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Riassunti "Storia del teatro giapponese" (libri 1 e 2), Sintesi del corso di Lingue

Riassunti completi dei libri "Storia del teatro giapponese 1: dalle origini all'Ottocento" e "Storia del teatro giapponese 2: dall'Ottocento al Duemila", per l'esame di Storia del teatro del Giappone con il prof. Bonaventura Ruperti. Ho sottolineato in grassetto tutte le parole chiave e i concetti più importanti, spero possa essere un metodo utile anche per voi.

Tipologia: Sintesi del corso

2020/2021

In vendita dal 18/01/2021

shiinya
shiinya 🇮🇹

5

(1)

4 documenti

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Scarica Riassunti "Storia del teatro giapponese" (libri 1 e 2) e più Sintesi del corso in PDF di Lingue solo su Docsity! Libro 1 Dal rito allo spettacolo Miti, rito e spettacolo Le origini dello spettacolo risalgono probabilmente al mito della caverna descritto nel Kojiki, dove la dea Amanouzume danza per attirare l’attenzione di Amaterasu, finendo per intrattenere le divinità presenti. Da questo nascerebbero i riti kagura, forme di richiamo, accoglienza e intrattenimento per le divinità e la figura del wazaogi, l’attore che fa da tramite con il divino e che grazie a movimenti circolari e strumenti quali rami di sasaki o bambù, ventagli o bastoni, invita la divinità a posarsi su di essi. Prima prerogativa delle donne (miko) e poi degli uomini, questi riti uniscono canto e danza, gli elementi essenziali alla base delle arti dello spettacolo. Il corpo dell’attore diventa ricettacolo e strumento di comunicazione con il divino e i suoi movimenti si legano a quelli della cosmologia. Kagura: musica e danza divertimento degli dei I kagura sono forme performative che si eseguono in occasioni di festività, al fine di richiamare la divinità tramite una possessione o kamigakari per poi intrattenerla e infine pacificarne l’anima. Tramite il canto, la danza e la musica, vengono prima purificati la persona e il luogo dove la divinità discenderà, per poi essere accolta e intrattenuta fino alla sua ripartenza. Esistono due tipi di kagura, tutt’oggi riproposti in chiave moderna: i mikagura, canti e danze eseguiti durante cerimonie o occasioni ufficiali a corte o nei grandi santuari e i satokagura, riti delle varie regioni legati a grandi santuari in occasioni di riti stagionali o culti locali. Ad oggi si distinguono inoltre i miko kagura, le danze di sacerdotesse; i kagura di Izumo, danze che raccontano di miti e leggende; i kagura di Ise, danze con maschere primitive e i kagura con shishi o “danze dei leoni”, che hanno lo scopo di scacciare demoni e spiriti maligni, purificando il luogo. Senza distinzione, in ognuna di queste varianti vengono intonati degli inni o kagura uta, delle poesie per le divinità. Riti e festività della coltura del riso: tamai, taasobi, dengaku È però nei canti e nelle danze legate ai riti della coltura del riso che vanno riconosciute le prime forme autoctone di spettacolo. Questi riti prendono il nome di: o tamai o “danze delle risaie”: si tratta di danze che accompagnano le fasi del trapianto del riso tra maggio e giugno e che insieme ai canti religiosi taue uta e a musiche a percussione, chiedono alle divinità protezione per il raccolto; o taasobi o “divertimenti/intrattenimenti delle risaie”: riti propiziatori di inizio anno, durante i quali personaggi mascherati simulano con gesti semplici tutte le fasi della coltivazione, accompagnati da ritmi musicali essenziali; o dengaku o “musiche delle risaie”, accompagnamenti musicali che scandivano i riti del riso e che poi diventeranno degli spettacoli veri e propri, includendo al loro interno le musiche del trapianto (taue), il taasobi e le danze dengaku odori eseguite dai dengaku hōshi, artisti professionisti. Quest’ultime sono accompagnate da strumenti musicali e numeri di destrezza e si arricchiranno e svilupperanno sempre di più, dando vita al dengaku nō e alle furyū odori, eventi popolari di grande spettacolarizzazione che vedranno coinvolta anche la stessa aristocrazia. I canti che accompagnano le varie fasi hanno così sia la funzione di scandire i ritmi di lavoro, sia di favorire l’abbondanza del raccolto. Dal continente all’arcipelago, dai culti locali alla corte imperiale Forme di musica e spettacolo di ascendenza continentale L’ingresso del buddhismo: gigaku Parliamo ora di ascendenze continentali che influenzano le forme di spettacolo in Giappone. Il genere del gigaku viene introdotto dalla Corea intorno al VII secolo, probabilmente in seguito all’introduzione del Buddhismo. Si tratta infatti di una danza che si lega alle cerimonie e alle liturgie buddhiste, costituendone la parte musicale e celebrando l’importanza della nuova dottrina. Più precisamente, è una danza mascherata, preceduta da una processione e accompagnata da strumenti musicali quali lo yōko (“tamburo”), lo shōban (“gong”) e il flauto. I danzatori sono mascherati e indossano abiti di personaggi reali o immaginari. Come si svolgeva? Dopo un preludio detto netori, durante il quale venivano accordati gli strumenti, lo spettacolo iniziava con una sfilata di maschere chiamata gyōdō, introdotta da Chidō, personaggio simile ad un tengu con una maschera dal naso lungo. La parata veniva accompagnata dalla recitazione di sūtra e da strumenti musicali. Una volta raggiunto il luogo della rappresentazione, iniziava lo shishimai, la danza dei leoni, per purificare la scena, scacciare gli spiriti maligni e attirare energie positive battendo i piedi con vigore. A questo seguiva l’entrata in scena di vari personaggi (Goō, Kongō, Kaura, Gojo, Kuron, Rikishi, Baramon, Taiko e Suikō), con danze a ritmo sostenuto e scene mimate, scandite da dieci brani. Le danze contengono elementi comico-volgari, ma sono anche legate ad un valore religioso (es. viene condannata la sessualità violenta ed esaltata la rettitudine morale, così come la riverenza verso la religione buddhista). Il gigaku declina per lasciare il posto al bugaku, ma rimangono le famose maschere e gli strumenti musicali. La liturgia buddhista: shōmyō Giunge in Giappone anche lo shōmyō, un termine che indica la musica e i canti che accompagnavano la recitazione delle scritture sacre in occasione di cerimonie liturgiche buddhiste presso i grandi complessi templari. Sono canti prevalentemente eseguiti da monaci, spesso accompagnati dal gagaku e conservati tutt’oggi. legate a culti locali, poi assimilate dalla corte, sono tutte basate su musica vocale e su una struttura modulare. Alcune di queste sono: o Kagura, azuma asobi, ōnaobi no uta, yamato uta e yamato mai (cadenza annuale) o Kumeuta, kumemai, tauta, tamai, kishimai (cerimoniali incoronazione imperatore) o Ruika (esequie imperatore). Gli strumenti del gagaku si distinguono tra: fiato, corda e percussioni (flauto verticale, flauto travrso, gakubiwa, gakusō, wagon o cetra a più corde). Il complesso strumentale è più imponente nelle musiche di Cina e Corea, mentre si riduce nei saibara e nei rōei. La scelta della musica e delle tonalità appropriata alla stagione veniva basata sulle due scale musicali ritsu e ryō, a cui corrispondevano in epoca Heian sei tonalità o rokuchōshi. Secondo credenze antiche cinesi, a queste si legavano i due poli yin e yang e i cinque elementi. Lo sviluppo del teatro di rappresentazione Sarugaku (lett. “musica di scimmie”) Il sarugaku deriva dal sangaku (in cinese san yue), termine entrato in Giappone dal continente che designa l’insieme di tutte le rappresentazioni dell’universo dello spettacolo derivanti dalla Cina Tang nell’VIII secolo (epoca Nara). Sono arti popolari che comprendono canto, danza, recitazione e manifestazioni comico- umoristiche e che si discostano dalle arti “cortesi o raffinate” del gagaku. Esempi sono: camminate sui trampoli, giocolerie varie con diabolo e trottole, personaggi come nani, burattinai, ecc. Tutti hanno il compito di provocare il riso. Vengono eseguiti durante le festività di templi e santuari, durante le cerimonie di lotta (sumai no sechie) o nel kagura da artisti specializzati o hōshi, monaci. Alcuni titoli buffi richiamano trame comico-gustose. Dal creativo si passa al comico-umoristico nel periodo Heian, fino a che il sarugaku non prenderà due direzioni differenti durante il periodo Kamakura: il nō (dramma danzato e cantato) e il kyōgen (dialoghi umoristici) da una parte, ningyō jōruri (teatro dei burattini) e il kabuki dall’altra. Da un certo punto in avanti il sarugaku adotterà così connotazioni drammatiche (tratti del nō). Verranno a crearsi vere e proprie compagnie specializzate in queste arti, in particolare con lo scopo di eseguire danze okina. Jushi (“maestri degli incantesimi”) Il termine jushi indica sia degli individui maschili sia le arti performative di carattere sciamanico che sono alla base della danza okina. Durante gli incontri di capodanno (shushō e) e del secondo mese (shuni e), all’interno dei templi buddhisti venivano incaricati i jushi di occuparsi di pratiche esoteriche come gli incantesimi (shugon) per allontanare gli spiriti maligni. Era una sorta di esorcismo per il quale veniva delimitato uno spazio sacro tramite