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Riassunti storia dell'arte giapponese, Appunti di Storia Dell'arte

Riassunto del libro di arte giapponese "History of Japanese Art"

Tipologia: Appunti

2016/2017
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Caricato il 28/03/2017

nicole-moretti
nicole-moretti 🇮🇹

4.3

(13)

12 documenti

Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunti storia dell'arte giapponese e più Appunti in PDF di Storia Dell'arte solo su Docsity! Storia dell'Arte Giapponese (mod.1) Avvertenze: 1) Essendo il libro in inglese, non garantisco una corretta traduzione, soprattutto per quanto riguarda termini tecnici; comunque in genere le traduzioni inventate sono state fatte tenendo d'occhio le immagini, e se non si riferiscono realmente a quanto scritto sul libro, almeno sono verosimili; 2) Nel riassunto cerco di mettere insieme il libro e gli appunti (questi ultimi li ho aggiunti solo fino all'immagine 175, oltre non avevo gli appunti miei per seguire l'ordine del libro): eventuali incongruenze saranno segnalate; non tutto quello che è negli appunti è anche sul libro però, quindi riguardateli lo stesso; 3) "Hall" viene sempre tradotto con sala, anche quando si riferisce a costruzioni singole: se trovate termine migliore di traduzione, usatelo, e magari mettetemi a conoscenza di tale parola; lo stesso vale per altri termini che non sapevo come tradurre; 4) "AD" vuol dire "Anno Domini", ovvero "dopo Cristo", "BcE" vuol dire "bEfore current era", ovvero "avanti Cristo"; "AD" verrà usato solo finché strettamente necessario; 5) Il testo tra parentesi quadre è da ritenersi mio commento personale; possono essere miei scleramenti o giudizi personali, ma anche comunicazioni di servizio: decidete voi se leggerli o meno; 6) I nomi delle opere sono scritti in azzurro, quelli degli autori e delle persone importanti in viola, i termini generali in giapponese, solo alla loro prima comparsa, in bordeaux; spero si vedano le differenze di colore, e non escludo un piccolo glossario in futuro; 7) I numeri tra parentesi se sono da una a tre cifre, si riferiscono al numero dell'immagine sul libro (per favore, non confondeteli con gli eventuali anni di creazione); quelli in grassetto si riferiscono ad immagini che compaiono anche negli appunti; 8) Il libro riporta molti fatti storici o piccoli riassunti della storia buddista; per chi non si ricorda nulla dall'esame di storia e/o da quello di filosofia (prima di tutte la sottoscritta), se utili al programma del corrente esame, sono brevemente ripresi; 9) Il seguente riassunto è stato redatto da Gekkeiju, e a lei (cioè a me) ne appartengono i diritti; questo può circolare liberamente, ma per ragioni "statistiche” si prega di comunicarne la diffusione; 10)Si declina ogni responsabilità da errori ecc. e da ogni uso scorretto del seguente riassunto, compreso l'ingestione o l'inalazione; 11)Tenere fuori dalla portata dei bambini. The Birth of Japan The Neolithic Jomon and the protostoric Yayoi and Kofun periods La preistoria giapponese inizia verso il 10000 [spero di non essermi persa degli "0" per strada] al IV secolo AD. Da poco si è scoperto un nuovo sito ad Aomori; prima di questo ritrovamento si pensava che la produzione di vasellame in Giappone fosse iniziata alla fine dell'era glaciale (inizio neolitico). L'Asia orientale, e quindi il Giappone, è stato importante centro per la produzione del primo vasellame. Era abitato da comunità di cacciatori che rimasero isolate con la separazione delle isole dal continente dopo l'era glaciale. Nel neolitico le condizioni climatiche migliorano, e gli uomini passano dal nomadismo alla sedentarietà, il che portò alla coltivazione del riso ed alla costruzione dei primi villaggi. Al neolitico risalgono nuovi reperti litici più raffinati, segno di una civiltà più organizzata benché, in Giappone, ancora nomade. Vengono ritrovati vasi decorati con un motivo a corda: questo è detto Jōmon (motivo a corda) e da nome al primo periodo della preistoria giapponese. Il Jōmon va da 10000 al 3000 BcE, diviso in sei periodi [dal nome inglese praticamente intraducibile: che differenza c'è tra "incipit", "initial" e "early Jōmon"?]. Del Jōmon sappiamo poco [e vi risparmio l'elenco delle cose che non sappiamo], ma nel medio Jōmon, la civiltà era abbastanza estesa e addirittura c'erano forme di commercio tra le varie comunità, ma anche se nel resto dell' Asia Orientale le popolazioni conoscevano già la metallurgia, erano ancora nell'età della pietra. Nelle fasi più antiche si hanno oggetti semplici, grezzi e dal fondo a punta. La popolazione (scarsa) era divisa in piccoli gruppi nomadi che si estendevano su vaste. La loro produzione (di cui non abbiamo pezzi integri) era quindi di vasetti adatti alla vita nomade, e con lo sviluppo dell’insediamento nascono anche ciotole piccole e profonde, adatte alla cottura del cibo. Sempre dalla fase iniziale del Jōmon abbiamo piccole figurine/statuine, i dōgu, dalla forma rudimentale, in pietra o in argilla. In seguito, i dōgu prenderanno forme più definite e funzioni rituali. Alla fine della prima fase Jōmon si trovano gioielli in pietra, che rivelano una divisione gerarchica e una ritualità nei funerali, oltre che una cultura estetica. Dal 5000 la popolazione aumenta e si stabilizza. S’iniziano a ritrovare le prime lacche giapponesi. I villaggi di cui sono stati ritrovati segni presentano delle costruzioni dette "case-pozzo", scavate sottoterra per circa 50cm, in genere di pianta squadrata, con tetti in paglia, canne, e corteccia sorretti da travi e pilastri in centro e lungo il perimetro. Negli insediamenti sono state trovate anche enormi strutture (fudodo), forse su più piani, probabilmente usate come luoghi di incontro o di lavoro. I vasi iniziano a non essere più solo funzionali: hanno il fondo piatto e la decorazione aumenta (ad esempio il bordo diventa "ad ondina" [credo che questo termine l'ho inventato io...]), e le decorazioni erano legate ai culti della fertilità. Si trovano anche figure semiumane (6), ovvero umane nella parte superiore e falliche in quella inferiore. "esportando" il suo gusto per la tridimensionalità e per il realismo (stile internazionale Tang); i Tang furono patroni delle arti e del buddismo. L'ambasceria di Paekche del 552 attirò l'interesse di Soga no Umako e di Shōtoku Taishi sul buddhismo al punto che lo introdussero in Giappone. Nelle residenze imperiali si iniziano a costruire altari buddisti e a fondare templi privati. Le capitali giapponesi erano divise da larghe strade che s’incrociavano perpendicolarmente con altre più piccole formando unità dette chu, il palazzo (imperiale) e la città erano circondati da mura di terra. Il recinto imperiale era aperto a Sud in una grande aia, al cui opposto era la grande sala di ricevimento (daigokuden), gli uffici dei ministri della destra e della sinistra erano ai due lati dell'aia, mentre a Nord del daigakuden stava la residenza imperiale. Il daigokuden poggiava su basi di pietra per ogni pilastro ligneo ed era coperto da tegole. La residenza imperiale era composta da diversi edifici ed era coperta da assi di cedro. Sono stati costruiti numerosi templi tra cui l'Asukadera (588), che copre numerosi cho. Nel 710 la capitale passa da Fujiwara-kyō a Heijō-kyō, con un nuovo palazzo imperiale (Suzaku-oji), e i templi Shinto e buddhisti vengono spostati nella nuova capitale. Viene creata una periferia, gekyō (capitale esterna) a Est, per trasferirvici l'Asukadera (rinominato Gangō-ji) e il Kōfuku-ji, un’installazione buddhista dei Fujiwara. A causa della crescente influenza dei monaci buddhisti, Nara; l'architettura era ampiamente influenzata da quella continentale: strutture in legno di pali e travi, coperte da tegole o in legno e corteccia, intorno a cortili e a giardini con laghetti artificiali e torrenti, piante e rocce per creare un piccolo paesaggio artificiale. Le prime scritte che si ritrovano in Giappone provengono da reperti cinesi o coreani, o in pezzi giapponesi con scritte in cinese; inizia in Giappone l'arte della calligrafia, da cui poi si svilupperà la pittura. Gli aristocratici donavano oggetti preziosi ai templi, di cui molti di origine continentale. Nel 756 Kōmyō, in memoria del marito, l'imperatore Shōmu, dona molti oggetti al tempio nazionale, il Tōdai-ji, e per conservarli viene costruito lo Shōso-in (un magazzino). Lo Shōsoin viene costruito con lo stile dei granai Yayoi, azekura. Le mura sono composte da travi triangolari che si concatenano agli angoli senza bisogno di pilastri, lasciando la parete interna liscia e quella esterna "frastagliata"; la costruzione è sollevata da terra e divisa in tre sezioni unite. I pezzi donati a volte venivano conservati nel kondō, la sala d'oro. Tra questi pitture su pannelli o su biwa che richiamano lo stile giapponese yamato-e e ciotole che mostrano influssi cinesi e lacche. La lacca fu una delle più grandi esportazioni cinesi fin dal periodo Han: prodotta dalla linfa di un arbusto, poteva essere colorata e usata per la decorazione su altri materiali, rendendoli levigati. Un aspetto continentale che i giapponesi non adottarono fu l'organizzazione delle stanze: la vita domestica e il mobilio rimasero molto legati al pavimento. I pavimenti degli edifici privati erano essenzialmente in legno, mentre nei templi e negli edifici pubblici si seguiva la moda continentale che voleva pavimenti in pietra e tetti in tegole di ceramica. Nelle abitazioni i pavimenti erano ricoperti da vari tipi di stuoie, tappeti di feltro coreani, e soprattutto da tatami. Elemento essenziale per la venerazione shintoista era l'iwakura, il luogo naturale che il kami ha scelto come residenza, in genere rappresentato da un tempio in legno, all'interno di un recinto, aperto da un particolare cancello torii (due pilastri sormontati da due architravi leggermente concavi). Il tempio shintoista più importante è quello costruito a Ise (vicino a Kyōto), in cui è conservato lo specchio donato dal decimo imperatore Suinin. Il tempio di Ise è formato da due recinti, uno esterno, gekū, e uno interno dedicato ad Amaterasu, naikū,. All'interno si trovano due aree: una contiene gli