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Riassunti storia dell'arte moderna dei manuali Settis-Montanari (3 e 4), Sbobinature di Storia dell'Arte Moderna

Si tratta di un riassunto dei manuali 3 e 4 del Settis-Montanari, amalgamato agli appunti presi a lezione e a delle ricerche personali. Vi sono allegate le immagini delle rispettive opere d'arte. Sono presenti gli argomenti espressamente richiesti dalla professoressa sulla sua bacheca.

Tipologia: Sbobinature

2022/2023

In vendita dal 10/06/2023

Carolpigna
Carolpigna 🇮🇹

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Scarica Riassunti storia dell'arte moderna dei manuali Settis-Montanari (3 e 4) e più Sbobinature in PDF di Storia dell'Arte Moderna solo su Docsity! Il Gotico internazionale: caratteri generali e analisi di opere di Gentile da Fabriano, Pisanello, Jacopo della Quercia, Lorenzo Monaco. Dopo la pesta del 1348, il continente conosce una stagione di ripresa economica e culturale di cui l’Italia gode un ruolo centrale. Nel ‘400 convissero UMANESIMO e RINASCIMENTO, assieme alla tradizione tardo gotica che ci mise del tempo prima di sparire definitivamente. - Madonna dell’umiltà (1340) di SIMONE MARTINI È una lunetta affrescata per la cattedrale di Avignone. Vediamo la Vergine e il Bambino seduti in terra, affiancati da due angeli. È un soggetto tipico del gotico internazionale perché permette di essere arricchito con elementi profani. In Italia, il gotico internazionale vede come maggiori esponenti GENTILE DA FABRIANO, PISANELLO, JACOPO DELLA QUERCIA e LORENZO MONACO. GENTILE DA FABRIANO nacque nel 1370 a Fabriano. A fine ‘300 si spostò a Pavia per il suo apprendistato. - Pala con Madonna con Bambino, i santi Nicola, Caterina D’Alessandria e un donatore (1400) Incorpora tutte le componenti del gotico, tra cui: il prato fiorito, l’eleganza delle figure, i dettagli in oro degli angeli negli alberi. Nel 1402 si trasferisce a Venezia - Polittico di Valle Romita (1410) All’interno di una cornice gotica, realizzata però nel 1925, vediamo al centro un’Incoronazione della Vergine, mentre ai lati i santi Girolamo, Francesco, Domenico e Maria Maddalena su di un prato fiorito. Non c’è posto per la cruda violenza, anzi, l’artista è molto attento alla resa dei colori brillanti e alla tenerezza delle carni. Apice della sua carriera fu a Firenze dove risiedette tra il 1420-25 - Adorazione dei magi (1423) Fu commissionata da Palla Strozzi. Vediamo una pala, che se pur in una cornice gotica dorata, non segue più la divisione in scomparti. La scena inizia in alto con l’avvistamento della stella cometa da parte dei magi e segue fino alla capanna di Betlemme con la sacra famiglia. Nel corteo vi sono anche i i ritratti di Palla Strozzi e suo figlio. Non vi è interesse per la tridimensionalità e la prospettiva. La ricchezza decorativa è estrema. Prevale la linea, il ritmo, i colori, i dettagli, a discapito della realtà. Nella predella spiccano altre scene come la Fuga in Egitto. Sul finire del 1425, Gentile si spostò a Roma dove realizzò la navata di San Giovanni in Laterano, poi conclusa da Pisanello. È uno stile cortese che riflette i gusti del signore e della sua corte. È caratterizzato da temi laici e profani, espressi con colori preziosi, attenzione alla moda e all’eleganza, all’indagine sulla natura e sui dettagli. Scarsa o nulla è l’attenzione al dato tridimensionale. PISANELLO, nato a Pisa ma trasferitosi a Verona, fu allievo di Gentile da Fabriano. - Madonna della quaglia (1420) Dominano preziosità, raffinatezza e attenzione per la natura. La Vergine, seduta per terra con in braccio il figlio ed incoronata da due angeli assume una posa delicata accentuata dalla curva resa dal manto. È circondata da uccelli e fiori. - Monumento Brenzoli (1426) Qui affianca Nanni di Bartolo che si dedica alla parte scultorea. Pisanello si occupò, invece, delle parti dipinte: la finta tappezzeria, il giardino gotico, la scena dell’Annunciazione. - Storie di San Giorgio (1436) Nella cappella dei Pellegrini della chiesa di Sant’Anastasia affresca l’arcone di ingresso con la scena della principessa. L’affresco era arricchito da lamine metalliche e decori a pastiglia ad oggi deperiti. Pisanello si distingue in particolar modo come medaglista rinascimentale. JACOPO DELLA QUERCIA, scultore dai tratti raffinati e veristi. - Tomba di Ilaria del Carretto a Lucca (1406-08) Moglie del signore di Lucca morta di parto. La tomba per il duomo era isolata. Vede il ritratto della donna distesa con ai piedi il suo fedele cagnolino. Domina un estremo naturalismo arricchito dal suo abito alla moda. Sui fianchi corrono dei festoni intervallati da putti, di gusto gotico. - Fonte Gaia a Siena (1408-19) Realizzata per Piazza del Campo, Jacopo cercò di rimanere connesso a temi civili. Al centro la Vergine con bambino, seguono le virtù all’interno delle nicchie, le scene della Creazione di Adamo e il Peccato originale e si conclude con le statue di Rea Silvia e Acca Laurentia, come per accennare alla creazione di Siena da parte del figlio di Remo. LORENZO MONACO - Annunciazione e santi (1410-15) Dominano l’oro e le cromie. Vi è un’accuratezza nei panneggi che evidenziano le caratteristiche del Gotico internazionale. - Adorazione dei magi (1420-22) Nonostante la cornice richiami ancora un trittico, vi è la riduzione del fondo oro. I colori sono giustapposti, raffinati. Le montagne sono scheggiate. Non c’è costruzione dello spazio, il mondo è irreale con elementi realistici. Il primo Rinascimento a Firenze: dal concorso del 1401 (protagonisti e opere) ai cantieri scultorei del Duomo e di Orsanmichele (protagonisti e opere). Contesto storico e sociale delle botteghe. FIRENZE è la città in cui maturano le novità artistiche. La Repubblica era fondata sul lavoro e ognuno doveva far parte di un’arte, le Corporazioni. Erano 21 in totale, 7 maggiori (tra cui Calimala per i mercanti, del Cambio per i banchieri, dei Medici e Speziali di cui facevano parte anche artisti e pittori) e 14 minori (per i lavori più pesanti e manuali). l’occhio umano, che le vede da lontano, possa ricomporle. Arricchisce la composizione con tessere vitree colorate. Una scultura di Donatello che esprime una grazia eccezionale è il famosissimo David (1435-40). È un adolescente quasi completamente nudo, se non per il cappello e i calzari, trionfa sul corpo del gigante morto. È una statua ideata per essere vista da tutti i punti di vista, quindi a tutto tondo. Fu collocata al centro di Palazzo Medici. L’eleganza dell’opera è lontana dalla forza plastica dei secoli precedenti. Sempre per Cosimo de’ Medici, dopo l’esperienza padovana che permetterà un’evoluzione del suo stile, realizza Giuditta e Oloferne (1457-64), anche questa a tutto tondo. Aumenta la carica espressiva, nel gesto di Giuditta e nella testa decapitata, nei panneggi, ma anche nelle storiette sul basamento che alludono all’ebrezza di Oloferne. Per Cosimo questa statua era l’unione della forza e della libertà della Repubblica. DONATELLO A SIENA Arriva a Siena nell’autunno 1457 per realizzare il portale bronzeo della cattedrale ma l’impresa fallì. - San Giovanni Battista (1457) È una statua dall’impressionantemente cruda, la caratteristica espressiva di Donatello, qui, raggiunge forse il suo apice. DONATELLO A PADOVA Nel 1443 Donatello si trasferì a Padova, qui si imporrà come punto di riferimento di un nuovo linguaggio dove il rigore prospettico e l’interesse per l’antico convivono. - Monumento equestre a Gattamelata (1443-53) Ritrae il condottiero Erasmo da Narni che si distinse come capitano della Serenissima. Vediamo una colossale statua bronzea che si ispira a quella romana di Marco Aurelio. Il cavallo ha la zampa anteriore poggiata su una sfera, questo per motivi di statica. Il condottiero alza il braccio destro per mostrare il bastone del comando. Tutta la sua fierezza è espressa nel volto. - Altare bronzeo per la Basilica di Sant’Antonio (1446-50) Nel corso dei secoli ha perso il suo aspetto originale, come la cornice che includeva le statue soprastanti. Comunque, al di sopra dell’altare vediamo sette statue a tutto tondo, con al centro la Madonna con Bambino. I panneggi delle loro vesti e il contatto con la luce ci permettono di ben distinguere le loro anatomie. Sullo zoccolo vi sono 22 rilievi, tra questi distinguiamo l’episodio del Miracolo della Mula ambientato in una scenografia architettonica simile ad una basilica antica. I personaggi, molto animati, sono ritratti da sotto in su tenendo in considerazione il punto di vista dell’osservatore. DONATELLO A NAPOLI Quando Alfonso D’Aragona, nel 1443, si insediò a Napoli e fece costruire il maschio angioino, richiese una statua equestre simile a quella di Gattamelata. Donatello non riuscì a completare l’impresa e di questa rimane solo la Testa di cavallo, realizzata con un estremo realismo. Masaccio (percorso e opere). Ad affermarsi in una Firenze ancora legata al gotico internazionale fu MASACCIO, che iniziò la sua carriera affiancando il maestro MASOLINO che barcamena tra tradizione gotica e modernità La prima opera in cui è accertata una collaborazione - Sant’Anna Metterza (1424-25) Qui a Masaccio spettano l’angelo in alto a destra e la Madonna con Bambino, rappresentati con una solida volumetria, dovuta allo studio di Brunelleschi e Donatello, e ad un particolare studio delle anatomie. Il tutto in contrasto col gusto gotico del fondo oro e della bidimensionalità adottati dal maestro. Sant’Anna è rappresentata più scura perché secondo l’iconografia gli anziani devono avere una carnagione più scura. - Cappella Brancacci (1424-27) Ed è qui che la personalità dell’allievo finì per dominare quella del maestro. Il ciclo racconta le storie della vita di San Pietro e verrà terminato in futuro da FILIPPINO LIPPI. • Adamo ed Eva, posizionate esattamente una di fronte all’altra nel registro superiore, si interfacciano la Tentazione di Adamo ed Eva di Masolino e La cacciata dal Paradiso Terrestre di Masaccio. Le figure bidimensionali del primo sembrano galleggiare nel vuoto, mentre le figure del secondo sono assolutamente tridimensionali, tanto da proiettare anche delle ombre. • Il Tributo, ad opera quasi completamente di Masaccio, se non fosse per la testa di Cristo che in tutta la sua dolcezza fu realizzata da Masolino e che, per altro, coincide anche col punto di fuga della composizione. Dal punto di vista iconografico, la scena vede lo svolgimento di tre episodi simultaneamente. Tutta la composizione è perfettamente in prospettiva, comprese le aureole. Le figure presentano panneggi abbondanti, le ombre creano volumetrie ed effetti plastici. L’uomo è concretamente al centro dello spazio. • San Pietro che risana con la sua ombra, con il paesaggio perfettamente in prospettiva vediamo palazzi dell’antica Firenze e quelli di quella moderna che di affiancano. • Battesimo dei neofiti, in cui i corpi sono statuari, con l’ombra che ne definisce l’anatomia. San Pietro ha i piedi nell’acqua, quindi vi è un effetto di trasparenza. Il panneggio della sua veste è paragonabile alle sculture di Donatello. C’è una quinta architettonica finta data dalla colonna a destra. Inoltre, Masaccio tiene conto del punto di vista dell’osservatore ed inserisce degli astanti che attualizzano la scena. - Polittico di San Giovenale a Cascia (1422) di MASACCIO - Polittico di Pisa (1426) di MASACCIO Si tratta di una delle poche opere dell’artista con attestazione notarile, in cui si precisava ogni dettaglio da eseguire. Purtroppo, ad oggi, la pala non è arrivata integra a noi. Fu il committente stesso a richiedere un formato gotico, così come il fondo oro. Ma nonostante questo, Masaccio avrebbe disposto i santi ai lati della Vergine su piani diversi, in modo da rendere comunque la tridimensionalità. Sul proscenio, due angioletti musicanti accentuano, coi loro strumenti, la profondità. Il mantello della vergine è sapientemente panneggiato. Il bambino, che mentre pilucca l’uva (che allude al sangue della passione) si protende verso l’osservatore, ha il nimbo scorciato. La composizione plastico-spaziale è illuminata da una forte luce reale. - Madonna con Bambino (1423) Il registro e il formato sono ancora completamente gotici. La composizione è giocata tutta su colori preziosi. Alla base era prevista una predella istoriata, tra cui un’Adorazione dei magi, cui punto di vista è frontale e l’unica concessione alla ricchezza è rappresentato dalla sedia della Vergine. Spariscono tutti i dettagli superflui. Vi è anche l’inserimento di figure con abiti contemporanei. Sempre del polittico faceva parte una Crocifissione, in cui è il gesto di disperazione della Maddalena a rendere la tridimensionalità. Il punto di vista è da sotto in su. - Trinità in Santa Maria Novella (1427) di MASACCIO Qui affresca sulla parete una volta a mezza botte cassettonata realizzando un primo effetto tromp leil. Vi è una rappresentazione gerarchica con in cima Dio, segue Cristo in croce, la Vergine e san Giovanni e i committenti. Il punto di vista è ribassato. Soltanto Dio non è rappresentato secondo la prospettiva, ma frontalmente, perché Dio non obbedisce alle regole terrene. Vi è, inoltre, un riferimento alla morte con un ammonimento ai vivi. Al di sotto della scena principale uno scheletro, che allude a quello di Adamo sepolto sotto il Calvario, accompagnato da una scritta in volgare che ci fa capire che i committenti erano ricchi borghesi ma non nobili, sicuramente mercanti. - Desco da parto (1426) di MASACCIO Riprende la successione degli archi di Brunelleschi. Vediamo delle donne che stanno per entrare nella stanza della puerpera. Le colonne hanno i capitelli corinzi e i trombettieri mostrano il simbolo di Firenze. Situazione artistica a Firenze dopo Masaccio: Beato Angelico, Filippo Lippi, Paolo Uccello, Domenico Veneziano, Luca della Robbia. Dopo la morte di Masaccio (1428), i pittori della nuova generazione considerarono la Cappella Brancacci una vera e propria scuola. Tra questi: BEATO ANGELICO, un frate domenicano che si trovò a fare i conti con la tradizione tardo gotica. Divenne il pittore ufficiale del convento dell’ordine a cui apparteneva. - Madonna con Bambino e i santi Domenico, Giovanni Battista, Pietro Martire e Tommaso D’Aquino (1429) Anche qui, come nel Polittico di Pisa masaccesco, il formato è ancora gotico. La Vergine si staglia su un fondo oro, ma i santi laterali hanno una loro statuaria solidità. Questi dominano un pavimento in marmo, che sarà una delle caratteristiche del Beato. - Annunciazione (1440) MICHELOZZO aveva ristrutturato il convento di San Marco, tenendo conto della lezione di Brunelleschi, in particolar modo nella ripetizione di arcate nel chiostro e nella biblioteca. Quest’ultime furono riprese, in pittura da Beato Angelico e lo possiamo vedere proprio in questa Annunciazione. Le figure sono inserite in uno spazio certo, la - Polittico Queratesi (1425) di GENTILE DA FABRIANO Qui la figura della Vergine è più eterea e spirituale. Domina ancora lo sfarzo e vi è una totale assenza di tridimensionalità. Caratteristiche sono i colori dell’architettura. Le tonalità del pastello saranno una caratteristica del Veneziano. Anche nella predella ritroviamo le stesse caratteristiche. ANDREA DEL CASTAGNO, anche lui fu allievo di Domenico Veneziano, tant’è che terminò il ciclo di affreschi di Sant’Egidio, ad oggi perduti. Una leggenda dice che fu proprio lui ad uccidere il maestro, dati i trascorsi della sua vita travagliata. - Cenacolo di Sant’Apollonia (1447) L’episodio è ambientato in un edificio all’antica, come fosse un’inquadratura teatrale. La stanza è molto sfarzosa, lo si evince dai vari marmi e dalle arpie che chiudono le sedute. Gli apostoli sono statuari. Giuda si distingue perché è seduto dall’altra parte del tavolo. La prospettiva è ben definita dalle linee del pavimento, del soffitto e delle mura laterali. Inoltre, una luce intensissima definisce la scena facendo emergere il bianco della tovaglia. - Uomini illustri della villa Carducci (1447-49) Raffigurò a gruppi di tre uomini e donne illustri della storia fiorentina, come se si affacciassero al un loggiato. Sullo sfondo delle lastre di porfido e marmi colorati. - Monumento equestre di Niccolò da Tolentino (1456) È un’opera modellata su quella di Paolo Uccello. Insiste tanto sulla linea di contorno che la figura si stacca dal fondo. LUCA DELLA ROBBIA, tradusse in scultura questo nuovo linguaggio dominato da luce e colore. Reintrodusse, facendola diventare una sua cifra stilistica, la terracotta invetriata. Lo abbiamo già visto fronteggiare Donatello nella Cantoria (1431-38) di Santa Maria del Fiore. A differenza di Donatello, non utilizza la tecnica della sbozzatura, ma realizza degli angeli musici delicati e composti. Questi si potrebbero paragonare alle figure presenti nel Trittico con Madonna con Bambino, santi e donatore di Filippo Lippi del 1430. L’ordine architettonico è scandito da due registri di mensole e da coppie di paraste. In terracotta invetriata: - Resurrezione (1442-44) Posizionata sull’ingresso della sagrestia delle messe del Duomo. - Tabernacolo di Sant’Egidio (1441-42) Per la prima volta propone un tabernacolo secondo i canoni prediletti dal Brunelleschi. Infatti questo tabernacolo ha le forme di un tempietto classico. Nel timpano vi è la figura di Dio, nell’architrave dei cherubini, nella lunetta una pieta e nella parte sottostante due angeli incorniciano il disco metallico con la colomba dello Spirito Santo. La terracotta invetriata è accompagnata da un tono di azzurro tipico delle opere di Della Robbia. - Angelo ceroforo (1448) Qui è attestata per la prima volta la presenza di un giovane PIERO DELLA FRANCESCA, che lavora al cospetto della bottega di Domenico Veneziano. (1439) - Visitazione (1445) Opera a tutto tondo - Annunciazione (1475) di ANDREA DELLA ROBBIA, suo nipote che proseguì la tradizione fino al ‘500. Piero della Francesca: itinerario e opere. PIERO DELLA FRANCESCA. È con lui che si diffonde in tutta Europa la ‘’pittura di luce’’. Gli elementi chiave della sua pittura sono la coerenza spaziale, i colori chiari e luminosi, le architetture all’antica e le figure volumetriche. - Battesimo di Cristo (1443-45) Cristo e la soprastante colomba in picchiata sono il centro della composizione. Vi è uno straordinario rendimento tridimensionale, dato anche dal paesaggio retrostante e il degradare degli alberi. Il paesaggio è più sintetico, non più tardo gotico. Il cielo, solcato da poche nubi, si riflette nel corso