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Riassunti Storia del Cinema, Sintesi del corso di Storia Del Cinema

I riassunti comprendono: P. Bertetto, Introduzione alla storia del cinema, analisi film (lista anno accademico 2019/2020), G. Carluccio, L. Malavasi, F. Villa, Cinema. Percorsi storici e questioni teoriche (mancano i saggi)

Tipologia: Sintesi del corso

2019/2020

Caricato il 09/07/2020

Erika.Musaro
Erika.Musaro 🇮🇹

4

(13)

10 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunti Storia del Cinema e più Sintesi del corso in PDF di Storia Del Cinema solo su Docsity! NASCITA DEL CINEMA: 1895, PRIMA PROIEZIONE PUBBLICA A PAGAMENTO DEL CINEMATOGRAPHE DEI FRATELLI LUMIERE. Questa invenzione permetteva: proiezione su ampio schermo, pellicola su supporto flessibile (celluloide), trascinamento della pellicola a 16 fotogrammi al sec, movimento intermittente della ripresa. Non riferibile ad un unico contesto o personalità, ma sintesi di acquisizioni diverse riguardanti la realizzazione di visioni e immagini riprodotte tecnologicamente (1891 Kinetoscopio di Edison, 1888 perforazione della pellicola di Reynaud e tecniche di proiezione della lanterna magica). Il responsabile principale del modello produttivo è l'operatore della macchina da presa. Dopo il 1905, si ha il director system, in cui il regista e il responsabile e il sovrintendente alla lavorazione del film. Lo spettacolo cinematografico non era autonomo, ma legato ad altri spettacoli di intrattenimento ho allestiti in sale non deputate, nelle fiere ambulanti. Modo di rappresentazione primario (MRP): modo di rappresentazione non legato alla finalità narrativa ma ad attrazioni mostrative (1895-1908) + rappresentazione <<unipuntuale>> costruita su un'unica inquadratura (fino al 1902). Nel 1903, sia la rappresentazione <<pluripuntuale>>, più inquadrature autonome a macchina fissa, caratterizzata da riprese frontali e fondali dipinti (fino al 1906) + montaggio non continuo, in quanto non esiste un sistema di raccordo tra le inquadrature. Modificazione successiva alla fase produttiva: manipolazione dei film in base al pubblico, <<fabbricazione delle vedute>>, commerciate singolarmente e rimontato in un nuovo ordine e proiettate con commenti musicali o verbali variabili. Lumiére: cinema legato alla vita colta sul fatto, riprese in esterni, rifiuto della messa in scena. CINEMA DI REALTà. I film dei Lumière erano caratterizzati per la produzione in serie, costituiti da una sola inquadratura da 50 minuti punta a cinepresa fissa, ma a volte collocata su un supporto mobile. Si preferisce la veduta d'insieme, con angolazione di ripresa decentrata, per evitare l’intasamento prospettico della ripresa centrale. I monumenti sembrano rilegati sullo sfondo, in quanto elementi statici, i protagonisti dell'immagine sono il corpo, l'oggetto in movimento e la traiettoria delle folle. Sul piano compositivo l'immagine è in centrifuga in quanto il movimento degli oggetti deborda i limiti del quadro. L’innaffiatore innaffiato (1895) è un film di finzione dov'è la dimensione debordante viene meno. Per esempio, quando il ragazzo cerca di scappare fuori campo, il giardiniere lo agguanta proprio ai limiti del quadro e lo riporta al centro del campo per punirlo. Subito dopo il giardiniere torna a lavorare e il ragazzo può uscire di scena. Sembra ci sia intenzione di trasformare il giardino in un teatro, l'inquadratura non è un frammento prelevato dal mondo reale ma da un palcoscenico chiuso dove deve esaurirsi tutta l'azione narrativa Méliès: cinema spettacolare, cinema di trucco e di fantascienza dentro i teatri di posa. La sua concezione di produzione è in termini dell'invenzione artistica e del lavoro di messa in scena. Si concentra sulla produzione di film a trucchi, inventando un mondo meraviglioso, burlesco e parodistico. Sono universi impossibili ma che risultano coerenti. I procedimenti più utilizzati sono arresto e sostituzione (arresto della ripresa, sostituzione di elementi di scena, nuovo avvio della ripresa) e la sovraimpressione. L'unità di base dei suoi racconti è la singola scena, quasi mai sezionata in inquadrature. La cinepresa è tendenzialmente fissa, gli effetti dinamici sono un’illusione legata al movimento degli elementi del profilmico. L’immobilità risulta paradossale, in quanto il tema narrativo prediletto è il viaggio. Il viaggio è piuttosto articolato, ma di rado vi è una progressione del racconto, prevale la successione di eventi non continui. L'elemento centrale è l’attrazione, in quanto più interessato al contenuto delle singole scene piuttosto che al loro montaggio. Voyage dans la lune (1902) è il film più ambizioso di Méliés per la quantità di trucchi, l’accuratezza degli effetti scenografici, numero e qualità degli attori impegnati. Racconta della spedizione sulla luna di una capsula spaziale. Il film presenta un insieme di trucchi e attrazioni in funzione del meraviglioso. Anche l'utilizzo di specifiche figure linguistiche funziona in questa direzione, per esempio l'uso delle dissolvenze. CINEMA INGLESE: si elaborano alcune soluzioni di montaggio fondamentali per MRI. Williamson: le sue opere più riuscite sono quelle in cui il debole pretesto narrativo e sorretto dall’efficacia del trucco. The Big Swallow (1901) racconta di un signore, disturbato dalle riprese di un operatore, che si avvicina minacciosamente alla cinepresa fino ad ingoiarlo insieme all’operatore. La bocca è sempre più ravvicinata, fino ad occupare tutto il quadro, per poi passare ad un fondale scuro. Williamson è più interessato a lavorare sulla continuità d'azione, girata in spazi diversi. In Fermate il ladro!, le inquadrature di spazi contigui sono in successione per rappresentare l’inseguimento del ladro. Definisce il prototipo di uno dei più fortunati generi delle origini del cinema: il film ad inseguimento. Il passaggio da un'inquadratura ad un'altra è realizzato tramite lo stacco, prima che l'azione sia interamente conclusa. CINEMA NARRATIVO AMERICANO Edwin Porter: si muove tra le soluzioni tipiche del MRP e le strategie che prefigurano le soluzioni narrative del MRI. The Great Train Robbery (1903) racconta di una rapina a un treno postale e della fuga, e poi cattura dei banditi. Il film da un lato raccoglie un insieme di elementi è un intreccio di temi in voga nel periodo (il viaggio in treno e il mito del selvaggio West), dall'altro sviluppa temi innovativi come il modello del genere d’inseguimento. Questa pellicola dialoga con alcuni film europei composti da più vedute, che rappresentano fatti cruenti e comportano la messa in scena di momenti di drammaticità. Uno degli elementi più interessanti riguarda la concatenazione degli eventi e il trattamento del tempo. Il montaggio cerca di costruire una certa continuità spazio-temporale tra le inquadrature: il film è costituito da 14 singole riprese che si esauriscono in se stesse la durata della scena, per poi passare a un'altra azione, spesso temporalmente contemporanea alla prima con l'utilizzo del montaggio alternato. Vi è quindi l'impossibilità di rappresentare la simultaneità delle azioni, come avverrà con Griffith. Coesistono inquadrature con funzione puramente narrativa (inquadratura che mostra i banditi in fuga verso la locomotiva) e piani più vicini ad una logica mostrativo-attrazionale (scena del bandito che rivolgendosi in primo piano verso la camera, spara contro l'obiettivo e quindi verso lo spettatore stesso. Questa scena poteva essere mostrata all'inizio o alla fine della visione). 1905 NASCITA DELLE PRIME GRANDI STRUTTURE PRODUTTIVE: Aumento della domanda dei film, sollecitano un passaggio alla produzione di massa. Il cinema diviene forma di spettacolo popolare. Nascita delle prime sale cinematografiche permanenti. Negli Stati Uniti, si moltiplicano il Nickelodeon, locali dedicati al cinema che attirano il pubblico popolare per programmi rapidi, varietà di orari e biglietti a basso prezzo. 1906 NASCITA DELLE SERIE COMICHE: Le prime produzioni sono francesi, ma qualche anno dopo la produzione diventa più forte e innovativa negli Stati Uniti. Attraverso numerosi film di breve durata vi è la perfezione del modello della slapstick comedy, film comico violento fatto di cadute, torte in faccia, con comicità farsesca capace di fornire una rilettura grottesca della società grazie al succedersi delle gag. 1908 “INTEGRAZIONE NARRATIVA”: Fase intermedia prima del cinema classico e che si caratterizza per l'emergere del racconto come interesse primario. Le inquadrature non sono elementi autonomi, ma si integrano all'unità del racconto. Nasce così la necessità di un sistema che regola i raccordi tra le inquadrature, ponendo le basi per il passaggio dal MRP al MRI. MOTION PICTURE PARENTS COMPANY: Edison, Biograph e Vitagraph capiscono che è necessario un controllo del mercato, MPPC ha il compito di ridurre la presenza francese, danese, italiana nel mercato statunitense. 1910-1911 LUNGOMETRAGGIO COME NUOVO STANDARD PRODUTTIVO: 1000-1200 m, durata 60 minuti circa. La sua affermazione e incoraggiata dei film storici italiani e dai sensuali melodrammi danesi. ESPANSIONE INDUSTRIA CINEMATOGRAFICA AMERICANA: L'area di produzione si sposta da New York a Hollywood, La California come meta privilegiata per le case indipendenti che contrastano la MPPC e imboccano la strada del lungometraggio (fortemente contestato da Edison). Piccole compagnie di distribuzione tendono a fondersi in aziende più grandi a concentrazione verticale, cioè capace di controllare la produzione, la distribuzione e la proiezione nelle sale. Nascono la Universal, la Paramount, la Warner Bros e Fox Film Co. Richter, Ruttmann e Fischinger, se pur con differenziazioni, rappresenta il processo di ricerca formale e dello statuto della produzione artistica dell’avanguardia. Eggeling lavora al superamento della struttura del quadro. Per lui l'uscita dal quadro non è proiezione nello spazio, ma dilatazione della forma del tempo. L'arte diventa arte del movimento e trova un nuovo modello nell'arte del tempo per eccellenza, la musica. La sua arte è costituita di luce e movimento. Realizza Diagonal Symphonie (1919-1924), dinamismo sinuoso della linea e modificazione graduale delle forme visive create dalla linea stessa. Ruttmann realizzò il primo film astratto. I suoi film più articolati e ricchi di variazioni formali, usano strutture visive molteplici e si avvalgono anche dei colori. Le tecniche adottate sono molteplici e vanno dal disegno animato, alla ripresa di elementi e di sagome, dotate di configurazioni irrealistiche. Un film astratto deve utilizzare le infinite possibilità di impiego della luce e dell'oscurità, della quiete del movimento, delle linee rette e curve, della massa e della linearità e dei loro innumerevoli gradi intermedi le combinazioni. La seconda fase dell'attività di Ruttmann è legata alla sperimentazione di strutture visivo dinamiche complesse, effettuate nel quadro della sinfonia visiva e in particolare della sinfonia della metropoli come in Berlino sinfonia di una grande città (1927). Fishinger utilizza gli apparati di realizzazione più complessi, esprimendo un’idea di cinema come percorso artigianale tecnologico, impiegato nell’invenzione di forme cinetiche nuove. Realizzò esperimenti manipolando strati diversi di cera, collegando le immagini con disegni di strutture astratte e di altre forme geometriche. La combinazione di forme eterogenee punta alla realizzazione di una nuova spettacolarità. DADAISMO: esperienza cinematografica rappresentata da un’insofferenza