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Diritti Reali e Obbligazioni: Applicazione e Interpretazione della Legge, Appunti di Diritto Privato

Diritto civileDiritto di proprietàDiritto di CreditoDiritto realeDiritto Penale

I diritti reali e l'obbligo di applicazione e interpretazione della legge. Discutiamo del ruolo dello Stato, della dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, della prescrizione estintiva, dell'assolutezza e dell'inerenza, e dei diritti reali di godimento. Verranno anche distinte le proprietà e ius in re aliena, il potere di disposizione, l'espropriazione, il possesso legittimo e illegittimo, e le azioni possessorie e petitorie.

Cosa imparerai

  • Quali sono le differenze tra pegno e ipoteca?
  • Quali sono le caratteristiche del possesso pieno e illegittimo?
  • Quali sono i modi di acquisto della proprietà a titolo derivativo e a titolo originario?
  • Quali sono le caratteristiche dell'assolutezza e dell'inerenza dei diritti reali?
  • Quali sono i diritti reali e come sono distinti dai diritti di credito?

Tipologia: Appunti

2017/2018

Caricato il 05/03/2018

jasmin_ianniciello
jasmin_ianniciello 🇮🇹

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Scarica Diritti Reali e Obbligazioni: Applicazione e Interpretazione della Legge e più Appunti in PDF di Diritto Privato solo su Docsity! 1. L’ORDINAMENTO GIURIDICO Ogni aggregazione umana necessita di un agglomerato di regole che disciplinano i rapporti tra le persone. “Ubi societas, ibi ius”. Per avere un gruppo organizzato (collettività) bisogna che i rapporti vengano disciplinati da REGOLE DI CONDOTTA, che questi siano stabilite da appositi organi in base a precise regole di STRUTTURA, COMPETENZA o ORGANIZZATIVE e che sia le regole di condotta che di struttura vengano osservate (PRINCIPIO DI EFFETTIVITÀ ). Lo svolgimento di tali processi costituisce l’ORDINAMENTO GIURIDICO. L’ordinamento di una collettività costituisce il suo DIRITTO OGGETTIVO. Tra tutte le forme di collettività, importante preminenza assume la SOCIETÀ POLITICA che fa sì che le attività dettate dagli stessi bisogni possano svolgersi in modo ordinato e pacifico. La nozione di Stato si identifica con una certa comunità di individui (i cittadini) stanziata in un certo territorio, sul quale si dispiega la sovranità dello Stato, ed organizzata in base ad un dato ordinamento giuridico. Un ordinamento giuridico si dice ORGIGINARIO quando “superiorem non recognoscit”, ossia quando la sua organizzazione non è soggetta ad un controllo di validità da parte di un’altra organizzazione. A causa della pluralità degli ordinamenti giuridici un individuo può essere soggetto a vari ordinamenti (ES. straniero in Italia). Il DIRITTO INTERNAZIONALE ha fonte essenzialmente CONSUETUDINARIA o PATTIZIA, ossia nasce da appositi accordi bilaterali o plurilaterali che ciascuno Stato stringe con altri e che si impegna a rispettare. L’adesione dell’Italia alle Comunità Europee a partire dal trattato di Roma del 1957, ha implicato l’accettazione di limiti alla sovranità dello Stato, che si è sottoposto alla volontà della maggioranza degli altri Stati membri. Ogni regola facente parte di un ordinamento volto a disciplinare una collettività si dice NORMA GIURIDICA (appartenente allo IUS). La REGOLA GIURIDICA deriva la sua “autorità” dal fatto di essere inserita nell’ordinamento di una collettività, cosicché anche quando disciplina l’azione del singolo essa si presenta come ETERONOMA. Essa non va infatti confusa con la NORMA MORALE che è ASSOLUTA (trova solo nel suo contenuto la propria validità) ed AUTONOMA. I fatti produttivi di norme giuridiche si chiamano FONTI. Il TESTO è la formulazione concreta dell’atto di esercizio del potere normativo, il PRECETTO (ossia il significato) di quel testo è invece il risultato di un’operazione di interpretazione del testo medesimo (pag 10). Una LEGGE è un atto normativo scritto nel nostro ordinamento è elaborato da organi a ciò competenti secondo le procedure stabilite dalla Carta Costituzionale; una medesima legge può contenere moltissime norme, i due concetti non vanno quindi confusi. Il complesso delle norme da cui è costituito ciascun ordinamento giuridico rappresenta il DIRITTO POSITIVO (IUS IN CIVITATE POSITUM) di quelle società. Il DIRITTO NATURALE non riesce a trovare un fondamento obiettivo ed univoco; tuttavia la configurazione di un diritto sovraordinato a quello positivo costituisce un costante monito, da un lato al legislatore, dall’altro all’interprete che, nell’applicazione delle norme dovrà scegliere le soluzioni più idonee a quella società. In nessun ordinamento si realizza però un sistema di rapporti riconosciuto unanimamente come GIUSTO. La norma si struttura come un “periodo ipotetico”: si compone della previsione di un accadimento eventuale e nell’affermazione di una conseguenza giuridica che deriva dal concreto verificarsi dell’evento prefigurato dall’enunciato normativo. Essa può consistere nell’acquisto di un diritto (1158), nell’insorgenza di un’obbligazione (2043), nella estinzione o modificazione di un diritto (1236), nell’applicazione di una conseguenza afflittiva (575). La parte della norma che descrive l’evento che intende regolare si definisce FATTISPECIE che può essere ASTRATTA o CONCRETA. Può essere inoltre SEMPLICE (un solo fatto) o COMPLESSA (pluralità di fatti giuridici). Spesso, accanto a norme di condotta (PRIMARIE), il legislatore prevede una “risposta” o “reazione” dell’ordinamento (c.d. norme SANZIONATORIE o SECONDARIE) da far scattare in caso di inosservanza del comportamento prescritto. La difesa dell’ordinamento non avviene soltanto attraverso misure repressive o restaurative, ma anche preventive, di vigilanza e di dissuasione. La sanzione può operare in modo DIRETTO, realizzando il risultato che la legge prescrive (2933) o in modo INDIRETTO, ove l’ordinamento fa uso di altri mezzi per ottenere l’osservanza della norma o reagire alla sua violazione. Nel diritto privato, la sanzione, non opera, di regola, direttamente. I caratteri essenziali della norma giuridica avente forza di legge sono: GENERALITÀ (la legge non deve essere dettata per singoli individui), ASTRATTEZZA (non deve essere dettata per specifiche situazioni concrete, bensì per fattispecie stratte). Particolare rilevanza nella formazione della norma giuridica è l’esigenza del rispetto del PRINCIPIO DI UGUAGLIANZA, distinto dal CRITERIO DI IMPARZIALITÀ. Il principio di eguaglianza ha due profili; il primo di carattere FORMALE ed il secondo di carattere SOSTANZIALE (riv? legislatore). L’equità è stata sinteticamente definita la giustizia del caso singolo. Il giudice può fare ricorso all’equità soltanto nel caso in cui la stessa legge gli attribuisca il potere di decidere “secondo equità”. Anche quando ciò è permesso, il giudice non può far prevalere la cosiddetta “EQUITÀ CEREBRINA”. 2. IL DIRITTO PRIVATO E LE SUE FONTI Il diritto pubblico disciplina l’organizzazione dello Stato e degli altri enti pubblici; il diritto privato disciplina invece le relazioni interindividuali sia dei singoli che degli entri privati. Le norme di diritto privato si distinguono in DEROGABILI o DISPOSITIVE ed INDEROGABILI o COGENTI, le prime sono quelle la cui applicazione può essere evitata mediante un accordo degli interessati, le seconde sono quelle la cui applicazione è imposta dall’ordinamento a prescindere dalla volontà dei singoli. Si distinguono inoltre le norme SUPPLETIVE (1100, 1182, 1183, 1271, 1272), norme di diritto pubblico SUSCETTIBILI DI DEROGA, NORME DI DIRITTO PRIVATO COGENTI. Con le norme DISPOSTIVE il legislatore pone un criterio di disciplina nel caso in cui la volontà dei singoli non si sia manifestata. Per fonti legali di produzione delle norme giuridiche si intendono gli ATTI e i FATTI che producono diritto. Dalle fonti di produzione si distinguono le fonti di cognizione, ossia i documenti e le pubblicazioni ufficiali da cui si può prendere conoscenza del testo di un atto normativo. Le fonti possono essere MATERIALI o FROMALI. Rispetto a ciascuna fonte quando si tratta di un atto si può individuare: a)l’Autorità investita dal potere di emanarlo, b)il procedimento formativo dell’atto, c) il documento normativo, d) i precetti ricavabili dal documento. La GERARCHIA DELLE FONTI identifica la norma applicabile in caso di contrasto tra norme provenienti da fonti diverse. Alla sommità della scala si collocano i principi SUPREMI o FONDAMENTALI da cui discendono i diritti INVIOLABILI, seguono le disposizioni della Carta Costituzionale, vengono poi le leggi Statali ordinarie succedute dalle leggi regionali e di matrice comunitaria. La COSTITUZIONE ITALIANA è rigida in quanto una legge ordinaria non può né modificare la Costituzione, né contenere disposizioni contrastanti con le norme costituzionali. A presidio di questa rigidità è stata istituita la Carta Costituzionale. Le leggi statali ordinari sono approvate dal Parlamento. Esse possono modificare o abrogare qualsiasi norma non avente forma di legge, ma possono essere modificate o abrogate soltanto da leggi successive o con referendum popolare. Alle leggi statali sono equiparati i DECRETI LEGISLATIVI DELEGATI e i DECRETI LEGGE DI URGENZA, emanati dal GOVERNO. Lo Stato ha potestà legislativa esclusiva (117); esistono poi materie di “legislazione concorrente” tra Stato e regione (117 comma 3). I REGOLAMENTI sono fonti secondarie del diritto; hanno contenuto normativo e possono essere emanati dal Governo, dai ministri e da altre autorità anche non statali. Le fonti normative di matrice comunitaria si distinguono in REGOLAMENTI e DIRETTIVE (attuate attraverso l’emanazione di apposite leggi). Una CONSUETUDINE (USO) sussiste quando vi è la ripetizione costante in un dato ambiente, in lungo tempo, di un certo tipo di comportamento osservabile come regola di condotta tra i privati; un’osservanza di quel comportamento in quanto ritenuto doveroso e non semplicemente conforme a prassi. Si usa distinguere tre tipi di consuetudini: *CONSUETUDINI SECUNDUM LEGEM (che operano in accordo con la legge), CONSUETUDINI PRAETEREM LEGEM (al di là della legge, relative a materie non disciplinate da norme scritte), CONTRA LEGEM (che si pongono contro la legge). Per ciò che concerne le materie disciplinate da norme legislative, la consuetudine produce effetti giuridici solo se ad essa si fa espresso rinvio nelle leggi*. Il CODICE è individuato come una legge del tutto nuova caratterizzata da ORGANICITÀ, SISTEMATICITÀ, UNIVERSALITÀ ED EGUAGLIANZA. Il codice civile riveste un ruolo di centralità nel sistema del diritto privato poiché regola sia i soggetti che i beni. Spesso le modifiche nei codici vengono apportate con la tecnica della Novella o sostituendo il testo di un articolo o aggiungendo articoli nuovi. 