. LE FUNZIONI EVENTUALI DELLA FASE DEGLI ATTI PRELIMINARI AL DIBATTIMENTO Le parti, nel momento in cui presentano le liste, hanno la possibilità di chiedere al presidente del collegio giudicante la citazione delle persone delle quali intendono ottenere l’esame in dibattimento. Il presidente l’autorizza, escludendo le testimonianze vietate dalla legge e quelle manifestamente superflue e non rilevanti. Sempre in questa fase si può procedere all’assunzione di prove urgenti, e cioè non rinviabili al dibattimento: tale richiesta viene effettuata quando si può procedere con incidente probatorio ex 392: se il presidente accoglie la richiesta, le prove urgenti sono assunte in una vera udienza dibattimentale anticipata, che si celebra con la presenza del PM e del solo presidente del collegio giudicante. Infine, sempre in tale sede, può essere emessa una sentenza anticipata di proscioglimento, nei casi nei quali l’azione penale non doveva essere iniziata (es. manca la condizione di procedibilità come la querela) o non doveva essere proseguita (es. si accerta il segreto di stato); o nei casi nei quali il reato è estinto (es. prescrizione). La sentenza può essere emessa solo quando, per accertare l’improcedibilità o l’estinzione del reato, non è necessario assumere prove; occorre inoltre che l’imputato ed il PM non si oppongano: in caso di opposizione il giudice dovrà disporne l’assunzione in dibattimento. La sentenza di non doversi procedere è emessa dal collegio giudicante in camera di consiglio, sentiti il PM e l’imputato, ed è inappellabile, ma solo ricorribile per cassazione. Se dagli atti appare evidente l’innocenza dell’imputato, il giudice non può pronunciare sentenza anticipata di proscioglimento, ma deve procedere a dibattimento: in sede di atti preliminari al dibattimento non è difatti riconosciuto quel diritto dell’imputato al proscioglimento nel merito, che presuppone necessariamente l’instaurazione di un giudizio in senso proprio. La sentenza anticipata di proscioglimento può essere pronunciata anche se è presente la causa di non punibilità prevista dall’art. 131-bis c.p., e cioè quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, l’offesa è di particolare tenuità ed il comportamento risulta non abituale. 5. LE INDAGINI INTEGRATIVE Una volta emesso il decreto di disposizione del giudizio, il PM e il difensore possono compiere attività integrativa di indagine, con esclusione degli atti per i quali è prevista la partecipazione dell’imputato o del difensore di questo. 62 Le indagini integrative sono sottoposte ad un contraddittorio successivo: ex art. 430 comma 2, la documentazione di tali atti è immediatamente depositata nella segreteria del PM, con la facoltà delle parti di prenderne visione e di estrarne copia. La stessa documentazione viene inserita nei fascicoli del PM e del difensore solo quando le parti si siano servite delle stesse per formulare richieste, poi accolte, dal giudice dibattimentale. L’art. 430bis vieta alla polizia giudiziaria, al PM e al difensore di assumere informazioni da persone indicate nelle liste testimoniali di altra parte: la violazione del divieto comporta inutilizzabilità delle eventuali dichiarazioni raccolte. SEZIONE II: DISPOSIZIONI GENERALI SUL DIBATTIMENTO 6. I POTERI DEL PRESIDENTE E DELL’ORGANO GIUDICANTE. L’UDIENZA Quando l’organo giudiziario è collegiale, vi è ripartizione tra i poteri del presidente e quelli dell’organo giudicante: i poteri direttivi del dibattimento spettano al presidente, i poteri decisori spettano all’intero collegio. Se il giudice è monocratico i poteri si cumulano nel medesimo magistrato. L’udienza è il tempo di una singola giornata dedicato allo svolgimento di uno o più processi. Il dibattimento è la trattazione in udienza di un processo. Durante la fase degli atti preliminari, si svolgono in udienza la costituzione delle parti, l’eventuale dichiarazione di assenza dell’imputato, la sospensione del processo contro l’irreperibile, la discussione delle questioni preliminari. Il verbale di udienza è redatto dall'ausiliario che assiste il giudice ed è inserito nel fascicolo per il dibattimento. Il codice tende ad assicurare l'esigenza che le risultanze dibattimentali siano riprodotte con la massima fedeltà e completezza, perché queste saranno poi utilizzate dal giudice per decidere. In particolare l'art. 510, comma 2 precisa che devono essere sempre riprodotte non soltanto le risposte, ma anche le domande che sono rivolte alla persona esaminata. L’art. 510 è stato arricchito dal d.lgs. n. 150 del 2022 che ha previsto la documentazione con mezzi di riproduzione audiovisiva dell’esame di testimoni, periti, consulenti tecnici, parti private e imputati connessi, nonché delle ricognizioni e dei confronti, salva la contingente indisponibilità di strumenti di riproduzione o di personale tecnico (art. 510, comma 2-bis). La trascrizione della riproduzione audiovisiva è disposta solo se richiesta dalle parti (art. 510, comma 3-bis). Tale innovazione, per un verso, garantisce al giudice, che ha assistito allo svolgersi del dibattimento, la possibilità di “rivedere” una escussione quando si tratta di una prova rilevante e la distanza temporale tra l’escussione e il momento della decisione potrebbe annacquare il ricordo. In tal senso, può affermarsi che la disciplina tutela il principio di immediatezza. Per un altro verso, tuttavia, la norma deve leggersi in connessione con la nuova disciplina della rinnovazione del dibattimento in caso di mutamento del giudice (art. 495, comma 4-ter). Infatti, qualora vi sia stata documentazione con mezzi di riproduzione audiovisiva, le parti non hanno il diritto a una nuova escussione della prova dichiarativa di fronte al giudice mutato. In tal caso, quindi, può affermarsi che la nuova disciplina non tutela l’immediatezza ma ne consente un sacrificio (v. amplius infra, il par. 5) ( 179). Valgono per il dibattimento le tre forme di redazione del verbale previste dall'art. 134 (v. supra, Parte II, cap. 2) (180). 7. LA PUBBLICITA’ DELLE UDIENZE IL CONCETTO DI PUBBLICITA’ Con pubblicità del processo penale si intende che il comune cittadino conosca ciò che accade in dibattimento. Bisogna distinguere i concetti di pubblicità immediata, che si realizza quando soggetti estranei al processo sono presenti in aula e assistono direttamente all’udienza, e pubblicità mediata, che si attua con la possibilità di pubblicare gli atti del dibattimento tramite la stampa o altro mezzo di diffusione. La pubblicità mediata svolge la funzione di permettere il controllo dell’opinione pubblica sul funzionamento della giustizia e costituisce una forma di manifestazione del pensiero mediante cronaca e critica giudiziaria. 65 positivo che interviene a disciplinare tale eventualità – stabilisce che, se il giudice muta nel corso del dibattimento, la parte che vi ha interesse ha diritto di ottenere l’esame delle persone che hanno già reso dichiarazioni nel medesimo dibattimento nel contraddittorio con la persona nei cui confronti le dichiarazioni medesime saranno utilizzate, salvo che il precedente esame sia stato documentato integralmente mediante mezzi di riproduzione audiovisiva. In ogni caso, la rinnovazione dell’esame può essere disposta quando il giudice la ritenga necessaria sulla base di specifiche esigenze. Senza lasciarsi ingannare dall’apparente tenore della disposizione appena ricordata, che sembra riconoscere il diritto delle parti ad ottenere una nuova escussione del dichiarante dinanzi al nuovo giudice, occorre tenere presente l’effetto del combinato operare delle norme di recente conio: il diritto alla rinnovazione scatta soltanto se nel precedente dibattimento è mancata la documentazione integrale mediante riproduzione audiovisiva. Poiché l’art. 510, comma 2-bis, prevede sempre come necessaria la riproduzione audiovisiva della prova dichiarativa, salve le ipotesi di impossibilità “tecnica”, il diritto alla rinnovazione finisce per non scattare mai o quanto meno per essere confinato ai casi in cui, per una mera disfunzione organizzativa, non si sia fatto luogo ad audio-registrazione. Dal punto di vista “storico” la disciplina riprende un suggerimento che la stessa Corte costituzionale aveva inserito nella ricordata sentenza n. 132 del 2019185. Sotto il profilo dell’effetto complessivo, il risultato è che, in caso di mutamento del giudice, l’immediatezza sarà “assicurata” esclusivamente dalla videoregistrazione della precedente escussione della prova dichiarativa dinanzi al giudice diversamente composto, mero simulacro di una nuova assunzione orale186. Infatti, se nel precedente dibattimento la videoregistrazione era stata effettuata, la rinnovazione è disposta soltanto se il giudice lo ritiene necessario sulla base di specifiche esigenze, rimesse alla sua valutazione discrezionale. Inoltre, è stato rilevato che, con un silenzio criticabile, l’art. 495, comma 4-ter nulla precisa in ordine alle modalità con le quali possa eventualmente procedersi ad un riascolto in udienza della videoregistrazione. Quanto meno se le parti ne fanno richiesta, occorre ritenere che il nuovo giudice debba disporre la riproduzione in aula. La decisione basata su prove legittimamente acquisite in dibattimento. Un corollario del principio di immediatezza è espresso nell'art. 526: « il giudice non può utilizzare ai fini della deliberazione prove diverse da quelle legittimamente acquisite nel dibattimento ». Il codice non dispone che soltanto le prove assunte oralmente in dibattimento siano utilizzabili; viceversa, ammette che lo siano tutte le prove legittimamente acquisite in tale fase. Facendo ciò, la norma rinvia alle singole disposizioni che stabiliscono quando l'acquisizione è legittima. Dall'insieme di tali norme è possibile ricavare, per sintesi, che il codice dimostra una spiccata preferenza per le prove raccolte oralmente in dibattimento, pur senza disconoscere forme di acquisizione di prove precostituite (ad esempio, la lettura dei verbali degli atti irripetibili che sono inseriti nel fascicolo per il dibattimento; art. 511). 11. IL PRINCIPIO DELLA CONCENTRAZIONE a. Considerazioni generali. Il principio della concentrazione impone che non vi siano intervalli di tempo tra l'assunzione delle prove in udienza, la discussione finale e la deliberazione della sentenza. La concentrazione tra tali momenti del dibattimento garantisce che la decisione sia il prodotto fedele delle risultanze del processo, evitando che l'attenzione del giudice venga meno: i lunghi intervalli di tempo possono ingannare la memoria. Poiché nella prassi giudiziaria, il principio della concentrazione è violato costantemente a causa dell’insufficienza delle strutture e dei mezzi dedicati all'amministrazione della giustizia, la disposizione è stata modificata dalla riforma Cartabia (d.lgs. n. 150 del 2022) al fine di recepire alcune prassi virtuose, valorizzando l’efficienza ed ottimizzando l’organizzazione delle attività da svolgere anche al fine di evitare le udienze di mero rinvio. L’art. 145 disp. att., opportunamente modificato, stabilisce che se il dibattimento si protrae per più giorni, il presidente, sentiti il pubblico ministero e i difensori, stabilisce il giorno in cui ciascuna persona deve comparire. Il codice prevede una deroga: «il giudice può sospendere il dibattimento soltanto per ragioni di assoluta necessità e per un termine massimo che, computate tutte le dilazioni, non oltrepassi i dieci giorni, esclusi i festivi» (comma 2) (188). Quanto al rapporto tra l'assunzione della prova e la deliberazione, «la sentenza è deliberata subito dopo la chiusura del dibattimento». 