edifici, l'altra è pronta per ospitare la successiva costruzione del tempio. Il sentiero per giungere al tempio è parallelo ad un torrente, e prima del torii d'ingresso si trova un bacino che contiene l'acqua per sciacquarsi mani e bocca. L'edificio principale, Honden, in cui si conserva lo specchio, è circondato da tre palizzate, e l'accesso è limitato a poche persone. Lo Honden è al centro del recinto più interno e la sua architettura riprende lo stile dei granai Yayoi (azekura), mentre le altre costruzioni sono più vicine allo stile Edo. Il buddismo si sviluppa a partire dagli insegnamenti di Shakyamuni, e dato che il suo primo insegnamento si è tenuto in una foresta di cervi, questi animali simboleggiano quel primo discorso e sono ritenuti sacri. Altra figura importante per il buddismo è Miroku ♡ (Maitreiya), il Buddha del futuro: poiché siamo ancora nell'era di Shakyamuni, per ora sta nel Tosotsu come bodhisattva, ed è rappresentato come un giovane in meditazione o già buddha sul trono. Dal punto di vista iconografico, Miroku è un misto tra un buddha e un bodhisattva: corona, torso nudo e nessun gioiello. Grande impulso al Buddismo si ebbe con l'imperatrice Suiko. Il suo reggente, Shōtoku, integrò il buddismo nelle sue riforme. Si costruirono Asukadera e Wakakusadera (in seguito Hōryū-ji). Nel 754 il monaco Ganjin introdusse il buddhismo Hinayana e la scuola Vinaya (testi che illustrano le regole a cui ci si deve attenere), e il buddismo si diffonde a corte. Shōmu costruisce monasteri in ogni provincia secondo il canone (della 5a scuola) Kegon. Per ospitare questa scuola viene costruito il Tōdai-ji, in cui nel 752 viene eretta una colossale statua di Buddha Birushana, Dai Butsu, come sua icona principale (Birushana è la buddhità, e buddha e bodhisattva sono sue emanazioni; diventa quindi metafora dell'imperatore e dei suoi governatori. In genere viene rappresentato tra quattro esseri, le sue emanazioni per le direzioni.) I templi derivavano la loro forma dall'architettura profana, infatti avevano come modello le case civili. Le forme provenivano dalla Corea. Le costruzioni principali, in genere ad un piano, erano circondate da recinto e gli edifici erano simmetrici, lungo l'asse Nord-Sud, con i portali erano rivolti verso il lato meridionale. L'Asukadera viene completato nel 590. È uno dei primi templi della nuova capitale (Nara), e dopo che vi fu spostato prese il nome di Gango-ji (l'edificio è stato pesantemente distrutto da incendi in epoca Kamakura.) Il Wakakusadera, altra costruzione voluta da Shōtoku, venne completato all'inizio del VII secolo, ma venne distrutto dal fuoco nel 670. La ricostruzione terminò nel 711, diventando parte della nuova capitale Heijō, e rinominata Hōryū-ji. "tera/dera" e "ji" sono due letture diverse dello stesso carattere, e indicano templi dove si conservano icone per la venerazione o dove si compiono cerimonie. Alla fine del VII secolo si decreta che i templi buddisti dovessero avere nome in stile cinese-ji (e.g. Wakakusadera àHōryū-ji). Le costruzioni più importanti sono il cancello di entrata chūmon, che introduce un chiostro con tetto che circonda le principali strutture, la pagoda, il kondō (sala d'oro) che può essere detta hondō (edificio principale) e che contiene l'altare principale e le altre immagini del tempio. Gli edifici di servizio per i monaci erano invece costruiti all'esterno delle mura. Modello dell'architettura Asuka era quella coreana. Ad esempio l'Asukadera s’ispirava allo stile dei templi Koguryō (tre larghi kondō disposti ai tre lati di una pagoda quadrata ed il chiostro con unico cancello d'entrata; all'esterno un deposito per i sutra. kyōzō, un campanile, shōrō, e una sala di lettura, kōdō,. (63). Shitennōji e Hōryū-ji avevano invece come modello Paekche, su linea verticale, con la pagoda e un unico kondō sullo stesso asse mediano di un rettangolo, formato da un chiostro con tetto e con un’unica apertura. All'esterno c'erano un deposito per i sutra, un campanile, un refettorio e i quartieri dei monaci (64). Per arrivare al grande cancello meridionale dello Hōryū-ji (Nandaimon) si deve passare per una strada ciottolosa, accanto a mura con tetto che circondano il chiostro minore del tempio. Il chūmon (68) è nel muro del chiostro con tetto intonacato, su due piani e a due campate. Nella campata più esterna si trovano due Niō (divinità appartenenti al gruppo dei Kongōin, il cui compito è fare da guardia al buddismo e ai suoi credenti). Il guardiano ad ovest è Agyō, guardiano del dì, dalla pelle rossa e la bocca aperta, mentre a Est si trova Ungyō, difensore della notte, dalla pelle scura e dai denti stretti. All'interno si trovano le due strutture principali del complesso: il kondō, largo e tozzo, e la pagoda a cinque piani. Il kondō (69) serve al culto attivo. Poggia su un doppio basamento in pietra, secondo tradizione cinese, ed è un edificio a due piani, benché i tesori si trovano solo nel primo. Ha due tetti più un mokoshi (finto tetto forse utile a coprire la parete, solo intonacata, dalla pioggia) e con balaustra decorativa. Si entra all'interno tramite una soglia alta e stretta, e il fedele si ritrova davanti una fila di statue su un altare rialzato all'interno di una stanza scura. Il culto si esercita girando in senso orario intorno a questo altare, fermandosi davanti le statue. Il kondō riprende la funzione del chaitya indiano, nel quale era contenuto uno stupa, una costruzione funeraria che rappresenta la tomba del Buddha. La pagoda (72) ha anch'essa doppio basamento. Ognuno dei tetti in legno dei cinque piani (con mokoshi) ha una balaustra decorativa, e il degradare delle loro dimensioni danno senso di leggerezza. Le mensole che sorreggono le grondaie, hanno la forma stilizzata di nuvole (ascesa al cielo), con una forte tridimensionalità. La pagoda è l'edifico che prende il posto dello stupa, che in Cina prende la forma della torre di guardia. Il simbolismo della pagoda è duplice: ricordare una persona importante, e realizzare un diagramma dell'universo (l'invisibile sentiero seguito dai fedeli, che basa sulla terra e si collega all'assoluto). Il pilastro centrale, un singolo pezzo di legno che collega il tetto al terreno, e poggia su una cavità che contiene tesori. Nello stupa sulla cupola si trova un harmika (piccolo posto) dove risiede la divinità. Nella pagoda è segnalato da una struttura detta sōrin, che si estende sopra il tetto. Consiste in una forma a ciotola, fuku hachi, con un simil-piattino, roban, e sopra un’asta che si alza verso l'alto, dalla parte superiore dall'aureola, a fiamma, che si allarga in una maggiore sul fondo. La più interna è a fiore di loto (simbolo di purezza, perché s’innalza dal fango), mentre la più esterna è a fiamme (il verbo che si diffonde) con i sette Buddha del passato su dei fiori di loto. Sopra l'aureola si trova un cintamani (gioiello che esaudisce i desideri), tra fiamme e un loto rovesciato. Ai lati troviamo Kannon a sinistra (riconoscibile per il piccolo Amida sulla corona) e Seishi a destra (con un vasetto nella corona). Il Kannon dello Yumedono (89) non direttamente attribuita a Tori, ma nel suo stile, si trova nell'Hōryū-ji; Kannon, Bodhisattva della misericordia, è il Bodhisattva più popolare dell'Asia Orientale. La statua era chiusa in un altare ligneo e per un periodo i monaci si dimenticarono della sua esistenza: pur essendo in legno di canfora, si è così ben conservata che mantiene ancora gran parte della foglia d'oro e del colore con cui era decorata. È ricavata da un unico pezzo di legno, fatta ecccezione per la fine del drappeggio delle sciarpe e il piedistallo. È rappresentato stante, su un trono a loto rovesciato che posa su una piattaforma esagonale. Nelle mani tiene un cintamani. In periodo Asuka la pittura era molto diffusa, ma ne sono rimasti pochi esempi. Uno è quello fornito dal tempio Tamamushi (650 circa) (90), un reliquiario in legno a forma di tempio sostenuto da pilastri su una piattaforma che si trova nel Daihōzōden dello Hōryū-ji. La superficie esterna di questo kondō e i lati del plinto sono dipinti con Bodhisattva, Shitennō (i quattro re guardiani) e racconti buddhisti; i lati dei pannelli e i piedistalli sono decorati a traforo metallico (la cui base erano le ali iridescenti del tamamushi), mentre all'interno le ante sono intagliate a piccoli Buddha. Sulle porte frontali si trovano due degli Shitennō, figure in armatura che sembrano fluttuare, come se stessero facendo un passo avanti, lasciando ondeggiare le sciarpe indietro. Sulle pareti laterali si trovano invece graziosi Bodhisattva, con in mano il bocciolo di loto della compassione (simbolo legato a Kannon). Il piedistallo è decorato con classici temi buddisti: davanti, due monaci offrono incenso a delle reliquie; dietro c'è il monte Sumeru, centro dell'universo che divide cieli, terra ed oceani; i pannelli laterali raffigurano jataka, storie delle vite precedenti di Shaka. Il jataka del "Sacrificio alla tigre affamata"(91), che rappresenta il tema del sacrifico di sé, appare tre volte nel pannello. La prima, in alto, lo vede mentre toglie la camicia, lo ritroviamo che si getta dalla rupe e infine mentre è cibo per la tigre e i cuccioli. Il movimento circolare che segue lo svolgersi delle scene è adatto alla forma verticale del pannello e rende chiara la successione. Ad eccezione dello Yumedono Kannon, tutte le altre sculture dello Hōryū-ji risalgono al periodo Hakuhō. Le prime per data e stile, sono gli Shitennō agli angoli dell'altare centrale del kondō: Tamonten, il re del nord, Zōchoten, il re del sud, Jikokuten, il re dell’est, e Kōmokuten, il re dell’ovest. Questi sono realizzati da blocchi unici di legno, con solo le aureole, i demoni su cui poggiano (che rappresentano i nemici del buddismo) e le sciarpe ondeggianti ai piedi di ognuno ricavati da altri blocchi. Mantengono tracce del colore e della doratura. Le corone e le altre decorazioni a traforo sono in oro. Nei corpi non c'è vitalità, ma le sciarpe in avanti invece che ai lati danno senso di profondità. Si possono datare al 650 circa, grazie ad un’iscrizione dietro l'aureola di Kōmokuten e ad un passo del Nihon Shoki sulla commissione