3. L’EFFICACIA TEMPORALE DELLE LEGGI Per l’entrata in vigore delle leggi si richiede, oltre l’approvazione da parte delle due Camere, la promulgazione della legge da parte del Presidente della Repubblica, la pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, il decorso di un periodo di tempo (VACATIO LEGIS) che va dalla pubblicazione della legge alla sua entrata in vigore. Vale il principio per cui INGORANTIA IURISI NON EXCUSAT. Per abrogare una disposizione occorre una nuova disposizione di pari valore gerarchico. L’abrogazione può essere ESPRESSA o TACITA- diversa dall’abrogazione è la DEROGA che si ha quando una nuova norma pone, per specifici casi, una disciplina diversa da quella prevista dalla norma precedente che continua però ad essere applicabile a tutti gli altri casi. Una legge può essere abrogata anche tramite referendum popolare o se dichiarata incostituzionale. Abrogazione = ex nunc, incostituzionalità=ex tunc (come se non fosse mai stata emanata). Si dice RETROATTIVA una norma che attribuisce conseguenze giuridiche a fattispecie concrete verificatesi in momenti anteriori alla sua entrata in vigore. Nel nostro ordinamento soltanto la norma incriminatrice penale non può essere retroattiva (P.45). Le DISPOSIZIONI TRANSITORIE sono emanate dal legislatore per regolare il passaggio da una vecchia legge ad una nuova. La legge nuova non può colpire i DIRITTI QUESITI e non estende la sua efficacia ai fatti definitivamente perfezionati sotto il vigore della legge precedente. Si parla invece di ULTRATTVITÀ quando una disposizione di legge stabilisce che L’idoneità ad essere titolari di situazioni giuridiche soggettive (ad essere cioè soggetti) viene definita CAPACITÀ GIURIDICA che nel nostro ordinamento compete alle PERSONE FISICHE, AGLI ENTI e ad altre STRUTTURE ORGANIZZATIVE (es. condominio). Glie enti possono essere PERSONE GIURIDICHE o ENTI NON DOTATI DI PERSONALITÀ; entrambi sono soggetti di diritto, ma i primi hanno in più dei secondi un’AUTONOMIA PATRIMONIALE PERFETTA. Le “PERSONE” fisiche e giuridiche sono “SOGGETTI”, ma non esauriscono quest’ultima categoria; questi due concetti, quindi, non coincidono. L’uomo, per il solo fatto della nascita, acquista la CAPACITÀ GIURIDICA e diviene soggetto di diritto. La capacità giuridica compete INDIFFERENTEMENTE a TUTTI gli uomini che sono EGUALI DAVANTI ALLA LEGGE senza alcuna distinzione. Capacità giuridica di diritto privato compete anche allo STRANIERO. I diritti INVIOLABILI DELLA PERSONA UMANA sono riconosciuti infatti dal nostro ordinamento a favore di CHIUNQUE. La persona fisica acquista la capacità giuridica con la nascita e la perde con la morte. Si ha nascita con l’INIZIO DELLA RESPIRAZIONE POLMONARE. Si ha morte con la CESSAZIONE IRREVERSIBILE DI TUTTE LE FUNZIONI DELL’ENCEFALO. Per l’accesso a taluni rapporti non è sufficiente la nascita, ma occorrono altri presupposti in mancanza dei quali il soggetto non può essere parte di quel determinato rapporto. Dette incapacità si distinguono in: ASSOLUTE, se al soggetto è precluso quel dato tipo di rapporto o di atto; RELATIVE se lo è soltanto con determinate persone o solo in determinate circostanze. In tutti questi casi si ravvisa una limitazione della capacità giuridica (c.d. INCAPACITÀ SPECIALI). Talune posizioni giuridiche sono tutelate anche a favore di chi, seppur non ancora nato, sia però concepito. Al concepito spettano: la capacità di succedere per causa di morte, la capacità di ricevere per donazione, il diritto al risarcimento di danni alla salute ed all’integrità fisica eventualmente cagionatogli prima o durante il parto, il diritto al risarcimento in caso di morte del padre per opera di terzi. Questi diritti sono però SUBORDINATI ALL’EVENTO DELLA NASCITA. La capacità di succedere o di ricevere per donazione è riconosciuta anche a chi non sia stato neppur ancora concepito. Con l’atto della nascita si acquistano i cosiddetti DIRITTI DELLA PERSONALITÀ. Non sempre la persona fisica è in grado di gestire in prima persona le situazioni giuridiche che ad elle stessa fanno capo. Ecco perché la legge richiede, affinché possa compiere personalmente ed autonomamente atti di amministrazione dei propri interessi, che il soggetto abbia anche la CAPACITÀ D’AGIRE, ovvero l’idoneità a mettere in atto atti negoziali destinati a produrre effetti nella sua sfera giuridica (CAPACITÀ NEGOZIALE). Anche quando difetta di capacità d’agire, il soggetto, è pur sempre dotato di capacità giuridica. La capacità d’agire si acquista con la maggiore età,. A protezione delle persone prive del tutto o in parte di autonomia, il codice civile prevede gli istituiti: della minore età, dell’interdizione giudiziale, dell’inabilitazione, dell’emancipazione, dell’amministrazione di sostegno, dell’incapacità di intendere e di volere (incapacità naturale). Ad una logica non di protezione, ma di sanzione, corrisponde invece l’istituto dell’interdizione legale. Prima del compimento del diciottesimo anno il soggetto è “LEGALMENTE INCAPACE”, dopo è LEGALMENTE CAPACE. Gli atti eventualmente posti in essere dal minore sono ANNULLABILI salvo che quest’ultimo non abbia occultato la sua età con l’inganno. L’atto posto in essere dal minore può essere impugnata entro cinque anni dal suo raggiungimento della maggior età. L’impugnativa può essere proposta solo dal rappresentante legale del minore (pag 100). Se l’atto è annullato per sua incapacità legale, il minore ha diritto alla restituzione di quanto prestato in esecuzione di esso, mentre è tenuto a restituire la prestazione ricevuta solo nei limiti in cui la stessa è rivolta a suo vantaggio. La gestione del patrimonio del minore ed il compimento di ogni atto relativo competono ai genitori: DISGIUNTAMENTE per gli atti di ordinaria amministrazione, CONGIUNTAMENTE per gli atti di straordinaria amministrazione. La legge richiede che, per il compimento degli atti ECCEDENTI L’ORDINARIA AMMINISTRAZIONE i genitori si muniscano della preventiva AUTORIZZAZIONE del giudice tutelare. L’INTERDIZIONE è pronunciata con sentenza dal tribunale allorquando ricorrono congiuntamente: INFERMITÀ DI MENTE, ABITUALITÀ DI DETTA INFERMITÀ (NON TRANSITORIA), INCAPACITÀ DEL SOGGETTO, a causa di detta infermità, di PROVVEDERE AI PROPRI INTERESSI, NECESSITÀ DI ASSICURARE AL SOGGETTO UN’ADEGUATA PROTEZIONE. L’interdizione può essere pronunciata solo a carico del maggiore di età essendo il minorenne già legalmente incapace. Fase centrale del processo di interdizione è l’ESAME DIRETTO DELL’INTERDICENDO da parte del giudice. Gli effetti dell’interdizione decorrono dal momento della pubblicazione della sentenza di primo grado, ancorché non passata in giudicato, che pronuncia l’interdizione stessa. La sentenza viene annotata dal cancelliere nel REGISTRO DELLE TUTELE e comunicata entro dieci giorni all’ufficiale dello stato civile per essere ANNOTATA A MARGINE DELL’ATTO DI NASCITA. L’interdetto non può compiere direttamente alcun atto negoziale, se non quelli “necessari a soddisfare le esigenze della vita quotidiana”; gli atti eventualmente compiuti, sono annullabili. Il giudice può prevedere che taluni atti di ordinaria amministrazione possano essere compiuti autonomamente dall’interdetto con l’assistenza del tutore. L’interdizione preclude al soggetto il matrimonio, il riconoscimento dei figli naturali, la possibilità di fare testamento. Se quando dovessero venire meno i presupposti che hanno condotto all’interdizione, quest’ultima può essere revocata con sentenza del tribunale dopo il passaggio in giudicato. Il codice penale prevede come PENA ACCESSORIA ad una condanna definitiva all’ergastolo l’INTERDIZIONE LEGALE. L’istituto ha funzione sanzionatoria viene infatti normalmente a colpire soggetti in grado di intendere e di volere. Per quanto riguarda i rapporti patrimoniali l’interdetto legale si trova, durante la pena, nella stessa condizione dell’interdetto giudiziale, ma l’annullabilità degli atti compiuti dall’interdetto legale può essere fatta valere da chiunque vi abbia interesse (ANNULLABILITÀ ASSOLUTA). Per gli atti a carattere personale, nessuna incapacità consegue all’interdetto legale. L’INABILITAZIONE è pronunciata con sentenza dal tribunale allor quando ricorre o UN’INFERMITÀ MENTALE NON GRAVE AL PUNTO DA FAR LUOGO ALL’INTERDIZIONE, o una PRODIGALITÀ (incapacità di valutare la rilevanza economica dei propri atti inducendolo allo sperpero), o un abuso abituale di bevande alcoliche o stupefacenti, o SORDITÀ o CECITÀ dalla nascita o dalla prima infanzia. L’inabilitato può autonomamente compiere gli atti di ordinaria amministrazione, ma per gli atti di straordinaria amministrazione necessita dell’assistenza del CURATORE nominato dal giudice tutelare. Il curatore non si può sostituire all’incapace, ma integra la volontà di quest’ultimo, previa ottenimento dell’autorizzazione giudiziale. Il minore ultrasedicenne, autorizzato dal tribunale a contrarre il matrimonio, con le nozze acquista automaticamente l’EMANCIPAZIONE. L’emancipato può compiere autonomamente gli atti di ordinaria amministrazione, mentre per gli atti di straordinaria amministrazione necessita dell’assistenza di un curatore. Se l’emancipato è sposato con una persona maggiore maggiore di età, quest’ultima ne è il curatore. L’annullamento del matrimonio per causa diversa dal difetto di età, così come l’eventuale scioglimento del matrimonio non fa venire meno l’emancipazione che cessa con il raggiungimento della maggiore età. L’AMMINISTRAZIONE DI SOSTEGNO si apre con decreto motivato del giudice tutelare, allorquando ricorrono congiuntamente: INFERMITÀ o MENOMAZIONE FISICA E PSICHICA della persona, IMPOSSIBILITÀ PER IL SOGGETTO, a causa di detta infermità o menomazione DI PROVVEDERE AI PROPRIO INTERESSI. Ai fini dell’apertura della procedura di amministrazione di sostegno è sufficiente rilevare una semplice MENOMAZIONE PSICHICA o FISICA, UN’INFERMITÀ o MENOMAZIONE TEMPORANEA (infatti l’amministratore di sostegno può essere nominato a tempo determinato), UNA INFERMITÀ o MENOMAZIONE CHE INCIDI SOLTATO SU TALUNI PROFILI DELLA SUA PERSONALITÀ, UN’ABITUDINALE INFERMITÀ DI MENTE, come per l’interdizione, idonea ad essere protetta attraversi l’amministrazione. L’amministrazione di sostegno può essere aperta solo nei confronti del maggiore di età. Il procedimento di amministrazione di sostegno può essere promosso da vari soggetti. Face centrale di questo procedimento è l’AUDIZIONE PERSONALE dell’interessato da parte del giudice. Mentre gli effetti della interdizione e dell’inabilitazione sono STANDARDIZZATI, quelli dell’amministrazione di sostegno sono determinati di volta in volta dal provvedimento del giudice tutelate che può, in ogni momento, modificare o integrare le decisioni prese (FLESSIBILITÀ o DUTTILITÀ dell’amministrazione di sostegno). Il giudice nomina come amministratore di sostegno la persona designata dallo stesso amministrato. Il giudice tutelare all’atto della nomina dell’amministratore di sostegno indica: gli atti che l’amministratore ha il potere di compiere IN NOME e PER CONTO del beneficiario, che correlativamente perde la capacità di porli in essere personalmente; gli atti cui l’amministratore di sostegno deve dare il proprio assenso. Tutti gli altri atti non espressamente indicati dal giudice, devono essere posti in essere con l’assistenza dell’amministratore di sostegno (insieme e solo insieme) (PRINCIPIO DELLA GENERALE CAPACITÀ DEL SOGGETTO AMMINISTRATIVO). Il giudice deve perseguire l’obiettivo della “minore limitazione possibile della capacità di agire” dell’interessato (PRINCIPIO DELLA MASSIMA SALVAGUARDIA DELL’AUTODETERMINAZIONE del soggetto amministrato). Può accadere che un soggetto, pur legalmente capace di compiere un determinato atto, in concreto si trovi, nel momento in cui lo pone in essere in una situazione di INCAPACITÀ DI VOLERE E/O INTENDERE: PERMANENTE o TRANSITORIA. Perché si abbia quindi incapacità di volere e/o intendere (INCAPACITÀ NATURALE) non è sufficiente una semplice anomali o alterazione delle facoltà psichiche e/o intellettive, occorrendo che il soggetto sia però in modo assoluto, al momento del compimento del negozio, della coscienza dei propri atti. Il soggetto legalmente capace di compiere un determinato atto, è comunque ammesso ad impugnarlo se prova che, nel momento in cui l’ha compiuto, versava in uno stato di incapacità naturale. Il matrimonio, il testamento e la donazione sono impugnabili soltanto se il soggetto dimostra di essere incapace di intendere o di volere nel momento in cui ha compiuto l’atto. Gli atti unilaterali sono annullabili se si dimostra anche che da detti atti è derivato un grave PREGIUDIZIO per l’incapace stesso. I contratti sono annullabili se si dimostra anche che l’altro contraente era in malafede. Tra le incapacità d’agire occorre distinguere tra: INCAPACITÀ LEGALE (minore età, interdizione giudiziale, interdizione legale, inabilitazione, emancipazione, amministrazione di sostegno) e INCAPACITÀ NATURALE (nella quale il soggetto si trova, solo ed esclusivamente, concretamente, nel momento in cui compie l’atto negoziale, in una situazione di menomazione della propria sfera intellettiva e/o volitiva. 