d’acqua, questo ci fa pensare ad un contatto con l’arte fiamminga. La figura di Cristo è statuaria. Vi è una luminosità naturale. Le ombre non sono scure ma perlacee. Vi sono diverse ripetizioni geometriche. Domina il silenzio. Inoltre, è presente un’anomalia iconografica data dalla presenza dei tre angeli. Questa presenza non rispecchia il Vangelo ma l’epoca di Piero. Infatti, si potrebbe riferire al concilio avvenuto a Firenze nel 1439 tra Chiesa d’Oriente e Chiesa d’Occidente. Il tema era, appunto, la trinità = tre angeli. Questo giustificherebbe anche la presenza di uomini con turbante in lontananza. - Polittico della misericordia (1445-62) Il tema era ancora gotico, così come la resa, voluta espressamente dalla confraternita e sancita dal contratto. Infatti la gigantesca Vergine si staglia su un fondo oro. Piero però seppe rendere comunque lo spazio disponendo i fedeli inginocchiati in semicerchio. - Storie della vera croce ad Arezzo (post 1452) Per la famiglia Bacci, realizza sulle pareti della cappella della chiesa di San Francesco il ciclo che narra la storia del legno della vera croce. Parte dalla vita dei progenitori fino ad arrivare al primo millennio dopo Cristo. • Morte di Adamo, a lui il figlio mette in bocca il germoglio da cui nascerà il legno della croce; • Salomone e la regina di Saba, due episodi che si svolgono sia all’esterno che all’interno vedono come perno centrale una colonna che ha il compito, appunto, di dividerli; • Battaglia del ponte Milvio, battaglia tra le truppe di Costantino e quelle di Massenzio. Pietro vuole evocare una rivincita cristiana che in realtà non ci fu; • Sogno di Costantino, in cui emergono le qualità di Piero nella resa tridimensionale della tenda, nello scorcio dell’angelo, nel cielo stellato e nei contrasti luministici; • La croce ritrovata, anche qui vediamo due episodi in uno spazio unico. Protagonista è la mamma di Costantino, fu lei a rinvenire la croce sotto il Golgota. - La flagellazione (1445-50) Rappresenta la flagellazione di Cristo con una prospettiva perfetta, data dall’architettura. La tavoletta è un teorema matematico. Il supplizio di Cristo avviene a sinistra entro un porticato, alla presenza di Pilato, rappresentato di profilo e con vesti bizantine. Mentre a destra, in primo piano, tre figure decontestualizzate, anch’esse con abiti contemporanei. Al di sotto, in origine, correva la scritta ‘’si sono alleati contro uno solo’’, quindi queste figure dovevano sicuramente avere un’identificazione. - Affresco nel Tempio Malatestiano a Rimini (1451) Nel transetto della chiesta vediamo affrescata una scena di corte che vede il titolare Sigismondo Malatesta inginocchiato dinanzi all’omonimo San Sigismondo, all’interno di un’architettura scandita da lesene scanalate e festoni. Alle spalle del signore un oculo prospettico inquadra Castel Sismondo, sulla cui cornice corre la firma e la datazione. PIERO DELLA FRANCESCA AD URBINO - Dittico Montefeltro (1460-65) Ritrae di profilo il signore di Urbino, Federico da Montefeltro e sua moglie Battista Sforza. Utilizza la tecnica ad olio, che gli permette di realizzare minuziosamente ogni dettaglio, anche del paesaggio retrostante colto secondo una prospettiva a volo di uccello. I pannelli sono dipinti anche sul retro con il Trionfo dei due committenti. - Madonna di Senigallia (1474) È proprio ad Urbino che Piero mostra il suo contatto con la pittura fiamminga. Qui vediamo delle figure a mezzo busto ritratte in un interno domestico rischiarato dai raggi di luce che penetrano dalla finestra. Nello scaffale retrostante una serie di nature morte di gusto tipicamente nordico. - Pala Montefeltro (1472-74) Federico da Montefeltro commissiona questa pala in onore della moglie defunta a causa del parto. Infatti, la Madonna e il Bambino alludono proprio alla moglie e al figlio. La sua pozione in ginocchio è in segno di devozione ma anche di lutto. Il committente indossa la sua armatura, che crea giochi di riflessi ottenuti grazie all’utilizzo della pittura ad olio. Il centro prospettico della composizione converge nella Vergine, che ha in braccio Gesù con al collo il corallo, simbolo del sangue della passione. È circondata da una schiera di santi ed angeli. La scena è incorniciata da una struttura architettonica all’antica perfettamente in prospettiva. I marmi policromi, le lesene scanalate, la volta a botte con cassettoni riempiti da rosoni, la conchiglia, innalzano l’intera composizione. L’uovo di struzzo appeso al soffitto, oltre che a simboleggiare la fecondità, serve per creare il vero gioco prospettico. Il corrispondente in scultura di Piero della Francesca fu FRANCESCO LAURANA e questo possiamo ben coglierlo nel suo – Busto scultoreo di Battista Sforza. Pittura Fiamminga: Fiandre e Italia nel ‘400. Protagonisti e opere (Van Eyck, van der Weyden, Memling, van der Goes). I due poli del rinnovamento artistico europeo del ‘400 sono Firenze e le Fiandre. La pittura fiamminga si diffuse molto rapidamente negli anni ’30, grazie ai suoi collegamenti commerciali. La prerogativa della pittura fiamminga è quella della pittura ad olio. Questo tipo di pittura, estremamente raffinata, attesta il nuovo stato sociale della borghesia. Una delle caratteristiche dell’arte fiamminga è davanti al santo, in maniera da illuminare i minimi dettagli della scena. Essa simboleggia anche l'"illuminazione" divina della cultura. Nelle scansie e sullo scrittoio si riconoscono una clessidra, un cannocchiale, un rigo, un'ampolla, un astrolabio, numerosi libri e strumenti per la scrittura. In questo senso Girolamo rappresenta il prototipo dell'uomo di cultura del Rinascimento. - Stigmate di san Francesco (1430 circa) L'opera mostra san Francesco d'Assisi, vestito del saio, che sta in ginocchio e riceve le stimmate da un crocifisso apparso davanti a lui in cielo. Accanto a lui si trova frate Leone, che si sta poggiando ad una roccia. Le ferite di San Francesco sono ben visibili ma non ostentate. La figura del frate è più compatta e sembra sprofondare in una massa di volume. La sua cinta si unisce con quella di san Francesco, come a voler simboleggiare la continuità tra l’ordine dei francescani. Il paesaggio montuoso dello sfondo, ricco di rocce e spuntoni, con una città fiamminga in lontananza, è un'invenzione di van Eyck. I colori bruni delle rocce e degli alberi si armonizzano con quegli dei sai dei due frati. PETRUS CHRISTUS, uno dei più grandi seguaci di Van Eyck, che lavora a Bruges a partire dal 1444. - Ritratto di certosino (1446) Indossa una veste bianca. È dipinta una finta mosca su una finta cornice. Ogni tratto del volto è ossessivamente preciso. L’illusione pittorica è, per il pittore, un modo di sfidare la natura. - Sant’Eligio nella bottega di un orefice (1449) Vediamo un orefice che chiacchiera con una coppia entrata nella bottega per vedere le fedi nunziali. Uno specchio inquadra la porta di ingresso e due persone che stanno per entrare. È un dettaglio sicuramente derivato da Van Eyck. VAN DER WEYDEN, è l’altro protagonista della prima stagione fiamminga. - Deposizione (1443) La tavola fu commissionata dalla Corporazione dei Balestrieri. Caratteristico, infatti, è il corpo di Cristo che assume la forma di un arco ed è ripreso da quello della Vergine. I personaggi si accalcano, i loro corpi sono concretamente solidi e le loro gestualità estremamente teatrali. - Polittico del giudizio universale (post 1443) Come il polittico di Gand, anche questo presenta due visioni diverse. Quando le ante sono chiuse vediamo nel registro superiore delle statue tromp leil dell’annunciazione, in quello inferiore i committenti inginocchiati che pregano rivolti alle statue di san Sebastiano e sant’Antonio Abate. Quando la pala è aperta possiamo vedere un san Michele arcangelo, che al cospetto della corte celeste, divide beati e dannati. - Miniature (1446-48) Per Filippo il Buono tradusse un libro in francese un testo latino di fine ‘300. Il frontespizio reca una miniatura che rappresenta Filippo che riceve il libro in questione. Il pittore predilige la fedeltà al vero, la resa realistica delle stoffe e delle cose. - Deposizione (1450) Si testimonia che tra il 1449 e il 1450, van Der Weyden sia stato in Italia, soggiornando a Ferrara, Roma e Firenze. Questa deposizione è conservata agli Uffizi e prende come modello una realizzata da BEATO ANGELICO nel 1440. Quella del fiammingo, però, è in grado di sottolineare il dolore degli attori. Inoltre, il paesaggio in lontananza si allontana tramite sue stradine. MEMBLING, nella seconda metà degli anni ’30 fece il suo apprendistato con van Der Weyden. Raggiunse la stessa importanza dei suoi predecessori, evolvendosi stilisticamente. - Il giudizio universale (1473) Si ispira a quello di van Der Weyden, ma riduce gli scomparti a tre. Al centro posiziona la corte celeste e san Michele arcangelo che divide beati e dannati. Nello scomparto di sinistra i beati che salgono al paradiso, che è un’architettura gotica; mentre, in quello di sinistra i dannati vengono lanciati tra le fiamme dell’inferno. Rispetto a quella del maestro, questa composizione è molto più dinamica. - Trittico donne (1478) Alla pittura fiamminga affianca quella italiana. Unifica lo spazio in tre scomparti e rivela l’interesse per l’antiquario. Al centro la Madonna con Bambino, angeli musicanti, santa Caterina d’Alessandra e santa Barbara. Ai lati i santi Giovanni battista ed evangelista. La parete di fondo e quelle laterali si aprono e ci mostrano un quieto paesaggio. - Ritratto d’uomo con moneta romana (1473-74) Ai tipici ritratti nordici a mezzo busto aggiunge una caratteristica. Il fono non sarà più scuro ma dominato da una campagna verdeggiante e un cielo solcato da poche nubi che si riflette nelle acque. Inoltre, l’uomo ritratto, vestito di nero, compie un’azione. Questo ci mostra una moneta metallica su cui è effigiato Nerone, in onore della passione per l’antiquario dell’Italia. VAN DER GOES - Trittico Portinari (1476-78) Il trittico è composto da tre pannelli. Quello centrale vede l’adorazione dei pastori al cospetto della Sacra Famiglia, quello di sinistra i componenti maschi della famiglia Portinari e quello di destra le donne. A pannelli chiusi, il polittico presenta un’annunciazione in monocromo. Vi sono dei significati simbolici: gigli e iris alludono alla purezza della Vergine; la colombina nel bicchiere, che è una pianta funeraria, allude alla passione di Cristo. Molto minuziosi sono i dettagli fisionomici. I personaggi sono inseriti in uno spazio elaborato e ultraterreno. La profondità è sottolineata dalla luce. Non furono soltanto i pittori fiamminghi a distinguersi nel Ducato di Borgogna, emersero anche pittori francesi. BARTHELEMY D’EYCK, che lavorò per decenni per Renato d’Angiò. - Trittico di Aix-en-provance (1443-45) Le figure si stagliano con forza come fossero sculture di Claus Sluter. Al centro vi è un’annunciazione all’interno di un edificio gotico, cui spazi sono rischiarati dalla forte luce. Negli scomparti laterali i profeti Isaia e Geremia, come fossero delle statue nelle nicchie. Al di sopra di essi degli scaffali con dei libri, come fossero delle nature morte a sé stanti. JEAN FOUQUET, la novità delle sue opere sta nell’applicare le novità prospettiche che si stavano diffondendo a Firenze, apprese durante il suo soggiorno in Italia nel 1444. - Dittico Melun (1452) Ad oggi è smembrato, in origine sulla cornice era presente un tondo con l’autoritratto e le firma dell’autore in monocromo. L’anta di sinistra presentava il committente Etienne Chevalier e santo Stefano che guardano verso l’anta di destra. In quest’ultima la Vergine col figlio circondata da cherubini e serafini. La donna è illuminata da una luce freddissima che va in contrasto con gli angeli circostanti. Ha le sembianze di una giovane donna, dal seno scoperto e prosperoso. Pittura napoletana del primo ‘400: Colantonio e la situazione franco-fiamminga e ispano-fiamminga nel contesto napoletano. Antonello da Messina. Napoli fu per molto tempo il centro entro cui si scontrarono le più imponenti famiglie regnanti d’Europa: Aragonesi e Angioini. Quest’ultimi si imposero nel ‘300 ma nel 1443, Alfonso d’Aragona sale al potere scacciando Renato d’Angiò. Il nuovo sovrano riesce a rilanciare Napoli dal punto di vista culturale, essendo appassionato delle arti. Instaurò la sua corte in Castel Nuovo, dalle duplici torri merlate, che nel 1453 furono congiunte attraverso un doppio arco all’antica. A quest’ultimo lavorarono diverse maestrane, tra cui FRANCESCO LAURANA. Presso questa corte, Bartolomeo Facio, un umanista, scrive nel 1446 ‘’De viris illustribus’’, una raccolta di biografie di uomini illustri tra cui: Donatello, Ghiberti, Pisanello, Gentile da Fabriano, Masaccio, Filippo Lippi, Piero della Francesca ma anche i fiamminghi Van Eyck e van Der Weyden. La presenza a Napoli delle opere di questi ultimi ci fa capire che i pittori della nuova generazione napoletana ebbero la possibilità di studiare l’arte fiamminga. Nel 1527, l’umanista Pietro Summonte aggiornava, con una lettera, un accademico veneziano sull’arte napoletana. In questa lettera furono nominati: COLANTONIO, dedito alle Fiandre e alla loro arte. - San Francesco che consegna la regola (1445-50) Non c’è nulla in Colantonio di Rinascimentale, resiste l’uso dell’oro e la resa della tridimensionalità è minima, tant’è che i personaggi coi loro pesanti panneggi sembrano quasi fluttuare nello spazio. Però vi è molto dell’influenza fiamminga. I panneggi si adagiano frastagliati e anche i volti sono indagati con un’attenzione tipica fiamminga. È differente la luce emanata da questa pala, rispetto ad una fiamminga, perché Colantonio utilizza una tempera grassa e non la pittura ad olio. La predella di questa tavola era composta da: - San Girolamo nello studio Girolamo, vissuto molti secoli prima di san Francesco, indossa comunque un saio francescano, come fosse un precursore dell’ordine. Vediamo san Girolamo, nel suo studio disordinato, che toglie una spina dalla zampa del leone. Vediamo il dettagliato cappello cardinalizio poggiato su una cassapanca. Era rappresentato come un umanista e studioso circondato da libri resi in maniera eccezionale. - Deposizione (1455-60) Tutto dentro lo stile fiammingo, una completamente nello stile dei maestri del nord. - San Sebastiano (1476) Faceva parte di un trittico e rispecchia il momento di congiunzione tra periodo veneziano, l’influenza di Piero della Francesca e di quella dell’arte fiamminga. Infatti, vediamo la luce veneziana e il rigore geometrico di Piero. Del modello vediamo un leggero addome, la sporgenza della scapola e un goffo perizoma. Il linguaggio si fa aulico e si abbina al rigore geometrico del pavimento prospettico. A Napoli, nello stesso periodo, Alfonso d’Aragona invia nelle Fiandre il pittore catalano LUIS DALMAU, per apprendere l’arte di Van Eyck- - Madonna dei consiglieri (1443-45) La situazione artistica a Padova tra Squarcione e Donatello. Nella PADOVA in cui Donatello realizzò il Monumento equestre a Gattamelata e l’Altare di sant’Antonio, si distinse un pittore in particolare: FRANCESCO SQUARCIONE, che nella sua bottega formò circa 137 allievi, tra cui ANDREA MANTEGNA. - Polittico de Lazara (1452) Attesta l’interesse dell’artista per il linguaggio fiorentino. Nella parte centrale vediamo uno stravagante san Girolamo nello studio, cui si apre ad una veduta paesaggistica che ci mostra un cielo nuvoloso. Nelle tavole laterali i santi sono pensati come statue tridimensionali, per questo posizionate su di un basamento. Le loro espressioni fanno si che sia evidente il contatto con Donatello. - Madonna de Lazara (1452) Qui sono evidenti le caratteristiche stilistiche di Squarcione: il festone di frutta, la comparsa inaspettata di un candeliere, la natura morta in primo piano. La rappresentazione in generale è abbastanza eccentrica. La Vergine è posta di profilo, il bambino è simile agli spiritelli donatelliani e poggia il piede su di un davanzale. Lo sfondo si apre su di un cielo nuvoloso. A Padova si erano recati anche FILIPPO LIPPI e PAOLO UCCELLO. Tra gli altri artisti che si distinsero a Padova: MARCO ZOPPO - Madonna del latte (1453-55) Risente, per la sua impostazione, della pittura fiamminga ma anche di Filippo Lippi. Il davanzale è realizzato con la tecnica della marmografia. C’è un sentore pierfranceschiano e lo notiamo nel tondo del volto della donna. La veste è tipicamente quattrocentesca, periodo in cui si diffonde il damascato. GIORGIO SCHIAVONE - Madonna con bambino (1455-60) Elabora in pittura il plasticismo di Donatello: il volto aristocratico e distaccato, le trasparenze, il bambino corpulento. - Madonna con bambino (1460) CARLO CRIVELLI - Madonna della passione (1455-60) È un’opera estremamente decorativa, carica di elementi. Nell’arco trovano posto degli angeli musici che si stagliano su uno sfondo fiammingo. Anche qui vediamo un davanzale cui compito è creare una distanza con i donatori, rappresentati più piccoli secondo un criterio gerarchico. Andrea Mantegna. Mantegna iniziò a lavorare sin da adolescente presso la bottega di Squarcione, che lo aveva accolto addirittura come figlio adottivo. - Cappella Ovetari a Padova (1453-57) Il tema era la vita dei santi Giacomo e Cristoforo. Fu Mantegna ad eseguire la maggior parte del ciclo, ossia le Storie di san Giacomo per interno sulla parete sinistra, il registro inferiore della parete destra con il martirio di san Cristoforo e l’abside con l’assunzione della Vergine. Notiamo che nel complesso predilige lo studio prospettico dato da Piero della Francesca ma anche lo studio dell’archeologia romana. • Martirio di san Cristoforo e il trasporto del suo corpo Danneggiato a causa del bombardamento del 1944, la figura di san Cristoforo che subisce il martirio è andata perduta. Però, possiamo vedere a destra il trasporto del suo colossale corpo per la sepoltura. La scena del martirio e quella del trasporto sono separate da una colonna scanalata. La scena è dominata da edifici all’antica. Le figure sono scorciate da sotto in su. • Storie di san Giacomo I personaggi sembrano maschere donatelliane, ricche di espressione entro quinte architettoniche dal linguaggio classicheggiante. Questa si aprono su vedute paesaggistiche con speroni rocciosi o castelli, indagati con attenzione. - Pala di san Zeno a Verona (1459) La tavola presenta un quadriportico che interagisce con la cornice lignea attraverso un’architettura illusionistica dal gusto antiquario. Le figure sono