degli Shitennō. La statua di Kudara Kannon (95) è alta, in legno policromo, e da l'idea di un’apparizione. Kannon è stante, su un plinto quadrato che poggia su un loto rovesciato. Ha il corpo allungato, slanciato e magro, e in mano tiene un vaso. I capelli sono raccolti e le sciarpe hanno pieghe appena accennate e piegano avanti. Lì vicino (allo Hōryū-ji) si trova il Chūgū-ji (convento di Chūgū), dove si trova una statua di Miroku♡(96). La figura di questo Miroku è seduta, con una gamba pendente e l'altra piegata con la caviglia sul ginocchio opposto su cui è poggiato il gomito destro, con la mano al viso in gesto di pensiero. Caratteri della scultura Hakuhō riscontrabili sono il torso gentilmente gonfio, il viso modellato morbidamente e la posa naturalistica. Il successivo sviluppo dello stile Hakuhō è dimostrato da un gruppo di 6 bodhisattva 6 (sempre nello Hōryū-ji), soprattutto un Kannon (98). Le sei immagini sono realizzate secondo la tecnica del blocco unico ichiboku zukuri da legno di canfora e ricoperte da lacca e foglia d'oro, ma con gioielli, capelli e fermagli modellati fuori dalla lacca e fissati prima della foglia d'oro (primo uso della lacca non come strato di protezione, in Giappone. Probabilmente queste in origine erano otto ed erano il corteo di un gruppo di Buddha delle Direzioni.) L'ultimo gruppo di sculture dello Hōryū-ji sono due Niō del chūmon e un gruppo di statue in argilla, al primo piano della pagoda. Queste ultime sono situate in uno scenario di rocce intorno al pilastro centrale. Rappresentano diversi temi buddhisti. A Nord si trova il gruppo che rappresenta il Parinirvana (99), ovvero la fine dell'ultima vita di Buddha. Buddha, dal corpo dorato, è sdraiato su una piattaforma, sotto gli occhi dei discepoli, dei bodhisattva e della madre Maya. Mentre i discepoli sono disperati, non avendo capito il vero significato di ciò che sta succedendo, i Bodhisattva sono molto tranquilli. A Ovest è rappresentata la spartizione delle reliquie di Buddha, mentre a Est sta un discorso tra Yuma (Vilamakirti) e il Bodhisattva della Saggezza Monju (100), vinto da Yuma, poiché l'illuminazione può essere raggiunta anche dai laici. Nello Hōryū-ji si trovano anche i pochi esempi di pittura del periodo Hakuhō. Questi sono rappresentati da frammenti, originariamente destinati al kondō, che era decorato da 12 pitture parietali ora distrutte. I pannelli rappresentavano i quattro Buddha delle Direzioni, emanazione di Birushana: Amida a Ovest, Ashukū a Est, Fukūjōju a Nord e Hōshō a Sud, ciascuno accompagnato dai propri bodhisattva. Amida (101) è rappresentato seduto su un trono con alto schienale, mentre è nel mudra dell'insegnamento; indossa una veste rossa, mani e viso sono paffuti. Alla sua sinistra si trova Kannon, mentre a destra sta Seishi. I Bodhisattva hanno corone elaborate, e i capelli che scendono sulle spalle scuri, che si confondono con i lacci delle corone. Sono in posizione speculare, con sguardo assente, posa languida e bacino obliquo (simmetria tipica Tang). Il fondo è decorato con una rappresentazione del paradiso delle anime salvate. La tecnica usata per i dipinti richiedeva che il muro intonacato venisse prima costruito con fini strati di materiale. Una volta seccato, vi si trasferiva il disegno dai cartoni per "punteggiamento". Infine i pigmenti venivano applicati sul disegno, sulle mura asciutte. Tecniche tradizionali della pittura buddhista qui riscontrabili sono: il rosso al posto del nero per i contorni delle figure, la linea a "filo di ferro" che non cambia spessore. Nello hondō dello Yakushi-ji troviamo una Triade di Yakushi (102-103), sempre di periodo Hakuhō. Rappresenta Yakushi tra i Bodhisattva Nikkō, a sinistra, e Gakkō, a destra. La triade è fusa in bronzo con l’aggiunta di stagno e arsenico, che lo rende molto scuro e quindi in forte contrasto con l'oro delle aureole. Le figure sono piene e corpose, trattate naturalisticamente. Yakushi è nel mudra del non temere (l'ari-in, espilicazione dell'insegnamento) e ha un corpo paffuto. Il collo ha tre pieghe, il petto è pieno, le spalle tonde e la veste leggera ha ampie pieghe realistiche. Il braccio reggeva un vasetto di medicina. Il trono su cui siede è decorato con diversi motivi (una banda con foglie d'uva, tipicamente Tang, e, su ogni pannello, una fenice, un drago, un serpente- tartaruga e una tigre. Ai suoi lati si trovano gli attendenti Nikkō e Gakkō, rappresentanti la luce solare e quella lunare. Anch'essi hanno viso pieno, con pieghe sul collo, e la pancia tonda che si vede dalla gonna. Le gambe spuntano leggermente dalla veste e l'anca spostata da movimento alla figura. Le sciarpe interrompono le linee, altrimenti solo verticali. Le masse plastiche contrastano per la loro superficie liscia con gli elaborati gioielli. In periodo Nara la scultura buddhista continua a rifarsi al realismo dei Tang; i materiali più usati sono legno, lacca secca e argilla. Nel Kōfukuji si trova un set dei dieci discepoli di Shaka e le sculture delle otto classi di esseri (con Shitennō) che facevano parte di un grande gruppo scultoreo dedicato dalla consorte imperiale Komyō alla madre e completate nel 734 da un gruppo di artigiani tra cui un busshi detto Shogun Manpuku e altri della gilda di artigiani del tempio. Importante è la nuova tecnica importata dalla Cina della "lacca secca" dakkatsu kanishitsu: questo nuovo materiale non solo dà la possibilità di creare pezzi che durano a lungo, ma che sono anche leggeri da trasportare. Il procedimento vuole che s’inizi con una armatura di legno, che viene ricoperta di argilla e poi da strati di canapa o stoffa laccata; la statua viene poi tagliata e l'argilla rimossa. I ritocchi vengono eseguiti in kokuzo urushi (lacca, incenso, polvere d'argilla ecc.); la statua viene ricoperta poi di lacca nera o con argilla sottile e colla animale colorata (hakudo). Le sculture in argilla sono invece fatte con armature in legno gonfiate da paglia di riso e ricoperte da argilla e fibra di riso, uno strato di argilla con fibre di carta, asciugata e non cotta, per poi essere colorata. Nel medio periodo Nara viene risistemato il Tōdai-ji e vi viene messa un' enorme statua di Buddha Birushana, il Dai Butsu. Questo viene completato nel 749, mentre l'aureola è del 771. Buddha poggia su un piedistallo a forma di loto, con 48 petali, ognuno dei quali ha uno Shakyamuni con altri Buddha. Ogni petalo, secondo il kegonkyō, rappresenta un universo amministrato da uno Shaka e i suoi attendenti. È una figura corposa, dalla veste molto decorata. L'altare centrale dello Hokkedō porta varie sculture in argilla e lacca secca. L'immagine centrale è Fukūkenjaku Kannon (Kannon dal laccio mai vuoto, che prende nella corda le creature intrappolate nell'illusione e le salva all'illuminazione) (108). È il Kannon a otto braccia che rappresenta le 33 forme assunte da Kannon. Forse è del 740 circa, in risposta al provvedimento che Dal 794 fino al 1868 capitale del Giappone sarà Heian. L'imperatore Kanmu, infatti, cercò di liberarsi del poter delle sei scuole buddiste dopo le ambizioni di Dōkyō durante il regno di Koken. Prima capitale diventa Nagaoka, ma dopo dieci anni le calamità dovute alla vendetta degli spiriti di due politici, fanno spostare ancora su Heian. Heian soddisfa la geomanzia cinese: ha montagne su tre lati, e due fiumi. Il periodo si divide in primo Heian (794à951), medio Heian (o Fujiwara, 951-1086) e tardo Heian (1086à1185). Il potere passa dai monasteri all'aristocrazia, e di conseguenza si forma una cultura di corte, mentre il buddismo si orienta all'esoterismo o a movimenti "popolari". - Il primo periodo Heian inizia con una certa continuità nell'aderire ai modelli cinesi, ma alla fine del suo primo secolo s’inizia a capire che il Giappone non ha più nulla da guadagnare dalla Cina, avendo sorpassato il suo modello, e nell'894 si sospendono le ambascerie. La corte praticamente si richiude. I giapponesi iniziano a godere del loro stesso senso artistico e a riprendere stili e tecniche che si confacessero al gusto nazionale. Le province diventano shōen. - Nel medio periodo Heian, i Fujiwara pendono il dominio del nuovo governo su modello cinese, con la riforma Taika del 645 e si autoproclamano sesshō e kanpaku, governando al posto dell'imperatore. In questo periodo fiorisce la cultura giapponese. L'aristocrazia aveva tempo e soldi da spendere per i propri bisogni estetici (biwa, poesie, koto) e per attività religiose (copiare sutra, dedicarsi a cerimonie complesse). - Nell'ultimo periodo Heian (Insei) gli imperatori riescono a liberarsi del potere dei Fujiwara, grazie al sistema degli insei. Scoppiano scontri tra i Taira e i Minamoto, che si confluiscono nella guerra Genpei (1180-1185), vinta dai Minamoto, che istallano il bakufu a Kamakura. Si spende molto per l'arte secolare, e si creano diverse illustrazioni per il Genji monogatari, mentre poesie vengono scritte o copiate su carta decorata. Anche Heian è basata su una griglia rettangolare (5Km x 6Km) di strade. Il recinto del palazzo, che comprende gli edifici governativi, occupava i quattro blocchi centrali a Nord, mentre l'area commerciale era relegata poco a Nord rispetto i due templi della città, Tōji e Saiji, posizionati sul bordo Sud della città, sia per proteggerla che per tenerli lontani dalla corte. (oggi la città si è spostata, e gli edifici del palazzo non sono più gli stessi). Nel palazzo imperiale, l'edificio più importante, secondo lo stile cinese, era il Daigokuden (grande sala di ricevimento), più grande delle precedenti, e subito andata in disuso e distrutta da un incendio nel 1171. Fu sostituita dalla Shishinden, sala del trono, per le maggiori cerimonie di stato, e dal Seiryōden, dove l'imperatore dava udienze informali. A Nord e a Est, collegate da corridoi coperti, da queste si estendevano gli altri quartieri della casa (come le stanze delle mogli) e sale di servizio (cucine, infermeria, ecc.). A Sud, vicino l'entrata principale, erano invece gli edifici governativi. Lo Shishinden (126), essendo di uso cerimoniale, è una costruzione imponente, retta da alti pilastri e coperta da un doppio tetto in travi di cipresso. Il pavimento interno è