Docsity
Docsity

Prepara i tuoi esami
Prepara i tuoi esami

Studia grazie alle numerose risorse presenti su Docsity


Ottieni i punti per scaricare
Ottieni i punti per scaricare

Guadagna punti aiutando altri studenti oppure acquistali con un piano Premium


Guide e consigli
Guide e consigli

Riassunti storia per maturità., Appunti di Storia

Riassunti programma storia 5° anno liceo linguistico.

Tipologia: Appunti

2020/2021

Caricato il 10/05/2023

giulia.tasso
giulia.tasso 🇮🇹

5

(2)

4 documenti

1 / 62

Toggle sidebar

Anteprima parziale del testo

Scarica Riassunti storia per maturità. e più Appunti in PDF di Storia solo su Docsity! 1. L’UNITÀ D’ITALIA Il processo di unificazione italiana si sviluppa attraverso la politica antiaustriaca e diplomatica di Cavour, l’azione mazziniana e la spedizione dei Mille guidata da Giuseppe Garibaldi. Nella fase immediatamente successiva all’unificazione emergono i problemi legati al nuovo regno d’Italia, unito, eppure diviso, tra meridione e settentrione (la questione meridionale). L’ultima fase del processo di unificazione è quella che si svolge con l’annessione del Veneto (terza guerra d’indipendenza) e di Roma. TAVOLA CRONOLOGICA 1854 Guerra di Crimea. 1855 Partecipazione del Piemonte alla Guerra di Crimea. 1856 Congresso di Parigi. 1857 Spedizione di Sapri di Carlo Pisacane. 1858 Attentato di Felice Orsini contro Napoleone III. 1859 Ultimatum dell’Austria al Piemonte. Seconda guerra d’indipendenza. Battaglie di Magenta,Solferino, San Martino. Armistizio di Villafranca. 1860 Plebisciti per l’annessione al Piemonte di Emilia-Romagna e Toscana. Spedizione dei Mille evittorie garibaldine. Plebisciti di annessione nelle Marche, nell’Umbria e nel Regno delle due Sicilie. Incontro di Teano fra Garibaldi e Vittorio Emanuele II. 1861 Si riunisce a Torino il primo Parlamento italiano. Proclamazione del Regno d’Italia (14 marzo). 1866 Guerra austro-prussiana e terza guerra d’indipendenza italiana (battaglie di Custoza, Lissa, Sadowa). 1867 Secondo governo Rattazzi. Episodio di Mentana. 1868 «Non expedit» di Pio IX. 1870 Breccia di Porta Pia e occupazione di Roma. 1871 Legge delle Guarentigie. Trasferimento della capitale da Firenze a Roma. 1) L’ITALIA TRA REAZIONE E LIBERALISMO La fine dei moti del 1848-49 coincide con la ripresa della politica reazionaria nella maggior parte degli Stati europei. A eccezione del regno di Sardegna, negli Stati italiani l’Austria appoggia una dura politica reazionaria. Soprattutto nel Lombardo- Veneto, viene ripristinato un rigido regime poliziesco. Una violenta reazione è attuata anche nei ducati, nello Stato Pontificio e nel granducato di Toscana. Il regno delle due Sicilie. La reazione più spietata si ha nel regno delle due Sicilie dove Ferdinando II imbastisce una serie di processi che conducono nelle carceri borboniche anche prestigiosi intellettuali come Luigi Settembrini, Silvio Spaventa e Carlo Poerio. Il regno di Sardegna. Il regno di Sardegna è l’unico Stato italiano a conservare la Costituzione. Il nuovo sovrano, Vittorio Emanuele II, mantiene in vigore lo Statuto concesso da suo padre Carlo Alberto e ciò gli vale l’appellativo di «re galantuomo». In realtà, la sua decisione di mantenere lo Statuto è dettata dal desiderio di accattivarsi l’opinione pubblica liberale anche degli altri Stati italiani. La politica di Vittorio Emanuele ha successo e sia i liberali che, successivamente, i democratici moderati guardano al Piemonte come al centro propulsore della lotta patriottica italiana contro l’Austria. La ratifica del trattato di pace con gli austriaci, nonostante le moderate condizioni imposte al Piemonte, provoca una crisi nelle istituzioni sabaude in quanto i deputati democratici del parlamento di Torino si rifiutano di ratificare la Pace di Milano. Vittorio Emanuele II scioglie allora le Camere e indice nuove elezioni invitando gli elettori a votare, con il Proclama di Moncalieri, per i deputati disponibili a firmare la pace. La nuova Camera eletta ratifica la Pace di Milano e il ministero d’Azeglio può realizzare una serie di riforme liberali tra le quali la più importante è, nel 1850, il progetto di legge presentato dal guardasigilli Siccardi (ministro di Grazia e giustizia) che limita notevolmente i privilegi di cui il clero beneficiava in Piemonte (leggi Siccardi). 2) CAVOUR Nel novembre del 1852 la presidenza del Consiglio piemontese è assunta da Camillo Benso, conte di Cavour. Figura di primo piano nella destra liberale, Cavour si accorda con l’esponente più importante della sinistra moderata, Urbano Rattazzi, per realizzare una politica di riforme. Questo avvicinamento sarebbe poi stato ricordato come il connubio. L’economia. Per quanto riguarda le teorie economiche, abbandona ben presto le idee giacobine coltivate in giovinezza e si orienta verso un liberalismo di tipo inglese, basato sulla convinzione che solo la libertà dell’individuo può permettere la creazione di una società moderna. Inoltre, ritiene anche che sarebbe stato necessario spingere la borghesia più illuminata sulla via di quelle riforme che, migliorando le condizioni di vita dei ceti meno abbienti, avrebbero scongiurato la minaccia delle rivoluzioni. Nel 1852, come si è detto, Cavour è nominato Capo del governo. Il suo primo intento è quello di trasformare il Piemonte in uno Stato moderno e progredito, impostato su un regime costituzionale sull’esempio dell’Inghilterra. A tale scopo continua l’opera di modernizzazione dell’agricoltura, sottoscrive importanti trattati commerciale con Francia, Belgio e Inghilterra e avvia la costruzione della linea ferroviaria Torino- Genova, che permette di incrementare i traffici commerciali. La riforma fiscale. Cavour attua anche una riforma del sistema fiscale, colpendo maggiormente le classi più ricche che, conseguentemente, cominciano ad avversare la sua politica. Nel 1855, con l’intento di limitare ulteriormente i privilegi ecclesiastici, si fa promotore di una serie di riforme tra cui la riduzione del numero degli ordini religiosi e l’incameramento da parte dello Stato dei beni immobili da essi posseduti. Queste riforme scatenano l’opposizione della destra clericale, al punto che il re Vittorio Emanuele II costringe Cavour a presentare le dimissioni. La crisi dura solo pochi giorni e il sovrano riaffida il governo a Cavour. 3) LA GUERRA DI CRIMEA Dopo il fallimento dei moti del ’48, il Piemonte diventa il punto di riferimento per tutti i liberali della penisola e Cavour, intenzionato a promuovere l’ingrandimento dello Stato sabaudo nell’Italia settentrionale, si impegna in una politica antiaustriaca che sottolinei la «funzione nazionale» del regno di Sardegna. Lo statista sabaudo si propone inoltre di inserire il Piemonte in un contesto internazionale conquistandosi l’appoggio di Napoleone III, il quale ama presentarsi come il difensore delle nazionalità oppresse. Anche per questo motivo Cavour è favorevole alla partecipazione del Piemonte alla guerra di Crimea. Questa, a sua volta, è causata dal riacutizzarsi dell’annosa questione d’Oriente e dal fatto che i falliti tentativi di riforma interna dell’impero turco continuano a tener vive le agitazioni indipendentiste delle popolazioni balcaniche di fede greco-ortodossa. Nel 1853 lo zar Nicola I tenta di imporre al sultano turco il proprio protettorato su tutti i cristiani dell’impero ottomano. Al rifiuto, per rappresaglia, le truppe zariste occupano i principati danubiani di Moldavia e Valacchia (l’attuale Romania). Francia e Inghilterra, preoccupate delle vittorie russe si alleano con la Turchia, e dichiarano guerra allo zar nel marzo 1854. Napoleone III, preoccupato per l’eccessivo prolungamento della guerra, intimorito dalla prospettiva che si venga a creare uno Stato italiano unitario ai confini della Francia, criticato all’interno del paese da conservatori e clericali e preoccupato, infine, dalla prospettiva che la Russia intervenga in aiuto dell’Austria, propone un armistizio a Francesco Giuseppe. L’Armistizio di Villafranca. La sottoscrizione dell’Armistizio di Villafranca (11 luglio 1859) prevede le seguenti condizioni: — la cessione della Lombardia (tranne Mantova e Peschiera, due cardini del Quadrilatero) a Napoleone III, il quale, a sua volta, l’avrebbe ceduta a Vittorio Emanuele II, mentre il Veneto rimane all’Austria; — il ritorno dei sovrani italiani spodestati sui loro troni; — la rinuncia di Napoleone a Nizza e alla Savoia. A quel punto, Cavour rassegna le dimissioni per non dover ratificare un accordo che considera umiliante. Mentre lo statista viene sostituito al governo congiuntamente da La Marmora e Rattazzi, a Vittorio Emanuele tocca il compito di accettare l’armistizio. Le popolazioni toscane e dei ducati, però, si ribellano e organizzano un esercito, sotto la guida di Garibaldi e Manfredo Fanti, per resistere alla restaurazione dei vecchi sovrani. Anche Mazzini offre la propria collaborazione accantonando, ancora una volta, gli ideali repubblicani in nome dell’unità italiana. Gli accordi di Zurigo. Riunitisi a Zurigo nel novembre 1859 per precisare la portata degli accordi di Villafranca, i diplomatici europei preferiscono rinviare il problema del reinsediamento dei sovrani italiani spodestati a un altro, ipotetico, congresso. La situazione dei ducati e della Toscana non rende verosimile parlare di restaurazione degli antichi sovrani e Cavour riesce a convincere Napoleone III ad acconsentire all’annessione di quei territori al regno di Sardegna. Anche se Napoleone III è venuto meno ai patti, l’annessione della Toscana e dei ducati (sancita da plebisciti popolari nel marzo 1860) può essere considerata una soddisfacente contropartita per la mancata annessione del Veneto, per cui Nizza e la Savoia vengono cedute alla Francia. 6) LA SPEDIZIONE DEI MILLE E LA NASCITA DEL REGNO D’ITALIA Nel 1859 muore il re delle due Sicilie, Ferdinando II di Borbone, e gli succede il figlio Francesco II. Con abile mossa, Cavour propone al nuovo sovrano di concedere una Costituzione liberale e di stringere un’alleanza con il regno di Sardegna, prevedendo un rifiuto che puntualmente arriva. Tale rifiuto è strumentalizzato dallo statista piemontese (ritornato, nel frattempo, alla guida del governo) per screditare la monarchia borbonica di fronte all’opinione pubblica italiana ed europea. Rosolino Pilo. Nell’aprile del 1860 scoppiano, a Palermo, dei moti popolari capitanati da Rosolino Pilo. Francesco II non riesce a debellare completamente l’insurrezione e Rosolino Pilo si rifugia sulle montagne per continuare la lotta. Crispi e Cavour. Un altro siciliano, il patriota Francesco Crispi, tenta di organizzare, dal Piemonte, una spedizione in Sicilia. Cavour, secondo il suo solito, mantiene un atteggiamento tra l’estraneo e l’ostile, aspettando l’evoluzione degli eventi per sfruttarli a proprio vantaggio. Vittorio Emanuele appoggia invece questa iniziativa abbastanza apertamente e anche Mazzini, entusiasta, aderisce al progetto. Garibaldi. Mentre Napoleone III tenta inutilmente di fermare questa spedizione, Garibaldi riunisce circa un migliaio di volontari nei pressi di Genova, si impossessa con un finto colpo di mano di due piroscafi appartenenti alla compagnia Rubattino (il Lombardo e il Piemonte) e salpa, nella notte tra il 5 e il 6 maggio, da Quarto alla volta della Sicilia. I Mille che lo accompagnano sono democratici e mazziniani, per lo più giovani, i quali scriveranno una pagina di storia destinata ad essere ammantata di epico eroismo. La vittoria. Dopo una breve sosta a Talamone, in Toscana, i Mille si dirigono verso Marsala. Tre giorni dopo, nella località di Salemi, Garibaldi si proclama dittatore dell’isola in nome di Vittorio Emanuele II. Intanto, migliaia di picciotti (i contadini e i braccianti siciliani) ingrossano le fila dell’esercito garibaldino attratti dalla speranza della riforma fondiaria, promessa da Garibaldi, che avrebbe finalmente assegnato loro le terre da lavorare. A Calatafimi, il 15 maggio, Garibaldi sconfigge le truppe borboniche e si dirige verso Palermo. Sconfitti nuovamente i borbonici a Milazzo, Garibaldi si dirige verso lo stretto di Messina, deciso a sbarcare sul continente e a puntare verso Napoli. Spaventato dalla piega che stanno prendendo gli avvenimenti, Francesco II si decide a concedere una Costituzione prima dell’arrivo di Garibaldi. Quest’ultimo, intanto, è riuscito a sbarcare in Calabria e prosegue vittoriosamente alla volta di Napoli tra le ovazioni della popolazione, mentre l’esercito borbonico si disgrega. Il 6 settembre Francesco II abbandona la capitale e si rifugia nella fortezza di Gaeta. Il giorno successivo Garibaldi entra trionfalmente a Napoli. La rapida evoluzione della situazione apre un periodo di profonda incertezza dinanzi alle diverse prospettive che sembrano proporsi: — Mazzini, dopo aver raggiunto Garibaldi a Napoli, auspica la formazione di un’assemblea costituente che decida riguardo il nuovo assetto da dare all’Italia; — Garibaldi progetta di raggiungere e conquistare Roma e, da lì, proclamare, una volta per tutte, l’unità d’Italia; — Cavour è preoccupato dal fatto che nelle fila garibaldine siano presenti esponenti sia democratici che repubblicani miranti a ottenere delle riforme particolarmente avanzate (ad esempio, la riforma agraria) ed è intimorito, inoltre, dall’eventualità che un attacco garibaldino a Roma possa provocare un intervento francese. Cavour convince l’imperatore francese a non ostacolare un intervento dell’esercito piemontese nel sud con l’intento di «normalizzare» la situazione. Le truppe sabaude, al comando dei generali Fanti e Cialdini, muovono verso lo Stato Pontificio dove, dopo la vittoriosa battaglia di Castelfidardo, conquistano le Marche e l’Umbria (18 settembre), la cui annessione al Piemonte viene poi sanzionata da un plebiscito. Contemporaneamente, Garibaldi sconfigge la disperata resistenza delle ultime truppe borboniche nella battaglia del Volturno (2 ottobre). Dissidi tra Cavour e Garibaldi. Tra Cavour e Garibaldi è, ormai, aperto dissidio, in quanto lo statista piemontese desidera convocare subito i plebisciti, temendo che un intervento delle altre potenze possa mettere in discussione le conquiste realizzate fino ad allora; Garibaldi, invece, avrebbe preferito mettersi in marcia alla volta di Roma. Sta di fatto che Cavour, pur di bloccare l’attacco garibaldino a Roma, riesce a ottenere che si convochino i plebisciti in Sicilia e nel Napoletano, i quali, svoltisi tra il 21 e il 22 ottobre 1860, decretano, a schiacciante maggioranza, l’annessione al Piemonte. Pochi giorni dopo, il 26 ottobre, Garibaldi incontra Vittorio Emanuele II a Teano, salutandolo come «re d’Italia». Il sovrano piemontese, a sua volta, si presenta come il restauratore dell’ordine sconvolto dai Mille, rifiutando non solo l’ipotesi di incorporare i volontari garibaldini nelle truppe regolari sabaude, ma anche di passarli semplicemente in rassegna, sicché l’«eroe dei due mondi», dopo quest’ennesima delusione, preferisce ritirarsi nell’isola di Caprera. Nasce il regno d’Italia. Mentre a Teano avviene lo storico incontro, a Torino, la Camera dei deputati approva il provvedimento legislativo che permette al governo l’accettazione incondizionata delle annessioni delle altre regioni italiane al regno di Sardegna. Il 18 febbraio 1861 si riunisce a Torino il primo parlamento nazionale. Viene ratificata l’unione delle diverse parti della penisola, è proclamata, il 14 marzo 1861, la nascita del regno d’Italia (a seguito dell’incorporazione degli altri Stati della penisola in quello piemontese) e Vittorio Emanuele II è proclamato «re d’Italia». Sia lo Statuto albertino che la legislazione piemontese vengono estesi anche al resto dell’Italia, abolendo tutte le leggi vigenti in precedenza nei diversi territori. Il 26 marzo, con voto solenne, il parlamento si dichiara a favore dell’ipotesi che Roma possa diventare la futura capitale del nuovo regno. 7) ASPETTI SOCIALI, ECONOMICI E POLITICI DEL NUOVO REGNO L’economia italiana si basa per oltre il 50% sull’agricoltura, ma le condizioni dei contadini rimangono fortemente arretrate e non viene neppure realizzata la riforma agraria che pure era stata promessa a più riprese dai governi unitari. L’arretratezza del meridione. Il processo di industrializzazione viene avviato solo al nord, mentre le città e le campagne dell’Italia meridionale presentano strutture ancora medioevali, con un’economia parassitaria e non imprenditoriale. Il 90% della popolazione al sud è analfabeta, mancano le materie prime per uno sviluppo industriale e la limitata diffusione delle ferrovie non favorisce gli scambi commerciali. Anche l’organizzazione dello Stato presenta non pochi problemi: bisogna unificare il sistema legislativo, quello fiscale, quello monetario e amalgamare le diverse culture. Cavour pensa di risolvere tali questioni con un moderato decentramento, ma dopo la sua morte prevale la politica di estendere gli ordinamenti piemontesi a tutta l’Italia. Si assiste, così, a quel fenomeno conosciuto col nome di piemontesismo, che causa un grosso malcontento, cui si aggiungono i problemi connessi alla volontà di annettere il Veneto e il Lazio. Lo scenario politico. Per quanto attiene invece all’ambito politico, va detto che il primo parlamento italiano viene eletto dal 2% degli adulti maschi e rappresenta gli interessi della borghesia imprenditoriale e terriera, conservatrice e in qualche modo preoccupata soprattutto di difendere i propri interessi. L’assemblea parlamentare è divisa in Destra e Sinistra, che non si distinguono per diversità ideologiche. La Destra è costituita da una minoranza di reazionari e da una maggioranza conservatrice e moderata. La Sinistra è formata da una minoranza di repubblicani e da una maggioranza, capeggiata da Rattazzi e Depretis, più moderata, disposta ad accettare la monarchia. 