crescente verso i modelli rappresentativi tradizionali. Caratterizzata da uno spirito dissacratorio e contestatore, è uno dei movimenti più radicali nel panorama artistico e culturale del primo ‘900. Gli esponenti del movimento definiscono <<dada>> uno stato d'animo, una condizione dello spirito prima che un modo di fare, in risposta allo smarrimento e alla perdita di senso provocati dalla Prima guerra mondiale. Lo spirito di rivolta sceglie lo scandalo come strumento privilegiato di espressione, ma il carattere dominante è l’effettiva impossibilità di definire in positivo le sue linee guida orientate alla rottura di ogni schema razionale e di ogni rassicurante certezza, allo smantellamento dei valori stabili che formano una mentalità acritica e definiscono le aspettative del pubblico borghese. Per i dadaisti il cinema pare costituire l'unico mezzo per l’intrinseca dialetticità del suo linguaggio e per il suo rapporto con gli spettatori. Legati all'area dada sono due film come Le retour à la raison (1923) di Man Ray e Entr’acte di Clair. Nel film di Ray, appaiono riprese in esterno, immagini della modella nuda, readis made variamente ripresi, rayographs, ma anche puntine da disegno, sale e pepe disseminati casualmente sulla pellicola: il risultato è un insieme di materiali, caratterizzato dal caos e dal rifiuto della forma. I film successivi di Ray seguono il passaggio al surrealismo del gruppo che aveva dato vita al Dada parigino. Il film di Clair è uno spazio in cui viene visualizzato un modello di scrittura fondato sul sull’eterogeneità e la discontinuità, sull’arbitrario e il no sense, che si avvale di gag molteplici caratterizzate dalla dimensione del gioco, finalizzate all’intrattenimento. SURREALISMO: Attingendo alla realtà dell'inconscio e liberando il desiderio attraverso l'immaginazione e il sogno, i surrealisti si propongono di dare voce al sepolto e represso, in modo che all'uomo, umiliato e inibito dalle convenzioni, venga restituita la sua libertà. L'arte è considerata uno strumento di rinnovamento dell’uomo, della società e della politica, e la conquista della libertà sociale viene identificata nella realizzazione del progetto rivoluzionario contenuto nel pensiero di Karl Marx. Per i surrealisti, l'artista non deve imitare la realtà, ma ascoltare la parola interiore. Gli oggetti distolti dal loro uso consueto e associati tra loro, rivelano un inedito potere evocativo, sprigionando una serie ininterrotta di sollecitazioni latenti. La visionarietà della pittura surrealista si ripercuote presto sul cinema, mosso oltre che dal disprezzo per una tradizione estetica ortodossa, da un gusto per le associazioni libere e imprevedibili che cerca di tradurre in immagini il linguaggio incoerente dei sogni senza interferenze della parte conscia, costruendo storie anomale, dalla narrazione nient’affatto lineare e sessualmente più che allusive. Contributo cruciale è quello di Luis Bunuel, che domina uno stile che rifiuta alcuni procedimenti tipicamente avanguardistici (flou, sovrimpressioni, filtri, ralenti, accelerazioni), preferendo lavorare sul montaggio come espediente per creare nessi visivo simbolici aperti all'interpretazione. I due film surrealisti più noti sono Un chien andalou (1929) e L’age d’or (1930). I film costituiscono un’avventura complessa nell’inconscio e si avvalgono di immagini di natura differente in cui l'orizzonte dei fantasmi, i sogni e le allucinazioni si intrecciano con le immagini fenomeniche. Nel primo film, prevale la dimensione fantastica e le ossessioni psichiche dominano la scena. Mentre nel secondo, le immagini e le situazioni di tipo diverso si mescolano in un tessuto audio visivo caratterizzato da una grande eterogeneità di strutture e di componenti. Un chien andalou è un film dedicato al difficile e contraddittorio processo di costituzione dell'identità sessuale del giovane protagonista, attraverso le avventure discontinue del desiderio e di differenti forme di regressione. L'age d'or intreccia dinamiche dell’eros e della violenza all'interno di sei episodi diversi. In entrambi i film, le ossessioni del desiderio si manifestano e si incrinano mostrando ora la forza e ora la fragilità, all’interno di figure di oggettivazione dell’inconscio di indubbia intensità. CINEMA TEDESCO -> affermazione cinematografica grazie ad un’industria articolata ed efficiente. Si avvale di un’organizzazione funzionale della produzione, della distribuzione e della presenza di un circuito di sale particolarmente ampio ANNI ’10: nascita numerose sale di produzione ↓ ANNI ’20: tendenze di fusione di diverse società. Momento di maggiore rilevanza la costituzione dell’UFA (UNIVERSUM FILM AG). La più grande casa di produzione e distribuzione, strutturata sui principi dell’integrazione verticale nordamericana, con lo scopo di contendersi il primato sul mercato internazionale con gli studios di hollywood: produzione tedesca è seconda per dimensioni, innovazioni tecniche e importanza dei film. ESPRESSIONISMO: indirizzo cinematografico che si configura come svolta dell’industria cinematografica tedesca. Esso è sintesi tra immaginario e stile, tramite la valorizzazione della messa in scena realizza forme espressive di particolare intensità. È segnato in particolar modo dalla ricerca sulla configurazione dell’immagine, sullo spazio e sulla scenografia. Il profilmico viene rielaborato in modo artificiale per affermare incisività e forza espressiva. Le caratteristiche prevalenti sono: scenografie con contorni alterati, irregolari, segnati da una deformazione esplicita e tendenzialmente irrealistica; uso ricorrente di prospettive alterate; costumi conformi agli spazi e ai personaggi; la tensione, la spinta utopica, l’angoscia, il dolore, l’ossessione dei personaggi diventano configurazioni oggettive ed espressive grazie al lavoro di regia; la recitazione rende più forti i gesti, più sottolineati i movimenti, più marcata la mimica che si avvale di un trucco particolarmente elaborato. Essenziale è il lavoro sull’illuminazione, il visibile viene scomposto attraverso l’uso intenzionale di una forte luce contrastata, mediante la contrapposizione di luci e ombre, di settori di luce ricavati all’interno di spazi bui. Questa contrapposizione luce-ombra si carica di implicazioni simboliche, diventa la visualizzazione della contrapposizione tra bene e male. Il montaggio non è mai troppo rapido, in quanto deve permettere allo spettatore di vedere pienamente l’immagine. I montaggi alternati, i raccordi effettuati con progressiva abilità segnano un passaggio verso la pienezza della messa in scena. È un cinema metaforico-intensivo che valorizza il piano e i suoi elementi figurativi, la ricchezza delle componenti visive, informative ed emozionali della scena. I personaggi del cinema espressionista tendono disperatamente verso un obiettivo utopico, o violano le leggi e le regole del vivere in nome di un ideale o ossessione da cui non possono liberarsi, mescolano istanze di ribellione con esperienze di angoscia e frustrazione. Messa in scena della debolezza e della fragilità del soggetto e il suo delirio di potenza, le sue incertezze e le identità ambigue e moltiplicate. Un immaginario che propone i doppi dell’umano, vampiri, mutanti, cloni, sonnambuli che si intrecciano con le figure del genere fantastico. WIENE L’affermazione del cinema espressionista è correlata al successo di Il gabinetto del Dottor Caligari (1920) di Robert Wiene. La pellicola è realizzata in un teatro di posa e con fondali dipinti in assenza di prospettiva. La scenografia, ad opera di pittori e scenografi espressionisti: Herman Warm, Walter Reimann e Walter Rorhig, artefici di una stilizzazione antinaturalistica ed antigeometrica caratterizzata da improvvisi tracciati diagonali o distorti. Le inquadrature insistono su una materialità non figurativa che prende forma in sovraimpressioni, angolature insolite, flou, mascherini ed altre tecniche di montaggio significative. Le immagini sono l’espressione di una visione angosciata e alterata del reale e presentano un mondo ridotto a uno spazio allucinato, a ossessione interiore. Rappresentazione della difficoltà a percepire la verità e della varietà di punti di vita soggettivi, il film si propone come una delle prime esperienze legate alle problematiche filosofiche contemporanee. Da questo film, inoltre, proviene il termine <<Caligarismo>> per indicare il cinema grafico, la tendenza alla rappresentazione in stile espressionista di un mondo fantastico immerso in una allucinante atmosfera d’orrore e d’angoscia. MURNAU Una diversa concezione dell’immagine e differente uso delle scenografie e degli spazi caratterizzano Nosferatu il vampiro (1922) di Murnau. Murnau fu il primo a portare sullo schermo cinematografico la leggenda di Dracula e lo fece con un occhio di riguardo sul proprio tempo, inaugurando di fatto quel filone che di lì a poco portò sul grande schermo una lunga serie di mostri, creature demoniache e tiranni sanguinosi. Dovette modificare il titolo, i nomi dei personaggi (il Conte Dracula diventa il Conte Orlok, interpretato da Max Schreck) e i luoghi (da Londra a Wisborg) per problemi legati ai diritti legali dell'opera. Murnau è sicuramente una delle figure più significative del cinema tedesco e non solo, in quanto si presenta come un autore che sa affermare con maturità e con rigore il ruolo del regista come coordinatore di tutte le attività connesse alla realizzazione dell'immagine. Si avvale di collaboratori di alto livello con cui discute di tutti i passaggi relativi alla realizzazione, ricorre a disegni analitici non solo per le scenografie ma anche per le stesse inquadrature, utilizzando in alcuni passaggi una sorta di story board. L'attenzione ad ogni elemento della messa in scena è finalizzata alla realizzazione di una forma visiva dinamica segnata dall’impronta di stile personale. Per Murnau il cinema è una pittura dinamica, in cui ogni elemento è elaborato sul modello iconico. Lo spazio e l'inquadratura hanno una prevalente forma pittorica e sono organizzati attraverso una integrazione atmosferico-tonale delle architetture, dei personaggi e degli oggetti. Tutti gli elementi visivi sono immersi in un’atmosfera cromatica segnata da un lento progressivo chiaroscuro. L'attenzione allo spazio e l'immagine è poi sostenuta dall’uso del montaggio funzionale allo sviluppo della visione, dilatandola per permettere una percezione prolungata dell'inquadratura. Murnau costruisce una rappresentazione intensiva del mondo del vampiro, attraverso procedure differenti di messa in scena. Se la strutturazione del profilmico tendeva a evidenzire gli aspetti grotteschi e irreali al fine di costruire uno specchio delle angosce interne all'uomo, Murnau disubbidisce a tal punto a tali regole da arrivare a proporre in maniera ricorrente vedute realistiche en plein air. Un maggiore realismo contraddistingue l'opera rispetto, ad esempio, a "Il gabinetto del dottor Caligari". Murnau evita la deformazione accentuata delle scenografie a dispetto dei precetti espressionisti. Per quanto reali, le scelte riguardanti la location cadono pur sempre su scenari inquietanti e cupi i quali, seppur non in maniera estremizzata, concorrono sicuramente a ricreare nell'immagine lo stato d'animo dei protagonisti. come il “Nuovo Realismo”, la Nuova oggettività lavora nella direzione di fare del dramma individuale una sineddoche della più universale condizione umana, viziata da un'apatica e rassegnata disillusione, così come dal grigiore dell'esistenza