confini (kekkai), intonato uno shōmyō, eseguita una serie di movimenti circolari e venivano invocati buddha o bodhisattva. I maestri del sarugaku erano spesso coinvolti e si venne così a creare l’arte del jushi sarugaku. Gli esorcismi vengono svolti tutt’oggi. Okina Il già citato termine okina (lett. vecchio uomo) si riferisce ad una danza di tipo cerimoniale con valenza prima religiosa e poi profana ed eseguita in circostanze speciali, come il Capodanno o qualche inaugurazione. Più precisamente, può essere definito come uno spettacolo di danze a tre o shikisanban (cerimonia a tre turni): Senzai, il giovane uomo; Okina, l’uomo anziano mascherato di bianco; Sanbasō, l’uomo anziano con la maschera nera. Quest’ultimo è solitamente interpretato da un attore di kyōgen, mentre Okina da un attore del nō. La struttura segue l’entrata in scena del vecchio senza maschera, che pronuncia la formula esorcistica “Dōdō tarari” prima e dopo la promessa di prosperità; danza poi Senzai, augurando felicità e declamando il suono dell’acqua delle cascate; nel terzo dan, Okina, indossando la maschera del vecchio bianco e diventando divinità, augura pace e benessere all’impero e dopo la danza del “divertimento divino”, si toglie la maschera ed esce di scena; interviene così Sanbasō, prima senza (quarto dan) e poi con (quinto dan) la maschera, che danza e intrattiene un dialogo con colui che porta il baule delle maschere e che dopo essersi tolto la sua, esce anch’esso di scena. Lo spettacolo è quindi un rito magico offerto agli dei e rivolto agli uomini, il cui valore è di tipo propiziatorio. Prima della cerimonia infatti il luogo viene purificato e la danza è preceduta da un periodo di astinenza. Inoltre, le maschere vengono indossate esclusivamente in scena dopo essere state portate in un baule chiuso, a significare che è sul palco che gli attori diventano quasi delle divinità, unendo il ritmo del corpo a quello dell’universo. Ennen Alla fine di cerimonie o funzioni buddhiste, durante l’epoca Heian e l’epoca Muromachi, venivano eseguite le ennen no mai (“danze della longevità”), incontri in cui si combinano varie arti e il cui scopo è quello di augurare eternità e benessere a tutti i partecipanti. Dopo i dialoghi a botta e risposta, si rappresentavano scene teatrali, con particolare attenzione alla storia originale. Successivamente, appariranno anche figure mascherate o hashirimono. Fūryū All’interno dell’ennen, così come del kyōgen o di altri riti e cerimonie, è possibile ritrovare l’influenza estetica del fūryū, termine che indica l’eleganza e la bellezza ornata. Questo tipo di estetica si lega agli altri abbigliamenti sfarzosi impiegati durante le cerimonie di esorcismo e purificazione in epoca Heian, momenti in cui si festeggiava per la città, cercando di intrattenere le divinità affinché non provocassero epidemie o disastri. Ad oggi, in alcune manifestazioni folkloristiche, in cui si canta e si danza, i partecipanti portano a loro volta vestiti sgargianti. Il nō Definizione e genesi Dall’insieme delle arti del sarugaku nasce il genere del nō. Inizialmente conosciuto come sarugaku no nō, viene successivamente denominato nōgaku a comprendere anche il genere del kyōgen, l’altra faccia della medaglia più comica e realistica. Il nō nasce principalmente grazie a due figure di artisti molto note, Kan’ami e il figlio Zeami, che esibitosi davanti allo shōgun Ashikaga Yoshimitsu, inaugurano la nuova forma d’arte, frutto di elementi innovativi combinati fra di loro. Origini e sviluppo storico Sia i riti dei jushi che la danza okina vengono via via affidati a maestri del sarugaku, che nel periodo Kamakura si riuniranno in compagnie (za): Yamato (con Kan’ami e Zeami), Konparu, Kongō, Hōshō e Kanze. Queste si esibivano durante festività e sagre stagionali ed erano al servizio dei grandi complessi templari di Nara (come il Kōfukuji e l’Hōryūji). Anche il dengaku vede esibizioni nella capitale, con moltissimi danzatori che si esibiscono lungo le strade della città. Questo genere farà concorrenza al nō. Dopo la morte del padre, Zeami prenderà le redini del nuovo progetto, perfezionando il teatro nō e scrivendo una serie di importantissimi trattati sull’idea di teatro e sulla pratica dell’attore. I trattati di Zeami Zeami, artista poliedrico, riflette sull’arte del teatro in tutti i suoi aspetti e in modo particolare sulla figura dell’attore a contatto con il pubblico e quindi sull’incontro tra palcoscenico e platea. Scrive a riguardo circa una ventina di testi di tipo teorico, che vedono una maturazione delle idee dell’artista stesso, fino ad utilizzare termini estetici del pensiero zen in trattati più avanzati. Introduce il concetto di spazio e tempo, già presente nel gagaku e basa tutto sull’andamento del jo ha kyu. La poetica del fiore Uno dei concetti alla base dei trattati è l’immagine del fiore 花 (hana), simbolo al tempo stesso sia di bellezza che di fragilità. Il fiore è mutevole, fuggevole, poiché sboccia per poi sfiorire durante il corso delle stagioni. Ma questo non è un limite, suscita anzi fascino e interesse. Così esso diventa metafora per l’arte dell’attore, che non può rimanere immobile, ma deve mutare nel tempo al fine di far fiorire sempre una nuova emozione nel pubblico. Questo è il compito dell’attore: deve continuamente rinnovare se stesso per mantenere vivo l’interesse del pubblico, la cui sensibilità cambia con lo scorrere del tempo. Zeami distingue così due tipi di fiore: il jibun no hana, il “fiore del momento” che si lega alla giovinezza e all’attimo; il makoto no hana, il “fiore autentico” che permane nel tempo e non ne viene influenzato. L’estetica della grazia Altro concetto fondamentale è quello di yūgen, che si lega ad immagini profonde, recondite, quasi irraggiungibili. Zeami utilizza questo termine, spesso citato in poesia, per trasporlo sul palcoscenico ad indicare la grazia, la bellezza e l’eleganza del corpo dell’attore, che tramite gesti armonici interpreta i vari personaggi. Il pubblico ne rimane così ammaliato, affascinato ed è libero di poter coinvolgenti e concitate; lo scopo è quello di pacificare le anime. Es. Atsumori, Kiyotsune, Tadaori, Yorimasa, Yashima, Nonimya, Matsukaze. 3. Kazura nō (donne): protagoniste sono donne della letteratura passata, creature celesti o spiriti di piante e erbe sottoforma di spoglie femminili; sono presenti storie d’amore e grande rilievo hanno la grazia, il canto e la danza. Es. Izutsu, Yuya, Hagoromo, Hashitomi. 4. Yobanmemono (generali): comprendono una serie di generi differenti, dai drammi di follia (caratterizzati da dolore e disperazione) ai nō del presente e a quelli di sentimento. Es. Aoi no ue, Semimaru, Yoroboshi, Sumidagawa. 5. Kirinō (esseri di altri mondi): sono i drammi finali, caratterizzati da grande vivacità che hanno come protagonisti esseri di altri mondi come demoni, creature immaginarie o alieni. Es. Yamanba, Momijigari, Funa benkei. Questi sono aperti dalla danza okina e sono intervallati da drammi kyōgen. Il senso del ricreare Nel trattato Sandō, Zeami focalizza la propria attenzione innanzitutto sulla composizione del dramma e sul personaggio scelto che deve essere consono ad una possibile trasposizione sul palcoscenico, così come la sua storia e le sue vicissitudini. Deve essere l’attore stesso a scrivere il testo drammatico, che non sarà qualcosa di nuovo o originale, ma piuttosto una rivisitazione di storie o eventi già conosciuti. Questo è importante affinché il pubblico percepisca familiarità e possa allo stesso tempo guardare il tutto con un nuovo punto di vista, più distaccato e più critico. Si viene così a creare un dramma “fuori dal tempo”. Musica La musica è un elemento fondamentale all’interno del teatro ed è quasi sempre combinata alla parola o ai gesti della danza; solamente nel kyōgen la musica è a volte del tutto assente, mentre ricopre un ruolo importantissimo in tutti gli altri generi. Musica nel nō Il testo del nō è formato da piccole unità dette shōdan che si susseguono e si legano alla voce (utai), agli strumenti (hayashi) e ai gesti (shosa), andando a formare delle combinazioni che danno vita ad “azioni”. Utaigoto è l’azione della recitazione; hayashigoto combina musica e gesti senza voce; maigoto, gesti di danza pura senza un significato; hatarakigoto, gesti di danza che hanno significato; shijimagoto, soli gesti senza accompagnamento vocale o strumentale. Tuttavia, la struttura del nō è basata su opposizioni, per cui troveremo un ordine prestabilito nella prima parte e più liberta nella seconda. Inoltre, la prima parte è solitamente più statica e caratterizzata dal racconto, mentre la seconda è più dinamica e caratterizzata dalla danza. La struttura musicale La struttura si focalizza in parte sulla componente vocale in parte su quella strumentale: all’interno della prima si possono avere sia sezioni accompagnate da melodia, sia sezioni in cui si dà più importanza al dialogo. La voce segue una particolare tecnica di emissione e deve essere modulata. Gli strumenti Gli strumenti hanno tre funzioni principali: accompagnano il canto e la recitazione; sottolineano l’entrata e l’uscita dei