statuarie come statue donatelliane. Al centro la Vergine in trono circondata da otto santi e spiritelli. Il fondale si apre per mostrarci il cielo. L’influenza di Squarcione è evidente nei festoni di frutta che pendono dall’architrave. Nella predella sottostante sono raffigurate: l’Orazione nell’orto, la Crocifissione e la Resurrezione. • La Crocifissione Utilizza colori esuberanti e vivaci. Il tutto sembra pietrificato, i protagonisti sono colti in scorci ben studiati, così come le anatomie. Delle rocce svettanti e appuntite fungono da quinte, mentre, in lontananza, su di un colle, è visibile un paese. Dopo aver terminato la pala di San Zeno, lascerà Padova per diventare un pittore di corte. - Orazione nell’orto (1455-60) È una tempera su tavola che reinventa la scena presente nella predella di San Zeno. Vediamo gli apostoli che dormono mentre Cristo prega in attesa che i soldati lo arrestino. - Sant’Eufemia (1455-60) Spiccano il cartiglio, il marmo e la posa statuaria. - San Sebastiano (1455-60) Accentua la sua passione per il rovinismo. Il corpo è perfettamente in prospettiva ed il chiaroscuro è fortemente marcato. MANTEGNA A MANTOVA, ci arrivò nel 1460 e si stabilì, fino alla morte, presso la corte di Ludovico Gonzaga. - Morte della Vergine (1460-64) Il primo incarico fu quello di decorare una cappella privata, che ad oggi non esiste più, del castello. Tra queste decorazioni vi era questa tavola. Vediamo il corpo della Vergine disteso al centro sul suo letto di morte. È circondata dagli apostoli, figure donatelliane. Sul fondo della sala si apre una veduta prospettica sul ponte di san Giorgio, che ci documenta come all’epoca fosse ancora chiuso rispetto ad oggi. - Camera degli sposi (1465-74) Racconta scene quotidiane di corte, illustrate tramite un finto loggiato coronato da festoni, dove i tendaggi fungono da quinte. In una scena vediamo Ludovico Gonzaga seduto accanto alla moglie, che riceve una lettera, probabilmente sulle condizioni di salute del duca di Milano; oppure, in un’altra scena vediamo Ludovico che incontra suo figlio Francesco, divenuto cardinale. Nel soffitto dominano elementi architettonici dal gusto antiquariato. Infatti, vediamo dei busti clipeati di Cesari, accompagnati da scritte. Il tutto fa da contorno all’oculo prospettico aperto sul cielo, un omaggio al Pantheon. Da questo si affacciano spiritelli e donne della servitù che guardano dall’alto la vita dei signori. - Cristo morto (1475-80) Rappresenta un compianto si Cristo morto, dove i dolenti sono ridotti al minimo, totale protagonista è la dura pietra in marmo dove giace il corpo di Gesù. Il sudario, dalle pieghe metalliche, è poggiato da sotto alla vita fino alle caviglie, a fin che, Mantegna possa ben concentrarsi sull’anatomia del resto del corpo. L’atmosfera è cupa, i colori sono spenti. La scelta di osservare il cadavere dal basso esalta le qualità prospettiche. L’osservatore, infatti, è posto ai piedi della lastra funeraria. È questa prospettiva che accentua il senso drammatico. - Pala della madonna della vittoria (1496) Eseguita per celebrare la battaglia di Fornovo. Vediamo un’abside formata da frutti e animali, che evoca la formazione con Squarcione. È la rappresentazione di una sacra conversazione, con la vergine in trono. Quest’ultimo elevato su un piedistallo decorato con storie della Genesi. Oltre a san Giovannino ci sono due santi mantovani e due santi guerrieri. A sinistra, Francesco Gonzaga si inginocchia, in armi, per ricevere la benedizione da Maria, mentre sul lato opposto vi è santa Elisabetta eponima della moglie del Gonzaga, Isabella d’Este. Mercanzia. Cristo è disposto entro la nicchia e accoglie Tommaso alzando la mano destra, che diventa il vertice di un triangolo immaginario. Tommaso è disposto al di fuori dell’incavo e si sporge all’interno per toccare la ferita di Cristo. Questa soluzione coinvolge molto di più lo spettatore. - Battesimo di Cristo (1475) Utilizza anche in pittura la struttura piramidale. Le gestualità delle figure sono accentuate, la luce modella i panneggi. Quest’opera è particolarmente conosciuta per l’intervento di Leonardo, allievo del Verrocchio, che realizzò la testa dell’angelo a sinistra e lo sfondo paesaggistico, mostrando un’atmosfera mai vista prima. VERROCCHIO A VENEZIA, fu chiamato dalla Repubblica per rendere onore a Bartolomeo Colleoni. - Monumento equestre a Bartolomeo Colleoni (1480-96) Seppe andare oltre l’esempio donatelliano. Verrocchio accentua l’espressione del condottiero e il dinamismo del destriero che si erge su tre zampe. L’opera non fu conclusa dal maestro, che morì prima. Fu portata a termine da ALESSANDRO LEOPARDI. È all’interno della bottega del Verrocchio che si formeranno due dei più grandi artisti italiani: SANDRO BOTTICELLI e LEONARDO DA VINCI. FILIPPINO LIPPI, che fece il suo apprendistato con Botticelli. - Tre arcangeli e Tobiolo (1477-78) Qui si sente molto l’influenza del maestro. La Cappella Brancacci era la palestra per eccellenza dei giovani pittori fiorentini, però, come sappiano, fu lasciata incompiuta da Masaccio e Masolino. Per questo negli anni 80 del ‘400 si decise di concluderle ed affidare l’incarico a Filippino Lippi, figlio di Filippo il più masaccesco tra tutti. per completare le scene utilizzò un’austerità masaccesca, priva di attenzione agli ornati, anche se nelle forme dei volti e dei volti si nota ancora l’influenza di Botticelli. - Crocifissione di san Pietro (1480-85) - Apparizione della Vergine (1484-85) È in perfetta assonanza con la pittura fiamminga, nel realismo del committente in abisso, nella vivacità cromatica e nel paesaggio. - Storie dei santi Filippo e Giovanni evangelista nella cappella Strozzi in Santa Maria Novella (1487-1502) Commissionata da Filippo Strozzi, la cappella fu terminata molto tempo dopo a causa degli spostamenti di Filippino verso Roma. Qui però acquisì il gusto per l’antiquariato, molto visibile nel ciclo di affreschi • Martirio di san Giovanni evangelista Il santo è immerso in un pentolone di olio bollente. Vi è una forte carica espressiva e un eccesivo utilizzo del gusto antiquario visibile nelle divise dei centurioni e addirittura nelle scritte SPQR. - Storie della vita della Vergine e di san Tommaso d’Aquino nella CAPPELLA CARAFA a Roma (1488-93) Vasari attesta che Filippino fu il primo ad utilizzare le grottesche e proprio in questa cappella. La parete principale presenta una soluzione piuttosto curiosa: al centro la pala d’altare con l’Annunciazione, alla presenza del committente che si inginocchia dinanzi alla Vergine. Tutto intorno alla pala avviene l’Assunzione, popolata da figure bizzarre e che si estende al registro delle Sibille. Ad incorniciare il tutto utilizza delle paraste ornate con grottesche. DOMENICO GHIRLANDAIO - CAPPELLA SASSETTI in Santa Maria Novella (1482-85) Commissionata da Francesco Sassetti, che voleva un ciclo d’affreschi con le storie della vita di San Francesco d’Assisi. Utilizzò un linguaggio chiaro e sereno e colse l’occasione di ambientare le scene nelle Firenze contemporanea. • Consegna della regola È ambientata in Piazza della Signoria. Sul proscenio, in abisso vi è il committente, affiancato dal giovane figlio e da Lorenzo de’ Medici. Quelli di fronte, invece, sono i figli maggiori del committente. - Pala Sassetti (1482-85) Al centro della cappella vi è una sorta di trittico con al centro un’Adorazione dei pastori e ai lati i committenti inginocchiati. Vi è un forte richiamo all’antico e non solo, anche un omaggio alla pittura fiamminga. Infatti, la pala del Ghirlandaio ricorda molto il Trittico Portinari (1477-78) di HUGO VAN DER GOES e Ghirlandaio ne riprende le mosse. - CAPPELLA TORNABUONI in Santa Maria Novella (1485-1490) Si raccontano le storie della vita della Vergine e di san Giovanni Battista. • Natività della Vergine Ci si sofferma sulla qualità luministica e sulla gran cura delle donne che compiono diverse azioni. Alla scena assistono le donne della famiglia Tornabuoni. Abbiamo, inoltre, la testimonianza di come fosse una camera fiorentina del ‘400, riccamente decorata e intagliata. • Natività del Battista Qui la stanza è un pò più austera. • L’annuncio dell’angelo a Zaccaria Si nota il gusto per l’antiquario, in un tempio che ricorda un arco romano. Alla scena assistono i membri della famiglia Tornabuoni. Una scritta in latino ricorda il periodo felice che viveva Firenze nel 1490 sotto Lorenzo il Magnifico, senza il bisogno di nominarlo. Decorazioni ispirate alla Domus Aurea rinvenute nella metà del ‘400 - Ritratto di Giovanna Tornabuoni (1488) Realizzato probabilmente dopo la morte della ragazza e questo spiegherebbe l’atmosfera malinconica. È rappresentata di profilo con un abito dai colori quasi smaltati. Stringe in mano un fazzoletto ed indossa pochi gioielli. Alle spalle un libro di preghiere semichiuso allude alla sua religiosità, così come il rosario. Vi è un’iscrizione in latino legata alle virtù della ragazza. È in questo ambiente che fiorisce anche l’arte del giovane MICHELANGELO. Iniziò il suo apprendistato presso la bottega del Ghirlandaio ma la vera formazione si realizzò grazie alla protezione di Lorenzo il Magnifico e alla frequentazione del Giardino di San Marco. Qui i giovani artisti imparavano pittura, scultura e architettura seguendo i modelli antichi e i maggiori artisti fiorentini del ‘400. - Madonna della scala (1490-92) In cui impara ad utilizzare lo stiacciato donatelliano. - Battaglia dei centauri (1490-92) È un rilievo mai finito. È un groviglio di corpi nodi, figure solide, volumetriche e carnose. Qui, infatti, rinuncia allo stiacciato donatelliano. - Crocifisso di Santo Spirito (1493) È la prima opera pubblica di Michelangelo. Le forme sono piene e levigate, vi è un perfetto studio dell’anatomia. La posizione delle gambe preannuncia la sua ‘’maniera’’, dai movimenti innaturali ma carici di vigore. Botticelli. Quella di Lorenzo il Magnifico fu considerata un’epoca d’oro per Firenze. Ed è proprio in questo periodo che fu fondata l’ACCADEMIA NEOPLATONICA, nel 1462. Il fondatore fu Marsilio Ficino, un umanista e filosofo. A questa si unirono altri intellettuali e umanisti fiorentini sotto la protezione medicea. Questi volevano resuscitare l’accademia Ateniese e il recupero del pensiero di Platone. Volevano armonizzare il pensiero filosofico con la fede cristiana. Per Ficino, l’anima è il mezzo attraverso il quale Dio dona al mondo la sua bontà e l’amore; mentre, la bellezza era concepita come uno strumento per elevarsi rispetto alla bassezza della materia. In pittura, alla fortuna del Neoplatonismo fu associato il nome di: SANDRO BOTTICELLI Le più antiche opere di Botticelli, databili alla metà degli anni ’60, sono copie delle ultime opere di Filippo Lippi. Mentre quest’ultimo moriva, nel 1469, Botticelli cominciava ad affermarsi a Firenze. Nel 1470 dipinse per il Tribunale della Mercanzia un’immagine della Fortezza, in cui cercava di avvicinarsi alle novità dei panneggi e della luce utilizzate dal Verrocchio e dal Pollaiolo. Queste sue capacità gli permisero di affermarsi come pittore per eccellenza al tempo di Lorenzo il Magnifico. - Adorazione dei Magi (1475-76) È il primo ad allestire la scena ponendo la sacra famiglia al centro, in un fabbricato in rovina. Nell’uomo inginocchiato dinanzi al Bambino possiamo riconoscere Cosimo il Vecchio. Nei magi inchinati in basso, con la veste rossa e bianca, Piero il Gottoso e suo fratello Giovanni. I nipoti Lorenzo e Giuliano sono riconoscibili nel giovane a destra con la veste azzurra e in quello a sinistra con quella rossa. L’uomo all’estrema destra, che ci fissa, con un abito giallo, è l’autoritratto del pittore. paesaggio con specchi d’acqua, campanili, torri appuntite e montagne, tutto secondo lo stile di Leonardo che continua ad utilizzare la prospettiva aerea. - Adorazione dei magi (1481-82) È un’opera che il pittore riesce solo ad abbozzare e che rimarrà incompiuta. Vediamo al centro la Madonna e il Bambino all’ombra di un albero. Sono circondati da un folto gruppo di persone in l'secondo piano una serie di edifici e scale in costruzione. Inoltre vediamo anche una serie di uomini e cavalli in incessante movimento che potrebbero alludere ad un tempo passato, al caos prima della venuta di Cristo. Emblematiche sono le piante: la palma è simbolo di martirio, mentre, l’alloro, che adombra la sacra famiglia, è simbolo della gloria di Cristo e di resurrezione. Nel 1483 Leonardo si spostò a Milano, presso la corte di Ludovico il Moro e qui vi rimase fino al 1499. Leonardo qui si propose non solo come pittore ma proprio come artista a tutto tondo. - Monumento equestre a Francesco Sforza Sin da subito promise di innalzare questo monumento equestre per Francesco Sforza. L’impresa, però, non fu mai portata a termine. Per il monumento, immaginava il duca in groppa al destriero che si alzava su due zampe, al di sopra di una figura sconfitta. Il gruppo scultoreo avrebbe dovuto superare i 7 metri di altezza, ma non vi fu possibile la fusione del bronzo. - Vergine delle rocce (1484-85) (1494-1508) La prima commissione pittorica milanese prevedeva una pala per la confraternita dell’immacolata concezione. Tratta di una scena presa dai vangeli apocrifi, quando gli ebrei scappano da Erode che voleva uccidere tutti i neonati maschi. Ad oggi ce ne sono arrivate due versioni. La prima è quella che ad oggi si conserva al Louvre. La Vergine siede in terra, su un paesaggio roccioso indagato con grande attenzione al dettaglio. Allarga il braccio destro per proteggere san Giovannino, che si sta rivolgendo verso il cugino Gesù. Quest’ultimo siede in terra con le gambe incrociate e benedice Giovannino. Accanto a Gesù vi è un angelo che indica san Giovanni, per farci capire che è il vero protagonista della scena, dato che la pala doveva essere posta su un altare dedicato a lui. Anche la presenza dell’acqua è un riferimento al simbolo del Battista. Vi è una tipica composizione piramidale e l’atmosfera è rarefatta grazie all’uso dello sfumato. La prima versione fu rifiutata a causa della mancanza degli elementi canonici. Infatti, nella seconda versione, oggi conservata a Londra, appaiono le aureole e la croce e l’angelo evita di indicare Giovannino. Inoltre il tutto è più definito. - Dama con l’ermellino (1490) Viene ritratta Cecilia Gallerani, donna amata dal signore di Milano, prima che sposasse Beatrice d’Este nel 1491. La giovane emerge da un fondo scuro, è ben vestita e l’ovale del volto è incorniciato dai capelli lisci raccolti in una traccia. Ha in mano un candido Ermellino, simbolo di purezza e che allude anche all’ordine cavalleresco dell’Ermellino di cui Ludovico il Moro faceva parte. Il contrasto col fondo scuro della figura di tre quarti ben illuminata, ricorda i ritratti di Antonello da Messina. Leonardo però sa reinventarli perché le sue figure sembrano ricche di vita. - Cenacolo (1498) Realizzato per il refettorio del convento di Santa Maria delle Grazie, non utilizza la tecnica dell’affresco. Dipingeva sull’intonaco asciutto e perfezionava ogni volta ogni dettaglio. Questa tecnica, a contatto con l’umidità dell’ambiente, ha causato il deteriorarsi del murale. La scena è ambientata in un salone poco ornato, aperto sul fondo da tra finestre da cui entra la luce. La predilizione per gli impianti piramidali scandisce la composizione che vede gli apostoli raggruppati a tre per volta e Cristo stesso, da solo, forma una piramide. La novità della rappresentazione sta nella reazione degli apostoli che cercano tra di loro il colpevole. Leonardo, infatti, è sempre interessato a rappresentare i moti dell’animo. Se prendiamo in considerazione l’Ultima cena (1480) del GHIRLANDAIO, vediamo che la reazione degli apostoli è molto meno concitata. - Madonna con Bambino, sant’Anna e un agnellino (post 1503) Ricorrono i più tipici caratteri di Leonardo: il paesaggio con montagne rocciose, la resa dello sfumato, la gestualità accentuata che allude ai moti d’animo. Vi è un incatenarsi di gesti e sguardi. Ricorre un’intensità nell’espressione degli affetti. - La Gioconda (post 1503) Come sappiamo, ci sono diverse ipotesi sull’identità della donna. La più accreditata afferma che si tratti di Lisa Gherardini, moglie di Francesco del Giocondo. Altri hanno pensato fosse un ritratto della madre di Leonardo e altri ancora che si tratti di Gian Giacomo Caprotti, amante di Leonardo e questo giustificherebbe il patto piatto. Lo sfondo vede un paesaggio montuoso e nebbioso, solcato da corsi d’acqua. Utilizza anche qui la tecnica dello sfumato che rende l’area rarefatta. Ci sono degli elementi neoplatonico: la strada che porta alla felicità, ma anche la donna stessa, archetipo di femminilità. Si è notato che le due metà del volto sono diverse: quella destra è più giovane e accenna un sorriso, al contrario di quella sinistra. Stessa differenza si nota nel paesaggio, che vede il lato sinistro più ribassato e non uniforme. Questo, però, si potrebbe giustificare col fatto che la pala sicuramente non fu terminata. Leonardo la portò con se in Francia, dove morì, ed è per questo che si conserva al Louvre. - Studio di un nettuno per una fontana (1508) Colpito da David che Michelangelo aveva finito di scolpire nel 1504, Leonardo ne studiò le forme per poi trasformarlo in un Nettuno con sotto dei cavalli marini per un possibile progetto di una fontana, - San Giovanni battista (1508-13) Il giovane san Giovanni emerge da un fondo scuro e la luce lo illumina da sinistra. Con la mano indica la croce, il suo simbolo. Rivolge lo sguardo direttamente allo spettatore, con un’aria ambigua ed un sorriso. La sua veste, che scivola sul braccio destro, è formata da una pelliccia. I capelli sono ricci e folti. Grazie all’utilizzo della tecnica dello sfumato si riesce ad ottenere un morbido passaggio tra luci ed ombre che ne evidenzia la plasticità. Il ciclo sulle pareti della Cappella sistina. Papa Sisto IV commissionò una nuova cappella per il palazzo apostolico. Fu realizzata da BACCIO PONTELLI sotto la direzione di GIOVANNINO DE’ DOLCI tra il 1477-81. Prevedeva una grande aula rettangolare coperta da una volta. Il pavimento è in marmo e nel 1481-82 iniziò ad essere affrescata. Le pareti affrescate seguivano uno schema ben preciso: in basso uno zoccolo con finti arazzi; nel secondo registro storie della vita di Mosè e di Cristo; nel registro superiore figure di papi entro finte nicchie; la volta prevedeva un cielo stellato. Sisto IV si preoccupo di ingaggiare i migliori artisti italiani del tempo. - Vocazione