8) IL BRIGANTAGGIO La nuova politica unitaria provoca un grave malcontento, soprattutto al sud, dove cresce e si diffonde un fenomeno già presente in quelle regioni: il brigantaggio. Non si può negare la base «sociale» del brigantaggio, collegato ai fenomeni di scontento e delusione delle popolazioni contadine, da secoli in attesa di una riforma agraria che risolvesse i loro problemi di miseria, emarginazione, sfruttamento. I briganti vengono anche appoggiati e strumentalizzati dai Borbone, che intendono servirsene per riconquistare il trono. Il governo italiano considera il brigantaggio come una minaccia all’unità e l’affronta con l’esercito. La repressione si conclude con svariate migliaia di morti e con ventimila condanne ai lavori forzati. Soltanto dopo il 1870, però, la situazione meridionale diventa oggetto di principi del libero scambio, è costretto, per rafforzare il suo potere, a promuovere riforme nel campo sociale e a fare evolvere l’Impero in senso liberale. Concessioni alle opposizioni. Una politica di concessioni alle opposizioni si rende necessaria quando, nel 1863, le elezioni fanno registrare un consistente incremento dei voti liberali e repubblicani. L’imperatore si convince ad accordare il diritto di associazione agli operai e ripristina le libertà di riunione e di stampa (1868). Napoleone III cerca di rafforzare il suo prestigio facendosi portatore di un’ambiziosa politica estera che non dà, però, i frutti sperati. Nel 1863 fa da mediatore fra lo zar e gli insorti polacchi, col solo risultato di inimicarsi Alessandro II. Nel 1866, interpostosi nella guerra austro-prussiana, non ottiene alcun vantaggio, ma deve assistere impotente al rafforzamento della Prussia. Nel 1867 vede fallire miseramente l’impresa da lui promossa della conquista del Messico, che si conclude con la fucilazione dell’arciduca Massimiliano. Mentre Bismarck incrementa minacciosamente la preparazione militare prussiana, Napoleone III è costretto a rifiutare un’alleanza con l’Austria e l’Italia, per non scontentare i clericali. Così si trova isolato di fronte al prevedibile attacco della Prussia. 2) LE ASPIRAZIONI UNITARIE DELLA PRUSSIA La Prussia rafforza la propria economia e potenzia il suo apparato militare. La borghesia industriale del paese si fa portavoce dell’ideale unitario delle popolazioni tedesche, vagheggiando un regime costituzionale e parlamentare, mentre la monarchia prussiana, anch’essa sostenitrice dell’unificazione tedesca, considera il problema nell’ottica di un rafforzamento dell’egemonia della Prussia nei confronti degli altri Stati tedeschi. L’atteggiamento prussiano si precisa meglio quando Guglielmo I, subentrato come reggente al fratello Federico Guglielmo IV, cerca di attuare una riorganizzazione dell’esercito nell’ottica di una politica di potenza. Al rifiuto del parlamento, dovuto in buona parte all’atteggiamento contrario dei deputati liberali, Guglielmo I è quasi sul punto di abdicare. La politica di Bismarck. Nel 1862 Guglielmo I nomina Presidente del consiglio (cancelliere) Otto von Bismarck, un aristocratico prussiano appartenente alla classe degli Junkers (i ricchi proprietari terrieri, conservatori). Autoritario e ostile al liberalismo, Bismarck è fermamente convinto del fatto che l’ideale unitario sia raggiungibile solo attuando una decisa politica antiaustriaca. Il rafforzamento dell’esercito, nonostante il voto contrario del parlamento (che viene scavalcato), è uno dei cardini di tale politica. Tenace assertore della funzione di guida che la Prussia avrebbe dovuto assumersi per attuare il programma «piccolo tedesco» e unificare la Germania, Bismarck dà inizio ad una vasta attività diplomatica volta ad espellere l’Austria dalla Confederazione germanica. Oltre a guadagnarsi la riconoscenza della Russia (appoggiandola nella repressione dell’insurrezione polacca del 1863), il cancelliere prussiano approfitta del riproporsi della questione dei ducati danesi. I ducati dello Schleswig e dell’Holstein, abitati per lo più da popolazioni tedesche, erano posti sotto l’amministrazione della Danimarca. In seguito al tentativo del re danese, Cristiano IX, di annettersi direttamente lo Schleswig, Austria e Prussia (a nome della Confederazione germanica) attaccano la Danimarca, che deve arrendersi (1864). L’amministrazione dei ducati viene affidata congiuntamente all’Austria e alla Prussia ma Bismarck, dopo essersi assicurato l’isolamento diplomatico dell’Austria (Napoleone III si è impegnato a rimanere neutrale e l’Italia, in caso di guerra, sarebbe intervenuta contro l’Austria per annettersi il Veneto), fa nascere un pretesto per scatenare la guerra contro l’Austria. La guerra austro-prussiana. Il conflitto fra Austria e Prussia (16 giugno 1866), a cui partecipa anche l’Italia, alleata alla Prussia, si rivela brevissima, grazie alla superiorità militare delle truppe prussiane, sotto la direzione del ministro della Guerra von Roon e del capo di stato maggiore von Moltke. La guerra si conclude, dopo la decisiva vittoria dei prussiani a Sadowa, con la Pace di Praga (1866), in base alla quale la Prussia impone la propria autorità sui ducati danesi, l’Hannover, l’Assia-Cassel, il Nassau e la città libera di Francoforte. La vittoria prussiana consente all’Italia di annettersi il Veneto che, per somma umiliazione, le viene concesso soltanto tramite la Francia, a sottolineare che tale cessione deriva da un accordo diplomatico, non certo dal risultato di una vittoria militare. 3) IL RIASSETTO DELL’IMPERO AUSTRIACO La sconfitta subita dall’Austria nella guerra con la Prussia riacutizza le aspirazioni indipendentiste delle numerose nazionalità che compongono l’impero asburgico, in particolare degli ungheresi, che già godono di una certa posizione di privilegio. La duplice monarchia. Nel 1867, con un Ausgleich («compromesso»), l’impero austriaco viene riorganizzato nella forma di una duplice monarchia: impero d’Austria e regno d’Ungheria, ciascuno con una propria Costituzione, parlamento e governo, uniti dalla persona del sovrano, Francesco Giuseppe, e dalla comunanza di tre ministeri: esteri, guerra e finanze comuni. È questa l’ennesima applicazione del principio del «divide et impera». Concedendo una posizione di privilegio alle popolazioni magiare dell’Ungheria, le si lega, contemporaneamente, alle sorti dell’impero, neutralizzandone la carica centrifuga. Realizzate le loro aspirazioni autonomistiche, inoltre, gli ungheresi sarebbero stati solidali con l’Austria nel negare gli stessi privilegi alle altre nazionalità dell’impero. In definitiva, cacciata dall’Europa centrale in seguito alla sconfitta del 1866, l’Austria deve dirigere le proprie mire espansionistiche verso oriente e nei Balcani (incoraggiata, in ciò, dalla componente magiara). Questo nuovo orientamento della politica estera asburgica avrebbe a sua volta creato numerosi motivi di contrasto con la Russia. 4) LA MODERNIZZAZIONE DELLA RUSSIA In Russia la sopravvivenza di alcune istituzioni feudali come la servitù della gleba e la posizione di assoluta predominanza dei grandi latifondisti danno alla società un carattere ancora medievale. La stessa sconfitta subita nella guerra di Crimea dimostra l’arretratezza tecnologica e organizzativa dello Stato zarista rispetto ai suoi avversari occidentali. Lo sviluppo industriale è ostacolato dalla presenza di una manodopera servile, dalla scarsezza dei capitali e dalla mancanza di un adeguato numero di consumatori. Slavofili e occidentalizzanti. Con l’avvento al trono del nuovo zar, Alessandro II (1855-1881), sembrano affermarsi le tendenze riformatrici e ha modo di svilupparsi il dibattito interno tra i cosiddetti slavofili e gli occidentalizzanti. Nonostante il fatto che Alessandro II abbia amnistiato i superstiti del moto decabrista e i prigionieri politici (1856), continuano a rimanere in esilio due tra i più radicali esponenti delle ideologie riformiste ostili allo zarismo, Aleksandr Herzen e Michail Bakunin, i quali anche dall’esilio continuano a rivestire un ruolo di primo piano nel dibattito interno. Gli ideali di Herzen e Bakunin. L’ideale politico di Herzen riunisce in sé democrazia e socialismo. Bakunin è invece l’apostolo di una totale distruzione dell’ordine borghese in tutte le sue istituzioni (religione, famiglia, Stato), della proprietà della terra, del capitale e degli strumenti di lavoro. Le riforme di Alessandro II. Il nuovo zar, sensibile alle problematiche evidenziate dalle rivolte contadine, nel 1861 realizza una riforma di portata storica per la Russia decretando l’abolizione del servaggio (servitù della gleba) e una riforma agraria con la redistribuzione delle terre dei latifondi ai contadini. Altre riforme vengono realizzate nel campo della giustizia e dell’istruzione finché, sia per l’agitazione nelle campagne che per lo scoppio di una nuova insurrezione polacca, nel 1863 Alessandro II torna ai metodi dispotici (anche a seguito dell’attentato ordito contro di lui, nel 1866, da un gruppo di studenti). Lo sviluppo industriale. Nonostante la ripresa della politica autocratica, si va consolidando nel paese il processo di sviluppo industriale reso possibile dal consistente afflusso degli investimenti stranieri, attratti sia dalle vantaggiose opportunità offerte dal vasto mercato russo che dalla disponibilità di manodopera a basso costo. Infatti, i contadini liberati dalla terra con l’abolizione del servaggio rimangono comunque poveri e si dirigono verso le città alla ricerca di un qualsiasi tipo di lavoro. L’aggravarsi del disagio contadino provoca una serie di fermenti sociali che sfociano nella fioritura di numerosi gruppi terroristici attratti dall’ideologia di Bakunin. Nel 1881, lo stesso Alessandro II rimane vittima di un attentato organizzato dai membri di uno di questi raggruppamenti. Populisti e nichilisti. Le correnti riformatrici più radicali si dividono in due gruppi principali di oppositori al regime autocratico degli zar: i populisti e i nichilisti. 5) L’INGHILTERRA IN ETÀ VITTORIANA L’età vittoriana, come viene definito il lunghissimo arco di tempo (1837-1901) durante il quale regna la regina Vittoria, è, nel campo economico, il periodo di massimo splendore della potenza inglese, che si identifica con l’adesione coerente al liberalismo. In quegli anni continua in Inghilterra la fase di sviluppo industriale soprattutto nei settori tessile, siderurgico e meccanico e si accentua la tendenza alla concentrazione delle imprese. La riforma elettorale. Una serie di riforme viene varata dai governi presieduti da Russell e soprattutto dal conservatore Disraeli, il quale, nel 1867, dà vita a una riforma elettorale che modifica la distribuzione dei seggi e amplia il numero degli aventi diritto al voto, passando da 1.366.000 a 2.448.000 elettori. Il nuovo sistema elettorale porta alla formazione di una maggioranza radicale e William E. Gladstone viene messo a capo di un ministero liberal-radicale che attua una serie di riforme riguardanti: la pubblica istruzione, le associazioni operaie (Trade Unions) legalmente riconosciute, l’esercito, la questione irlandese. Le ragioni della solidità economica. La stabilità politica ed economica dell’Inghilterra nel XIX secolo è resa possibile dall’estensione dell’impero coloniale, dal quale provengono le risorse necessarie per mantenere la qualità della vita a livelli soddisfacenti, e dallo sfruttamento dei popoli delle colonie. Per quanto riguarda la politica estera, l’Inghilterra evita di intervenire direttamente nelle questioni europee, ma svolge anche un’intensa attività diplomatica volta a contenere l’espansionismo russo verso il Mediterraneo e a tenere sotto controllo le ambizioni imperialiste di Napoleone III. Al riparo da attacchi militari, grazie alla propria posizione insulare, l’Inghilterra si chiude in uno «splendido isolamento», concentrando la sua attenzione sugli obiettivi coloniali. 6) LA GUERRA CIVILE AMERICANA 1863 Fondazione dell’Associazione generale degli operai tedeschi. 1864 Fondazione della Prima Internazionale. 1869 Nascita del Partito socialdemocratico tedesco. 1889 Fondazione della Seconda Internazionale. 1891 Rerum novarum di Leone XIII. 1) LO SVILUPPO DEL SISTEMA CAPITALISTA Dopo il 1870 lo sviluppo del sistema di produzione capitalistico è tale che l’eccessiva abbondanza di prodotti provoca periodiche crisi di sovrapproduzione, in quanto parte delle merci prodotte non riesce ad essere assorbita dal mercato e rimane perciò invenduta. Ne derivano fallimenti a catena delle imprese e licenziamenti in massa di operai (grande depressione del 1929). Per questo, molti paesi industrializzati adottano una politica economica liberoscambista (che riduce le tariffe doganali) imponendo il sistema della libera concorrenza sul mercato mondiale di materie prime, prodotti finiti, capitali e manodopera. Risparmiando su materie prime e manodopera (provenienti dalle colonie) gli europei traggono ulteriori profitti imponendo prezzi elevati sui prodotti finiti che esportano. Il sempre più diffuso ricorso degli industriali al credito bancario, porta le banche più potenti a controllare un gran numero di imprese operanti sia in settori diversi (trust) che nello stesso settore (cartelli). Ciò determina la nascita del capitalismo monopolistico, che mette fine al periodo della libera concorrenza. Contribuiscono allo sviluppo della società industriale: nuove tecniche produttive (la lavorazione a catena, per cui ogni operaio si dedica a una diversa fase di lavorazione di un prodotto), l’utilizzo di nuove fonti energetiche (nascita dell’industria petrolifera e sfruttamento dell’energia elettrica); lo sviluppo dei mezzi di trasporto (ferrovie e navigazione a vapore) e di comunicazione (telegrafia elettrica, 1844; telefono, 1871; telegrafia senza fili, 1897); l’esodo di emigrazione verso l’America (tra il 1880 e il 1914 emigrano 17 milioni di persone). 2) HEGEL, MARX E IL PENSIERO SOCIALISTA Hegel. G.W. Friedrich Hegel (1770-1831) nelle sue opere afferma che la realtà consiste in una continua trasformazione per cui ogni filosofia non ha valore eterno, ma è valida solo per un certo periodo storico. Per Hegel tutta la realtà è la manifestazione di uno Spirito più generale che si concretizza in un prodotto diverso da sé. Questo processo viene chiamato alienazione. Feuerbach. Ludwig Feuerbach, filosofo appartenente alla sinistra hegeliana, nell’opera Essenza del cristianesimo, supera la visione teologica del suo predecessore sostituendo alla teologia (lo studio di Dio) l’antropologia (lo studio dell’uomo). Marx. Dalla corrente ideologica della sinistra hegeliana è influenzato il filosofo ed economista tedesco Karl Marx (1818-1883), che critica la teoria hegeliana in quanto non ha tenuto conto della distinzione tra Stato e società civile. Infatti, mentre lo Stato stabilisce che tutti i cittadini sono eguali, in realtà, nella società i cittadini sono ineguali, divisi in classi sociali. Marx riprende il concetto hegeliano di alienazione, applicandolo al lavoro «alienato» dell’operaio che non lavora più per soddisfare i propri bisogni, ma per far arricchire il suo padrone. In collaborazione con Friedrich Engels (1820-1895), Marx scrive nel 1845 La sacra famiglia e nel 1846 L’ideologia tedesca, due opere in cui viene enunciata la concezione materialistica della storia. Secondo Marx, la storia non è altro che storia dei rapporti di produzione, e lo Stato è il sistema attraverso il quale le classi dominanti (che possiedono i mezzi di produzione) impongono le proprie idee e i propri interessi. Ciò è alla base dello sfruttamento che subiscono le altre classi. Per porre fine a questo stato di cose è necessario abolire lo Stato e, di conseguenza, le classi. A Marx si deve un nuovo modo di intendere la filosofia che, da semplice teoria, diventa azione rivoluzionaria. Nel 1848 Marx ed Engels pubblicano un breve scritto, il Manifesto del Partito comunista, in cui Marx stabilisce che «la storia di ogni società esistita fino a questo momento è storia di lotta di classi». La borghesia per Marx è stata una classe rivoluzionaria in quanto ha creato un’economia di tipo mondiale, dando vita ad una classe nuova: il proletariato. E proprio il proletariato, secondo Marx, è destinato ad abbattere il sistema borghese, eliminando la proprietà privata. Marx parla della vittoria del proletariato non come di un semplice auspicio, ma come di una certezza, in quanto, in base alla sua analisi storica, l’instaurazione del comunismo deve necessariamente seguire l’epoca del dominio borghese. A differenza del socialismo utopistico di Saint-Simon, il marxismo rappresenta la prima formulazione di un tipo di socialismo scientifico in quanto si basa su un’analisi realistica del capitalismo moderno. Il Capitale (1862-1865) è l’opera più importante di Marx: in essa elabora la teoria del plusvalore ovvero del profitto che scaturisce dalla differenza tra il valore di un bene prodotto dal lavoratore e la retribuzione che egli stesso percepisce dall’imprenditore. Se un prodotto ha il valore sul mercato di dieci ore lavorative — impiegate per fabbricarlo — il datore di lavoro ne paga solo sei all’operaio. Le quattro ore di lavoro non pagate costituiscono il plusvalore ossia, il guadagno dell’imprenditore. 