personaggi; scandiscono i movimenti della danza. Ogni strumento ha inoltre la sua funzione ed è importante che ognuno di essi venga valorizzato nella sua unicità, così da creare una rappresentazione armoniosa che combina la parola, gli strumenti e la danza. Le maschere La maschera è da sempre legata al concetto di trasformazione e di possessione. Dalle maschere vivaci e dai tratti esagerati del gigaku e del bugaku, si passa poi alle maschere del teatro nō che prendono il nome di nōmen o omote. Ad eccezione di personaggi vivi e di bambini, queste vengono sempre indossate, soprattutto quando si vuole evidenziare il ruolo di divinità o spirito; le maschere primordiali del vecchio (okina), ad esempio, sono talmente importanti da essere considerate oggetti sacri in quanto paragonati alla divinità stessa. Il kyōgen Il kyōgen: le “parole della follia” Il termine kyōgen ha tra le sue definizioni quelle di “parole della follia”, “arti dello spettacolo” e “linguaggio fuori dal comune”. È un genere che è ad oggi riconosciuto come patrimonio dell’umanità ed è tanto antico quanto quello del nō. Il nō e il kyōgen nascono infatti in forma congiunta: mentre il primo è più solenne e tragico, il secondo rappresenta un lato più realistico, quotidiano, comico e immediato. È un genere stilizzato, nitido, senza eccessi di parole, composto la maggior parte delle volte solamente da dialoghi. Pur avendo una propria indipendenza drammatica, rimane tuttavia legato al nō e se prima gli spettacoli erano una combinazione di entrambi i generi, ad oggi è possibile assistere a rappresentazioni di solo kyōgen. Genesi e sviluppo storico Il kyōgen emerge dall’insieme delle più varie arti dello spettacolo che risalgono al sangaku cinese, introdotto in Giappone in epoca Nara, che in epoca Heian assume il nome e i caratteri del sarugaku giapponese, arte dello spettacolo ormai diffusa in varie aree del paese. Da questo si faranno strada due percorsi paralleli, ma divergenti: un dramma danzato e cantato nel nō e un teatro di dialoghi dal tono umoristico nel kyōgen. A Kyōto si forma l’unica compagnia di soli maestri kyōgen e via via si formeranno le scuole Ōkura, Sagi e Izumi al servizio degli shōgun, che garantiscono loro una sicurezza economica: questo spingerà le scuole a canonizzarsi e ad organizzarsi sotto il sistema dei capiscuola (iemoto). All’inizio del periodo Tokugawa, avviene la codificazione e la trascrizione dei testi drammatici (prima solo orale). Si consolida il sistema di trasmissione ereditaria e viene così a definirsi un repertorio. Nel periodo Meiji e Taishō, a causa di una crisi, le dinastie dei capiscuola e delle famiglie di maggior prestigio si estinguono. Per cui, sia il nō che il kyōgen devono ricostruire il rapporto con il pubblico. La Scuola Sagi finisce definitivamente; oggi rimangono solo la Scuola Ōkura e la Scuola Izumi. Un teatro del riso e del gioco Importante è la distinzione tra il kyōgen vero e proprio, l’ai kyōgen e Sanbasō. Quest’ultima è la seconda parte della danza Okina inscenata dal vecchio con la maschera nera. L’ai kyōgen è l’intervallo tra la prima e la seconda parte del nō: dopo l’uscita dello shite, l’attore di kyōgen riprende la storia narrata o presenta una breve scena che si distacca dal racconto. Il kyōgen vero e proprio è invece una scena indipendente dal valore umoristico, il cui scopo è quello di generare le risa (warai) del pubblico. Il kyōgen si basa su dei canovacci dalle linee comuni, lasciati però ad improvvisazioni libere da parte degli attori, caratterizzate talvolta da oscenità che via via sono state limitate per raggiungere una sorta di umorismo contenuto e una poetica melanconica. I testi drammatici: dai canovacci alla scrittura Come già detto, all’inizio del periodo Tokugawa la trasmissione dei testi passa dall’orale allo scritto e di conseguenza nasce la necessità di codificare e strutturare maggiormente il repertorio del kyōgen. Alcuni scritti a riguardo sono il Wakikyōgen no rui, il Kyōgen rikugi, il Tenshō kyōgenbon, il Kyōgen ki (brani delle compagnie del tempo) e il Waranbegusa (brevi annotazioni). Palcoscenico e artisti Il palcoscenico solitamente è lo stesso del nō e i personaggi principali sono in numero ridotto: il principale (shite), la spalla (ado) a cui a volte si aggiunge un terzo personaggio; il tutto è sempre giocato sull’interazione tra coppie di personaggi contrapposti. A differenza del nō, non ci sono maschere se non per personaggi particolari; il tutto è lasciato all’immaginazione dello spettatore senza apparati scenici (viene usato solo qualche oggetto o attrezzo realistico, a volte solo il ventaglio) e anche i suoni e i rumori vengono prodotti direttamente dall’attore; inoltre, sono i gesti e le parole a ricoprire un ruolo centrale, in quanto la musica è quasi del tutto assente. Anche l’abbigliamento non è sfarzoso, ma rispecchia gli abiti semplici dei diversi strati sociali dell’epoca, con colori però di grande impatto. Lo svolgimento strutturale è quasi sempre uguale: entrata in scena dei personaggi (nanori), svolta con un giro (michiyuki), nucleo centrale con confronto dei due e uscita di scena con inseguimento. Il repertorio In base alla natura del brano e alle caratteristiche dello shite, il repertorio del kyōgen si divide in: o Waki kyōgen: i protagonisti sono solitamente divinità, contadini o persone “beate” e sono di carattere augurale e gioioso. Es. Suehirogari (con protagonista Tarō kaja), Sadogitsune (Le volpi di Sado). o Daimyō kyōgen: i protagonisti sono i signori della guerra, talvolta accompagnati da servitori (Tarō kaja, Jirō kaja). Es. Utzubozaru (La scimmia da faretra): emerge lo spirito di ribellione o gekokujō delle classi subalterne verso le classi egemoni. o “Tarō kyōgen”: drammi con protagonista Tarō. Es. Funiminai (Il portalettere): parodizza un dramma nō. shirabyōshi rimanevano comunque delle “fuoricasta”, considerate impure dalla visione buddhista e shintoista in quanto in contatto con la morte. Kōwakamai Si tratta di una forma di narrazione accompagnata dalla danza, dalla musica o dalle percussioni. Prende il nome di kōwakamai, kusemai o semplicemente mai. Da esibizioni di singoli esecutori, dopo una fase di declino, quest’arte rifiorisce con rappresentazioni a più attori, che non interpretano i personaggi, ma narrano solamente le storie (spesso comuni a quelle del teatro nō). Il repertorio Si tratta di brani tutt’oggi tramandati che vedono come protagonisti eroi e guerrieri in situazioni drammatiche oppure storie che diffondono messaggi buddhisti e shintoisti. Si rifanno a grandi personaggi della storia o ai grandi testi guerreschi come l’Heike monogatari. Dai sekkyō, ai setsuwa al sekkyōbushi I sekkyōtoki sono artisti girovaghi itineranti e religiosi di basso rango che, riprendendo le storie ispirate alla dimensione buddhista (sekkyō, setsuwa), si esibiscono in luoghi ed eventi di raduno rendendo le narrazioni religiose una sorta di intrattenimento: il sekkyōbushi. Lo scopo è quello di spiegare l’origine di un certo mito o luogo sacro o il potere delle dottrine religiose, narrando vicissitudini spesso tragiche e strazianti, che vedono i protagonisti salvarsi grazie all’intervento di divinità o bodhisattva. In epoca Edo, queste narrazioni si svilupperanno grazie all’accompagnamento dello shamisen e dei burattini, assumendo una struttura più solida. I brani canonici del sekkyōbushi sono cinque: Karukaya, Sanshōdayū, Shintokumaru, Aigonowaka e Oguri hangan. Burattini All’origine dell’attuale ningyō jōruri o bunraku, vi è la manipolazione di fantocci che si sviluppa in epoca Heian con l’introduzione del sarugaku. Da sempre legate ad un valore magico, le bambole iniziano ad essere manovrate da artisti itineranti detti kairaishi, che esibivano la loro arte lungo le strade e vicino a templi e santuari. Nel xv secolo, ai kairaishi si affiancheranno gli ebisukaki, burattinai che manipolavano pupazzi del dio Ebisu nell’area di Nishinomiya. Il ningyō jōruri Musica ed epos per un teatro di figura Il teatro dei burattini o bunraku è stato riconosciuto Patrimonio dell’Unesco nel 2003. Nasce dall’unione di tre pratiche (sangyō) che rendono quest’arte unica: 1) La manipolazione dei burattini (ningyō) da parte di uno o più manovratori (ningyōzukai) 2) La recitazione di un testo drammatico (jōruri) da parte di un narratore (tayū) 3) L’accompagnamento della parte musicale con lo shamisen, una specie di liuto a tre corde suonato da un musicista (shamisenhiki) La combinazione tra aspetto visivo e uditivo-musicale ha dato vita al genere narrativo dei katarimono. Sviluppo storico Come già detto, l’origine della manipolazione dei burattini è antichissima e si tratta probabilmente di un’arte autoctona. Nel periodo Heian, i pupazzi passano dall’avere un valore religioso ad un valore puramente ludico e iniziano ad apparire i biwahōshi, artisti itineranti che raccontano storie epico-guerresche. Più tardi, al biwa si sostituirà uno strumento a corda introdotto dalle isole Ryūkyū, lo shamisen: con sonorità diverse e con la distinzione tra narratore e suonatore, questa sorta di liuto permetterà più libertà ritmica. È proprio accompagnati dallo shamisen