metropolitana. Vi è un nuovo interesse per la realtà circostante e per il mondo contemporaneo, ma che non costituiscono un appiattimento della messa in scena sulla mera riproduzione dell’oggettivo. I drammi scelgono il mondo difficile della vita popolare, segnato dalla miseria e dal dolore, e delineano un universo di sofferenza di negatività in cui i soggetti sociali deboli vengono schiacciati. La rappresentazione della loro esistenza è realizzata con un'articolazione di elementi della messa in scena, che valorizza le angosce, i contrasti, le sopraffazioni dei soggetti, con una varietà di soluzioni visivo-dinamiche e scenografiche. CINEMA FRANCESE-> Tra gli anni '10 e '20 il sistema produttivo francese costretto a vivere un rallentamento in seguito all’esplosione del conflitto mondiale. Le due case di produzione cioè la Gaumont e la Pathè riducono il loro orizzonte di attività ai settori meno rischiosi della distribuzione e dell’esercizio. La produzione è assicurata da medie e piccole case che lavorano con budget e programmi consistenti o addirittura limitati. Lo sviluppo di associazioni di amici del cinema e dei cineclub fanno della Francia un luogo di forte affermazione del cinema come evento culturale. Questi contribuiscono a creare un'attenzione verso il cinema come arte e a stabilire un legame forte tra il mondo intellettuale e la settima arte. IMPRESSIONISMO: Essenziale è la ricerca del cinema d’autore francese, definito <<impressionismo>>, <<avanguardia narrativa>>, o première vague, legata al clima di riflessione su l'artisticità del cinema e che ispira e indirizza la discussione teorica. Seppure il termine tenda a definire un'area di sperimentazione differente rispetto alla produzione precedente, tuttavia appare ancora legato a un impianto narrativo votato all’illusione di realtà. Una nuova generazione di registi cerca di esplorare l'orizzonte del cinema senza volerlo smantellare, mira a recuperarne le possibilità ancora inespresse, insistendo sulla fascinazione per l'immagine cinematografica in quanto introduzione capace, da un lato di attribuire alla produzione della realtà una sorta di maggiorazione estetica e dall'altro di indicare un varco di accesso per giungere a una più profonda indagine intimistica. La poetica impressionista individua uno spirito unitario tra percorsi differenti nell’inclinazione a far coincidere la condizione spettatoriale con un'esperienza emotiva. Per lo spettatore questa dimensione deve essere il risultato di un allusione o di una vocazione più che di una chiarezza espositiva , un intento che giustifica l'impiego di caratteri formali volti a suggerire un’esplorazione della soggettività dei personaggi che lavora nella direzione di colpire empaticamente lo spettatore: la soggettiva (Inquadratura filmato dal punto di vista del personaggio, dove il pubblico guarda attraverso i suoi occhi); la sovrimpressione; il flashback (è una scena che sul piano della storia viene prima, mentre sul piano del discorso viene dopo); l’uso di location en plain air; effetti ottici, filtri e sfocature; accelerazioni progressive nel montaggio di brevi inquadrature o alterazioni temporali; sperimentazioni sul supporto tecnico come il Polyvison (sistema costituito da tre cineprese che proiettavano su tre schermi tradizionali utilizzato sia per ampliare il campo visivo di certe scene che risultavano quindi tre volte più grandi di quelle ordinarie, sia per presentare contemporaneamente sui tre schermi tre distinte sequenze a mo' di trittico). Il cinema è considerato come un’arte che dialoga con le altre alti e trova nella pittura e nella musica due modelli possibili. Il cinema, come la musica, è considerato arte nel tempo. Il ritmo è il risultato di una sintesi tra il dinamismo interno dell'inquadratura e la successione delle inquadrature. L'obiettivo estetico del cinema è la capacità di combinare il ritmo sentimentale dell'azione e il ritmo matematico del numero delle immagini. I tre fattori del ritmo nel cinema sono: la durata di ogni visione, l’alternanza delle scene o i motivi dell'azione, il movimento degli oggetti registrato dall’obiettivo. Questa ricerca del ritmo visivo implica un ruolo importante al montaggio, che è investito dalla funzione di creare e garantire l'effetto dinamico nel tempo. È quindi sviluppato in funzione del movimento, ed è realizzato con un’attenzione particolare alle relazioni metriche. Gli autori dell'Impressionismo lavorano su progetti di cinema caratterizzati da una dicotomia interna. Da un lato, soggetti e strutture narrative spesso tratti da romanzi e racconti di gusto ottocentesco, tradizionale e post-romantico, che assicurano lo schema narrativo e il rapporto comunicativo con il pubblico. Sono soggetti legati a drammi personali, all’insoddisfazione soggettiva e all’impossibilità di realizzare i propri desideri, a causa delle costrizioni sociali o delle limitazioni imposte dal moralismo. CINEMA SOVIETICO-> Nei primi anni '20 la parola d'ordine è l’Ottobre delle arti, ossia la realizzazione nel campo del lavoro intellettuale e della produzione artistica di un processo omogeneo e correlato alla Rivoluzione d'Ottobre. Esso implica non solo una trasformazione radicale dell’arte, ma anche un cambiamento nella struttura del lavoro intellettuale e nella funzione dell'artista. Le posizioni più tradizionaliste annunciano un’arte banalmente realistica corretta nei contenuti ideologici, sulla scia di alcune dichiarazioni di Lenin. Gli artisti innovatori immaginano e realizzano esperienze innovative, che si collegano alle posizioni di rottura elaborate negli anni '10. Nell'Ottobre delle arti confluiscono da un lato le esperienze e le teorie del cubo-futurismo, il progetto di trasformazione della poesia e di avvento dell’immaginario della modernità; dall'altro le esperienze di teatro sperimentale; dall’altro ancora le teorie del Proletkult a cui è legato inizialmente Ejzenstejn, che ricercano nuove forme di produzione culturale spettacolare legate al proletariato; inoltre le teorie e la pratica dello costruttivismo per affermare l'idea di una produzione materiale-intellettuale capace di oggettivare le pratiche e il mondo della concretezza materiale tecnologica e della nuova ingegneria sociale. Infine, l'influenza intellettuale delle teorie formaliste che concepiscono l'opera come una struttura in cui tout se tient e considerano il linguaggio artistico come meccanismo che disautomatizza la percezione abituale. A questi elementi si somma poi il programma di realizzare un'arte e una letteratura di strada e di allargare l'attività della produzione intellettuale alle nuove classi emergenti, impegnate nel progetto rivoluzionario. La crescita del potere di Stalin riduce progressivamente l'autonomia della ricerca artistica e la formazione della RAPP (Associazione degli scrittori proletari), come organo di controllo e di direzione dell'attività culturale, si chiudono definitivamente gli ambiti di ricerca, per costringere tutta la produzione sovietica dentro i modelli costrittivi del realismo socialista. Le case di produzione legate allo stato o sostenute da gruppi comunisti tedeschi danno vita a un cinema di educazione e propaganda, ma anche un cinema di ricerca legato al programma dell'Ottobre delle arti. I registi sovietici innovatori hanno riconosciuto nell’attività di Lev Kulesov una funzione pioneristica e fondante di tutto il percorso del cinema sovietico. All'inizio degli anni '20 dirige la Scuola Statale di Cinematografia e compie alcuni esperimenti fondamentali sul montaggio cinematografico: combina il volto di uno dei grandi attori del cinema zarista, con tre inquadrature dal contenuto completamente differente, un piatto di minestra, una donna in una bara, una bambina che gioca, la stessa immagine del volto dell’attore sembra esprimere diversi sentimenti, cioè rispettivamente la fame, il dolore e la gioia. Dimostra dunque che la sensazione che un’inquadratura riesce a trasmettere è influenzata in maniera determinante dalle inquadrature con cui essa si accorda, poiché nella mente dello spettatore, l'accostamento di due immagini può dare vita a un processo di costruzione del senso più pregnante rispetto al contenuto di ogni singola immagine. EJZENSTEJN Ejzenstejn rappresenta il vertice del cinema sovietico e l'esperienza più complessa di affermazione della teoria del cinema e dell'arte rivoluzionaria. È il punto di confluenza e di trasformazione produttiva massima delle ricerche del nuovo teatro, della biomeccanica e dell’eccentrismo, della sperimentazione poetica del cubo-futurismo e delle analisi sul linguaggio, dell'impegno il rivoluzionario del Proletkult e del produttivismo. Per lui l’Ottobre del cinema implica una pratica formale ispirato al punto di vista della fabbrica e del proletariato e capace di cancellare la tradizione artistica borgese. L’arte è una pratica sociale determinata, un rapporto sociale capace di organizzare e veicolare stimoli, emozioni, idee e modi di pensare e di influenzare politicamente il pubblico. Ne Il montaggio delle attrazioni, ipotizza spettacoli costruiti su una combinazione per contrasto di attrazioni. L'idea di attrazione sottolinea la necessità di creare una comunicazione capace di colpire lo spettatore e di inserirlo in un processo dinamico di presa di coscienza che si connette alla nozione di estasi. In questa prospettiva è possibile inventare una scrittura- visiva dinamica e una comunicazione capaci di comunicare idee. Nell’ekstasis, il patos, l'emozione e le idee si intrecciano e si fondono per dar vita a un nuovo cinema e a un nuovo modo di percepire e di usare le immagini filmiche. Ejzenstejn attribuisce un'importanza fondamentale al montaggio. Esso è il momento essenziale della creazione filmica perché consente la trasformazione dinamica dei materiali in strutture comunicative ed espressive. La combinazione di due immagini garantisce la produzione di un senso ulteriore che non era presente nelle singole. L'accostamento non deve avvenire per omogeneità, ma per contrasto. Il montaggio trae origine dallo scontro di due pezzi, indipendenti l'uno dall'altro. Questi conflitti si sviluppano non solo tra le inquadrature, ma anche l'interno dei singoli piani, concepiti come strutture dinamiche che si inverano nello scontro con le altre strutture dinamiche. Il montaggio intellettuale è il vertice più alto delle possibilità del cinema secondo Ejzenstejn, ma successivamente individua altri tipi di montaggio, dal più semplice al più complesso: il montaggio metrico, ritmico, tonale, armonico e intellettuale. La pratica filmica negli anni '20 costituisce il fondamento sperimentale e pratico artistico su cui si sviluppano le riflessioni teoriche. Sciopero, la Corazzata Potemkin e Ottobre (1927) segnano lo sviluppo di un modo di fare cinema che dalla mescolanza di burlesque e attrazione violenta del primo va fino alla scrittura intellettuale dell’ultimo. Ottobre ripercorre la crisi politica del governo di Kerenski, il successivo successo dei bolscevichi, con l'assalto al palazzo d'inverno. Si costituisce come un’operazione di montaggio intellettuale basata sulla necessità di comunicare attraverso concetti astratti, integrando soluzioni simbolico-metaforiche in un impianto narrativo: la distruzione e poi la ricostruzione della statua dello zar, che sintetizzano concettualmente la caduta del regime zarista e poi il colpo di Stato del generale Kornilov ; il montaggio dialettico di Kerenskj che sale le scale senza fine in un delirio di onnipotenza; la combinazione delle inquadrature