66 SEZIONE III: GLI ATTI INTRODUTTIVI AL DIBATTIMENTO 12 LA COSTITUZIONE DELLE PARTI In udienza, prima che inizi il dibattimento, si svolgono alcune attività che fanno parte ancora degli atti preliminari al dibattimento stesso. Tali attività consistono nel controllo della regolare costituzione delle parti (compiuto dal presidente del collegio giudicante) e nella discussione di eventuali questioni preliminari che siano state sollevate dal pubblico ministero o dai difensori delle parti. I provvedimenti del giudice in relazione alla costituzione delle parti. All’inizio dell’udienza dibattimentale il giudice deve controllare se vi è stata regolare costituzione delle parti (art. 484, comma 1). Se le parti sono comparse non sorgono particolari problemi: il verbale d'udienza documenta se è presente l'imputato, quale è il suo difensore ed, eventualmente, quale avvocato rappresenta la parte civile, il responsabile civile ed il civilmente obbligato per la pena pecuniaria. La riforma Cartabia (d.lgs. n. 150 del 2022) ha apportato una considerevole semplificazione alla fase dell’accertamento della regolare costituzione delle parti, sostanzialmente collocando tutte le relative attività nella fase dell’udienza preliminare o nell’udienza predibattimentale prevista per i reati con citazione diretta. Così, si ricorda che la costituzione di parte civile può intervenire per l’udienza preliminare prima che siano ultimati gli accertamenti relativi alla costituzione delle parti (art. 79, comma 1) ( 189). Inoltre, soltanto se manca l’udienza preliminare è previsto che trovi applicazione tutta la disciplina relativa all’accertamento sulla regolarità delle notificazioni, sull’assenza dell’imputato e sulla eventuale sentenza di non doversi procedere per mancata comparizione. Se, invece, il dibattimento segue l’udienza preliminare, tutti gli accertamenti sono stati svolti in tale sede e l’unica disciplina che trova applicazione è quella sull’imputato considerato presente perché dopo essere comparso si è allontanato dall’aula di udienza o che, presente ad una udienza, non compare alle successive (art. 420, comma 2-ter, primo periodo); quella del legittimo impedimento del difensore o dell’imputato (art. 420-ter); quella degli eventuali rimedi in favore dell’imputato erroneamente dichiarato assente, ovvero assente inconsapevole o involontario (art. 489) ( 190). L'assenza del difensore. Se il difensore dell'imputato non è presente, il giudice designa un sostituto che sia immediatamente reperibile (artt. 484, comma 2 e 97, comma 4). Questi esercita i diritti ed assume i doveri del difensore di fiducia o d'ufficio (art. 102, comma 2) Nel caso in cui risulta che l'assenza del difensore è dovuta ad assoluta impossibilità di comparire per legittimo impedimento (purché prontamente comunicato), il giudice fissa con ordinanza la data della nuova udienza e ne dispone la notificazione all'imputato (art. 420-ter, comma 5). Il legittimo impedimento dell’imputato. Ai sensi dell'art. 420-ter, comma 1, il giudice ha il potere di accertare se l'imputato ha un legittimo impedimento e se questo provoca un'assoluta impossibilità di comparire in udienza; se le due condizioni sussistono, il giudice deve disporre il rinvio ad una nuova udienza e ordinare la notificazione dell’ordinanza all’imputato. 13 Rimedi per l’imputato contro il quale si è proceduto in assenza nell’udienza preliminare. La nuova disciplina introdotta dalla riforma Cartabia nell’art. 489 ripropone le due linee di rimedi per l’assenza inconsapevole o involontaria. Erronea dichiarazione di assenza. Nel corso del dibattimento, può darsi che risulti la prova che in udienza preliminare la dichiarazione di assenza sia intervenuta in mancanza dei presupposti di cui all’art. 420-bis. In tal caso, se l’imputato è assente, oppure si è presentato ed eccepisce la nullità, il giudice, anche d’ufficio, dichiara la nullità del decreto di rinvio a giudizio e restituisce gli atti al giudice dell’udienza preliminare (art. 489, comma 1). Se l’imputato è presente o ha rinunciato a comparire e non eccepisce la nullità della dichiarazione di assenza essa risulta sanata. Tuttavia, egli ha la facoltà di essere restituito nel termine per formulare le richieste di procedimenti speciali e di esercitare le ulteriori facoltà dalle quali sia decaduto. In ogni caso la nullità non può essere rilevata o eccepita se risulta che l’imputato era nelle condizioni di comparire all’udienza preliminare. Fuori dalle predette 67 ipotesi, se l’assenza è stata correttamente dichiarata in udienza preliminare, gli atti regolarmente compiuti in precedenza restano comunque validi. Forza maggiore o mancata conoscenza incolpevole. L’imputato, tuttavia, può essere restituito nel termine per esercitare le facoltà dalle quali è decaduto in due casi (art. 489, comma 2-bis): a) se fornisce la prova che, per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento, si è trovato nell’assoluta impossibilità di comparire in tempo utile per esercitare le facoltà dalle quali è decaduto e che non ha potuto trasmettere tempestivamente la prova dell’impedimento senza sua colpa; b) se, nei casi in cui l’assenza è stata dichiarata in udienza preliminare a seguito dell’accertamento effettuato in concreto dal giudice (art. 420-bis, comma 2) oppure nel caso dell’imputato latitante o comunque volontariamente sottratto alla conoscenza della pendenza del processo (art. 420-bis, comma 3), fornisce la prova di non aver avuto effettiva conoscenza della pendenza del processo e di non aver potuto intervenire senza sua colpa in tempo utile per esercitare le facoltà dalle quali è decaduto. 12. LE QUESTIONI PRELIMINARI Dopo che è stato compiuto l’accertamento della costituzione delle parti vi è la possibilità, per le parti stesse, di proporre eventuali questioni preliminari. Vi è l’onere di proporre tali questioni subito dopo compiuto per la prima volta l’accertamento della costituzione delle parti; dopo tale momento, le questioni di regola sono precluse, e cioè non possono più formare oggetto di discussione. Le questioni preliminari che sono precluse in momenti successivi: 1) Le questioni concernenti la competenza per territorio o per connessione, qualora siano state proposte e respinte in udienza preliminare. 2) Questioni concernenti le nullità relative intervenute negli atti di indagine, nell’incidente probatorio e nell’udienza preliminare. 3) Questioni preliminari concernenti la regolare costituzione delle parti private diversa dall’imputato. E’ questo il momento in cui le parti possono discutere la legittimazione del danneggiato a costituirsi parte civile. Le questioni preliminari che non sono precluse in momenti successivi: a) Questioni concernenti il contenuto del fascicolo per il dibattimento. Le parti hanno ancora la possibilità, prima del dibattimento, di discutere se è corretto l’inserimento dei singoli atti nel fascicolo per il dibattimento. b) I problemi che riguardano la riunione o la separazione dei giudizi sono discussi immediatamente tra le questioni preliminari SEZIONE IV: IL DIBATTIMENTO 14 L’APERTURA DEL DIBATTIMENTO E LE RICHIESTE DI PROVA Il controllo della costituzione delle parti e la discussione e decisione delle eventuali questioni preliminari sono le ultime attività della sottofase degli atti preliminari al dibattimento. A questo punto il presidente dichiara aperto il dibattimento e fa dare lettura dell'imputazione (art. 492). Il dibattimento è il momento principale della fase del giudizio di primo grado. Il suo nucleo centrale è l'istruzione dibattimentale, nella quale la prova si forma nel contraddittorio delle parti mediante l'esame incrociato. Il dibattimento si apre, come abbiamo accennato, con la lettura del capo di imputazione (art. 492); prosegue con le richieste di prove e l'istruzione dibattimentale; termina con la discussione delle parti (art. 523). a) Le richieste di prova sono presentate dal pubblico ministero e, nell'ordine, dai difensori delle parti private eventuali (parte civile, responsabile civile, persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria) e dal difensore dell'imputato. Nelle richieste la singola parte indica i fatti che intende provare e chiede l'ammissione delle relative prove illustrandone “esclusivamente l’ammissibilità ai sensi degli artt. 189 e 190” (art. 493). Quest’ultimo inciso è stato introdotto dalla riforma Cartabia. A detta della Relazione al d.lgs., la modifica ha inteso enfatizzare la previsione di un momento dialettico che accompagni le richieste di prova delle parti al fine di consentire un consapevole e razionale esercizio del potere giurisdizionale di ammissione della prova, onde evitare un ingresso incontrollato di prove nel dibattimento. Al fine di evitare che tale previsione finisse per trasformarsi in un modo per introdurre surrettiziamente in dibattimento 70 L’ordine nel quale si svolge l’istruzione dibattimentale rispetta i due principi generali dell’onere della prova e della disponibilità della prova. Le porzioni di tempo sono denominate casi nel processo anglosassone. Il caso dell’accusa precede il caso della difesa perché occorre rispettare il principio dell’onere della prova. La successione dei casi, prevista dal codice, può essere modificata soltanto ove tutte le parti concordino un ordine diverso. Il caso dell’accusa, come pure il caso della difesa, comprende l’assunzione delle prove orali diverse dall’esame delle parti ed anche le letture che la parte stessa richiede in quanto necessarie a svolgere la propria argomentazione. Quello che il codice denomina esame delle parti non è inserito nè nel caso dell’accusa, né nel caso della difesa. L’art. 150 disp. att. dispone che l’esame delle parti abbia luogo appena terminata l’assunzione delle prove a carico dell’imputato, e cioè subito dopo il caso del PM ed, eventualmente, quello della parte civile. In tal modo l’esame dell’imputato avviene prima del caso della difesa. La collocazione temporale dell’esame è giustificata, secondo quanto afferma la relazione al progetto preliminare, dalla necessità di evitare che l’imputato modelli le sue dichiarazioni su ciò che hanno affermato i testi a discarico. Le parti che hanno richiesto l’esame o vi hanno consentito, vengono escusse nel seguente ordine: per prima la parte civile che non sia stata citata come testimone, quindi il responsabile civile e la persona civilmente obbligata per la pena pecuniaria; per ultimo, l’imputato. 16 L’ORDINE DELLE PROVE ALL’INTERNO DEL SINGOLO CASO All’interno del singolo caso, l’ordine nel quale vengono assunte le prove è stabilito dalla parte che ha richiesto le stesse. Il potere di stabilire liberamente l’ordine di assunzione delle prova all’interno del singolo caso trova giustificazione teorica nel principio argomentativo della prova: la parte argomenta le sue richieste provando i fatti; la successione e la concatenazione delle prove è la sua argomentazione. Il potere di stabilire l’ordine interno al proprio caso vale anche per le prove diverse da quelle orali. Tra le prove richieste rientrano tutti i mezzi di prova, a esclusione dell’esame delle parti, per il quale si segue il 150 disp. att. Rientrano nel singolo caso anche i mezzi di ricerca della prova, nonché la lettura dei documenti ammessi e quelli degli atti compiuti in fasi precedenti. 17 I PRELIMINARI ALL’ESAME INCROCIATO Le prove orali sono tutte assunte mediante l’istituto dell’esame incrociato. Le regole poste dal codice per l’esame diretto, il controesame ed il riesame valgono per i testimoni, per gli imputati connessi o collegati, per i periti, e per i consulenti tecnici e per le parti che abbiano consentito all’esame o lo abbiano richiesto; gli obblighi sono però diversi. Il testimone ha l’obbligo, penalmente sanzionato, di rispondere secondo verità; il presidente dell’organo giudicante deve informarlo di tale obbligo e delle responsabilità previste dalla legge per i testimoni falsi o reticenti. Quindi il presidente invita il testimone a rendere solennemente e pubblicamente una dichiarazione con la quale si impegna a dire la verità: il testimone non giura, ma recita la formula di cui all’art. 497 comma 2. Infine il presidente invita il testimone a fornire le proprie generalità. Per l’esame del perito, ex 501, si osservano le disposizioni sull’esame dei testimoni in quanto applicabili. Quando assume l’incarico, assume anche l’obbligo, penalmente sanzionato, di far conoscere la verità. Il consulente tecnico di parte costituisce, come il difensore, un’espressione della difesa tecnica. È esaminato su richiesta della parte che lo ha nominato; le altre parti possono sottoporlo a controesame. Egli può non rispondere su oggetti che coinvolgono il segreto professionale, opponendo appunto il segreto. Le parti sono sottoposte ad esame soltanto su loro richiesta o con il loro consenso; non hanno un obbligo penalmente sanzionato di dire la verità; se rifiutano di rispondere ad una domanda, ne è fatta menzione nel verbale. Ex art. 149 disp. att., l’esame del testimone deve avvenire in modo che nel corso dell’udienza nessuna delle persone citate, possa, prima di deporre, comunicare con alcuna delle parti o con i difensori o con consulenti tecnici, assistere agli esami degli altri o vedere o udire o essere altrimenti informata di ciò che si fa nell’aula di 71 udienza. Questa disciplina vale specificatamente per il testimone e può essere estesa solo alla parte civile citata come testimone. 