che i burattinai iniziano a recitare storie manipolando burattini: dalle strade, si sposteranno poi in veri e propri teatri nelle aree di Edo, Ōsaka e Kyōto. È accanto al fiume Kamo a Kyōto che il narratore Menukiya Chōzaburō, in mezzo ad artisti di ogni tipo, avrebbe recitato il testo Jūnidanzōshi (Volume in dodici sezioni): la storia parla del legame amoroso tra Minamoto no Yoshitsune e la principessa Jōruri, da cui il genere prende il nome. I testi del ningyō jōruri attingono dalla letteratura popolare e da quella epico-guerresca: dalle origini di un mito alle storie d’amore, fino ai combattimenti guerreschi. Teniche di manipolazione  Inizialmente un solo manovratore (hitorizukai)  Burattini manovrati da dietro o sotto (tezuma ningyō)  Burattini meccanici (karakuri ningyō)  Tre manovratori (sanninzukai)  Burattini meccanici-automi (karakuri ningyō) Jōruri antichi (kojōruri) Il linguaggio dei testi antichi risulta piuttosto rozzo, ma si fa poco a poco più raffinato ed elegante. Oltre alle origini di luoghi sacri, le storie sono anche incentrate sulle passioni, sulle vendette, sulle vicende commoventi di separazione e sorti tragiche. Un semplice telo detto tesuri divideva il palcoscenico dagli spettatori, mentre il narratore rimaneva nascosto. I kinpira jōruri Si tratta di una serie di testi che ruotano attorno alle avventure di Sakata no Kinpira che, insieme ai figli dei quattro cavalieri shitennō, combatte contro mostri o nemici dell’impero. Izumidayū sarà il primo a narrarne le gesta a Edo. Con questo nuovo genere, si passa alla creazione di nuovi personaggi con caratteristiche proprie e originali e ci si distacca dalla tradizione, per andare incontro ai nuovi gusti dell’epoca Edo. Sono quindi i guerrieri i nuovi protagonisti, che alla fine della storia hanno la meglio e riescono a ristabilire la pace nell’impero. La struttura dei palcoscenici rimane piuttosto simile, ma ora il narratore si trova in una posizione più elevata in modo da poter controllare meglio i movimenti dei burattini. La manipolazione è a due mani, il che consente maggiore libertà di movimento soprattutto nell’inscenare combattimenti. Classicità e attualità – Kaganojō e Tosanojō Intorno agli anni settanta-ottanta, a Kyōto emerge un altro cantore, Uji Kaganojō, le cui storie sono meno violente e la cui narrazione è più dolce, delicata, morbida. Insieme a lui, fa la sua apparizione anche la figura di Yamamoto Kakudayū. Il repertorio Kaganojō inaugura il suo teatro nel 1675, unendo a storie classiche eventi di cronaca più recenti. Si discosta dalla recitazione “dura” delle storie epico-guerresche e ricorre anche a burattini meccanici (karakuri). Si rifà alle storie del teatro nō e porta sulla scena esibizioni melodiche e danzate. È inoltre tra i primi a scegliere come protagoniste delle cortigiane, con storie ambientate nei quartieri di piacere. Nascono in questo periodo le prime antologie per coloro che vogliono praticare l’arte teatrale. Particolare importanza è data alla manipolazione in assolo, durante la quale è più semplice dare maggiore attenzione ai dettagli e ai movimenti, che devono risultare puliti e delicati, soprattutto per i personaggi femminili. I vari motivi presenti devono essere: parole augurali (shūgen), grazia (yūgen), amore e desiderio (renbo), dolore e sofferenza (aishō), melodia scomposta (rangyoku). Kakudayū Dewanojō inaugura invece lo stile piangente o nakibushi e introduce congegni meccanici e effetti scenici straordinari. Il palcoscenico Viene introdotta la doppia paratia e viene aggiunto un altro palcoscenico, sul quale i burattinai salivano per manipolare i propri fantocci meccanici e dove si svolgevano gli intermezzi di ai kyōgen. Successivamente alle nuove tecniche introdotte, i burattini verranno manovrati sia dal basso (con il burattinaio dietro ad una cortina), sia dal dorso tramite l’uso di fili. L’avvento di Takemoto Gidayū – i teatri Takemoto e Toyotake Nel 1648 emerge la figura di Takemoto Gidayū, che fonda il teatro Takemoto e il gidayūbushi: uno stile che contrappone la tradizione alla modernità, basato sui sentimenti, sulla sensibilità e sulla drammaticità. Più tardi, il suo allievo Toyotake Wakatayū fonderà il teatro Toyotake, fondando uno stile indipendente e facendo così concorrenza al Takemotoza. Gidayū collaberà con il famoso Chikamatsu Monzaemon, facendo entrare il teatro dei burattini in una fase del tutto nuova. Un maestro della scrittura: Chikamatsu Monzaemon Lo scopo di Chikamatsu è quello di infondere vita ai burattini, facendo ruotare tutto intorno ai sentimenti. Lega la scrittura del testo al ritmo e alla melodia e combina la realtà alla fantasia. Inizialmente scrive anche per il kabuki, ma ad un certo punto si dedicherà solo ed esclusivamente al teatro dei burattini. Prima di Chikamatsu si parla di kojōruri (testi antichi). L’opera di Chikamatsu Monzaemon Uno dei drammi che segna l’inizio del nuovo teatro dei burattini è Shusse Kagekiyo (Kagekiyo vittorioso, 1685), che fa parte di quei drammi che riguardano le storie dei fratelli Soga, scritto per Gidayū. La trama parla di un eroe sconfitto, Kagekiyo, che cerca vendetta nei confronti di Chikamatsu Hanji e i maestri della fase tarda Chikamatsu Hanji, che sceglie il suo nome in onore di Chikamatsu Monzaemon, apporterà ulteriori innovazioni brillanti al teatro dei burattini, trasormandolo nella sua ultima fase. I suoi sono drammi tragici, che vedono come protagonisti personaggi maschili potenti e ribelli e donne che provrano sentimenti intensi. Ad Ōsaka, da sempre il centro del ningyō jōruri, si affianca Edo con nuovi scrittori. Nell’ultima fase, se prima era il teatro kabuki a trarre ispirazione da quello dei burattini, ora i due si contaminano a vicenda. Con la chiusura dei teatri Toyotake (1765) e Takemoto (1767), il teatro dei burattini declina e l’arte viene tramandata in luoghi più piccoli e periferici. È a Ōsaka che il ningyō jōruri rifiorirà qualche decennio più tardi, grazie a Uemura Bunrakunen, che darà a quest’arte il nome con cui oggi è conosciuta: Bunraku. Il kabuki Fascino nell’arte dell’attore: protagonisti di un’estetica grandiosa e fantastica Il kabuki è un’arte che nasce nel 1600, periodo di pace e di grande urbanizzazione di aree come Kyōto, Ōsaka e Edo. È in quest’epoca che i teatri si trasformano in luoghi di divertimento e sulla stessa lunghezza d’onda, il kabuki si propone di soddisfare i gusti e le esigenze del momento e soprattutto del pubblico. Nasce così una forma di spettacolo guidata da attori che diventano veri e propri idoli e che portano sul palcoscenico esuberanza, ricchezza espressiva e scenica, unendo vari linguaggi artistici come la parola, il canto, la musica e la danza. Viene così a crearsi un “teatro spettacolare”, dove ogni rappresentazione è unica e irripetibile poiché influenzata dalla volontà degli attori stessi, che mettono in mostra il loro talento tramite i movimenti del proprio corpo. Ad essi si affiancheranno anche tecnici, coreografi, assistenti di scena e acrobati, per far sì che ogni parte del teatro totale funzioni. Accolti su teatri e palcoscenici stabili, gli attori tramanderanno l’arte di padre in figlio e di maestro in allievo. Le origini: erotismo e devianza Il termine deriva dal verbo “kabuku”, che indica dei comportamenti stravaganti, al di fuori delle norme e del proprio status sociale. È un’epoca in cui, sotto il regime Tokugawa, la gente prova un’irrequieta euforia che sfoga danzando per le strade e divertendosi per celare le proprie inquietudini: da qui il termine fūryū, che sfocerà in danze tra cui quelle denominate kabuki odori. All’origine di quest’ultime ci sarebbe la figura di Okuni, probabilmente una sacerdotessa, che con abiti maschili danza nel 1603 presso il Santuario di Kitano imitando i kabukimono, giovani ribelli che in questo periodo di transizione si atteggiano con costumi stravaganti. Su modello di Okuni, verranno a formarsi compagnie di donne (onnakabuki) e di cortigiane (yūjo kabuki), che verranno però fermate nel 1629 dalle autorità: le donne non potranno più salire sul palcoscenico, perché causa di scalpori e turbamenti. Parallelamente viene anche a formarsi un teatro di soli fanciulli (wakashu kabuki) fatto di danze sensuali col fine di sedurre gli spettatori. Anche questi verranno proibiti in seguito a scalpori all’interno della classe dominante e riconcessi solamente a due condizioni: il taglio della frangetta (simbolo di fascino) e un teatro di sola rappresentazione. Nasce il teatro di soli maschi (yarō kabuki) che interpreteranno anche ruoli femminili (onnagata). In questo senso, il kabuki verrà visto come una sorta di “mondo alternativo” del piacere in cui rifugiarsi in un’epoca di restrizioni e controlli. Nel kabuki il testo drammatico è spesso improvvisato, per cui l’attenzione si focalizza sulle azioni e sulla situazione, intorno alla quale si intrecciano scene nel quartiere di piacere di Shimabara con storie d’amore tra giovani benestanti e cortigiane. Anche questi verranno proibiti nel 1658. Si passa quindi ad atti unici ispirati al nō e al kyōgen, che poi si svilupperanno in drammi a più scene in cui è l’intreccio