coperto di travi in legno e piattaforme in legno, dietro alle quali si trovano pannelli con dipinti saggi confuciani che fanno da parete. Il Seiryōden è di scala minore, retto da brevi pilastri e con tetto singolo, ma sempre in cipresso (n.b: prima per gli edifici pubblici importanti si usavano tegole), più vicino al gusto nazionale. All'interno i pavimenti erano a tatami, le pareti erano formate da porte scorrevoli (fusuma) decorati con paesaggi in stile yamato-e (pittura giapponese) o kara-e (pittura cinese). Le grandi case nobiliari erano dette shinden. Un gentiluomo non si costruiva subito una casa, ma prima girava per quelle delle famiglie delle mogli, e solo quando ereditava il titolo di capofamiglia portava tutte le sue spose nella sua nuova casa; questa era costituita da una serie di sale e piccoli edifici uniti da corridoi coperti, tra i quali stavano giardini. L'appartamento del capofamiglia era più a Sud, con davanti un laghetto artificiale, mentre appena più a Nord stava l'appartamento della moglie principale, e dietro ancora si trovavano cucine, alloggi dei servitori, magazzini ecc. Le altre mogli vivevano in quartieri separati, a Est e a Ovest, lontani dalla moglie principale. La casa era costruita in legno e il tetto era a travi. Gli spazi interni erano divisi da pannelli decorati in stile kara-e o in tessuto. Le pareti esterne erano costituite da imposte di legno a grata, coperte di carta traslucida che potevano essere tolte per esporre la sala al giardino. La privacy era garantita da tende o graticci di bambù che potevano essere alzati o abbassati. Quasi tutti gli shinden avevano un rigagnolo che da Nord scendeva verso Sud, e a volte raggiungevano un corridoio coperto dove si trovava un piccolo porticciolo. Poiché si viveva sul pavimento, i mobili erano per lo più piccoli tavoli o scatole per conservare gli oggetti. In questo periodo vanno più di moda gli oggetti locali, in genere lacche rosse o nere (negoro) in genere in canapa, o legno, se dovevano reggere pesi. Le lacche erano decorate col sistema maki-e, in altre parole con polvere d'oro e/o argenti spolverata sopra, cui a volte si aggiungeva kirikane, oro tagliato. Le decorazioni tradizionali vengono spesso da immagini poetiche. La lacca è una resina che si estrae dall'albero della lacca, che cresce solo in ambienti caldo-umidi; si estrae tagliandone la corteccia e poi deve essere raffinata. La lacca è incolore, e viene colorata con pigmenti. Non è possibile fare oggetti IN lacca, ma solo laccarli, in genere questi sono fatti in legno. La lacca viene applicata strato per strato, facendo asciugare completamente uno strato prima di aggiungere l'altro, per evitare la formazione di bolle. In periodo Heian nascono la poesia, i kana e la scrittura a filo d'erba sōsho. Le poesie erano scritte su carta decorata, a volte collage con dettagli dipinti per dare idea di paesaggio (136). Nella raccolta Sanjū rokunin emaki di Fujiwara Nobuzane, viene dipinto un ritratto della poetessa e la sua biografia è scritta lì accanto, seguita da una sua famosa poesia in stile sōsho. La poetessa è avvolta nella sua veste pesante e dietro ad una tenda, con davanti a sé una scatola di lacca. Anche per quanto riguarda la pittura si abbandonano i modelli cinesi per uno stile autoctono, pur mantenendo la base calligrafica, tipica della pittura di tutta l'Asia Orientale. S’inizia a dipingere il mondo come lo si vede, ovvero valli, colline e arbusti intorno ad Heian (non più le montagne cinesi). S’inizia quindi una forte distinzione tra kara-e (temi cinesi, come creature feroci mitiche o montagne) e yamato-e, uno stile più soft, dai colori ricchi e non sgargianti, i cui temi iniziano secolari e diventano poi quelli religiosi, e si rifanno alla natura cantata nelle poesie. Il passaggio d una pittura kara-e è visibile nelle 10 immagini su seta del Shōtoku Taishi eden (138) (vita di Shōtoku, "venerato" nei templi buddisti) per l'edono del Hōryūji (oggi al museo nazionale). Gli eventi sono disposti geograficamente e non cronologicamente, negli spazi vuoti tra montagne, alberi o rocce, secondo un uso Tang. Nei pannelli più a sinistra vediamo lo Shitennō-ji nella pianura di Naniwa (Ōsaka), il mare che turbina nella baia, con due demoni e in alto Shōtoku che vola su un carro volante alla volta della Cina, dove ha sognato un sutra che aveva visto nella vita precedente. Il Senzui byōbu (139) è un paravento a sei ante, che illustra un gentiluomo (il poeta Bo Juyi, bandito dalla capitale e poi tornato solo per dimettersi) seduto su un tappeto davanti una casuccia mentre sta per scrivere qualcosa. L'uomo, nonostante si sia ritirato nella sua capanna da cui si vede il suo monte preferito per dedicarsi alla poesia e all'alcoo, continua a ricevere visite di giovani che vogliono diventare suoi discepoli. Gli emakimono sono pitture arrotolate, rotoli che presentano un racconto in parole e immagini. Vengono messi insieme fogli di carta o seta: ad un lato viene unito un bastoncino con frontespizio (in genere carta decorata) che protegge il rotolo quando è chiuso dal suo nastro di seta. In genere gli emakimono iniziano con un passaggio del testo seguito dall'immagine. Il materiale della carta veniva spezzato in fibre fino a farne polpa e poi messa in sospensione in acqua. I fogli, nello stesso emaki tutti della stessa misura, venivano formati su "telai" a due cornici, una con uno "schermo" di bambù, l'altra senza (il primo per far andare via l'acqua, il secondo per mantenere la forma rettangolare). L'emakimono è un formato tipico dell'Asia Orientale, d’invenzione cinese, ma che in Giappone raggiunge i massimi livelli. Gli stili fondamentali sono due: onna-e e otoko-e, quest'ultimo all'inizio indicava uno stile più rude, poi diventa sinonimo della pittura monocroma (o quasi) che riprende lo stile calligrafico cinese. Nel Genji monogatari emaki originariamente erano illustrati tutti i 52 capitoli del romanzo, di cui ne rimangono solo 20, con da una a tre immagini per capitolo, per un totale di 20 rotoli. Probabilmente 5 team di artisti hanno lavorato al progetto, formati da un aristocratico di gran cultura e abile nella calligrafia, più pittori tra cui l'artista principale sumigaki (pittore che disegna a inchiostro nero) e specialisti del colore. Dopo che si era scelto l'episodio da illustrare, il sumigaki progettava la composizione e la schizzava con linee nere sottili, aggiungendo note sui colori da usare. I coloratori [questa parola non esiste] mettevano vari strati di colore (tecnica tsukuri-e, in cui domina il colore), fino a coprire le linee originali. Il lavoro veniva ripreso dal sumigaki, che lo correggeva e aggiungeva le linee dei dettagli. Per esprimere pathos e mono no aware i pittori usano una tecnica che probabilmente hanno inventato loro stessi: le immagini di ambientazione interna vengono realizzate come esterne grazie ai "tetti esplosi" ( fukinuki yatai), facendo sì che l'architettura esprima i sentimenti dei personaggi, insieme ai colori [che esprimono i sentimenti]. - Nella III illustrazione del capitolo di Kashiwagi (140) Genji accetta come suo il figlio della moglie. La prima cosa che appare dell'immagine è un cortile (originariamente argentato) e una veranda. Le grate sono state tolte e si vedono le "tendine" con i loro fiocchi neri. Attraverso quelle si vedono 12 strati di veste e dietro piatti laccati con cibo, che indicano una cerimonia in corso. Genji tiene in braccio il bambino e nell'angolo in alto a sinistra sta la madre del bambino. Il testo descrive i pensieri di Genji, che sa che sia la moglie che le sue attendenti sanno che il figlio non è suo. Questo è esemplificato dalla sua posizione sul pavimento obliquo, e dallo spazio stretto per cui Genji sembra costretto a guardare il bambino. L'interruzione del movimento verso sinistra, Dainichi Nyōrai tra i Buddha trascendenti (delle direzioni). Sul soffitto si alza un pilastro che sale per tutta la costruzione. Di solito i Ryōkai Mandara si trovano nel recinto di un tempio Shingon, il Kongōkai a Est, il Taizōkai a ovest di un basso altare. Il Taizōkai (152) è composto da 12 settori in zone concentriche, ed esprime i molti aspetti della natura della buddità, e per estensione di quella umana, dal punto di vista della compassione. Nella corte degli otto petali, al centro, siede Dainichi Nyōrai in gesto di meditazione. Nelle direzioni stanno i rispettivi Buddha e tra questi 4 Bodhisattva. Sopra di questa si trova la Corte della Conoscenza Universale (le forze che canalizzano le emozioni individuali) e sotto la Corte della saggezza (con i Godai Miyōō, i cinque re della Maggior Conoscenza che distruggono le illusioni del credente). A destra si trova la corte dei Kongō keepers (la forza dell'intelletto di distruggere le passioni) e a sinistra la corte dei lotus keepers, (la purezza originaria delle creature). Nelle cornici si trovano Bodhisattva e, nella più esterna, guardiani. Simbolo base di questo mandala: loto della compassione. Il Kongōkai Mandara consiste in nove rettangoli (i mondi di Buddha) e rappresentano la conoscenza diamantina che pervade l'universo. Tutte le divinità sono rappresentate illuminate. Al centro si trova il raggiungimento dell'assemblaggio della buddità, con Dainichi Nyōrai al centro di un semicerchio, circondato da quattro Bodhisattva, che rendono manifeste le varie funzioni dei quattro Buddha. In alto, al centro, c'è una singola immagine di Dainichi, nella sua posizione chikenin, il pugno della saggezza. Simbolo base del Mandala: il kongō. La coppia di mandala del Tōji (152-153) sono i più antichi meglio conservati, copia di un set cinese per l'imperatore Montoku. Non si trova tridimensionalità, l'ombra è usata solo come decorazione di sfondo, i gesti danno idea di movimento ma non c'è idea di corpo. Nel Tōji si trovano anche un gruppo di pitture eseguite nella Cina Tang, che rappresentano i sette patriarchi Shingon (sia leggendari che storici). La serie doveva legittimare gli insegnamenti e confermare l'importanza del rapporto maestro-alunn; infatti un set era stato regalato a Kūkai dal suo maestro cinese, e circa venti anni dopo ne commissiona altri due. Uno dei vari dipinti è