18 L’ESAME INCROCIATO È quell’insieme di regole con le quali le parti pongono direttamente domande alla persona esaminata. Il presidente dell’organo giudicante, ex 499 comma 6, ha la funzione di assicurare la pertinenza delle domande, la genuinità delle risposte, la lealtà dell’esame e la correttezza delle contestazioni. Ex 506 comma 2, il presidente potrà porre domande alle parti esaminate solo dopo l’esame e il controesame. FASI L’esame incrociato si articola nelle tre fasi dell’esame diretto, del controesame e del riesame: i soggetti che pongono le domande sono il PM e i difensori delle parti private. L’esame diretto è condotto dalla parte che ha chiesto di interrogare il testimone. Il controesame è eventuale, nel senso che le parti, che non hanno chiesto l’ammissione di quel teste, possono a loro volta porre domande. Il riesame è doppiamente eventuale, si svolge soltanto se vi è stato il controesame; nel riesame la parte che ha condotto l’esame diretto può proporre nuove domande. L’esame diretto tende ad ottenere la manifestazione dei fatti conosciuti dal testimone, utili a dimostrare la tesi di colui che lo ha chiamato a deporre. Si presume che l’interrogante conosca previamente le informazioni che il testimone dovrà fornire: il suo scopo è quello di dimostrare che il teste è attendibile e credibile, per cui sono vietate le domande-suggerimento, ex 499 comma 3 (cd domande suggestive). La violazione di tale divieto ha dato luogo a un contrasto giurisprudenziale: chi riteneva che desse luogo a inutilizzabilità per violazione di un divieto probatorio, da prospettare immediatamente dinanzi al giudice del dibattimento e non eccepibile per la prima volta con i motivi di impugnazione; per altri invece non vi è inutilizzabilità né nullità. Il controesame è condotto dalla parte che ha un interesse contrario a quella che ha chiesto l’esame del testimone: non deve essere richiesto costituendo una conseguenza-sequenza logica dell’esame. Il controesame è eventuale, nel senso che la controparte ha facoltà di porre domande alla persona già sentita nell’esame diretto e può avvenire sui fatti o sulla credibilità del testimone. Nel controesame sono ammesse le domande-suggerimento, con lo scopo di valutare credibilità e attendibilità del testimone, nonché di farlo cadere in contraddizione. Il riesame è condotto dalla persona che ha chiesto l’assunzione della testimonianza. La sua funzione è di consentire, a chi ha introdotto la prova, il recupero della sequenza dei fatti, dopo che il controesame ha cercato di mettere in dubbio la loro esistenza; oppure consente di esporre la ragione delle contraddizioni nelle quali il testimone sia caduto. IL POTERE DI RIVOLGERE DOMANDE L’esame incrociato è un istituto complesso tendente a sottoporre il dichiarante all’immediata verifica delle parti contrapposte. Esso non può essere sottoposto a interruzioni: nel corso del suo svolgimento le parti hanno la sola possibilità di formulare opposizioni, sulle quali il presidente, ex 504, decide immediatamente e senza formalità. Soltanto al termine della sequenza esame diretto-controesame-riesame, il presidente può porre domande d’ufficio al testimone o altro dichiarante. E non può alterarsi la sequenza logica per non far venir meno l’effetto sorpresa delle domande stesse. Per evitare che l’esame incrociato sfugga alla sua logica, cioè far in modo che le parti abbiano dai testimoni il più possibile per arrivare alla verità, e non diventi uno strumento per intimidire, allarmare ed ingannare il testimone, il codice prevede precise regole e un penetrante controllo del giudice. 72 LE REGOLE DELL’ESAME INCROCIATO Il codice pone regole sia per le domande che per le risposte da dare alle domande stesse, affinchè siano tutelate la genuinità della prova e il rispetto della dignità della persona sottoposta ad esame. Le regole per le domande. Ex 499 comma 1, sono ammesse domande su fatti specifici, avendo ad oggetto un fatto determinato e non un apprezzamento del dichiarante. Ex comma 2, sono vietate le domande nocive, che aggrediscono l’autodeterminazione del teste o che siano idonee a minare la sincerità delle risposte. Ancora, ex comma 4, sono vietate le domande che violano il rispetto della persona umana, e cioè che possano ledere l’onore o la reputazione del deponente; la regola non vale nel controesame, poiché si deve saggiare l’attendibilità della persona: il diritto alla prova prevale sul rispetto della persona. Su richiesta dell’interessato, dunque, il presidente può disporre che il dibattimento si svolga a porte chiuse qualora dall’assunzione della prova possa derivare un pregiudizio alla riservatezza dei testimoni o delle parti private in ordine a fatti non costituenti oggetto di imputazione, o quando la pubblicità possa nuocere al buon costume (art. 472 commi 1 e 2). Le regole per le risposte. Il testimone può astenersi dal rendere dichiarazioni, non deponendo: a) sui fatti dai quali potrebbe emergere una sua responsabilità penale; b) su fatti coperti da segreto professionale; c) su fatti coperti da segreti d’ufficio o di stato; d) quando è prossimo congiunto dell’imputato. Il presidente deve escludere, su eccezione di parte o anche d’ufficio, le domande vietate, e deve vigilare affinchè il contraddittorio si svolga regolarmente. LA TESTIMONIANZA PROTETTA Il codice contiene varie disposizioni sulla testimonianza delle persone vulnerabili, con deroghe all’esame incrociato. In origine tali norme riguardavano solo le persone minorenni; poi la Corte Costituzionale le ha estese agli infermi di mente e di recente sono state estese alla persona offesa maggiorenne, ove il giudice ne accerti la vulnerabilità in relazione a reati contro la persona. Prima protezione L’esame del minorenne, ex 498 comma 4, è condotto dal presidente dell’organo collegiale, al quale le parti possono chiedere di porre domande o fare contestazioni al minorenne. Nell’esame il presidente può avvalersi dell’ausilio di un familiare o di uno psicologo infantile (l’istituto è esteso agli adulti infermi di mente): la norma è interpretata nel senso che l’esperto deve indicare le modalità con cui devono essere preferibilmente poste le domande. Seconda protezione ex 498 comma 4bis, consiste nella scelta di un luogo e di modalità differenti con le quali si deve svolgere l’esame: scatta se una parte lo richiede o se il presidente lo ritiene necessario, se fra le persone interessate all’assunzione della prova vi siano minorenni o maggiorenni infermi di mente; vi è l’obbligo di documentazione integrale con mezzi di riproduzione fonografica o audiovisiva. La disposizione, per quanto riguarda le modalità, rinvia all’analogo atto previsto nell’incidente probatorio al 398 comma 5bis: si ritiene quindi che per i minorenni possa operare per qualsiasi reato, a differenza che nell’incidente probatorio, limitato ai reati contro la persona. Terza protezione l’art. 498 comma 4ter, prevede il vetro specchio: l’esame della vittima minorenne o maggiorenne inferma di mente deve essere effettuato, su richiesta sua o del difensore, mediante l’uso di un vetro specchio unitamente ad un impianto citofonico. Opera limitatamente ai delitti contro la persona. Quarta protezione ex 498 comma 4quater, quando si procede per i delitti contro la persona, se la persona offesa è maggiorenne, il giudice assicura che l’esame venga condotto anche tenendo conto della particolare vulnerabilità della stessa persona offesa, desunta anche dal tipo di reato per cui si procede e, ove è ritenuto opportuno, dispone, a richiesta della persona offesa o del suo difensore, l’adozione di modalità protette. 75 LA CONTESTAZIONE PROBATORIA A colui che depone può essere contestato di aver reso una differente dichiarazione in un momento anteriore al dibattimento: tale precedente dichiarazione deve essere contenuta nel fascicolo del PM e, pertanto, consisterà in un atto delle indagini preliminari o dell’udienza preliminare o, in una documentazione raccolta durante le investigazioni difensive. La contestazione probatoria, disciplinata dall’art. 500 per il testimone e l’imputato connesso o collegato, dal 503 per le altre parti, ha dei precisi requisiti, nonché dei precipui effetti di utilizzabilità in giudizio. Il primo requisito consiste nel fatto che debba trattarsi di precedenti dichiarazioni contenute nel fascicolo del PM. In secondo luogo è necessario che le precedenti dichiarazioni siano state rese dalla stessa persona che in dibattimento sta cambiando versione. Il terzo requisito richiede che la contestazione avvenga soltanto se sui fatti o sulle circostanze da contestare il testimone o la parte abbia già deposto in dibattimento. La modalità di effettuazione della contestazione consiste nel leggere la dichiarazione rilasciata prima del dibattimento e nel chiedere conto al deponente dei motivi della diversità. A seguito della contestazione probatoria il teste può rettificare la deposizione dibattimentale in modo che non vi sia più difformità con la precedente dichiarazione; o può mantenere la differente versione dei fatti, dando giustificazioni più o meno plausibili. Dunque si pone il problema dell’utilizzabilità di quanto precedentemente affermato. Il codice distingue fra i vari tipi di dichiaranti. 1. Precedenti dichiarazioni rese dal testimone. L’art. 500 comma 2 stabilisce che le dichiarazioni lette per la contestazione possono essere valutate ai fini della credibilità del teste. Dunque, la regola generale è che la precedente dichiarazione sia utilizzabile dal giudice soltanto per valutare la credibilità del soggetto che in dibattimento ha reso una differente versione o è rimasto silenzioso; viceversa, la precedente dichiarazione non può costituire prova del fatto narrato. Dunque la contestazione serve a togliere valore alla dichiarazione dibattimentale, ma non è utile a essere prova dell’esistenza del fatto narrato nella precedente dichiarazione. Una volta operata la contestazione, vi sono alcune eccezioni, in presenza delle quali le precedenti dichiarazioni sono utilizzabili come prova del fatto narrato. a) La minaccia del dichiarante: la prima eccezione è consentita quando si accerti che il teste è stato sottoposto a violenza, minaccia, offerta o promessa di denaro affinchè non deponga o deponga il falso. In tal caso le precedenti dichiarazioni saranno acquisite nel fascicolo del dibattimento e possono costituire prova del fatto narrato. b) Le dichiarazioni rese nell’udienza preliminare: le dichiarazioni rese in udienza preliminare e lette per le contestazioni dibattimentali sono utilizzabili come prova del fatto narrato soltanto nei confronti delle parti i cui difensori hanno partecipato alla loro assunzione. c) L’accordo delle parti: le dichiarazioni contenute nel fascicolo del PM sono utilizzabili se vi è accordo delle parti. 2. Precedenti dichiarazioni rese dall’imputato di un procedimento connesso o collegato . Il codice impone di applicare la norma sulla contestazione probatoria che vale per il testimone: se il dichiarante rifiuta di rispondere o cambia versione rispetto al passato, le precedenti dichiarazioni possono essere contestate a colui che le ha rese; se l’imputato connesso, nonostante la contestazione, continua a dare una versione diversa, le precedenti dichiarazioni sono utilizzabili soltanto come prova della credibilità ed eccezionalmente nelle tre ipotesi suddette. Con la sentenza 197/2009 la corte costituzionale ha precisato che la disciplina si applichi anche al coimputato nel medesimo procedimento su fatti concernenti la responsabilità di altri già oggetto di precedenti dichiarazioni rese all’autorità giudiziaria o alla polizia giudiziaria delegata, se tale soggetto non deve rispondere come testimone assistito. Una differente soluzione, ad avviso della corte, sarebbe irragionevole, in quanto i coimputati si trovano in sostanziale identica situazione rispetto a imputati in procedimenti connessi o collegati. Bisogna ancora precisare che la disciplina si applica ai coimputati incompatibili come testimoni, dunque i coimputati per concorso nel reato o cooperazione colposa. 