3) PRIMA E SECONDA INTERNAZIONALE L’appello di Marx, «Proletari di tutto il mondo unitevi», è accolto a livello internazionale, e le forze operaie e proletarie si organizzano. Nel 1864 viene creata la prima Associazione internazionale degli operai, detta Prima Internazionale, che dura solo dodici anni, dilaniata dai contrasti interni tra marxisti e anarchici. La corrente anarchica riprende le idee di Michail Bakunin (18141876) e le sue teorie sul cosiddetto «anarchismo sociale», in base al quale lo Stato deve essere eliminato attraverso le azioni terroristiche di singole persone. Bakunin, a differenza di Marx, si rivolge a disoccupati e contadini senza terra che vivono in paesi economicamente arretrati nei quali gli operai sono ancora poco numerosi (Spagna, Russia e Italia). Un altro gruppo all’interno della Prima Internazionale è quello dei seguaci del filosofo francese Pierre Joseph Proudhon (1809-1865), che si propone di instaurare un regime di giustizia sociale senza, per questo, rinunciare alla libertà individuale. Nel 1889 viene poi fondata, a Parigi, una Seconda Internazionale dalla quale sono subito esclusi gli anarchici. Altri contrasti sorgono tra marxisti rivoluzionari e riformisti sulle posizioni da assumere nei confronti dei governi retti dalla borghesia e, soprattutto, verso la guerra. 4) IL CATTOLICESIMO SOCIALE La Chiesa cattolica, di fronte alla questione sociale, prende posizione con l’enciclica Rerum novarum di papa Leone XIII (1891). In essa il Papa condanna la lotta di classe e il socialismo, difende il diritto alla proprietà privata e giudica inevitabili le disparità sociali, sostenendo però il diritto dei lavoratori ad un salario dignitoso. Il Pontefice cerca di sottrarre all’influenza del socialismo le masse dei lavoratori: dall’enciclica Rerum novarum trarrà origine il movimento cooperativo cattolico ed un suo sindacato, nonché il partito sociale cristiano. 4. L’ETÀ DELL’IMPERIALISMO Nella seconda metà dell’Ottocento si assiste alla crescita economica degli Stati più industrializzati (Gran Bretagna, Germania, Francia, Stati Uniti, Russia, Giappone, Italia) che attuano una politica coloniale sostenuta da ideologie nazionalistiche. Numerosi sono gli scontri tra gli imperialismi europei per la conquista di territori e nuovi mercati (Africa, Balcani, guerra cino- giapponese in Asia, guerra ispano- americana per la conquista di Cuba etc). TAVOLA CRONOLOGICA 1842 L’Inghilterra occupa Hong Kong. 1858 L’India diventa colonia inglese. 1870-1890 Età bismarckiana. 1877-1878 Guerra russo-turca. 1881 Protettorato francese sulla Tunisia. 1882 L’Inghilterra occupa militarmente l’Egitto. Triplice Alleanza tra Germania, Austria e Italia. 1885-1890 Espansione italiana in Africa. 1894 In Francia scoppia il «caso Dreyfus». 1896 Disfatta italiana ad Adua. 1900 Nascita del Partito socialista rivoluzionario in Russia. 1904 Entente cordiale tra Francia e Inghilterra. 1912 Prima guerra balcanica. 1913 Seconda guerra balcanica. Allo sviluppo capitalistico si associa una politica imperialistica e di conquista coloniale delle grandi potenze. L’espansione coloniale, causa di attrito tra le potenze europee, è perseguita per motivi di carattere strategico e per ovviare alla forte crescita demografica degli Stati. 2) IDEOLOGIE DELL’IMPERIALISMO La politica «aggressiva» delle potenze europee trova sostegno in un’ideologia nazionalistica che giustifica, e addirittura esalta, la superiorità della propria nazione. La lega pangermanista. In Germania, paese nel quale la politica di potenza ha avuto un ruolo fondamentale nella formazione stessa dello Stato nazionale nato, secondo l’espressione di Bismarck, «col ferro e col fuoco», si sviluppa, la Lega pangermanista, fondata a Berlino nel 1891 dall’esploratore Karl Peters e diretta, dal 1893, da Ernst Hasse, professore all’università di Lipsia. Il programma di espansione continentale della Lega, che prevede la riunificazione, sotto l’impero germanico (Stato-guida), di tutte le popolazioni di lingua tedesca, messo da parte dal governo ma fortemente condiviso dai militari germanici, sarà ripreso durante il periodo hitleriano. Il governo tedesco si interessa, invece, alle possibilità offerte da un espansionismo coloniale che, con il potenziamento della flotta, innesca una competizione navale con la Gran Bretagna. Il panslavismo. Anche in Russia nazionalismo e imperialismo trovano una formulazione teorica nel panslavismo, che auspica l’unificazione di tutti gli slavi sotto la direzione russa. Il panslavismo esercita grande influenza sugli avvenimenti dei Balcani, giustificando con romantici ideali la tradizionale ambizione della Russia di togliere all’impero asburgico il controllo dell’area balcanica per assicurarsi uno sbocco sul Mediterraneo orientale. 3) I PROTAGONISTI DELLA COLONIZZAZIONE IMPERIALISTICA Gran Bretagna. In Inghilterra, paese che detiene vastissimi possedimenti coloniali già dalla fine del Settecento, la tendenza a rafforzare l’impero coloniale, appoggiata sia dalle forze conservatrici che da quelle liberali, trova favorevoli pure le masse popolari, convinte profondamente di essere «la più grande delle razze governanti». Spinta dalla Sta di fatto che il congresso berlinese non risolve il contrasto austro-russo nei Balcani (rottura del Patto dei tre imperatori), sicché Bismarck sfrutta questa situazione internazionale per assicurare un ruolo centrale alla Germania nella politica europea. Il cancelliere tedesco si preoccupa pure di impedire che Francia e Russia possano stringere un’alleanza. Approfittando della situazione di debolezza della Francia, che è in contrasto con la Gran Bretagna per motivi riguardanti le imprese coloniali, e sfruttando anche il risentimento dell’Italia nei confronti dell’imperialismo francese che aveva portato, nel 1881, all’occupazione della Tunisia (dove esistevano rilevanti interessi economici italiani), Bismarck riesce a organizzare un nuovo schieramento di alleanze che fanno della Germania il perno della politica europea. La politica estera tedesca. Punto fondamentale della politica estera tedesca diventa, a partire dal 1879, l’alleanza tra Germania e Austria, ma anche con la Russia che, isolata sul piano internazionale, acconsente nel 1881 a stipulare un Secondo patto dei tre imperatori. Nel sistema di alleanze bismarckiane è inclusa anche l’Italia, «la più piccola delle grandi potenze» che, in cattivi rapporti sia con la Francia che con l’Austria, avverte profondamente il senso della propria debolezza. La conquista francese della Tunisia costituisce l’elemento decisivo perché, messo da parte l’irredentismo, il governo italiano si decidesse a stipulare un accordo con l’Austria, presupposto essenziale di un’alleanza anche con la potente Germania. Nel 1882, tra Germania, Austria e Italia si costituisce la Triplice Alleanza, un accordo difensivo in funzione antifrancese con il quale gli italiani intendono tutelarsi dalle mire francesi nel Mediterraneo, cosicché Bismarck riesce a completare l’accerchiamento della Francia. La ripresa del contrasto austro-russo nei Balcani (1885-86) e la conseguente rottura del Secondo patto dei tre imperatori spingono Bismarck sia a rendere più solida la Triplice Alleanza che a continuare a intrattenere buoni rapporti con la Russia, unita alla Germania da un Trattato di controassicurazione. La posizione di Bismarck verso la Russia è pur sempre carica di ambiguità, tanto che lo zar Alessandro II, fin dal 1888, è spinto a riavvicinarsi alla Francia, con la quale vengono stretti accordi commerciali. In seguito alla morte di Guglielmo I (1888) e all’avvento al trono di Germania del nipote Guglielmo II, i rapporti di Bismarck con la casa imperiale si deteriorano e, nel 1890, il cancelliere tedesco è costretto alle dimissioni. Il Trattato di controassicurazione, sottoscritto nel 1887, non viene rinnovato, mentre tra Francia e Russia si viene delineando, con sempre maggiore chiarezza, un’alleanza (1891). L’isolamento della Francia giunge, così, a termine. Alla politica di equilibrio di Bismarck fa da contrappunto la politica di potenza di Guglielmo II, ispirata alle ideologie nazionaliste del pangermanesimo e al concetto di «Grande Nazione» in base al quale la Germania avrebbe dovuto dominare il mondo. Contemporaneamente, viene intrapresa una politica coloniale in Asia e in Africa accompagnata da un consistente riarmo navale. L’alleanza tra Giappone e Inghilterra. L’aggressività tedesca spinge l’Inghilterra a uscire dallo «splendido isolamento» e a stringere un’alleanza con il Giappone (1902) in funzione antirussa, oltre ad eliminare, nel 1904, tutti i motivi di disaccordo con la Francia, soprattutto in ambito coloniale e mediterraneo. I rapporti tra Inghilterra e Germania diventano più problematici a causa degli interessi nel Medio Oriente e per la concorrenza commerciale esercitata dalla competitiva industria tedesca. Suscita molte preoccupazioni anche la politica di riarmo navale voluta da Guglielmo II. La scelta dell’Italia. L’Italia, che non ha avuto dalla Triplice Alleanza quell’aiuto in campo coloniale che avrebbe desiderato, nel 1898 conclude la guerra doganale con la Francia durata dieci anni e, nel 1900, uno scambio di lettere tra l’ambasciatore francese e il ministro degli Esteri italiano Visconti Venosta formula la dichiarazione reciproca del disinteresse italiano nel Marocco e di quello francese in Libia. Ciò costituiva un’importante modifica dell’allineamento mediterraneo, in quanto la Francia non era più isolata in quel mare. Il governo tedesco pur definendo un «giro di valzer» l’accordo italo-francese, si preoccupa molto del mutamento nei rapporti internazionali. 5) LE MAGGIORI POTENZE TRA ’800 E ’900 Francia. La Francia si avvicina sempre più a un regime democratico, ma un episodio, a fine secolo, mette a repentaglio la vita della III Repubblica: il caso Dreyfus, che spacca l’opinione pubblica, divisa tra innocentisti e colpevolisti. Alfred Dreyfus è un ufficiale ebreo che, nel 1894, viene condannato ai lavori forzati con l’accusa di aver fornito documenti segreti all’ambasciata tedesca. La sentenza, basata su falsi indizi, determina un errore giudiziario, ma la cosa più grave è che le alte sfere militari si rifiutano di rivedere il processo nonostante emergano numerosi dubbi sulla colpevolezza dell’ufficiale. Quando, nel 1899, si attua la revisione del processo, la sentenza viene confermata nonostante l’innocenza del condannato appaia palese. Per essere liberato, Dreyfus dovrà attendere la grazia del presidente della Repubblica, mentre la riabilitazione definitiva gli verrà conferita solo nel 1906. In campo estero, la Francia si scontra con la Germania per il controllo del Marocco, uno dei pochi Stati africani ancora indipendenti. Per due volte, nel 1905 e nel 1911, il contrasto franco-tedesco porta l’Europa sull’orlo della guerra. Le crisi marocchine si risolvono con il riconoscimento formale del protettorato francese sul Marocco, mentre la Germania ottiene in cambio una striscia del Congo francese: un risultato, questo, del tutto modesto, che non fa altro che alimentare ulteriormente le spinte militariste e aggressive. Inghilterra. La politica inglese è dominata dalla coalizione tra conservatori e liberali- unionisti che cercano di affiancare al programma di espansione imperialistica una politica di riformismo sociale tale da non intaccare i privilegi delle classi agiate. Il progetto del primo ministro inglese di introdurre il protezionismo doganale, in quanto contrario alla tradizione del liberismo inglese, mette in crisi l’egemonia dei conservatori, sicché le elezioni del 1906 registrano la vittoria dei liberali e l’ingresso alla Camera di trenta deputati laburisti. I governi liberali hanno una condotta meno aggressiva in campo coloniale e attuano una politica di riforme sociali più organica (riduzione dell’orario di lavoro, creazione di uffici di collocamento, pensioni), associata a una politica fiscale che mira a colpire i grandi patrimoni. La Camera dei lord, roccaforte parlamentare dell’aristocrazia, respinge il progetto, pur non avendone il diritto in base alle consuetudini britanniche. Nasce, così, un conflitto istituzionale che si risolve, dopo due anni, con la vittoria delle forze progressiste. Russia. Alla fine del XIX secolo, la Russia è ancora uno Stato improntato a una forte autocrazia. Gli zar Alessandro III prima e Nicola II poi accentrano tutto il potere nelle loro mani, intensificando il processo di russificazione delle minoranze etniche. Sul piano economico, il paese compie il primo tentativo di industrializzazione e inasprisce il protezionismo. Tuttavia, la società russa rimane fortemente arretrata e le tensioni politiche e sociali crescono pericolosamente; la classe operaia, in particolare, subisce l’influenza del Partito socialdemocratico e della propaganda del Partito socialista rivoluzionario, nato nel 1900 dalla fusione di gruppi anarchici e populisti. Conseguenza inevitabile di tali tensioni è la rivoluzione del 1905. Il 22 gennaio di quell’anno, una domenica, un corteo di 150.000 persone che si dirige verso il Palazzo d’Inverno per presentare allo zar una petizione viene affrontato dall’esercito, che, sparando sulla folla, uccide più di 100 dimostranti. Come reazione a quella che è conosciuta come «domenica di sangue», nelle città e nelle campagne si scatena un’ondata di sommosse. Questa situazione di semi-anarchia porta alla crisi del potere costituito e alla nascita di nuovi organismi rivoluzionari, i soviet («consigli»), fra i quali quello di Pietroburgo assume il ruolo di guida del movimento rivoluzionario. I soviet, espressione diretta dei lavoratori, costituiranno la struttura fondamentale dello Stato sorto dopo la rivoluzione del 1917. Lo zar finge di cedere, ma incoraggia segretamente la costituzione di gruppi paramilitari di estrema destra – le «centurie nere» – che effettuano spedizioni punitive contro i leader rivoluzionari e arresti di massa. Ristabilito l’ordine, lo zar convoca la duma (il parlamento) voluta dai rivoluzionari. Con la costituzione di quest’organo, Nicola II si impegna a concedere importanti libertà politiche e a trasformare il regime in senso rappresentativo. In realtà, tali impegni non vengono rispettati. La rivoluzione, nel 1917, costringe Nicola II ad abdicare. Dopo la proclamazione della repubblica, la duma è poi sostituita da un’assemblea nazionale. La «polveriera» balcanica. Nella penisola balcanica la crisi dell’impero ottomano accende i sentimenti nazionalisti nei vari Stati. I due eventi più destabilizzanti sono, nel 1908, l’annessione della Bosnia-Erzegovina da parte dell’Austria, che inasprisce i rapporti tra l’impero asburgico e la Serbia, e la rivoluzione dei «Giovani Turchi». Quello dei «Giovani Turchi» è un movimento di intellettuali e ufficiali che intendono trasformare l’impero ottomano, autocratico e arretratissimo sul piano economico, in una monarchia costituzionale. I rivoluzionari riescono a ottenere una Costituzione dal sultano, ma, nonostante il tentativo di modernizzare lo Stato, non sanno assecondare le spinte indipendentiste dei popoli europei soggetti all’impero. Nel 1912, Serbia, Montenegro, Bulgaria e Grecia attaccano congiuntamente l’impero turco, sconfiggendolo in pochi mesi. Risultato della prima guerra balcanica è l’estromissione della Turchia dall’Europa, fatta eccezione per una piccola striscia della Tracia, conservata dallo Stato ottomano per il controllo degli stretti del Bosforo e dei Dardanelli. Al momento della spartizione dei territori conquistati, però, sorgono delle incomprensioni tra la Bulgaria e i suoi ex alleati. Pertanto, nel 1913, i bulgari attaccano la Serbia, a fianco della quale intervengono, in un secondo momento, Romania, Grecia e Turchia. Il risultato della seconda guerra balcanica è la sconfitta della Bulgaria, che deve restituire alla Turchia una parte della Tracia e cedere alla Romania alcuni territori sul mar Nero. Nasce, inoltre, il principato di Albania, voluto da Austria e Italia per impedire alla Serbia lo sbocco al mare, così da determinare una situazione che deteriora ancor più i rapporti tra il governo serbo e l’impero austro- ungarico. Giappone. Dopo aver sconfitto la Cina nel 1894, il Giappone cerca di impadronirsi dei territori che erano sotto l’influenza dell’impero cinese, entrando in contrasto con la Russia che ha le stesse mire espansionistiche. Alla proposta giapponese di una spartizione pacifica della Manciuria, lo zar rifiuta. Nel 1904 il Giappone, senza alcuna dichiarazione di guerra, attacca la flotta russa distruggendola a Tsushima (maggio 1905) e assedia con successo la base di Port Arthur. Con la mediazione del presidente americano Roosevelt, viene firmato il Trattato di Portsmouth con cui vengono concessi nuovi territori al Giappone, che così afferma la sua presenza a livello internazionale. Cina. Agli inizi del Novecento la dinastia imperiale Manciù è in piena crisi. Nel 1905 un medico di Canton, Sun Yat Sen, fonda un’organizzazione segreta, il Tung Meng Hui («Lega di alleanza giurata»), che ha come obiettivi: indipendenza nazionale, democrazia rappresentativa e benessere del popolo. Nel 1911, a seguito della decisione di affidare il controllo della rete ferroviaria a compagnie straniere, scoppiano varie sommosse nelle province che portano alla formazione di un’assemblea rivoluzionaria, la quale, nel 1912, nomina Sun Yat Sen presidente della Repubblica. Il governo di Pechino invia allora il generale Yuan Shi Kai a sedare la rivolta, ma questi si schiera con i repubblicani e viene nominato presidente in luogo di Sun Yat Sen. Nasce così la Repubblica cinese, che però ha vita travagliata e breve: nel 1913 il presidente Nel 1911 torna nuovamente al governo, con un programma orientato a sinistra, il cui punto cardine è la riforma dell’istruzione elementare ed il suffragio universale maschile che viene esteso a tutti coloro che abbiano prestato servizio militare o che comunque abbiano raggiunto il trentesimo anno di età. La politica estera. In politica estera Giolitti abbandona il «triplicismo» (l’alleanza con Germania e impero austro-ungarico) di Crispi e si avvicina alla Francia con cui firma un accordo, nel 1902, che pone fine alla «guerra doganale» e alla questione africana: l’Italia ottiene il riconoscimento dei suoi interessi in Libia e lascia mano libera alla Francia in Marocco. Quando la Francia si appresta a imporre il suo protettorato sul Marocco, Giolitti invia un contingente di 35.000 uomini in territorio libico. Tale azione militare si scontra con gli interessi dell’impero turco che esercita una sovranità quasi totale sulla Libia. La guerra italo-turca (1911) si estende anche in Grecia, dove le truppe italiane s’impossessano dell’isola di Rodi e dell’intero arcipelago del Dodecanneso. La Pace di Losanna (1912) stabilisce la sovranità italiana sulla Libia. 