a fare da protagonista. Verrà introdotto il sipario (hikimaku) e i palcoscenici diventeranno più grandi, così come il pubblico e le compagnie e i diversi ruoli, come quelli di protagonista e antagonista, andranno specializzandosi. L’era Genroku: armonia e violenza In questo periodo (1688-1704) c’è la prima fase di fulgore, con l’istituzione dei primi teatri stabili nelle metropoli di Kyōto, Osaka e Edo (attuale Tōkyō), aperti ad un pubblico pagante, vario e composito. A seconda delle città, vengono a delinearsi stili differenti. o Kyōto e Ōsaka Nell’area di Kyōto e Ōsaka (Kamigata) nasce uno stile armonioso ed elegante, il wagoto (“azioni eleganti”), grazie alla figura dell’attore Sakata Tōjūrō. Le azioni riprendono i drammi di visita ai quartieri di piacere, con trame complesse: generalmente un giovane protagonista, assiduo frequentatore di quartieri di piacere, viene esiliato in seguito a delle cospirazioni contro di lui; separatosi dalla cortigiana amata, riesce infine a ritrovarla grazie all’aiuto di qualche vassallo fedele e il decoro del casato viene ristabilito. Queste storie girano attorno a temi di caduta e riscatto, di amore e gelosia, di denuncia alla vita urbana, caratterizzati da umorismo e grande realismo, soprattutto da parte di onnagata come Yoshizawa Ayame, che cerca di riprodurre il più fedelmente possibile le movenze femminili. o Edo Al contrario, nella nuova metropoli in mano alla classe guerriera, nasce uno stile più rozzo e violento: l’aragoto (“azione violenta”). Il furore, il coraggio e la forza incontrano i gusti del nuovo pubblico. Adesso il protagonista è un eroe ingenuo e positivo, spavaldo e generoso che combatte contro i nemici, lottando per il bene e contro le ingiustizie. Si riprendono soggetti già conosciuti, come i fratelli Soga e si ricreano vicende che attingono da vari generi, per portare sulla scena storie colorite che danno vita ad un teatro immediato e di forte impatto visivo. Tra le figure più importanti di questo stile abbiamo Ichikawa Danjūrō I (idolo delle platee) e Ichikawa Danjūrō II (che rielabora il dramma Sukeroku, unendo il presente al passato sulla base della vendetta dei fratelli Soga). Viene a crearsi un trucco (kumadori) che sottolinea i lineamenti del volto tramite colori forti e si acquistano movenze e andature adatte ai nuovi personaggi kabuki. Intanto, i quartieri di piacere e il teatro kabuki si influenzano a vicenda, lanciando nuove mode. Nascono stampe di attori e di belle donne e la critica teatrale si fa più rigida. Il programma del teatro verrà scandito in base alle stagioni. Influssi del teatro dei burattini Nel 1700, in seguito ad alcune riforme che vedono coinvolto anche il campo culturale, la figura dell’attore kabuki diventa più degradata e il rapporto tra gli attori e il pubblico si fa più freddo. Se per il kabuki c’è una fase di stasi, il teatro dei burattini vive invece una fase di splendida fioritura. Dal confronto con la complessità del kabuki, i testi per burattini vengono riadattati e trasformati: le parti narrate dal narratore si intrecciano alle parole dei personaggi, scandite dal ritmo dello shamisen; la parola è spesso lasciata al recitatore, mentre l’attore utilizza solamente i gesti e imita i movimenti dei burattini; viene data maggiore attenzione alla resa psicologica. Sekai e shukō Per la creazione del testo drammatico kabuki, ci si basa su un repertorio codificato al quale attingere per proporre idee sempre nuove, i cui capisaldi sono sekai e shukō. Sekai rappresenta il mondo nel quale si sviluppa la storia; è un’ambientazione che attinge alla tradizione storico- letteraria, con personaggi già noti. Shukō (“idea/trama”) sono invece le vicende e i personaggi che vengono inventati – e che sono quindi immaginari – al fine di intrecciarli con il sekai, il mondo di riferimento. Splendide coreografie e atti danzati Oltre alla musica del teatro dei burattini, vengono introdotti nel kabuki nuovi generi di accompagnamento come ad esempio il nagauta: un genere musicale eseguito da un complesso strumentale che all’orchestra del nō aggiunge shamisen e una schiera di cantori kabuki. Si sviluppano anche altri generi con lo shamisen utilizzato in maniera diversa rispetto per esempio al suo utilizzo nel teatro dei burattini: sono melodie sentimentali intonate con toni più alti, che si svilupperanno da scuole diverse dalla stessa matrice ad Edo: Tokiwazubushi, Tomimotobushi, Kiyomotobushi. Questi si accompagnano alle scene o atti danzati (shosagoto), strumenti che l’attore utilizza per esibire il proprio talento e le proprie abilità. In modo particolare, gli onnagata raggiungeranno un fascino speciale proprio grazie all’interpretazione di personaggi femminili su danze con testi in versi musicati. Musica nel kabuki Anche la musica all’interno del teatro kabuki è sinonimo di sperimentazione, a seconda delle varie fasi di sviluppo. Da canti, danze e brevi scene mimate accompagnati da strumenti del nō, si passa ad un cambiamento grazie all’introduzione dello shamisen: uno strumento adatto ad incontrare le esigenze del tempo, in grado di accompagnare la voce con energia e ritmo, sensualità ed espressività. Lo shamisen accompagna vari generi musicali (kabuki, burattini) e in base a questi si differenzierà. propri sentimenti, riversando sulle scene crudeltà e orrore misti a umorismo. Vengono adottate soluzioni sceniche originali, veloci e ed eleganti. Alcune sue opere: o Tenjiku Tokubee ikokubanashi: rane che vengono animate per conquistare il potere o Sumidagawa hana no goshozome: ispirato alla narrativa o Sakurahime azuma bunshō: ispirandosi ad un fatto di cronaca, viene rielaborata la vicenda tra il monaco Seigen e la principessa Sakura, che finirà per diventare una cortigiana o Tōkaidō Yotsuya kaidan: capolavoro tra i drammi di fantasmi, che vede l’intreccio tra la storia dei 47 rōnin e la storia di un fantasma. Nei drammi kabuki la vicenda ruota attorno a degli oggetti, che non sono più tesori di famiglia trafugati, ma come nell’ultimo dramma, si tratta di medicinali, veleni o lettere. L’estetica del mutamento continuo: le danze di metamorfosi Agli inizi del 1800, vengono introdotte le danze di metamorfosi o henge buyō. Abbiamo ora dei drammi danzati in cui un attore si trasforma via via in vari personaggi, mostrando la propria versatilità nell’interpretare vari ruoli (sette, nove, dodici). I cambi di costume e di personaggio (hayagawari) sono rapidi e le acrobazie e destrezze (keren) sono rese in modo ancora più accurato. Decadenza e discriminazione: banditi e il loro destino Nell’era Tenpō (1830-1844), in seguito a vari episodi tragici, la censura si fa più rigida anche nel campo artistico e i grandi teatri di Edo vengono forzatamente trasferiti a Saruwakachō (Asakusa), perché considerati simbolo di perdizione. Emerge la figura di un nuovo autore: Segawa Jokō III. Egli apporta nuove creazioni e porta sulla scena due opere tuttora rappresentate: Higashiyama sakura sōshi (con protagonista un fuorilegge) e Yowa nasake ukina no yokogushi. Quest’ultima è la sua opera più famosa: è la storia proibita di due amanti che, scoperti, vengono puniti, ma insieme riescono a salvarsi da una morte certa. È però il drammaturgo Kawatake Shinshichi II (poi Mokuami) ad accaparrarsi la scena con i suoi drammi di banditi (shiranamimono), in cui il protagonista è un eroe che combatte tra il bene e il male, destinato però ad una fine tragica. Le sue opere, che proseguono sul filone dei kizewamono, vengono accompagnate dalla musica, che scandisce le scene d’amore, di truffe e di crudeltà. Qui i dialoghi sono recitati in maniera ritmata e trasposti in una sorta di veste sentimentale e atmosfera malinconica. Mokuami continuerà anche in epoca moderna a rappresentare storie ambientate in epoca Edo, che vedono come protagonisti fuorilegge e banditi, in un mondo che declina (es. Kumo ni magou Ueno no hatsuhana). L’epoca moderna. I teatri della tradizione L’alba di un nuovo mondo A partire dal 1868, con la caduta del governo Tokugawa, il Giappone si appresta ad aprirsi al mondo dopo secoldi di isolamento: inizia un processo di modernizzazione. Nell’ambito teatrale, questo si tradurrà inizialmente in un adattamento dei testi stranieri, poi tradotti con l’avvento dello shingeki (teatro nuovo). Musiche e danze di corte: il “gagaku” Con l’avvento dell’era moderna, i teatri della tradizione subiscono una fase di declino, ad eccezione del gagaku che, grazie alla nuova centralità dell’imperatore, rifiorisce come genere. Il ricco repertorio del gagaku, fatto di brani strumentali e danzati sia autoctoni che derivanti dal continente, aveva da sempre accompagnato e scandito gli eventi della corte imperiale, basandosi sulla celebrazione degli opposti. Gli eventi riguardavano feste stagionali, feste private o celebrazioni e rituali shintō e buddhisti. Dopo un periodo di crisi, con lo spostamento della capitale durante l’epoca Meiji, anche i musici si sposteranno a Edo, dove il Dipartimento del gagaku riorganizzerà il repertorio: nascono le Meiji sentei fu, le “partiture scelte di epoca Meiji” (1876, 1888). I metodi di trascrizione e di esecuzione diventano