76 3. Le precedenti dichiarazioni rese dall’imputato. In tal caso l’istituto è disciplinato dall’art. 503: la contestazione è ammessa se sussiste una difformità fra la dichiarazione dibattimentale e quella precedente; riguarda dichiarazioni che sono state rese in precedenza dalla stessa persona che viene esaminata ed il cui verbale è contenuto nel fascicolo del PM; la lettura può essere effettuata soltanto dopo che l’imputato ha deposto sulle circostanze da contestare. I limiti di utilizzabilità discendono dal soggetto cui l’indagato aveva fatto le dichiarazioni precedentemente: sono utilizzabili come prova del fatto rappresentato se rese alla polizia giudiziaria delegata o al PM, qualora comunque, ex comma 3 del 503, il difensore aveva diritto di assistere alle stesse (non importa se vi abbia assistito, l’importante che era stato informato del suo diritto); sono invece utilizzabili solo per valutare la credibilità dell’imputato se rese alla polizia giudiziaria che agiva di propria iniziativa, dunque come sommarie informazioni o spontanee dichiarazioni. Una volta contestate, esse sono acquisite per il fascicolo del dibattimento e varranno come prova per il fatto narrato, nei confronti dell’imputato che le ha rese. Il comma 6 estende tale effetto alle dichiarazioni assunte dal giudice nell’interrogatorio di garanzia, nell’interrogatorio in sede di revoca della misura cautelare personale, nell’interrogatorio reso in sede di convalida di arresto o di fermo, nell’interrogatorio intervenuto nel corso dell’udienza preliminare. L’elenco è da considerarsi tassativo. Il codice non considera l’ulteriore ipotesi in cui l’imputato rifiuti di rispondere a singole domande: si ritiene che rientri comunque nella fattispecie dell’imputato che si rifiuti di essere sottoposto a esame, pertanto la precedente dichiarazione può essere utilizzata contro l’imputato medesimo, mentre non è utilizzabile verso terzi se non con il loro consenso, in caso di intimidazione o subornazione. Le precedenti dichiarazioni rese da altre parti private differenti dall’imputato. L’art. 503 comma 3 permette di effettuare la contestazione anche nel corso dell’esame delle altre parti private differenti dall’imputato. La contestazione può essere operata in base alla suddetta disposizione anche nel raro caso in cui la parte civile, che di regola è chiamata a deporre come testimone, sia viceversa invitata a rendere l’esame come parte. Le precedenti dichiarazioni potranno essere utilizzate come prova della credibilità. IL TESTIMONE CHE RIFIUTA L’ESAME DI UNA DELLE PARTI Se il testimone, o altro dichiarante, rifiuta di sottoporsi all’esame o al controesame di una delle parti, nei confronti di questa non possono essere utilizzate, senza il suo consenso, le dichiarazioni rese ad altra parte: si tratta delle dichiarazioni che il teste ha reso nel dibattimento, o in momenti precedenti, alle parti diverse da quelle rifiutate. Oggi, in base all’art. 500 comma 3, le dichiarazioni rese fino a quel momento sono inutilizzabili nei confronti di quella parte che non ha potuto svolgere l’esame, a meno che non ci sia stata minaccia o offerta di denaro nei confronti del dichiarante, o la parte interessata vi consenta. La ratio del nuovo istituto consiste nella tutela del diritto alla prova di quella parte che non ha potuto partecipare all’esame incrociato. Nei suoi confronti non è stato attuato il contraddittorio in senso soggettivo; di conseguenza non può subire un pregiudizio da quella prova, alla cui formazione è rimasta estranea. LA CONTESTAZIONE DI QUALSIASI ALTRA RISULTANZA Un altro strumento per verificare la credibilità di quanto il testimone afferma in dibattimento può essere ricavato da singole norme del codice. Infatti possono essere contestati anche gli atti o documenti collocati nel fascicolo del PM, sia pure al solo fine di demolire la credibilità del soggetto dichiarante. LETTURA DEGLI ATTI Il codice non distingue nettamente lettura e contestazione. La contestazione delle precedenti dichiarazioni presuppone che sia in corso l’esame del dichiarante che le ha rese, mentre la lettura viene disposta, di regola, quando tale esame non ha avuto luogo: l’aspetto comune sta nel fatto che entrambi gli istituti, dal punto di vista materiale, consistono nella lettura di un verbale; la differenza sta nel fatto che, ai fini della contestazione di quello che afferma un dichiarante, la lettura ha per oggetto soltanto quella parte del verbale che serve per far rilevare la difformità, viceversa, l’istituto della lettura può concernere l’intero verbale o una parte di esso. 77 La lettura è la modalità residuale di utilizzazione delle dichiarazioni rese in momenti precedenti al dibattimento: dunque deroga al principio di immediatezza. Gli atti contenuti nel fascicolo per il dibattimento sono consultabili dal giudice , ma , per essere utilizzabili ai fini della decisione e diventare così la base della motivazione devono essere letti ai sensi dell’art. 511. Se l’esame del dichiarante non ha luogo, si procede direttamente alla lettura dell’atto; se invece l’esame ha luogo, le dichiarazioni contenute nei verbali tratti dal fascicolo per il dibattimento possono essere letti soltanto dopo l’esame della persona che le ha rese. L’art.511 comma 5 stabilisce che in luogo della lettura, il giudice, anche d’ufficio, può indicare specificamente gli atti utilizzabili ai fini della decisione e l’indicazione equivale a lettura; tuttavia la lettura prevale sull’indicazione quando si tratta di verbali e una parte ne fa richiesta o quando si tratta di atti diversi dalle dichiarazioni, se una parte ne fa richiesta e sussiste un disaccordo sul contenuto degli stessi. È posto il divieto di leggere i verbali che contengono le dichiarazioni rese prima del dibattimento, collocati nel fascicolo del PM, per il principio costituzionale del contraddittorio nella formazione della prova. Alla regola è posta l’eccezione dell’art. 111 comma 5 Cost., che consente di derogare al contraddittorio quando vi è una accertata impossibilità di natura oggettiva. Il codice distingue i tipi di dichiaranti. 1. Le precedenti dichiarazioni rese dai testimoni alla polizia giudiziaria, al PM, al difensore nella fase delle indagini o al giudice nell’udienza preliminare possono essere lette soltanto se sono diventate non ripetibili per fatti o circostanze non prevedibili nel momento in cui sono state assunte. Il giudice deve effettuare una valutazione di realistica impossibilità e non di mera difficoltà a dar luogo a nuova acquisizione della prova; inoltre l’impossibilità deve essere oggettiva, dunque non deve dipendere dal richiedente o dal dichiarante (può essere ricondotta a tale caratteristica anche la sopravvenuta irreperibilità); infine l’impossibilità oggettiva doveva essere imprevedibile al momento in cui le dichiarazioni sono state assunte, altrimenti si sarebbe dovuto ricorrere a incidente probatorio. 2. Dichiarazioni rese da persone residenti all’estero. Il giudice, a richiesta di parte, può disporre, che sia data lettura dei verbali di dichiarazioni rese da persone residenti all’estero anche a seguito di rogatoria internazionale se essa, essendo stata citata, non è comparsa e solo nel caso in cui non ne sia assolutamente possibile l’esame dibattimentale. 3. Le precedenti dichiarazioni rese dall’imputato al PM, alla polizia delegata, o al giudice nel corso delle indagini o nell’udienza preliminare, possono essere lette a richiesta di parte se l’imputato è assente o rifiuta di sottoporsi all’esame. Esse, comunque, ex 513 comma 1, sono utilizzabili soltanto contro l’imputato che abbia tenuto il comportamento indicato, non anche contro un coimputato, salvo che vi consenta o sussista un’ipotesi di intimidazione o subornazione del dichiarante. 4. Precedenti dichiarazioni rese da imputato connesso o collegato, ex 513 comma 2. La particolarità della normativa consiste nel fatto che in questo caso il codice impone al giudice di sperimentare tutte le possibilità di intervento coatto di queste persone al dibattimento: dunque l’imputato connesso o collegato, che sia stato citato e che non si è presentato, deve essere sottoposto ad un provvedimento di accompagnamento coattivo o eventualmente deve essere sentito con esame a domicilio, con rogatorio internazionale o con un esame a distanza. Soltanto se non è possibile ottenere la presenza del dichiarante, ovvero procedere all’esame in uno degli altri modi, il giudice può leggere, su richiesta di parte, le precedenti dichiarazioni, ma unicamente se la non ripetibilità dipende da fatti o circostanze imprevedibili al momento della dichiarazione. Il 513 comma 2, comunque, richiama solo il 210 comma 1, ovvero imputati connessi ex 12 lett. a, non fa alcun riferimento alle altre categorie; comunque da un lato si ritiene applicabile il 513 per via di espresso richiamo del 80 permettere una decisione, se poi la prova va a beneficio della parte questa è una delle possibili conseguenze del processo IL PRINCIPIO DISPOSITIVO ATTENUATO Dall’orientamento giurisprudenziale si ritiene che il codice accoglie il principio dispositivo attenuato in materia probatoria: si consente la massima esplicazione del diritto alla prova riconosciuto alle parti ma non preclude i poteri di iniziativa probatoria del giudice, ma limita il giudice circa la discrezionalità nel respingere le richieste di ammissione formulate dalle parti (assoluta necessità), infatti quando risulta assolutamente necessario ammettere le prove il giudice non ha potere discrezionale di scegliere se ammettere o decidere sulla base degli atti, ma ha il dovere di assumerla specie se richiesta dalle parti e abbia i parametri ex507. Del resto tale principio si ricava dall’oggetto del processo: la libertà personale; poiché si tratta di un diritto fondamentale inviolabile e indisponibile non è possibile che un processo che inevitabilmente vi incida sia interamente rimesso al potere dispositivo delle parti. Proprio per questo in caso di lacune probatorie, il giudice deve intervenire in via suppletiva laddove sia possibile e non applicare direttamente il ragionevole dubbio. LA RINUNCIA ALLA PROVA ED IL PRINCIPIO DI ACQUISIZIONE Al tema del principio dispositivo si connette la problematica della rinuncia all’assunzione di una prova. Può infatti accadere che una parte, ottenuta l’ammissione di un mezzo di prova rinunci alla sua assunzione. (testimone non chiamato a testimoniare) La rinuncia alla prova è espressamente disciplinata dal nuovo comma 4bis dell’art.495, introdotto nel 2000, in base al quale nel corso dell’istruzione dibattimentale ciascuna delle parti può rinunciare all’assunzione delle prove ammesse a sua richiesta e tale rinuncia è efficace solo se l’altra parte consente. Il concetto di altra parte va interpretato in modo estensivo ossia tutte le parti diverse dal rinunciante. Il rinunciante legittimato è quella parte che aveva chiesto l’ammissione al giudice e che abbia rinunciato alla relativa assunzione per qualunque motivo con espressa dichiarazione, infatti la rinuncia costituisce l’estrema manifestazione del diritto alla prova di cui dispone la parte ed è proprio per tutelare quello dell’altra parte che vi si chiede il consenso. Il legislatore non ha attribuito alcun potere al giudice; tuttavia in base all’art.507 il giudice può disporre d’ufficio l’assunzione di quella prova alla quale le parti abbiano rinunciato, sempre che questa si assolutamente necessaria. 21 LA PARTECIPAZIONE E L’ESAME A DISTANZA Il codice consente di utilizzare due istituti che permettono di superare l’unità di luogo nel quale si deve svolgere il dibattimento: la partecipazione al dibattimento a distanza e l’esame a distanza. L’aspetto comune dei due istituti sta nel collegamento televisivo, che è stato regolato nei dettagli al fine di permettere, per un verso, che i fondamentali diritti difensivi possano essere esercitati; per un altro verso, che le parti siano comunque messe in grado di valutare l’attendibilità delle prove che vengono assunte. L’art. 146bis disp. att. prevede una singolare forma di partecipazione dell’imputato al dibattimento. L’imputato rimane nel luogo di detenzione e partecipa all’udienza attraverso un collegamento a distanza che presuppone l’installazione di due terminali, uno nell’aula e l’altra nella postazione remota, e di un sistema di comunicazione che permette di ricevere e trasmettere i segnali audiovisivi provenienti da entrambi i terminali. La partecipazione a distanza è disposta dal giudice in tre ipotesi: 1) Quando si procede per delitti di criminalità di tipo mafioso, terroristico o assimilato, nei confronti di un imputato che si trovi, a qualsiasi titolo, in stato di detenzione in carcere (anche all’estero). Inoltre in tal caso è disposta se sussistono gravi ragioni di sicurezza, o ordine pubblico, se si tratta di dibattimenti particolarmente complessi per cui la partecipazione a distanza risulta utile per evitare ritardi. 