datato circa 300 anni dopo la morte del soggetto: questo mostra che non si tratta di ritratti secondo il nostro concetto, ma è comunque un’immagine realistica che mira ad identificare un personaggio. Fukusanzo di Li Chen (154), il VI patriarca è un monaco in meditazione, senza le scarpe, seduto su una piattaforma rettangolare, nel gesto "esterno ai legami" (genbakuin): le mani, pressate insieme con le dita intrecciate, che rappresenta la liberazione dalle passioni. Testa e mani sono delineati da linee nere a filo metallico, e il viso è modellato usando colore grigio. Il maestro è rappresentato come un non-cinese dalla testa rasata, con un ciuffo di capelli sopra l'orecchio destro. La veste, blu ombreggiato nero, mostra il volume del corpo. Ryūchi [Nagabodhi] è il IV patriarca. È rappresentato corpulento, ma simil-giapponese, su una piattaforma rialzata, con vesti rosse a righe nere e un quaderno nella destra (gli insegnamenti trasmessi), mentre la sinistra afferra la veste. Anche in questo caso le linee sono a filo metallico, ma c'è poca ombreggiatura per le ossa e nella veste. Nel kōdō del Tōji si trovano 21 sculture, quasi a dimensione naturale di Buddha, Bodhisattva, Myōō, Shitennō, Bonten e Taishakuten, come mandala scultoreo. I Myōō e i Godairiki Bosatsu (cinque Bodhisattva della forza) sono come i Bodhisattva tradizionali, ma sono forme di "compassione violenta", che usano la loro energia contro il male. Al centro si trova Dainchi Nyōrai tra i quattro Buddha Trascendenti [evito i nomi]. A Est si trovano i Godai Kokūzō Bosatsu (i cinque Bodhisattva della Conoscenza senza limiti), intorno al più importante, Kongō Haramitsu, espressione di Kokūzō Bosatsu (la conoscenza vasta come il cielo senza limiti). A Ovest stanno i Godai Miyōō intorno al più importante, Fudō. Agli angoli esterni troviamo i Shitennō e, tra loro, Bonten e Taishakuten. Il mandala mette insieme divinità Shingon e figure del buddismo tradizionale, senza che questa "unione" sia dichiarata in nessun sutra: probabilmente era il concetto di Kūkai, unire il vecchio al nuovo. Oggi tutte le statue sono rivolte a Sud, ma in origine guardavano frontalmente lo spettatore che girava introno all'altare. La tecnica usata per Myōō (ricoperti in gesso) e Bodhisattva (ricoperti in foglia d'oro) e i Bosatsu (ricoperti con foglia d'oro) è prendere un singolo blocco di legno (scavato per non provocare fratture, per le parti principali. Braccia e ginocchia sono pezzi separati, poi uniti. I dettagli sono modellati in lacca e aggiunti sulla superficie, con una tecnica simile a quella delle statue in lacca secca con interno in legno. - Fudō (158) rappresenta l'aspetto irascibile di Dainichi. Siede su una base di rettangoli, che rappresentano una roccia stilizzata. Nella mano sinistra ha una cordicella, nella destra una spada con elsa a kongō. I capelli sono raccolti in una treccia ad un lato della testa e dalla bocca spuntano delle zanne. Gli occhi sono aperti, ma guardano in basso e da idea di forza all'erta, ma sotto controllo. La testa è leggermente girata a destra. Nonostante l'aspetto da idea di solidità e calma [se a questi da l'idea di essere calmo...] Gli altri Myōō sembrano, in confronto, nonostante le pose forti e le vesti in movimento, più delicate. - Kongō-ō (159) (nell'angolo Sud-Est) è una scultura che ricorda quelle del periodo Nara, per la sua eleganza, seduto in posizione del loto sul suo trono, e da impressione di una divinità gentile e compassionevole. I gioielli sono curati, gli abiti scendono in pieghe naturali. Rispetto al periodo Nara, le figure del Tōji hanno volume maggiore e più solido, e una sensualità che manca ai primi lavori [sinceramente nonostante la treccia, fatico a trovare sensualità in Fudō...]. - I Myōō, nuovi per il Giappone, vengono da una differente tradizione. Le maggiori caratteristiche (capelli e denti) e la posa (su roccia) inizia una nuova tradizione di immagini di Fudō conosciuta come lignaggio di immagini di Daishi. Le due tecniche della scultura in legno giapponese erano l'ichiboku (scultura a blocco unico)e la yosegi zukuri (scultura a più blocchi). Per la prima, l'artista deve determinare subito la grandezza della scultura, prima di scegliere il blocco. Poi si toglie ciò che non serve, lasciando un abbozzo dell'immagine finale, dando solo dopo forma alla statua e aggiungendo i dettagli. La superficie di solito si copre con gofun (gesso) e pittura, e visto che l'esterno secca prima dell'interno, provocando crepe, la statua viene cavata o tagliata secondo le fibre del legno e poi scavata [per l'elenco di tutte le fasi in giapponese, rimando a pag.134]. la seconda tecnica risolve il problema delle crepe i diversi blocchi di legno vengono selezionati e gli viene data la forma necessaria. La scultura è più leggera e ogni pezzo poteva essere affidato a diversi artigiani specialisti. Il primo tempio che riflette le nuove idee Shingon e Tendai è il Jingo-ji sul monte Takao. Per fermare le ambizioni di Dōkyō, Wake no Kiyomaro era andato a chiedere il parere di Hachiman, e aveva promesso la costruzione di un tempio, ritardata dal suo esilio. La costruzione termina nel 793, e nell'824 viene spostata sul monte Takao e rinominata Jingo-ji. Al ritorno di Kūkai dall'esilio, gli viene ordinata residenza sul Jingo-ji, e tempo dopo il tempio venne abilitato all'iniziazione Kanjō. Alla fine dell'Heian il tempio va in rovina, e verrà risistemato da Mongaku. Icona principale del vecchio tempio era probabilmente uno Yakushi (160) stante, a grandezza naturale. Il drappeggio ha pieghe profonde, tirate sui lati delle cosce. Nella sinistra tiene il vasetto della medicina, la destra è in semui-in (non temere). La spalla destra è più alta, e da impressione di movimento verso quel lato. La statua era scavata in un unico blocco di cipresso giapponese, ma senza buchi, e questo ha causato alcune crepe. Rimangono tracce di pittura. È forse uno dei primi esempi di ichiboku, costruzione a blocco singolo. Questa tecnica nasce ora nei templi rurali, forse perché non era possibile recuperare fondi per materiali più costosi, oppure per tornare, con materiali meno raffinati, allo spirito originario del buddismo (sotto la spinta di Kūkai e Kanmu) o ancora per il gusto giapponese per i materiali umili. Il tempio Murō-ji è contemporaneo al Jingo-ji, ma meglio conservato. La zona su cui si trova, ancor prima della costruzione, era considerata sacra per la sua conformazione vulcanica. Si pensava che lì vivesse il drago Ryūkesshin e un buon posto per pregare per la pioggia. Verso la fine del 700 il monaco Kenkyo del Kōfukuji fonda il Murō-ji. Le costruzioni del tempio si basano su tre livelli. Sulla base del monte, vicino al fiume Murō stanno le residenze dei monaci. A metà strada si trovano le costruzioni principali kondō, mirokudō, kanjōdō (per i riti di iniziazione Kanjō) ed una pagoda a cinque piani. Sulla cima del monte sta il recinto più interno (sono rimasti solo il kondō e la pagoda). La pagoda (162) dovrebbe essere l'edifico più antico del complesso. La costruzione è molto sottile e alta la metà della maggior parte delle pagode. L'aspetto è reso più informale rispetto le precedenti dall'uso di materiali locali, come il legno del tetto. (grossi danni dai tifoni: è originale solo il primo piano). Il kondō (163) è stato continuamente riparato, e ora non ha più l'originaria figura aggraziata ed equilibrata. Il tetto e la facciata sono ricostruiti, perché in tardo kamakura è stata aggiunta una sala raidō (portico) e il tetto è stato allungato. La sala è posta in un recesso della montagna, e consiste in un rettangolo principale (moya) distinto dal resto da un soffitto a graticcio. In questo rettangolo sta un piccolo altare, con dietro uno schermo in legno, con cinque grandi Yakushi, dietro ai suoi generali yasha. La più impressionante statua del Murō-ji è lo Shaka del Mirokudō (165) (inserito nel piccolo padiglione sembra enorme). La scultura, tranne che per ginocchi e avambracci, è un blocco unico, ma ha cavità coperte da legno scolpito. La linea orizzontale delle gambe incrociate da un'ampia base alla figura, ma il torso massiccio e la testa enorme (ancor più quando aveva i ricci) creano una pesante verticale, che rende la statua appena stabile, creando tensione tra lo spettatore e l'immagine. La forma delle pieghe a "onda che ruota" (honpashiki) crea uno schema intricato contro la superficie liscia del corpo. La statua è stata ricoperta prima in gesso, e poi con colori brillanti: (questa statua mostra un nuovo avanzamento nella tecnica ichiboku e nella decorazione scultorea). Il Daigo-ji (tempio degli eccellenti insegnamenti di Buddha), viene fondato da Shōbō, un monaco che si era dato allo Shūgendō (ascetismo che fonde buddismo esoterico, taoismo e Shinto). Shōbō crea un centro per la Nel Jingo-ji si trova una pittura di Shaka (180), stranamente dipinto non in una scena della sua vita, ma come immagine singola, seduto su un fiore di loto, in semui-in. Il corpo di Shaka è delineato in rosso ed è dipinto in giallo dorato, così che in contrasto col fondo scuro sembri quasi brillare (contrasto aumentato da una decorazione floreale a kirikane. È avvolto in vesti rosse, con decorazione a kirikane, e circoli con fiori di loto ad otto petali. Si cerca di aumentare l'incorporeità con le pieghe non voluminose della veste. In tardo Heian si iniziano a costruire templi anche vicino alla capitale, ma il potere passa dai Fujiwara alla famiglia imperiale. Shirakawa fonda l'Hossohō- ji, secondo l'architettura delle case nobiliari. A Nord del laghetto stava il kondō, al posto dei quartieri del padrone di casa, e il kōdō al posto di quelli della moglie principale. I templi degli insei non sono rimasti, ma il tempio Jōruri-ji (Nara) da idea dei grandi complessi del tempo. L'Amidadō (181) forse era stato costruito per un altro Amida rispetto quello conservato, ed è una costruzione in stile Shinden, con graticcio nero e carta bianca all'interno, visibili quando le porte vengono aperte. Il tetto a travi di cipresso è stato sostituito da tegole in periodo Edo. Nel 1157 viene spostato. È costituito da un moya centrale circondato da un corridoio e da una