7. B) I DIRITTI DELLA PERSONALITÀ La formula dell’art. 2 Cost. riecheggia l’idea giusnaturalista secondo cui la persona umana sarebbe portatrice di diritti INNATI, che l’orientamento giuridico non attribuisce, bensì riconosce, e che, in quanto tali sono INVIOLABILI. I diritti inviolabili della persona sono tali anche nei confronti degli altri consociati. Il codice civile detta norme specifiche a tutela dell’INTEGRITÀ FISICA, DEL NOME e DELL’IMMAGINE. Ai fini dell’individuazione dei diritti inviolabili un ruolo decisionale svolgono anche la DICHIARAZIONE UNIVERSALE DEI DIRITTI DELL’UOMO, la CEDU (convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali), il PATTO INTERNAZIONALE RELATIVO AI DIRITTI ECONOMICI, SOCIALI, CULTURALI ed IL PATTO INTERNAZIONALE RELATIVO AI DIRITTI CIVILI e POLITICI, LA CARTA DEI DIRITTI FONDAMENTALI DELL’UNIONE EUROPEA. I diritti della personalità sono tradizionalmente qualificati dai caratteri della NECESSARIETÀ, della IMPRESCRITTIBILITÀ, della ASSOLUTEZZA, della NON PATRIMONIALITÀ, della INDISPONIBILITÀ. Il DIRITTO ALLA VITA è posto a presidio del fondamentale interesse della persona umana alla propria esistenza fisica. Tale diritto impone a tutti i consociati l’obbligo di astenersi dall’attentare alla vita altrui; obbligo presidiato anche da sanzioni penali. Il DIRITTO A NASCERE trova tutela nei confronti dei soggetti diversi dalla madre: è infatti penalmente sanzionata la condotta di chiunque cagioni l’interruzione della gravidanza senza il consenso della donna. L’art. 32, comma 1, Cost. definisce quello ALLA SALUTE come fondamentale diritto dell’individuo. Tale diritto implica per tutti i consociati, l’obbligo di astensione da condotte che possano ragionare ad altri malattie infermità o menomazioni. Esso compete anche al nascituro. Al concepimento si riconosce invece il DIRITTO DI NASCERE SANO e si nega invece il DIRITTO DI NON NASCERE SE NON SANO. Il diritto alla salute implica anche il suo risvolto negativo cioè il DIRITTO DI NON CURARSI e persino il DIRITTO DI LASCIARSI MORIRE. Il NOME, costituito da prenome e cognome, svolge funzione di identificazione sociale della persona. Il figlio legittimo assume il cognome del padre ed il nome attribuitagli all’atto della dichiarazione di nascita. Il figlio naturale assume il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto. I bambini non riconosciuti da alcuno dei genitori assumono il cognome ed il prenome loro imposto dall’ufficiale di stato civile. Il figlio adottivo assume il cognome degli adottanti. A seguito del matrimonio la moglie aggiunge al proprio il cognome del marito che perde o con lo scioglimento del matrimonio o con nuove nozze dopo la vedovante. Il nome è tendenzialmente IMMODIFICABILE e viene tutelato contro la CONTESTAZIONE, l’USURPAZIONE, l’UTILIZZAZIONE ABUSIVA. Tutela analoga a quella del nome assiste lo PSEUDONIMO (es. Jovanotti). La legge tutela, al fine del DIRITTO ALL’INTEGRITÀ MORALE, l’interesse di ciascuno all’ONORE, al DECORO, alla REPUTAZIONE. Risulta illegittima qualsiasi espressione di mancato rispetto dell’integrità morale della persona, manifestata attraverso parole, scritti, disegni, suoni, ecc. L’illiceità dell’offesa non viene meno se il fatto attribuito alla persona risponda a verità o sia di pubblico dominio. Il DIRITTO ALL’IMMAGINE importa il divieto, a carico di terzi, di esporre, pubblicare o mettere in commercio il ritratto di altrui senza il consenso, anche solo implicito, dell’interessato. È consentita la diffusione dell’altrui immagine anche senza il consenso dell’interessato quando la stessa è giustificata dalla notorietà, dalla necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, dal collegamento a fatti di interesse pubblico o svoltisi in pubblico. IL DIRITTO ALLA RISERVATEZZA è da intendersi quale potere dell’interessato di evitare comportamenti di terzi volti a conoscere o a far conoscere vicende della propria vita personale o familiare che non avessero un interesse socialmente apprezzabile. Oggi la materia è regolamentata dal “Codice in materia di protezione dei dati personali” che attribuisce all’interessato, relativamente ai dati personali che lo riguardano, il diritto di vietare il loro trattamento ed il diritto di vigilare sul loro utilizzo. Il trattamento dei dati personali da parte di privati o di enti pubblici è ammesso solo con il CONSENSO ESPRESSO dall’interessato e sono state rese ad egli le informazioni relative alle finalità e modalità del trattamento cui i dati sono destinati. L’interessato ha diritto di ottenere da chiunque la conferma della detenzione o meno di dati che lo riguardano (DIRITTO DI ACCESSO). Ha diritto poi ad ottenere da chiunque li detenga l’integrazione dei dati personali I BENI sono una SPECIES all’interno del più ampio genus delle cose. Una cosa è una parte di materia, perciò non ogni cosa è un bene, ma tale è solo la cosa che possa essere fonte di utilità ed oggetto di appropriazione. Non sono beni né le cose dalle quali non si è in grado di trarre vantaggio alcuno (es. le stelle), né le RES COMMUNES OMNIUM (es. luce del sole). L’art 810 c.c. precisa che sono beni “ le cose che possono formare OGGETTO DI DIRITTI. In senso giuridico bene è non tanto la res come tale, quanto il diritto sulla res. Le cose che possono essere oggetto di diritti reali si caratterizzano per la loro corporeità o per la loro idoneità ad essere percepite con i sensi o con strumenti materiali (BENI MATERIALI O CORPORALI). Si comprendono tra i beni mobili materiali anche le energie naturali purchè abbiano un valore economico. Beni IMMATERIALI sono: i diritti che possono formare oggetto di negoziazione (es. il credito); gli strumenti finanziari destinati alla negoziazione sui mercati regolamentati; i dati personali ed il contenuto delle banche dati, le opere dell’ingegno. Beni immateriali sono poi considerati la ditta, l’insegna, il marchio, le invenzioni, ecc. Qualsiasi idea può, a certe condizioni, diventare un bene; tipico è il caso del knowhow. I beni si distinguono in: IMMOBILI, per tali intendendosi il suolo e tutto ciò che naturalmente o artificialmente è incorporato ad esso, i mulini, i bagni e gli edifici galleggianti ancorati alla riva; e MOBILI, ovvero tutti gli altri beni comprese le energie. Le vicende relative a talune categorie di beni (BENI REGISTRATI) sono oggetto di iscrizione in registri pubblici, che chiunque può liberatamene consultare. Nel nostro ordinamento sono istituiti il REGISTRO IMMOBILIARE, il PUBBLICO REGISTRO AUTOMOBILISTICO, i registri in cui sono pubblicate le vicende relative a navi e galleggianti, il REGISTRO AREONAUTICO NAZIONALE. Per PRODOTTI FINANZIARI si intendono tutte le forme di investimento di natura finanziaria (esclusi i depositi bancari e postali): ossia tutte le forme di impiego di risparmio effettuato in vista di un ritorno economico (pag. 179). Tra i prodotti finanziari, particolare rilievo occupano gli STRUMENTI FINANZIARI (azioni, obbligazioni ed altri titoli di debito, titoli di Stato ecc.). La legge impone a chiunque voglia fare un’OFFERTA AL PUBBLICO di prodotti finanziari l’obbligo di predisporre un PROSPETTO INFORMATIVO contenente tutte le informazioni necessarie affinché gli investitori possano pervenire ad un fondato giudizio sulla situazione patrimoniale e finanziaria, sui risultati economici ecc. I beni possono altresì distinguersi in: FUNGIBILI (di genere, o generici), ossia individuati con esclusivo riferimento alla loro appartenenza ad un determinato genere (es. denaro) e possono essere sostituiti indifferentemente con altri in quanto non interessa avere proprio quel bene, ma una data quantità di beni di quel genere (es una banconota da 100€ o 5 banconote da 20€); ed INFUNGIBILI, ossia individuati nella loro specifica identità (es. opera d’arte), tali sono solitamente i beni immobili. La distinzione tra cose fungibili ed infungibili serve altresì a distinguere il MUTUO dal COMODATO. I beni si distinguono anche in: CONSUMABILI, ovvero quelli che non possono arrecare utilità all’uomo senza perdere la loro individualità, cioè senza che il soggetto se ne privi (es. denaro); ed INCONSUMABILI, ovvero che sono suscettibili di plurime utilizzazioni senza essere distrutti nella loro consistenza (BENI DETERIORABILI). I beni consumabili sono detti ad utilità o fecondità semplice, i beni in consumabili ad utilità permanente o a fecondità ripetuta. I beni si distinguono ancora in: DIVISIBILI (suscettibili di essere ridotti in parti omogenee senza che se ne alteri la destinazione economica) ed INDIVISIBILI (es animale vivo). Distinguiamo inoltre tra : BENI PRESENTI (già esistenti in natura), BENI FUTURI (non ancora esistenti in natura). Quando le parti si affidano alla sorte (es. rete di pesci) il contratto è detto ALEATORIO, invece quando e se, generalmente, il bene futuro non viene ad esistenza, il contratto non produce effetto. I frutti si distinguono in FRUTTI NATURALI (prodotti direttamente da altro bene es. prodotti agricoli) e FRUTTI CIVILI (che si ritraggono dalla cosa come corrispettivo del godimento che altri ne abbia). Nel primo caso, perché si possa parlare di frutti occorre che la produzione abbia CARATTERE PERIODICO e non incida né sulla sostanza né sulla destinazione economica della cosa madre (es. il terreno). Finchè non avviene la separazione dal bene che li produce i frutti si dicono PENDENTI e sono considerati beni futuri; con la separazione verranno definiti FRUTTI SEPARATI. Nel secondo caso se do il mio appartamento in locazione ne ricavo un quid (corrispettivo) che non è naturalmente prodotto dalla mia cosa, ma ne è appunto il frutto civile. Per BENE SEMPLICE si intende un bene i cui elementi sono talmente compenetrati tra di loro che non possono staccarsi senza almeno alterare la fisionomia del tutto (es. animale). Per BENE COMPOSTO si intende quello risultante dalla connessione di più cose ognuna con propria rilevanza economica e giuridica (es. autovettura e vari pezzi). Se una cosa è posta a servizio di un’altra , senza rappresentare elemento indispensabile per la sua esistenza, ma per accrescerne pregio ed utilità, si ha la figura della PERTINENZA. Per la costituzione del rapporto pertinenziale debbono concorrere sia un elemento oggettivo (rapporto tra cosa accessoria e cosa