di Pietro ed Andrea di DOMENICO GHIRLANDAIO Vediamo un lago solcato da pescatori. In primo piano Cristo che chiama a se Pietro e Andrea che si inginocchiano dinanzi a lui. Domina un’atmosfere da serenità, in cui si fonde il rigore di Masaccio e la pittura di luce. - Punizione dei ribelli di BOTTICELLI Vediamo un paesaggio dell’Italia centrale dominato da un arco di trionfo antico. Narra della rivolta degli israeliti contro Mosè. Questo è al centro con una veste verde e la barba lunga ed è difeso, alle sue spalle, da Giosuè. Sulla sinistra, lo stesso Mosè, scaccia i ribelli direttamente negli inferi. Come solito di Botticelli, nella rappresentazione non c’è tridimensionalità. - Consegna delle chiavi di PERUGINO In primo piano al centro, Pietro si inginocchia dinanzi al giovane Gesù che gli consegna le grandi chiavi del Paradiso, al cospetto degli altri apostoli. Vi sono anche degli astanti a guardare la scena, vestiti con abiti rinascimentali. Sulla destra vediamo due figure con in mano compasso e squadra, identificabili come Baccio Pontelli e Giovannino de’ Dolci. La scena è ambientata in una piazza pavimentata con lastre in marmo che creano una fuga prospettica che culmina nell’edificio a pianta centrale, che allude al tempio di Salomone. Questo è affiancato da due archi all’antica e sullo sfondo vediamo degli alberi. Domina l’ordine e la precisione prospettica. Vi è una luce nitida e chiara che fa risaltare le forme tridimensionali dei protagonisti. Sotto il pontificato di Giulio II, nel maggio 1508, fu commissionato a MICHELANGELO di sostituire la volta stellata con un ciclo di affreschi. Michelangelo scelse il tema delle Storie della Genesi, per ben collegarsi al ciclo presente sulle pareti, e si spinse anche oltre. Infatti, negli scomparti verticali rappresenta Sibille e Profeti, nelle vele e nelle lunette il ciclo degli antenati di Cristo e nei pennacchi angolari quattro storie dell’Antico Testamento. Il tutto è incorniciato da una finta partitura architettonica intervallata da ignudi. - Creazione di Adamo Il paesaggio è quasi inesistente. Adamo è il riflesso di Dio. Adamo è un giovane uomo dal corpo atletico ed è adagiato sulla terra appena formata. Dio è un uomo maturo carico di energia. L’occhio di Adamo non è dipinto ma è ottenuto dal rialzo dell’intonaco fresco. Dio e gli angeli risiedono in una nube rossastra che simboleggia un cervello, metafora della supremazia e dell’intelligenza di Dio. Da sotto il braccio di quest’ultimo spunta Eva, già formata e protetta. Adamo tende il braccio verso Dio ma i due non si toccano. Il momento acquista un valore eterno e universale perché sottolinea l’irraggiungibilità della perfezione divina. - Peccato originale Qui ed Eva ad essere creata ed il suo corpo è possente. Assume una posa contorta al quanto inverosimile. Il serpente tentatore che si attorciglia all’albero ha sembianze umane. Nel momento in cui i due progenitori vengono cacciati dal Paradiso, la loro bellezza viene trasfigurata, metafora di bruttezza interiore. Caratteristico è vedere che le figure femminili hanno corpi massicci e voluminosi come quelli maschili e lo possiamo ben attestare con le Sibille. Questo si deve anche al fatto che Michelangelo si sentiva principalmente uno scultore, quindi rende la pittura come se fosse una scultura. Quando Michelangelo si trasferì ufficialmente a Roma nel 1534, papa Clemente VII gli commissionò la realizzazione della parete di fondo della Cappella Sistina, che fu terminata durante il pontificato di papa Simbolo di armonia cristiana e neoplatonica. - Tondo Doni (1507) Fu commissionata dal banchiere Agnolo Doni, probabilmente occasione della nascita della sua primogenita. Le figure sono statuarie. Vediamo al centro la sacra famiglia, rappresentata in maniera non convenzionale. Maria è in ginocchio sul prato e compie una doppia rotazione (contrapposto) per prendere il bambino che le sta porgendo Giuseppe alle sue spalle. La corporatura di Maria è molto virile. Un muretto, dal quale si affaccia san Giovannino divertito, divide l’opera in due scene. Le figure in secondo piano, dei nudi che rimandano alla passione di Michelangelo per le anatomie, hanno una connessione con quelle in secondo piano: simboleggiano l’età d’oro in cui l’uomo era in perfetta armonia con la natura. Emerge, dunque, il concetto neoplatonico di armonia tra mondo classico e mondo cristiano. C’è l’influenza di Leonardo nell’utilizzo della struttura piramidale. Dal punto di vista cromatico, i colori sono più chiari e accesi e viene utilizzato il cangiantismo: le luci e le ombre sono di colori diversi e accostati tra loro acquisiscono più luminosità. Anche la cornice in legno e stucco coi quattro evangelisti e Cristo fu realizzata da Michelangelo. Nel 1505, Giulio II aveva chiamato a Roma Michelangelo per commissionargli il suo monumento funebre da porre nella tribuna della basilica di San Pietro. - Tomba di Giulio II (1501-1545) Il primo progetto prevedeva un monumento isolato a pianta rettangolare che doveva essere corredato di circa 40 sculture, tra queste anche il Mosè. Nel momento in cui Michelangelo si procurò tutti i marmi necessari, il papa non lo ricevette e l’artista decise di abbandonare il lavoro. Alla morte del papa nel 1513, i suoi eredi ripresero la commissione ma in maniera più modesta. Si puntò per un monumento parietale, sempre dotato di sculture ma in numero inferiore. Questo si sarebbe dovuto innalzare, inoltre, in San Pietro in Vincoli. Nel registro superiore le stature del papa, disteso su di un fianco, la Vergine con Bambino, una sibilla e un profeta (tutte queste sculture non erano ad opera di Michelangelo). Di Michelangelo erano le sculture del registro inferiore: il Mosè al centro e due figure femminili dell’antico testamento, le figlie di Lebano spose di Giacobbe. A destra Lia e a sinistra Rachele, che sono allegorie della vita contemplativa e della vita attiva. - Prigioni Erano figure previste per il registro inferiore della tomba di Giulio II. Il prigione morente è un giovane dal corpo atletico, cui posa ricorda quella del Laocoonte. Lo schiavo giovane è rimasto solo abbozzato, come se ancora volesse liberarsi dalla materia che lo ricopre, c’è una massima tensione. - San Matteo (1506) L’opera del Duomo fiorentina gli affidò l’incarico di scolpire i 12 apostoli da posizionare sotto la cupola del Duomo, quindi ad una grandezza superiore di quella naturale. A causa delle numerose commissioni, prima di andare a Roma, riuscì ad iniziare solo il san Matteo, che non portò nemmeno a termine. Dunque possiamo considerarlo un primo esempio di ‘’non-finito’’. Per la sua posizione si ispira al Laocoonte. L’apostolo è colto in un’energica torsione, ricca di pathos e lo stato di non-finito ne accentua la sensazione. Segue, dunque, le regole del contrapposto. - Mausoleo mediceo nella Sagrestia Nuova (1520-34) Leone X volle costruire un nuovo mausoleo mediceo, dedicato al padre Lorenzo morto nel 1519 e allo zio Giuliano morto nel 1516. La sagrestia si innalzò sul transetto destro della chiesa, speculare a quella di Brunelleschi. Michelangelo si dedicò sia alla parte architettonica che a quella scultorea. Era un’ambiente a pianta quadrata, coperta da cupola, cui superfici erano bianche e i parametri murari in pietra grigia. L’arredo prevedeva l’altare, le due pareti speculari con le tombe dei fratelli e una parete con gruppo scultoreo della Madonna con bambino e i santi Cosma e Damiano. Le tombe erano divise in due registri: quello superiore con tre finte finestre, due delle quali erano chiuse, e in quella centrale vi risiedeva la statua del defunto; mentre, quello inferiore prevedeva un sarcofago sul quale erano adagiate una figura maschile e una femminile, simbolo del tempo che conduce alla morte. Infatti sulla tomba di Giuliano vi erano la notte e il giorno, su quella di Lorenzo l’aurora e il crepuscolo. Alcune sculture non furono portate a termine da Michelangelo, proprio come la scultura della Madonna con Bambino. Tra le ultime sculture di Michelangelo abbiamo delle pietà, realizzate quando aveva circa 60 anni e che progettava per destinarle alla propria tomba. - Pietà Bandini (1547-55) Il gruppo scultoreo vedeva, oltre che alla Vergine e al Cristo deposto, anche Nicodemo e la Maddalena. Queste erano un intreccio di figure. Michelangelo volle autoritrarsi nella figura di Nicodemo. Non portò mai a compimento l’opera perché un difetto del marmo lo fece infuriare e abbandonare tutto. - Pietà Rondanini (1552-64) Vediamo la figura di Cristo, che scivola verso la morte, sorretto dalla madre. Qui non vi è un intreccio di corpi, ma da un solo blocco ne sono generati due, come se madre e figlio fossero fusi insieme. Tuttavia si tratta di un non-finito, a causa della morte di Michelangelo, ma che appare di una straordinaria modernità. Anche a Napoli arrivò l’influenza della Toscana e di Roma. La città si stava evolvendo anche in seguito all’arrivo nel 1552 di MARCO PINO, amico di Michelangelo, inizia ad elaborare uno stile basato sulle figure serpentinate e che avrebbe contraddistinto la pittura napoletana. - Michele arcangelo (1573) Questa pala è un vero emblema della Maniera. Vediamo l’arcangelo in una posa contorta mentre si appresta ad uccidere Lucifero, dalle volumetrie michelangiolesche. I colori sono vivacissimi e vi è una straordinaria apertura paesaggistica. Raffaello (anche in rapporto a Perugino). PERUGINO, nacque nel 1450 in un paesino in provincia di Perugia. Compì il suo apprendistato presso la bottega del Verrocchio nel 1472. È proprio dal maestro che deriva il modo di rappresentare i manti con ampie pieghe. - San Bernardino che risana una fanciulla (1473) Fa parte di una parete composta da otto scene sulla storia di san Bernardino dipinte per l’oratorio di Perugia. Vi si riconosce luce e prospettiva derivanti dal Verrocchio. L’architettura rinascimentale si apre su di una campagna verdeggiante dell’Umbria. Lo abbiamo già visto nella rappresentazione della Consegna delle chiavi all’interno della Cappella Sistina e quando la dipinse era già un artista affermato. Infatti, Sisto IV gli affidò anche le scene (oggi perdute) per la parete dell’altare, con la pala d’altare dell’Assunta e la nascita di Mosè e di Cristo. Divenne dunque il principale maestro della cappella dato che ne dominavano i suoi paesaggi sereni e verdeggianti, con alberi magrissimi. Terminato l’impiego nella Cappella Sistina, Perugino lavorò tra Perugia, Roma e Firenze adottando un nuovo linguaggio. La serenità dei suoi paesaggi, posti come sfondo, si diffonde a tutta la composizione. - Pala di san Domenico a Fiesole (1493) Vediamo che le figure si stagliano in un semplicissimo loggiato. La Vergine con bambino è seduta su un trono rialzato, cui basamento è appena ornato da una decorazione antiquaria. Le si affiancano san Domenico e san Sebastiano. Le figure sono solenni, aggraziate e dolci. - Apollo e Marsia (1490-1500) Racconta il mito della sfida musicale tra il flautista ed Apollo. Marsia viene raffigurato mentre suona lo strumento, Apollo in piedi lo scruta, convinto di avere già la vittoria in pungo. La scena si staglia su un paesaggio fluviale minuziosamente descritto. - Pala della Certosa di Pavia (1496-1500) Adotta lo stesso linguaggio della pala precedente, anche se questa è tripartita e non vi è lo scomparto architettonico. - Collegio del cambio di Perugia (1496-1500) Nella sala delle udienze del Collegio del Cambio, sede di molte corporazioni, tra cui quella dei banchieri, realizza un ciclo di affreschi. Sulla volta vi sono delle grottesche mentre nelle lunette vi erano: Natività, Trasfigurazione, Profeti e Sibille, Virtù ed Eroi antichi. Ognuna delle quattro virtù affianca degli eroi antichi. Tutte le figure sono raffigurate coi tratti dolci tipici di Perugino, dinanzi ad un consueto paesaggio. - Lotta tra Amore e Castità (1505) Per lo studiolo di Isabella d’Este a Mantova, realizzò una tela corredata da una numerosa serie di figure mitologiche. Non fu di certo una delle migliori opere di Perugino, forse per la difficoltà del tema, espressamente richiesto dalla duchessa. Nella Cappella Sistina, Perugino ebbe numerosi assistenti, tra cui il giovane Pinturicchio, che già lo aveva affiancato nel ciclo di san Bernardino a Perugia. PINTURICCHIO, si sarebbe poi affermato a Roma, rielaborando le soluzioni del maestro. - Funerali di San Bernardino (1486) Fa parte di un ciclo sulle storie di san Bernardino per una cappella a Roma. Riprende la Consegna delle chiavi del maestro, realizzata nella cappella Sistina. - Annunciazione (1500-01) Fa parte di un ciclo con le storie della Vergine che realizza a Spello. In questa scena, accanto alla parasta con le grottesche, possiamo vedere, all’interno di un quadretto, l’autoritratto dell’artista. - Libreria Piccolomini a Siena (1502-08) Realizzò un ciclo di affreschi, una sorta di biografia su papa Pio II. Sul soffitto erano previste delle grottesche, che si estendevano fino alle paraste. Le pareti erano divise in dieci finestroni. Pinturicchio si servì di numerosi aiutanti, tra cui il giovane Raffaello che si adoperò per progettare la scena del Viaggio verso il concilio di Basilea. Questo ci fa intendere la grandezza di Raffaello come disegnatore. Il cavaliere è a cavallo e le sue movenze sono equilibrate. Si staglia su un paesaggio fluviale in lontananza. - Disputa del sacramento (1509) Il pavimento prospettico conduce verso l’altare su cui è esposta l’ostia. Tutt’intorno dei personaggi illustri, coi loro gesti ricchi di enfasi, esaltano il sacramento. Riconosciamo: a sinistra, col libro aperto sul parapetto, Bramante; alla sinistra dell’altare con una veste rossa, Giulio II; a destra c’è Dante e il personaggio al suo fianco ricorda molto il Laocoonte. In cielo risiede al centro Cristo accompagnato da Maria e San Giovanni, affiancati da patriarchi, profeti e santi. Se prendiamo in considerazione la seconda figura a sinistra, con le gambe accavallate, capiamo che stanno amabilmente discutendo. Al di sopra di Cristo vi è Dio circondato da una schiera di angeli. Il tutto è accordato da una gestualità leonardesca. - La scuola di Atene (1510-11) Vi è un maggiore rigore compositivo, dato che la scena è ambientata all’interno. Raffaello ci vuole mostrare come Bramante aveva studiato la Basilica di San Pietro, con un’unica grande navata interrotta dal transetto nella cui intersezione si sarebbe innalzata la cupola. Le pareti, inoltre, fingono nicchie in cui possiamo vedere le statue di Apollo e di Minerva. Ben 58 personaggi disputano con estrema gestualità. In molti di questi possiamo identificare personaggi contemporanei a Raffaello. In Platone, re dei filosofi che punta col dito verso il cielo ad indicare il mondo delle idee, si tende ad identificare Leonardo; Aristotele punta verso il basso ad indicare la sua visione materiale delle cose; a destra vediamo Euclide che è piegato per segnare un cerchio col compasso, in questo possiamo rivedere Bramante; solitario sulla scalinata, con la testa poggiata sul braccio c’è Eraclito, palese ritratto di Michelangelo, aggiunto dopo che Raffaello vide la volta della Cappella Sistina; sulla sinistra una fanciulla in bianco guarda verso di noi, è Ipazia di Alessandria, una donna filosofa uccisa dai cristiani; a destra, che guarda sempre verso l’osservatore, l’autoritratto di Raffaello affiancato da Sodoma, che aveva iniziato l’impresa prima di lui. - Il Parnaso (1511) Non potè usufruire di tutta la parete perché era interrotta da una finestra. Vediamo al centro Apollo che suona la lira ed è affiancato dalle muse. Tutt’intorno una schiera di poeti antichi e moderni coronati d’alloro. Tra questi riconosciamo: Saffo, Dante, Omero e Virgilio. • Stanza dell’Eliodoro, tratta della salvezza della Chiesa, di Dio che opera per salvarla. - Eliodoro cacciato dal Tempio (1511-12) La scena è tratta da un vangelo apocrifo dell’Antico Testamento, quando Eliodoro, emissario del re di Siria, saccheggia il tempio di Gerusalemme delle ricchezze destinate alle vedove e agli orfani. Sotto richiesta del sommo sacerdote, che vediamo al centro in preghiera, Dio manda un cavaliere a scacciare il saccheggiatore. Questa scena, posta sulla destra, è estremamente dinamica, di sicura influenza michelangiolesca. Sulla sinistra, su di un trono mobile, assiste alla scena Giulio II e dinanzi a lui il gruppo di vedove e di orfani. Il messaggio è che la chiesa lotta per il proprio potere ma in difesa dei più deboli, contro l’avidità dei ricchi. - Messa di Bolsena (1512) Dipinta come se fosse una scena contemporanea, riprende il momento in cui nel 1263 avvenne il miracolo del Corpus Domini. È un episodio che allude alla difesa dell’eresia. A destra, inginocchiato dinanzi all’altare vi è il ritratto di Giulio II al cospetto di cardinali e palafrenieri. Lo stile di Raffaello inizia a cambiare, dato il contatto con Sebastiano del Piombo. - Liberazione di san Pietro (1512-13) Allude alla liberazione della chiesa dalla minaccia francese. La scena è divisa in tre momenti: al centro appare a San Pietro, dormiente nella sua cella, l’angelo in un bagliore di luce; a destra la fuga, coi due soldati addormentati; a sinistra la scoperta della fuga. San Pietro appare vecchio è stanco alludendo alla morte di Giulio II, liberato dal carcere terreno. • Stanza dell’incendio di Borgo (1513) Riprende l’episodio dell’847 quando a Borgo, davanti al Vaticano, divampa un tremendo incendio. Lontano vi è l’antica basilica di San Pietro con le antiche sembianze paleocristiane. Da questa di affaccia Leone IV, con le sembianze dell’attuale Leone X, per benedie la gente che prega. Infatti la scena è divisa in tre gruppi: gente che scappa, gente che prega e gente che cerca di spegnere l’incendio. Vi è un forte dinamismo, oltre che ad una citazione dell’Eneide. - Ritratto di Giulio II (1511) - Ritratto di Leone X (1518) Leone X era un papa Medici, dunque prediligeva le arti. È affiancato dal cugino cardinale Giulio de Medici. Il volto è privo dell’atteggiamento volitivo che caratterizzava Giulio II. Ha lo sguardo distolto. Stava studiando un libro miniato. Le mani, eleganti, risultano quasi femminili, privi di segni del lavoro, che toccano solo cose belle. Uno dei due cardinali guarda verso lo spettatore. - Profeta Isaia nella chiesa di sant’Agostino (1511-12) Lo stile della cappella sistina si diffuse rapidamente a Roma e il committente non era solo Giulio II. Nel 1510, Giano Coricio, decise di innalzare un altare sul terzo pilastro sinistro della