veranda. L'Amida (184) doveva essere in stile Jōchō. La figura centrale, più alta di un metro, è in mudra raigōin (benvenuto nel paradiso occidentale). Però la linea orizzontale è minore di quello previsto da Jōchō e il drappeggio è articolato e più aguzzo). A seguito delle rivolte aumenta il potere di Fujiwara no Kiyohira che si costruisce una "capitale culturale del Nord" a Hirazumi. Il Chūsonji è ricordato perché distrutto da Yoritomo per scoprire poi che il fratello Yoshitsune si era ucciso [se non sapete la storia, andatela a cercare]. Resta la sala di Amida Konjikidō (sala colorata in oro) del 1124, che all'epoca era solo uno dei più di 40 edifici del tempio. Segue il modello del jōgyōdō, la sala costruita in modo che si potessero recitare preghiere girando intorno all'altare. La sala è quadrata, con tetto a piramide. Il moya contiene un altare di Amida circondato da Kannon e Seishi, sei statue di Jizō e due guardiani in armatura. Kiyohira è stato seppellito in questo altare, mentre negli angoli del tempio stanno strutture simili, con i resti del figlio, del nipote e del pronipote. Tutte le superfici interne sono ricoperte di lacca e oro; le quattro colonne del moya, le travi che reggono il baldacchino e anche i puntoni a zampa di rana [?] sotto le gronde, sono decorate con madreperla intarsiata ad hosoge (fiori di apparenza preziosa), un motivo floreale astratto. I lati degli altari sotto la balaustra in legno erano ricoperti da fogli di bronzo con uccelli e fiori, e i pilastri centrali avevano Dainchi Nyorai in makie, lacca con molta polvere d'oro e d'argento. All'esterno era coperto di lacca e foglia d'oro. L'ultima innovazione del tardo Heian è una costruzione costruita per contenere 1001 immagini di Kannon a 100 braccia e 11 teste (188) (Senyu Kannon). Quelle costruite sono andate distrutte, ma rimane la ricostruzione del 1266. Il moya centrale è lungo e stretto, circondato da un corridoio. Il cortile un tempo era usato per addestrare le guardie imperiali, e in periodo Edo vi si facevano gare di tiro con l'arco. L'interno della costruzione è semplice, con travi per tutta lo spessore del moya e travi gentilmente curve che congiungono i pilastri centrali con quelli fuori nel corridoio. Dietro l'altare sta un muro in legno e gesso, che forma un corridoio. Il tetto è sorretto da travi a vista. L'architettura contrasta con il centinaio di Kannon. Quando l'originale Rengeōin bruciò, si salvarono 156 statue, nucleo per l'installazione del Sanjūsangendō. Le statue nuove (190) (di Tankei) hanno un drappeggio leggero sopra le gambe e il motivo creato dalle vesti scende per tutta l'arcata delle gambe, ed è diversa anche la proporzione tra le braccia; queste differenze mostrano un nuovo realismo volumetrico nel periodo Kamakura. Molte delle immagini sono frontali, ma alcune hanno una leggera curva. Le braccia più grandi sono giunte in preghiera e un set di più piccole è giusto sotto l'altezza dei fianchi, mentre un terzo paio regge un bastone del monaco e un bastone a tridente (difesa contro il male), le altre reggono oggetti buddisti. Le sciarpe sono intagliate pesantemente e ricadono sul corpo in morbide pieghe. Le immagini buddiste del tardo Heian vedono persone serene in abiti ricchi dalle decorazioni geometriche e floreali in oro, su fondi scuri. Ad esempio, il set dei Godai Miyōō del 1127 per il palazzo imperiale, che venivano esposti insieme a 12 ten come mandala per i riti degli ultimi sette giorni dell'anno (Mishihō), un rito continuato per tutto l'Heian (gli originali non potendo più venire utilizzati, sono stati più volte sostituiti). Kongō Yasha (192) vola nello spazio e indossa vesti decorate a kirikane sulla superficie in seta, e la sua aurea è come una tenda dietro di lui. Diversamente dai precedenti del periodo Heian è una figura elegante e piccola. Resta importante la produzione di sutra (il palazzo imperiale aveva un apposito ufficio), e gli aristocratici li copiavano per ottenerne meriti spirituali. Il termine sinistro di un sutra era attaccato ad un jiku, in genere un'asticella di legno con cappucci decorativi in avorio o altri materiali. Il destro era attaccato ad un frontespizio, in genere una pittura decorativa, con sul rovescio carta o seta resistenti e decorate, che faceva da copertina al rotolo quando chiuso. In genere il frontespizio, prima cosa che si vedeva all'apertura del rotolo, doveva dare un'idea dal contenuto. L'Hannyaharamita Kyō (193) del Chusonji (ora al museo di Nara), era scritto in oro e argento su carta colorata indaco, secondo una moda diffusa anche nel continente. Da una selezione di sutra attribuiti al discorso del secondo giro di ruota [della legge, non di Mike], si vede Shaka in oro, seduto su un loto in mudra "giro della ruota della Legge", tra due bodhisattva e discepoli. In basso un gruppo di oranti, forse i committenti del sutra. La tecnica è yamato-e per lo sfondo, e tsukuri-e per la stesura dell'inchiostro. L'Heike nōkyō (194) (sutra dedicato dagli Heike) consiste di 34 rotoli del Sutra del Loto, donati dai taira al tempio Shinto di Itsukushima [cosa regalare ad un tempio Shinto? Ovviamente dei sutra! Adoro il Giappone!]. sono fogli separati di carta decorata con caratteri lineari, scritti in inchiostro oro e argento, reso robusto da fogli decorati sul retro. Il frontespizio del capitolo del re Myōshōgono (che fa voto di farsi Bodhisattva), forse è stato disegnato da una donna. Il frontespizio mostra la luna che sorge dietro la collina ed un albero. La scritta in hiragana "ashide" (la lunga notte) ha valore poetico, o si riferisce al mappō, la notte che il sutra può illuminare come la luna. Nel periodo heian anche il concetto di Shintō cambia. Amaterasu dichiara che lei e Birushana sono l'un l'altra emanazione [non ho capito se è lei ad essere emanazione o lui ad esserlo, e a giudicare da come si sono pestati negli anni a venire, non lo hanno capito neanche loro]. Nella seconda metà del periodo Heian iniziano le sculture Shinto, per cui le divinità hanno corpo umanizzato, come le entità buddiste. Le statue dei Kami sono in genere in legno, in tecnica ichizoku (forse perché i Kami preferiscono risiedere in terra). Hachiman, inizialmente dio della guerra [non era il dio dei minatori?], e poi identificato con limperatore Ōjin, in periodo heian viene assimilato dal buddismo Shingon, e diventa Bidhisattva protettore del buddismo e della nazione. Viene rappresentato vestito come un monaco. La triade di Yasumigaoka (195-196-197) è composta da un monaco tra due figure femminili in abiti di corte. Il monaco è Hachiman, mentre le donne probabilmente sono la madre di Ōjin, Jingu e/o la divinità locale Himegami, e la moglie Nakatsu. Hachiman è seduto a gambe incrociate, con una mano sul ginocchio e l'altra alzata, con le vesti che seguono una sempre forma di drappeggio. Le figure femminili sono sedute in posizione rilassata, con le mani nelle maniche. Queste statue sembrano mantenere la forma del tronco in cui sono intagliate, forse addirittura lo stesso per le tre statue, e probabilmente considerato un albero speciale. Anche l'architettura Shinto subisce dei cambiamenti. Il tipo kasuga (nome da un complesso di Nara) prevede costruzioni squadrate e rialzate, con tetto timpanato e un altro ricurvo che copre le scale. Vi sono quattro templi, due per gli ancestori dei Fujiwara (che avevano tirato fuori Amaterasu dalla grotta) e due per i Kami guardiani. Per riprendere i templi buddisti, la semplice recinzione tradizionale viene sostituita da un chiostro con tetto, più varie costruzioni per i monaci e i tesori. In periodo Heian, Sugawara no Michizane viene deificato [Tenman Tenjin!!!!], e gli viene dedicato un tempio a Kyōto (Kitano Tenmangū). Questo riprende lo stile Hachiman (un portico con tetto aggiunto alla costruzione principale) che, essendo stato usato per vari mausolei,compreso quello di Ieyasu, ha preso il nome del suo titolo onorifico, Gongen Zukuri. Sua caratteristica è quella di includere due strutture principali, un haiden (sala per le orazioni) e il tempio, uniti da una piccola stanza con tetto a doppio spiovente e pavimento in pietra allo stesso livello dell'haiden, ma più basso del tempio ( ishinoma). Il tempio di Itsukushima è dedicato alle figlie di Susanō-ō, dee tutelari dei Taira. Il palazzo dei sogni, che si estende sul mare davanti l'isola di Miyajima (ricostruito sempre allo stesso modo), è costruito come un palazzo nobiliare (così come i kami avevano un rango nobiliare). Changing of the Guard The Rise of the Samurai and the Twilight of the Imperial Order La politica va a rotoli, e l'arte ci guadagna. La corte perde potere politico, e finché ha i fondi si dedica alle arti, e quando non li ha più è tramite quelle che si mantien. Anche la nuova aristocrazia militare si fa patrona delle arti. A seguito della guerra Genpei il potere passa al bakufu con sede a Kamakura (inizia così il periodo Kamakura, che va dal 1185 al 1333). Segno del passaggio del potere si può vedere in due ritratti di Yoritomo. Il primo (201) è un dipinto che lo ritrae a inizio carriera e si trova nel Setōin (sala degli imperatori del Jingo-ji), che fa parte di un set che commemorava l'imperatore Go Shirakawa e i suoi quattro migliori consiglieri (forse copie di originali dell'epoca d'oro di Go Shirakawa), e che si può considerare uno dei primi esempi di yamato-e secolare. Yoritomo è dipinto come un uomo abbastanza giovane (forse di 32 anni) in vesti di corte, seduto su tre strati di tatami, con il suo shaku (emblema di rango) color crema che spunta da una piega della manica. Il secondo (202) è un ritratto scultoreo dell'epoca in cui già era Shōgun (quasi uno yamato-e La ricostruzione del Daibutsuden, il cui incendio aveva scioccato la nazione, iniziò prima della fine della guerra, ad opera di Chōgen. Chōgen aveva viaggiato in Cina per apprendere la nuova architettura, e fa usare lo stile daibutsuyō (usato per il Daibutsuden e per i tre templi costruiti durante il viaggio di reperimento fondi [storia complicata e spiegata malissimo]). Il Nadaimon (214) mantiene l'idea originale della ricostruzione. Il cancello originale era stato distrutto da un tifone e Chōgen lo