di Kerenskj con le immagini della statuetta di Napoleone o con un pavone meccanico; le inquadrature dell’oratore menscevico intrecciate con le immagini di un arpa o di una balalaika. Ma l’esempio più radicale di montaggio intellettuale è la sequenza degli idoli, in cui Ezenstejn mostra una serie di simboli religiosi, prima cristiani e poi pagani, con intenzione di comunicare l'idea di un imbarbarimento e di una degradazione della religione che diventa strumento ideologico nelle mani del generale Kornilov. VERTOV Vertov sviluppa una pratica sperimentale, coordinata da un importante attività polemologica (trattistica sull'arte della guerra, studio causa psicologica e sociale prodotto dei conflitti) e teorica. Esalta le potenzialità della macchina da presa e dello sguardo meccanico. Secondo lui, la struttura meccanica ha capacità produttive superiori a quelle dell'uomo e svolge una rilevante funzione compositiva. Vertov riprende il programma anti-artistico e anti-tradizionale del costruttivismo e attacca duramente il cinema narrativo e spettacolare. Vertov pensa e realizza un cinema non recitato, costituito da immagini- fatto e impegnato ad imporre il linguaggio degli eventi nella loro immediatezza. L’organizzazione del reale è un’attività pratico-progettuale di montaggio della realtà oggettiva e di strutturazione interpretativa dei fenomeni visibili. Il montaggio gioca un ruolo decisivo, è la totalità del processo di realizzazione del film, scandito in momenti e funzioni differenti. L'autore definisce il movimento tra le inquadrature al fine di trovare l’itinerario più razionale per gli occhi dello spettatore. L'uomo con la macchina da presa (1929) descrive la giornata di un operatore, mostrandolo dall'alba al tramonto, impegnato in attività e in contesti molto diversi. Montaggi rapidi e ritmici, sovraimpressioni, disumanizzate e deprivate di significato. Una poetica dell’isolamento individuale, in cui la rappresentazione dello spazio sempre eccessivo rispetto alle possibilità di controllarlo, si integra a una riflessione metalinguistica sul mezzo del cinematografo e della sua incidenza psicologica e sociologica dell'individuo. Questo consente a Keaton di sviluppare un discorso non superficiale sul senso di alterità dell'individuo nella società tecnologica. Gli anni del sonoro coincidono con il declino dell'autore, profondamente legato ai canoni espressivi del muto. THE CAMERAMAN The Cameraman (1928) viene considerato una summa della poetica keatoniana. Il film a partire dalle paradossali peripezie del cameraman, che dopo svariati tentativi viene assunto nell’industria del cinema solo dopo che una scimmia ha realizzato un reportage finalmente accettabile, riprende un personale discorso sul cinema da lui già avviato. Qui Keaton esaspera il linguaggio spaziale delle gag, mettendo in scena la disarmonia tra il personaggio e l'ambiente circostante, come nella sequenza dello stadio deserto, o come la folla iniziale che lo allontana dall' amata, o nelle gag del treppiede della cinepresa che urta continuamente contro i vetri degli uffici. Il personaggio si trova sempre fuori luogo, anche e soprattutto quando questo luogo è la produzione cinematografica. Il contrasto assoluto tra il soggetto e il mondo diviene significativo dalla logica produttiva del cinema, per cui viene rifiutato il materiale creativamente umano (come le inquadrature capovolte, sovraimpressioni) girato dall'operatore, e accettato invece quello girato dalla scimmia. Il discorso si complica se si osserva che le sequenze rifiutate sono riprese d'avanguardia, alla Vertov, mentre quelle della scimmia sembrano riprendere il piatto stile hollywoodiano. VON STROHEIM Erich Von Stroheim provenendo dall’entourage di Griffith, costruisce un universo cinematografico stilisticamente e tematicamente segnato da una poetica dell'eccesso, che contamina lo schema del melodramma con motivi decadenti di ascendenza europea. Da Griffith riprende la precisione nella caratterizzazione dei personaggi femminili, il ricorso ai dettagli e ai piani riavvicinati emblematici, il gusto di costruzioni narrative dove il montaggio conferisce ritmo. La formazione e la poetica rimandano alla cultura mitteleuropea fra 800 e 900, ma anche a reminiscenze pittoriche di derivazione espressionista. Spesso censurato dall’industria hollywoodiana, molti film come Greed, vennero rimaneggiati in fase di montaggio, dando luogo a versioni che si allontanano fortemente dai progetti iniziali, ma conservando tuttavia una violenza e una crudezza che appaiono inaudite. I film di Stroheim forniscono una rappresentazione della corruzione umana. Il livello stilistico esalta una rappresentazione della realtà che ne rivela la natura profonda. Tutti i mezzi usati, dalla ricostruzione ossessiva degli ambienti reali, all’esasperazione violenta dell'uso del primo piano o del dettaglio, la profondità di campo e la ripetizione delle situazioni, contribuiscono a uno stile che non riguarda mai un'idea meccanica del realismo, ma un’ossessione del mostrare al limite della tollerabilità. Greed (1924) descrive il contesto sociale, morale e psicologico della provincia americana, in una storia che funziona come metafora del passaggio dell'America dall'era della purezza e della natura a quella della corruzione dell'economia capitalistica. Nella rappresentazione estrema dell’avidità che corrompe e distrugge la coppia dei protagonisti e tutti i personaggi dei film, il film costituisce l'analisi più negativa della natura umana e dei suoi meccanismi di reazione all'ambiente. In un realismo spinto fino alla caricatura e alla deformazione grottesca, la natura bestiale e l'avidità umana diventano emblema di tutti i vizi e le perversioni, in una confusione e sovrapposizione reciproca. Il denaro, dipinto in oro sulla pellicola, è leitmotiv continuo del film, che diviene sostituto del sesso, del desiderio e dell’amore stesso. In Greed, il realismo e le continue metafore visive sono fusi in un tutt'uno. Alcune inquadrature sono puramente simboliche (come quella delle lunghe mani scheletrite sulle monete d'oro simbolo dell’avarizia di Trina o il primissimo piano del gatto che sta per attaccare gli uccellini, metafora di Marcus), altre contengono simboli (come la banana, simbolo di volgarità, mangiata da Mac al pranzo di matrimonio), altre ancora contengono allusioni costruite con le inquadrature: per esempio durante i litigi tra Mac e Trina si vede in una scena Trina che guarda dall'alto delle scale (in lontananza) Mac che scende (in primo piano), evidenziando l'odio e la divisione tra i due coniugi. Le sequenze puramente simboliche ritmano il racconto e frequenti sono i parallelismi fra uomini e animali. Von Stroheim usò la profondità di campo, a differenza dalla tendenza americana ad escluderla, sfruttando anche lo sfondo per costruire le sue profonde simbologie: lo sfondo infatti poteva arrivare a rappresentare il contrario di quello che si vede in avampiano (vicino cioè alla macchina da presa). Così se viene mostrata una scena lieta uno sfondo tetro e spettrale ne cambia la connotazione. Tipico è l'esempio del matrimonio dei protagonisti, dove si vede un funerale passare davanti alla finestra, un oscuro presagio della futura vita coniugale che genera angoscia fin dall'inizio. Non esistono buoni e cattivi, i personaggi sono tutti cattivi e gli eventi porteranno ciascuno a tirare fuori il lato peggiore di sé, verso la distruzione. Incredibilmente reali sono le scene dei litigi, con violenti primi piani dove esplode la collera dei protagonisti, costruiti con violenti campo-controcampo a 180°. Lo sguardo del regista è impietoso e mostra tutti i dettagli anche più crudi, ignorando le convenzioni di compiacimento verso lo spettatore. Il suo cinema infatti era indifferente alle necessità dello spettacolo, sia come durata, sia come tematiche e metodi di rappresentazione affrontati. FLAHERTY La storia del documentario, inteso come forma espressiva matura e consapevole, inizia con Nanook l'eschimese (1922), il primo film di Robert Flaherty, un esploratore che cominciò a utilizzare la cinepresa per documentare i propri viaggi e che poi divenne un cineasta. Il film segue la vita di un piccolo gruppo di inuit in perenne movimento nel deserto artico del Canada, in cerca di animali da cacciare. Al centro c'è il tema del conflitto tra uomo e natura. Quella di Nanook e dei suoi compagni è un’esistenza dura, segnata dalla minaccia della fame e della morte. Flaherty era affascinato dal mito rossiniano del buon selvaggio: in primo luogo il regista vuole documentare i costumi di popolazioni ai margini del mondo moderno. Per la rappresentazione romantica, è stato spesso accusato di ingenuità e di paternalismo, ma è indubbio che abbia iniziato uno dei filoni principali del documentario cioè il film etnografico. Caratterizzato da uno stile trasparente, il film non deve alterare il reale ma limitarsi a registrarlo. Infatti, opta per un montaggio invisibile, che cancellando le proprie tracce, cerca di dare l’impressione del flusso naturale degli eventi. Nanook l'eschimese è in linea col modello del cinema narrativo, tant'è che in diverse sequenze, ricorre al montaggio alternato: gli adulti che costruiscono l’igloo mentre i bambini giocano, gli uomini ti scuoiano la foca mentre i cani abbaiano. Ma in alcuni casi Flaherty ha fatto ricorso a una vera e propria messa in scena: l’igloo era troppo piccolo perché l'operatore potesse muoversi agevolmente e c’era poca luce, decisero allora di edificare un nuovo igloo, finito solo a metà, per girare le scene all’interno. Il metodo di Flaherty presuppone la scelta precisa di un protagonista, destinato a muoversi secondo un canovaccio, una scelta che possa consentire allo spettatore dell'epoca un più facile ingresso all’interno del film. Il cinema di Flaherty si pone agli antipodi rispetto alla tendenza del documentario degli anni '20, cioè la sinfonia metropolitana. CINEMA AMERICANO CLASSICO 1930-1960. EVOLUZIONE E DECLINO DELLO STUDIO SYSTEM. Gli anni della depressione equivalgono ad un momento fondamentale di espansione di tutti i settori dell'industria, compresa quella cinematografica che vede aumentare i propri ritmi produttivi e l’affluenza degli spettatori. La politica economica di sostegno all’industria su Hollywood ha un impatto fondamentale, confermando il sistema oligopolistico che rimarrà fino al 1948. L'industria dello spettacolo cinematografico, che affronta in una posizione leader la transizione al sonoro, riesce ad esportare e ad estendere i propri prodotti in tutto il mondo. Il cinema sonoro hollywoodiano tende a porsi come modello del cinema sia sul piano economico, sia su quello socioculturale. Tra 1930 e il 1945, la storia del cinema coincide con la storia del cinema hollywoodiano. Il suo primato si giustifica con la forza economica che li soggiace, ma anche con l'alto standard qualitativo. La figura del produttore acquista un’importanza determinante nel controllo assoluto di tutti gli aspetti della produzione, da quelli strettamente economici a quelli artistici, sulla base di attente strategie di marketing e di un attento studio dei gusti del pubblico. Si tratta di un’organizzazione aziendale che prevede una sorta di catena di montaggio di ruoli e compiti rigidamente definiti: dall’autore dello script, al regista, al divo, al tecnico delle luci ecc., ogni intervento viene controllato da precisi termini contrattuali e poi da una verifica della qualità propria di ogni produzione industriale. La creatività non è esclusa