chiesa di sant’Agostino. Si volle un gruppo scultoreo, da posizionare nella nicchia, con sant’Anna, la Madonna e il Bambino, realizzati da ANDREA SANSOVINO e al di sopra di questa, Raffaello dipinse il Profeta Isaia. L’affresco era di chiara ispirazione michelangiolesca, la somiglianza con le figure del Buonarroti era impressionante. - Trionfo di Galatea nella villa Chigi (1511) Uno dei più grandi committenti di Raffaello fu Agostino Chigi. Questo fece realizzare a Baldassare Peruzzi una villa suburbana. Si all’interno che all’esterno la villa era affrescata e vi lavorò anche Raffaello. Nella scena del Trionfo vediamo la giovane Galatea fuggire da Polifemo su di una conchiglia trainata da delfini e circondata da altre creature marine, mentre tre amorini stanno puntando delle frecce verso di lei. Il Polifemo accanto fu realizzato, invece, da Sebastiano del Piombo. - Madonna di Foligno (1511-12) Rinnova lo stile della sacra conversazione ponendo la Vergine, non più su un trono, ma su una massa di nubi. - Estasi di santa Cecilia (1514) Santa cecilia al centro, abbandona in terra gli strumenti musicali di cui era protettrice e volge lo sguardo al cielo dove è apparso un coro angelico che intona una melodia celeste. È affiancata da san Paolo, san Giovanni, sant’Agostino e Maria Maddalena. In terra una straordinaria natura morta di strumenti. Sullo sfondo un paesaggio collinare. - Madonna Sistina di Raffaello (1513-14) C’è un sottile gioco tre il divino e l’umano. Il tendaggio rende la composizione scenica. La Vergine dal volto dolce, tipicamente raffellesco, e inondata da questo vento caldo che le apre il manto e ci mostra Gesù, un po' spaventato perchè non ci conosce. Per ricordare Giulio II, deceduto da poco, Raffaello affida il suo ritratto alla figura di san Sisto. I colori sono acidi, i gesti contratti, ci stiamo avvicinando sempre più alla Maniera. - Trasfigurazione (1520) Questa pala vede due registri scenici: quello superiore con la trasfigurazione di Cristo, in cui la scena è più serena e pacata; quello inferiore con un giovane posseduto dal demonio e circondato da figure dell’estremo dinamismo. La guarigione è dovuta proprio alla natura divina di Cristo, svelata con la Trasfigurazione. Spiccano i contrasti cromatici. Pittori veneziani dai Bellini a Giorgione. Soltanto alla metà del ‘400, Venezia, ancora sotto l’influenza tardo gotica, riuscì ad aprirsi al Rinascimento. Caratteristica della pittura veneziana saranno la luce e il colore. GIOVANNI BELLINI, fu il principale protagonista di questa nuova pittura. Riuscì a prendere il meglio da ogni maestro cui venne a contatto. Era nato a Venezia nel 1430, in un ambiente ancora caratterizzato dal gotico internazionale. - Pietà Correr (1460) Intenerisce le durezze di Squarcione e Mantegna attraverso una luce calda che leviga le figure. Lo sfondo è un tipico paesaggio dell’entroterra veneto solcato da architetture classiche all’antica. - Orazione di Cristo nell’orto (1460-65) È una rappresentazione iconografica presa direttamente da Mantegna. Bellini, però, leviga le durezze mantegnesche attraverso una luce calda. - Trasfigurazione Correr (1455-60) La committenza imponeva ancora l’utilizzo di formati gotici e questo è visibile nella cornice dorata polilobata. Le figure, però, sono molto più evolute rispetto alla tradizione gotica. L’episodio di Cristo che parla sul monte Tabor con Mosè ed Elia, mentre i discepoli Pietro, Giovanni e Giacomo dormono, è narrato alla maniera di Mantegna. Questo è evidente nelle pieghe indurite dei panneggi e nella base rocciosa in primo piano. - Trasfigurazione di Napoli (1478) Qui lo stile cambia radicalmente rispetto alla prima rappresentazione dello stesso tema. Le durezze di Mantegna rimangono visibili solo nella rappresentazione rocciosa, il resto è tutto levigato da una calda luce estiva che addolcisce le figure. Questa resa è data dall’utilizzo della pittura ad olio. - Miracolo della reliquia della croce al ponte di Rialto (1494) Siamo sul Canal Grande nei pressi del ponte Rialto, ancora in legno. Vediamo il canale trafficato da gondole e la processione dei confratelli di san Giovanni Evangelista che attraversa il ponte. Le case, oltre a qualche finestra gotica, mostrano dei comignoli alla veneziana. Carpaccio lavora anche per la Scuola di Sant’Orsola, 1490-95, realizzando ben nove teleri- - Incontro e partenza di sant’Orsola ed Eremo Si snoda in vari momenti. Vediamo a sinistra l’Inghilterra e a destra la Bretagna rappresentata come fosse Venezia rinascimentale. Qui avviene l’incontro tra i due fidanzati che salutano i genitori di Orsola e sul fondo loro che si imbarcano per il pellegrinaggio a Roma. Sono rappresentati numerose volte. - Sogno di sant’Orsola Ambientata in un’umile stanza veneziana. Vediamo la santa che dorme in un letto a baldacchino e l’angelo che entra dalla porta con la palma del martirio per preannunciarlo alla donna. La luce fiamminga che entra dalla porta illumina la stanza. - Leone di san Marco (1516) Conservato al Palazzo Ducale di Venezia. Il leone si staglia per metà sul mare e per metà sulla terra. Sul fondo vi è una veduta di Venezia solcata da velieri. DURER, era il maggiore pittore tedesco all’epoca. Questo non gli impedì di soggiornare a Venezia. - Festa del Rosario (1506) Ha allestito una scena colorata e fastosa. La Madonna in trono con Bambino, sono circondati da molteplici figure e incoronano il papa e l’imperatore. Tra i personaggi, in alto a destra, con una lunga capigliatura e la barba, vi è anche l’autoritratto del pittore. In basso, l’angioletto musicante è una citazione a Giovanni Bellini. GIORGIONE, fu il maestro che seppe dare una svolta decisiva alla pittura veneziana. Le notizie sulla sua vita in laguna, però, sono molto scarse. Sappiamo che morì a causa della peste nel 1510. - Adorazione dei pastori (1500-1505) La scena è ambientata in un paesaggio che è protagonista alla pari delle figure umane. Si tratta della campagna dell’entroterra veneto. La grotta in cui è nato Gesù occupa tutta la metà destra della tavola, mentre, nell’altra metà vi è il paesaggio. Tutto è giocato sulla luce e sul colore, come possiamo vedere, ad esempio, nel manto arancione di san Giuseppe. Anche i volti sono ben sfumati e recano delicatezza. - Pala di Castelfranco (1505) Come di consuetudine vediamo la Vergine con bambino su di un trono sopraelevato e ai suoi piedi san Francesco e un santo guerriero. La novità sta nell’abolizione dell’abside in favore di una veduta paesaggistica. A fin che questa fosse ben visibile, Giorgione alza di molto il trono e con questo anche la linea d’orizzonte. La luce investe le figure, le ammorbidisce e le sfuma. La pittura abolisce la linea di contorno e la resa è più naturale. - La tempesta (1506-08) Qui la natura è la principale protagonista, tanto che spesso questo quadro è considerato il primo paesaggio della storia. Lo vediamo illuminato da un filmine che si abbatte su un borgo veneto. Nella campagna circostante, una donna nuda allatta un bambino al cospetto di un giovane. Potrebbe trattarsi dei due progenitori cacciati dal paradiso terrestre e il fulmine alluderebbe all’ira di Dio. - Doppio ritratto (1502-05) Tra le innovazioni di Giorgione vi sono anche nuovi ritratti, lontani da quelli di Antonello da Messina, che cercano di esprimere i moti dell’animo. Qui lo vediamo in questo giovane elegante che si affaccia da una finestra, è pensieroso e poggia la testa sulla mano destra. Nell’altra mano regge un melangolo, un’arancia selvatica, da sempre simbolo dell’amore infelice e malinconico. Alle sue spalle compare un altro ragazzo, un amico che forse vorrebbe consolarlo ma che non riesce a trattenere il sorriso di scherno. - Concerto campestre (1510) Non è ancora ben chiaro se si tratti di un’opera di Giorgione o del suo allievo Tiziano. Si pensa che sia stata iniziata da Giorgione e terminata alla sua morte da Tiziano. Vi sono raffigurati due uomini che suonano in primo piano ed indossano abiti del tempo. Uno suona il liuto, strumento colto, l’altro suona il flauto, strumento più rustico. L’unione di questi due genera la musica neoplatonica, che porta ad una conoscenza superiore. Le due donne, dalla bellezza ideale, sono nude e rappresenterebbero le muse della poesia e della musica. In lontananza intravediamo anche un pastore. La luce calda e dorata contribuisce a rendere un’atmosfera da sogno. Non vi è la linea di disegno ma piuttosto il ricorso al tonalismo. - La venere dormiente di Dresda (1510) La dea è ritratta nuda e dormiente mentre con la mano si copre pudicamente. Questa fu il primo modello a cui si ispireranno poi nel tempo numerosi maestri: Tiziano, Goya, Manet… Tiziano. TIZIANO, nacque nel 1400/1490 nelle Dolomiti e intraprese la sua formazione a Venezia presso la bottega di Giorgione. Infatti, del maestro, terminò le opere lasciate incompiute alla morte, come abbaiamo già visto per la Venere di Dresda, cui sono attribuiti la realizzazione del paesaggio e del cuscino e le stoffe su cui poggia la fanciulla. - Noli me tangere (1511) Lo stesso paesaggio della Venere di Giorgione è visibile anche in questo sfondo. Infatti quest’opera fu realizzata poco dopo la morte del maestro. Tratta del momento in cui Cristo risorge e si fa vedere, ma non toccare, dalla Maddalena. Non vediamo il sepolcro ma Cristo ha in mano una zappa, perché secondo le scritture, la Maddalena lo aveva scambiato per un giardiniere. I personaggi sono immersi nella natura e la resa dei colori è particolarmente naturale. - Ritratto d’uomo (1510) Vediamo l’uomo di profilo con la testa appena ruotata verso di noi. Questo poggia il braccio su di un davanzale su cui sono effigiate le iniziale T. V. Per sfuggire alla peste, nel 1511, Tiziano di rifugia a Padova. - Storie di sant’Antonio da Padova per la Scuola del Santo (1511) Qui illustrò i tre miracoli più famosi del santo titolare: Antonio che fa parlare un neonato per scagionare la madre dall’accusa di adulterio, Antonio che riattacca un piede ad un giovane e Antonio che risana una moglie pugnalata dal marito geloso. • Miracolo del marito geloso In primo piano vediamo la tragica scena del marito che, colmo d’ira, sta per pugnalare la moglie. Sono in ombra e spiccano grazie al colore delle loro vesti. In secondo piano, riconosciamo il marito inginocchiato dinanzi ad Antonio per chiedergli il perdono. - Amor sacro e amor profano (1514-15) Davanti ad un paesaggio veneto, si stagliano due donne, una vestita ed una completamente nuda, che si poggiano ad una vasca con un basso rilievo. Tra le due vi è anche un Cupido. Si tratta di un dipinto commissionato per delle nozze. La Venere seminuda e il Cupido, accompagnano a nozze la donna, elegantemente vestita e coronata da fiori di mirto. Ha in mano delle rose e dietro di lei ci sono dei coniglietti bianchi, simbolo di fecondità. La Venere dispensa alla sposa il fuoco dell’amore. - Assunta dei Frari (1516-18) la gigantesca pala apre un nuovo capitolo della pittura veneziana, che si allontana da quella di Bellini. Il colore veneziano è adattato alle imponenti figure che compiono gesti enfatici. Dominano le forme, si gonfiano i panneggi. La composizione è divisa in tre livelli: lo stupore degli apostoli; l’ascesa di Maria su di una nube, che getta ombra sugli apostoli, circondata da una schiera di angeli; Dio in un empireo dorato. Il pathos emotivo è dato proprio dalla luce calda. Ci volle un po' di tempo a fin che i veneziani capissero la portata rivoluzionaria dell’opera. - Uomo dal guanto (1523) L’uomo emerge da un fondo scuro. Il suo busto è posto di fronte a noi mentre la testa è ruotata verso destra, il suo sguardo è distaccato. Col braccio sinistro si poggia ad una lastra di marmo, che reca la firma del pittore come se fosse un’incisione. Indossa abiti tipici dell’epoca e il guanto era simbolo di estrema eleganza, così come l’anello dorato che ha nella mano destra. - Deposizione (1525) Il corpo di Cristo è trasportato da tre uomini, alla presenza di Maria e della Maddalena. La composizione è triangolare e questo rende maggiormente lo sforzo del trasporto. Questo è accentuato anche nei giochi di luce, che si concentra maggiormente sulle gambe di Cristo, mentre, il busto è in ombra, come a preannunciare il sepolcro e la morte. - Festino degli dei (1508) di GIOVANNI BELLINI terminato da TIZIANO Alfonso d’Este, duca di Mantova, volle emulare presso la sua corte uno studiolo simile a quello di Isabella d’Este. Non riuscì ad ottenere opere dei grandi pittori italiani ma riuscì a raggiungerne comunque gli esiti. L’ormai vecchio Giovanni Bellini realizza questa tela prendendo spunto dai Fasti di Ovidio. Raffigurò gli dei antichi, accompagnati da satiri e ninfe, in un allegro convivio. Domina il colore e questo si noterà ancora di più con l’intervento di Tiziano. Una decina di anni dopo Bellini, Tiziano riprese il tema delle storie del Filostrato, con tre dipinti: - Pietà (1575-76) Proprio come fece Michelangelo, Tiziano sentendo avvicinarsi la morte, volle realizzare una Pietà da posizionare sopra il suo luogo di sepoltura. Al di sotto di una nicchia, affiancata dalle statue di Mosè ed una Sibilla, vediamo la Vergine che regge il corpo morto del figlio, mentre la Maddalena lancia un urlo di dolore accentuato dal gesto delle braccia allargate. Nell’uomo seminudo per terra, che assiste alla scena, riconosciamo un altro autoritratto di Tiziano. L’atmosfera è tenebrosa, la materia è vibrante di luce e colore. Si tratta di un vero e proprio testamento di Tiziano. Lorenzo Lotto, Sebastiano del Piombo, Tintoretto, il Veronese. LORENZO LOTTO, nacque a Venezia ma iniziò a distinguersi lontano dalla laguna, a Treviso. Nel corso della sua vita si sposto anche nelle Marche e a Roma. - Madonna con Bambino e santi e Pietà (1506) Nel coronamento vediamo Cristo in pietà sorretto da angeli, tema caro alla pittura veneziana. Nella pala sottostante vediamo una sacra conversazione con dei personaggi dallo spirito capriccioso: i volti dei santi sono arcigni, mentre, quello della Vergine è incuriosito. - Pala Martinengo (1513-16) Fu realizzata a Bergamo per una chiesa domenicana. La sacra conversazione è ambientata in un edificio stravagante in cui convivono i mosaici tipici di Venezia, le vedute aperte al cielo mantegnesche e un soffitto a lacunari di tradizione classica. Ogni protagonista compie un’esasperata gestualità. - Annunciazione di Recanati (1527) È una rappresentazione inconsueta. La calma della stanza è stravolta dai personaggi, che sembrano tutti agitati. Dio quasi si tuffa dalla nube, l’angelo assume una posa complicatissima, e la timida e spaventata Maria si volge verso di noi per proteggersi dall’apparizione. Il più impaurito sembra essere, però, il gatto, che corre al centro della stanza. - Ritratto di Andrea Odoni (1527) Di tutt’altro stile, sicuramente più elevato, è il ritratto di questo collezionista. Lotto adotta un formato orizzontale e lo ritrae con estrema verosimiglianza. La figura è a mezzo busto ed indossa una veste bordata di pelliccia. È seduto alla scrivania ed è circondato sa statue antiche. - Elemosina di Sant’Antonio (1540-42) È una pala per la chiesa domenicana a Venezia. Non seguì i gusti del pubblico dell’epoca, il soggetto è inconsueto. Tratta di Antonio Pierozzi che aveva fondato una Confraternita per aiutare i poveri. Infatti, vediamo in alto Antonio consigliato da degli angeli e in basso due chierici si affacciano da una balaustra per ascoltare le richieste dei pover, i veri protagonisti dell’opera. SEBASTIANO DEL PIOMBO, si formò a Venezia ma ebbe fortuna nella Roma dei papi. La sua prima passione fu la musica, era un suonatore di liuto, iniziò a dipingere con Giovanni Bellini e poi Giorgione. - San Giovanni Crisostomo e altri santi (1510-11) In questa pala riecheggiano molte caratteristiche di Giorgione, come le fisionomie delle figure, la materia sfumata e l’assoluta precisione prospettica. La scenografia lascia poco spazio al paesaggio, in favore di possenti colonne che fanno ombra su san Giovanni Crisostomo, intento nella scrittura e affiancato da altri santi. È una sacra conversazione del tutto originale. Nel 1511, Agostino Chigi, un ricco banchiere e mercante stabilitosi nell’Urbe, era in visita a Venezia. Qui ebbe modo di apprezzare le doti di Sebastiano del Piombo invitandolo a trasferirsi a Roma, dove divenne uno dei protagonisti della Maniera Moderna. - Pietà (1516) Quest’opera è una sintesi tra il colore veneziano e il disegno fiorentino. Vediamo un notturno reso con bellissimi colori. La composizione si concentra sulle sole due figure della Vergine e di Cristo. Il corpo di quest’ultimo, in particolare, è studiato con dettagliata indagine michelangiolesca. Giulio de Medici, futuro Clemente VII, capì da subito la portata di Sebastiano, che poteva ben competere con Raffaello. Infatti, ai due, commissionò per la Cattedrale di Norbonne due pale d’altare. A Raffaello assegnò la Trasfigurazione (1520) che abbiamo già visto, e che probabilmente fu conclusa dallo stesso Sebastiano del Piombo. - Resurrezione di Lazzaro (1520) Vediamo la figura di Lazzaro, che ricorda quelle michelangiolesche, a destra, nudo, mentre cerca di liberarsi dalle bende. A sinistra, Cristo lo indica, sotto gli occhi delle due sorelle. Il paesaggio è ancora veneziano, dominato da un cielo nuvoloso, uno specchio d’acqua e delle rovine. Nella seconda metà del ‘500, Venezia è caratterizzata da una nuova generazione di pittori che porteranno conseguenze decisive anche per la pittura europea. TINTORETTO, fu uno dei più grandi pittori del ‘500. Le sue opere seppero ispirare futuri maestri come El Greco e Rubens. - Miracolo di san Marco (1548) Tela realizzata per la Scuola Grande di san Marco. La scena è ambientata in oriente, ecco perché alcuni uomini col turbante, quando uno schiavo ha osato venerare le reliquie di san Marco. Infatti, lo vediamo al centro per terra, aggredito da una folla fermata dall’apparizione del santo. Il dipinto è costruito da masse di colore, la pittura è rapida e i corpi sono possenti. Caratteristici di Tintoretto sono i bagliori di luce, come quello dato, ad esempio, dal nimbo di san Marco. - Ritrovamento del corpo di san Marco (1562-66) La scena è ambientata in un oscuro cimitero dell’Egitto, dove due mercanti veneziani sono andati a ritrovare le spoglie di san Marco, e ci riescono. San Marco appare anche in piedi a sinistra, illuminato dal tipico nimbo di Tintoretto, mentre cerca di fermare due uomini che stanno profanando una tomba. In primo