ricostruisce più grande. Vi vengono poste due statue di Kongō Rikishi (216) (Agyō e Ungyō) di circa otto metri. Le grandi sculture dinamiche si reggono contro la proiezione verticale dell'edificio, e stranamente guardano verso il centro del cancello e non verso il viale (forse per la ricostruzione del XVIII secolo): nella classica posizione sarebbero rimasti esposti alle intemperie, perché l'edificio è troppo alto. Sono stati cerati dalla collaborazioneta Unkei e Kaikei, in 72 giorni. La tecnica usata è yosegi. Hanno il bacino storto, come se in moto bloccato. Vesti e sciapre ondeggiano su un lato. I volti esprimono tridimensionalità e movimento. Di Chōgen abbiamo un ritratto scultoreo (215), forse per il suo memoriale funebre (è morto nel 1206), che lo ritrae da vecchio, seduto ricurvo con in mano il suo rosario a 108 grani (uno per ogni delusione da cui ci si deve liberare). È scolpito in cipresso con tecnica yosegi, ed è decorato semplicemente (la pelle color carne e la veste nera). Le guance sono sporgenti, il viso è rugoso con labbra secche e occhi incavati. Al contrario della moda dell'epoca, non è stato usato cristallo per gi occhi, che invece sono stati dipinti. Dal realismo si è pensato essere un pezzo della scuola Kei. La scuola Kei viene fondata perché tal Raijo, dopo una commissione per li Kōfukuji decide di restare a Nara per non dover competere con le scuole della zona. Alla fine del XII secolo capo della scuola è Kōkei, che organizza la scuola Kei (formata insieme al figlio Unkei, che porta la scuola a Kyōto, e i discepoli Kaikei e Jōkei). Dalla loro permanenza a Nara i membri della scuola prenderanno il loro classicismo e il realismo. A Kōkei dobbiamo Fukūkenjaku Kannon (217) per il Naraendō del Kōfukuji, per sostituire l'originale distrutto. Questo vede una larga linea di base e una alta verticale proporzionata, ed il viso riprende la forma squadrata classica. Nuovi elementi sono il cristallo usato per gli occhi e e per il byakugo (urna) [l'urna a Kannon?]. Il drappeggio scavato è maggiormente che nel primo stile yosegi. Unkei ha realizzato le statue per l'Hokuendō (dove stava il memoriale per la morte di Fujiwara no Fūhito). Miroku♡ Butsu (219), è seduto a gambe incrociate su una piattaforma ottagonale davanti una complicata aureola a traforo. Lo schema delle proporzioni è nuovo: la verticale è maggiore dell'orizzontale. Viso e pieghe della veste sono realistici, gli occhi sono in cristallo e gli occhi guardano verso il basso, in un'espressione quasi malinconica, che risulta dare impressione di una divinità gentile e quasi umana, con cui il fedele può sperare di comunicare. Originariamente si trovava tra due Bodhistattva, gli Shitennō e due rakan (220-221), Muchaku e Seishin. Rakan è un rango lungo la via dell'illuminazione: chi è giunto a questo stadio è già libero dalle rinascite. Muchaku, più introverso, è raffigurato mentre regge un cilindro (forse un reliquiario). Seishin è più corporeo, con le mani come se stesse parlando, e da idea di essere più estroverso ed in contatto con lo spettatore. Entrambi indossano vesti monacali, con pieghe profonde e irregolari, e sono in pose non frontali, ma naturali. Le sculture di Kaikei hanno aspetto gentile e sono distinte dai loro dettagli. Kaikei era devoto alla scuola della Terra Pura di Amida e Chōgen gli commissionò molte sculture, soprattutto, verso la fine della sua attività, lavorò ad immagini di Amida in stile anami (dal suo nome buddista Anamidabutsu). Nel 1201 gli commissiona una statua di Hachiman come monaco (222), per il tempio di Hachiman, che lui realizza forse basandosi su una immagine del Jingoji che Chōgen voleva mettervi. Hachiman siede con entrambe le gambe incrociate, in posizione del loto, con una mano sul grembo e l'altra che regge il bastone del monaco (shakujō). Il viso è rugoso, ma si tratta comunque di una idealizzazione divina, e la sua presenza tridimensionale indica la sua forza, anche se smorzata dalla calma del monaco. Jōkei probabilmente ha potuto vedere la scultura cinese della dinastia Song. Ha realizzato una statua di Yuima (223) (Vilamakirti [vi dice niente? ^^]), che stava in coppia con il Bodhisattva Monju nel Kondō Est del Kōfukuji. Yuima è una figura robusta (nonostante questo non coincida con quanto detto nel sutra) e siede su una struttura quadrangolare, con schienale in legno e con broccato decorato. Nella cavità della statua sta una iscrizione con la firma, l'anno (1196) le generalità dell'opera. Il retro alto del trono e la decorazione a leone richiamano un gusto cinese. Il figlio di Unkei, Kōshō è l'autore della statua di Kūya (224), un piccolo esercizio di realismo. Kūya era un maestro del Nenbutsu, convertitosi dopo aver ucciso un cervo (il cui corno sarà messo sul suo bastone), che diffuse il Nenbutsu ballando e suonando gong e campane. Dalla sua bocca escono sei piccoli Amida, che rappresentano le sillabe del Nenbutsu. Più che il personaggio, quella che si vuole ritrarre è la sua fede. L'altro figlio di Unkei, Kōben ha realizzato una coppia di demoni (225) che reggono lanterne, che testimoniano uno studio umoristico di realismo grottesco. Tentōki e Ryūtōki erano le lanterne del kondō Ovest del Kōfukuji. In queste statue viene unito il tema dei guardiani (uno ha la bocca aperta, mentre l'altro ha la bocca chiusa), con quello dei demoni. Tentōki, muscoloso, con il bacino obliquo, regge la lanterna bilanciandola sul braccio e la spalla destra. Ha un paio di corna, le sopracciglia folte, una volta decorate con filo metallico. Ryūtōki regge la lanterna sulla testa e ha un serpente che si avvolge intorno al suo corpo e il suo collo. Tankei ha ricostruito i Kannon mancanti al Sanjusagendō, e ha realizzato il Kannon 1000 braccia al centro del tempio (226) in tre anni, usando la tecnica yoseigi e legno di cipresso, ricoperto di lacca e foglia d'oro, con occhi in quarzo. Le 1000 braccia sono divise per grandezza: le sei maggiori sono vicine al corpo e realistiche, le più piccole reggono attributi e si irradiano intorno all'immagine e in fine c'è un gruppo di braccia ancora più piccole. Questo Kannon da idea di serenità e dignità. Davanti i 101 Kannon si trovano gli dei Fūjin (del vento) e Raijin (del tuono) (227), che di solito si trovano insieme ad altre 28 immagini di seguaci di Kannon [no, non ho capito... hanno fatto tanto per tutti quei Kannon, e fanno solo due seguaci? Oddio, visto quanto sono brutti, forse è meglio così]. I due sembrano uscire dalle nubi scure su cui posano, e i loro occhi guardano verso il basso al mondo e allo spettatore. Fūjin con le mani a quattro dita afferra la borsa dei venti che tiene attorno al suo collo. Raijin è circondato da un anello con piccoli tamburiche colpisce col bachi (strumento a manubrio de ginnastica [ç_ç'] nella mano a tra dita. Sono di legno di hinoki intagliato con tecnica yosegi e gli occhi sono in cristallo. Il tema e le espressioni sono nuovi, ed il realismo Kei viene usato per materializzate il vento ed il tuono. Per la ricostruzione del Jingoji fu molto importante l'opera del monaco Mongaku. Il suo discepolo Myōe completò il progetto per il sottotempio Jōmojinin, che divenne centro della scuola Kegon col nome di Kōzanji nel 1206, grazie agli aiuti di Go Toba. Myōe più che all'architettura sembra essere interessato a fondere Shingon e Kegon. Il ritratto dipinto di Myōe Shōnin (228) (santo Myōe) attribuito al monaco Jōnin, lo mostra sulla sua piattaforma di meditazione, su un albero a doppio fusto. Le braccia sono in posizione di meditazione, intorno a lui si trovano pini, su cui sono posati il suo rosario a sinistra e un incensiere da cui si levano spirali di fumo. Lo schema è quello usato in Cina per le immagini rakan, con stile calligrafico per le immagini abbellite con colori in contrasto con quelli tenui del viso e della sua espressione. Di Myōe abbiamo anche un ritratto scultoreo (229) del XIII secolo, al Kōzanji, di autore sconosciuto. Qui è seduto, con il rosario in mano. Dicono fosse un bell'uomo [a giudicare dalla statua, a me non pare neanche troppo]. Gli manca il lobo dell'orecchio destro, perché lo ha tagliato nel 1196 per la disperazione di non essere nato durante la vita di Shaka [T_T]. Si da poco interesse all'aspetto reale, si mette giusto un bel viso [±] tra delle pieghe di drappeggio. Nel Kōzanji si trovano alcuni esempi di arte Kegon [che intro del cavolo!] Tra questi rotolo sulla vita di Gishō e su quella di Gangyō (i fondatori della scuola Kegon coreana), che vanno sotto il titolo collettivo di Kegon enji, il cui testo si credeva essere scritto da Myōe. Questi rotoli, i cui colori principali sono il blu, il verde e il rosso in contrasto tra loro, forse sono stati commissionato dalla signora Sanmi, che istituì un monastero per suore al Kōzanji, rifugio di molte vedove. I due erano partiti da Silla per andare insieme in Cina, ma dopo aver passato la notte insieme [@_@] Gangyō,dopo aver visto un demone in sogno, decide di cercare la saggezza da solo, mentre Gisho va in Cina, dove lo aspettano varie avventure (230). Prima di tornare in Corea, incontra Zenmyō, una donna che si innamora di lui e che alla fine si trasforma in drago per proteggerlo sulla strada del ritorno ["qualcuno" direbbe che l'amore trionfa ^^']. Le immagini su Gangyō (231) sono un po' più naive. Uno dei punti miliari vede un messaggere del re di Silla recarsi nel mare per ottenere il Kongō Sanmai Kyō, che guarirà la regina di Silla. L'inviato appare con un vecchio, che gli dice (in un dialogo scritto sull'immagine quasi completamente in hiragana) che il pesce spada non gli farà del male, e ai suoi piedi si intravede il tetto del palazzo del re del mare. Questo rotolo forse si deve attribuire a Jōnin. Per quanto riguarda la scultura, sempre nel Kōzanji, troviamo una statua di Zenmyō (232) (in coppia con Byakkō-Jin, una divinità delle montagne innevate [Byakko???]). Questa statua è stata commissionata da Myōe e attribuita a Tankei. Zenmyō è ritratta come una classica bellezza cinese, in piedi sulla roccia da cui si butterà, con in mano la scatola dei doni da portare a Gishō. È calma, sembra determinata al suo prossimo passo. [modello numero sei: Zenmyō:] Indossa