4) PARTITI E MOVIMENTI POLITICI IN ETÀ GIOLITTIANA I cattolici. Durante l’età giolittiana, in campo cattolico si sviluppa il movimento democratico-cristiano guidato da un sacerdote marchigiano, Romolo Murri, la cui azione è fortemente osteggiata da papa Pio X, che arriva a scomunicarlo. Questo, però, non impedisce lo sviluppo del movimento sindacale cattolico e la formazione di «leghe bianche». In Sicilia il movimento contadino cattolico si sviluppa sotto la guida di don Luigi Sturzo. Sul piano politico, le forze clerico-moderate stabiliscono alleanze elettorali, in funzione conservatrice, con i liberali: tale linea politica riceve piena consacrazione, nelle elezioni del 1913, con il Patto Gentiloni, in virtù del quale i cattolici accettano di votare per quei candidati liberali che si impegnino, a loro volta, ad opporsi a qualsiasi legislazione anticlericale. In questo modo, i cattolici aggirano il «non expedit» di Pio IX che proibiva loro la partecipazione alla vita politica. I socialisti. Il socialismo si sviluppa nei primi anni del Novecento. La corrente riformista interna al PSI è favorevole alla politica di Giolitti, in quanto i suoi leader — tra cui Turati — pensano che solo tramite la collaborazione con la borghesia progressista sia possibile ottenere delle riforme. Durante il congresso di Bologna del 1904, le correnti rivoluzionarie ottengono però la guida del partito e pochi mesi più tardi indicono il primo sciopero generale nazionale italiano, che mostra tutti i gravi limiti organizzativi del Partito socialista. Nel 1912, dopo l’espulsione dei riformisti, i rivoluzionari tornano a controllare il partito. Uno dei leader di spicco degli intransigenti diviene il giovane Benito Mussolini, eletto nello stesso anno direttore del quotidiano «L’Avanti». I nazionalisti. Il movimento dei nazionalisti, sorto intorno alla rivista «Il Regno», si estende grazie all’eloquenza di Gabriele D’Annunzio e nel 1910 diviene una forza politica a carattere antiliberale, antiparlamentare e militarista. Dopo la guerra di Libia, i nazionalisti guadagnano supporti più ampi dichiarando il loro disprezzo per la cosiddetta «Italietta» di Giolitti e la loro volontà di avere un’Italia potente e militarmente forte. 5) LA FINE DEL GIOLITTISMO Giolitti si dimostra sempre meno in grado di controllare la situazione politica e nel 1914 rassegna le dimissioni, indicando al re, come suo successore, Antonio Salandra. Nei progetti giolittiani c’è l’idea di un ritorno al potere, ma la situazione è molto cambiata: il contrasto tra destra e sinistra provoca un inasprimento delle tensioni sociali, che si sarebbero poi sedate solo alla vigilia della «grande guerra». Tra il 7 e il 14 giugno del 1914, il paese è scosso dalla cosiddetta «settimana rossa»: un’ondata insurrezionale contro il divieto governativo di svolgere manifestazioni antimilitariste. A capo del movimento di protesta si trovano: Pietro Nenni, Benito Mussolini ed Enrico Malatesta. L’uccisione di tre dimostranti provoca un’ondata di scioperi in tutto il Paese. 6. LA PRIMA GUERRA MONDIALE E LA RIVOLUZIONE RUSSA In questo capitolo analizzeremo le ragioni dello scoppio della Prima guerra mondiale, le fasi del conflitto e l’entrata in guerra dell’Italia e degli Stati Uniti; i trattati di pace e il nuovo assetto dell’Europa con la nascita della Società delle Nazioni; sul fronte orientale, la Rivoluzione russa e la nascita dell’URSS. TAVOLA CRONOLOGICA 1914 Assassinio di Francesco Ferdinando d’Austria a Sarajevo. L’Austria dichiara guerra alla Serbia; inizia la Prima guerra mondiale. La Germania dichiara guerra alla Russia e alla Francia. L’Inghilterra dichiara guerra alla Germania. L’Italia si dichiara neutrale. 1915 La Bulgaria si allea con Germania e Austria. Patto di Londra tra Italia e Francia, Inghilterra e Russia. L’Italia dichiara guerra all’Austria. 1917 Disfatta di Caporetto. Diaz sostituisce Cadorna al comando delle forze armate. Scoppio della Rivoluzione russa. Gli USA dichiarano guerra alla Germania. 1918 Battaglie del Piave e di Vittorio Veneto. Armistizio dell’Italia con l’Austria. Pace di Brest-Lito-vsk. Guerra civile in Russia. 1919 Nascita della Società delle Nazioni. Trattato di Versailles. Trattato di Saint- Germain-en-Laye. Trattato di Neuilly. 1920 Trattato di Trianon. Trattato di Sèvres. 1) LE CAUSE DEL PRIMO CONFLITTO MONDIALE Allo scoppio del conflitto e alla sua successiva estensione su scala mondiale concorrono una serie di tensioni preesistenti, nonché di errori tattici e di valutazione dei paesi interessati. Innanzitutto, la Germania ha imboccato la strada di una rapida industrializzazione, cosa che preoccupa molto l’Inghilterra, che teme soprattutto la perdita della sua supremazia navale. In secondo luogo, la Francia nutre propositi di rivincita (revanscismo) contro la Germania e l’ambizione di recuperare l’Alsazia e la Lorena. Infine, i rapporti tra impero austro-ungarico e Russia sono molto tesi per i continui scontri dei rispettivi interessi nei Balcani. Questi i motivi principali, cui si aggiungono i sentimenti nazionalisti che animano gli europei e che si acuiscono soprattutto nelle popolazioni che aspirano all’indipendenza. 2) GLI ATTORI E LE STRATEGIE L’evento che scatena la Prima guerra mondiale è l’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando, erede al trono d’Austria, il 28 giugno 1914 a Sarajevo. L’Austria reagisce inviando un duro ultimatum che la Serbia, forte del sostegno offertole dalla Russia, accetta solo in parte; il 28 luglio 1914 l’Austria dichiara guerra alla Serbia e immediatamente il governo russo ordina la mobilitazione generale delle forze armate. La Germania interpreta l’intervento russo come una minaccia e invia alla Russia un ultimatum. Al rifiuto dello zar, dichiara guerra (1° agosto). Nello stesso giorno, la Francia, legata alla Russia da un trattato, mobilita le sue forze armate, la Germania risponde con un ultimatum e con la dichiarazione di guerra (3 agosto). La tattica tedesca — «piano Schlieffen» — prevede di invadere la Francia passando attraverso il Belgio, nonostante la sua neutralità sia sancita da un trattato firmato anche dalla Germania, per poi dirigere il grosso delle truppe contro la Russia. Il 5 agosto, dopo che la Germania ha invaso il Belgio, la Gran Bretagna scende in campo contro gli imperi centrali. Guerra di posizione. Gli eserciti scesi in campo nella «grande guerra» non hanno precedenti per dimensioni, ma le strategie sono ancora legate alle esperienze del secolo precedente e puntano, in particolare, sulla tattica della guerra di movimento e non di posizione. Agli inizi dello scontro bellico, i tedeschi pensano di poter conquistare facilmente il territorio francese, ma, una volta giunti lungo il corso della Marna, vengono bloccati dalle truppe transalpine e comincia la cosiddetta guerra di logoramento ovvero la guerra di posizione. A quel punto, la vera protagonista del conflitto diviene la trincea: la vita monotona ma dura che vi si svolge è interrotta solo saltuariamente da grandi e sanguinose offensive, prive di reali risultati. 3) LA POSIZIONE DELL’ITALIA: DALLA NEUTRALITÀ ALL’INTERVENTO Allo scoppio del conflitto, l’Italia si dichiara neutrale (3 agosto 1914), forte del fatto che la Triplice Alleanza ha carattere difensivo, mentre in questo caso l’aggressore è l’Austria. Successivamente, le forze politiche e l’opinione pubblica si dividono tra interventisti e neutralisti. Interventisti. Nella schiera degli interventisti, appoggiati dalla monarchia, confluiscono: gli irredentisti, i social-riformisti, i radicali (che concepiscono la guerra come l’ultima campagna risorgimentale contro l’Austria per la liberazione di Trento e Trieste), i nazionalisti (che esaltano gli ideali imperialistici di «sacro egoismo» e di potenza) e Benito Mussolini che, espulso dal Psi, sul suo nuovo quotidiano, «Il Popolo d’Italia», predica le virtù rigeneratrici e rivoluzionarie della guerra. Neutralisti. I neutralisti, che rappresentano la maggioranza del paese, sono invece: i socialisti (di tradizione pacifista e antimilitarista), i cattolici (per le direttive pacifiste del pontefice Benedetto IV) e Giolitti (favorevole a trattative diplomatiche per recuperare i territori). Intanto il governo Salandra-Sonnino apre trattative con l’Intesa, con la quale stipula il Patto di Londra (26 aprile 1915) che impegna l’Italia ad entrare in guerra entro un mese a fianco di Inghilterra, Francia e Russia in cambio del Trentino, del Sud Tirolo, della Venezia- Giulia, della penisola istriana (esclusa la città di Fiume), di parte della Dalmazia e delle isole adriatiche. L’Italia entra in guerra. Per intimidire la Camera dei Deputati, chiamata a ratificare il Patto di Londra, gli interventisti inscenano violente manifestazioni (le «radiose giornate»), così l’Italia il 23 maggio 1915 dichiara guerra all’Austria. Il comando dell’esercito viene affidato al generale Luigi Cadorna, che si appresta ad affrontare le truppe austriache lungo il corso dell’Isonzo e sulle alture del Carso. Cadorna sferra quattro attacchi — le prime quattro battaglie dell’Isonzo — senza alcun successo. Nel giugno 1916 l’esercito austriaco passa al contrattacco, tentando di penetrare nella pianura veneta passando dal Trentino. L’offensiva, nota come Strafexpedition («spedizione punitiva»), coglie gli italiani di sorpresa: è un duro colpo psicologico, che costringe il presidente del Consiglio a rassegnare le dimissioni. Salandra viene sostituito da un ministero di coalizione nazionale presieduto da Paolo Boselli. Nel corso del 1916 vengono poi combattute altre cinque battaglie dell’Isonzo, tutte sanguinose ma senza alcun risultato. Il 1917 è l’anno più difficile della guerra; le truppe di Cadorna sono stanche e anche la popolazione civile dà segni di malcontento. Il comando tedesco decide di rafforzare l’esercito e attacca le truppe italiane sull’alto Isonzo, nei pressi del villaggio di Caporetto. La manovra ha successo e i soldati italiani sono costretti alla resa, lasciando in mano al nemico un’enorme porzione di territorio e 30.000 prigionieri. circa 1/8 dei suoi territori e a tutte le colonie e subire sanzioni sia economiche sia militari (abolizione del servizio di leva, rinuncia alla marina, smilitarizzazione della valle del Reno). Dalla dissoluzione dell’impero asburgico nascono nuovi Stati, tra cui la Cecoslovacchia e la Iugoslavia. I rapporti con la Russia rappresentano un problema delicato: il Trattato di Brest-Litovsk viene annullato, ma le potenze occidentali si rifiutano di riconoscere lo Stato socialista e riconoscono, invece, le nuove repubbliche nate nei territori perduti dalla Russia: Finlandia, Estonia, Lettonia e Lituania formano, così, una corona di Stati- cuscinetto ostili all’URSS. La Società delle Nazioni. Per assicurare il rispetto dei trattati viene istituita, il 28 aprile 1919, la Società delle Nazioni (con sede a Ginevra), che richiede ai suoi membri di rinunciare alla guerra come mezzo per risolvere i contrasti, ma il nuovo organismo nasce minato da profonde contraddizioni, prima fra tutte la mancata adesione degli USA. Infine, va rimarcato che a Versailles le aspirazioni dell’Italia non sono certo soddisfatte, anche perché Wilson si oppone alle rivendicazioni sulla Dalmazia e su Fiume. I delegati italiani, per protesta, abbandonano la conferenza. I nazionalisti in patria esigono i territori promessi: si parla di «vittoria mutilata». 6) LA RIVOLUZIONE RUSSA La «rivoluzione di febbraio». Le sconfitte e le gravissime perdite militari e civili subite dalla Russia, oltre ad un generalizzato peggioramento del tenore di vita della popolazione, sfociano nello sciopero generale di Pietrogrado del 10 marzo 1917, quando la rivolta degli operai e dei soldati provoca la caduta dello zar e la formazione di un governo provvisorio, presieduto dal principe L’vov, con a capo i liberal-moderati. Nel maggio successivo, durante il secondo governo provvisorio presieduto dal socialista rivoluzionario Kerenskij e comprendente tutti gli schieramenti partitici (cadetti, menscevichi e socialrivoluzionari) tranne i bolscevichi, fa il suo ritorno in patria, dopo un lungo esilio in Svizzera, anche Lenin al secolo Vladimir Il’ic ̆ Ul’janov. La distinzione tra menscevichi e bolscevichi risale al secondo congresso del Partito socialdemocratico russo (1903). Lenin chiede la cessazione delle ostilità allo scopo di salvare la rivoluzione e ritiene che, fin da quel momento, si debba premere affinché sia la produzione che la distribuzione delle ricchezze arrivino ad essere controllate dai soviet, i quali, eletti direttamente dagli operai e dai soldati, si sono intanto affiancati al governo centrale, diffondendosi in tutta la Russia. La «rivoluzione di ottobre». Nel luglio 1917, dopo una fallita insurrezione contro il governo provvisorio, Lenin è costretto a fuggire. Nel paese cresce il prestigio dei bolscevichi protagonisti a settembre della resistenza popolare contro il tentativo di colpo di Stato dell’esercito del generale Kornilov. Lenin torna in Russia e organizza un colpo di Stato che ha luogo il 7 novembre (25 ottobre secondo il calendario russo). Kerenskij è costretto a fuggire, mentre i soviet assumono tutti i poteri e formano un Consiglio dei commissari del popolo presieduto da Lenin: il primo atto del Consiglio è la Pace di Brest-Litovsk, cui seguono la nazionalizzazione delle terre, quella delle banche ed il controllo operaio delle fabbriche. La pesante sconfitta dei bolscevichi alle elezioni per l’assemblea costituente convince Lenin ad instaurare un regime dittatoriale. La guerra civile. Già alla fine del 1917 le forze antibolsceviche si sono organizzate in «armate bianche» e preparano una controrivoluzione, appoggiate dalle potenze dell’Intesa che considerano la Pace di Brest-Litovsk come un tradimento. Alle vittorie dei «bianchi», il governo rivoluzionario reagisce intensificando la repressione: nel 1918 i partiti di opposizione vengono messi fuori legge e si riorganizza l’esercito, che prende il nome di Armata Rossa. Nel 1920 le armate bianche vengono sconfitte. La NEP. Economicamente e socialmente estenuata, dalla guerra civile e da quella mondiale, la Russia di Lenin adotta, nel 1921, una Nuova politica economica (NEP) che comporta la ricostituzione della proprietà privata, nonché l’adozione del principio del rendimento commerciale nelle aziende nazionalizzate. La nascita dell’URSS. La prima Costituzione sovietica entra in vigore nel luglio 1918 e prevede la creazione di una Repubblica Sovietica Federativa Socialista Russa (RSFSR), anche se l’Armata Rossa sarebbe riuscita solo nel 1921 a riprendere il controllo di tutto il territorio russo. Il 30 dicembre 1922 è infine proclamata l’Unione delle Repubbliche Socialiste Sovietiche (URSS). La nuova Costituzione del 1924 comporta la dittatura del Partito comunista (ex Partito bolscevico), riconosciuto come unico partito legale, oramai in grado di esercitare un influsso predominante su tutti gli altri partiti comunisti europei. Nel 1919, infatti, viene creata la Terza Internazionale (o Comintern), con sede a Mosca, che raggruppa tutti i partiti comunisti sotto la leadership di quello russo, il cui scopo è quello di affrettare la rivoluzione mondiale. 7. IL PRIMO DOPOGUERRA Il dopoguerra è caratterizzato da una grande crisi economica che sconvolge tutto l’Occidente. Non desta minor preoccupazione la svolta repressiva che di lì a pochi anni porterà all’affermazione del fascismo e del nazismo. In Germania Hitler prende il potere, in URSS a Lenin succede, Stalin, in Spagna un altro dittatore, Franco si impone con un colpo di Stato. Negli Stati Uniti si afferma la politica proibizionista che incrementa il gangsterismo. In Cina c’è l’ascesa al potere di Mao Tse-tung. TAVOLA CRONOLOGICA 1919 Repressione del moto spartachista in Germania. Nascita della Repubblica di Weimar. Fonda-zione del Comintern. Proibizionismo negli USA. 1920 Hitler fonda il partito nazionalsocialista. 