principale), sia un elemento soggettivo (volontà di utilizzare una a favore dell’altra). Il vincolo pertinenziale può creare nei terzi la convinzione che le pertinenze appartengano al proprietario della cosa principale, in caso di CESSAZIONE essa non è opponibile ai terzi che abbiano anteriormente acquistato diritti sulla cosa principale. L’art 816 c.c. definisce UNIVERSALITA’ la pluralità di cose mobili che appartengono alla stessa persona e che hanno una destinazione unitaria. La dottrina distingue tra UNIVERSALITA’ DI FATTO (universitas facti o universitas rerum), costituita da più beni mobili unitariamente considerati; ed UNIVERSALITA’ DI DIRITTO (universitas iuris), costituita da più beni in cui la riduzione ad unità è operata dalla legge (es. eredità). Un posto particolare tra le combinazioni di cose spetta all’azienda, che il codice definisce come il complesso di beni organizzati dall’imprenditore per l’esercizio dell’impresa. È titolare dell’azienda anche chi (ad es. l’affittuario) non sia proprietario del complesso organizzato o dei singoli elementi costitutivi di essa, purchè organizzi e diriga ad un determinato fine produttivo o di scambio l’attività economica dell’azienda assumendone il rischio. L’imprenditore è chi esercita professionalmente un’attività economica organizzata al fine della produzione o dello scambio di beni o di servizi. L’impresa è l’attività economica svolta dall’imprenditore, l’azienda è invece il complesso dei beni di cui l’imprenditore si avvale per svolgere l’attività stessa. Si chiama PATRIMONIO il complesso dei rapporti attivi e passivi, suscettibili di valutazione economica, facenti capo ad un soggetto. Il patrimonio non è considerato come un bene unico, non è quindi un’universitas. Ogni soggetto ha UN SOLO patrimonio con il quale risponde dei propri debiti. I BENI PUBBLICI sono o BENI APPARTENENTI AD UN ENTE PUBBLICO O ASSOGGETTATI AD UN REGIME SPECIALE, diverso dalla proprietà privata, per favorire il raggiungimento dei fini pubblici cui questi cespiti sono destinati. Sono pubblici i BENI DEMANIALI, che si distinguono in beni del demanio necessario (immobili) in quanto appartenevano necessariamente allo Stato; ed in beni del demanio accidentale (immobili ed universalità di mobili) che possono appartenere anche a privati; ed i BENI DEL PATRIMONIO INDISPONIBILE. I beni demaniali non possono formare oggetto di negozi di diritto privato (incommerciabilità dei beni demaniali) e non possono formare oggetto di possesso. Essi sono disciplinati dal diritto pubblico. I beni non demaniali appartenenti ad un ente pubblico si definiscono BENI PATRIMONIALI e si distinguono in beni immobili e mobili del PATRIMONIO INDISPONIBILE e BENI DEL PATRIMONIO DISPONIBILE. CAPITOLO 9 – IL FATTO, L’ATTO ED IL NEGOZIO GIURIDICO Per fatto giuridico si intende qualsiasi avvenimento cui l’ordinamento ricolleghi conseguenze giuridiche. Su distinguono FATTI MATERIALI (quando si verifica un mutamento della situazione preesistente in “rerum natura” percepibile dall’uomo con i sensi – es. abbattimento di un albero) r fatti in senso ampio comprensivi sia di OMISSIONI sia di FATTI INTERNI o PSICOLOGICI. Si parla di fatti giuridici IN SENSO STRETTO o NATURALI quando le conseguenze giuridiche sono ricollegate ad un evento senza che assuma rilievo se a causarlo sia o meno l’uomo. Si parla invece di ATTI GIURIDICI , se l’evento causativo di conseguenze giuridiche postula un intervento umano. La giuridicità di un fatto dipende soltanto dalla circostanza estrinseca che derivi dall’evento, in forza di una norma giuridica che lo disponga, un effetto giuridico. Gli atti giuridici si distinguono in: atti conformi alle prescrizione dell’ordinamento (ATTI LECITI) ed atti compiuti in violazione di doveri giuridici e che producono la lesione del diritto soggettivo altrui (ATTI ILLECITI sec c.c. FATTI ILLECITI). I primi si distinguono in OPERAZIONI (o anche atti reali o materiali o comportamenti)che consistono in modificazioni del mondo esterno, e DICHIARAZIONI, che sono atti fatti di linguaggio diretti a comunicare ad altri il proprio pensiero. Tra le dichiarazioni le più rilevanti sono i NEGOZI GIURIDICI che esprimono le volontà dei privati di regolare in un determinato modo i propri interessi. Si dicono DICHIARAZIONI DI SCIENZA quelle con le quali comunica ad altri di essere a conoscenza diretta di una situazione o un atto del passato (es. confessione). Tutti gli atti umani consapevoli e volontari che non siano negozi giuridici, sono denominati ATTI GIURIDICI IN SENSO STRETTO (ATTI NON NEGOZIALI). I loro effetti giuridici sono disposti dall’ordinamento. Gli ATTI DOVUTI e SATISFATTIVI, consistono nell’adempimento di un obbligo (es. pagamento). Il NEGOZIO GIURIDICO è una “dichiarazione di volontà” con la quale vengono enunciati gli effetti perseguiti (INTENTO EMPIRICO) ed alla quale l’ordinamento giuridico ricollega effetti giuridici conformi al risultato voluto. Nel codice sono regolati il contratto, il testamento, il matrimonio e numerose altre figure negoziali, ma non il negozio giuridico in generale. Se il negozio giuridico è perfezionato con la dichiarazione di una sola parte si dice UNILATERALE (testamento); per parte s’intende un “centro d’interessi”. Perciò si può avere una parte composta da pluralità di persone (soggettivamente complesse). Se le dichiarazioni di volontà sono dirette a formare la formalità volontà di un organo pluripersonale, di una persona giuridica o di una collettività organizzata di individui, si ha l’atto COLLEGIALE nel quale si applica il principio di maggioranza. L’ATTO COMPLESSO consta di più volontà tendenti ad un fine comune che si fondono in modo da formarne una sola. Quando le dichiarazioni si fondono in una sola, il vizio di una di esse inficia senza rimedio la dichiarazione complessa. I negozi giuridici unilaterali si distinguono in RECETTIZI, se producono effetto indipendentemente dalla comunicazione ad uno specifico destinatario. Se le parti sono più di una si ha il negozio o BILATERALE o PLURILATERALE. Ulteriori distinzioni del negozio giuridico si ricollegano alla sua FUNZIONE (o causa). Si distinguono i negozi MORTIS CAUSA da quelli INTER VIVOS. Si distinguono i negozi PATRIMONIALI da quelli APATRIMONIALI. Nell’ambito dei patrimoniali si collocano i negozi di ATTRIBUZIONE PATRIMONIALE che tendono ad uno spostamento di diritti patrimoniali da un soggetto ad un altro. I negozi di attribuzione patrimoniale si distinguono in NEGOZI DI DISPOSIZIONE (immediata diminuzione del patrimonio mediante ALIENAZIONE O RINUNZIA) e NEGOZI DI OBBLIGAZIONE che danno luogo soltanto alla nascita di un obbligo. I negozi di disposizione si distinguono in negozi TRASLATIVI (a favore di altri), TRASLATIVO – COSTITUTIVI (diritto reale limitato su di un bene del disponente) ed ABDICATIVI. I NEGOZI DI ACCERTAMENTO si propongono soltanto di eliminare dubbi e controversie sulla situazione giuridica esistente. I negozi patrimoniali si possono distinguere in NEGOZI A TITOLO GRATUITO e NEGOZI A TITOLO ONEROSO. Quando un soggetto, per acquistare un qualsiasi tipo di diritto, beneficio o vantaggio, accetta un correlativo sacrificio, sostiene un negozio a titolo oneroso, mentre si dice a titolo gratuito il negozio per effetto del quale un soggetto acquisisce un vantaggio senza un correlativo sacrificio (art. 1767-1815-1709). Negozio ABDICATIVO è la rinunzia che è la dichiarazione unilaterale del titolare di un diritto soggettivo, diretta a dismettere il diritto stesso senza trasferirlo ad altri. Gli elementi o requisiti del negozio giuridico si distinguono in ESSENZIALI, senza i quali il negozio è nullo, ed ACCIDENTALI, che le parti sono libere o meno di apporre. I primi si dicono generali se riferiti ad ogni tipo di contratto e particolari se riferiti al particolare tipo considerato. I PRESUPPOSTI del negozio sono circostanze ESTRINSECHE al negozio indispensabili perché il negozio sia valido. La volontà del soggetto diretta a produrre effetti giuridici deve essere dichiarata e cioè esternata. A seconda dei modi in cui la dichiarazione avviene essa è TACITA o ESPRESSA. CAP. 10 – L’INFLUENZA DEL TEMPO SULLE VICENDE GIURIDICHE Spesso le attività giuridiche si devono compiere entro periodi di tempo determinati. Secondo l’art. 2963 c.c.: 1. Non si conta il giorno iniziale; 2. Si computa quello finale; 3. Il termine scadente il giorno festivo è prorogato al giorno seguente non festivo; 4. Se il termine è a mese, scade nel giorno corrispondente a quello del mese iniziale; (2ott-2nov); • prova precostituita o documentale (atto pubblico, scrittura privata, registrazione fonografica ecc.) • prova costituenda (testimonianza, presunzione, giuramento), che deve formarsi nel corso del giudizio. I DIRITTI REALI CAPITOLO 13 – I DIRITTI REALI IN GENERALE E LA PROPRIETA’ A. I DIRITTI REALI IN GENERALE L’espressione diritti reali è stata elaborata per raggruppare i diritti su cosa materiale determinata (iura in rem). Si ritiene che i diritti reali siano caratterizzati da: 1. immediatezza (ossia dalla possibilità, per il titolare, di esercitare direttamente il potere sulla cosa, senza necessità della cooperazione di terzi. 2. Assolutezza (ossia dal dovere di tutti i consociati di astenersi dall’interferire nel rapporto tra il titolare del diritto reale ed il bene che ne è oggetto e dalla possibilità del titolare di agire contro chiunque contesti o pregiudichi il suo diritto – c.d. efficacia erga omnes del diritto reale-) 3. Inerenza (ossia dall’opponibilità del diritto a chiunque possieda o vanti diritti sulla cosa). Queste caratteristiche non sono sempre e solo dei diritti reali. I diritti reali costituiscono un “numerus clausus” (è cioè precluso ai privati creare diritti reali diversi ed ulteriori rispetto a quelli espressamente disciplinati dalla legge) e, contestualmente, sono connotati dal carattere della “tipicità” (è cioè precluso all’autonomia dei privati di modificare la disciplina legale dei singoli diritti reali). Nell’ambito dei diritti reali si è soliti distinguere tra la proprietà (ius in re propria) e i c.d. ius in re aliena: cioè i diritti reali che gravano sui beni di proprietà altrui e che sono destinati a coesistere, comprimendolo, con il diritto del proprietario. I diritti reali in re aliena si distinguono a loro volta in “diritti reali di godimento” (superficie, enfiteusi, usufrutto, uso, abitazione, servitù prediali) e “diritti reali di garanzia” (pegno ed ipoteca): i primi attribuiscono al loro titolare il diritto di trarre dal bene talune delle utilità che lo stesso è in grado di fornire; i secondi attribuiscono al loro titolare il diritto di farsi assegnare il ricavato dell’eventuale alienazione forzata del bene, in caso di mancato adempimento dell’obbligo garantito. Collegate a situazioni didi dritto reale sono le c.d. “obbligazioni propter in rem” (o obbligazioni reali che si caratterizzano per il fatto che la persona dell’obbligato viene individuata in base alla titolarità di un diritto reale su di un determinato bene: così ad esempio, l’obbligo di sostenere le spese per la conservazione ed il godimento di un bene comune, grava su ciascun comproprietario). Da non confondere con l’obbligazione reale è l’ “onere reale”, in forza del quale il creditore, per il pagamento di somme di denaro o altre cose generiche da prestarsi periodicamente in relazione ad un determinato bene immobile, può soddisfarsi sul bene