2) Quando si procede nei confronti di un imputato che si trovi in stato di detenzione e sia sottoposto al regime del carcere duro che comporta la sospensione delle misure trattamentali e che è previsto dal 41bis. Qua non occorrono ulteriori condizioni. 81 3) Quando si deve udire, in qualità di testimone, una persona a qualunque titolo in stato di detenzione presso un istituto penitenziario, ove ciò sia possibile e salvo diversa motivata disposizione del giudice. Una volta accertata l’esistenza dei suddetti requisiti, la partecipazione a distanza deve obbligatoriamente essere disposta. Il relativo provvedimento è adottato anche d’ufficio nella fase degli atti preliminari dal presidente del tribunale o della corte d’Assise; nel corso del dibattimento è pronunciato dal giudice. Nel primo caso, l’atto assume la forma del decreto motivato che, essendo emanato in assenza di contraddittorio deve essere comunicato alle parti e ai difensori almeno 10 giorni prima dell’udienza; nel secondo caso, l’atto assume la forma dell’ordinanza. Il collegamento televisivo deve assicurare la contestuale, reciproca ed effettiva visibilità delle persone presenti in entrambi i luoghi e la possibilità di udire quanto viene detto, escludendo dunque ogni sorta di differimento temporale e ogni difficoltà sulla capacità di percezione da parte del fruitore. Infatti, al fine di attestare l’identità dell’imputato e la mancanza di limitazioni ai diritti, Il giudice designa un ausiliario che deve essere presente nel luogo dove si trovi l’imputato, dove può esser presente il suo difensore o un sostituto L’art. 147bis disp. att. prevede che mediante collegamento televisivo si possa svolgere a distanza l’esame di un testimone o di una parte, al fine di tutelare la vita degli operatori sotto copertura. Ove siano disponibili strumenti tecnici idonei ad effettuare un collegamento audiovisivo, il giudice sentite le parti, può disporre anche d’ufficio che l’esame si svolge a distanza. Valgono le stesse regole della partecipazione a distanza: si deve assicurare la contestuale visibilità delle persone presenti nel luogo dove l’esaminando si trova; è presente l’ausiliario che ha il compito di attestare le generalità e dare atto delle cautele adottate per assicurare la regolarità dell’esame, redigendo un verbale. Se si deve compiere l’esame di un imputato devono, altresì, essere assicurate le medesime garanzie difensive previste per la partecipazione a distanza. Occorre la effettiva e reciproca visibilità, l’imputato deve essere assistito dal difensore e deve potersi consultare con questo riservatamente L’esame deve svolgersi obbligatoriamente a distanza nei seguenti casi: a) quando l’esame è disposto nei confronti di persone ammesse al piano provvisorio di protezione o alle speciali misure di protezione; b) se nei confronti dell’esaminato è stato emesso un decreto di cambiamento delle generalità; c) se un imputato accusato di delitto di criminalità mafiosa o terroristica, deve essere esaminato in un processo per tale tipo di delitti, connesso al proprio. In tali casi l’obbligatorietà è attenuata dalla possibilità lasciata al giudice di ritenere assolutamente necessaria la presenza della persona da esaminare. Il giudice può disporre l’esame a distanza, ma soltanto su richiesta di parte, nei seguenti casi facoltativi: a) se il dichiarante è già stato esaminato nell’incidente probatorio o in un altro procedimento ed è stata disposta una nuova assunzione di tale prova; b) se comunque vi sono gravi difficoltà ad assicurare la presenza della persona da esaminare. La L. 367/2001 ha introdotto l’art. 205ter disp. att. che prevede anche l’audizione in videoconferenza per testimoni o periti che si trovano all’estero. 22 LE NUOVE CONTESTAZIONI: LA CORRELAZIONE TRA IMPUTAZIONE E SENTENZA Il dibattimento ha per oggetto l’addebito che è stato contestato all’imputato con il decreto che dispone il giudizio. Nel corso dell’istruzione dibattimentale il PM può modificare l’imputazione originaria entro determinati limiti e con modalità che devono garantire il diritto di difesa dell’imputato. Ciò è coerente con la funzione stessa della fase, poiché qui si assumono le prove che possono portare ad esiti diversi e nuovi. Ciò può portare il PM a modificare l’imputazione sotto profili attinenti al fatto o al diritto. MODIFICHE ATTINENTI AL FATTO STORICO: FATTO DIVERSO a) Le modifiche attinenti al fatto storico: il fatto diverso. Per quanto concerne il fatto storico, in primo luogo questo può risultare « diverso » da quello contestato (art. 516), nel senso che risultano modificate le 82 modalità del fatto di reato . Occorre prestare attenzione a tale concetto: il nucleo essenziale dell'accusa originariamente contestata non appare modificato sotto un profilo sostanziale; mutano soltanto alcuni aspetti relativi alle modalità di svolgimento. Come esempio, si pensi al caso in cui venga modificata la data o il luogo del fatto di reato mentre la condotta addebitata rimane identica (195). In tale evenienza il pubblico ministero provvede direttamente a modificare l'imputazione e a contestarla all'imputato (se il reato non appartiene alla competenza di un giudice “superiore”, ad esempio della corte d'assise). Le garanzie per l’imputato (art. 519). La disciplina originaria del codice del 1988 era piuttosto scarna in punto di garanzie, che erano state arricchite nel tempo dalla giurisprudenza costituzionale. Le modifiche sono state recepite espressamente dal d.lgs. n. 150 del 2022 che ha riscritto la disciplina stabilita all’art. 519. In caso di modifica dell’imputazione, salvo che la contestazione abbia per oggetto la recidiva, il presidente informa l’imputato che può chiedere un termine per la difesa, formulare richiesta di giudizio abbreviato, di patteggiamento o di sospensione con messa alla prova, nonché richiedere l’ammissione di nuove prove (art. 519, comma 1). Ove sia effettuata la contestazione di un fatto diverso, dunque, l’imputato ha i seguenti diritti: 1) ottenere che il dibattimento venga sospeso (per un tempo non inferiore al termine per comparire previsto dall’art. 429, ma comunque non superiore a quaranta giorni, se si tratta del giudizio presso il tribunale collegiale o la corte d'assise)196; 2) chiedere l'ammissione di nuove prove (art. 519, comma 2) (197) ; 3) chiedere il giudizio abbreviato, il patteggiamento la sospensione del procedimento con messa alla prova relativamente al fatto diverso contestato in dibattimento (art. 519, comma 2) (198). Inoltre, l’imputato può chiedere l’oblazione, come espressamente precisato all’art. 141, comma 4-bis disp. att.: «in caso di modifica dell'originaria imputazione in altra per la quale sia ammissibile l'oblazione, l'imputato è rimesso in termini per chiedere l'oblazione medesima». Ai sensi dell’art. 519, comma 3, il presidente dispone la citazione della persona offesa, osservando un termine non inferiore a cinque giorni (art. 519, comma 3). L’offeso, infatti, qualora cumuli in sé la qualifica di danneggiato deve essere messo in condizione di costituirsi parte civile in relazione alla nuova contestazione. Come si vedrà subito infra, la disciplina appena esposta è applicabile anche in caso di contestazione suppletiva e di contestazione di un fatto nuovo. CONTESTAZIONE SUPPLETIVA Dalle prove raccolte nell'istruzione dibattimentale può risultare a carico dell’imputato (art. 517) l'esistenza di una circostanza aggravante o il compimento di un reato connesso ai sensi dell'art. 12, comma 1, lett. b (concorso formale o reato continuato) (199). In tali ipotesi, il pubblico ministero contesta all'imputato il reato concorrente o la circostanza aggravante, purché la cognizione non appartenga alla competenza di un giudice “superiore” (e cioè della corte d'assise) (200). Anche in relazione a tale situazione il codice del 1988 non allestiva un idoneo apparato di garanzia del diritto di difesa che postula la possibilità di esercitare una serie di opzioni con riferimento a tutti gli addebiti contestati. La giurisprudenza costituzionale aveva arricchito la disciplina e oggi la riforma Cartabia (d.lgs. n. 150 del 2022) ha codificato in larga parte tali orientamenti nella nuova versione dell’art. 519 sulla quale ci siamo soffermati supra ( 201). Nuove contestazioni all'imputato assente. Quando intende contestare il fatto diverso (art. 516), il reato concorrente o la circostanza aggravante (art. 517) all'imputato che non è presente in aula neppure mediante collegamento a distanza, il pubblico ministero chiede al presidente che la contestazione sia inserita nel verbale del dibattimento e che il verbale sia notificato per estratto all'imputato con l’avvertimento che entro l’udienza successiva può formulare richiesta di giudizio abbreviato, di patteggiamento e di sospensione del procedimento con messa alla prova, nonché richiedere l’ammissione di nuove prove (art. 520, comma 1 mod. dal d.lgs. n. 150 del 2022). In tal caso il presidente sospende il dibattimento e fissa una nuova udienza per la prosecuzione, osservando i termini indicati nell’art. 519, comma 2 (per l’imputato, il termine per comparire) e comma 3 (per la persona offesa, cinque giorni). IL FATTO NUOVO art. 518 85 verbalizzazione della sua opinione con il relativo nominativo. Tutto ciò ai fini della responsabilità civile dei magistrati ex L. 117/88. Il codice regola in modo minuzioso la procedura attraverso il quale il giudice deve deliberare. In primo luogo, devono essere affrontate le questioni processuali, che potrebbero sfociare in decisioni che precludono l’esame nel merito, come avverrebbe se il giudice si dichiarasse incompetente. Si tratta delle questioni preliminari che non sono state ancora risolte o di ogni altra questione relativa al processo (es. Dichiarazione di nullità). In secondo luogo, qualora l’esame del merito non risulti precluso, sono poste in discussione le questioni “di fatto” che concernono l’imputazione: il giudice valuta se i fatti affermati dalle parti sono dimostrati dalle prove acquisite. Successivamente sono affrontate le questioni “di diritto”, e cioè i problemi interpretativi posti dalle norme penali. E ancora, se il giudice accerta la responsabilità dell’imputato e decide di condannarlo, sono poste in discussione le questioni relative all’applicazione delle pene e delle misure di sicurezza. A questo punto, se vi è stata la costituzione di parte civile, è esaminata la richiesta di risarcimento del danno derivante dal reato. L’organo collegiale delibera secondo le modalità prescritte dal codice, tendenti a garantire la libertà morale dei membri, i giudici sono tenuti ad enunciare le ragioni della loro opinione e votano su ciascuna questione qualunque sia stato il voto espresso sulle altre, poiché il convincimento può mutare in relazione all’esito del dibattito interno. Ulteriori norme impongono anche sotto il profilo procedimentale il rispetto del principio del favor rei: in caso di parità di voti prevale la soluzione più favorevole all’imputato. Conclusa la deliberazione, il presidente dell’organo giudicante redige il dispositivo e lo sottoscrive: ossia il comando nel quale si traduce la decisione e cioè proscioglimento o condanna. Se è proscioglimento, il giudice deve riassumere i motivi in una delle formule tipiche. Se è condanna, il giudice indicherà nel dispositivo la pena d applicare e se vi è costituzione di parte civile, il capo civile del dispositivo contiene la decisione sul risarcimento. Una volta sottoscritto il dispositivo, l’organo giudicante rientra nell’aula di udienza e il presidente lo legge. Nei casi nei quali la motivazione sia stata redatta insieme al dispositivo (di fatto quasi mai), essa viene letta o viene esposta in modo riassuntivo; in tal caso la lettura equivale a notificazione della sentenza per le parti che sono, o devono considerarsi presenti. Di regola, accade che la motivazione, per la complessità del caso, non possa essere redatta immediatamente. Ed allora il codice prescrive il termine entro cui l’intera sentenza deve essere depositata in cancelleria. Il termine ordinario per il deposito è di 15 giorni. Se la motivazione si presenta molto complessa, il giudice indica nel dispositivo un termine più lungo, non eccedente comunque il 90esimo giorno da quello della pronuncia. L’intera sentenza (motivazione e dispositivo) deve poi esser depositata in cancelleria. Quando non è depositata entro 15gg né entro altro termine indicato nel dispositivo, l’avviso di deposito deve esser notificato al PM alle parti private e al difensore dell’imputato. Prima della L. 67/2014 l’avviso di deposito con l’estratto della sentenza ossia il dispositivo andava notificato al contumace. Con l’abolizione della contumacia non è più necessaria la notifica poiché per l’irreperibile il processo è sospeso, per l’assente il processo va avanti e questo è rappresentato dal suo difensore. 