1922 Nascita dell’URSS. Stalin diventa segretario del PCUS. 1923 Putsch di Monaco. 1929 Crollo della Borsa di New York. 1930 Successo elettorale dei nazionalsocialisti in Germania. Costruzione della «Linea Maginot» in Francia. 1931 Nascita del Commonwealth. 1933 Hitler è nominato cancelliere in Germania. Nascita del Terzo Reich. Il presidente americano Roosevelt lancia il New Deal. 1934 «Notte dei lunghi coltelli» in Germania (30 giugno). 1935 Varo delle leggi razziali di Norimberga. 1936 Guerra civile in Spagna. Asse Roma-Berlino. 1938 Persecuzione antiebraica in Germania: «Notte dei cristalli» (9 novembre). 1939 Dittatura di Franco in Spagna. Patto d’acciaio tra Germania e Italia. 1) ECONOMIA E SOCIETÀ ALL’INDOMANI DEL PRIMO CONFLITTO MONDIALE All’indomani della Prima guerra mondiale una forte crisi economica sconvolge tutta l’Europa industrializzata provocando uno stato di conflittualità sociale. Le tendenze rivoluzionarie si manifestano, in particolare, nel cosiddetto biennio rosso (1918-1920), quando in tutta Europa il movimento operaio avanza politicamente, raccogliendo vasti consensi grazie alle riforme ottenute (riduzione della giornata lavorativa a otto ore, miglioramento dei livelli salariali). Contemporaneamente, dal punto di vista economico, tutti gli Stati belligeranti attraversano tra il 1920 e il 1921 una violenta crisi, che porta a una diminuzione della produzione industriale e a un aumento di inflazione e disoccupazione. A partire dal 1924, la crisi sembra superata e, grazie all’aumento della produzione industriale, molti credono di essere alla vigilia di una nuova età dell’oro. Nuovi settori industriali (aeronautico, automobilistico) si sviluppano anche grazie a una nuova organizzazione del lavoro di fabbrica nota come taylorismo. 2) LA GRANDE CRISI DEL 1929 Il 24 ottobre 1929 — il cosiddetto giovedì nero — la Borsa di New York crolla improvvisamente e molti investitori perdono enormi fortune. La crisi coinvolge tutta l’Europa dipendente economicamente dagli Stati Uniti. Le origini della crisi economica risalgono alla Prima guerra mondiale: per fronteggiare le spese belliche, infatti, i paesi europei avevano stampato grossi quantitativi di banconote, superiori all’oro effettivamente presente nelle casse dei singoli Stati (inflazione). Gli USA accordano ingenti prestiti ai paesi europei finché la crisi in patria non li costringe a sospendere i crediti. I paesi debitori, non essendo in possesso di fondi sufficienti per far fronte all’emergenza, vengono attirati nella depressione economica. La crisi investe i settori agricolo, industriale, bancario e borsistico, con conseguente crollo della produzione, licenziamenti e disoccupazione. 3) LE DEMOCRAZIE NEL PRIMO DOPOGUERRA Stati Uniti. I «ruggenti» anni ’20 sono caratterizzati dallo sviluppo industriale e dei consumi, dall’isolazionismo in politica estera, dal proibizionismo che paradossalmente fa prosperare il gangsterismo e da un’ondata di conservatorismo, che porta a leggi limitative dell’immigrazione e all’inasprimento delle pratiche discriminatorie nei confronti della popolazione di colore. Il crollo di Wall Street nel 1929 porta alla chiusura di molte industrie e le misure protezionistiche introdotte dal governo provocano una contrazione del commercio internazionale. Le elezioni presidenziali del 1932 vedono la vittoria del democratico Franklin Delano Roosevelt (1933-1945). Il presidente americano avvia la ricostruzione dell’economia promuovendo con il New Deal («nuovo patto» o «nuovo corso») un vasto intervento statale in campo economico. Francia. La Francia è assillata dalla paura di una riscossa tedesca, quindi il problema della sicurezza è per molti anni quello dominante. In politica estera, lo Stato stringe nuovi accordi con popoli timorosi di una rinascita della Germania o dell’Ungheria, come Belgio, Polonia, Cecoslovacchia, Iugoslavia e Romania. Nel 1928 i rappresentanti di 15 Stati si riuniscono a Parigi su iniziativa del ministro degli Esteri francese Aristide Briand e del segretario di Stato americano Frank Kellogg per firmare un patto con cui si impegnano a non ricorrere alla guerra come mezzo per risolvere le controversie (Patto Briand-Kellogg). Il varo del Piano Young (1929), che riduce l’entità delle riparazioni dovute dalla Germania e ne dilaziona il pagamento, costituisce l’apice della distensione, ma la crisi economica del ’29 cambia la situazione. L’avvento al potere di Hitler in Germania e le sue prime iniziative in politica estera spingono la Francia a stipulare un’alleanza militare con l’URSS nel 1935 e a costruire una serie di fortificazioni difensive, ritenute inespugnabili, lungo il confine franco- tedesco: la cosiddetta linea Maginot, dal nome di colui che l’ha ideata, il ministro della guerra Andrea Maginot (1877-1932). Quando la Germania chiede una moratoria sul pagamento dei debiti di guerra, Francia e Belgio occupano il bacino minerario della Ruhr (1923), la regione tedesca più sviluppata economicamente. Vi sono tentativi di insurrezione sia da parte dell’estrema sinistra ad Amburgo che da parte dell’estrema destra a Monaco, dove Hitler capeggia un putsch (colpo di Stato) il 23 novembre 1923, ma il governo riesce a sventarli entrambi e ad avviare una politica di stabilizzazione monetaria e di riconciliazione con la Francia. L’accordo con i vincitori viene infine trovato grazie alla mediazione del finanziere statunitense Charles G. Dawes, il quale presenta un piano finanziario, Piano Dawes, che, accettato sia dai francesi che dai tedeschi, dovrebbe consentire alla Germania di risollevarsi economicamente. Il successivo Patto di Locarno (1925) favorisce la distensione franco-tedesca, riconoscendo il mantenimento delle frontiere e la smilitarizzazione della Renania. La Germania, rinunciando ad ogni tentativo di riscossa, entra nel 1926 a far parte della Società delle Nazioni. 8) IL TRIONFO DEL NAZISMO IN GERMANIA Dopo l’insurrezione di Monaco, Hitler è arrestato e condannato a cinque anni di reclusione. Ne sconta, però, solo uno, durante il quale scrive il libro Mein Kampf (La mia battaglia), in cui espone il suo credo nazionalista e razzista. Egli crede nell’esistenza di una razza superiore e conquistatrice, quella ariana, che identifica nei tedeschi; ebrei e comunisti, a loro volta, inquinano la purezza degli ariani e pertanto devono essere annientati. Il passo successivo sarebbe stato il recupero dei territori perduti (colonie) e l’espansione verso Est a danno dei popoli slavi, fino alla realizzazione completa del pangermanesimo. L’ascesa di Hitler. Hitler aveva già fondato il Partito nazionalsocialista dei lavoratori tedeschi (1920), ovvero il Partito nazista, che comincia a ottenere consensi solo negli anni ’30, a seguito della grande crisi. È allora che la maggioranza dei tedeschi perde ogni fiducia nella repubblica e nei partiti democratici e presta ascolto alla propaganda del nazismo, che promette un ritorno della Germania alla passata grandezza. Nelle elezioni che si tengono tra il 1930 e il 1932, il Partito nazista diviene il primo partito tedesco e il maresciallo Hindenburg, presidente della Repubblica, convoca Hitler per formare il governo (30 gennaio 1933). La trasformazione della repubblica tedesca in dittatura avviene nel giro di pochi mesi. Il pretesto è l’incendio del Reichstag (il parlamento tedesco), per il quale viene accusato e arrestato un comunista olandese. Hitler mira all’eliminazione del parlamento e costringe il Reichstag, appena eletto, ad approvare una legge che conferisce pieni poteri (compreso quello di modificare la Costituzione) al governo. Il governo, poco dopo, vara una legge che proclama il Partito nazionalsocialista unico partito tedesco, tanto che, nelle successive elezioni, esso ottiene il 92% dei voti. Restano solo due ostacoli: il primo è costituito dall’ala estrema del partito, rappresentata dalle SA (reparti d’assalto o camicie brune) di Ernst Röhm che vogliono una seconda rivoluzione; il secondo è costituito dalla vecchia destra conservatrice impersonata da Hindenburg e dall’esercito. Hitler, intanto, ha provveduto a creare una sua milizia personale, le SS (reparti di difesa), che nella notte fra il 30 giugno e il 1° luglio 1934 — la cosiddetta «notte dei lunghi coltelli» — assassinano tutto lo stato maggiore delle SA compreso Röhm, la cui testa era richiesta anche dall’esercito che, alla morte di Hindenburg, nomina Hitler capo dello Stato. Nasce così il Terzo Reich, cioè il terzo impero dopo il Sacro Romano Impero e la Germania di Bismarck, a capo del quale c’è il führer (duce), fonte suprema del diritto e guida del popolo. Al partito nazista e agli organismi ad esso collegati spettano il coinvolgimento e l’ammaestramento delle masse. In quest’attività si distingue Joseph Paul Goebbels, che assume la guida del settore propaganda: stampa tedesca, produzioni cinematografiche e lavori teatrali, sono asserviti ai voleri del regime attraverso la censura. La persecuzione degli ebrei. Nel 1933, vengono promulgate alcune leggi in nome della superiorità della razza ariana. Una di esse prevede la sterilizzazione eugenetica forzata per chi è affetto da malattie ereditarie, per i delinquenti e per i condannati per crimini a sfondo sessuale. Il 15 settembre del 1933 vengono varate le leggi di Norimberga, che negano agli ebrei la cittadinanza tedesca e li escludono dalla vita politica. Queste leggi provocano una massiccia fuga dal paese di migliaia di intellettuali e di artisti. L’antisemitismo contagia tutti gli strati della società tedesca, diffondendosi particolarmente nella piccola borghesia. Il ceto medio tedesco aveva sofferto nel dopoguerra, e continuava a soffrire, enormi sacrifici e l’inflazione aveva vanificato in un lampo i piccoli risparmi accumulati in anni di lavoro. L’antisemitismo, col suo bagaglio di pregiudizi pseudoculturali, permette uno sfogo ai risentimenti accumulati: l’ebreo è finalmente il capro espiatorio sul quale poter sfogare il proprio astio; il «giudeo» è colui contro il quale ci si può sentire tutti tedeschi indipendentemente dalle proprie convinzioni politiche. Convinzioni di questo tipo portano moltissimi tedeschi ad aderire al nazismo. La politica estera hitleriana. Hitler si pone, in campo estero, tre obiettivi fondamentali: — l’annullamento di tutte le clausole del Trattato di Versailles che ha posto la Germania in una condizione di inferiorità rispetto alle altre potenze europee; — l’accorpamento di tutti i tedeschi in un unico Stato, annettendo alla Germania l’Austria e i territori di altri paesi (come i Sudeti in Cecoslovacchia) abitati da minoranze tedesche; — la creazione, in Europa orientale, del cosiddetto «spazio vitale» (Lebensraum) da cui la Germania avesse potuto ricavare materie prime e prodotti agricoli. Dopo il riarmo della nazione tedesca, nel marzo 1938, l’Austria viene occupata militarmente e, nel giugno successivo, un plebiscito ne sancisce l’annessione (Anschluss) alla Germania. Di lì a poco, Hitler risolve anche la questione dei Sudeti, che, in seguito agli esiti della Conferenza di Monaco (29-30 settembre 1938), che pure era stata convocata dai principali capi di Stato europei con l’obiettivo di arginare la spinta espansionistica della Germania nazista, possono essere tranquillamente occupati dalle truppe tedesche tra il 1° e il 10 ottobre. Alcuni mesi dopo, il 15 marzo 1939, l’esercito nazista entra a Praga e occupa la Cecoslovacchia. Al tempo stesso, Hitler ha provveduto a rafforzare i legami con gli altri regimi totalitari. Il 25 novembre 1936, infatti, è stato sottoscritto, con il Giappone, il Patto antiComintern, che, formalmente rivolto contro la Terza Internazionale, impegna i contraenti a concordare misure comuni per fronteggiare la minaccia comunista. Nel novembre 1937, aderisce al Patto anche l’Italia, con cui la Germania nazista ha già rafforzato i legami creando l’Asse Roma-Berlino (1936), seguito, dal Patto d’acciaio (1939), mediante il quale le due nazioni si impegnano a fornirsi totale e reciproco appoggio in caso di coinvolgimento in una guerra. (Vedi in Didattica H.Arendt “Le origini del totalitarismo”) 9) MEDIO ORIENTE, CINA E GIAPPONE NEL PRIMO DOPOGUERRA Lo scacchiere mediorientale. Durante la guerra, le potenze dell’Intesa avevano tentato di strumentalizzare il nazionalismo dei popoli arabi soggetti all’impero ottomano. Tra il 1915 e il 1916 la Gran Bretagna si accorda con lo sceicco della Mecca Hussein promettendo, in cambio di una collaborazione militare, l’appoggio inglese alla creazione di un grande regno arabo indipendente. Hussein si impegna, quindi, in una guerra santa contro i turchi con l’aiuto del consigliere inglese T.E. Lawrence (il leggendario Lawrence d’Arabia), ma alla fine del conflitto il sogno del regno arabo è accantonato e, per placare gli animi, la Gran Bretagna crea due nuovi Stati nella sua zona d’influenza: l’Iraq e la Transgiordania. Nel 1917 il governo inglese aveva riconosciuto, con una dichiarazione ufficiale del ministro degli Esteri Balfour, il diritto del movimento sionista di creare una sede nazionale per il popolo ebraico in Palestina. Benché la dichiarazione di Balfour salvaguardi i diritti civili e religiosi delle comunità non ebraiche, non fa alcuna menzione dei diritti politici, cosicché nel 1920-21 cominciano i primi scontri violenti tra coloni ebrei e residenti arabi. Il sionismo, comunque, determina un notevole flusso immigratorio di ebrei in Palestina, tanto che, dopo che essa viene assegnata in mandato all’Inghilterra (1923), si parla a lungo, ma senza risultati concreti, della eventuale costituzione di uno Stato ebraico. L’ascesa di Mao Tse-tung. Alla fine del primo conflitto mondiale, il governo centrale cinese non è in grado di controllare l’immenso territorio posto sotto il suo dominio e si crea una situazione di semianarchia che risveglia l’agitazione nazionalista guidata dal Kuomintang con a capo Sun Yat Sen che, nel 1921, fonda un proprio governo a Canton con l’appoggio dei comunisti. Intanto le idee del Partito comunista cinese, guidato da Mao Tse-tung, si diffondono tra i contadini, tanto che nel novembre del 1931, nella regione del Kiang-si, viene proclamata la Repubblica cinese degli operai e dei contadini, di stampo sovietico, e Mao ne diventa il presidente. Il 1° ottobre 1949, infine, dopo la lunga guerra civile tra comunisti e nazionalisti, Mao proclama la Repubblica popolare cinese, con un regime a partito unico e capitale Pechino. 8. L’ITALIA NEL VENTENNIO 1919-1939 Nella seconda metà degli anni ’20 l’Italia è soggetta ad un regime totalitario. La dittatura di Mussolini mostra immediatamente il suo volto violento con il delitto di Giacomo Matteotti e la soppressione di ogni libertà (leggi fascistissime). Il duce firma poi con la Chiesa i Patti lateranensi, per sancire i rapporti tra regime e Santa sede. Il fascismo attua una politica interna basata sul protezionismo, sul corporativismo e l’intervento statale a sostegno dell’industria. In politica estera, Mussolini manifesta le mire espansionistiche fasciste con l’invasione dell’Etiopia. Il regime poi si allontana dalle potenze democratiche per schierarsi con la Germania di Hitler (Asse Roma- Brerlino, Patto d’Acciaio). TAVOLA CRONOLOGICA 1919 Nascita del partito popolare italiano. Costituzione dei Fasci di combattimento. D’Annunzio occupa Fiume. 1920 Trattato di Rapallo e fine dell’occupazione di Fiume. 1921 Nascita del Partito comunista italiano. Nascita del Partito nazionale fascista. 1922 Marcia su Roma. Governo Mussolini. Istituzione del Gran consiglio del fascismo. 1924 Delitto Matteotti e secessione dell’Aventino. 1925 Inizio del regime fascista. 1926 Leggi fascistissime. Arresto di Gramsci. 1929 Patti lateranensi. Nascita a Parigi del movimento antifascista «Giustizia e libertà». 1935 Invasione dell’Etiopia. Asse Roma-Berlino. 1938 Legislazione antisemita in Italia. 