stesso, chiunque ne diventi proprietario o acquisti diritti reali di godimento o di garanzia su di esso. Si ritiene che l’unica ipotesi di onere reale prevista dal nostro codice civile sia costituita dai contributi consorziali B. LA PROPRIETA’ Tutte le proprietà sono INVIOLABILI. L’art. 832 cod. civ. enuncia il principio secondo il quale al proprietario spetta il diritto di “godere e disporre delle cose in modo pieno ed esclusivo”. La proprietà attribuisce dunque al titolare: a. Il potere di godimento del bene, per tale intendendosi il potere di trarre dalla cose le utilità che la stessa è in grado di fornire, decidendo se, come e quando utilizzarla: o direttamente, o indirettamente; b. Il potere di disposizione del bene, per tale intendendosi il potere di cedere ad altri, in tutto o in parte, diritti sulla cosa. Il potere di godimento e di disposizione che competono al proprietario sono, inoltre, “pieni ed esclusivi”. Da qui l’idea che la proprietà sia caratterizzata dai connotati: a. Della pienezza (diritto del proprietario di fare della cosa tutto ciò che vuole) b. Della esclusività (diritto del proprietario di vietare ogni ingerenza di terzi in ordine alle scelte che il proprietario si riserva di effettuare con totale arbitrio e discrezionalità) Il proprietario ha sì il diritto di godere delle cose in modo pieno ed esclusivo, ma entro i limiti e con l’osservanza degli obblighi stabiliti dall’ordinamento giuridico. Il codice civile detta una disciplina differenziata per la proprietà dei beni d’interesse storico ed artistico, per la proprietà rurale, per la proprietà edilizia, per la proprietà fondiaria: elaborando per ciascuna categoria di beni una serie di previsioni miranti a conciliare l’interesse egoistico del proprietario con l’interesse degli altri proprietari o della collettività. La proprietà si ritiene tradizionalmente caratterizzata: a. Dalla imprescrittibilità (v. cap 10) b. Dalla perpetuità c. Dall’elasticità La proprietà privata può essere, salvo indennizzo, espropriata per motivi d’interesse generale. A tal fine la Costituzione prevede che la posizione del privato possa essere sacrificata solo in presenza: a. Di un “interesse generale” b. Di una previsione legislativa che lo conserva (c.d. riserva di legge) c. Di un “indennizzo” che compensi il privato del sacrificio che subisce nell’interesse della collettività. Rientrano nella nozione di espropriazione anche quelle limitazioni che, pur non determinando per il proprietario la perdita del suo diritto, siano comunque tali da svuotare di contenuto il diritto di proprietà, incidendo sul godimento del bene tanto profondamente da renderlo inutilizzabile in rapporto alla destinazione inerente alla natura del bene stesso determinando il venir meno di una penetrante incisione del suo valor di scambio (c.d. esposizione larvata o limiti espropriativi). Nella nozione di espropriazione di beni immobili, secondo il D.P.R. 8 giugno 2001 n 327, rientra non solo l’ipotesi del passaggio di diritto di proprietà dal proprietario al beneficiario dell’espropriazione, ma anche quella del vincolo sostanzialmente espropriativo, ovvero quella in cui il fondo sia gravato da una servitù o subisca una permanente diminuzione di valore per la perdita o la ridotta possibilità di esercizio del diritto di proprietà. La Corte Costituzionale ha escluso che l’indennizzo debba necessariamente consistere in un integrale risarcimento del pregiudizio economico sofferto dall’espropriato; con la conseguenza che non è richiesto che l’indennizzo sia pari al “valore venale” (o di mercato) del bene. Al fine di incentivare la “cessione volontaria” della proprietà del bene dall’espropriando al beneficiario dell’espropriazione, la legge prevede che il corrispettivo della cessione sia, di regola, maggiore rispetto all’indennizzo. L’attività edilizia è subordinata: al previo rilascio, da parte dell’autorità comunale, di un permesso di costruire; alla segnalazione certificata di inizio di attività (SCIA); alla comunicazione di inizio dei lavori. La proprietà fondiaria si estende, in senso verticale, usque ad sideras, usque ad inferos, mentre in senso orizzontale, nell’ambito dei propri confini. Le consuetudini consentono talora l’accesso ai fondi altrui per passeggiare, raccogliere fiori, sciare, ecc. ed al fine di disciplinare i c.d. rapporti di vicinato tra proprietari di fondi contigui il codice detta una serie di regole inerenti agli atti emulativi, alle immissioni, alle distanze, ai muri, alle luci e vedute, alle acque ecc. Perché l’atto di godimento di un bene sia vietato devono concorrere due elementi: oggettivo (assenza di utilità per chi lo compie) e soggettivo (intenzione di nuocere o arrecare molestia agli altri). Tra i modi di acquisto della proprietà si suole distinguere tra : • Modi di acquisto a titolo derivativo, che importano la successione nello stesso diritto già appartenente ad un altro soggetto; • Modi d’acquisto a titolo originario, che determinano invece la nascita di un diritto nuovo Modi di acquisto della proprietà a titolo derivativo sono il contratto e la successione a causa di morte, oltre che l’espropriazione per pubblica utilità, la vendita forzata dei beni del debitore, la confisca ecc. Modi di acquisto della proprietà a titolo originario sono invece l’occupazione (appropriarsi di res nullius; ad es i pesci nel mare), l’invenzione (riguarda le cose smarrite), l’accessione, l’usucapione, il possesso in buona fede di beni mobili. a. L’accessione di mobile ad immobile importa che, di regola, qualunque piantagione, costruzione od opera esistente sopra o sotto il suolo appartiene al proprietario di questo. b. Accessione di immobile ad immobile: “alluvione” e “avulsione”. Gli incrementi di terreno di fondi rivieraschi dovuti all’azione dell’acqua, appartengono al proprietario del fondo incrementato. c. L’accessione di mobile a mobile dà luogo all’ “unione” (o commistione) e alla “specificazione”. A difesa della proprietà sono esperibili le c.d. “azioni petitorie” (che si dice abbiano natura reale in quanto volte a far valere un diritto reale) che sono: l’azione di rivendicazione, l’azione di mero accertamento della proprietà, l’azione negatoria, l’azione di regolamento dei confini e l’azione per apposizione di termini. L’azione di rivendicazione è concessa a chi si afferma proprietario di un bene ma non ne ha il possesso al fine di ottenere l’accertamento del suo diritto di proprietà sul bene stesso e la condanna di chi lo possiede o detiene alla sua restituzione. Chi sostiene di essere proprietario del bene, senza trovarsi in possesso della cosa è legittimato attivamente, mentre legittimato passivamente è colui che, avendo il possesso o la detenzione della cosa, ha la c.d. facultas restituendi . L’attore ha l’onere di dimostrare il suo diritto di proprietà. Soccorrono, peraltro, due istituti: • Rispetto ai beni mobili, sarà sufficiente che l’attore provi che avrebbe comunque acquisito la proprietà della cosa per effetto della regola “possesso vale titolo” • Rispetto ai beni immobili occorrerà invece che l’attore provi che, quand’anche avesse acquistato a non domino, avrebbe comunque acquisito la proprietà della cosa per usucapione. L’azione della rivendicazione è imprescrittibile, perché anche il non uso è una manifestazione di poteri che spettano al proprietario. Essa deve essere però rigettata se il convenuto dimostra di aver acquistato la proprietà della cosa per usucapione. Dall’azione di rivendicazione si distingue l’azione di restituzione. La prima, di carattere reale, presuppone che colui che si afferma proprietario pretenda la consegna del bene proprio per il fatto di esserne proprietario; l’azione di restituzione, di natura personale, presuppone, invece, che l’attore agisca in giudizio vantando un diritto alla restituzione nascente da un rapporto contrattuale, ovvero dalla sua risoluzione, dalla sua scadenza, ecc. Nell’azione di restituzione non occorre la prova del diritto di proprietà. L’azione di mero accertamento della proprietà è riconosciuta a chi ha interesse ad una pronuncia giudiziale che affermi, con l’efficacia del giudicato, il suo diritto di proprietà su di un determinato bene. L’azione è volta a rimuovere la situazione d’incertezza venutasi a creare in ordine alla proprietà della cosa. L’azione negatoria è concessa al proprietario di un bene al fine di ottenere l’accertamento dell’inesistenza di diritti reali vantati da terzi sul bene stesso, oltre che la condanna alla cessazione delle conseguenti molestie e turbative ed al risarcimento del danno. Anche l’azione negatoria è imprescrittibile. L’azione di regolamento di confini presuppone l’incertezza del confine tra due fondi ed è imprescrittibile. L’azione per apposizione di termini, presuppone la certezza del confine e serve a far apporre o a ristabilire i segni lapidei, simboli del confine tra due fondi, che manchino o siano divenuti irriconoscibili. CAPITOLO 14 – I DIRITTI REALI DI GODIMENTO I diritti reali su cosa altrui non costituiscono una parte o frazione del diritto di proprietà, ma una limitazione del diritto medesimo. I diritti reali su cosa altrui si distinguono in diritti reali di godimento (che comprimono il potere di godimento che spetta al proprietario) e diritti reali di garanzia (che comprimono il potere di disposizione che spetta al proprietario, in funzione di garanzia di crediti di terzi). I diritti reali di godimento, che costituiscono un numerus clausus, sono: la superficie, l’enfiteusi, l’usufrutto, l’uso, l’abitazione, la servitù prediale. I diritti di usufrutto e di uso possono avere ad oggetto sia beni mobili che immobili, mentre gli altri soltanto beni immobili. La superficie consiste: Nell’ipotesi in cui una pluralità di edifici, costituiti in distinti condomini, siano legati tra loro dall’esistenza di talune cose, impianti o servizi comuni si ha quel che viene comunemente denominato “supercondominio”. C. LA MULTIPROPRIETA’ Il termine “multiproprietà” indica un’operazione economica volta ad assicurare al c.d. multiproprietario un potere di godimento, che arieggia a quello che il codice riconosce al proprietario, su di un’unità immobile – completamente arredata e, normalmente, inserita in un più vasto insediamento turistico-residenziale (talora anche alberghiero e commerciale) – ma solo per un determinato e normalmente invariabile periodo dell’anno: mentre analogo potere, per restanti periodi, compete agli altri multiproprietari. CAPITOLO 16 – IL POSSESSO Avere il diritto di godere e disporre di un determinato bene è altro rispetto al fatto di effettivamente godere e disporre di detto bene. Il codice attribuisce rilevanza alle situazioni di fatto che si estrinsecano attraverso un’attività corrispondente all’esercizio di diritti reali (c.d. situazioni possessorie): e ciò a prescindere dalla circostanza che alle stesse corrisponda o meno la correlativa situazione di diritto. Il “factum possessionis” assicura al possessore determinati vantaggi (c.d. commoda possessionis): tra i più importanti, la tutela possessoria; l’acquisto della proprietà per usucapione o in forza della regola “possesso vale titolo”; la posizione di convenuto nell’azione di rivendica, nell’ambito della quale il possessore può limitarsi a dire possideo quia possideo e l’attore ha l’onere di fornire la prova del suo diritto di proprietà, non essendo sufficiente la prova che il convenuto non ha diritto al