26 I REQUISITI DELLA SENTENZA. LA MOTIVAZIONE Il codice indica in modo dettagliato i requisiti formali. Ai sensi dell’art. 546 la sentenza ha il seguente contenuto: a) l’intestazione “nel nome del popolo italiano” e l’indicazione dell’autorità che l’ ha pronunciata; b) le generalità dell’imputato o altre indicazioni personali che valgono ad identificarlo, nonché le generalità delle altre parti private; c) l’imputazione ; d) l’indicazione delle conclusioni delle parti (ex. La pena richiesta dal PM); e) la concisa esposizione dei motivi di fatto e di diritto su cui la decisione è fondata, con l’indicazione delle prove poste a base della decisione stessa e l’enunciazione delle ragioni per le quali il giudice ritiene non attendibili le prove contrarie; f) il dispositivo con l’indicazione degli articoli di legge applicati; 86 g) la data e la sottoscrizione del giudice, ossia del presidente del collegio e del giudice estensore. Se manca la sottoscrizione o la motivazione o, comunque, un elemento essenziale del dispositivo, la sentenza è nulla. Dal punto di vista sostanziale la sentenza è costituita da capi e punti. Il capo si identifica con la singola imputazione; il punto è una tematica di fatto o di diritto che deve esser tratta per giungere alla decisione in merito ad una o più imputazioni. Se sono insufficienti o manchino i requisiti previsti dal codice purchè siano errori od omissioni che NON determinano nullità e la cui eliminazione non comporta una modifica essenziale dell’atto, si deve attivare il procedimento di correzione degli errori materiali (es. Sono incomplete le indicazioni personali atte ad identificar dell’imputato o manca l’enunciazione dell’impugnazione). Tale procedimento si svolge in camera di consiglio disposto d’ufficio o su richiesta dal giudice che ha emesso il provvedimento oppure se la sentenza è stata impugnata, dal giudice competente per l’impugnazione. La valutazione degli elementi di prova costituisce per le parti il coronamento di quell’onere sostanziale che si esplica nel potere di argomentare; la medesima attività rappresenta per il giudice un vero e proprio dovere. Egli, infatti, valuta la prova dando conto nella motivazione dei risultati acquisiti e dei criteri adottati. Il giudice espone i motivi del suo convincimento indicando le prove poste a base della decisione ed enunciando le ragioni della loro attendibilità e delle non attendibilità di quelle contrarie. La valutazione del giudice consiste in una attività legale e razionale; legale poiché deve esser valutato soltanto ciò che è validamente acquisito; razionale poiché implica l’obbligo di motivare, giustificare la scelta operata dal giudice secondo criteri di ragionevolezza. Il giudice deve spiegare perché le prove d’accusa sono tali da eliminare ogni ragionevole dubbio oppure perché mancano, sono insufficienti o contraddittorie. La valutazione del giudice in ordine alle prove conduce al risultato probatorio. Da ciò si deduce che in ogni caso è necessaria l’attività raziocinante del giudice che serve ad accertare la credibilità della fonte e attendibilità della dichiarazione: non vi può essere una prova il cui valore sia determinato a priori. Gli artt. 192 e 546 comma 1 lett. e diventano complementari nel descrivere il percorso argomentativo della decisione del giudice. L’art. 192 richiede l’esposizione dei criteri utilizzati nella valutazione degli elementi di prova, singolarmente presi e nel loro complesso, e cioè in rapporto tra loro. L’art. 546, comma 1 lett. e, attraverso il prescritto vaglio delle opposte ragioni, recepisce e traduce l’esigenza del confronto tra le diverse ipotesi ricostruttive del fatto, che sono state elaborate dalle parti. In questo caso, il giudice è chiamato a scegliere quella ricostruzione del fatto che è capace di fornire una spiegazione ragionevole a tutti gli elementi raccolti. L’obbligo di motivare è implicito a questa razionalità, il giudice è tenuto a dar conto delle scelte operate. Ancora l’art. 546, richiede che, nel giustificare le proprie scelte in ordine alle prove che stanno alla base del suo convincimento, il giudice dia conto anche dell’eventuale esistenza di prove che con tale convincimento contrastano e delle ragioni per cui egli le ha ritenute non convincenti. Ed è qui che si coglie la novità introdotta dal codice del 1988. La struttura della motivazione, allora, assume un carattere dialogico nel senso che essa deve dar conto del conflitto sulle prove e di quello sulle ipotesi. Una motivazione che prendesse in considerazioni solo prove a favore e non anche le prove contrarie potrebbe esser coerente ma non rispecchierebbe la struttura dialogica legalmente imposta. L’obbligo della motivazione è sancito anche a livello costituzionale, ex art. 111 comma 6, secondo cui “ tutti i provvedimenti giurisdizionali devono essere motivati”. Obbligo costituzionalmente garantito poiché legato a comportamenti che hanno funzione decisoria, al fine di rendere conoscibili e controllabili. Infatti è prevalente in dottrina la doppia funzione della motivazione: endoprocessuale ed extraprocessuale. La funzione endoprocessuale consiste nel garantire alle parti del processo correttezza e esattezza della decisione, attraverso un controllo interno sul fondamento della sentenza ed è strettamente connesso con l’impugnazione. La funzione extraprocessuale, poiché il processo è un fatto che riguarda anche l’esterno, la motivazione ha questa caratteristica democratica in quanto rende possibile un controllo esterno circa l’operato del giudice e il modo con cui ha esercitato il proprio potere. Inoltre vi è il requisito della completezza in fatto e in diritto. Spesso le sentenze sono motivate troppo in diritto e poco nella ricostruzione del fatto. Una corretta giustificazione della ricostruzione del fatto invece costituirebbe la premessa per l’applicazione di determinate norme. È necessario inoltre non solo che il giudice giunga alla 87 decisione motivando genericamente di aver usato le prove assunte, ma è necessario il contenuto della prova (ex. Parere del perito, ), solo così la motivazione diventa un rimedio contro l’arbitrio del giudice. 27 29. SENTENZA DI NON DOVERSI PROCEDERE All’interno della generale categoria delle sentenze di proscioglimento, il codice pone una fondamentale distinzione tra sentenza di non doversi procedere e sentenza di assoluzione. Soltanto la sentenza di assoluzione contiene un vero e proprio accertamento, che il giudice ha operato mediante le prove. Pertanto esse sono idonee a fondare l’efficacia di giudicato nei processi civili, amministrativi e disciplinari. Viceversa, la sentenza di non doversi procedere NON contiene un accertamento del fatto storico, bensì si limita a statuire su aspetti processuali che impediscono tale accertamento (sono anche dette pronunce meramente processuali). In ogni caso, sia che il giudice deliberi sentenza di non doversi procedere o di assoluzione, egli deve specificare la causa, e cioè la c.d. formula terminativa (artt. 529-531), ossia una sorta di riassunto della motivazione, prevista dalla legge e che deve essere precisata dal giudice nel dispositivo: - sentenza di non doversi procedere perché l’azione penale non doveva essere iniziata o non deve essere proseguita la sentenza ha questa formula terminativa quando manca, o è insufficiente o contraddittoria, la condizione di procedibilità prevista dalla legge per quella specifica fattispecie incriminatrice. Quindi anche se il giudice ha un ragionevole dubbio sulla esistenza di querela, la situazione sarà identica alla mancanza di querela. - sentenza di non doversi procedere per estinzione del reato Se nel corso del processo subentri una causa estintiva del reato: (es. la morte del reo prima della condanna, la remissione di querela, la prescrizione del reato, l’oblazione nelle contravvenzioni, l’amnistia, la sospensione condizionale). Il giudice deve dichiararla immediatamente e il processo non può proseguire. Ciò avviene tramite sentenza di non doversi procedere e quindi il giudice non accerta in merito all’esistenza del reato e alla responsabilità dell’imputato. Dunque non essendovi accertamento la sentenza non è idonea a formare il giudicato nei confronti dei processi civili, amministrativi e disciplinari che hanno ad oggetto il medesimo fatto. Ex art. 531 comma 2 il giudice adotta tale sentenza sia quando vi è la prova della causa estintiva sia quando vi è il dubbio sull’esistenza: principio in dubbio pro reo. Può accadere che l’imputato di fronte ad una sentenza di non doversi procedere nei suoi confronti, preferisca una sentenza di assoluzione in quanto questa ha un effetto pienamente liberatorio nel merito di fronte all’opinione pubblica. Il codice, di fronte a tale situazione, impone al giudice l’obbligo di pronunciare sentenza di assoluzione se dagli atti risulta evidente l’innocenza dell’imputato nel momento in cui si verifica una causa di improcedibilità: fatto non sussiste, non costituisce reato, non è previsto dalla legge come reato, l’imputato non l’ha commesso. L’assoluzione non è rimessa al giudice ma deve risultare dagli atti esistenti al momento in cui si verifica il fatto estintivo, l’innocenza in maniera evidente. 30. SENTENZA DI ASSOLUZIONE Con la sentenza di assoluzione il giudice compie un accertamento sull’esistenza o meno del fatto storico addebitato all’imputato. Il codice impone al giudice di utilizzare una delle formule tipiche previste dal 530 cpp che costituiscono il riassunto dei motivi della decisione. Il codice segue una vera e propria gerarchia tra le formule poiché inizia con quelle più favorevoli al reo e termina con quelle meno favorevoli: ciò perché utilizza come criterio il pregiudizio morale che può derivare dall’ammettere che l’imputato ha commesso un determinato fatto che però non è penalmente illecito o semplicemente non punibile. La scelta del codice di prevedere più formule, non appare ragionevole infatti: dato che è consolidato il principio della presunzione di innocenza e che per questo l’accusa ha l’onere di eliminare ogni ragionevole dubbio sulla reità, si dovrebbe scegliere tra colpevole e non colpevole e gli argomenti che inducono a prosciogliere dovrebbero esser contenuti nella motivazione e non con delle formule nel dispositivo perché costituirebbero un pregiudizio quando la formula non è totalmente liberatoria. In tal senso già nel 1967 aveva evidenziato che il proscioglimento con formule diverse da quella sull’insussistenza del fatto e sulla non attribuibilità all’imputato, attribuiscono 90 prevenzione del pericolo di commissione di altri reati. Tra le pene sostitutive il giudice sceglie quella più idonea alla rieducazione e al reinserimento sociale del condannato con il minor sacrificio della libertà personale. La sentenza di condanna a pena sostitutiva. In base alla nuova disciplina, il giudice della cognizione, in caso di condanna a pena detentiva breve è chiamato anzitutto a decidere se concedere la sospensione condizionale della pena oppure se applicare una pena sostitutiva (art. 545-bis c.p.p.). In quest’ultimo caso, è chiamato ad un compito ulteriore e nuovo rispetto agli schemi classici della commisurazione e applicazione della pena principale contribuendo a plasmare la sanzione più adeguata alla rieducazione del condannato (220). Naturalmente, per adempiere a tale compito il giudice ha necessità di acquisire informazioni ulteriori rispetto a quelle comunemente acquisite nel giudizio di cognizione ai fini del giudizio sulla personalità. A tale scopo è previsto il coinvolgimento degli uffici di esecuzione penale esterna. Si è così creato un modello bifasico, dichiaratamente ispirato al modello del sentencing di matrice anglosassone che consente al giudice dopo aver chiuso il processo di cognizione vero e proprio con una condanna, di valutare in una sede apposita la tipologia di pena che può essere applicata in