un abito verde con doppia manica e un sottoabito bianco. In tetsa ha un ornamento a traforo con festoni che incorniciano il viso. Centro della setta Shingon resta il monte Kōya, sul quale era stato fondato un monastero da Kōbō Daishi. La maggiore icona del suo culto vedeva la sua immagine da bambino, Chigo Daishi (233), mentre riceve la visione per cui decide di farsi monaco. In questo periodo iniziano ad andare di moda i ragazzini (anche immagini di Shōtoku bambino) e nascono i chigo monogatari che finiscono per concentrarsi sull'affetto di un monaco più anziano per un novizio, che raggiunge l'illuminazione quando lo perde, (e poi si scopre che in realtà il ragazzino era incarnazione di un Bodhisattva). Secondo alcuni queste Con lo Zen cambia fondamentalmente la costruzione dei templi, che diventano centro di cerimonie pubbliche, e sono affiancati da serie di templi privati tatchū, per accomodare i leader religiosi, in cui si trovavano spazi diversi per ogni attività della giornata (sale per i monaci, sale per gli studi Zen, per la meditazione o per la recitazione di sutra, ecc.). Nasce un nuovo tipo di cancello sanmon (cancello monte), su due piani con tre entrate, e nel cui secondo piano si conservano statue dei 16 rakan. La sala principale (hondō o kondō) viene rinominata batsuden, e usata per le cerimonie pubbliche, mentre il kōdō diventa un hattō (sala della legge), usata per le assemblee dei monaci e vengono situate lungo l'asse centrale tra il sanmon e l'hōjō, la residenza dell'abate. Poteva anche esserci uno shariden (sala delle reliquie) e un kaisaendō (sala del fondatore). Il Tōfukuji a Kyōto ha un sanmon (247) iniziato nel 1384 e costruito in oltre 40 anni. Ha un tetto a doppio spiovente, e l'esterno richiama la sobrietà dei Song meridionali, mentre l'interno riprende la Cina del XIV-XV secolo, con i colori verde,rosso, marrone, nero e oro. I templi Zen in Giappone hanno stile karayō (cinese, vs wayō, stile giapponese), e si possono notare dettagli decorativi come finestre a campana [?], porte con intelaiature in legno e complicati giochi di travi, e le colonne che si stringono andando verso l'alto e poggiano su basi di pietra sul pavimento. Lo Shariden dell'Engakuji (249) (originariamente il Daibutsuden di un convento poi spostato) ha tetto a doppio spiovente, con doppio mokoshi. Prima era in tegole, oggi è di paglia [e sembra del mou colato]. Nascono i giardini Zen per la meditazione, alcuni dei quali possono essere karesansui (paesaggi secchi). Temi tradizionali buddisti erano usati per le pitture da esporre nelle aree pubbliche del tempio, mentre nei sottotempli erano preferiti motivi Zen. Minchō, monaco pittore, diventa il sopraintendente ai palazzi e alle suppellettili del Tōfukuji. Suo è il Parinirvana (252) da esporre per l'anniversario del passaggio di Shaka, conservatrice per stile e tecniche, ma è libero l'uso del pennello, con tratti di intensità diversa; il colore, non monocromatico, è comunque basato sul rosso contro il color carne di umani e divinità, e il nero delle vesti monacali. La pittura dei sottotempli è esemplificata da due pitture monocromatiche di Minchō. Kannon dalle vesti bianche (253) è un dōshakuga (immagini realizzate dopo una visione o una rivelazione), e il bodhisattva è seduto in posa informale in una grotta, e guarda oltre l'oceano. Kannon è dipinta come una bella figura femminile (questo dipinto segna la femminilizzazione di Kannon in Giappone), con gioielli d'oro, la cui divinità è resa solo dall'aureola. Lo shigachiku è un rotolo da appendere combinato con poesia, con immagine monocromatica (in genere un paesaggio), secondo precedenti cinesi, che i monaci introdussero in Giappone. Si commemorano le visite fatte dagli amici all'eremo di Sunshihaku (254) (Keiin), e vi sono state scritte le poesie di apprezzamento fatte all'eremo. L'eremo riprende l'ideale cinese di luogo di studi, una semplice stanza con elementi karayō (tetto a tegole e finestre a campana), e anche le montagne dello sfondo sono tipicamente cinesi. I Kakemono sono rotoli da appendere, di pittura o di calligrafia su carta o seta, con montatura resistente per reggere il peso, ma abbastanza leggera da essere arrotolata. L'opera viene messa in una cornice di seta o broccato con oro. In fondo viene messa una bacchetta attorno a cui il rotolo può essere chiuso, mentre in alto viene messa una più leggera, per poterlo appendere. La montatura giapponese (e non quella cinese), prevede dei lacci (futai) di seta che pendono dal rotolo. I kakemono erano in genere suibokuga, ad inchiostro nero, di carbone e resina (l'inchiostro veniva fatto seccare in mattoncini che venivano sciolti con un po' d'acqua su una pietra). Buoni esempi di pittura dōshakuga sono stati lasciati da Kao Ninga (forse un pittore professionista affiliato ad un tempio, dalla mano calligrafica e delle buone conoscenze Zen). Kanzan (255) mostra l'eccentricità e la forza di carattere del personaggio. È in piedi, che guarda la luna e sorride. La veste è segnata da un tratto velocemente la "gonna" è realizzata con tratti più sottili e tratti grigi e sottili, usati anche per i dettagli di faccia e piedi. Mokuan Reien forse era un professionista legato alla scuola Takuma, e visse in Cina (tanto che molte delle sue opere più importanti hanno dei timbri cinesi) e venne detto il secondo Mu Qi. Sua opera sono Kanzai e Jittoku che dormono con Bukan (257) e la sua tigre. Lui usa linee e colpi di pennello come Kaō, con tratti spessi per alcuni dettagli, e altri con tratti fini, mentre corpi e vesti con tratti medi. Lo sfondo è segnato solo eni suoi tratti essenziali. Di Josatsu abbiamo invece "Catturare un pesce con una zucca"(258), commissionato dallo Shōgun Ashikaga Yoshimochi per uno schermo in stile cinese. Dietro il pannello erano state scritte 13 poesie di apprezzamento da alcuni monaci, e queste vennero poi "spostate" sulla stessa faccia del dipinto. Questo è il dōshakuga di un kōan: come catturare un pesce gatto con una zucca (più piccola del pesce)? [Come catturare un coniglio? Basta imitare il verso della carota (non è mia, l'ho letta)]. Protagonista è una figura strana dal volto porcino e strane vesti, in posizione con gambe divaricate. Interessante l'uso di uno sfondo particolareggiato per un dōshakuga. Shōbun, forse allievo di Josestu, ha dipinto "leggere nello studio di bambù" (259)[questi Zen a me paiono fin tutti uguali...]. Attraverso le ampie finestre dello studio si può vedere lo studioso mentre legge qualcosa. La costruzione sta su una scogliera coperta di pini, uno dietro l'altro ricurvo, segnati da tratti più scuri di quelli della casa, cui fa eco un'altra formazione rocciosa. Sotto si estende una pianura con con specchi d'acqua e su cui si trova un ponte attraversato da un monaco e il giovane attendente, e sull'altra sponda due barche da pesca si intravede il tetto a tegole di un tempio. I tratti ripetuti della vegetazione danno l'idea della profondità. Sia il tema che la cura per i dettagli sono di ispirazione Song. Sesshū Tōyō del Shōkokuji, fonda lo studio Unkokuan, ma non si affida a nessun tempio, a Kyōto, per poi andare in Cina, e al ritorno fonda lo studio Tankai [...scusate la scarsa professionalità, ma se continuo con questi paesaggini Zen del cavolo, potrei vomitare... leggete la seconda colonna di pag 226. perdonatemi, ma potrei bruciare questo libro, non lo faccio solo perché temo i gas tossici e perché l'ho pagato parecchio]. Ashikaga Yoshimitsu si fa costruire la villa che diventerà il Kingakuji (262) (in origine Rokuonji). È un edificio a tre piani coperto da foglia d'oro, costruito sulla sponda di un laghetto artificiale. È un complesso costruito da più costruzioni, sul luogo di uno shinden, comprese due pagode e un grande padiglione a tre piani, con modello cinese kara-e (viene distrutto nel 1950). La struttura centrale è a tre piani con tetti doppi. Il primo piano serviva per le relazioni informali e la contemplazione del giardino. Ha dei pannelli a graticcio come gli shinden, che possono essere alzati. Il secondo piano è uno spazio a "L" con grande veranda per guardare la luna. L'ultimo piano era un tempio per conservare una statua di Amida e quelle di 25 bodhisattva, alcune reliquie di Buddha. Il secondo piano del Gingakuji (263) (Jishōji, costruito dal nipote di Yoshimitsu) era un tempio di Kannon, che probabilmente internamente era ricoperta in argento. La costruzione era a due piani: il primo serviva per meditare e le pareti permettevano la visuale sul giardino. Nasce la cerimonia del tè chanyu, e per questa vengono create strutture architettoniche apposite che riflettono il concetto estetico dei maestri del tè. Gli oggetti usati per il matcha erano scelti per dare un'idea di antichità e di cinesità semplice ed elegante. Le tazze tenmoku venivano decorate con smalto vitreo colorato di forma in genere conica, a volte screziate di colori scuri o argento. Lo Shinto legato alle divinità statali cala, benché la corte continui a patronizzare arte Shinto, ma vanno di moda divinità diverse, come Kitano Tenjin. La sua storia è illustrata nel Kitano Tenjin emaki (270) del 1219. I primi rotoli dipingono gli "incidenti" legati alla nascita di Michizane, la sua carriera e il suo ritorno vendicativo. Gli ultimi rotoli sono dipinti con rokudo-e. Michizane è disegnato come dio del fulmine dalla pelle rossa, che cavalca una massa di nuvole e si sfoga sul palazzo del nemico. Diventano popolari mandala pittorici che dipingono viaggi a templi buddisti e Shinto. Il mandala del cervo (sacro allo Shinto, e simbolo del primo sermone di Buddha) di Kasuga (271) rappresenta un grande cervo su una nuvola sopra il tōri di Kasuga. Dal cervo sale un ramo di Sasaki davanti uno specchio. Sui rami del sasaki stanno le conque divinità di Kasuga, come Bodhisattva. La forza, Luke, usa la forza. Ringraziamenti: 1) Alla mia mamma, che mi ha finanziato il libro; 2) ATata (che ha prestato anche gli appunti) e a Paola-chan, perché senza di loro non sarei riuscita a finire il lavoro con così poco ritardo; 3) A Kannon Bosatsu e Tenman Tenjin, perché senza di loro non si fa nulla.
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