possesso, ecc. Tra “ius possessionis” e “ius possidendi” intercorre una differenza : • Il primo designa l’insieme dei vantaggi che il possesso, di per sé, genera a favore del possessore (commoda possessionis); • Il secondo designa la situazione di chi ha effettivamente diritto a possedere il bene: diritto che implica il potere di rivendicare il bene stesso presso chiunque lo possieda sine titulo. Il possesso, dunque, non è un diritto, bensì una situazione di fatto produttiva di effetti giuridici. Oggetto del possesso sono le “cose”, cioè i beni materiali (1140 comma 1). Si ritiene comunqmente che non possano essere oggetto di possesso le cose di cui non si può acquistare la proprietà (es. beni demaniali e del patrimonio dello Stato). Detti beni sono però suscettibili di tutela possessoria nei limiti indicati dall’art. 1145 comma 2 e 3 c.c. Occorre operare una distinzione tra: • Possesso pieno (o corpore et animo) che è caratterizzato dal concorso di due elementi costitutivi: l’uno oggettivo (c.d. corpus), consistente nell’avere il soggetto la disponibilità di fatto della cosa; l’altro soggettivo (c.d. animus detinendi), consistente nella volontà del soggetto di godere e disporre del bene, ma nel rispetto dei diritti che, sul medesimo bene, riconosce spettare ad altri. • Possesso mediato (o indiretto o solo animo), che è caratterizzato dal solo elemento soggettivo (c.d. animus possidendi), mentre la disponibilità materiale del bene compete al detentore. Secondo l’impostazione tradizionale, dunque, “possesso” (pieno) e “detenzione” sono caratterizzati dal medesimo elemento obiettivo: cioè la materiale disponibilità del bene (corpus). Ad esempio, il fatto oggettivo della guida di un veicolo può corrispondere sia ad una situazione possessoria che ad una situazione detentoria. Si distinguono tra loro invece in base all’elemento soggettivo (animus): animus detinendi nella detenzione, animus possidendi (rem sibi habendi) nel possesso. Ad es. se il soggetto alla guida del veicolo è un ladro, sarà “possessore”, se è un amico a cui ho prestato il mio veicolo, sarà “detentore”. Ai fini della qualificazione di una situazione di fatto come possessoria o detentoria rileva il titolo (animus) in forza del quale detta acquisizione si verifica. Il mutamento della detenzione in possesso – c.d. interversio possessionis – può avvenire solo se la modificazione dello stato psicologico del detentore venga manifestata all’esterno: a. In forza di opposizione (c.d. contradictio) dal dententore rivolta al possessore: in forza cioè di un atto, scritto o orale, dichiarativo o costituente una mera condotta materiale con cui il detentore manifesti inequivocabilmente l’intenzione di continuare, per il futuro, a tenere la cosa per sé e non più come detentore e, quindi, in nome del proprietario, bensì come possessore, per conto ed in nome proprio; b. In forza di causa proveniente da un terzo: in forza cioè di un atto con il quale l’attuale possessore – quand’anche non legittimato a disporre del bene – attribuisca al detentore il diritto corrispondente la propria posizione possessoria (es. il ladro che mi vende il mio bene). Il possesso si distingue, a sua volta, in: a. Possesso legittimo, che si ha allorquando il potere di godere e disporre del bene è esercitato dall’effettivo titolare del diritto di proprietà: in tal caso la situazione di fatto coincide esattamente con la situazione di diritto; b. Possesso illegittimo, che si ha allorquando il potere di godere e disporre del bene è esercitato, di fatto, da persona diversa dall’effettivo titolare del diritto di proprietà: in tal caso la situazione di fatto non coincide con la situazione di diritto; e si articola, a sua volta, in: -possesso (illegittimo) di buona fede, che si ha allorquando il possessore ha acquisito la materiale disponibilità del bene, ignorando di ledere l’altrui diritto (es. compro una collana d’oro senza aver ragione per sospettare che possa essere stata rubata); -possesso (illegittimo) di mala fede, che si ha allorquando il possessore ha acquisito la materiale disponibilità del bene, conoscendo il difetto del proprio titolo d’acquisto (es. occupo abusivamente un appezzamento di terra che mi è noto appartenere ad altri); -possesso (illegittimo) vizioso, che si ha allorquando il possessore ha acquisito la materiale disponibilità del bene non solo in mala fede, ma addirittura con la violenza (es. mediante rapina) o clandestinità. La buona fede, in materia di possesso, si presume. Pertanto grava su chi contesta la buona fede del possessore l’onere di provare la sua mala fede. Per qualificare il possesso come “di buona fede”, non occorre che la buona fede perduri per tuta la durata del possesso, ma è sufficiente che vi sia stata nel momento del suo acquisto. La detenzione si distingue, a sua volta, in: a. Detenzione qualificata, che si ha allorquando il detentore ha acquisito la materiale disponibilità del bene nell’interesse proprio o nell’interesse del possessore: nel primo caso si parla di detenzione (qualificata) autonoma; nel secondo, di detenzione (qualificata) non autonoma; b. Detenzione non qualificata, che si ha allorquando il detentore ha acquistato la materiale disponibilità del bene per ragioni di ospitalità o di servizio. Il codice limita la figura del possesso alle situazioni di fatto corrispondenti all’esercizio di diritti reali. Sul medesimo bene, così come possono gravare più diritti reali, possono coesistere più possessi di diverso tipo. L’acquisto del possesso può avvenire: a. In modo originario, con l’apprensione della cosa contro o senza la volontà di un eventuale precedente possessore (c.d. impossessamento) ed il conseguente esercizio sulla cosa stessa di poteri di fatto corrispondenti a quelli spettanti il titolare di un diritto reale; b. In modo derivativo, con la consegna (c.d. traditio) materiale o simbolica, del bene da parte del precedente al nuovo possessore. Vi sono due figure di traditio ficta: • La traditio brevi manu, che si ha allorquando il detentore acquista il possesso del bene (es. se il proprietario venda la casa all’inquilino); • Il costituto possessorio, che si ha allorquando il possessore, perdendo il possesso, acquista però la detenzione del bene (es. se chi acquista un immobilecontemporaneamente lo cede in locazione al venditore) Poiché il possesso è una situazione di fatto, per il trasferimento di esso occorrerebbero, da un lato, un contratto purchè astrattamente idonea a trasferire il diritto reale e, dall’altro, la traditio. La perdita del possesso si verifica per il venir meno di uno o di entrambi gli elementi del possesso: cioè del corpus e/o dell’animus possidendi. Per la perdita del corpus non è sufficiente una semplice dimenticanza momentanea del bene - né, tantomeno, un occasionale distacco fisico dalla cosa, che non precluda però al soggetto di ripristinare il rapporto materiale con la stessa – occorrendo invece la sua definitiva irreperibilità od irrecuperabilità da parte del possessore. Il possesso, alla morte del possessore, continua in capo al suo successore a titolo universale (ipso iure) e con quei medesimi caratteri che aveva rispetto al defunto: si parla in tal caso di successione nel possesso. Ben diversa dalla successione nel possesso (applicabili soltanto agli eredi- succ. a titolo univ.-), è l’accessione del possesso, applicabile solo a chi acquista il possesso a titolo particolare (compratore, legatario, ecc.). L’acquirente a titolo particolare acquista un possesso nuovo, diverso da quello del suo dante causa. Pertanto può essere in buona fede, benchè il suo dante causa fosse in mala fede, e viceversa. Il possesso rileva principalmente tali effetti: a. Quale titolo per l’acquisto dei frutti del bene posseduto e per il rimborso delle spese sullo stesso effettuate; b. Quale possibile presupposto per l’acquisto della proprietà del bene posseduto; c. Quale oggetto di tutela contro le altrui aggressioni. Se acquisto un bene da chi non ne è proprietario (c.s. acquisto a non domino), non ne divento proprietario: e ciò per la semplice ragione che colui che mi ha alienato il bene non era legittimato a farlo. Se per i beni immobili e per i beni mobili c.d. registrati, il legislatore ha ovviato a siffatto pericolo mediante l’istituzione di pubblici registri, per quel che riguarda i beni mobili (non registrati) ha dettato la regola “possesso vale titolo”. In forza di detta regola, chi acquista un bene a non domino ne diventa, ciò nonostante, proprietario, purchè concorrano i seguenti presupposti: a. Che l’acquisto riguardi beni mobili (non registrati) suscettibili di possesso; b. Che l’acquirente possa vantare un titolo idoneo al trasferimento della proprietà: cioè che non presenti altro vizio se non quello di essere stipulato da chi non è legittimato a disporre del bene c. Che l’acquirente, oltre ad aver stipulato l’atto d’acquisto del bene mobile, ne abbia altresì acquistato il possesso: il legislatore tutela l’acquirente solo se vi sia già stata la consegna (traditio) a favore di quest’ultimo, altrimenti preferisce tutelare ancora il precedente dominus; d. Che l’acquirente sia in buona fede nel momento in cui il bene gli viene consegnato, ma occorre altresì che tale ignoranza non dipenda da sua colpa grave. Tuttavia, siccome per chi si trova nel possesso di una cosa la buona fede è presunta, incombe su chi intenda contestarne l’acquisto l’onere di provare la mala fede del possessore. La buona fede è esclusa se l’acquirente conosce l’illegittima provenienza della cosa. Quello realizzato in forza dell’applicazione della regola possesso vale titolo, costituisce, secondo l’opinione prevalente, acquisto a titolo originario. Può darsi che taluno alieni il medesimo bene mobile a più persone (es. tizio vende lo stesso orologio prima a Caio e poi a Sempronio), o costituisca lo stesso diritto a favore di più persone(es. Tizio costituisce il diritto di usufrutto prima a favore di Caio, poi a favore di Sempronio), o cerchi di trasferire a persone diverse diritti tra loro incompatibili (es. Tizio cede a Caio la proprietà dell’orologio, poi costituisce a favore di Sempronio il diritto di usufrutto sul medesimo orologio). Se Tizio ha alienato il bene il 1° novembre a Caio ed il 15 novembre a Sempronio, questa seconda alienazione non dovrebbe avere effetti; ma, se Tizio ha trasmesso a Sempronio, che in buona fede ignorava la prima alienazione, il possesso, non può non applicarsi il principio “possesso di buona fede vale titolo”: Sempronio acquista la proprietà della cosa e Caio non può più rivendicarla, salva la possibilità di agire contro Tizio per risarcimento danni. Perciò l’art. 155 c.c. stabilisce che, se taluno con successivi contratti aliena a più persone un bene mobile, tra queste quella che per prima ne acquista in buona fede il possesso è preferita alle altre, anche se il titolo è di data posteriore. I princìpi fin qui esaminati, relativi agli effetti del possesso di buona fede, non si applicano alle universalità di mobili e ai beni mobili iscritti ai pubblici registri. Le ragioni di tale sclusione sono evidenti. Per quanto riguarda le universalità di mobili, il legislatore preferisce sollecitare l’attenzione di chi voglia acquistare un siffatto complesso di beni, evitando che questi possa accontentarsi dell’apparente titolarità di chi si accinga a compiere atti di disposizione dell’universitas. Viene tutelato non già chi per primo