1939 Annessione dell’Albania all’Italia. Patto d’acciaio tra Italia e Germania. l’Opera nazionale Balilla, i Figli della Lupa) e controlla nella scuola anche mediante la riforma scolastica Gentile (1923), che cerca di accentuare la severità degli studi privilegiando le discipline umanistiche e rafforzando il controllo sugli insegnanti, cui viene imposto il giuramento di fedeltà al regime. Nel 1931, entra in vigore anche un nuovo codice penale, il Codice Rocco, col quale viene ripristinata la pena di morte anche per i reati non politici. La politica interna. Il fascismo crede di individuare nel corporativismo la terza via tra capitalismo e socialismo. Il corporativismo fascista, i cui principi generali sono enunciati, nel 1927, nella Carta del lavoro, vengono poi istituzionalizzati con la creazione delle corporazioni (1934), raggruppanti imprenditori e lavoratori nelle diverse categorie, e con la fondazione della Camera dei fasci e delle corporazioni (1939), che sostituisce la Camera dei deputati. Nel 1925, intanto, lo Stato è già passato a una linea protezionistica, puntando sulla deflazione, sulla stabilizzazione della lira e su un maggiore coinvolgimento del settore pubblico in campo economico (Stato imprenditore). L’intervento statale maggiore si ha in campo industriale e creditizio con la creazione dell’IMI (Istituto mobiliare italiano) e dell’IRI (Istituto per la ricostruzione industriale): il primo ha il compito di sostituire le banche nel sostegno all’industria; il secondo, valendosi di fondi statali, rileva le partecipazioni industriali dalle banche in crisi, acquisendo il controllo di alcune importanti imprese. La politica estera. Le aspirazioni coloniali dei nazionalisti portano, senza alcuna dichiarazione di guerra, all’invasione dell’Etiopia (1935), uno Stato indipendente, appartenente alla Società delle Nazioni. Francia e Gran Bretagna condannano l’invasione e adottano sanzioni nei confronti dell’Italia consistenti nel divieto di esportarvi merci a uso bellico. Dopo sette mesi in cui gli etiopici, sotto la guida del negus Hailé Selassié, resistono agli attacchi, il 5 maggio 1936 le truppe italiane comandate dal maresciallo Badoglio entrano in Addis Abeba. La conquista dell’Etiopia non produce risvolti economici positivi per il nostro paese, ma si traduce in un enorme successo politico di Mussolini. L’avvicinamento alla Germania e il varo della legislazione antisemita (1938) suscitano però dissensi tra la popolazione, diffidente anche a causa della politica dell’autarchia, orientata all’autosufficienza dello Stato dall’estero mediante la riduzione di esportazioni e importazioni. 9. LA SECONDA GUERRA MONDIALE Lo scontro che divampa tra il 1939 e il 1945 è stato definito «totale» per il coinvolgimento di tutte le nazioni ed anche della popolazione civile. Uno scontro anche ideologico, tra «democrazie» occidentali e totalitarismi fascisti, che mobilita migliaia di partigiani nei movimenti di resistenza. L’ Europa assiste impotente allo sterminio degli ebrei da parte dei nazisti. TAVOLA CRONOLOGICA 1939 Allo scoppio della Seconda guerra mondiale, Mussolini dichiara la non belligeranza dell’Italia. Le truppe tedesche invadono la Polonia. Patto di non aggressione Molotov-Ribbentrop. Francia e Inghilterra dichiarano guerra alla Germania. L’URSS invade la Polonia orientale. 1940 L’Italia entra in guerra a fianco della Germania e invade la Grecia. L’Italia stipula un patto con Giappone e Germania. Fine della II Repubblica in Francia e nascita del governo collaborazionista di Vichy. 1941 L’Italia e la Germania dichiarano guerra agli USA. I tedeschi invadono l’URSS. Il Giappone dichiara guerra agli USA ed attacca Pearl Harbor. Gli USA entrano in guerra. 1943 Sbarco anglo-americano in Sicilia. Caduta di Mussolini e nascita del governo Badoglio. Armistizio dell’Italia con gli Alleati. Formazione del Comitato di liberazione nazionale (CLN). Proclamazione della Repubblica di Salò. I tedeschi si arrendono a Stalingrado. 1944 Liberazione di Roma. Sbarco alleato in Normandia. Liberazione di Parigi. 1945 Fucilazione di Mussolini. Conferenza di Jalta. L’Armata Rossa occupa Berlino. Suicidio di Hitler e resa della Germania. Gli USA sganciano bombe atomiche su Hiroshima e Nagasaki. 1) LA GERMANIA NAZISTA ALL’ASSALTO DELL’EUROPA Causa principale della Seconda guerra mondiale sono le mire egemoniche della Germania di Hitler, decisa a riconquistare il predominio su Francia e Gran Bretagna che, d’altronde, non sono disposte a rinunciare ai privilegi ottenuti con la pace di Parigi. Anche il dissidio tra Giappone e Stati Uniti per la supremazia nel Pacifico e gli attriti dell’Italia con le democrazie europee giocano un ruolo importante. 2) VICENDE E PROTAGONISTI DEL SECONDO CONFLITTO MONDIALE Il fronte orientale. La Polonia è sottomessa con una «guerra lampo», grazie alle operazioni congiunte di aviazione e forze corazzate. Nel frattempo, i russi, in base al Patto Molotov-Ribbentrop, occupano la zona est del paese e, il 30 novembre, l’URSS attacca la Finlandia, mentre la Germania dichiara guerra alla Danimarca e alla Norvegia: nella primavera del 1940, Hitler controlla gran parte dell’Europa centro- settentrionale, mentre l’Unione Sovietica occupa le repubbliche baltiche (Estonia, Lettonia e Lituania). Il fronte occidentale. Il 10 maggio 1940 Hitler attacca la Francia e, con una nuova «guerra lampo», i tedeschi aggirano la linea fortificata Maginot, occupando Olanda e Lussemburgo (15 maggio) e poi il Belgio (28 maggio). Contemporaneamente i tedeschi attaccano lo schieramento franco-britannico sulle Ardenne sconfiggendo i francesi a Sedan. L’esercito franco-inglese, preso in una morsa, si imbarca a Dunkerque e ripara in Inghilterra. Il 14 giugno 1940 i tedeschi entrano a Parigi. L’armistizio sottoscritto dal generale francese Pètain presenta condizioni gravose: la Francia settentrionale, con Parigi, è sotto il potere militare tedesco, quella meridionale, con capitale a Vichy, è guidata dal collaborazionista Pètain. Il generale Charles De Gaulle lancia, da Londra, un appello per incitare i francesi a continuare a combattere a fianco degli alleati. Solo la Gran Bretagna, guidata da Winston Churchill, decide di resistere ad oltranza alla Germania che, il 1° settembre, inizia massicci bombardamenti sulle città britanniche. I tedeschi subiscono la prima sconfitta ad opera della Royal Air Force (RAF), che si serve del radar, da poco inventato. L’intervento italiano. Il 10 giugno 1940, credendo che la guerra stia per finire, Mussolini si schiera a fianco della Germania nazista, ma l’Italia non è preparata ad affrontare un conflitto, sicché l’offensiva delle Alpi, sferrata contro i francesi si rivela un fallimento e l’armistizio chiesto dalla Francia apporta solo lievi rettifiche ai confini. Esito analogo ha l’attacco sferrato dalle truppe italiane in Libia contro l’Egitto. Nel dicembre 1940, gli inglesi conquistano parte del territorio libico, Mussolini è costretto a chiedere aiuto alle truppe tedesche del generale Rommel, che riescono a scacciare gli inglesi. Il 28 ottobre 1940, l’esercito italiano attacca la Grecia ma viene respinto sulle posizioni di partenza. Nel 1941, l’Italia perde poi anche i suoi possedimenti in Africa orientale. Il Patto tripartito. Il 27 settembre 1940, Germania, Italia e Giappone sottoscrivono a Berlino il Patto tripartito, con cui fissano le rispettive sfere d’influenza in Europa e in Asia. Inoltre, si garantiscono reciproca assistenza economica e militare nel caso di un attacco degli USA, finora neutrale. La campagna russa. Non avendo più rivali in Europa, Hitler decide avviare l’«operazione Barbarossa», cioè l’invasione dell’URSS, congiuntamente all’alleato italiano, alla Finlandia e ai paesi europei satelliti della Germania. Nonostante i successi iniziali, che causano lo sterminio di milioni di prigionieri ed ebrei caduti nelle mani dei tedeschi, l’avanzata nazista si arresta alle porte di Stalingrado sul Volga. L’intervento americano. Durante l’incontro tra il presidente americano Roosevelt e il ministro inglese Churchill (14 agosto 1941) sulla corazzata Prince of Wales, nell’ Atlantico, viene stilata la Carta atlantica, un documento in otto punti che indica l’orientamento degli USA a schierarsi a fianco dell’Inghilterra, in difesa della libertà contro il nazifascismo. Ad accelerare l’entrata degli USA in guerra è l’attacco alla flotta americana ancorata a Pearl Harbor, nelle Hawaii, da parte del Giappone. Subito dopo, anche Germania e Italia dichiarano guerra agli USA. La svolta del 1942-43. L’esercito britannico sconfigge a El Alamein, in Egitto, il contingente italo-tedesco che, chiuso in una morsa dallo sbarco degli alleati, è costretto alla resa. I capi di Stato dei paesi alleati (Gran Bretagna, Stati Uniti, Unione Sovietica) si incontrano a Washington (gennaio 1942) e sottoscrivono il Patto delle Nazioni Unite, con cui si impegnano a rispettare la Carta atlantica e a combattere il nazifascismo. Si apre la strada per uno sbarco degli anglo-americani in Italia (giugno 1943). Da Pantelleria, gli alleati passano alla conquista della Sicilia, salutati dalla popolazione come liberatori. 3) LO STERMINIO DEGLI EBREI La campagna antisemita si estende in tutta Europa, dove peggiorano le condizioni di vita degli ebrei, costretti a portare una stella gialla di riconoscimento e privati di ogni segno di dignità umana. Con l’occupazione tedesca della Russia inizia il massacro ebraico e le deportazioni nei campi di concentramento dove si compie l’olocausto. Ad Auschwitz migliaia di ebrei muoiono all’interno delle camere a gas o per le torture subite, in esperimenti definiti «scientifici» dalle SS, altri sono costretti ai lavori forzati. Muoiono nei campi di concentramento anche zingari, detenuti politici, omosessuali e malati di mente. La «soluzione finale» è applicata anche nella Repubblica Sociale Italiana: la deportazione più massiccia avviene a Roma il 16 ottobre 1943, quando vengono rastrellate 1259 persone, deportate ad Auschwitz. 4) LA CADUTA DEL FASCISMO E LA RESISTENZA IN ITALIA La destituzione di Mussolini è determinata da una congiura tra moderati, conservatori e corona. Il 24 luglio 1943, il duce è costretto a convocare il Gran consiglio del fascismo, da cui viene messo in minoranza. Appena il giorno dopo è arrestato su ordine del re, Vittorio Emanuele III, che riprende il comando supremo delle forze armate e nomina capo del Governo il maresciallo Pietro Badoglio. Il Partito fascista, con tutte le sue organizzazioni collaterali, scompare nel nulla prima ancora che Badoglio lo sciolga d’autorità: un crollo inglorioso, spiegabile con le debolezze interne del sistema e con il discredito che le sconfitte hanno portato. L’armistizio. L’8 settembre 1943 viene annunciato l’armistizio tra Italia e alleati. Il re e Badoglio fuggono a Brindisi sotto la protezione degli angloamericani, abbandonando la parte centrosettentrionale dell’Italia sotto l’occupazione germanica; le truppe italiane, prive di direttive, non riescono a opporsi ai tedeschi: 600.000 militari sono fatti prigionieri e deportati nella patria del nazismo. una certa quantità di forniture industriali americane e sottoporsi al controllo sull’impiego dei fondi e sui piani adottati dai singoli paesi. Il Piano rafforza l’egemonia politico-economica degli USA. 4) LA COLLABORAZIONE INTERNAZIONALE TRA LA FINE DEGLI ANNI ’40 E GLI ANNI ’50 Nel venticinquennio successivo alla guerra, gli Stati più avanzati dell’area capitalistica (Europa occidentale, America del nord, Giappone) cominciano a mettere in atto una serie di politiche economiche che portano al boom degli anni ’50. In questo periodo si avviano strategie per la globalizzazione dell’economia, grazie a una serie di accordi commerciali e finanziari internazionali che incentivano gli scambi. Nell’ottobre 1947 viene stipulato il GATT («Accordo generale sulle tariffe doganali e il commercio»), con cui i paesi firmatari si impegnano a mantenere le tariffe doganali basse per liberalizzare i commerci. I contenuti dell’accordo hanno portato, nel 1995, alla trasformazione del GATT in WTO («Organizzazione mondiale del commercio»). Gli accordi di Bretton Woods. Fin dal 1944, tutti i paesi delle Nazioni Unite hanno provveduto a stabilire il futuro ordine monetario internazionale postbellico con gli Accordi di Bretton Woods, che portano alla costituzione del Fondo monetario internazionale e della Banca internazionale per la ricostruzione e lo sviluppo. Seguono l’unione doganale del Benelux (Belgio, Olanda, Lussemburgo, 1948), la nascita della CECA (Comunità europea del carbone dell’acciaio, 1951), della CEE (Comunità economica europea, 1957) e dell’EURATOM (Comunità europea per l’energia atomica). 5) LA NASCITA DELLE ORGANIZZAZIONI INTERNAZIONALI MODERNE Organizzazione delle Nazioni Unite. Il 26 giugno 1945 nasce l’ONU, l’Organizzazione delle Nazioni Unite, cui aderiscono 50 paesi che si definiscono Stati pacifici. Nel dicembre 1955 entra a farne parte anche l’Italia. Scopo dell’Organizzazione, che ha sede a New York, è la garanzia di relazioni pacifiche tra i vari Stati del mondo, tramite la creazione di istituzioni sovranazionali atte a regolamentare i rapporti economici e politici mondiali. Organi principali della struttura dell’ONU sono: l’Assemblea generale, il Consiglio di sicurezza, il Segretario generale. Tra le organizzazioni che dipendono dalle Nazioni Unite vi sono la FAO («Organizzazione per l’alimentazione e l’agricoltura»), istituita nel 1945 con lo scopo di risolvere i problemi alimentari mondiali stimolando la produzione agricola; l’UNESCO («Organizzazione educativa, scientifica e culturale delle Nazioni Unite»), fondata nel 1945 con l’obiettivo di favorire scambi culturali, scientifici ed educativi tra i popoli; la WHO («Organizzazione mondiale della sanità»), costituita nel 1948 allo scopo di promuovere la cooperazione internazionale per la tutela della salute; l’UNICEF («Fondo internazionale delle Nazioni Unite per l’infanzia»), sorto nel 1946 per promuovere progetti e interventi utili all’infanzia. Comunità economica europea. Il 25 marzo 1957 viene firmato a Roma il trattato che dà vita alla CEE (Comunità Economica Europea). I 6 Stati fondatori — Italia, Germania, Francia, Belgio, Olanda e Lussemburgo (cui si uniscono, in seguito, Gran Bretagna, Irlanda, Danimarca, Grecia, Spagna, Portogallo, Austria, Svezia e Finlandia) — danno vita a un’organizzazione politica sovranazionale il cui obiettivo è quello di ricostruire la potenza europea in modo da formare un terzo blocco da contrapporre alle due superpotenze USA e URSS. COMECON. Nato nel 1949 come risposta al Piano Marshall, il COMECON («Consiglio di mutua assistenza economica») ha la funzione di stimolare e aiutare le economie dei paesi del blocco comunista per incentivare l’industrializzazione dell’Europa dell’Est. Travolto anch’esso dal crollo dei regimi comunisti, il COMECON viene sciolto nel 1991. NATO. Il 4 aprile 1949 nasce la NATO (North atlantic treaty organization, «Organizzazione del Patto dell’Atlantico settentrionale»), un’organizzazione militare che sancisce l’alleanza a scopo difensivo tra i paesi occidentali. Attualmente ne fanno parte: — dal 4 aprile 1949: Belgio, Canada, Danimarca, Francia (ritiratasi unilateralmente dal Comando Militare Integrato nel 1966, per poi essere riammessa nell’Alleanza dopo l’annuncio ufficiale di rientro nel 2009), Islanda (unico membro a non essere dotato di un proprio esercito, tanto da aver aderito all’Alleanza a condizione di non doverne creare uno), Italia, Lussemburgo, Paesi Bassi, Norvegia, Portogallo, Regno Unito, Stati Uniti; — dal 18 febbraio 1952: Grecia e Turchia; — dal 9 maggio 1955: Germania (intesa come Repubblica Federale Tedesca, ovvero Germania Ovest); — dal 30 maggio 1982: Spagna; — dal 12 marzo 1999: Repubblica Ceca, Polonia, Ungheria; — dal 29 marzo 2004: Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania, Slovacchia, Slovenia; — dal 4 aprile 2009: Albania e Croazia. Patto di Varsavia. Nel 1955, in conseguenza dell’ingresso della Repubblica Federale Tedesca nella NATO, viene sottoscritta un’alleanza militare tra i paesi socialisti dell’Europa orientale. Dotato di un comando unico con sede a Mosca e guidato da un generale sovietico, il Patto è stato poi sciolto nel 1991 in seguito alla caduta dei regimi socialisti nell’Est europeo, con conseguente ritiro delle truppe dell’Armata Rossa di stanza nei paesi alleati. 