concreto, acquisendo dagli organi competenti tutte le informazioni utili ad un plastico adeguamento della risposta sanzionatoria alla specifica situazione del condannato, nel contraddittorio con le parti (221). Invero, mentre nel modello bifasico tradizionale la decisione sul fatto è presa dalla giuria, mentre la decisione sulla personalità e sulla pena è presa dal giudice professionale, nel sistema disegnato dalla riforma Cartabia, entrambi i profili sono esaminati dal medesimo giudice in due fasi distinte. Quando è stata applicata una pena detentiva non superiore a quattro anni e non è stata ordinata la sospensione condizionale, subito dopo la lettura del dispositivo, il giudice, se ricorrono le condizioni per sostituire la pena detentiva con una o più delle pene sostitutive fin qui esaminate, ne dà avviso alle parti. È previsto, quale presupposto indispensabile perché si possa procedere alla sostituzione, che l’imputato presti il consenso. Si tratta di un atto che può essere compiuto personalmente o a mezzo di procuratore speciale. Con il suo consenso l’imputato accetta che la condanna, non appena irrevocabile, sia immediatamente eseguita. Occorre ritenere che l’imputato possa acconsentire ad alcune soltanto delle pene sostitutive. Se vi è il consenso dell’imputato, il giudice, sentito il pubblico ministero ha due alternative: a) può decidere immediatamente se negare o concedere la pena sostitutiva; b) oppure, come è verosimile che accada qualora il giudice ritenga di disporre la sostituzione, può sospendere il processo e i termini previsti per il deposito della motivazione, fissando un'apposita udienza non oltre sessanta giorni, con contestuale avviso alle parti e all’ufficio di esecuzione penale esterna competente; in tal caso il processo è sospeso (art. 545- bis, comma 1) . La sospensione del processo. Al fine di decidere sulla sostituzione della pena detentiva e sulla scelta della pena sostitutiva, nonché ai fini della determinazione degli obblighi e delle prescrizioni relative, il giudice può acquisire dall’ufficio di esecuzione penale esterna e, se del caso, dalla polizia giudiziaria tutte le informazioni ritenute necessarie in relazione alle condizioni di vita personale, familiare, sociale, economica e patrimoniale dell’imputato. Il giudice può richiedere altresì all’ufficio di esecuzione penale esterna il programma di trattamento della semilibertà, della detenzione domiciliare e del lavoro di pubblica utilità con la relativa disponibilità dell’ente ( 223). Le parti possono depositare la documentazione all’ufficio di esecuzione penale esterna e fino a cinque giorni prima dell’udienza possono presentare memorie in cancelleria. L’integrazione o la conferma del dispositivo. Acquisiti gli atti, i documenti e le informazioni di cui ai commi precedenti, all’udienza fissata, sentite le parti presenti, il giudice, se sostituisce la pena detentiva, integra il dispositivo indicando la pena sostitutiva con gli obblighi e le prescrizioni corrispondenti in applicazione delle apposite disposizioni contenute nella legge n. 689 del 1981 (224). Se le condizioni non sussistono, il giudice conferma il dispositivo di condanna alla pena detentiva. In ogni caso, il giudice dà lettura in udienza del dispositivo, confermato o integrato, ai sensi e per gli effetti dell’art. 545, comma 1 (art. 545-bis, comma 3) . La norma è espressione della valorizzazione dell’apporto delle parti (ed in modo particolare della difesa) che vengono chiamate a contribuire alla più adeguata risposta sanzionatoria al reato, in rapporto alle esigenze di individualizzazione del trattamento che discendono dall’art. 27, comma 3 Cost. L’art. 545-bis, comma 4 reca una disciplina di raccordo tra la pubblicazione del dispositivo mediante lettura ed il nuovo dispositivo integrato con la pena sostitutiva o confermato nella pena detentiva. Quando il processo è stato sospeso, la lettura della motivazione contestuale prevista dall’art. 544 comma 1 segue quella del dispositivo integrato o confermato e può essere sostituita con un’esposizione riassuntiva. Fuori dai casi di lettura contestuale della motivazione, i termini 91 per il deposito della motivazione decorrono a ogni effetto di legge (e segnatamente anche ai fini del decorso dei termini per impugnare) dalla lettura del dispositivo. L’esecuzione delle pene sostitutive. L’art. 62 della legge n. 689 del 1981 disciplina l’esecuzione delle pene sostitutive della semilibertà e della detenzione domiciliare; l'esecuzione è affidata al magistrato di sorveglianza, trattandosi di pene accomunate dalla natura detentiva e distinte dal lavoro di pubblica utilità. Viceversa, l’art. 63 della legge n. 689 del 1981 affida l’esecuzione del lavoro di pubblica utilità a quel giudice della cognizione che lo ha applicato e al quale l’ufficio di esecuzione penale esterna riferisce periodicamente. La riforma Cartabia. La sospensione condizionale della pena è subordinata all’osservanza di determinati obblighi in relazione a ulteriori delitti di violenza domestica e di genere. in caso di sentenza di condanna per delitti di violenza domestica e di genere, la sospensione condizionale della pena è comunque subordinata alla partecipazione del condannato a specifici percorsi di recupero presso enti o associazioni che si occupano di prevenzione, assistenza psicologica e recupero. L’art. 2, comma 13 della legge n. 134 del 2021 ha esteso tale previsione ai delitti commessi anche in forma tentata e al delitto di tentato omicidio . 34. LE STATUIZIONI SULLE QUESTIONI CIVILI Nella prassi giudiziaria raramente avviene la liquidazione del quantum nella sentenza di condanna. Di conseguenza, quando le prove acquisite non consentono la liquidazione del danno, il giudice pronuncia sentenza di condanna generica e rimette le parti davanti al giudice civile. In previsione di ciò, il difensore della parte civile può chiedere al giudice penale, nelle conclusioni del dibattimento, la liquidazione di una determinata soglia nei limiti del danno per cui si ritiene già raggiunta la prova. Se il giudice accoglie la richiesta, la condanna al pagamento della provvisionale è immediatamente esecutiva. PARTE QUARTA: I PROCEDIMENTI PENALI DIFFERENZIATI E SPECIALI CAPITOLO 1: I PROCEDIMENTI SPECIALI 1. PROCEDIMENTI PENALI DIFFERENZIATI E SPECIALI Bisogna distinguere nel nostro ordinamento i procedimenti differenziati dai procedimenti speciali. I procedimenti differenziati sono quelli istituiti presso il tribunale monocratico, presso il giudice di pace, presso il tribunale per i minorenni e quelli che accertano la responsabilità amministrativa dell’ente. I procedimenti speciali sono quei riti che si distaccano dal modello base poiché si limitano ad omettere una delle fasi processuali, ovvero l’udienza preliminare, il dibattimento o entrambi. Essi sono: giudizio abbreviato, applicazione della pena su richiesta delle parti (patteggiamento), sospensione del procedimento con messa alla prova, giudizio immediato, procedimento direttissimo, procedimento per decreto (penale di condanna). Un sistema processuale di tipo accusatorio impone, infatti, che l’accertamento della responsabilità dell’imputato avvenga con il massimo delle garanzie, mediante il rispetto del principio del contraddittorio nella formazione della prova. Le garanzie, quindi, comportano una maggiore complessità delle forme e, di conseguenza, un allungamento dei tempi processuali: ciò accade soprattutto nel dibattimento, nel quale le prove dichiarative devono essere assunte con il metodo dell’esame incrociato. Poiché in tali procedimenti speciali l’imputato gode di minori garanzie, e non ha il diritto al contraddittorio nella formazione della prova, l’unica soluzione è quella di offrirgli un incentivo premiale, affinchè accetti un affievolimento del diritto di difesa. I vantaggi consistono prevalentemente in una diminuzione della pena, che dovrebbe essere scontata in caso di condanna. In particolare occorre sottolineare che la indispensabilità degli strumenti deflattivi del procedimento è stata recepita anche a livello costituzionale: il nuovo art. 111 comma 5, come riformulato nel 1999, permette di derogare, con il consenso dell’imputato, al contraddittorio per la prova. 92 Le linee direttive della riforma Cartabia Come è noto, la riforma Cartabia (legge-delega n. 134 del 2021) si è proposta di ridurre i tempi del procedimento penale migliorandone l’efficienza. La finalità è stata perseguita in vari modi, tra i quali qui interessa l’introduzione di modifiche che tendono ad ampliare l’uso dei procedimenti alternativi al dibattimento con lo scopo di deflazionare il rito ordinario. In sintesi, sono stati ampliati i presupposti di ammissione dei riti alternativi e sono state ridotte le preclusioni ai medesimi; sono stati incrementati gli effetti premiali ed è stato ampliato il potere dispositivo dell’imputato. Dal punto di vista del diritto penale sostanziale è stata introdotta la giustizia riparativa e si è consentito, all’interno dei riti alternativi, di applicare le nuove sanzioni sostitutive di pene detentive fino a quattro anni, evitando così di dover passare attraverso il magistrato di sorveglianza per applicare le misure alternative. Nel giudizio immediato, e cioè nel rito nel quale si perviene rapidamente in dibattimento, è stata ampliata la facoltà dell’imputato di operare la sua scelta tra i riti alternativi dopo aver ricevuto il diniego alla prima richiesta. 2. IL GIUDIZIO ABBREVIATO Il giudizio abbreviato è quel procedimento speciale che consente al giudice, su richiesta dell’imputato, di pronunciare, già al momento dell’udienza preliminare, quella decisione di merito che di regola è emanata al termine del dibattimento. Ai fini della decisione il giudice utilizza gli atti contenuti nel fascicolo delle indagini preliminari. Nel testo originario del codice del 1988, il giudizio abbreviato poteva essere disposto solo in presenza di 3 requisiti: 1. richiesta dell’imputato; 2. consenso del PM; 3. valutazione del giudice sulla possibilità di definire il processo allo stato degli atti, senza alcuna integrazione probatoria. La legge Carotti (479/99) ha totalmente modificato la fisiologia di tale procedimento. Viene eliminato il consenso del PM ed è inoltre stato eliminato il requisito della deducibilità allo stato degli atti. Successivamente la riforma orlando aveva cristallizzato orientamenti giurisprudenziali ondivaghi con un risultato complessivo di potenziamento del rito abbreviato, ottenendo un effetto deflattivo del dibattimento. La riforma Cartabia ha ampliato in modo modesto l’appetibilità del giudizio abbreviato. Da un lato, ha introdotto nel codice i princìpi affermati dalla giurisprudenza di legittimità in materia di valutazione della economicità del rito in rapporto alla presumibile durata del dibattimento, quando il giudizio abbreviato è condizionato ad un’integrazione probatoria. Da un altro lato, ha previsto la riduzione di un sesto della pena quando l’imputato rinuncia all’impugnazione. Ma soprattutto ha consentito al giudice di irrogare nella sentenza di condanna le sanzioni sostitutive, evitando così il passaggio attraverso il magistrato di sorveglianza. Il giudizio abbreviato su richiesta non condizionata. La decisione. il presupposto per l'instaurazione del giudizio abbreviato è la richiesta dell'imputato, che deve essere presentata personal- mente o mediante procura speciale. La richiesta di giudizio abbreviato può essere semplice oppure condizionata alla concessione di una integrazione probatoria. Il termine finale per la presentazione della stessa è la formulazione delle conclusioni nell'udienza preliminare (3). In seguito alla richiesta il giudice deve disporre il giudizio abbreviato con ordinanza. Il giudizio, di regola, si svolge in camera di consiglio; tuttavia è possibile procedere in pubblica udienza se tutti gli imputati ne fanno richiesta (art. 441, comma 3). La disposizione costituisce un bilanciamento tra interessi contra- stanti ed accorda prevalenza al diritto alla riservatezza di quell'imputato che è contrario all'udienza pubblica (5). Ai sensi dell'art. 441, comma 1, debbono osservarsi le disposizioni previste per l'udienza preliminare, fatta eccezione per quella relativa alla modifica dell'imputazione (art. 423). 