ma viene sfruttata, incanalata e controllata. Hollywood diviene meta di emigrazione intellettuale artistica, che costituisce un apporto straordinario di influenze e stimoli che va ad arricchire la produzione narrativa. La riproduzione tecnologica del suono e la sua sincronizzazione spingono lo spettacolo cinematografico verso una completa meccanizzazione e la conseguente standardizzazione, eliminando quel divario tra performance e testo tipica del cinema primitivo, spogliando il corpo del film di tutti gli elementi non riprodotti tecnicamente. La transizione del suono al sonoro negli Stati Uniti avviene già nel 1929, il suono contribuisce in modo essenziale al potenziamento della verosimiglianza e dell’illusione di realtà. Con la diffusione di uno standard tecnologico, gli Studios procedono ad attrezzare le sale cinematografiche. Nel 1932 la riconversione il sonoro può dirsi del tutto realizzata. Questa rivoluzione però suscita reazioni contraddittorie: per esempio Chaplin, inizialmente esprime in un clamoroso rifiuto, il dibattito poi si estende in ambito internazionale, coinvolgendo registi e studiosi di estetica. Ma nel giro di pochi anni si integra pienamente nei modi di produzione, offrendo nuove possibilità al linguaggio del cinema. Già nel corso degli anni '20, il cinema hollywoodiano è il prodotto di un'industria ben strutturata sul sistema oligopolistico, con concentrazione verticale che prevede il controllo dei film dalla fabbricazione alla circolazione. Lo studio system, all'inizio degli anni '30, è controllato oltre che dalla Paramount e dalla Metro Godwin Mayer, anche dalla Fox, dalla Warner e della neonata RKO che hanno rivestito un ruolo importante nella transizione del sonoro. Oltre alle majors, altre società le minors dominano il mercato: la Universal, la Columbia e la United Artists. Dividendosi il mercato con una strategia piuttosto precisa, le majors riempiono con i film di maggior impegno produttivo le sale più prestigiose, le minors si rivolgono alle sale secondarie e le società specializzate nella serie B coprono la seconda parte dei doppi spettacoli. Questa formula organizzativa dell'economia cinematografica è una perfetta pianificazione industriale, alla cui base sta la componente finanziaria legata alla partecipazione di grandi banche. Il sistema decisionale è assunto del tutto dallo studio e dal produttore: dalla scelta dei soggetti, agli attori, al budget, alla collocazione dei film nella serie A o B, fino al montaggio. La tipologia dei generi, dei divi, le caratteristiche scenografiche e figurative dei film vengono determinate dall’incrocio tra l'esigenza di massima azione dei profitti e la necessità di smerciare prodotti concorrenziali e capaci di raggiungere un pubblico vasto e indifferenziato. Il funzionamento dello studio system è standardizzato, i prodotti appaiono diversificati secondo lo specifico stile della casa di produzione, quello che viene definito come house style o studio look. Il logo dello studio sigilla il film con una firma, che orienta immediatamente le aspettative del pubblico rispetto al genere, la qualità, i divi. Gli stessi contratti a lungo termine legano i divi e quindi determinati tipi di personaggi e di generi ad un certo studio, così come la lunga permanenza di registi specializzati in un genere presso una manifattura, ne caratterizza la produzione. Ogni major controlla una determinata categoria di sale diversificate socialmente e geograficamente e quindi si rivolge ad un certo tipo di pubblico. Lo studio system rende uguali ragioni di ordine apparentemente diverso: budget, stili, generi, divi che risultano logiche intrecciate e co-necessarie. I generi cinematografici classici risultano legati ad esigenze di pianificazione industriale e di conseguente orientamento del consumo spettatoriale. Nel periodo classico il sistema si amplia, anche in relazione alle nuove possibilità offerte dal sonoro e al generale rafforzamento del sistema produttivo. Risultato diretto della nuova tecnologia è il musical, in stretta relazione con i palcoscenici di Broadway, il genere fissa le sue convenzioni strutturali negli anni 30, al punto di incrocio con la commedia. Tra generi già presenti nel periodo del muto, cui il cinema sonoro affida un potenziamento significativo troviamo l'horror. Gli anni '30 vedono anche il fiorire delle gangster movie, legato all’attualità del crimine organizzato cresciuto negli anni '20. Il modello narrativo è legato al motivo dell’ascesa e della caduta del gangster, in una sorta di rovesciamento tragico e deviato dal mito americano del self made man. In questi film, la violenza, il disagio distaccata di costumi e caratteristiche sociopsicologica dell'americano. Un raccontare, il cui ritmo è spesso veloce, grazie a un montaggio invisibile ma esatto, tanto nella colonna visiva che nei film sonori, nei rapporti con il dialogo, aggiungendo i risultati virtuosistici nella commedia. Uscito nel 1946, Il Grande Sonno vede come protagonista l’iconico detective privato Philip Marlowe. Il Dietro c’è un mistero cui venire a capo e Marlowe è un detective che preferisce l’azione alla deduzione logica di stampo positivista, che si sporca le mani e che soprattutto non ha la minima esitazione ad uccidere quando questa azione si rivela necessaria. Marlowe è il detective hard-boiled per antonomasia: è un investigatore privato, è un vero duro, lavora sempre solo, è il re dei cinici, è un gran bevitore e, cosa più importante, non c’è donna che sappia resistere al suo fascino e dalla quale lui non sia affascinato. La regia ritmata di Hawks, aiutata dalla fulminante raffica di dialoghi della sceneggiatura e unita alla sottile ironia onnipresente nel corso della pellicola, rende unica l’atmosfera di questo film che, oltre a rappresentare la vetta più alta dell’hard-boiled cinematografico classico, è anche la principale fonte di ispirazione per due dei più grandi classici del cinema neo-noir moderno. La trama ai limiti dell’incomprensibile è il pretesto ideale per costruire un’atmosfera indimenticabile in cui il Codice Hays viene sfidato quasi in ogni singolo minuto, tra la violenza implicita, la vicenda torbida e le continue allusioni sessuali tra Bogart e Bacall. Hawks in questo film dimostrò la sua qualità di regista "invisibile", cioè il suo stile è così formalmente perfetto da lasciar trasparire solo i personaggi e l'azione, dimenticandosi di guardare un film. Le inquadrature scorrono veloci una dopo l'altra, con passaggi sapientemente dosati tra vedute oggettive e soggettive; del tutto assenti i tempi morti e le battute inutili, mentre sono limitati all'essenziale i movimenti di macchina (che possono distrarre dall'azione) secondo un uso da manuale delle regole del cinema narrativo classico che volevano "lo spettatore al centro del mondo". ORSON WELLES Orson Welles firma con la RKO, che le conferisce un'autonomia quasi completa, dal soggetto in poi, quando lo studio system era dominato dai produttori. Welles fa il suo ingresso ad Hollywood, grazie ad una fama già consolidata di enfant prodige e genio rivoluzionario del linguaggio e del funzionamento dei media. Dopo vari progetti abortiti o rifiutati, con Quarto Potere, fin dalle prime indiscrezioni sulla sceneggiatura, si corse il rischio che ne venisse impedita l’uscita, innescando un clima e un’isteria collettiva. Alla sua uscita, il film risulterà un successo per la critica e per gli addetti ai lavori, ma clamoroso insuccesso del pubblico. Welles era una minaccia rivoluzionaria per Hollywood che riguardava la logica produttiva, narrativa e linguistica della Hollywood classica. Con Quarto Potere (1941) inaugurò un modo di narrare che eccedeva da tutti i punti di vista, da quello tematico dilatando la vicenda sul piano storico realistico, morale, psicologico e su quello drammaturgico, forzando e reinventando il linguaggio classico nella rappresentazione di una realtà che è stilisticamente prospettica, sfaccettata, contraddittoria come i suoi personaggi. La storia del cittadino Kane, raccontata a ritroso dalla morte attraverso interviste testimonianze di chi li fu vicino (in una serie di flashback retrospettivi), è una sorta di labirinto senza centro. Con il pretesto della ricerca del senso della misteriosa parola pronunciata in extremis <<rosebud>>, il film insegue un senso che resterà inafferrabile e sfuggente anche alla fine della detection, intrapresa da un giornalista desideroso di realizzare un buon cinegiornale sull'uomo famoso deceduto. Il film fornisce un’analisi precisa e spietata del mondo della stampa e del sistema dei media, attraverso una descrizione delle logiche e dei metodi giornalistici moderni. Se la vicenda personale di Kane riassume 50 anni di storia americana, il passaggio dalla storia alla Storia avviene anche attraverso una connotazione simbolica dei personaggi e degli accadimenti. La perdita dell’infanzia, allontanamento da casa del bimbo, corrispondono al passaggio dell'America dall'età pura e incontaminata, all'America di Wall Street. La madre di Foster Kane rappresenta l’emblema dell’etica puritana del sacrificio, il sacrificio di quell’America lontana e perduta, incarnato dall’affidamento del figlio a un tutore banchiere insieme alla fortuna ereditata da un cercatore d'oro. L'ossessione di potere politico, finanziario, sociale appare un’ossessione di tipo nevrotico legata ad una mancanza, una perdita o una fragilità intima e finisce con il risolversi nell’ossessione dell’infanzia. Invecchiamento risulta tragico nel film quanto la perdita dell’infanzia stessa. Infanzia e vecchiaia sono concepite come doppio l’uno dell'altra. Il doppio è uno dei motivi essenziali del film: a partire dalla stessa personalità di Kane, doppio nel suo intimo sia in senso sociopolitico, sia in senso morale (generoso e tiranno, onesto e prevaricatore) per giungere al sistema dei personaggi Kane e Leland e addirittura gli oggetti (le due slitte: rosebud e la slitta che Tatcher dà a Kane). Per giungere alla struttura narrativa del film il prologo e l'epilogo, il racconto della vita di Kane nel cinegiornale e racconto della sua vita attraverso le testimonianze, lo stile di scrittura come la ripresa in continuità, il piano sequenza, il realismo ma anche tutti gli effetti di montaggio possibili e l’astrazione. L'analisi dello stile riguarda due soluzioni di discorso privilegiate nella narrazione di Welles: il ricorso alla ripresa in profondità di campo cui si aggiunge spesso l'angolazione dal basso e la profondità laterale del grandangolo, con la messa in campo dei soffitti e al piano sequenza in antitesi al decoupage tradizionale, aprendo la strada al cinema moderno e alla moderna riflessione sul cinema. L'immagine in profondità e il piano sequenza permettono la costruzione, all’interno dell’immagine, di relazioni peculiari tra i diversi elementi diegetici e semantici della scena, tra il procedimento comporta una diversa fruizione e partecipazione da parte dello spettatore, questo non è guidato in modo univoco ma è libero di muoversi nei confronti di un montaggio, se pur organizzato, all’interno di un’immagine dilatata. La qualità di connotazione semantica, nei confronti del protagonista, di quelle inquadrature in cui la sua contraddizione viene figurativizzata dalla combinazione di angolazioni fortemente orientate dal basso verso l'alto, tese ad ingigantire il personaggio, e l’incombere dei soffitti che finiscono con il schiacciarlo, talvolta l'interno della deformazione prospettica del quadro in grandangolo. È in questo senso che