piano, inoltre, un uomo posseduto viene risanato dalla sola presenza delle spoglie del santo. Qui le forme michelangiolesche sono plasmate dalla luce e dal colore. Lo scenario prospettico è plasmato dalla luce che crea effetti chiaroscurali sulla volta ad arcate. - San Rocco in gloria (1564) Tintoretto vinse un concorso che gli permise di fissare questa tela sul soffitto della Scuola Grande di san Rocco. Vediamo il santo dinanzi a Dio circondato da una corte angelica. - Crocifissione (1565) Sempre per la Scuola Grande di san Rocco realizza questa crocifissione, che vede al centro Cristo, illuminato alle spalle da un forte bagliore. I due ladroni stanno per essere esposti accanto a lui. Ai suoi piedi vi è un gruppo di dolenti e intorno si accalcano altre figure. Anche qui la resa pittorica è veloce, dominata dalla luce e vi è l’assenza di disegno. IL VERONESE, che andò contro il rigore della Controriforma, elaborando uno stile solare e fastoso. - Giunone getta doni su Venezia (1556) Il Veronese fu coinvolto nella decorazione di Palazzo Ducale. Tra le tele vi è anche questa in cui le figure femminili si distinguono per le forme voluminose, rasserenate da una pittura chiara, leggera, gioiosa e aggraziata. Testimoniava di aver preso conoscenza della Maniera. - Il trionfo di Venezia (1582) Questa tela celebra al meglio la Repubblica di Venezia che era sopravvissuta alle guerre d’Italia e sconfitto i Turchi. Qui Venezia è una regina in trono nel suo Olimpo di gloria. Dalla balaustra si affaccia la nobiltà veneziana per ammirare la propria regina, mentre, in basso il popolo è controllato da cavalieri. A rendere magnifico questo telero è la resa architettonica che sembra una scenografia teatrale. Lo sperimentalismo anticlassico dei pittori fiorentini: Rosso e Pontormo. Dalla seconda metà del ‘500, i modelli di Leonardo, Michelangelo e Raffaello, iniziarono a farsi più complessi, più inquieti. Lo stile del Rinascimento stava mutando in qualcosa di più complesso ed eccentrico. Sparisce la passione per l’archeologia, in favore dello studio delle battaglie lasciati da Leonardo e Michelangelo. Non vi è più la volontà di emulare gli antichi, ma di superarli. ANDREA DEL SARTO, era l’artista che predominava nella Firenze lasciata da Leonardo, Raffaello e Michelangelo. Nel suo stile vigeva ancora un equilibrio nella composizione. La sua formazione avvenne con Piero di Cosimo e fece il suo esordio affrescando il Chiostrino dell’Annunziata realizzato da Michelozzo durante la metà del ‘400. Affresca cinque storie di San Filippo Bensi, che era il fondatore dell’ordine. - Natività della Vergine (1514) È uno degli affreschi più celebri. La scena si svolge all’interno, proprio come aveva fatto il Ghirlandaio circa 30 anni prima. Qui, però, lo spazio è più intimo. Predominano i gesti delle figure, tratto dalla lezione leonardesca. La posa pensierosa dell’uomo al centro è una citazione a Raffaello, così come la grazia dei volti femminili. La scena è ben equilibrata. Nello stesso periodo, Andrea del Sarto stava formando presso la sua bottega PONTORMO e ROSSO FIORENTINO, coinvolgendolo anche nelle decorazioni del chiostrino. Questi due faranno delle sperimentazioni stilistiche che stravolgeranno lo stile misurato del maestro. Questi pittori sono stanchi di - Compianto su Cristo morto (1527-28) Rosso torna ad essere demoniaco, l’atmosfera è tenebrosa. Sullo sfondo ricompaiono le scale. In primo piano i protagonisti si ammassano mostrando estremo dolore. Al centro Maria è svenuta, mentre regge il corpo livido del figlio. È affiancata da san Giovanni e dalla Maddalena che si dispera. Tutto è angosciante. Tra i soldati ve n’è uno con il volto di scimmia. Nel 1532, Rosso Fiorentino si trasferì in Francia, chiamato da Francesco I che stava facendo costruire il castello di Fontainebleau e voleva decorarlo seguendo il gusto della Maniera italiana. È qui che lo stile di Rosso si attenua, diventa più sereno. Qui affresca momenti di vita del sovrano e storie antiche. In Francia rimase fino alla morte e dopo di lui i cantieri proseguirono con un linguaggio molto simile. - Bagno di Pallade (1535-39) Un vero e proprio trionfo di figure serpentinate, tanto nell’affresco quanto negli stucchi. Correggio, Parmigianino (analisi delle opere). CORREGGIO, emerge in Emilia diffondendo la cultura raffaellesca. - Camera della Badessa in un convento a Parma (1519) Qui affresca sulla cappa del camino la dea Diana, mentre la volta è arricchita da una serie di oculi all’interno dei quali giocano simpatiche coppie di putti, molto simili agli spiritelli di Raffaello. Al di sotto di questi, delle finte lunette rappresentano statue e gruppi scultorei che rinunciano alla perfezione anatomica delle figure classiche. Nel corso degli anni ’20, aveva elaborato uno stile rivoluzionario per affrescare le cupole delle chiese. - Cupola di san Giovanni Evangelista (1520-24) Vi è uno sfondamento prospettico che mostra il cielo, non vi sono architetture, soltanto nubi e la tridimensionalità è data dalle figure. Al centro, la figura di Cristo è resa con uno scorcio difficile e domina un cielo dorato. Al di sotto, disposti tra le dubi, ci sono gli apostoli dai corpi possenti e dalle pose articolate. Si tratta della Parusia, ossia una visione del secondo avvento di Cristo sulla terra che ebbe Giovanni Evangelista. Questo è rappresentato con la fedele aquila e lo si trova seguendo l’indicazione della mano di Cristo. - Cupola del Duomo di Parma (1522-30) Qui la scena inizia a complicarsi, non vi sono architetture, ma un infinito groviglio di corpi che creano la sensazione di ascesa diminuendo di dimensione. Infatti, il tema è proprio quello dell’ascesa della Vergine, che allarga le braccia verso il figlio. Correggio non segue alcuna regola, forse è per questo che l’opera non piacque ai suoi committenti. - Il Giorno (1528) Vediamo una Madonna con bambino e i santi Girolamo e Maddalena. La scena è intima, un angelo sfoglia un libro mentre lo mostra a Maria e al bambino e anche la Maddalena si scorge a guardarlo. San Girolamo reca in mano un rotolo del testo originale in ebraico. La luce che inonda la scena è la stessa della Grazia divina che ispira la Bibbia e il suo traduttore. - La Notte (1530) Questa adorazione dei pastori è ambientata in un originalissimo notturno. Le figure sono disposte in diagonale e sono illuminate dalla luce emanata dal Bambino al centro. Questo chiarore centrale si diffonde per illuminare tutto il resto. Sul finire della sua carriera, Correggio dipinse per il duca di Mantova, Federico Gonzaga, degli amori pagani tratti dalle Metamorfosi di Ovidio, con uno stile estremamente sensuale. - Giove ed Io (1532) L’episodio si concentra tutto sull’aspetto carnale e sensuale. Vediamo Io di spalle, nuda e provocante, con la testa inclinata. Ormai è persuasa dal desiderio di Giove, che, trasformatosi in nube la bacia e l’abbraccia. - Ratto di Ganimede (1532) Giove si innamorò anche del giovane troiano Ganimede e per conquistarlo si trasformò in aquila e lo portò sull’Olimpo, facendolo diventare coppiere degli dèi. Correggio illustra il rapimento, col giovane fanciullo nudo aggrappato all’aquila che sta spiccando il volo, mentre in basso il suo cane abbaia inutilmente. PARMIGIANINO, inizia la sua carriera traendo ispirazione da Correggio, ma col tempo assumerà uno stile personalissimo. - Volta con le storie di Diana e Atteone a Fontanellato (1523-24) Chiaramente ispirata alla volta della Camera della Badessa di Correggio, qui nelle lunette, però, si narra una delle storie delle Metamorfosi di Ovidio. Il cacciatore vide la dea Diana nuda e questa lo trasformò in cervo, per poi farlo sbranare da dei cani. - Autoritratto allo specchio curvo (1524) Vediamo questo autoritratto che fa guardandosi allo specchio. La mano in primo piano è ovviamente più grande del delicato volto perché lo specchio è convesso. Seppe riprodurre ogni tipo di riflesso, comprese luci ed ombre. Fu l’opera con cui si presentò a Roma a papa Clemente VII. - Visione di san Girolamo (1527) Fu la prima opera che gli fu commissionata a Roma, ma che lasciò incompiuta quando la città fu assalita dai lanzichenecchi. Infatti doveva far parte di una sorta di trittico, di cui abbiamo solo la pala centrale. In alto la Vergine con un corpulento Bambino, mentre nella parte inferiore un san Girolamo in scorcio che dorme. Sta sognando San Giovanni, dalla corporatura atletica, che gli indica Gesù. Vi è un assorbimento delle lezioni di Michelangelo e Raffaelo rese attraverso la morbida pittura di Correggio. Invece, caratteristica che diventerà di Parmigianino è la pittura filamentosa che vediamo nel manto di Maria e una resa delle figure allungate. Fuggito dal Sacco di Roma, si stabilì per un breve periodo di tempo a Bologna, prima di rientrare a Parma. A Bologna gli fu commissionata la realizzazione della volta di un catino absidale, ma l’operazione non fu mai conclusa. Riuscì a terminare soltanto un sottarco dominato da colori accesi, decorazioni architettoniche e con festoni di frutta. Alle basi due coppie monocrome con personaggi biblici, Adamo ed Eva e Mosè e Aronne, e due terzetti femminili. Tutte queste figure, oltre ad essere eleganti, erano un chiaro esempio di linea serpentinata. - Madonna dal collo lungo (1534-39) Adotta un linguaggio in cui domina un’eleganza aristocratica che porta ad un allungamento delle figure. Allungati sono: la gamba dell’angelo a sinistra, il corpo del bambino e il collo della Vergine. I volti sono di una grazia estrema, incorniciati da fini acconciature. L’opera purtroppo fu lasciata incompleta. Roma dopo il sacco del 1527: il Manierismo di Francesco Salviati, Daniele da Volterra. Nel 1527 delle truppe mercenarie di Carlo V conquistarono Roma e la pace arriverà solo nel 1559 con il trattato di Cateau-Cambrésis. Dalla morte di Raffaello al Sacco di Roma qualcosa dal punto di vista artistico cambia, vi è una nuova tendenza, la così detta Maniera. Per Maniera si intende ‘’stile’’, diffuso tra la fine del ‘400 e gli inizi del ‘500 e che trova i suoi maestri in Leonardo, Michelangelo e Raffaello, cui talento era insuperabile. Per questo, le nuove generazioni adottarono linguaggi anticlassici ed eccentrici. Primi tra tutti, come abbiamo visto, PONTORMO, ROSSO FIORENTINO e PARMIGIANINO. Ma, primo fra tutti, fu lo stesso Michelangelo, cui Giudizio universale (1536-41) è considerato il vero e proprio manifesto. Nella seconda metà del ‘500, le figure serpentinate sarebbero diventate una moda italiana ed europea. Tutte le opere manieriste, però, saranno condannate dalla Controriforma. Ad esempio, un maestro che lavorò per la Controriforma fu DANIELE DA VOLTERRA, detto ‘’il braghettone’’, perché a lui fu affidato il compito di coprire tutte le nudità presenti nel Giudizio Universale di Michelangelo. Alla morte di Raffaello, una delle stanze vaticane doveva ancora essere affrescata e si affidò il compito agli allievi della bottega raffaellesca, primo tra tutti GIULIO ROMANO. L’ambiente era noto come ‘’Sala di Costantino’’, l’imperatore romano che nel 313 riconobbe la libertà di culto ai cristiani. Le storie erano pensate come un ciclo di arazzi. Lo stile peruginesco era ormai lontano, in favore della Maniera. GIULIO ROMANO Nel 1524, si trasferì presso la corte mantovana di Federico Gonzaga, cresciuto con la passione per le arti ereditata da sua madre Isabella d’Este. Ebbe inizio nel 1563 l’Età della Controriforma, alla cui base vi era un rinnovamento teologico, spirituale e liturgico. Bisognava riaffermare l’autorità della Chiesa dal punto di vista spirituale e temporale. Le arti figurative erano uno strumento per comunicare al popolo la semplicità della Chiesa, quindi, bisognava abbattere gli artefici della Maniera. Col Sacco di Roma, la Maniera si diffuse in tutta Italia e non solo, questo perché i maggiori artisti fuggirono tutti Gli fu commissionata la realizzazione di un grane portale di cui oggi rimane solo una lunetta. Questa rappresenta la ninfa che secondo la leggenda fu ritrovata vicino ad un corso d’acqua dal cane Bleu. Infatti, al di sotto della ninfa vediamo scorrere il corso d’acqua. Tutt’intorno vediamo gli animali del bosco, tra questi si distingue un cervo dalle grandi corna come se fosse un trofeo di caccia. - Saliera per Francesco I (1540-43) È l’unico capolavoro di oreficeria che ci rimane di Cellini. Doveva contenere sale e pepe e attraverso un congegno poteva scorrere facilmente sulla tavola imbandita. Vediamo Nettuno che ha in mano un tridente e una barca che doveva contenere il sale, mentre, la Terra ha in mano una cornucopia ed è affiancata da un tempietto ionico che doveva contenere il pepe. Sulla base vi erano delle decorazioni in oro che si alternavano con le figure della Notte, del Giorno, del Crepuscolo e dell’Aurora. Nel 1545 Cellini rientrò a Firenze. Qui era conosciuto come orafo ma lui voleva affermarsi come scultore di opere di grandi dimensioni. Si presentò a Cosimo I affermando di voler realizzare per Piazza della Signoria una scultura di grandi dimensioni, per questo gli fu affidato - Perseo (1545-54) Richiese 9 anni di lavorazione. È un’eroica figura che si erge trionfate recando nella mano sinistra la testa di Medusa, mentre il suo corpo giace sconfitto in terra. Perseo è nudo, se non per l’elmo di Ade e per i calzari. La fusione della statua fu molto complicata dato che si presenta estremamente dettagliata, visibile da più angolazioni, estremamente grande e anatomicamente perfetto. Il basamento è quadrato e ogni lato reca una nicchia con altri protagonisti del mito: Giove, Danae, Minerva e Mercurio. Nel rilievo sottostante vi è la storia di Perseo. Dietro la scelta del soggetto vi è un messaggio che Cosimo I vuole mandare, ossia l’ammonimento di chiunque provi a contraddire il suo potere. - Busto di Cosimo I (1548) Fu realizzato come teste. Cellini voleva capire quale fosse la terra perfetta per realizzare l’anima del Perseo, per questo sperimentò realizzando questo usto. Un ritratto dell’imperatore quanto mai simile a quello che dipinse Bronzino. GIAMBOLOGNA, nato nelle Fiandre, si trasferisce a Firenze dove compie molti lavori per la corte medicea. Rivoluzionerà lo stile della Maniera e alle possenti figure michelangiolesche preferirà corpi snelli e atletici. - Mercurio che spicca il volo (1580) Una statua in bronzo che rappresenta il messaggero degli dèi che sta per spiccare in volo, vestito solo dall’elmo e dai calzari. È una figura replicata innumerevoli volte e fungeva da dono diplomatico. - Ratto delle Sabine (1580-83) Molti affermavano che il Giambologna non fosse in grado di realizzare grandi sculture possenti in marmo, per questo partorì questo gruppo scultoreo che Francesco I fece collocare nella Loggia della Signoria. È un vorticoso intreccio di figure: vediamo un vecchio in basso che si ripara da una giovane donna che si sta dimenando perché rapita da un atletico uomo. È una composizione che può essere ammirata da più punti di vista ed è un chiaro esempio di superamento della generazione precedente e di tendenza al Barocco. Col rinnovamento di Firenze di Cosimo I ci si concentra anche su problema delle acque, promuovendo interventi utili per gestire quelle dell’Arno. Nacque un nuovo acquedotto che oltre a portare l’acqua a palazzo Medici, la conduceva fino a Piazza della Signoria. Per questo il granduca decise di commissionare una grande fontana. Tra gli artisti nacque una competizione, in particolare tra: BARTOLOMEO AMMANNATI, CELLINI, VINCENZO DANTI e GIAMBOLOGNA. Cosimo scelse quella di Ammannati. - Fontana del Nettuno in piazza della Signoria (1565) di BARTOLOMEO AMMANNATI La inaugurò in onore delle nozze di Francesco I e Giovanna d’Austria e nel giro di un decennio fu conclusa. Nettuno si erge al centro trasportato da cavalli marini, mentre, delle creature in bronzo si ergono verso di noi dagli angoli della vasca ottagonale. GIAMBOLOGNA, riuscì a realizzare il suo progetto a Bologna. - Nettuno (1566) Vediamo sulla sommità Nettuno con quattro putti e delle arpie agli angoli del basamento. È molto simile al Nettuno di Ammannati, la posa è la stessa. Quello Bolognese conferisce più movimento. Invita il popolo a girargli intorno. L’opera era corredata di scritte che ricordano che l’opera fu realizzata per l’uso del popolo con denaro pubblico. Caravaggio. CARAVAGGIO Michelangelo Merisi nasce a Milano nel 1571. Trascorse l’infanzia a Caravaggio e svolse il suo apprendistato con SIMONE PETARZANO (a sua volta allievo di Tiziano, aveva gettato le basi per una pittura più naturale). Dai pittori lombardi del ‘500 ereditò il naturalismo e l’attenzione al dato reale. Nel 1590 lavora alcuni mesi presso la bottega del Cavalier d’Arpino a Roma, dipingendo nature morte di fiori e frutta. Nel 1595 è accolto a casa del cardinale Francesco Maria del Monte, suo primo importante mecenate. Grazie a quest’ultimo entra in contatto con le più importanti famiglie romane e il 23 luglio 1599 ottiene la sua prima commissione pubblica: la Vocazione e il martirio di san Matteo per la cappella Contarelli nella chiesa di san Luigi dei francesi. Nella sua vita è stato coinvolto in vicenda poco edificanti. Il più grande studioso di Caravaggio fu Roberto Longhi. Inizia a studiarlo dal 1910 partendo da un’opera di Courbet. Da qui iniziò a rileggere Caravaggio dandone una nuova interpretazione: archivia la leggenda dell’uomo maledetto attenendosi soltanto ad un’identificazione dello stile. - Bacchino malato (1593-94) Nel dipinto Caravaggio raffigura se stesso nelle vesti di un Bacco dall’aria un po' malaticcia. È la prima volta che il pittore si autoritrae. Questa è un’opera giovanile. Il giovinetto è incoronato da pampini ed è appoggiato al parapetto in pietra. Regge in mano un grappolo d’uva. Fu intitolato così da Longhi a causa del colorito livido che caratterizza il giovane. La luce proviene da sinistra. L’opera è realizzata nel momento in cui si trova presso il Cavalier d’Arpino. - Ragazzo con canestra di frutta (1593-94) La tela proviene dal gruppo di opere realizzate presso il cavalier d’Arpino. Il soggetto raffigurato non è contraddistinto da alcun elemento iconografico e simbolico, è un semplice ragazzo. Il giovane assume una posa di tre quarti, con la camicia che lascia intravedere la spalla, mostra un canestro pieno di frutti autunnali insieme a foglie, che presentano le tipiche imperfezioni della natura. Con questa tela dimostra di saper indagare il dato naturale con profondità. - Bacco (1595) Il giovinetto è adagiato su una