più rigidi e standard, così le scuole e gli stili si mescolano per unificarsi. I musici del gagaku avranno anche il ruolo di studiare e diffondere la musica occidentale. Tra i personaggi più importanti del gagaku moderno abbiamo Tōgi Tetteki, orientato verso l’assimilazione delle novità occidentali. Il nō e il kyōgen Queste due arti (e le cinque scuole principali) che avevano goduto dell’appoggio dello shogunato in epoca Tokugawa, dopo la sua caduta si ritrovano senza sostegno economico e quindi in balia della competizione delle altre arti dello spettacolo. Tuttavia, con il nuovo governo e in particolare grazie alla figura di Iwakura Tomomi, il nō sarà nuovamente appoggiato dalla famiglia imperiale e dalla nobiltà, entrando a far parte delle celebrazioni ufficiali di corte: verrà costituita la Nōgakusha (società apposita per il nō) e costruito un palcoscenico, lo Shiba nōgakudō. Grazie al nuovo interessamento che il teatro nō suscita sugli intellettuali e occidentali e grazie anche alla pubblicazione dei Trattati di Zeami nel 1909, quest’arte godrà di grande ammirazione. Emergono inoltre grandi attori che contribuiscono a questa fortunata fase: Umewaka Minoru, Hōshō Kurō, Sakurama Banma. L’arte del nō verrà tramandata di padre in figlio e di maestro in allievo, aggiungendo brani moderni fino a raggiungere un repertorio di circa 250 drammi. Anche il kyōgen subisce i danni della caduta dello shogunato, ma vede una rifioritura a partire dal dopoguerra. Il repertorio viene in parte riscritto. La scuola Ōkura e la scuola Izumi avranno delle interruzioni, ma dopo l’arrivo di nuovi artisti da varie arie del Giappone, si trasferiscono a Tōkyō. la scuola Sagi, invece, si estingue nel 1922. Teatro di burattini (ningyō jōruri bunraku) Nel teatro dei burattini non ci saranno grandi cambiamenti, poiché l’epoca d’oro è quella dopo Chikamatsu. Dopo le limitazioni imposte dalle riforme dell’era Tenpō, il teatro dei burattini verrà gestito dalla Shōchiku, un’impresa che amministrerà il bunraku fino al dopoguerra e che punterà alla popolarità tramite scene celebri. Il repertorio classico continuerà ad essere svolto ed emergeranno artisti di grande talento, come il suonatore di shamisen Toyozawa Danpei II, che porterà nuove tecniche. Gli orari degli spettacoli verranno rinnovati e i classici di Chikamatsu recuperati. Nuove opere occidentali verranno riadattate e il teatro dei burattini cercherà di rialzarsi dopo la scissione in due fazioni rivali, che si fonderanno inaugurando il Bunraku kyōkai (Associazione del bunraku) nel 1963. Nel dopoguerra, obiettivo principale è quello di preservare e riproporre le opere del passato, oggi le più apprezzate. Arti della parola, narrazione, commozione e umorismo: “rakugo”, “kōdan” e gli “yose” È importante ricordare anche generi minori che si erano affermati nel periodo Tokugawa, svolti su piccoli palcoscenici detti yose: o Rakugo: si tratta di un genere di narrazione popolare di carattere comico-umoristico, con un solo narratore che racconta storie con gesti, un ventaglio e una sorta di fazzoletto. Sfocia nello shinrakugo (nuovo rakugo) dopo il 1923. Lo stile si distinguerà tra quello di Edo e quello del Kamigata, soprattuto per la parlata (oggi più standard). In epoca Meiji rifiorirà in maniera vivace. È un’arte tutt’oggi tramandata. o Kōdan: una forma narrativa che tratta di vari temi tratti dalla cronaca (sia passata che presente) e narrati da un singolo che scandisce il ritmo con un ventaglio. Come per il rakugo, nell’era Meiji i testi verranno trascritti. o Rōkyoku o naniwabushi: simile al kōdan, si tratta di una narrazione cantata, accompagnata da shamisen, che tratta di temi incentrati su giri e ninjō. Entrambi i generi vengono oggi trasmetti tramite mezzi televisivi o radiofonici. Kabuki e shinkabuki Il kabuki e la modernità Il teatro kabuki è quello che in epoca moderna ha uno sviluppo più movimentato rispetto alle altre forme, che si classicizzano, e attraversa una fase di riforma e di sperimentazione. Sotto al “Movimento di miglioramento del teatro” o Engeki kairyō undō, il kabuki viene sottoposto a varie trasformazioni che si ispirano in modo particolare all’Occidente. Sui modelli europei, si cerca infatti di innalzare il teatro a strumento di potere e di diffusione di idee politiche, utilizzando la figura dell’attore come portavoce: il kabuki assume così il ruolo di “teatro nazionale”. Di conseguenza, una serie di ammonimenti riformeranno il repertorio: la figura dell’imperatore deve ora essere onorata e il valore della fedeltà storica esaltato; la corruzione, l’eccesso e la volgarità dovranno essere limitati e il male punito (kanzen chōaku). Il kabuki si pone quindi come specchio del volto del paese agli occhi degli stranieri occidentali, ma perde il suo fascino originale per diventare uno spettacolo arido, senza quello spirito comico e ribelle che da sempre l’aveva Amenozume e ai riti kagura di valenza magico-religiosa. Anche le famose mikomai, le danze delle sacerdotesse, si basano su movimenti circolari volti a richiamare la divinità affinché si impossessi del corpo della danzatrice. È possibile riconoscere le danze mai anche in Okina, in Sanbasō (dove si utilizza una maschera per indicare la possessione del personaggio o la sua natura divina) o nelle danze delle shirabyōshi. Anche nel nō i movimenti delle danze hanno una natura sciamanica e rappresentano il climax di un dramma; sul palco si combinano a canto, recitazione, parole e musica, creando esibizioni essenziali ed eleganti ed esprimendo i sentimenti dei personaggi. È la danza giapponese della corte, dei santuari e dei templi, dell’antichità, offerta e dedicata alla divinità e quindi più aritificiosa rispetto agli odori. Odori Diversamente, odori indica un tipo di danza più frenetica, che prevede salti e sbilanciamenti del corpo rispetto all’asse verticale. Sono movimenti che esprimono libertà, entusiasmo, ma anche agitazione, disordine e follia. Ha origine collettiva e si esprime in parate, feste all’aperto e sagre. Anche in queste danze il corpo perde controllo come nelle danze mai, ma si tratta sempre di una dimensione collettiva, in cui sono la ripetizione dei movimenti e il dinamismo a prevalere. All’origine degli odori troviamo i furyū odori, danze concitate e con costumi vistosi con lo scopo di allontanare la negatività delle divinità e i nenbutsu odori, danze folli ed estatiche atte ad invocare la propria salvezza. A un certo punto, la danza del kabuki vedrà l’unione del mai e dell’odori, con gesti morbidi e fluidi. Mai, odori e furi Oltre alle due tradizioni già citate, alle danze kabuki contribuiscono anche i furi: movenze che richiamano in maniera stilizzata i gesti della vita quotidiana. L’arte dell’attore kabuki si fonderà quindi sia sulla danza che sulla recitazione (per gli onnagata sarà importantissimo utilizzare in maniera elegante le maniche, lo strascico e i lembi del kimono). La danza acquisirà negli spettacoli sempre più importanza, tanto da essere inserita all’interno del programma delle giornate, sia tra una scena e l’altra sia a fine spettacolo, arrivando fino ad un’estensione del repertorio, con danze di tantissimi generi (da quelle rituale-magiche a quelle di metamorfosi). Danza come rappresentazione, danzatore come personaggio La danza si pone all’interno dei generi tradizionali come espressione più immediata dei sentimenti e delle emozioni dei personaggi. Con le danze di metamorfosi (hengemono), l’attore può esibire il proprio talento nella mimesi (monomane) e nella fluidità di trasformazione da un personaggio all’altro, tramite trucco, costumi e anche scenari: ognuno di questi differisce in base al rango sociale dell’epoca, modificandone anche il linguaggio e gli stili di vita. La metamorfosi non riguarda però solamente l’aspetto esteriore, ma anche quello interiore, coinvolgendo e cambiando la natura dei personaggio. Danze femminili di sala Un’altra dimensione è rappresentata da quelle danze nate nei quartieri di piacere e quindi prettamente femminili e concepite principalmente per un’atmosfera di intimità con la quale intrattenere i clienti. Queste sono accompagnate dal canto e da pochi strumenti e sono ancora tramandate da scuole come Shinozuka e Inoue. Nel 1872 nascono anche le miyako odori, danze annuali collettive in cui le danzatrici si esibiscono in costumi ogni anno abbinati in modo differente. Le disciplina delle maiko, danzatrici del quartiere di Gion, si basa tutt’oggi sugli insegnamenti di alcune di queste scuole. La danza in epoca moderna In epoca moderna, la figura del coreografo, nata in Giappone intorno alla metà del 1700, si avvia ad una sorta di dipendenza e va a congiungersi con la figura del danzatore stesso. Poco a poco, la danza non si legherà più al testo verbale e si allontanerà dall’idea di bellezza, per abbracciare invece la purezza, le emozioni, ma soprattutto la creatività. I costumi e i movimenti andranno semplificandosi, per dare risalto al corpo che si colloca nello spazio esprimendo con libertà i propri sentimenti. “Shinbuyō” Con la nascita del movimento shinbuyō (nuova danza), ispirato ai versi cantati, nascono anche nuove