la grandezza e la sconfitta della figura enigmatica intorno alla quale ruota il complesso intreccio del film sono iscritte nell’immagine. ALFRED HITCHCOCK Alfred Hitchcock può essere considerato un autore di straordinaria coerenza tematica e stilistica, ma anche di estrema riconoscibilità di un linguaggio innovatore dello stile classico. A differenza di Welles, la sua opera, il suo stile e la sua disponibilità a raccontare all’interno dei canoni di genere, riescono a raggiungere il grande pubblico non entrando mai in conflitto con l’industria. Già dai primi film realizzati in Inghilterra, Hitchcock inaugura un percorso incentrato sul genere giallo e sul motivo della suspense. Mette in scena un universo morale e psicologico, in cui le ossessioni si traducono in una precisa iconografia visiva, che la produzione hollywoodiana perfezionerà e approfondirà. Di film in film, il giallo di Hitchcock si configura come uno scenario onirico in cui il problema fondamentale dell'identità dell'individuo, tra conscio e inconscio, normalità e follia, si pone attraverso situazioni che assumono un valore simbolico nella rappresentazione e nella ricerca formale. Anche quando il genere si avvicina alla commedia, non è assente quell’atmosfera onirica, che consente di attuare letture più profonde e considerare il film come la tappa di un percorso di analisi della natura umana. Lo stile corrisponde ad una sperimentazione e innovazione costante, che lo conducono a una vistosa forzatura del linguaggio classico. Una ricerca che rivela una grande consapevolezza estetica, da parte di un regista a lungo considerato come il maestro del brivido. Lo dimostra chiaramente La finestra sul cortile, una sorta di riflessione sulla natura della fruizione e del dispositivo cinematografico. Ma grazie al tipico humour britannico e dell'understatement (sminuire la gravità di un fatto oltre i limiti della verosimiglianza), questo saggio sul cinema è anche un giallo godibile con deliziosi tocchi di commedia. La finestra sul cortile (1954) è uno dei grandi film sul cinema. Il regista propone una riflessione sullo statuto del cinema, sulla tecnica cinematografica e sulla relazione spettatoriale, senza che sia mai mostrato nulla effettivamente riconducibile all’universo del cinema. Jeff, interpretato da James Stewart, è un fotoreporter di successo momentaneamente bloccato in casa a causa di una frattura alla gamba. Il protagonista può guardare e interpretare ciò che vede, senza poter intervenire direttamente a influenzare lo svolgersi della vicenda. La situazione di Jeff rinvia chiaramente alla situazione dello spettatore cinematografico, definito un voyeur. Il regista usa obiettivi a focale lunga e spesso ricorre ad obiettivi a focale lunghissima anomali per offrire allo spettatore immagini simili a quelle che vede Jeff. Il protagonista, infatti, si serve spesso del binocolo e del teleobiettivo per osservare le vicende quotidiane dei suoi vicini di casa e in particolare per indagare sui comportamenti sospetti di Thorwald. Quest’ultimo sembra aver commesso l’omicidio della moglie. Tutto il film è articolato intorno a due linee narrative distinte: da un lato, la storia thriller che ruota intorno allo smascheramento dell’assassino, dall’altro lato assistiamo allo sviluppo di una storia sentimentale, quella che lega Jeff a Lisa, l’elegante Grace Kelly nel ruolo di una ragazza sofisticata e bellissima che non riesce a farsi breccia nel cuore del protagonista. Solo quando Lisa oltrepassa il cortile ed entra nella casa di Thorwald, esponendosi ad una situazione di pericolo, entra nel desiderio di Jeff. Tutte le inquadrature di Lisa nella casa dell’assassino sono alternate a contro campi di Jeff che osserva preoccupato. Hitchcock produce una situazione di suspense molto intensa. Quando Lisa è aggredita da Thorwald, lo spettatore si trova a identificarsi contemporaneamente con l’angoscia di Jeff e con quella di Lisa. Nel film prevalgono le soggettive del protagonista. La posizione voyeuristica di Jeff è messa in discussione esclusivamente nella scena in cui Thorwald rivolge il suo sguardo verso le finestre di fronte, accortosi della presenza di un soggetto esterno che lo osserva. Il narratore è senza dubbio la macchina da presa che, attraverso panoramiche e carrellate, segue lo sguardo del protagonista; assumendo il suo punto di vista e realizzando un perfetto esempio di focalizzazione interna estremamente funzionale allo sviluppo della trama. Questa corrispondenza, tra ciò che vede la camera e ciò che vede il protagonista, è interrotta da frequenti controcampi. Quest’ultimi funzionali per mostrare la reazione emotiva ed espressiva del protagonista con primi e primissimi piani o per aggiungere dettagli ai fatti. Il formato rettangolare delle finestre, visibili sulla facciata del palazzo di fronte casa di Jeff, evoca l’inquadratura. Nel caso, ad esempio, dell’appartamento di Thorwald, osservato tramite tre finestre, si può anche parlare dell’evocazione della funzione del montaggio, somma di più inquadrature. WALT DISNEY E IL CINEMA CLASSICO Gli anni '30 costituiscono il periodo di maggior sviluppo del disegno animato americano, in stretto collegamento con l'industria del fumetto, della letteratura infantile. In questo panorama, il caso Disney assume particolare significato. Disegnatore e autore di film di animazione, Walt Disney fonda una propria casa di produzione nel 1928, dando vita a fortunate serie che delineano un universo riconoscibile e caratteristico. Tra il 1928 il 1942 vengono prodotti più di 100 cortometraggi che hanno come protagonista Mickey Mouse, l'eroe Disneyano per eccellenza. Sono già presenti molte delle caratteristiche del disegno animato disneyano che si ritroveranno anche nei successivi lungometraggi: la cura dei particolari, un adattamento ai moduli stilistici di Hollywood, l'animazione della realtà oggettuale e l’antropomorfizzazione degli animali. Fantasia (1940) è uno dei più famosi lungometraggi della Disney. L’obiettivo era lanciare un’opera d’avanguardia capace di nobilitare il disegno animato e popolarizzare la musica classica. L'arte di Kandinskij influì sul "cinema astratto," corrente sperimentale sviluppata negli in Germania negli anni ’20 a opera di Hans Richter, Viking Eggeling, Walter Ruttmann e l’allievo di quest’ultimo, Oskar Fischinger, che lavorò alla sequenza "Toccata e fuga in Re minore" prima di abbandonare per divergenze artistiche con Walt Disney. Se da un lato Disney desiderasse un’opera avanguardista, dall’altro si preoccupava di offrire al pubblico un prodotto digeribile – a cominciare dai contenuti, confezionando una summa dei valori e della storia dell’occidente. 1945-1960. HOLLYWOOD DOPO LA SECONDA GUERRA MONDIALE: LA GUERRA FREDDA E IL TRAMONTO DELLO STUDIO SYSTEM JEAN RENOIR Renoir è l'autore più importante del cinema francese degli anni '30, debutta nel cinema muto ma si mette in luce solo con il sonoro. Subisce l'influenza della pittura e della letteratura del 19º secolo, integrando anche le avanguardie storiche. È un autore in bilico tra 800 e 900, tra cinema classico e cinema moderno. Il film che riassume meglio gli elementi portanti della sua produzione è la Regola del gioco che esce poco prima della guerra, ottenendo una scarsa accoglienza e il ritiro allo scoppio del conflitto. Verrà apprezzato solo a partire dagli anni '60, nelle sale d'essai frequentati dai giovani della nouvelle vague. La Regola del gioco (1939) è ambientata nel mondo dell’aristocrazia e dell’alta borghesia francese, la regola è il rispetto delle gerarchie sociali, tema al centro dell'opera. Mostra un quadro della classe dirigente pietoso, spesso letto come profezia nel disastro morale che si abbatte sulla Francia poco dopo. L’insuccesso iniziale si spiega con l’allontanamento dai canoni classici: i personaggi sono figure ambigue e contraddittorie che si uniscono tramite una rete di relazioni instabili, con alleanze continuamente capovolte. Il marchese ad esempio è un uomo debole e infantile che alla fine occulto l'omicidio di un ospite per non per non dare scandalo; sua moglie passa tra più amanti, senza prendere decisioni nette, l'amica l'amico Octave è un artista senza scopi. Parallelamente alle loro vite, score resistenza dei domestici sempre avvolta da meschinità e tradimento. Mancano figure portatrici di valori positivi, ma anche cattivi in senso canonico, sfuggendo alle tradizionali differenze di genere. Da un lato è una commedia fatta di scambi di persona, storie d'amore, l'altro è una tragedia si conclude con la morte di un personaggio. Si distingue dal cinema classico anche per l'uso della macchina da presa l'organizzazione dello spazio. In varie scene viene rigettato il decoupage, optando per il long take (es: la scena del pranzo dei servi, ha al centro una lunga inquadratura, in cui la cinecamera si muove orizzontalmente lungo il tavolo per seguire i diversi personaggi che prendono parola oppure che entrano ed escono dalla stanza). Inoltre, il cuoco cammina dal fondo al primo piano e si rivolge a un personaggio fuori campo. Re noir rifiuta il campo controcampo scegli una tecnica di ripresa che esalta la continuità temporale e la tridimensionalità spaziale anticipando di qualche anno l'uso della profondità di campo. In realtà nei film di Renoir non si può parlare di profondità di campo in senso stretto, perché nella regola del gioco gli elementi che si trovano al fondo dell’inquadratura, anche se hanno un ruolo importante, per lo più sono fuori fuoco. Re noir realizza una messa in scena in profondità alternativa al modello del decoupage hollywoodiano e inoltre sfrutta la quarta parete, ignorata dal cinema classico per non rompere l'illusione di realtà. Grazie alla composizione in profondità e alla ripresa continua, può emergere la complessità della rete di rapporti di odio amore che lega i personaggi, la quale si rispecchia anche nell’articolazione labirintica della villa. NEOREALISMO E L’AVVENTO DEL CINEMA MODERNO IN ITALIA Il neorealismo cinematografico italiano si è manifestato per una breve ed intensa stagione. Risulta difficile stabilire un preciso periodo. Il declinare del neorealismo nella sua sfumatura rosa e in una dimensione schiettamente popolare ha favorito la produzione di una serie di film che pur richiamando la precettistica neorealista, ha scelto però una strada meno pura spunto. L'inizio viene fatto coincidere con uscita di due articoli di barbaro nel 1943, dal titolo neorealismo e realismo e moralità. Il termine neorealismo ha un'origine letteraria, databile già a partire dalla fine degli anni '20, si tratta di una scrittura pienamente permeata dall’esperienza del reale, alle successive suggestioni psicoanalitiche, e ed è lontana dalle forme di perfezione linguistica, grazie all'utilizzo di una lingua contaminata con idiomi stranieri e linguaggi settoriali. Il neorealismo fu un periodo irripetibile in cui un buon numero di professionisti del mondo del cinema, accompagnati da una serie di intellettuali, si trova a discutere per riformulare l'identità del nostro cinema in un periodo in cui il nostro paese stava risollevandosi dalla guerra. È stato spesso paragonato ad un coro, non sempre in accordo tra loro ma comunque solidali nel portare avanti un modo nuovo di pensare e di fare cinema. L'essenziale poliedricità si manifesta a livello di teoria e di prassi filmica: da una parte l'elaborazione teorica della rivista cinema e dall'altra la riflessione proposta da Cesare Zavattini. Il realismo cinematografico proveniente dalla rivista