sorta di triclinio realizzato con un semplice materasso arrotolato. È parzialmente avvolto in un lenzuolo, a imitazione di un’antica toga romana. Il travestimento comprende anche una corona di pampini che circonda i riccioluti capelli. Il volto, ruotato di tre quarti e leggermente inclinato in avanti, è leggermente arrossato. Tra l’indice e il pollice sinistri regge con delicatezza una coppa in vetro colma di vino, versato dalla brocca adagiata sul tavolo. Vi è una natura morta in primo piano sul tavolo, con frutti marci e foglie secche. - Ragazzo morso da un ramarro (1593-94) Il pittore crea una sorta di realizzazione psichica al morso dell’animale. Rappresenta con una verità ottica e un’adesione formale al soggetto. Si rappresenta ciò che è, senza simbologie. - Maddalena penitente (1596-97) È il suo primo soggetto a carattere religioso e rispetto all’iconografia classica qui, non ci sono più gesti plateali di autopunizione ma un atteggiamento umile e penitente. La fanciulla è seduta su una seggiola e porta le mani al petto in atto di asciugarsi i capelli. La fanciulla ritratta era Anna Bianchini, amica del pittore. Roma: - I bari (1594-95) Opera della collezione del cardinale Del Monte, reca anche il timbro sulla tela. Nella scena vediamo un giovane ingenuo, vestito di nero, ingannato dalla subdola coppia di bari, dall’area apparentemente innocua. La scena avviene all’interno di una locanda. - La buona ventura (1594-95) Un giovinotto di borgata, dal cappello piumato, si fa leggere la mano da una zingara, che nel frattempo gli ruba l’anello. Sulla parete chiara di fondo si stagliano delle ombre. Sono due figure appartenenti alle nuove iconografie: strade, locande, ecc. - Concerto (i musici) (1595-96) Il dipinto risponde all’ambiente culturale che Caravaggio frequentava in quel periodo, presso la residenza del cardinal Del Monte, appassionato d’arte e di musica. Il pittore si autoritrae tra i ragazzi drappeggiati e seminudi. La partitura è eseguibile e corrisponde ad un madrigale ‘’O felici occhi miei’’ del compositore fiammingo Jaques Arcadelt. - Suonatore di liuto (1597-98) Eseguito per il cardinale Vincenzo Giustiniani. Il giovane suonatore, dall’aspetto fortemente androgino, suona un brano del fiammingo Jaques Arcadelt, ‘’Voi sapete ch’io vi amo’’. È un’opera estremamente raffinata, a partire dalla natura morta di strumenti musicali in primo piano, così come i fiori e i frutti collocati a sinistra della tela. Nella stanza, il fondo scuro fa esaltare le figure che emergono nella luce. - Testa di Medusa (1597-98) Commissionata dal cardinal Del Monte per poterla regalare a Ferdinando I de’Medici. Olio su tela incollato su uno scudo in legno di forma leggermente convessa. Rappresenta il realismo della testa mozzata e sanguinante. La creatura ha un’espressione mostruosa, colta nell’istante in cui la testa viene recisa. La bocca è spalancata nell’ultimo grido angoscioso. - Canestra di frutta (1596-98) - Decollazione del Battista (1608) Il maestro ritrae il dramma dell’esecuzione capitale, orrore visibile nel volto della vecchia. Il tutto è ambientato nel cortile di una prigione, le cui mura sono illuminate da una luce mattutina. Da una finestra si affacciano dei carcerati. In basso, nel fiotto del sangue, è presente la firma dell’autore come se si identificasse nel martirio. Il senso drammatico è fortemente accentuato, sicuramente dovuto al vissuto del pittore. Siracusa: - Seppellimento di santa Lucia (1608) Inverte il rapporto tra natura e ambiente, ingrandisce gli spazi vuoti e ambienta la scena in basso. La scena è ambientata nel luogo reale dove probabilmente avvenne il martirio. Il drammatico momento della sepoltura è rappresentato con estrema poesia e realismo, anche per la vicinanza dei personaggi all’osservatore, il quale viene totalmente coinvolto nella scena. La pittura risente di una certa fretta esecutiva, dovuta all’inquietudine e alla sofferenza dell’artista, la grana della pittura è tremula. Messina: - Resurrezione di Lazzaro (1608) Commissionata dal genovese Giovan Battista Lazzari. L’ambientazione della scena e suggestiva e teatrale, rivela la struttura architettonica interna di una chiesa. La luce proviene dall’alto e da sinistra e colpisce il livido corpo di Lazzaro, tirato fuori dal sarcofago tra teschi e tibie. Lazzaro viene richiamato dalla mano di Cristo in ombra a sinistra. Tra le figure che osservano la scena incuriosite vi è anche l’autoritratto di Caravaggio, il quale volge lo sguardo verso la luce in segno di preghiera. La composizione è estremamente classicista. Palermo: - Adorazione dei pastori (1608-09) La critica ritiene, però, che sia un’opera del periodo romano. Il dipinto è stato rubato nel 1969. - David e Golia (1610) Nella fase finale della sua vita, dipinge scene fortemente drammatiche e autobiografiche. Infatti, nella testa del Golia vediamo il suo autoritratto. - Martirio di sant’Orsola (1610) È raffigurata nel momento che precede la sua morte, mentre volge il suo sguardo al petto trafitto dalla freccia scoccata dal re degli unni, perso nel buio del fondale, indispettito dal rifiuto della donna. La tela fu eseguita per il principe genovese Marcantonio Doria. Forse l’ultimo quadro dipinto da Caravaggio a Napoli prima di imbarcarsi per Porto Ercole. È caratterizzato da luminismo e drammaticità. Caravaggeschi/ Naturalisti e i classicisti (esempi di opere). Nell’entro terra lombardo si stava diffondendo un filone artistico semplice e concreto, che guardava più gli umili che l’aristocrazia. Una corrente che riflette la sobria quotidianità. È proprio questo filone ‘’naturale’’ che influenzerà l’arte di Caravaggio. Quando Caravaggio stava sparendo dalla scena, molti artisti il suo modo di dipingere naturale, per questo rinominati naturalisti. Questa corrente investì artisti di diverse generazioni e nazioni. Molti artisti seguirono lo stile di Caravaggio in maniera diretta, altri aderirono al nucleo morale della sua lezione senza, però, seguirne lo stile. BARTOLOMEO MANFREDI - Bacco (1607-08) Realizzato quando Caravaggio era ancora in vita. Vediamo un allegro Bacco che spreme l’uva direttamente nel bicchiere del bevitore. I costumi, i colori, gli atteggiamenti dei personaggi, la luce, sono tutti elementi caravaggeschi. Di Caravaggio, però, non vi è la tensione. Dunque c’è la forma ma non l’anima. - Concerto (1617-18) Vediamo un gruppo di personaggi riuniti attorno ad un tavolo e che sono intenti a studiare i propri strumenti. Il fondo è scuro ma la luce radente illumina i personaggi in primo piano, a differenza dei profili di quelli in secondo piano in penombra. L’attentato terroristico agli Uffizi nel 1993 distrusse quasi completamente la tela. ORAZIO GENTILESCHI, di nove anni più grande di Caravaggio, seppe, dunque, convertirsi al suo stile, intuendone in modo profondo la portata rivoluzionaria. - David (1610) Il paesaggio sereno e la tavolozza cromatica non ci farebbero mai pensare a Caravaggio. Di quest’ultimo, però, abbiamo l’atteggiamento del protagonista, malinconico, che sembra perso nei suoi pensieri e medita sulla testa di Golia. - Fuga in Egitto (1620-22) Il tema permetteva agli artisti maggiore libertà nel rappresentare i paesaggi. Vediamo Giuseppe che, stanco, dorme senza grazia sul suo bagaglio. La Vergine sta allattando Gesù che guarda verso di noi. Vero protagonista è il muro, cadente, che non ha nulla a che vedere con le rovine antiche. Oltre questo spicca la testa di un asino. - Annunciazione (1626) Nella composizione vi sono diverse influenze artistiche. La bellezza della Vergine riprende quella delle figure quattrocentesche, il letto disfatto è di influenza fiamminga e l’insieme realistico e naturale sono frutto della lezione di Caravaggio. ARTEMISIA GENTILESCHI - Susanna e i vecchioni (1610) Il corpo di Susanna è estremamente realistico, come il ventre e il seno. Il quadro è essenziale, non vi sono ancelle, vasche o fronde che nascondono i guardoni. Vi sono solo i tre protagonisti, posizionati secondo un impianto piramidale. I due vecchioni confabulano ad di sopra di una balaustra, hanno appena compiuto la loro minaccia e Susanna prova a respingerli, senza preoccuparsi di coprirsi le nudità. I due incombono sulla ragazza aumentando la sensazione di oppressione già data dal muro compatto alle sue spalle. Artemisia rende al meglio il disagio psicologico della ragazza. - Giuditta e Oloferne (1620) Sono evidenti i nessi con l’opera di Caravaggio dallo stesso tema. Qui, però, sparisce la condizione drammatica in favore di quella dell’orrore. SIMON VOUET - Buona ventura (1617) Nonostante riprenda il tema di Caravaggio, ne accosta i colori e le luci, i suoi personaggi mancano di quella capacità di rendere alla perfezione un carattere. VALENTIN DE BOULOGNE - Concerto intorno al bassorilievo (1622-25) TANZIO DA VARALLO, lavorò a Roma per qualche anno presso il Cavalier d’Arpino. Qui finì folgorato dalle opere caravaggesche. - Madonna con san Francesco e donatore (1614) Riprende la Madonna del Rosario di Caravaggio. Qui la Madonna sembra apparsa su di una nube e dinanzi alla sorpresa, san Francesco si inginocchia dinanzi a lei mentre le introduce il donatore in abisso e che guarda verso di noi. SPADARINO - L’anima e l’angelo custode (1616) Vediamo il fratello adolescente che conforta il fratello più piccolo nel momento in cui si rende conto si ballare sull’orlo del precipizio. Tratta dell’angelo custode che difende l’anima dal peccato. L’allestimento nello studio, coi costumi artigianalmente realizzati, riporta proprio a Caravaggio. GARRIT VAN HONTHORST, con Caravaggio condivideva l’intensità del contenuto morale. - Cristo di fronte a Caifa (1617) La suggestiva ambientazione notturna, illuminata dalla sola candela centrale, esalta la drammaticità dell’interrogatorio. GIOVANNI SERODINE, forse il più grande dei caravaggeschi, in assonanza con l’ultima fase della vita del maestro. - Lorenzo distribuisce ai poveri il tesoro della chiesa (1623-25) Egli immagina una sorta di sotterraneo che inghiottisce nell’oscurità i suoi personaggi. Vediamo un giovane diacono che distribuisce a tre rappresentanti della povertà il tesoro. Non vi è alcun accenno caricaturale, anzi, non avrebbe potuto realizzare in maniera così oggettiva quelle figure senza provare umana compassione. STEFANO MADERNO, uno scultore. - Santa Cecilia (1599-1600) Nel 1599 fu ritrovato il corpo di Santa Cecilia, sotto l’altare di una chiesa in Trastevere. Il cardinale titolare della chiesa commissionò a Maderno la realizzazione di ciò che si era visto e lui lo fece con una verità pari a quella di Caravaggio. Ci mostra la vera natura di un corpo morto. Una ragazza senza occhi e senza labbra, con la faccia per terra nella polvere. Alla sua visione, papa Clemente VIII scoppiò in lacrime. Il luogo in cui più si affermò la rivoluzione di Caravaggio fu Napoli. La decorazione della sala era intitolata alla potenza dell’Amore, in particolare al rapporto tra amore celeste e amore terreno. La struttura pittorica è complessa, organizzata su veri livelli di illusione. Il primo ordine prevede telamoni in marmo e quadri incassati nell’architettura con rappresentazione degli amori degli dèi. Inoltre, vi sono numerose figure di ignudi. Il secondo ordine consiste nella volta vera e propria, composta da una serie di quadri, tra cui il Trionfo di Bacco e Arianna. La libertà e la sensualità delle immagini riportarono la galleria al periodo precedente alla Controriforma. Ma la novità non sta nelle immagini, ma nella pittura in se, considerata uno degli apici della storia artistica italiana. - La lupa che allatta Romolo e Remo (1590-91) Possiamo considerare così la nascita del paesaggio moderno. Qui, infatti, i protagonisti non sono i bambini o la lupa, bensì il paesaggio, l’ansa del Tevere ben riconoscibile, un dolce paesaggio autunnale. È proprio lui che diventa il soggetto della pittura. - Paesaggio fluviale (1590) È un’opera estremamente rivoluzionaria. È realizzata in studio ma fa riferimento a disegni realizzati dal vivo. Rappresenta un frammento di vita reale. Gli uomini in barca sembrano li per errore, i veri protagonisti sono gli alberi, l’acqua, la luce e il colore. - Fuga in Egitto (1603-04) Ad assumere un ruolo preponderante è la natura. Sembra come se Carracci abbia realizzato prima questo e poi abbia aggiunto una minuscola Sacra Famiglia in fuga. LUDOVICO CARRACCI, seguiva la strada del cugino ma con esiti personalissimi. Le sue figure erano, infatti, caratterizzate da un senso di umanità maggiore. - Visione di san Francesco (1584-85) È colta la semplicità. I personaggi sono immersi nella natura che è sia familiare che misteriosa. - Madonna del Bargellini (1588) La Madonna e il Bambino sono rappresentati di scorcio. San Domenico col suo gesto ci mette in contatto con la Vergine, mentre, san Francesco le sta presentando la committente. In basso a destra la Maddalena le passa degli unguenti. Al centro, un secchio di acqua benedetta, ricorda che li vicino risiedevano anche le prostitute convertite. La scena è ambientata sotto uno dei portici di Bologna, cui torri si vedono in lontananza e tra le quali sta sorgendo il sole. Nel 1606 il prestigio di Annibale Carracci si stava eclissando, tanto che cadde in una profonda depressione che nel 1609 lo portò alla morte. Dai ponteggi della galleria Farnese, però, uscirono importanti artisti. Questi carracceschi furono grandi frescanti e grandi maestri, tanto che la scuola di Carracci proseguì per tutto il Barocco. DOMENICHINO, approfondì come nessun altro l’espressione degli affetti. - L’ultima comunione di san Girolamo (1614) È uno dei quadri più celebrati del ‘600 romano e rielabora l’iconografia del quadro col medesimo soggetto di Agostino Carracci. La scena è ambientata in una chiesa aperta, che ci mostra il paesaggio romano. Il colore è luminoso e anima le vesti dei personaggi. A stupire sono le espressioni e i moti dei corpi dei personaggi. San Girolamo è inginocchiato e si abbandona all’indietro quasi in fin di vita. Infatti, è sorretto da un giovane. GUIDO RENI, formatosi con Ludovico Carracci, arrivò a Roma nel 1601. Fu sensibile anche all’eredità di Raffaello, aderendo perfettamente all’ideale classico. L’equilibrio tra imitazione e idealizzazione genererà uno stile e delle nuove iconografie. Fu il pittore più celebrato del ‘600, più di Caravaggio. - San Sebastiano (1615) Pronto a ricevere il martirio - Aurora (1614) Realizzata per il cardinale Scipione Borghese. È una tela fissata al soffitto, entro una cornice in stucco, cui intento non è coinvolgere lo spettatore, il suo ruolo è soltanto decorativo. Come fosse un rilievo antico, vediamo l’aurora che sparge petali di rosa, Apollo che guida il carro del Sole ed è circondato dalla danza delle ore. Il classicismo è rielaborato attraverso la luce, dal paesaggio e dal senso di realtà. - Atalanta e Ippomane (1618) Reni rappresenta il momento culminante del mito, quando Atalanta si china a raccogliere i pomi d’oro e viene superata nella corsa da Ippomane. I due corpi si stagliano su un paesaggio notturno ed hanno un incarnato rosa pallido. Sono ornati da pochi veli che coprono i genitali e compiono una danza che rende le loro pose geometriche. Rappresenta contemporaneamente il desiderio e la contesa, la fuga e la paura. Di tratta di una muta poesia. GUERCINO, che nello stile carraccesco porta anche delle imquietudini. - Aurora (1621) Dipinge questo sfondato prospettico per il casino del cardinale Ludovico Ludovisi. Delle antichità in rovina che presentano il carro dell’aurora che procede lento, trainato da due cavalli. Al di sotto una tipica villa romana, nel quale giardino dorme ancora la personificazione della notte. Il tutto è illuminato da una luce reale tradotta con macchie impressionistiche. VINCENZO CAMPI - Fruttivendola (1580) Il dipinto raffigura una fruttivendola nell'atto di mostrare all'osservatore la propria mercanzia, in particolare protende verso lo spettatore un grappolo di uva nera. Sullo sfondo, a sinistra, un giovane è salito sui rami di un frondoso albero per coglierne i frutti, mentre a terra una donna raccoglie altri frutti sul terreno. Sulla destra il paesaggio si estende fino a perdersi in un villaggio ai piedi di monti velati di nebbia. NICOLAS POUSSIN. Con l’ascesa al papato di Urbano VIII, si spalancano le porte alla poesia visiva e alla riscoperta di Tiziano. Ad usufruire di questo fu proprio Poussin che caratterizzò il periodo ridefinito neoveneto. Nelle opere, assieme alla natura, vediamo una libertà e una gioia di vivere che da molto tempo non coinvolgevano l’arte italiana. - Ispirazione del poeta (1629-30) Apollo, al di sotto di un albero di alloro e poggiato alla sua cetra, detta a Virgilio dei versi poetici, mentre quest’ultimo è incoronato da un putto in volo. Il dio è accompagnato da una musa e i libi posati in terra recano i nomi di Iliade, Odissea ed Eneide. - Martirio di sant’Erasmo (1628-29) La famiglia Barberini commissiona questa pala che è una delle punte più alte del Barocco. Vediamo il martire in primo piano, gettato quasi in faccia allo spettatore, bello come una statua antica, ma con carne e sangue. Anche i suoi aguzzini sono belli, quasi caravaggeschi. La scena è ambientata in un proscenio palladiano con colonne svettanti e statue antiche e si svolge al cospetto di sacerdoti e legionari a cavallo. Il Barocco è caratterizzato anche da vedute paesaggistiche apparentemente naturalistiche, ma che sono per lo più ideali. È un’arte meno chiassosa e più intima. Un esempio datoci da Poussin è - La calma (1650) Il quadro ha un suo carattere mentale, psicologico ecco perché può essere definito l’allegoria della calma. Scompone dei paesaggi reali per crearne uno nuovo del tutto ideale associabile a stati d’animo. È una filosofia naturale. La pittura barocca nel contesto romano: da Pietro da Cortona a Giovan Battista Gaulli (esempi e analisi di opere). RUBENS, un artista fiammingo che Italia per compiere la sua formazione, che avvenne tra il 1600 e il 1608. Fu attento a rielaborare la lezione di Caravaggio e dei Carracci. I suoi dipinti si potrebbero definire aurorali, come quelli che realizzò per la cappella ipogea di Santa Croce in Gerusalemme ad oggi conservata in parte in Francia. - Sant’Elena (1601-02) È una figura che si potrebbe definire carraccesca, è intrisa di luce che la rende inquieta e vibrante. - Deposizione (1605) Realizzata dopo un breve soggiorno a Madrid dove ebbe l’occasione di conosce l’arte di Tiziano. Infatti, il sarcofago, il