idee. Tsubouchi Shōyō, ad esempio, sperimenta un’unione tra generi musicali tradizionali e occidentali con il dramma Shinkyoku Urashima, in cui cerca di esemplificare il più possibile i gesti danzati; gioca anche con le danze di follia, il genere perfetto per esprimere e trasmettere le emozioni dei personaggi con immediata intensità. In questa fase, molte sono anche le innovazioni all’interno del mondo del kabuki. Capisaldi di questo nuovo genere sono gli attori Onoe Kikugorō VI (Yasuna, danza di follia) e Ichikawa Ennosuke II (Mushi, danza collettiva che rivisita La morte del cigno, un assolo di Anna Pavlova). Proprio Anna Pavlova, in tournée in Giappone nel 1922, godrà di grande successo e ispirerà nuove tendenze all’interno della danza tradizionale giapponese. È in quest’epoca che il genere dello shinbuyō raggiunge i massivi livelli, fino ad un arresto l’anno dopo causato dal terremoto del Kantō. Danzatrici La nuova corrente, che vede la danza tradizionale buyō trasformarsi in movimenti più liberi e delicati, avrà come protagoniste moltissime donne, provenienti soprattutto dal mondo delle geisha, che apporteranno nuove idee. Verranno impiegati strumenti musicali occidentali, verranno mescolati vari generi, le danze saranno principalmente collettive e il testo verbale verrà abbandonato. Danze individuali e danze di gruppo Si sviluppano due filoni: le danze collettive e le danze in assolo. Le prime si rifanno ai balli popolari folklorici, come furyū e nenbutsu odori, ripresi per essere trasposti sul palco, dove è comunque un attore (o due) ad essere messo in risalto all’interno del gruppo: protagonisti assoluti sono gli onnagata. Le seconde prediligono invece la semplicità, sia nei costumi che nei gesti, per mettere in risalto la purezza della danza. Nell’epoca moderna, la figura del singolo acquista sempre più importanza, mentre il senso di comunità va disperdendosi. Poco alla volta, anche la musica vocale, la narrazione i personaggi verranno abbandonati. Incontri con l’Occidente Verso la modernità: lo “shinpageki” Con la nuova era, viene a diffondersi un senso di ribellione e di distacco nei confronti del teatro kabuki, ma soprattutto di ricerca di libertà tramite la diffusione di nuove ideologie politiche: lo strumento utilizzato è lo shinpageki, un nuovo tipo di teatro nato come propaganda (sōshi shibai) del movimento per i diritti democratici e inscenato da attori non discendenti dai professionisti kabuki. In questo periodo, le canzoni e gli spettacoli sono infatti utilizzati per protestare contro il potere: si canta lungo le strade e si scrivono testi di satira. Molti sono gli studenti (shosei shibai) che partecipano alle proteste in questo modo e molte sono le compagnie teatrali che cercano di rendersi indipendenti, distaccandosi dalla tradizione familiare. Emerge la figura di un uomo innovativo, Kawakami Otojirō, autore dell’oppekeibushi (una sorta di testo rap di satira). Trova il suo succeso con due drammi “polizieschi”, realistici e inscenati con tecniche all’occidentale. Acquista poi il proprio posto nel Kabukiza, portando sul palco drammi guerreschi (sono gli anni della guerra nippo-cinese) piuttosto realistici e ispirati a quelli parigini, facendo concorrenza al kabuki, che tuttavia rimane limitato a combattimenti stilizzati e tradizionali. Sempre interessato alle novità dell’Occidente, decide di partire in quella che sarà una tournée inizialmente sfortunata, ma che rivelerà poi il talento della moglie Sadayakko: in seguito alla morte di alcuni onnagata della troupe, la ex-geisha prende il loro posto, riscuotendo in Europa un successo straordinario e diventando l’attrice più celebre di questi anni. Tornati in patria, i due saranno portavoce di drammi basati sulla sola parola derivanti dal seigeki (teatro ortodosso). Kawakami porterà inoltre in Giappone adattamenti da Shakespeare, introdurrà innovazioni sceniche occidentali, eliminando per esempio lo hanamichi, fonderà con la moglie una scuola per attrici e i primi spettacoli per ragazzi. Lo shinpa, corrente dentro la quale confluiscono più idee, viene poi sviluppato con Ii Yōhō. La sua è una forma ibrida tra teatro tradizionale giapponese e teatro moderno occidentale: elimina quasi del tutto la musica e la danza, ma lascia gli onnagata (con una gestualità più femminile) e alcuni artifici ereditati dal kabuki, proponendo una sorta di teatro letterario, con trasposizioni dalla letteratura. Si passa ai drammi di tipo familiare (kateigeki), caratterizzati da tragicità e sentimentalismo, fino a giungere ad una prima fase di declino con i primi gruppi shingeki. Lo shinpa si pone quindi come genere tra il kabuki e lo shingeki, caratterizzato da atmosfere malinconiche e decadenti, da gesti semplici ed eleganti. I drammi occidentali vengono riadattati, mantenendo ambienti e personaggi giapponesi, in modo da far acclimatare il pubblico alle nuove maniere occidentali. Figure importanti saranno l’attore Izumi Kyōka, che sperimenta un genere più fantastico e l’attrice Mizutani Yaeko I, importante nel periodo pre- e post-bellico. La modernità: la nascita dello “shingeki” Lo shingeki è un nuovo tipo di teatro in stile puramente occidentale, che vede dapprima una traduzione diretta e corretta dei drammi occidentali e poi una scrittura di testi ispirati all’occidente da parte di autori giapponesi. Alla traduzione dei testi contribuiranno importanti scrittori reduci da esperienze europee come Mori Ōgai e Tsubouchi Shōyō, che cercheranno di trovare un linguaggio ponte tra le due culture: non sarà infatti immediata l’accettazione di una cultura nuova Osanai Kaoru: regia e scrittura Osanai Kaoru, nella creazione di un testo drammatico, cercherà sia di depurare la tradizione delle proprie debolezze, cercando di garantirne una continuità, sia di creare un dramma totalmente moderno. Si imporrà inoltre come critico dei nuovi gruppi, come il Geijutsuza e delle nuove grandi imprese che si troveranno in difficoltà per mancanza di capitali. Il piccolo teatro di Tsukiji: lo Tsukiji shōgekijō Nel 1924, Hijikata Yoshi fonda a Tōkyō il primo teatro di shingeki a compagnia stabile, insieme a Osanai Kaoru. Si tratta perlopiù di una sala di sperimentazione che si pone dei nuovi obiettivi: quello di rivolgersi ad un pubblico più vasto, soprattutto formato da giovani studenti; quello di creare una sorta di “comunità”, in cui ognuno partecipa ad ogni momento; quello poi di organizzare il tutto senza gerarchie o distinzioni e di costruire un palcoscenico dotato degli apparati scenotecnici più avanzati, coinvolgendo tecnici specializzati ed eliminando la figura dell’autore drammatico. Questa esperienza di teatro moderno durerà solo cinque anni, ma vedrà una grandissima importazione di testi occidentali, come quelli di Shakespeare e Pirandello. In una prima fase, verranno inscenati solamente testi in traduzione, escludendo i drammi d’autore giapponese e oscillando tra sintesi sceniche con più personaggi e spettacoli ispirati al Teatro d’Arte di Mosca piuttosto che alle nuove avanguardie europee. Solo più tardi verranno rappresentate anche opere giapponesi, attingendo sia al kabuki che al ningyō jōruri. Osanai tuttavia si raccomanderà di non ricadere negli stilemi e nella gestualità del kabuki, guardando sempre all’occidente e sottolineando l’importanza della messinscena, piuttosto che del testo in sé (a volte tradotto con errori). Il Piccolo teatro finirà sia a causa della morte di Osanai nel 1929, sia a causa della situazione politica del paese. Il teatro proletario e il periodo bellico È un periodo in cui il Giappone cerca il più possibile di raggiungere una sorta di modernizzazione per mettersi al passo con le potenze occidentali. In questo clima di nuove realtà sociali, politiche ed economiche, la forma di spettacolo più adatta a rappresentarle è il teatro proletario o puroretaria engeki. L’interesse del teatro si rivolge ora a problemi politici, al realismo, alle avanguardie europee, al modello sovietico e quindi alla sperimentazione di nuove tematiche più critiche. In questo periodo di repressione, i lavoratori vengono sfruttati e sottoposti a condizioni disdicevoli, per cui il teatro non si rivolge più agli intellettuali, ma piuttosto alla classe popolare: nascono i primi gruppi teatrali di lavoratori insieme a piccole compagnie di non professionisti itineranti. Nel 1923 viene inscenato il primo dramma proletario. Successivamente, con l’avvento del socialismo, i teatri di sinistra acquisiranno importanza e verranno fondate varie leghe che prediligono le tematiche del realismo proletario. Verranno rappresentati drammi storici sul periodo Meiji e sullo sviluppo del capitalismo nazionale, ma parallelamente aumentano gli arresti, spesso indotti al tenkō (la conversione) e praticare l’arte diventa sempre più difficile. Nel 1940 tutte le compagnie, tranne il Bungakuza, vengono sciolte: è il teatro fondato da Kishida Kunio, che cerca di tenersi lontano dalle situazioni politiche, proponendo spensieratezza e divertimento in un periodo buio e burrascoso come quello bellico. Parola e realismo Kishida Kunio, drammaturgo giapponese, porta in patria un teatro