era in grado di rielaborare gli assunti teorici dell’opera di Giovanni Verga e di convogliare le maggiori esperienze del realismo europeo, con attenzione alle problematiche sociali scaturite dalla lotta di classe. L'altra posizione teorica, rappresentata da Cesare Zavattini, sintetizza nella sua riflessione del pedinamento del reale: pedinare gli uomini con la macchina da presa, cioè seguire da vicino la realtà significa prospettare un cinema per nulla sceneggiato ma vincolato in maniera esistenziale al solo momento rivelatore e sacro della ripresa. Il cinema deve essere in grado di incontrare e diffondere le molteplici possibilità a spettacolari che la realtà porta naturalmente scritte in sé. Importante il suo sodalizio con Vittorio De Sica. La coppia rappresenta uno dei quattro possibili punti di vista che compongono lo sguardo neorealista. Ad essi si affiancano le figure di Roberto Rossellini, Luchino Visconti e Giuseppe De Santis. Quattro punti di vista distanti, quattro posizioni a volte in netta contrapposizione e conformazioni differenti: Rossellini arriva al neorealismo dopo aver fatto propaganda fascista, Visconti fa leva su una profonda conoscenza della letteratura e del teatro americano, delle arti figurative e della cultura europea del decadentismo, De Santis arriva da una militanza nella critica e dall’impegno nella resistenza, mentre De Sica può vantare una grande esperienza come attore. La coppia Zavattini- De Sica fa coincidere la loro marca di riconoscibilità nella definizione di un modo particolare di pensare la sotto la narrativa dei loro film. Da Sciuscià, a Ladri di biciclette, per arrivare fino a Umberto D, i loro film sono lavori che procedono verso una riduzione dell’intreccio narrativo, favorendo i tempi morti e valorizzando il gesto mimico della quotidianità, pedinando l'individuo nella sua semplicità con l'intento di scoprire in questa realtà infiniti universi di verità da rendere universalmente conoscibili. De Sica opta per fare aderire l'occhio dello spettatore con la cinepresa, per annullare la distanza introdotta dalla messa in scena. Vi è la volontà di ricercare una modalità di contatto diretto con il pubblico, rendendo trasparente la rappresentazione filmica. Si tratta di una sorta di missione collettiva, una volontà di ampliare la conoscenza perseguibile grazie all’incontro intimo con la realtà. I tratti comuni del neorealismo sono la vocazione antifascista, la diffusione di una nuova morale l'etica dell’estetica, ma anche la comune volontà di ampliare l'orizzonte del visibile cinematografico. Vengono usati soggetti e situazioni marginali nei cinema precedente, con personaggi e ambienti prima esclusi è una realtà estremamente quotidiana. Umberto D (1952) racconta la storia di anziano ex impiegato statale che deve arrangiarsi con pochi soldi. Oberato di debiti, riceve anche lo sfratto. Solo e senza famiglia è costretto a svendere inutilmente le poche cose che possiede. Alcuni timidi approcci con ex colleghi per chiedere denaro finiscono nell'indifferenza e nel fastidio malcelato. Pensa addirittura di chiedere l'elemosina, ma la sua dignità e l'orgoglio gli impediscono di fare pure questo. Umberto riceve un po' di solidarietà solo da una semplice servetta di nome Maria, ma anche lei ha le sue gatte da pelare, essendo incinta di un militare. In un mondo freddo, egoista e indifferente l'unico essere che gli dà affetto è un cagnolino di nome Flike. Sarà proprio Flike a salvare la vita a Umberto e a dare un senso alla sua esistenza. Anche se deboli e perdenti, Umberto e Maria diventano "eroi" grazie alla macchina da presa che ci fa entrare nel loro animo e ci fa vivere i loro sentimenti e le loro sofferenze; questo effetto è raggiunto in maniera semplice e diretta, mostrando i nudi fatti, anche nel loro banale svolgersi quotidiano. Ad esempio, l'occhio della cinepresa si sofferma sulla stanza di Umberto, sulla sua difficoltà a prendere sonno; ce lo mostra quindi impietosa mentre cerca di elemosinare davanti al colonnato del Pantheon ed al suo rientro, quando trova la stanza sventrata e le sue cose ammassate. Con l'incedere del film si infittiscono i primi piani. S'inquadra all'improvviso la faccia angosciata di Umberto come quando cerca di ritrovare Flike al canile, oppure la sua faccia segnata e scoraggiata quando ormai ha perso ogni speranza. Fa tutto la macchina da presa, dalla bocca del personaggio non esce alcuna parola che esprima ciò che sente dentro. IL CINEMA D’AUTORE EUROPEO DEGLI ANNI 50 E 60 Negli anni '50, il cinema europeo vive un momento di stasi, in cui la concorrenza del cinema hollywoodiano sembra difficilmente contenibile sia sul piano del mercato ma anche del quello sulla qualità. L'assenza di un movimento innovatore è in parte compensata dalla presenza di un ristretto gruppo di autori il cui il cinema si impone sugli schermi di tutto il mondo attraverso opere che danno vita a veri e propri casi culturali, in grado di imporsi nel mondo dei media e in quello dei costumi. Il fenomeno riuscirà a protrarsi e a identificarsi anche nel decennio successivo in un rapporto di scambi e reciproche contaminazioni che darà vita al cinema della modernità. Il cinema d'autore si sviluppa soprattutto in Francia, l’idea che il regista fosse il responsabile principali di diversi aspetti della lavorazione dei film dei suoi esiti finali, il regista viene considerato a tutti gli effetti motore con una propria poetica e stilistica. Nel corso degli anni '50 e '60, alcuni registi diversi paesi si impongono sul piano internazionale riuscendo a conquistare un attenzione nel mondo dei media se non loro sconosciuta autori come Bunuel, Fellini, Antonioni sono riconosciuti culturalmente punta gli elementi che tengono insieme questo gruppo di autori e opere sono: il lavoro del regista si estende a tutte le fasi della lavorazione del film , i film d'autore si caratterizzano per una complessità di contenuti, di non facile lettura che liberano il cinema da ogni residuo commerciale facendo del film come oggetto culturale; sul piano dello stile si caratterizza per una particolare originalità espressiva, non rinunciando alla dimensione narrativa ma muovendosi al di fuori degli ambiti di rappresentazione del cinema classico; si propone a un nuovo tipo di spettatore il quale non deve instaurare un rapporto passivo col film ma deve in qualche modo giocare un ruolo attivo per decifrarne la ricchezza semantica e la complessità culturale; il film d'autore è inserito in un opera complessiva, formata da altri film dello stesso autore, di cui ripropone forme contenuti che lo rendono riconoscibile e identificabile. LUIS BUNUEL In tutti i film di Bunuel fra il 1946 e il 1965, ritroviamo un gusto dissacratorio un’ironia e l'attacco esplicito ai valori dominanti della società borghese che segnano il suo cinema. L'ultimo periodo è segnato da maggiore compostezza formale, nonostante continui l'indifferenza alle norme dominanti dell’estetismo, è un cinema caratterizzato da una messa in scena semplice, con inquadrature relativamente lunghe e movimenti di macchina che seguono quelli dei personaggi. I film europei riaffiorano la sua matrice surrealista, lo spirito anarchico, il gusto iconoclasta, la violenza antiborghese anticattolica, i temi d'ordine psicoanalitico, Eros e thanatos, realtà e fantasia. Vengono privilegiati il ricorso a sequenze oniriche, i fatti e razionali, i misteri, gli sviluppi apparentemente casuali, le ripetizioni, le digressioni e gli incastri di episodi. Il Fascino discreto della borghesia (1972) è una commedia grottesca nel quale viene dipinto un ritratto dissoluto di una borghesia viziata, corrotta e soprattutto ipocrita. È un film dalla dimensione corale che porta alla dissoluzione del concetto di personaggio e all’ironica rappresentazione della classe borghese come realtà ridotta all’impotenza e con la nozione di libertà priva di ogni senso. Il mondo dei sogni e quello reale non vengono distinti visibilmente, ma sono filmati con modalità di rappresentazione ordinarie, senza ricorrere ad elementi tipici della rappresentazione del mondo onirico come sovraimpressioni, dissolvenze incrociate, immagini sfocate, effetti sonori. Bunuel fonde realtà e sogno in un'unica dimensione senza confini, un unico flusso che corrisponde alla messa in scena dell’inconscio. Lo spettatore non sempre capisce se ciò che vede appartiene alla prima o alla seconda dimensione, i segni sono spesso ambigui e parziali appunto nel film mette in scena un sogno che contiene un altro sogno, con il risveglio del personaggio e un ascolto struttura a scatole cinesi, che fanno confrontare lo spettatore con un mondo che lo deride e lo priva di ogni certezza. NOUVELLE VAGUE Nel 1959 vengono presentati al Festival di Cannes i 400 colpi di Truffaut Hiroshima Mon Amour di Resnais, da questa data viene fatta iniziare il nuovo corso del cinema francese degli anni '60. Il nuovo corso , battezzato come un novelle vague cioè nuova ondata , si sviluppa raccogliendo indicazioni precedenti, non stabilendo censure nette tra il primo e il dopò e innesta processo di ampliamento non riconducibili a singole Infanzia, memoria, desiderio come tensione verso l'altro si affermano come le leggi portanti del variegato mondo poetico di Truffaut. Il messaggio più evidente de I 400 colpi (1959) è il desiderio di marcare il baratro tra giovani e adulti, giovani e istituzioni, andando a rompere le regole del decoupage classico: un esempio è la scena del colloquio con la psicologa, dove le dissolvenze incrociate solitamente utilizzate per separare blocchi narrativi, separano la fine di una frase e un’altra; inoltre non viene mai inquadrata la psicologa la cui voce continuamente fuori campo a testimoniare la sua distanza. Un secondo esempio è il long take della corsa di Antoine verso il mare, un long take ambiguamente vuoto che dura diverso tempo, la macchina da presa finisce poi spostarsi dalla figura di Antoine, al paesaggio, per poi tornare su di lui in una spiaggia gigantesca che sembra quasi inghiottirlo. Nella narrazione classica, il raggiungimento dell’obiettivo predisposto rappresenta una sorta di cambio di direzione, mentre qui il ritrovamento del mare da parte di Antoine accentua di più il suo smarrimento, infatti la scena termina con uno sguardo in camera e un fermo immagine. IL NUOVO CINEMA DEGLI ANNI ’60 E ‘70 Con l'espressione nuovo cinema si tende ad indicare una serie di esperienze creative che si estendono su scala internazionale dalla fine degli anni '50 ai primi degli anni '60. Si tratta di esperienze eterogenea, difficilmente sintetizzabili in una nuova definizione univoca, ma accumunate dalla volontà di rinnovamento sul piano organizzativo, immaginario e narrativo. E un cinema che esprime l'esigenza di individuare nuove e diverse relazioni con gli oggetti e che cerca una rigenerazione della conoscenza e dell’immaginario. Il cambiamento investe gli apparati tecnici dell'organizzazione produttiva. Evoluzione tecnica accelera i tempi di ripresa e semplifica le procedure, incoraggiando lo sviluppo di un cinema più economico, meno vincolato dalle rigide leggi dello studio system. Vengono introdotte pellicole più sensibili. La minore quantità di luce necessaria riduce il numero e l'ingombro dei proiettori, consentendo alla macchina da presa una maggiore agilità e la possibilità di girare in interni poco illuminati. Le novità coinvolgono anche le tecniche di registrazione del suono: con apparecchiature sempre più leggeri e maneggevoli e con nuovi tipi di registratori