6) IL SECONDO DOPOGUERRA NEI PAESI SCONFITTI Germania. Nella conferenza internazionale tenutasi a Potsdam, in Germania, nel 1945, Truman, Stalin e Churchill decidono la divisione di Berlino e della Germania in quattro zone sotto l’amministrazione militare francese, britannica, statunitense e sovietica. Venuta meno la possibilità di un’intesa con i sovietici sul futuro della Germania, USA e Gran Bretagna, all’inizio del 1947, unificano le proprie zone, attuandovi una riforma monetaria, liberalizzando l’economia e rivitalizzandola attraverso gli aiuti economici disposti dal Piano Marshall; l’anno successivo nasce la Repubblica Federale Tedesca con capitale Bonn. Stalin reagisce a queste iniziative prima con il «blocco di Berlino» (giugno 1948 - maggio 1949), chiudendo, cioè, gli accessi via terra tra Berlino e la Germania occidentale, poi con la creazione, nella zona orientale del paese, della Repubblica Democratica Tedesca (1949) con capitale Pankow. L’8 agosto 1945 viene istituito un Tribunale militare internazionale per giudicare i criminali nazisti, con processi che si tengono nella città di Norimberga. Giappone. Nei primi anni del dopoguerra, il presidente statunitense Truman affida il governo del Giappone al generale MacArthur, che provvede alla demilitarizzazione del paese e alla destituzione di tutti i responsabili politici nazionalisti. Alla fine degli anni ’50, la ripresa economica, favorita dall’assistenza americana, e la stabilità politica conducono il Giappone a recuperare l’antico ruolo di grande potenza. Italia. Subito dopo la liberazione del paese, nel giugno 1945, i partiti antifascisti formano un governo di unità nazionale presieduto da Ferruccio Parri, uno dei più prestigiosi leader della Resistenza e del Partito d’azione. Il suo governo dura solo pochi mesi perché è osteggiato dall’apparato burocratico e dalle forze moderate, finché Parri è sostituito dal democristiano Alcide De Gasperi, che pone le basi del lungo predominio della DC. Il primo problema che il nuovo esecutivo deve affrontare è quello istituzionale: il 2 giugno 1946 i cittadini vengono chiamati alle urne sia per eleggere l’assemblea costituente, incaricata di redigere la nuova Costituzione che avrebbe sostituito lo Statuto albertino, sia per esprimersi a favore della repubblica o della monarchia. Le due consultazioni si svolgono per la prima volta in Italia a suffragio universale, poiché votano anche le donne. Prevalgono i sostenitori della repubblica e il re Umberto II — che poco prima del referendum istituzionale era salito al trono in seguito all’abdicazione del padre Vittorio Emanuele III — lascia l’Italia senza abdicare ritirandosi in esilio in Portogallo. La vittoria dei partiti di massa è schiacciante: emerge una sinistra forte con il Partito comunista italiano (PCI) e il Partito socialista italiano di unità proletaria (PSIUP), fronteggiata dalla Democrazia cristiana quale partito di maggioranza relativa; i partiti laici vengono ridimensionati; De Gasperi è confermato Presidente del Consiglio, carica che mantiene sino al 1953. Inizialmente, per garantire un ampio consenso al nuovo testo costituzionale e alla firma del trattato di pace con gli alleati, il governo si serve della collaborazione delle sinistre. Gli accordi di pace, sottoscritti a Parigi il 10 febbraio 1947, stabiliscono condizioni particolarmente onerose per l’Italia che, oltre a dover versare 360 milioni di dollari a titolo di risarcimento, perde sia le isole del Dodecaneso (che passano alla Grecia), sia Zara, Fiume e l’Istria (a vantaggio della Iugoslavia), nonché Briga e Tenda (attribuite alla Francia). A ciò si aggiunge la rinuncia forzata a tutte le colonie, fatta eccezione per l’amministrazione fiduciaria della Somalia (rimasta in vigore fino al 1960), mentre Trieste, trasformata in territorio libero sotto la tutela dell’ONU, sarebbe poi stata restituita al nostro paese solo nel 1954. L’alleanza tra i democristiani e le sinistre è comunque destinata a durare poco. Divergenze sulla politica economica e sulla collocazione internazionale dell’Italia inducono De Gasperi ad allontanare le sinistre dall’esecutivo, creando in tal modo forti dissapori ai quali si cerca di porre rimedio con la formazione di un nuovo governo di centro comprendente democristiani, liberali e indipendenti moderati. Il nuovo orientamento in senso moderato e filoamericano è determinato da quanto accade nella politica internazionale: per godere dei considerevoli aiuti finanziari previsti dal Piano Marshall è infatti necessaria una precisa scelta di campo, prendendo le distanze dalle forze politiche (comunisti e socialisti) vicine all’Unione Sovietica. Con il nuovo governo centrista di De Gasperi, che entra in carica nel maggio del 1947, tramonta definitivamente l’iniziale collaborazione governativa tra i partiti antifascisti. Il 1° gennaio 1948, dopo essere stata approvata dall’assemblea costituente con grande spirito unitario, entra in vigore la Costituzione della Repubblica, per la quale viene raggiunto un accordo quasi unanime sia sui principi di fondo sia sull’assetto istituzionale da dare allo Stato. Dopo le elezioni svoltesi il 18 aprile 1948 — che vedono da una parte la Democrazia cristiana (con il 48% dei voti) che difende i valori delle società occidentali e dei cattolici, dall’altra le sinistre, unite nel Fronte democratico popolare (con il 31% dei suffragi), che si presentano come sostenitrici delle istanze di rinnovamento dei lavoratori — il problema più urgente da affrontare diventa la ricostruzione economica del paese. De Gasperi, contando sui consistenti aiuti del Piano Marshall, affida al liberale Luigi Einaudi (futuro Presidente della Repubblica) la direzione della politica economica, che si propone di frenare l’inflazione attraverso una politica monetaria restrittiva e di lasciare mano libera alle imprese per garantire profitti e investimenti. In breve tempo la lira si stabilizza, l’inflazione scende e le imprese ricominciano a produrre, anche se tutto ciò avviene ai danni delle classi meno abbienti. Infatti, aumenta la disoccupazione perché le industrie, per sopravvivere, devono licenziare numerosi dipendenti; le campagne diventano sempre più misere; la classe operaia si indebolisce a causa della rottura dell’unità sindacale. modalità di successione nella carica di capo dello Stato: in Spagna viene proclamata la monarchia e, alla fine del mandato di Franco, il suo successore sarà un re con poteri limitati dalle altre istituzioni. La Spagna si trova isolata politicamente a causa della condanna del regime franchista da parte dell’ONU nel 1946, isolamento che si conclude solo nel 1955, quando viene ammessa all’ONU. Per avere maggiore stabilità, Franco decide di incorporare nel governo i cattolici. Il 25 agosto 1953, il caudillo firma un Concordato con il Vaticano in base al quale la Chiesa ottiene grossi privilegi, restando comunque soggetta allo Stato. 9) LA NASCITA DELLO STATO D’ISRAELE Le atrocità del genocidio perpetrato dai nazisti, che provoca circa 6.000.000 di vittime, riaccendono l’aspirazione a creare uno Stato sionista autonomo in Palestina, già promesso agli ebrei dalla Gran Bretagna (Dichiarazione di Balfour, 1917), che nel 1922 ottiene il mandato su quel territorio. Di conseguenza, migliaia di ebrei migrano nella regione palestinese, ma la convivenza con le popolazioni arabe si rivela tutt’altro che facile, tanto da sfociare spesso in violenti conflitti. Nel novembre 1947, l’assemblea delle Nazioni Unite vota la spartizione della Palestina e dà via libera alla creazione di uno Stato ebraico indipendente, con Gerusalemme vincolata a rimanere sotto l’amministrazione dell’ONU. Il 14 maggio 1948, un governo provvisorio con a capo Ben Gurion proclama la nascita dello Stato d’Israele, che, in quello stesso giorno, viene attaccato dagli eserciti di Arabia Saudita, Giordania, Libano, Siria ed Egitto, riuniti nella Lega araba. Alla fine della guerra, essendo riusciti a respingere gli attacchi nemici, gli israeliani si trovano in possesso di un’area superiore a quella prevista dal piano di spartizione dell’ONU, ma i rapporti restano ugualmente tesi e vengono caratterizzati da una serie di rappresaglie nei territori di frontiera con Egitto, Giordania e Libano. Il conflitto riprende quando, nel 1956, l’Egitto decide di nazionalizzare il canale di Suez, controllato dalla Gran Bretagna e dalla Francia, la qual cosa avrebbe obbligato le navi israeliane a circumnavigare tutto il continente africano, essendo difficile un accordo tra gli egiziani e lo Stato ebraico. Così, il 29 ottobre, Gran Bretagna, Francia e Israele attaccano l’Egitto («campagna del Sinai») e occupano in pochi giorni la zona di Suez, lasciando il controllo del canale ai caschi blu delle Nazioni Unite. Israele ottiene forniture militari dalla Gran Bretagna e dalla Francia, aiuti economici dagli USA e un reattore nucleare per poter produrre armi atomiche; l’Egitto, invece, conserva il controllo del canale e ottiene aiuti dall’URSS per la costruzione della diga di Assuan. La resistenza palestinese, a sua volta, è tutt’altro che doma: nel 1956, su iniziativa di Yasser Arafat, nasce il movimento denominato AlFatah, che poi diventa la principale formazione militare dell’OLP, l’Organizzazione per la liberazione della Palestina costituita a Gerusalemme il 28 maggio 1964. 10) IL PROCESSO DI DECOLONIZZAZIONE I movimenti indipendentisti, già presenti da tempo nei paesi afroasiatici, acquistano forza con la Seconda guerra mondiale anche grazie all’appoggio delle grandi potenze. A guerra finita, un ruolo decisivo in questo processo è svolto dalle contrapposizioni ideologiche scaturite dalla «guerra fredda». Le due potenze vincitrici, liquidando il vecchio ordine mondiale fondato sull’eurocentrismo, cercano di eliminare il dominio europeo sui paesi dell’Asia e dell’Africa per poi imporre la loro egemonia sul Terzo Mondo. Nello specifico, mentre la Gran Bretagna mette in atto un graduale processo di allentamento del proprio dominio coloniale, concedendo Costituzioni e trasformando l’impero in una comunità di nazioni sovrane (Commonwealth), la Francia oppone una violenta resistenza ai movimenti indipendentisti. Ciò spiega, quindi, l’accanimento con cui i francesi si impegnano, a partire dal 1954, in una sanguinosa lotta contro il movimento di liberazione algerino, risultato vittorioso, infine, nel 1962. Per il resto, occorre comunque sottolineare che, tra gli anni ’50 e l’inizio degli anni ’60, il processo di decolonizzazione ha modo di svilupparsi in maniera imponente, tanto che riescono a conseguire l’indipendenza quasi tutti i popoli africani e asiatici. Tuttavia, l’indipendenza politica non risolve i problemi delle ex colonie. Spesso si tratta di un’indipendenza poco più che formale, perché di fatto la direzione dell’economia resta saldamente nelle mani delle classi dirigenti occidentali e i rapporti di sfruttamento restano inalterati, mentre il divario complessivo tra il Nord e il Sud del mondo aumenta sempre più. 11. DAGLI ANNI SESSANTA AGLI ANNI OTTANTA DEL NOVECENTO Nel ventennio che va dal 1960 al 1980, una serie di eventi sconvolgono il mondo. La contrapposizione del blocco sovietico a quello statunitense, e delle rispettive ideologie, provoca tensioni e conflitti (guerra del Vietnam, Muro di Berlino), assassinii di leader politici (Kennedy, Malcolm X, Martin Luther King) e strategie della tensione. Contro i valori tradizionali e la società consumistica, dilaga, negli stessi anni del boom economico, un fenomeno culturale mondiale promosso dal movimento studentesco, il ’68, che rivendica la libertà dell’uomo dai ritmi imposti dal processo produttivo. Il terrorismo si affaccia come uno spettro durante gli anni ’70, nei cosiddetti «anni di piombo», mietendo centinaia di vittime. La democrazia italiana subisce duri attacchi anche dalle organizzazioni criminali mafiose. In Medio Oriente scoppia la guerra tra Iran ed Iraq per gli interessi petroliferi. Alla fine degli anni ’80, si assiste al ritiro delle truppe sovietiche dai paesi socialisti, alla caduta del «muro di Berlino» e dei regimi comunisti nell’Est europeo. TAVOLA CRONOLOGICA 1959 Successo della rivoluzione di Fidel Castro a Cuba. 1960 J.F. Kennedy è presidente degli Stati Uniti. Nasce l’OPEC. 1961 Costruzione del Muro di Berlino. Gagarin compie il primo volo umano nello spazio. Fallimento dell’operazione anticastrista nella Baia dei Porci a Cuba. 1962 Crisi dei missili a Cuba. 1963 Assassinio del presidente della repubblica americano J.F. Kennedy a Dallas. 1964 Intervento USA in Vietnam. Nascita dell’OLP. 1965 Assassinio di Malcom X negli USA e manifestazioni contro l’intervento militare in Vietnam. 1967 Colpo di Stato dei colonnelli in Grecia. Uccisione di Ernesto Che Guevara in Bolivia. 1968 Agitazioni studentesche in Europa. Assassinio di Martin Luther King e del senatore Robert Kennedy negli USA. 1969 Strage di piazza Fontana a Milano. Scontri tra cattolici e protestanti in Irlanda. Arafat presidente dell’OLP. 1970 Legge sul divorzio. 1972 Scandalo Watergate in USA. «Domenica di sangue» a Londonderry (30 gennaio). 1974 Referendum sul divorzio, che rimane in vigore. 1978 Le Brigate Rosse rapiscono e uccidono Aldo Moro. Accordi di Camp David tra Egitto e Israele. 1980 Ronald Reagan viene eletto presidente degli USA. Guerra Iran-Iraq. 1981 Attentato a Giovanni Paolo II. Scandalo P2. 1986 L’Italia entra nel G7. Perestrojka di Gorbaciov in Russia. Incidente nucleare di Chernobyl. 1989 Caduta dei regimi comunisti in tutta l’Europa orientale. Crollo del Muro di Berlino e riunificazione della città. Repressione di Tien-An-Men. 1990 Riunificazione delle due Germanie. 1991 L’URSS diventa CSI. 1)IL MURO DI BERLINO Nel 1961, Krusciov e J.F. Kennedy si incontrano a Vienna per giungere a un accordo sulla riunificazione della Germania. Nel frattempo, poiché la parte occidentale della Germania è più ricca e quindi più allettante di quella orientale comunista, comincia un vero e proprio esodo verso la Repubblica Federale Tedesca. Per impedire la continua fuga di cittadini orientali verso occidente, sul confine tra le due zone di Berlino viene innalzato un muro, difeso da guardie armate con l’ordine di sparare sui fuggiaschi. Il Muro resta in piedi fino al 1989, quando entra in crisi il mondo comunista. 2) LA GUERRA DEL VIETNAM L’Indocina, nel dopoguerra, è teatro di uno dei più sanguinosi conflitti del periodo: la guerra del Vietnam. Dal 1946, da quando i giapponesi lasciano il paese, occupato durante la guerra in quanto colonia francese, la Francia è impegnata nella guerra contro gli indipendentisti guidati da Ho Chi Minh, leader della formazione comunista dei Vietminh («Fronte per l’indipendenza del Vietnam»), che proclama l’indipendenza della Repubblica democratica del Vietnam del Nord, con capitale Hanoi. Nel Vietnam del Sud, con capitale Saigon, i francesi invece istaurano un regime fantoccio, guidato dall’imperatore Bao Dai. Nel 1950, il presidente americano Truman invia aiuti economici e militari in Vietnam per sostenere la Francia. Quando, nel 1954, i Vietminh conquistano la città di Dien Bien Phu, difesa dai francesi, Francia, USA e URSS si riuniscono a Ginevra, dove decidono la divisione del Vietnam in due Stati: la Repubblica democratica guidata dai comunisti a Nord, con capitale Hanoi, e il Vietnam del Sud, sotto l’influenza delle potenze occidentali, con capitale Saigon. Il regime del Vietnam del Sud viene affidato a Ngo Dinh Diem, appoggiato dagli americani, che il 26 ottobre 1955 detronizza l’imperatore Bao Dai, proclama la repubblica e si autonomina presidente. La neonata repubblica inizia una dura campagna di repressione anticomunista e la situazione si fa così difficile che gli oppositori del regime devono rifugiarsi nel Nord. Nel 1961, il presidente statunitense J.F. Kennedy decide di inviare aiuti americani nel Vietnam del Sud, formando un vero e proprio corpo di spedizione contro il Fronte nazionale di liberazione (Vietcong), guidato dai comunisti e appoggiato dai nordvietnamiti. Alla morte di Kennedy, con un pretesto, il senato americano autorizza il presidente Johnson a intervenire militarmente contro il Vietnam del Nord (7 agosto 1964). Le città del Nord vengono ripetutamente bombardate, mentre i marines si scontrano con i Vietcong alla frontiera con la Cambogia e all’altezza del 17° parallelo. Questa situazione rimane invariata fino al 1° gennaio 1968, quando i Vietcong giungono a Saigon. Il 31 marzo il presidente Johnson ordina la fine dei bombardamenti e si ritira dalla scena politica, dando chiara dimostrazione del fallimento militare e politico di Washington. Il nuovo presidente, Richard Nixon, pressato dalle manifestazioni dei pacifisti, organizza i negoziati di pace a Parigi nel 1968, ma solo il 27 gennaio 1973 viene firmata la pace che stabilisce il ritiro degli americani, che lasciano al suo destino il regime di Saigon, abbattuto nel 1975 dai guerriglieri Vietcong e dalle truppe nordvietnamite. Si arriva così all’unificazione del paese, nella Repubblica democratica del Vietnam con capitale Hanoi. 3) SOCIETÀ E POLITICA NEGLI USA L’assassinio di Kennedy. Il presidente americano democratico John Fitzgerald Kennedy viene assassinato il 22 novembre 1963 a Dallas, nel Texas. Il vicepresidente Lyndon B. Johnson assume quindi le funzioni di presidente. sotto la guida dell’Egitto e del suo nuovo presidente Anwar al-Sadat. Il 6 ottobre 1973, giorno della festività ebraica dello Yom Kippur, l’Egitto e la Siria attaccano le postazioni israeliane per riconquistare il Sinai e il Golan: scoppia così la quarta guerra arabo-israeliana, conclusasi con il successo dell’Egitto che riottiene il Sinai e il canale di Suez, aperto al traffico il 5 giugno 1975 sotto la vigilanza dell’ONU. Sadat decide allora di riaprire un dialogo con USA e Israele per tentare la strada della pace. Nel settembre del 1978, grazie anche alla mediazione del presidente americano Jimmy Carter, Egitto e Israele (nella persona del primo ministro Menahem Begin) firmano gli accordi di Camp David (Usa settembre 1978), che restituiscono il Sinai all’Egitto. Per la sua scelta, Sadat è comunque osteggiato da tutto il mondo arabo e, nel 1981, perde la vita in un attentato. La guerra Iran-Iraq. Nel 1979, in Iraq, viene eletto presidente della Repubblica Saddam Hussein. In Iran, caduta la monarchia dello scià Muhammad Reza Pahlavi, prende il potere l’ayatollah R.M. Khomeini, leader religioso che, fautore dell’integralismo islamico, instaura la repubblica islamica fondata sui rigidi principi sciiti e su un forte odio contro l’Occidente, culminato nell’eclatante sequestro del personale dell’ambasciata statunitense di Teheran su iniziativa di studenti appoggiati dal regime (settembre 1979). È ancora in corso il sequestro quando Saddam Hussein invade il territorio iraniano (22 settembre 1980) per combattere il regime religioso sciita che sta per conquistare l’Huzestan, regione ricca di petrolio. Nonostante Saddam sia appoggiato dagli USA, dai paesi occidentali e dall’URSS, non riesce a piegare l’Iran e la guerra si trascina fino al 1990, provocando più di un milione di morti. Alla guerra tra Iran e Iraq si collega anche lo scandalo dell’Irangate, scoppiato nel 1986 negli Stati Uniti, quando si scopre che l’amministrazione Reagan, tramite Israele, ha venduto armi agli iraniani per trattare la liberazione di ostaggi americani prigionieri in Libano e per sovvenzionare la guerriglia dei contras in Nicaragua. Intanto in Iran, morto Khomeini (1989), gli succede come capo spirituale Ali Khameney, mentre il moderato Rafsanjani diventa presidente della Repubblica. 