braccio di Cristo e il tono cromatico vengono direttamente da Tiziano. - Imposizione del nome a Gesù (1605) Quest’opera è contemporaneamente dolce e solenne. La monumentalità dei personaggi è accompagnata dalla dolcezza dei loro volti. Vi è un violento contrasto tra luci e ombre. - Trittico con la Madonna della Vallicella, tra angeli e santi (1606-09) Per l’altare della Chiesa Nuova a Roma, realizzò questo trittico che aveva anche dei limiti iconografici, dato che i committenti volevano che fossero rappresentati dei santi di cui possedevano alcune reliquie. Quindi, nel pannello a sinistra, con uno stile caravaggesco, vengono rappresentati San Gregorio Magno e i santi Mauro e Papiano. Nel pannello di destra, in un contesto carraccesco, sono raffigurati santa Domitilla tra i suoi due schiavi Nereo e Achilleo. Al centro dipinse una l’immagine della Madonna con bambino portati in cielo da un gruppo di angeli. si avverte uno stile nuovo basato sul movimento e sul colore che crea empatia nello spettatore. Le tre parti della composizione, dialogano tra loro attraverso gesti e sguardi rendendo il presbiterio uno spazio reale. - Autoritratto con espressione sorpresa (1630) - Autoritratto da giovane (1640) - Autoritratto da vecchio (1665-69) - Ritratto di Titus (1655) Qui ritrae il figlio a scuola. È poggiato ad un banco di legno su cui c’è un foglio bianco, ha in mano l’astuccio e il calamaio e il suo sguardo è assorto, sta pensando a cosa scrivere. - La ronda di notte (1642) Si tratta di una tipica iconografia olandese: determinati gruppi di lavoro si facevano ritrarre per poter appendere i dipinti sul posto di lavoro. Questo era destinato alla sala della guardia del palazzo del Municipio di Amsterdam. Il dipinto sembra voler coinvolgere lo spettatore. Il capitano della compagnia è in piena attività, in primo piano, col bastone e la fascia rossa in atto di ordinare alla compagnia di prepararsi alla marcia. Il chiaroscuro fece pensare che si trattasse di una vigilanza notturna, ecco il perché del titolo. - I sindaci drappieri (1662) Vediamo dei campionatori di tessuti che avevano il compito di controllare la lana blu e nera dei fabbricanti di tessuti di Amsterdam. Li vediamo attorno ad un tavolo dinanzi ad un libro contabile. Qualcuno irrompe sulla scena catturando lo sguardo di ritratti. È lo spettatore, posto dinanzi ad uno strano imbarazzo. La particolarità sta nel fatto che possiamo evincere il carattere di ogni uomo ritratto. - Aristotele contempla il busto di Omero (1653) La costruzione luministica è caravaggesca, vi è un abbattimento di generi, non sappiamo se si tratti di un quadro di storia o di natura morta e viene attualizzato il soggetto classico. Il volto del filosofo riprende quello di Leonardo da Vinci della Scuola di Atene di Raffaello. Aristotele indossa un costume di fantasia dall’aspetto teatrale. La sua figura stessa sembra posta al centro di un proscenio, illuminata da un fascio di luce. - Ritratto di Jan Six (1647) Era un’acquaforte che ritraeva l’amico e collezionista Jan Six, al quale permetteva di regolare l’impostazione delle opere. Vediamo l’uomo in un atteggiamento del tutto confidenziale. Ha il colletto della camicia slacciato, è poggiato alla finestra mentre piega e legge un libro, mentre, spada e cinturone sono gettati su una sedia. Vediamo una pila di libri in primo piano e una tendina che copre un quadro. Un grande tendaggio si apre in maniera teatrale, alle sue spalle, per far entrare la luce nella stanza. Queste opere circolavano più facilmente in tutta Europa. - Figliol prodigo (1669) In Italia sarebbe stato difficile accettare la pittura sacra di Rembrandt, lontana dalla religiosità trionfale del Concilio di Trento. In questa storia sacra vediamo il figlio pentito tornato dal padre in ginocchio, dinanzi al cospetto del fratello. L’anziano lo perdona abbracciandolo e chiudendo gli occhi. Domina il silenzio, la commozione. VERMEER, fu uno degli artisti che diffuse la bellezza dei soggetti semplici. - Ragazza con l’orecchino di perla (1665-67) Vediamo una bellezza esotica e misteriosa. In questo dipinto non accade nulla, il tempo sembra fermo. Sembra che la pittura parli semplicemente di se stessa. L’assenza di azione crea una sorte di tensione in chi guarda. - Donna che legge una lettera (1657-59) Non vi accade nulla che non sia già detto nel titolo. Vediamo una donna dinanzi ad una finestra aperta che legge una lettera. In origine, Vermeer aveva ritratto sul muro un cupido, che poi ha rimosso, forse questo alludeva al significato della lettera, una lettera d’amore. - Donna che pesa il denaro (1663-64) Non sappiamo se siamo dinanzi ad una donna incinta o meno e allo stesso tempo non conosciamo la sua identità. Potrebbe essere la moglie dell’artista che pesa le monete per verificarne il valore oppure vi è un significato religioso legato al giudizio universale appeso alla parete? Potrebbe essere la celebrazione della ponderazione della donna alla pari di Cristo che giudica le anime. - Donna che versa il latte (1657-68) Più si guardano le opere di Vermeer e più si capisce che non vi è nessun senso se non la rappresentazione del soggetto in se. Vediamo, qui, la straordinaria monumentalità della donna che lavora in cucina, resa con colori brillanti. - La veduta di Delft (1661-63) Vediamo un’incantevole città con ponti e corsi d’acqua. Fu dipinta probabilmente da un secondo piano di una casa, forse con l’aiuto di una camera oscura. Riconosciamo la sede della Compagnia delle Indie Orientali e una fabbrica di birra. Domina il silenzio. Vi è un continuo cambiamento di luce e colore, principali soggetti del quadro. - L’atelier (1662-68) La tenda scostata a sinistra ci permette di vedere ciò che accade nello studio del pittore. Il pavimento, il lampadario, la seggiola, sono quelli che si ripetono ossessivamente nei suoi quadri. L’abbigliamento solenne e il fatto che si ritrae di profilo, ci fanno pensare che voglia rappresentare ogni pittore, dunque un’allegoria della pittura. Gian Lorenzo Bernini. Scultura del Seicento (esempi di opere). GIAN LORENZO BERNINI, nasce a Napoli nel 1598. Fu scoperto dal cardinale fiorentino Barberini e tramite lui iniziò a lavorare per il cardinale Scipione Borghese. Questo, come prima opera, gli commissionò il gruppo scultoreo con Enea, Ascanio e Anchise che fuggono da Troia. - Ratto di Proserpina (1621) Soddisfatto della prima opera, il cardinale gli commissiona un altro gruppo scultoreo dal tema mitologico. Vediamo Plutone possente, che affonda le mani nelle carni di Proserpina. Quest’ultima si dimena, cercando di liberarsi, piangendo lacrime di marmo. Il gruppo scultoreo è concepito per essere visto frontalmente, dato che era posizionato in una stanza aperta sul giardino. Sul piedistallo erano incisi dei versi rivolti direttamente allo spettatore. Tramite questi espedienti, l’opera entrava in contatto con la realtà. Infatti, intento di Bernini era proprio quello di congelare un frammento di realtà. - David (1623-24) Possiamo confrontare quest’opera con quella dei grandi maestri precedenti, ma riusciremmo chiaramente ad evincerne le differenze. Mentre le precedenti rappresentazioni vedevano un David che aveva già concluso l’azione o un David in calma in attesa dello scontro, qui lo vediamo nel bel mezzo dell’azione, proprio mentre ha spiegato la fionda e sta mirando verso Golia. Il volto ha un’espressione concentrata, gli occhi socchiusi e si morde il labbro inferiore, espressione che Bernini studia direttamente sul proprio volto. Anche questa statua doveva essere disposta contro una parete, quindi pare balzi direttamente dal muro. Il Golia della scena è proprio lo spettatore. - Ritratto di Pedro Montoya (1623) Bernini rivoluzionò l’arte del ritratto. Il primo realizzato fu questo busto destinato ad un monumento funebre. Il ritratto non è frontale ma vediamo Montoya mentre abbassa la testa verso destra, come se si affacciasse da una finestra. Il suo volto non sembra di marmo, si possono distinguere le ombre sotto gli occhi, i baffi spettinati, la ricrescita della barba, le rughe sulla fronte e lo sguardo fisso verso di noi. Questo alternarsi delle superfici cattura in modo differente la luce cancellando il biancore del marmo. - Apollo e Dafne (1622-25) Bernini scegli di rappresentare il momento culminante del mito, quello in cui Apollo riesce a raggiungere Dafne ma questa si sta già trasformando in alloro. Il coinvolgimento dello spettatore è basato sull’empatia dato che i loro corpi sembrano proprio di carne. Apollo e tutto proteso verso Dafne e riesce addirittura a cingerle il fianco, ma ormai la metamorfosi si sta compiendo, e lo cogliamo proprio sul suo volto stupito. Dafne emette un urlo, forse perché il dio l’ha raggiunta, forse perché il suo corpo sta tramutando in albero. Bernini riesco a fondere erotismo, tensione e compassione. Sul piedistallo, anche qui una scritta: ‘’chiunque insegue il piacere in forma fugace, resta con un pugno di foglie in mano, o al massimo coglie delle bacche amare’’. - Baldacchino di San Pietro (1624-35) Papa Urbano per risolvere alcuni problemi all’interno della Basilica di san Pietro chiama proprio Bernini. Bisognava coprire lo spazio che conservava le reliquie del santo e il soprastante altare maggiore. Era necessario realizzare una grande struttura capace di compensare lo spazio all’intersezione dei due bracci della pianta e soprattutto al di sotto della grande cupola di Michelangelo. Ideò, quindi, una scultura-architettura, completamente in bronzo, la più grande mai realizzata fin ora. Il baldacchino era formato da quattro colonne tortili alte 11 metri, che ricordavano il tempio di Salomone a Gerusalemme. Il coronamento era abitato da angeli e tronchi di palme, la copertura in stoffa e delle nappe che parevano muoversi al vento. A Bernini, inoltre, fu affidata la realizzazione di due grandi nicchioni per ognuno dei quattro piloni, alti 45 metri, che sorreggevano la cupola e che dovevano contenere delle reliquie e le statue di santi associate ad esse. Le nicchie inferiori dovevano ospitare le statue dei santi, quelle superiori le reliquie esposte con una loro rappresentazione su bassorilievo. Per il legno della croce fu scelta sant’Elena; per il sudario santa Veronica; per il capo di sant’Andrea una sua statua con la sua caratteristica croce obliqua; per la lancia che trafisse il costato di Cristo, lo stesso Bernini rappresenta Longino, centurione che riconobbe il Messia e si convertì. Questo fu il primo colosso scolpito da Bernini, che ancora una volta rappresenta il momento culminante della scena. - Cattedra di san Pietro (1656-66) Realizzata sull’altare maggiore, per risolvere uno dei due problemi esposti da Urbano, doveva essere un reliquiario per un trono di età carolingia in oro e avorio. Su di un complesso piedistallo in marmi colorati, si erge la grande sedia in bronzo con le quattro statue dei padri della chiesa, due d’oriente e due d’occidente. Subito sopra la sommità una cascata di luce e oro: la gloria del Paradiso. Il trono sembra sospeso in volo e circondato da nubi. - Tomba monumentale di Urbano VIII (1627-47) Il ‘700 è un secolo di grandi movimenti politici e sociali che poi sfoceranno nella Rivoluzione Francese e nell’avventura napoleonica. Campione del nuovo classicismo è Winckelmann, che pubblicherà anche la sua ‘’storia dell’arte dell’antichità’’. I viaggi divennero uno dei fondamentali mezzi per conoscere la realtà. Il Grand Tour era un viaggio che compivano i membri delle famiglie più ricche, attraversavano l’Europa fino a giungere in Italia, luogo per eccellenza sede di bellezze. Mete principali erano Firenze, Venezia, Napoli e Roma. Quello Neoclassico era il sogno di imitare gli antichi nell’arte e nei loro valori morali. Un passato sorretto dagli ideali Illuministici e non frutto di un vagheggiamento nostalgico. Winckelmann affida alla Grecia il primato del buon gusto, momento inarrivabile per i calori etici ed estetici. Per Winckelmann, infatti, possiamo prendere in considerazione l’Apollo del Belvedere come emblema del ‘’bello ideale’’. Sempre secondo lui, imitare le statue antiche non era sinonimo di copiarle ma derivarne idee, schemi e spunti e vedremo che proprio così farà Canova. A Roma si sviluppò un vero e proprio mercato di antichità alimentato dagli scavi e molti artisti si specializzarono nella tecnica del restauro. Le accademie furono le istituzioni che più contribuirono alla diffusione del linguaggio neoclassico. A contribuire all’elaborazione del linguaggio neoclassico fu lo studio del nudo, che permetteva la costruzione dei movimenti della figura umana. Inoltre, nel 1738 iniziarono gli scavi che portarono alla luce l’antica città di Ercolano e dieci anni dopo quella di Pompei. Così, tutta Europa potè conoscere le scoperte e queste nuove immagini entrarono a far parte del repertorio decorativo delle case dei patrizi napoletani. In questo periodo si fanno strada gli ideali di: • PITTORESCO: nasce in Gran Bretagna, in ambito pittorico, e prevede suggestivi scorci di campagne e colline, una natura armoniosa e serena. Nel pittoresco confluisce il romantico. • SUBLIME: in opposizione al pittoresco è questo concetto che si sviluppa sempre in Gran Bretagna. Con sublime intendiamo la dimostrazione più estreme della natura che hanno il potere di turbarci ma allo stesso tempo affascinarci. Parliamo per la prima volta di Grand Tour nel 1670, ma la sua massima espansione si ebbe tra il 1748 e 1796, nel corso di una profondissima pace. La prima tappa del tour era solitamente Firenze, famosa per le grandi collezioni medicee esposte nelle Gallerie degli Uffizi. L’attrattiva più ambita era la sala ottagonale della tribuna dove, ad esempio, si conservava la Venere Medici, considerata modello di bellezza ideale. - Tribuna degli Uffizi (1772-77) di ZOFFANY I capolavori di questa sala sono tutti concentrati in questo quadro di Zoffany, commissionato dalla regina Carlotta e che rappresenta una sorta di manifesto del Grand Tour. Tra i personaggi sono immortalati: il collezionista Lord Cowper, il ministro inglese Horace Mann e il pittore Thomas Patch. THOMAS PATCH si impose sulla scena fiorentina dell’epoca in qualità di mercante d’arte e pittore di vedute. Nei suoi dipinti vi è un’estrema fedeltà al vero e alla resa atmosferica. Le sue vedute di Firenze, con i suoi riconoscibili monumenti, venivano vendute ai viaggiatori come souvenir. - Veduta panoramica di Firenze da Bellosguardo (1767) Roma, era la meta successiva a Firenze, capitale dell’antichità e delle cristianità. - Veduta del Colosseo (1710) di VAN WITTEL Il senso di vertigine provocato dalle rovine di Roma è ben descritto nelle 135 incisioni di Vedute di Roma di GIOVAN BATTISTA PIRANESI, realizzate tra la metà del ‘700 e il 1778. - Veduta del tempio della Concordia PANNINI fu il più grande artista che documentò la Roma di questo periodo, attraverso i suoi ‘’capricci’’. Erano delle visioni ideali della città che raggruppavano insieme i monumenti più importanti. - Il Pantheon e altri monumenti (1735) - Visita di Papa Benedetto XIV alla fontana di Trevi (1750) - Piazza Navona (1729) - Roma antica (1758) All’interno di una maestosa basilica classica vediamo alcuni monumenti romani antichi e state: Terme di Diocleziano, Tempio della Sibilla a Tivoli, il Colosseo, la basilica di Massenzio, il Pantheon, la colonna Traiana, il Galata morente, lo Spinario, il Laooconte, l’Apollo del Belvedere. - Roma moderna (1757) Qui vediamo rappresentati, nella medesima basilica, monumenti e sculture della Roma più contemporanea: Fontana di Trevi, fontana dei quattro fiumi, Apollo e Dafne, la cattedra di san Pietro. La realizzazione di capricci coinvolse anche artisti di diversa provenienza geografica, che immaginavano Roma con monumenti reali, affiancati da rovine immaginarie senza dimensione e senza tempo. - Capriccio romano con arco di trionfo e piramide di Caio Cestio, San Pietro in Vaticano e castel sant’Angelo (1742-47) di BELLOTTO E ZUCCARELLI In molte opere subentra la visione drammatica e romantica dell’antico, una testimonianza della caducità della civiltà e dei destini umani. - Il cimitero degli inglesi (elegia romana) (1788) di SABLET Si ispira a delle liriche di Goethe di rientro dal viaggio in Italia. La piramide di Caio Cestio si staglia contro un cielo nuvoloso. Siamo all’interno di un cimitero di non cattolici e i due inglesi, i fratelli Sablet, piangono la memoria di un amico. È uno spazio simbolico sulla riflessione sulla morte evocata da una rovina antica. - Goethe nella campagna romana (1786-87) di TISCHBEIN La ritrattistica è fondamentale nel Grand Tour. Roma, con le sue rovine, diviene il luogo privilegiato dove gli aristocratici di fanno ritrarre, con alle spalle proprio questi monumenti. L’artista che trova maggior consenso in questo ambito fu BATONI. - Ritratto di Henry Peirse - Ritratto del Barone di Dunsranville - Antonio Canova nel suo studio con Henry Trasham (1791) di HAMILTON - Il conte Josef Johann Fries davanti a Teseo e il minotauro di Canova di ANGELICA KAUFFMANN Napoli, la città popolosa d’Italia affascinava per il suo paesaggio e per le sue ricchezze. VAN WITTEL, chiamato a Napoli tra il 1699 e 1702 a lavorare per il palazzo reale. A lui si devono particolari vedute aeree di Napoli a volo d’uccello. - Chiaia da Pizzofalcone (1710) - Napoli dal mare (1719) Essendo la veduta direttamente dal mare, rompe con i canoni tradizionali. - Largo di palazzo Fu il soggetto più replicato dall’artista, probabilmente per l’importanza del luogo. Il genere della veduta trionfa a Napoli nella seconda metà del ‘700, con pittori locali e stranieri specializzati nella documentazione del paesaggio. - Carnevale a Napoli da Piazza san Ferdinando (1757) di JOLI - Partenza di Carlo di Borbone per la Spagna vista dal mare di JOLI - Napoli dal porto di JOLI Questa fa parte di un gruppo di tele che permette una lettura della città dall’interno, lontana dai tradizionali schemi visivi, facendo notare lo sviluppo urbanistico e sociale della città. - Strada di Santa Maria di Costantinopoli di JOLI - Napoli da occidente di JOLI - Napoli da oriente di JOLI HACKERT, nato in Germania, la sua esistenza fu caratterizzata dalla ricerca di sempre nuove bellezze paesaggistiche. - Esplosione del Vesuvio - Veduta del porto di Otranto (1790) CARLO BONAVIA, i suoi quadri si basano sulla tecnica en plein air. - Castel dell’Ovo (1788) - Veduta costiera con scena di naufragio
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