acquista il possesso in buona fede, bensì chi può vantare un valido titolo d’acquisto di data anteriore. Per quanto riguarda invece i beni mobili inscritti in pubblici registri, trovano applicazione – come per gli immobili – i princìpi relativi alla trascrizione, in virtù dei quali viene tutelato non già chi per primo acquista il bene in buona fede, bensì chi per primo provvede alla trascrizione del suo titolo. c. La proporzionalità tra la prestazione eseguita ed i mezzi di cui l’adempiente dispone e l’interesse da soddisfare. Il diritto dell’accipiens di non restituire la prestazione effettuata a suo favore in adempimento di un’obbligazione naturale costituisce l’unico effetto dell’obbligazione naturale stessa. I soggetti attivo e passivo del rapporto obbligatorio – cioè, il creditore ed il debitore – debbono essere determinati o, quanto meno, determinabili. La titolarità (passiva) del rapporto obbligatorio si determina in base alla titolarità della proprietà o di altro diritto reale su di un determinato bene (es. le spese condominiali gravano sui proprietari delle singole unità immobiliari in proporzione al valore delle singole proprietà): si parla allora di “obbligazioni propter rem” (ovvero di obbligazioni reali). La “obbligazione plurisoggettiva” ricorre in caso di: a. obbligazione solidale, che si ha allorquando: • passiva: ciascuno dei più debitori è obbligato ad effettuare a favore dell’unico creditore l’intera prestazione e l’esecuzione di questa, fatta da uno qualsiasi di essi, ha effetto liberatorio a favore di tutti gli altri; • attiva: ciascuno dei più creditori ha diritto, nei confronti dell’unico debitore, all’intera prestazione e l’esecuzione fatta a favore di uno dei creditori estingue l’obbligazione; b. obbligazione parziaria, che si ha allor quando: • passiva: ciascuno dei debitori è tenuto ad eseguire una parte soltanto dell’unitaria prestazione, mentre la restante parte della medesima prestazione deve essere eseguita, da ciascuno per la sua parte, dagli altri condebitori; • attiva: ciascuno dei più creditori ha diritto ad una parte soltanto dell’unitaria prestazione L’art 1294 c.c. statuisce il principio secondo cui, in caso di pluralità di debitori di una medesima prestazione, gli stessi sono “tenuti in solido” (c.d. presunzione di solidarietà passiva). Concentrando l’attenzione sull’obbligazione solidale passiva va rilevato che: a. nei rapporti esterni fra debitore e creditore, valgono i seguenti princìpi: • il creditore può rivolgersi, per ottenere l’intera prestazione, ad uno qualsiasi o a taluni dei coobbligati. Il coobbligato richiesto della prestazione non potrà esimersi dall’adempimento integrale; salve che la legge o il titolo non prevedano, a suo favore, il c.d. beneficio di escussione; • l’effettuazione integrale della prestazione, ad opera di uno dei coobbligati, estingue l’obbligazione • il condebitore, cui sia richiesta l’esecuzione della prestazione, può opporre al creditore le c.d. eccezioni comuni, ma non quelle c.d. personali altrui • la costituzione in mora di uno dei condebitori in solido non vale a costituire in mora gli altri • gli atti con i quali il creditore interrompe la prescrizione contro uno dei debitori in solido hanno effetto anche riguardo agli altri condebitori; • la rinuncia, da parte del creditore, alla solidarietà a favore di uno dei condebitori non incide sulla natura solidale dell’obbligazione degli altri condebitori. b. Nei rapporti interni fra coobbligati valgono i seguenti princìpi: • Il carico della prestazione si divide fra i vari condebitori in parti che si presumono eguali, se non risulta diversamente, salvo che l0obbligazione non sia sorta nell’interesse esclusivo di alcuno dei condebitori; • Se uno dei condebitori solidali ha corrisposto al creditore l’intera prestazione, ha diritto di richiedere a ciascuno degli altri la parte di rispettiva competenza; • Nell’ipotesi in cui uno o più degli obbligati in via di regresso risulti insolvente, la perdita si ripartisce tra tutti gli altri condebitori. Le obbligazioni si distinguono in: a. Indivisibili, per tali intendendosi quelle che hanno ad oggetto una prestazione non suscettibile di adempimento parziale; b. Divisibili, che sono le altre. L’obbligazione plurisoggettiva indivisibile è solidale. La prestazione cui è tenuto il debitore deve: a. Essere suscettibile di valutazione economica ( c.d. requisito della patrimonialità della prestazione); b. Rispondere ad un interesse (anche non patrimoniale) del creditore. In relazione al tipo di prestazione dovuta le obbligazioni si distinguono tradizionalmente a seconda che la stessa consista: a. In un dare, cioè nel trasferimento del diritto su un bene o nella consegna di un bene (obbligazione specifica e obbligazione generica); b. In un facere, cioè nel compimento di un’attività materiale o giuridica; c. In un non facere, cioè nell’osservanza di una condotta omissiva, consistente in un non dare o in un non facere: obbligazione negativa. È inoltre necessaria la distinzione all’interno delle obbligazione di facere fra: a. Obbligazioni di mezzi, in cui il debitore è tenuto a svolgere una determinata attività, senza però garantire che per il creditore ne derivi il risultato sperato; b. Obbligazioni di risultato, in cui il debitore è tenuto invece a realizzare proprio un determinato risultato quale esito della propria attività: il risultato sperato fa parte della prestazione dovuta. La prestazione si distingue ancora in: • Fungibile, se per il creditore non sono rilevanti né l’identità né le qualità personali di chi la esegue; • Infungibile, nel caso contrario Per l’esistenza di un’obbligazione è necessario che la prestazione dovuta sia possibile, lecita, determinata o determinabile. “Oggetto” dell’obbligazione è la prestazione dovuta. Con riferimento alle obbligazioni di dare, avendo riguardo all’oggetto dovuto, si distinguono le obbligazioni generiche, dalle obbligazioni specifiche. L’obbligazione generica si trasforma in specifica quando si perviene all’individuazione delle res scelte per adempiere. Nelle obbligazioni di fare, quando la prestazione consista nel procurare un opus al creditore, si parla talvolta di quest’ultimo come oggetto dell’obbligazione. Sempre in riferimento alla prestazione dovuta si suole distinguere fra: • Obbligazioni semplici, che hanno ad oggetto un’unica prestazione; • Obbligazioni alternative, che hanno ad oggetto due o più (obbligazioni con alternativa multipla) prestazioni, ma il debitore si libera eseguendone una sola; • Obbligazioni facoltative, che hanno ad oggetto una sola prestazione, ma il debitore ha facoltà di liberarsi eseguendone un’altra. L’obbligazione più diffusa nella prassi è quella “pecuniaria”; quella cioè in cui il debitore è tenuto a dare al creditore una somma di danaro. I debiti pecuniari vanno estinti mediante moneta avente corso legale nello Stato al tempo del pagamento. L’art. 1277 comma 1 c.c. codifica il c.d. principio nominalistico secondo il quale il debitore di libera pagando, alla scadenza, la medesima quantità di pezzi monetari inizialmente fissata, nonostante il tempo passato dalla costituzione del debito ed indipendentemente dal fatto che, nel frattempo, il potere d’acquisto del denaro sia più o meno sensibilmente diminuito. In forza del principio nominalistico, quindi, il rischio del deprezzamento monetario grava sul creditore. Si sottraggono all’applicazione del principio nominalistico tutte quelle obbligazioni – c.d. obbligazioni di valore – aventi originariamente ad oggetto una prestazione diversa dalla dazione di una somma di danaro, rappresentando la moneta solo un bene sostitutivo di una prestazione con diverso oggetto. Quella agli interessi è una particolare obbligazione pecuniaria, avente carattere accessorio rispetto ad un’obbligazione principale anch’essa a contenuto pecuniario. Gli interessi si distinguono in: a. Legali, se dovuti in forza di una previsione di legge; b. Convenzionali, se dovuti in forza di un accordo fra creditore e debitore, non importa se contestuale o successivo al sorgere del credito. Quanto alla loro funzione, gli interessi, vengono normalmente distinti in: a. Corrispettivi, che sono quelli dovuti al creditore sui capitali concessi a mutuo; nonché quelli dovuti sui crediti liquidi ed esigibili di somme di danaro: essi rappresentano una sorta di corrispettivo per il godimento che il debitore ha del danaro del creditore; b. Compensativi, che sono quelli dovuti al creditore di obbligazioni c.d. di valore: essi rappresentano una sorta di compenso del danno dal creditore sofferto per il mancato tempestivo ottenimento della prestazione dovutagli; c. Moratori, che sono dovuti dal debitore in mora al creditore di obbligazioni aventi ad oggetto una somma di danaro: essi rappresentano una sorta di risarcimento per il ritardo con cui il creditore riceve il pagamento dovutogli. Il tasso si distingue in: • Legale, che è fissato dall’art 1284 comma 1 c.c., di regola, in musa pari al 5% in ragione d’anno, ma può venire annualmente modificato con decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze. Il tasso legale si applica sia agli interessi legali che a quelli convenzionali, sia agli interessi corrispettivi, che a quelli compensativi, che a quelli moratori, qualora le parti non abbiano determinato la misura. • Convenzionale, che viene fissato per accordo fra debitore e creditore. In ogni caso le parti non possono fissare un tasso d’interesse superiore di oltre quattro punti percentuali rispetto al tasso effettivo globale medio di interesse praticato dalle banche e dagli intermediari finanziari, così come trimestralmente rilevato con decreto del Ministro dell’Economia e delle Finanze, maggiorato del 25%. Comunque, il tasso non può essere superiore a otto punti percentuali rispetto al tasso medio così rilevato (tassi usurari). Sugli interessi scaduti non maturano interessi (c.d. interessi anatocistici) – non è cioè prevista, di regola, la c.d. capitalizzazione degli interessi scaduti – salvo che, trattandosi di interessi primari scaduti e dovuti da almeno sei mesi, non intervenga: a. Una domanda giudiziale appositamente diretta al conseguimento degli interessi anatocistici; b. Una convenzione, posteriore alla scadenza degli interessi primari, che li preveda. CAPITOLO 19 – MODIFICAZIONE DEI SOGGETTI DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO La successione nel debito e nel credito può verificarsi: a. Nell’ambito di una successione a titolo universale, nel qual caso la modificazione riguarda contemporaneamente tutti i rapporti facenti parte del patrimonio del dante causa, ad esclusione dei soli rapporti intrasmissibili; b. Per effetto di una successione a titolo particolare (nel credito o nel debito), nel quale caso la modificazione riguarda il singolo rapporto. A. MODIFICAZIONI NEL LATO ATTIVO DEL RAPPORTO OBBLIGATORIO La modificazione del soggetto attivo del rapporto obbligatorio può realizzarsi per atto inter vivos – a titolo particolare – mediante le figure: ricevere l’adempimento non si libera dall’obbligazione. Il debitore di libera altresì se paga, in buona fede, ad una persona che, in base a circostanze univoche, appare essere il creditore; il creditore apparente è poi tenuto alla restituzione verso il vero creditore. Il luogo dell’adempimento è di regola determinato nel titolo costitutivo del rapporto, o dagli usi, o dalla natura della prestazione. Per