6) LA LIBIA DI GHEDDAFI Nel 1951, la Libia, colonia italiana dal 1911, ottiene l’indipendenza e diventa uno Stato monarchico. Nel 1969, scoperte le ricchezze petrolifere, Muhammar el-Gheddafi, nazionalista arabo, con un colpo di Stato militare pone fine alla monarchia e instaura la repubblica, smantellando le basi militari americane e britanniche e nazionalizzando i pozzi di petrolio, fino ad allora gestiti dal capitale straniero. Alla morte del presidente egiziano Nasser, Gheddafi si schiera contro Israele, offrendo rifugio ai terroristi palestinesi e appoggiando diversi tentativi di colpi di Stato nel Sudan e in Egitto. Nel 1986, il presidente statunitense Ronald Reagan, dopo gli ennesimi attentati terroristici contro obiettivi americani, ordina di bombardare le città di Tripoli e Bengasi, provocando la morte di numerosi civili. All’attacco statunitense, Gheddafi risponde lanciando due missili verso Lampedusa. Ma la crisi internazionale, almeno momentaneamente, viene scongiurata. 7) LA SOCIETÀ DEI CONSUMI E IL ’68 All’inizio degli anni ’60 l’Europa gode di un intenso periodo di ripresa produttiva che sfocia in un vero e proprio boom economico, a partire dal quale si sarebbe poi fatto strada un nuovo fattore in grado di cambiare, per il futuro, stili di vita e modi di pensare: il consumismo. Le industrie hanno prodotto una quantità di beni di consumo che supera di gran lunga il fabbisogno primario della popolazione, sicché per evitare un collasso economico i paesi più avanzati creano nuovi bisogni «superflui», allo scopo di consumare i prodotti in eccesso. I riflessi del boom economico si riscontrano anche in Italia, dove contemporaneamente alla nazionalizzazione dell’industria elettrica e all’istituzione della scuola media unica il processo di industrializzazione si è ormai compiuto, producendo effetti positivi che tuttavia si concentrano essenzialmente nel «triangolo industriale» (Torino, Milano, Genova), tanto da non riuscire a bloccare neppure la persistente e consistente emigrazione dal Sud. In questo stesso contesto storico matura poi un fenomeno culturale mondiale promosso dal movimento studentesco: il cosiddetto ’68, che pur caratterizzandosi in modo differente nei vari paesi propugna un radicale mutamento dei valori tradizionali e, criticando la società consumistica, rivendica la libertà dell’uomo dai ritmi imposti dal processo produttivo. La rivolta studentesca inizia nei campus americani, ma ben presto dilaga in tutta Europa: in Francia e in Italia, in particolare, il movimento ha conseguenze politiche e sociali sconosciute ad analoghi movimenti degli altri Stati. Nel nostro paese la protesta giovanile fa il suo esordio nel dicembre del 1967 con l’occupazione dell’università di Torino e successivamente si estende agli atenei delle altre città e persino nelle scuole. Anche in Italia le rimostranze studentesche si irradiano a tutti i settori della società, con la differenza che, contrariamente a quanto accade in Francia, il Partito comunista italiano instaura un dialogo con gli studenti, giovandosene in termini elettorali. I giovani contestano i contenuti culturali trasmessi dalla scuola e negli istituti occupati sperimentano nuovi metodi di studio e forme di sapere più libere, arrivando a mettere in discussione finanche la famiglia tradizionale e la morale corrente, considerata ipocrita e repressiva. Condannano, inoltre, l’intervento americano in Vietnam, divenuto il simbolo dell’arroganza capitalista, così come idealizzano il medico rivoluzionario argentino Ernesto «Che» Guevara e la rivoluzione culturale cinese. Il movimento studentesco italiano assume ben presto una forte carica politica, collegandosi alle lotte sindacali della classe operaia che nell’autunno del 1969, definito «autunno caldo», dà vita ad una serie di scioperi e manifestazioni in tutto il paese per rivendicare non soltanto salari più alti, ma anche una migliore qualità dei luoghi e delle modalità di lavoro: si chiede, fra le altre cose, di rendere più sicuri gli ambienti lavorativi e di eliminare le disparità di trattamento fra operai e impiegati in caso di infortunio e malattia. Tali vertenze si concludono positivamente per gli operai, tanto che già l’anno successivo, nel 1970, viene approvato lo Statuto dei diritti dei lavoratori, che sancisce importanti garanzie a tutela e protezione della manodopera salariata. 8) LA CRISI PETROLIFERA DEL 1973 La guerra del Kippur produce enormi ripercussioni sull’intera economia mondiale. Il 17 ottobre 1973, infatti, i paesi arabi produttori di petrolio raggruppati nell’OPEC («Organizzazione dei paesi esportatori di petrolio», 1960) decidono di punire l’occidente, che ha sostenuto economicamente Israele, aumentando del 70% il prezzo del greggio e imponendo addirittura il blocco delle esportazioni petrolifere contro gli Stati Uniti. In poco tempo, il costo della benzina aumenta in Europa e negli USA del 400%, con conseguenze tali da portare addirittura alla recessione. Ciò porta a un significativo mutamento dell’orientamento internazionale: l’ONU ribadisce più volte il diritto dei palestinesi di ritornare nella propria terra, l’UNESCO sospende l’invio di aiuti a Israele e la Commissione per i diritti civili condanna il «terrorismo di Stato» di Tel Aviv. Dal 1975, i 7 Stati più industrializzati (USA, Giappone, Germania, Gran Bretagna, Francia, Canada, Italia) cominciano a riunirsi periodicamente per coordinare le loro politiche commerciali, finanziarie e occupazionali. Nasce così il G7 (abbreviazione di «Gruppo dei Sette»), i cui incontri sono poi stati informalmente allargati, a partire dal 1992, anche alla Russia (G8). 9) LE NUOVE DEMOCRAZIE NELL’EUROPA MEDITERRANEA Grecia. In Grecia, nel 1967, un golpe militare inaugura la cosiddetta «dittatura dei colonnelli», mandando al governo Georgios Papadopulos e costringendo all’esilio il re Costantino. Un nuovo golpe militare rovescia lo stesso Papadopulos, nel 1974; viene poi richiamato dall’esilio il conservatore Karamanlis, il quale forma un governo democratico che è accolto positivamente dal popolo, mentre un referendum provvede ad abolire la monarchia, dopodiché, nel 1975, entra in vigore una nuova Costituzione democratica. Portogallo. In Portogallo, dopo l’uscita di scena del dittatore Salazar (1968) ed il regime di Caetano, un colpo di Stato porta al governo un gruppo di militari progressisti («rivoluzione dei garofani», 1974), finché, nel 1976, viene poi approvata una Costituzione democratica e le elezioni attribuiscono la presidenza della Repubblica ad Antonio Ramalho Eanes, confermando il Partito socialista di Soares come partito di maggioranza relativa. Spagna. In Spagna, infine, all’indomani della morte di Franco (1975), ascende al trono il re Juan Carlos I di Borbone, che indice, nel 1977, le prime elezioni libere. Perde, allo stesso tempo, il consenso dei partiti di sinistra l’ETA («Terra basca e libertà»), un’organizzazione terroristica nata nel 1958 per sostenere l’indipendenza delle province basche dallo Stato spagnolo e che ha cessato la propria attività (non quella politica) il 20 ottobre 2011. 10) L’ITALIA NELLA SECONDA METÀ DEL XX SECOLO La crisi degli anni Settanta. Al fermento sociale manifestatosi alla fine degli anni Sessanta segue una crisi economica che si protrae fino alla fine degli anni Settanta. Emblema di questo particolare momento di difficoltà diventa la FIAT, la principale industria italiana, penalizzata da una forte caduta della domanda sul mercato internazionale dell’automobile. Intanto, nel 1974 il referendum con cui viene mantenuta in vigore la legge sul divorzio (approvata nel 1970) segna un ulteriore successo a vantaggio delle forze progressiste, impegnate ad imprimere una forte spinta al processo di modernizzazione del paese. Il 1976, invece, sarà l’anno del terribile terremoto in Friuli. Gli «anni di piombo». L’attentato del dicembre 1969 alla banca dell’Agricoltura di piazza Fontana a Milano dà il via al fenomeno noto come strategia della tensione, mirante a suscitare nella società italiana una richiesta di ordine e ad arrestare l’avanzata delle forze progressiste. Sulle principali stragi di quel periodo (piazza della Loggia a Brescia e treno Italicus, entrambe del 1974) come di quelle del decennio successivo (non ultima l’esplosione che il 27 giugno 1980 distrugge un DC9 dell’Itavia in volo sui cieli di Ustica, causando la morte di 81 persone), non è stata fatta ancora piena luce. Dalla metà degli anni Settanta, ricordati come «anni di piombo», accanto al terrorismo di estrema destra emerge quello di estrema sinistra, soprattutto ad opera delle Brigate Rosse, che il 16 marzo 1978 rapiscono e — dopo due mesi — uccidono lo statista democristiano Aldo Moro. Segretario della DC, Moro era stato dal 1958 al 1963 Presidente del Consiglio ed era candidato alla Presidenza della Repubblica. Fautore di una politica di mediazione tra i diversi partiti, aveva intuito che per superare la grave crisi economica, politica e istituzionale del paese era necessario coinvolgere nel governo le forze di sinistra, senza per questo rinunciare al primato della DC nel sistema politico italiano. Diventato nel ’76 presidente della DC, aveva tentato di concretizzare la sua proposta attuando un dialogo con Enrico Berlinguer, segretario del Partito comunista e fautore del cosiddetto «compromesso storico», ma proprio la mattina in cui si stava recando in parlamento per il voto di fiducia che avrebbe consentito la partecipazione al governo del PCI viene rapito dalle Brigate Rosse che massacrano la sua scorta. Proprio il «compromesso storico», interpretato da alcuni come una sorta di tradimento degli La politica brezneviana. Leonid Il’ic Breznev succede a Krusciov come segretario generale del PCUS nel 1964, affermandosi come «uomo forte» del nuovo gruppo dirigente. L’invasione dell’Afghanistan. L’URSS, temendo che l’integralismo islamico si possa estendere anche ai musulmani delle repubbliche sovietiche, decide di invadere, nel 1979, l’Afghanistan assumendo il controllo del golfo Persico e scontrandosi con gli interessi occidentali nella zona. L’invasione si risolve con la repressione dei guerriglieri musulmani e con il ritiro delle truppe sovietiche (1988). La perestrojka di Gorbaciov. Alla morte di Breznev, nel 1982, seguono due brevi governi: quello di Yurij Andropov, capo del KGB, morto nel 1984, e quello di Konstantin Cernenko, un vecchio conservatore, che muore nel 1985. La vittoria dei riformatori all’interno del PCUS porta alla presidenza Michail Gorbaciov, che dà inizio a una rilevante trasformazione della struttura dello Stato che prende il nome di perestrojka («ristrutturazione»). Sul piano economico, Gorbaciov attua una parziale liberalizzazione, puntando all’aumento della produzione e al miglioramento del tenore di vita della popolazione. Sul piano politico, invece, afferma il diritto della popolazione a essere informata sulla gravità della situazione reale attraverso la glasnost («trasparenza»). Ma le riforme non riescono a risollevare l’economia e il popolo appoggia i movimenti nazionalisti che ottengono grossi successi alle elezioni locali. Ciò porta, nel 1989, al ritiro delle truppe sovietiche dai paesi socialisti e alla caduta dei regimi comunisti nell’Est europeo. La fine dell’URSS. Nel 1990, Gorbaciov viene eletto presidente dell’URSS e riceve il premio Nobel per la pace, ma ben presto alcune repubbliche proclamano l’indipendenza. Nel 1991 Gorbaciov è costretto a sottoporre a referendum il trattato dell’Unione per decidere sulla sopravvivenza dell’URSS: Estonia, Lettonia, Lituania, Georgia, Moldavia e Armenia diventano indipendenti, le rimanenti popolazioni restano nell’URSS, ma approvano una nuova Costituzione fissando la data per elezioni libere. Il presidente della Repubblica federativa russa diventa Boris Eltsin, mentre Gorbaciov è costretto a rassegnare le dimissioni e il 31 dicembre 1991 l’URSS viene sciolta, mentre si costituisce la Comunità degli stati indipendenti (CSI), una nuova associazione che raggruppa le repubbliche ex sovietiche proclamatesi indipendenti. 13) LA CADUTA DEI REGIMI COMUNISTI NELL’EST EUROPEO Già prima della disgregazione dell’Unione Sovietica, vere e proprie insurrezioni erano divampate in Ungheria (1956) e a Praga (1968), entrambe stroncate nel sangue dall’intervento dell’Armata Rossa. Tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli anni ’90, il ricambio politico in Europa orientale diventa un’esigenza improrogabile che si afferma ancor prima dello smembramento dell’impero sovietico. Polonia. Il primo Stato a emanciparsi dal controllo dell’URSS è la Polonia, dove le forze di opposizione, guidate dal sindacato cattolico Solidarnos ́c ́ capeggiato da Lech Walesa, riescono ad affermarsi, portando, nelle elezioni del 4 giugno 1989, alla sconfitta dell’ex Partito comunista. Nel 1990 Walesa viene eletto presidente della Repubblica. Ungheria. Il crollo definitivo del regime filosovietico ungherese avviene pacificamente il 7 ottobre 1989, quando il Congresso stabilisce che il Partito comunista si trasformi in PSU (Partito socialista). Le prime elezioni libere decretano poi l’affermazione del Forum democratico di J. Antall, di ispirazione democratico-cristiana e moderata. Bulgaria. Il 10 novembre 1989 anche il capo di Stato bulgaro Zi-vkov, esponente del partito comunista filosovietico, è costretto a dimettersi, sostituito da Mladenov. Dopo la riforma della Costituzione, attuata nel 1991, si svolgono le prime elezioni libere che vedono l’affermazione dell’Unione delle forze democratiche. Cecoslovacchia. Già nel 1968, il segretario del Partito comunista Dubcek cerca, attraverso una serie di riforme, di liberalizzare la vita politica, economica e culturale del paese («primavera di Praga»), ma l’intervento militare sovietico pone drammaticamente fine alle sue iniziative. Negli ultimi mesi del 1989, il regime comunista è infine travolto da un’ondata di manifestazioni che provocano le dimissioni in blocco dei vertici comunisti e riportano in auge Dubcek (eletto presidente del parlamento) e lo scrittore Vaclav Havel (eletto presidente della Repubblica), il cui partito, il Forum civico, risulta poi vittorioso alle elezioni svoltesi nel giugno 1990. Il 1° gennaio 1993, la Cecoslovacchia si scinde in due Stati indipendenti: la Repubblica slovacca e la Repubblica ceca. Romania. Nel dicembre 1989 si scatena in Romania una sanguinosa guerra civile contro il regime filosovietico di Nicolae Ceausescu. Nello stesso tempo, viene creato un Fronte di salvezza nazionale che prende le redini della rivolta, culminata nell’arresto, nel processo e nell’esecuzione sommaria di Ceausescu e sua moglie Elena. Messo al bando il Partito comunista, le nuove elezioni (1990) vedono l’affermazione del Fronte di salvezza nazionale, in cui assume il ruolo di leader Ion Iliescu, eletto presidente della Repubblica. 14) LA CINA DA MAO TSE-TUNG ALLA STRAGE DI TIEN-AN-MEN A partire dal 1956 Mao Tse-tung avvia la politica del «grande balzo in avanti», con l’obiettivo di potenziare l’agricoltura e l’industria. La creazione delle «comuni del popolo» (raggruppamenti socio-economici e amministrativi di base) avrebbe dovuto realizzare un rapido sviluppo economico a tappe forzate. In realtà, carestie e recessione causano una preoccupante crisi politica. La rivoluzione culturale. Dopo aver rafforzato il peso militare della Cina con la dotazione della bomba atomica (1964), Mao dà inizio alla cosiddetta «rivoluzione culturale» che consiste in una vasta mobilitazione delle masse giovanili e del proletariato urbano tesa a stroncare corruzione e privilegi dei funzionari all’interno dello Stato e del Partito comunista cinese. Il movimento, che assume forme paramilitari (Guardie Rosse), finisce quasi per paralizzare la vita del paese e le attività produttive, e si conclude nel 1976, alla morte di Mao Tse-tung. Gli anni ’80. Negli anni ’80, sotto la guida di Deng Xiaoping, la Cina ritorna ad un’economia di mercato e adotta misure di penalizzazione fiscale per le famiglie con più di un figlio, per fermare l’aumento della popolazione, che supera un miliardo e centomila persone. Dal punto di vista politico, Deng Xiaoping difende l’autorità assoluta del partito contro ogni prospettiva di liberalizzazione. Jan Qing, moglie di Mao, nel 1981 è espulsa dal partito, processata e incarcerata insieme con i suoi più stretti collaboratori («banda dei quattro»). Il nuovo leader nel 1989 sostiene una sanguinosa repressione delle manifestazioni studentesche in Piazza Tien-An- Men a Pechino. La strage di Tien-An-Men. La visita di Gorbaciov, proprio nel giugno del 1989, nella capitale cinese stimola ulteriormente la mobilitazione degli studenti. Deng, una volta partito il leader sovietico, invia l’esercito su piazza Tien-An-Men uccidendo centinaia di persone. La repressione si estende agli oppositori, molti dei quali vengono incarcerati e condannati a morte. Il 9 giugno Deng elogia pubblicamente l’operato dell’esercito, destituisce il segretario del partito che era in disaccordo con la linea adottata e definisce i dimostranti «controrivoluzionari».
Docsity logo


Copyright © 2024 Ladybird Srl - Via Leonardo da Vinci 16, 10126, Torino, Italy - VAT 10816460017 - All rights reserved