di ispirazione francese, che abbandona oscurità e pesantezza per proporre qualcosa di nuovo e fresco, con dialoghi sofisticati e romantici: è un teatro basato sulla parola, sulla scioltezza e sullo spirito di conversazione. È un teatro dolcemente poetico che rappresenta una grande novità. Intanto, però, la letteratura di tipo drammatico fa fatica a svilupparsi in Giappone, soprattutto perché gli autori, con uno sguardo fisso verso l’Occidente e le innovazioni, non riescono a confrontarsi con la nuova realtà del paese, che continua ad avanzare velocemente. Il dopoguerra Il teatro realista e lo “shingeki” Nell’immediato dopoguerra, lo shingeki diventa una sorta di teatro istituzionale e rinasce, aprendosi all’Europa e all’America. Sotto l’occupazione americana alcuni generi come il kabuki e il teatro dei burattini subiranno delle censure. Riprende intanto il teatro di traduzione secondo gli statuti del realismo: ideale estetico, dimensione romantica della quotidianità, realismo socialista- comunista, drammi di eroi solitari e intrepidi. Nel 1945, le varie compagnie di shingeki si uniscono per un evento che rifletterà lo stato d’animo del popolo giapponese, la rappresentazione de Il giardino dei ciliegi di Cechov: ci si orienta verso il realismo russo. Le compagnie di shingeki si alleano per garantirsi un nuovo pubblico, collaborando con la Tōho e la Shōchiku. Grandi teatri e grandi compagnie Dopo i bombardamenti del 1945, grazie al sostegno delle due società sopra citate, il Giappone cerca di riprendersi ricostruendo i teatri andati distrutti e garantendo così allo shingeki una rinascita. Il Bungakuza di Kishida Kunio continua ad ispirarsi al teatro francesce, unendo drammi americani a lavori giapponesi. Lo Haiyūza prosegue sulla linea del Piccolo teatro di Tsukiji, proponendo i testi di Abe Kōbō (lavori surrealisti, con soluzioni sceniche sperimentali). Nasce il gruppo Shiki (Quattro stagioni) che importa i musicals di Broadway, il teatro brechtiano e il teatro dell’assurdo. In questo periodo le compagnie cercano di astenersi il più possibile dal prendere posizioni politiche, fino a che non si ritroveranno costrette a causa di nuove situazioni politicamente gravi come guerre e manifestazioni. Attori e formazione Lo shingeki pone al centro dell’attenzione l’attore, focalizzandosi sulla sua formazione, sulla sua professionalità, ma soprattutto volgendo uno sguardo alle nuove generazioni. Nel dopoguerra ci si basa sullo Stanislavskij system, che si basa sull’approfondimento psicologico del personaggio. Ma via via verranno a crearsi le prime ribellioni nei confronti dello shingeki. Drammaturghi vecchi e nuovi Kubo Sakae: prediligendo il realismo socialista, dedica molti drammi alla situazione del Giappone sia rurale che industriale, toccando temi di attualità in cui il singolo è inevitabilmente influenzato dall’ambiente e dalla società circostante. Kinoshita Junji: è un nuovo drammaturgo che, attento alle tematiche sociali, introduce novità con trame popolari spesso in forma di fiabe. Abe Kōbō: ispirandosi al modello brechtiano, mette in scena lavori surrealisti, con soluzioni sceniche sperimentali. Mishima Yukio: sia romanziere che grande drammaturgo, riscrive drammi nō per attori shingeki in chiave psicologica moderna, fa trasposizioni del kabuki e si dedica a imitazioni ironiche e del teatro francese. Nuove tendenze o Esistenzialismo francese o Tema dello straniamento (Brecht) o Alienazione dell’individuo nella società capitalistica o Producer system: introdotto sotto la pressione americana, non avrà molto successo, ma consentirà di far conoscere autori americani o Non avendo un edificio stabile, le compagnie di shingeki saranno inviate ad esibirsi nei grandi teatri, fino alla costruzione del secondo teatro stabile dopo lo Tsukiji nel 1954 grazie allo Hayūza. o Lo Zenshinza, una compagnia kabuki resasi indipendente dalla Shōchiku, si stacca dai grandi teatri e si orienta verso un pubblico di giovani o Sviluppo del teatro commerciale di intrattenimento o Ad Ōsaka nascono delle compagnie che portano un nuovo tipo di comicità o Lo shinpa si rianima e si dedica anche ad altri generi o Il filone dei drammi di cappa e spada, creato da Sawada Shōjirō, continuano fino a sbarcare in televisione. Il teatro e le bombe atomiche Anche la tragedia delle due bombe atomiche si rispecchia nei drammi teatrali, con opere come Shima e Maria no kubi. Ma sarà il teatro nō a dar voce all’immenso dolore delle vittime sopravvissute. Note sulla contemporaneità Tradizioni e sperimentazioni Dopo la fase di occupazione americana, inizia una fase di sperimentazione anche a livello musicale. La figura creativa di Takechi Tsukiji cura teatri combinando attori di vari generi come il nō e il kyōgen e cerca di far rinascere il kabuki decaduto di Kyōto ed Ōsaka, per poi dedicarsi al cinema porno. Nella formazione di piccoli teatri, figure importanti sono: o Suzuki Tadashi: rielabora la tragedia greca secondo la tradizione giapponese del nō e dei kagura. o Ōta Shōgō: il suo è un teatro di silenzio, con richiami alla tradizione. La terza generazione e gli anni ottanta È una generazione spensierata, lontana dalle delusioni post secondo conflitto mondiale. Sono anni di benessere economico, in cui le installazioni scenografiche si ingigantiscono e si proiettano sempre di più verso immaginari futuristici, legati alla nuova tecnologia. Emergono la dimensione comica (con la troupe di Tōkyō kandenchi) e il senso ludico (con Kawamura Takeshi), compagnie femminili, trasposizioni nostalgiche di spettacoli classici; emerge anche il gusto per il grottesco, per la sperimentazione e per l’avventura, così come l’interesse per i musical, anche di tipo rock. o Noda Hideki: i suoi spettacoli sono caratterizzati da rapidità e sperimentazione, da temi di avventura e fantascienza, di scoperta di sè, inscenate con scenografie imponenti. o Watanabe Eriko: autrice e attrice che mescola vari stili e varie tematiche, creando opere incentrate su giovani (shōnen mono) che toccano tutti i temi più attuali del periodo (tecnologia, quotidianità, sensazione di solitudine, divertimento e dimensioni oniriche). Sono anche anni in cui le grandi imprese sono disposte a investire negli spettacoli culturali. Intanto si guarda sia al passato, con nostalgia, sia al futuro, con timore. Molti sono infatti i drammi che inscenano immaginari apocalittici con personaggi umani e androidi insieme. Così come vengono scelti temi sul nucleare, che si rifanno al disastro di Cernobyl di quegli anni. Gli anni novanta e oltre In questo periodo il governo gioca un ruolo importante perché sceglie attivamente di investire nell’arte. Ci sia avvia così verso una ristrutturazione del teatro: si riscoprono la tradizione e il repertorio classico; la storia da raccontare torna ad assumere un ruolo centrale; si predilige un teatro silenzioso e pacato. Ci si allontana anche dall’idea di compagnie auto-sufficienti, di artisti che si specializzano in un solo genere, per abbracciare la coesione tra diverse produzioni: nascono attori freelance che arricchiranno il proprio bagaglio culturale e porteranno continue novità al nuovo pubblico, sempre in cerca di novità. Nome importante è quello di Okada Toshiki, che raggiunge il successo anche in Europa. Mette in scena un linguaggio sperimentale, basato su gesti di nevrosi, frasi incompiute e movimenti scoordinati. Hirata Oriza, invece, cerca di far riavvicinare il linguaggio teatrale il più possibile a quello del quotidiano, che con i continui adattamenti dalle opere occidentali era andato irrigidendosi; propone anche drammi sui robot, sulla tecnologia e sull’artificialità. Con le nuove generazioni, i temi toccati saranno sempre più truci, crudi, inquietanti: i nuovi temi sono il sesso, la violenza privata e la disperazione a rappresentare le nuove generazioni che non devono più confrontarsi con guerre, ma piuttosto con una società che sta cambiando e che intimorisce sempre di più. Fluidità e dissipazione Nei tempi più recenti le esperienze teatrali sono molte e spesso discordanti. Si rimane legati al repertorio classico occidentale, come quello di Shakespeare, piuttosto che al balletto e all’opera, ma allo stesso tempo importanza è ancora data alla storia raccontata che continua ad affascinare gli spettatori. Gli artisti sono ora più indipendenti ed estremamente professionali in tutti i campi. Maggiore è la sensazione di provvisorietà, con trame esili e inconcluse e con dimensioni sfuggenti. L’essenziale del nō continua ad intrecciarsi con il dinamismo del kabuki, in una visione del tutto nuovo e reinventata. Tematiche inevitabili sono quelle della tecnologia, della modernità, dei multimedia e dei robot, accompagnate da un senso di irrequietezza e di disagio. Il palcoscenico riserva grande spazio anche alla riflessione sulla precarietà della vita, sulla sua incertezza e sullo scorrere del tempo, che viene a volte compresso a volte rallentato. Il corpo e i sentimenti continuano a giocare il ruolo fondamentale, così come l’importanza dell’esperienza dello spettacolo dal vivo che si riafferma.
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