95 Il proseguimento nelle forme del rito abbreviato . Se l'imputato non si e attivato chiedendo lo svolgimento del rito ordinario, il procedimento prosegue nelle forme del giudizio abbreviato . Anche in tale eventualità alla difesa è stata riconosciuta una rilevante garanzia. Infatti, ai sensi dell'art. 441-bis, comma 5, l'imputato può chiedere l'ammissione di ulteriori prove in relazione alla nuova contestazione. Non occorre che le prove siano necessarie ai fini della decisione e compatibili con le finalità di economia processuale. RUOLO DELLA PARTE CIVILE Accolta la richiesta di rito abbreviato, la parte civile può non accettare tale rito, uscendo dal processo: dunque la sentenza non farà stato nei suoi confronti e potrà quindi trasferire l’azione risarcitoria in autonomo processo civile. Se invece accetta il rito, subisce l’efficacia della sentenza di assoluzione o di condanna: e nel caso di condanna può essere pronunciata condanna al risarcimento. GIUDIZI ABBREVIATI ATIPICI di regola l'imputato può presentare richiesta di rito abbreviato nell'udienza preliminare (e cioè, nel corso del procedimento ordinario), il codice prevede che la medesima richiesta possa essere presentata anche in quei procedimenti speciali che omettono l'udienza preliminare (giudizio immediato, giudizio direttissimo e decreto penale di condanna). In questi casi il rito abbreviato presenta, rispetto al modello base, alcune singolarità che hanno indotto gli studiosi a qualificarlo come giudizio abbreviato atipico. INVESTIGAZIONI DIFENSIVE E RITO ABBREVIATO All'inizio dell'udienza preliminare i difensori (dell'imputato e della civile) possono chiedere l'ammissione di atti e documenti (art. 421, comma 3), tra questi vi può essere la documentazione delle investigazioni difensive. Dopo che il giudice ha ammesso la documentazione, questa diventa utilizzabile per la decisione sul rinvio a giudizio. Se l'imputato chiede il giudizio abbreviato immediatamente dopo il deposito delle indagini difensive, il pubblico ministero può valutare il quadro probatorio non sufficiente per tale rito. In questa ipotesi, la Corte costituzionale aveva riconosciuto al pubblico ministero il potere di chiedere un rinvio per compiere indagini. La riforma Orlando ha codificato quanto già sancito dalla Consulta nel modo seguente (art. 438, comma 4). Quando l'imputato chiede il giudizio abbreviato immediatamente dopo il deposito dei risultati delle indagini difensive è espressamente disciplinato il diritto alla prova contraria in capo alla pubblica accusa. La parola passa poi alla difesa poiché la riforma orlando riconosce all’imputato la facoltà di revocare la richiesta di giudizio abbreviato. Le impugnazioni nel giudizio abbreviato Per motivi sistematici, nel rito abbreviato valgono le disposizioni generali in materia di impugnazioni e di appello, in quanto non siano derogate espressamente o implicitamente dalle norme del codice. Ciò premesso, il legislatore ha posto limiti all'appellabilità oggettiva della sentenza pronunciata a seguito di giudizio abbreviato. Le sentenze inappellabili. In primo luogo, sono inappellabili le sentenze di condanna per le quali è stata applicata la sola pena dell'ammenda o anche, come ha stabilito il d.lgs. n. 150 del 2022, la pena sostitutiva del lavoro di pubblica utilità . In secondo luogo, sono inappellabili le sentenze di proscioglimento relative a reati puniti con la sola pena pecuniaria (multa o ammenda) o con pena alternativa . Ciò premesso, la normativa è la seguente. a) Imputato . 1) L’imputato può appellare la sentenza di condanna pronunciata nel rito abbreviato. Occorre segnalare che quando né l'imputato, né il suo difensore hanno proposto impugnazione contro la sentenza di condanna emanata nel giudizio abbreviato, la pena inflitta deve essere ridotta ulteriormente di un sesto. A ciò provvederà il giudice dell'esecuzione, perché ormai la decisione sarà diventata irrevocabile. 2) L'imputato di regola non può proporre appello contro le sentenze di proscioglimento; ma può appellare le sentenze di assoluzione per difetto di imputabilità derivante da vizio totale di mente. b) Il pubblico ministero può proporre appello contro le sentenze di proscioglimento pronunciate nel rito abbreviato con qualsiasi formula. 2) Il pubblico ministero di regola non può proporre appello contro la sentenza di condanna; può farlo soltanto quando il giudice ha modificato il titolo di reato (art. 443, 96 comma 3) (32). Le sentenze pronunciate nel giudizio abbreviato, quando non sono sottoponibili ad appello, sono comunque passibili di ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 568, comma 2 (33). Al di fuori dei limiti menzionati, valgono le regole ordinarie sulle impugnazioni. In particolare, la decisione emessa al termine del giudizio abbreviato è assimilabile a quella dibattimentale. Ne consegue che, ai fini delle impugnazioni, si osserva la disciplina sui termini prevista per le sentenze dibattimentali . Procedimento. L'appello, quando è ammesso, si svolge in camera di consiglio. Nel caso di appello del pubblico ministero contro una sentenza di proscioglimento per motivi attinenti alla valutazione della prova dichiarativa, la riforma Cartabia ha escluso la rinnovazione dell’istruzione finalizzata alla rivalutazione della prova dichiarativa medesima nei casi di giudizio abbreviato in cui non vi sia stata integrazione probatoria (art. 603, comma 3-bis, mod. dal d.lgs. n. 150 del 2022) LIMITI DELL’APPELLO Nel rito abbreviato valgono le generali norme in tema di impugnazione e di appello. Ma sono posti limiti all’appellabilità della sentenza pronunciata a seguito dell’abbreviato. Le sentenze di condanna a sola pena pecuniaria dell’ammenda non sono appellabili; l’imputato può comunque impugnare un capo di condanna del genere se contestuale ad altra condanna. Il PM non può proporre appello alle sentenze di condanna, tranne che il giudice abbia mutato il titolo di reato. Il PM può invece proporre appello contro le sentenze di proscioglimento pronunciate con qualsiasi formula; la legge Pecorella (46/2006) aveva previsto che le sentenze di proscioglimento non fossero appellabili dal PM, ma costituiva violazione, come rilevato dalla Corte Costituzionale, del principio di parità delle armi, poiché l’imputato poteva appellarsi alle sentenze di condanna. La decisione emessa alla fine del giudizio abbreviato è totalmente assimilabile a quella dibattimentale, per cui si osserva la disciplina sui limiti temporali prevista per le sentenze dibattimentali. L’appello si svolge qui in camera di consiglio. Le sentenze non sottoponibili ad appello, sono impugnabili per Cassazione. 3. L’APPLICAZIONE DELLA PENA SU RICHIESTA DELLE PARTI (PATTEGGIAMENTO) Si tratta di un giudizio in cui il giudice, con sentenza, applica quella pena che è stata concordata tra le parti. Il giudice controlla la giusta qualificazione giuridica del fatto e l’adeguatezza e quantum della pena richiesta. La decisione avviene allo stato degli atti, sulla base del fascicolo delle indagini e dell’eventuale fascicolo del difensore; la semplificazione del rito consiste nell’eliminare l’assunzione delle prove e nell’utilizzare verbali degli atti di indagine ai fini della decisione. L’incentivo premiale qui sta nel prevedere una diminuzione fino a 1/3 della pena applicabile, considerate le circostanze. Il patteggiamento è dunque diverso dal rito abbreviato. L’imputato nel momento in cui chiede il rito abbreviato non conosce né l’esito del processo né l’entità della pena applicabile. Nel patteggiamento, l’imputato conosce la pena che sarà applicata qualora il giudice accoglierà l’accordo. Il sacrificio del contraddittorio sulla formazione della prova è compensato dal fatto che l’imputato, accordandosi con il PM, valuta la convenienza della scelta del rito. La L. 134/2003 ha ampliato l’ambito applicativo dell’istituto, distinguendo il patteggiamento tradizionale e il patteggiamento allargato. La normativa è comune per quanto riguarda procedimento ed effetti, diversa per requisiti e benefici. È disciplinato dagli artt. 445 a 447. Il patteggiamento può essere richiesto, per i delitti e per le contravvenzioni, quando la pena finale (calcolate le circostanze) è pecuniaria, anche in sostituzione, o detentiva, sola o congiunta a pena pecuniaria, o a sua volta 97 sostituita, purché non siano superati i due anni di reclusione o arresto per il patteggiamento tradizionale, e i cinque anni di reclusione per quello allargato. Successivamente a tale pena si applicherà lo sconto che andrà a costituire l’accordo. La riforma Cartabia (legge-delega n. 134 del 2021) si è sforzata di rendere appetibile la scelta del patteggiamento come strumento di deflazione del dibattimento.. Varie le linee di intervento della riforma. Da un lato, è stato ampliato l’oggetto dell’accordo tra imputato e pubblico ministero estendendolo alle pene accessorie e alla confisca, sia pure con alcuni limiti; da un altro lato, si è consentito che l’accordo possa comportare l’irrogazione delle sanzioni sostitutive fino a quattro anni di pena detentiva, evitando così il passaggio attraverso il magistrato di sorveglianza al fine di applicare misure alternative. Infine, di regola sono stati eliminati gli effetti extra-penali del patteggiamento . In particolare, in base al nuovo comma 1 dell'art. 444, l'imputato e il pubblico ministero possono chiedere al giudice: a) di non applicare le pene accessorie, o di applicarle per una durata determinata (salvo quanto previsto per alcuni gravi delitti contro la pubblica amministrazione ; b) di non ordinare la confisca facoltativa, o di ordinarla con riferimento a specifici beni o a un importo determinato. IL PATTEGGIAMENTO TRADIZIONALE Si tratta di un rito semplificato in cui i benefici assumono un peso notevole in relazione alla scelta dell’imputato di definire immediatamente la propria situazione processuale. Vari sono i benefici applicabili all’imputato. La parte può intanto subordinare l’efficacia dell’accordo alla concessione della sospensione condizionale della pena. Se il giudice ritiene di non concedere il beneficio, deve rigettare la richiesta di patteggiamento; in particolare il giudice può accettare o rigettare l’accordo in blocco. La sentenza che applica la pena, poi, non comporta la condanna al pagamento delle spese del procedimento penale. Ancora la sentenza che recepisce l’accordo non comporta irrogazione di pene accessorie. Inoltre la sentenza non comporta applicazione di misure di sicurezza, tranne la confisca nei casi previsti da legge Infine il reato si estingue se l’imputato non commette un delitto o una contravvenzione della stessa indole entro il termine di 5 anni (delitto) o 2 anni (contravvenzione). IL PATTEGGIAMENTO ALLARGATO Il patteggiamento “allargato” consente all'imputato e al pubblico ministero di accordarsi su di una sanzione da due anni e un giorno fino a cinque anni di pena detentiva in concreto, sempre al netto della riduzione fino a un terzo (art. 444, comma 1). Se il codice penale prevede una pena pecuniaria, anche questa deve essere ridotta fino ad un terzo: non vi è un limite massimo di quantità di pena pecuniaria, né quando questa è sola, né quando è in aggiunta alla pena detentiva. Il comma 1bis del 444 esclude patteggiamento allargato in determinate ipotesi: - dal punto di vista oggettivo sono esclusi i delitti di associazione mafiosa e assimilati, di terrorismo e di violenza sessuale e assimilati; - dal punto di vista soggettivo non si applica a delinquenti abituali, professionali, per tendenza, recidivi reiterati. DISCIPLINA COMUNE L’iniziativa può provenire dall’imputato, anche dal difensore munito di procura speciale, o dal PM. Essendo una richiesta unilaterale intervenuta nelle indagini preliminari, il GIP deve fissare un termine perché l’altra parte esprima il consenso: la richiesta è irrevocabile. Il termine finale per la presentazione della richiesta di patteggiamento è la formulazione delle conclusioni nell’udienza preliminare (art. 446, commi 1 e 4). Occorre precisare che la richiesta può essere presentata anche al termine della successiva udienza fissata con l'ordinanza per l'integrazione delle indagini (art. 421-bis). La richiesta di patteggiamento è un atto personale: la volontà dell'imputato è espressa personalmente o a mezzo di procuratore speciale. La richiesta di patteggiamento non equivale ad ammissione di reità. La richiesta di patteggiamento non accolta dal PM o dal giudice non può essere utilizzata come argomento in successiva sentenza a dimostrazione di reità: il comportamento dell’imputato è solo una rinuncia a difendersi.
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