magnetici diventa possibile registrare il suono in presa diretta anche grazie al microfono direzionale ricettivi. Si evita così l'uso delle pesanti e costose macchine da presa insonorizzate facilitando le riprese in esterni. Si modificano anche le logiche di composizione dell'inquadratura con nuove tecniche: si diffonde l'uso dello zoom, e si rende più facile l'impiego della macchina a mano in quanto le cineprese vengono alleggerite. La formazione internazionale del nuovo cinema e anche reso possibile dall'emergere di nuovo condizioni produttive: si moltiplicano le iniziative di produzione indipendente promossa spesso dagli stessi registi ho finanziato da produttori professionisti ma coraggiosi, si sviluppa un rapporto con le autorità statali. Nei paesi dell’est, invece il rapporto tra il nuovo cinema e le istituzioni è problematico, ma si deve riconoscere che le scuole di cinema statali svolgono un importante ruolo di formazione alternativa. L’affermarsi del nuovo cinema e quindi legato alla trasformazione delle condizioni produttive, ma anche dell’orizzonte sociale, della cultura e dell’immaginario. Al centro dell’immaginario un nuovo soggetto esistenziale, immerso nelle problematiche relative alle scelte di vita e alla costruzione del destino. È solitamente un personaggio giovane, impegnato ad inventare la propria vita al di là dei punti di riferimento e dei valori tradizionali. È un giovane che spesso rifiuta i valori della famiglia, le prospettive di carriera, le abitudini, il modo di pensare e le ipocrisie della società organizzata. Va controcorrente, rigetta le convenzioni, le regole le tradizioni spesso anche la religione. Le nuove soggettività sono radicate quindi nel negativo ed esprimono una critica della società contemporanea. Il nuovo soggetto è destinato all’opposizione contro il passato ed è quindi impegnato a inventare nuovi valori di vita. La prima opzione è l’autenticità: contro tutti i condizionamenti e le sovrastrutture, il nuovo soggetto ricerca e sceglie l’autenticità. Ma a volte questo non è qualcosa di immediato, ma il risultato di una ricerca e di una volontà soggettiva. Il soggetto che cerca la propria autenticità, tenta di scoprire la propria identità e i propri desideri. Solitamente scopre che la condizione di autenticità e la realizzazione della libertà, vista come componente essenziale dell’essere al mondo. Ma la libertà ha una tripla articolazione: da un lato è libertà condizionata dal contesto sociale, dall'altro è una libertà difficile che può infossare il soggetto; dall'altro è un'apertura esistenziale con possibilità di sperimentazione. Negli anni '60 il nuovo soggetto sviluppa in particolare un'esperienza di nomadismo, di fuga dalle contraddizioni e di ricerca dell’altrove, con un dislocamento continuo mentale, fisico e geografico. La volontà di rappresentare la vita e le problematiche, produce trasformazioni significative nella struttura narrativa e nel modo di mettere in scena il nuovo cinema. Intreccio drammatico risulta indebolito, i contenuti narrativi assumono articolazioni più aperte e sviluppi più sciolti. Le storie non presentano percorsi narrativi definiti, ma al contrario itinerari aperti, processi misti, in cui le reazioni psicologiche le impressioni contano più dei fatti. Anche la messa in scena è organizzata secondo criteri nuovi. Il regista è anche autore o coautore della sceneggiatura. Le regole tradizionali della ripresa e del montaggio sono superate in una prospettiva di più grande libertà creativa. Una scrittura moderna potenziata in modo particolare dalle inquadrature lunghe i piani sequenza, la mobilità della macchina da presa, il rifiuto del campo e controcampo, lo scavalcamento di campo. La messa in scena rifiuta non solo le regole tradizionali ma qualsiasi regola a favore di un’esperienza realizzativa secondo i propri criteri e la propria logica. Le esperienze della nouvelle vague francese, e di Godard in particolare, sono punto di riferimento per tutti Le riprese sono raramente organizzati in studio, ma vengono soprattutto in spazi naturali: l'autore non usa decoupage ma inventa nuovi percorsi di messa in scena, legati a nuove modalità della tecnica e della realizzazione. Usa attori giovani o addirittura non professionisti che coinvolge nella definizione dell'azione dei dialoghi. La mobilità della cinepresa definisce lo spazio filmico, costruisce in modi differenti la registrazione del visibile, afferma dinamicità dei personaggi e ambiguità nei loro comportamenti. CINEMA ITALIANO ANNI ’60 E ‘70 Negli anni '60 prende avvio il revival del cinema italiano, fatto di prodotti che rimettono sugli schermi vicende personaggi del fascismo, dell’antifascismo e della guerra, dall'altro lato una serie di antieroi con un vissuto all'insegna dell'arte di arrangiarsi che affollano la cosiddetta commedia all’italiana, il macro-genere di maggior successo che è transitata dagli anni '60 agli anni '70. I nuovi registi sembrano rompere con la generazione dei padri, con il lascito neorealistico, proclamandosi eredi e continuatori, anche se sottolineano la necessità del superamento. La politica degli esordi, all'inizio degli anni '60, che incentiva la presenza i giovani e giovanissimi cineasti, è il risultato di una scelta di alcuni produttori, più che un cambio generazionale. Molto più di un quarto di questi esordienti non andò oltre l'opera prima, mentre poco meno di un quarto non andò oltre il secondo titolo o al massimo il terzo. Una scarsa metà furono destinati ad essere attivi nel cinema degli anni 60 e 70. Per quanto riguarda i generi, a livello del mercato si assiste a curioso passaggio di testimone dove gli stessi confezionatori passano da un genere o un sotto genere all'altro , quasi dimostrare l'unità e la saldezza dell'offerta di profondità punta tra la fine degli anni '50 gli anni '60 , si succedono il filone dei pepla, un sottogenere di film storici in costume, che comprende sia film d'azione che fantastici ambientati in contesti biblici o nell'antica Grecia o nella civiltà romana. Accanto via il boom dei film sexy, fantasiosi reportage sulla vita notturna. Altri generi poco praticati sono il giallo, il fantastico, il fantascientifico e lo spionistico, che vengono seppelliti dal più diffuso spaghetti western. Questo è l'esempio più vasto e più duraturo di film di genere nella storia del cinema italiano insieme alla commedia l'italiano. Si presenta come un genere con rari esempi esteticamente alti e che sollecita un interesse sociologico con le sue costanti e varianti, e le due linee alternativamente prevalenti quell’amara e cinica della legge del più forte e quella opposta della violenza anarchica e ribellistica. Nella commedia all’italiana ci sono volte varianti di oltre 15 anni di commedia cinematografica. Molto diverse fra loro, per differenza autoriale o per diversità tematica, hanno in comune il rifiuto dell’indigenza presente nella commedia italiana delle stagioni del neorealismo rosa fino agli anni '50; la scelta di sfondi piccolo borghesi e borghesi abitati da simpatici e cialtroneschi antieroi, esperti nell’arte di arrangiarsi. Le commedie all'italiana, da un lato sono il più rilevante prodotto medio che si sia mai avuto nella storia della cinematografia nazionale, dall'altro appaiono come lo specchio deformante della società italiana del periodo, ovvero del passaggio da civiltà agraria società industriale. FELLINI Fellini è una delle figure più rappresentative del cinema d'autore europeo, il cui lavoro racchiude varie caratteristiche che si contraddistinguono negli anni '60. Caratteristica è l'impronta visiva: l'insieme dei suoi film e rimandi l'uno all'altro definiscono uno stile felliniano. La dolce vita (1960) è uno dei casi più rappresentativi del super spettacolo d'autore, perché apre un periodo di forte. Sperimentazione linguistica dell’autore, con enorme successo del pubblico. Il film viene definito sia come film affresco, che come film rotocalco; la prima espressione inquadra la capacità del film di rimandare al contesto socioculturale degli anni '60 e di anticipare le tendenze, inaugurando la stagione della dolce vita. Per affresco si definisce anche la ampiezza dei riferimenti, la lunghezza, l'impianto narrativo complesso, la struttura che fa procedere il film per episodi conclusivi anche se legate tra loro dagli stessi personaggi. Film rotocalco invece significa l'oscillazione tra la cronaca di alcuni avvenimenti la loro narrazione, Costruendo un racconto intorno a eventi divenuti fenomeni di costume, per esempio il bagno nella Fontana di Trevi di Anita Ekberg oppure il volo di un elicottero che trasporta la statua va di Cristo. Il film presenta figure tipicamente moderne che vogliono decodificare la loro crisi: il protagonista Marcello, giornalista mondano e scrittore fallito, ai rapporti con figure sconfitte o problematiche per esempio la ricca e annoiata Maddalena la fidanzata Emma e l'intellettuale Steiner. ANTONIONI Antonioni è il più moderno e, dopo un periodo neorealista, ha dato avvio al neorealismo dell'anima. La sua scrittura è elegantemente dinamica ma anche incline all’autoriflessività, con un'apertura ad una borghesia vista senza condanna come classe di vincitori che sta istituzionalizzando la propria discutibile moralità. È l’autore più libero ideologicamente autonomo culturalmente e creativo stilisticamente. Gli anni 60 sono all'insegna della continuità, non di rottura con gli anni '50. Tale continuità è soprattutto interiore, prima che estetica e poetico: la coerenza etico estetica del cinema antoniano da unità all'opera di questo maestro dello sguardo. Vi è il passaggio dallo sguardo critico sui sentimenti e sugli uomini, ad un cinema di critica dello sguardo, ovvero un cinema dove l'esperienza esistenziale narrata e l'esperienza dello sguardo che la narra sono l'oggetto del tema del racconto, l'enigma portato avanti dal film, la cui struttura conclusiva è sempre aperta. Basti pensare alla presenza assenza del morto, dapprima nelle fotografie di Thomas il protagonista di Blow up (1966), poi nel giardino dove il fotografo occorre per verificare ciò che è il suo sguardo gli ha rivelato dallo sguardo fotografico. Si pensi anche al finale del film in cui si sente il rumore di una pallina da tennis che in realtà non c'è e quel convulsivo dissolversi nel nulla del protagonista e della scena: il film sottolinea come per Antonioni il discorso sullo sguardo sia divenuto fondamentale. Il fotografo Thomas è un’evoluzione astratta della James Stuart della finestra sul cortile, in quanto la sua percezione soggettiva e in distinta da quella oggettiva della macchina da presa. Antonioni pone molta attenzione alle prospettive e alla profondità di campo, stressando il rapporto dimensionale uomo spazio. La narrazione per sottrazione quali negazione dei sentimenti, negazione dei personaggi, negazione del parlato, esclude ogni possibilità di verità. L’ingrandimento fotografico porta alla luce diversi livelli di realtà, ma più ingrandiamo più arriviamo al tutto che si volatilizza. Antonioni non si ferma solo al parallelo tra indagine investigativa e indagine conoscitiva del reale, ma aggiunge che le diverse forme d'arte provano a cogliere l’intangibile. Nella scena della pallina, che finisce fuori dal campo da tennis, a cui viene chiesto di raccoglierla: qui nasce il nodo fondamentale, rifiutarsi e l’interrompere del gioco assurdo oppure far parte della finzione accettando le regole. CINEMA AMERICANO ANNI ‘70
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