quanto riguarda il tempo dell’adempimento, si deve osservare che: a. Se l’obbligazione è ad esecuzione continua o ad esecuzione periodica (c.d. obbligazione di durata), occorre determinare il momento iniziale ed il momento finale della prestazione dovuta; b. Se è invece ad esecuzione istantanea, occorre determinare il dies solutionis. Il termine è spesso indicato nel titolo costitutivo dell’obbligazione e può essere o a favore del debitore, o a favore del creditore, o a favore di entrambi. Qualora il titolo nulla preveda relativamente al tempo dell’adempimento, la regola generale è che il creditore possa pretendere immediatamente il pagamento (principio dell’immediata esigibilità della prestazione). Quando la prestazione è infungibile, il creditore può legittimamente rifiutare la prestazione che il debitore gli proponga di far eseguire da un suo sostituto. Se invece la prestazione è fungibile, il creditore non può legittimamente rifiutare la prestazione che gli venga offerta da un terzo. Per la realizzazione dell’adempimento è necessaria la cooperazione del creditore in quanto egli, non sempre ha interesse a liberare il debitore. Qualora, senza legittimo motivo, rifiuti di ricevere l’adempimento offertogli dal debitore o ometta di compiere gli atti preparatori per il ricevimento della prestazione, il creditore viene costituito in mora (c.d. mora credendi o accipiendi), se il debitore gli faccia offerta della prestazione. L’offerta, consistente nella dichiarazione del debitore di volersi liberare dalla sua obbligazione, può essere: a. Solenne (o formale) quando è compiuta da un pubblico ufficiale; b. Secondo gli usi, con la differenza, rispetto all’offerta solenne, che gli effetti della mora si verificano non dal giorno dell’offerta, ma da quello del deposito delle cose dovute. In ogni caso, perché il debitore ottenga la liberazione dall’obbligazione, è necessario, se l’obbligazione ha ad oggetto la consegna di beni mobili, il loro deposito e, se l’obbligazione ha ad oggetto la consegna di immobili, la consegna di essi al sequestratario nominato dal giudice. Quando tra due persone intercorrono rapporti obbligatori reciproci, nel senso che il soggetto creditore in un rapporto è, al tempo stesso, debitore in un altro rapporto, i due rapporti possono estinguersi mediante “compensazione” tra i rispettivi crediti. La compensazione in senso proprio postula l’autonomia dei reciproci rapporti di debito/credito; non è quindi configurabile allorchè gli stessi traggano origine da un unico rapporto. La compensazione non è ammessa tra un’obbligazione civile ed una naturale. La legge prevede tre tipi di compensazione: a. Legale (quando i crediti reciproci fra le parti presentano i caratteri dell’omogeneità, della liquidità e dell’esigibilità); b. Giudiziale (quando nel corso di un giudizio viene invocato un credito liquido ed esigibile e l’altra parte oppone in compensazione controcredito omogeneo ed anch’esso esigibile, ma non ancora liquido); c. Volontaria (quando le parti, in forza di uno specifico accordo, rinunciano scambievolmente ai rispettivi crediti). Qualora le qualità di creditore e di debitore vengano a trovarsi riunite nella stessa persona, l’obbligazione si estingue per confusione. La novazione è un contratto con il quale i soggetti di un rapporto obbligatorio sostituiscono un nuovo rapporto a quello originario. Si distingue tra: a. Novazione soggettiva, allorquando la sostituzione riguarda la persona del debitore che viene liberato; b. Novazione oggettiva, quando la sostituzione riguarda l’oggetto o il titolo. Perché si abbia novazione oggettiva debbono concorrere due presupposti • Uno oggettivo, consistente nella modificazione sostanziale dell’oggetto della prestazione o nella modificazione del titolo del rapporto; • Uno soggettivo, consistente nella comune inequivoca volontà di estinguere l’obbligazione precedente, che può risultare anche tacitamente. La remissione consiste in un negozio unilaterale recettizio, in forza del quale il creditore rinuncia, parzialmente o totalmente, al proprio credito. La remissione estingue oggettivamente il debito; con il pactum de non petendo, invece, il creditore si obbliga a non chiedere l’adempimento, ad es. prima di un dato tempo. L’impossibilità originaria della prestazione impedisce il sorgere del rapporto obbligatorio. L’impossibilità sopravvenuta al suo nascere ne determina, invece, l’estinzione, qualora dipenda da causa non imputabile al debitore. Per impossibilità sopravvenuta non imputabile al debitore si intende quella situazione impeditiva dell’adempimento non prevedibile al momento del sorgere del rapporto obbligatorio e non suoerabile con lo sforzo che può essere legittimamente richiesto al debitore. Ai fini dell’estinzione dell’obbligazione, occorre distinguere fra: a. Impossibilità definitiva (irreversibile- estingue automaticamente l’obbligazione); b. Impossibilità temporanea (transitoria). Occorre inoltre distinguere tra: a. Impossibilità totale; b. Impossibilità parziale. CAPITOLO 21 – L’INADEMPIMENTO E LA MORA Il debitore è tenuto ad eseguire esattamente la prestazione dovuta: se non lo fa, incorre nell’inadempimento. Perché si abbia inadempimento è, di regola, necessario che sia già maturato il tempo dell’adempimento. L’inadempimento può essere: a. Totale, quando la prestazione è mancata interamente b. Parziale, quando la prestazione è stata sì effettuata, ma non correttamente (c.d. inadempimento inesatto) L’inadempimento può ancora distinguersi in: a. Assoluto (o definitivo), quando è escluso che possa essere effettuato in futuro b. Relativo, se la prestazione non è stata ancora eseguita, ma potrebbe esserlo in futuro: in tal caso si parla di ritardo, che è una situazione transitoria destinata a spociare o in un adempimento tardivo, o in un inadempimento definitivo. Il debitore che non esegue esattamente la prestazione dovuta è tenuto al risarcimento del danno, se non prova che l’inadempimento o ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile. Si parla in questo caso di “responsabilità contrattuale”, per tale intendendosi la responsabilità per inadempimento non già del contratto, bensì dell’obbligazione, qualunque ne sia la fonte. In ipotesi di inadempimento assoluto, la prestazione risarcitoria si sostituisce alla prestazione originaria rimasta ineseguita e che più non potrà esserlo. In ipotesi di inadempimento relativo, la prestazione risarcitoria si aggiunge a quella originaria, la quale continua anch’essa ad essere dovuta. Il debito deve sempre rispondere alle conseguenze dannose dell’inadempimento. Il regime della responsabilità contrattuale varia a seconda del tipo di obbligazione concretamente presa in considerazione. In molte ipotesi il debitore va esente da responsabilità sol che abbia impiegato, nell’adempimento, la diligenza, la prudenza, la perizia richiestegli: in tal caso, si dice, il debitore risponde per colpa. Il principio per cui il debitore risponde per colpa vale per quelle che abbiamo definito come “obbligazioni di mezzi”. Vi sono ipotesi in cui il debitore risponde, invece, anche se nessuna negligenza può essergli imputata. Ciò accade ad es. per l’obbligo, gravante sul vettore nel contratto di trasporto di cose, di evitare la perdita o l’avaria delle cose consegnategli per il trasporto: il vettore risponde della perdita e dell’avaria anche se le cose sono andate distrutte senza sua colpa. Per la medesima ragione, anche il debitore di una somma di denaro, risponde pur in assenza di una sua condotta colpevole. Un’ulteriore ipotesi di responsabilità dell’obbligato che prescinde da sua colpa è contemplata dall’art 1228 c.c., laddove statuisce che il debitore risponde dei fatti dolosi o colposi dei terzi (c.d. ausiliari) di cui si sia avvalso nell’adempimento dell’obbligazione. In tutte questa ipotesi si parla talora di “responsabilità oggettiva” (per tale intendendosi quella in cui la mancanza di colpa dell’obbligato non è, di per sé, sufficiente ad esonerarlo dalla responsabilità per inadempimento). Grava sul debitore l’onere di fornire la prova dell’eventuale sussistenza di una “causa di giustificazione”, atta ad esonerarlo da responsabilità contrattuale. Il danno varia a seconda che si tratti di: a. Inadempimento assoluto; b. Inadempimento relativo. Il risarcimento del danno deve comprendere così la perdita subita dal creditore come il mancato guadagno. Risarcibile è non solo il danno patrimoniale, ma anche il danno non patrimoniale. È risarcibile soltanto il danno che sia conseguenza immediata e diretta dell’inadempimento. Se l’inadempimento o il ritardo non dipendono da dolo, il risarcimento è limitato al danno che poteva prevedersi nel tempo in cui è sorta l’obbligazione. Quando pretende il risarcimento, il creditore ha l’onere di provare le singole voci di danno per le quali pretende di essere risarcito. Difatti, per potersi procedere alla c.d. liquidazione del danno, occorre innanzitutto accertare tutti gli elementi di cui tener conto. Per sfuggire a questo onere, il creditore può pattuire con il debitore, ex ante, una clausola penale in forza delle quali le parti stabiliscono quanto dovrà il debitore in caso di inadempienza. Nelle obbligazioni pecuniarie, dal giorno della mora, il debitore che non abbia puntualmente pagato la somma dovuta, è tenuto automaticamente a pagare, in aggiunta al capitale che avrebbe dovuto versare, anche gli “interessi moratori”. La più recente giurisprudenza ritiene che al creditore vada, di regola, riconosciuto il risarcimento del maggior danno, in misura presuntivamente pari alla differenza tra il tasso di rendimento netto dei titoli di Stato di durata non superiore ai dodici mesi e quello degli interessi legali, se inferiore. La liquidazione del danno deve essere diminuita se, a determinare il danno, ha concorso il fatto colposo del creditore. Parimenti, il creditore ha il dovere di non aggravare il pregiudizio arrecatogli dall’inadempienza: quindi, il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza. Il ritardo (o inadempimento relativo) va distinto dalla mora del debitore (c.d. mora debendi). Quest’ultima si ha allorquando concorrano tre presupposti: a. Il ritardo nell’adempimento dell’obbligazione; b. L’imputabilità di detto ritardo al debitore; c. L’intimazione (o richiesta) per iscritto, da parte del creditore al debitore, di adempiere, seppure tardivamente. Tale ultimo presupposto non è necessario e , quindi, la mora si ha automaticamente al solo verificarsi del ritardo imputabile al debitore (c.d. mora ex re), quando: a. L’obbligazione derivi da fatto illecito; b. Il debitore dichiari per iscritto di non voler adempiere l’obbligazione; si parla in tal caso di “cauzione” (o deposito cauzionale). Se sorge il credito, il creditore lo compensa, in tutto o in parte, con il debito che ha verso chi ha prestato la cauzione. Nell’ipotesi in esame passa al creditore la proprietà della quantità di cose fungibili ricevuta, con l’obbligo di restituirne il tantundem. L’istituto assume il nome di “pegno irregolare”. Un diritto di pegno (regolare) può essere costituito a favore del creditore, mediante apposito accordo contrattuale, dal debitore oppure anche da un terzo. La costituzione del pegno potrebbe avvenire perfino con un accordo verbale: in ogni caso, la convenzione costitutiva di pegno si perfeziona con la consegna della cosa al creditore o ad un terzo designato dalle parti. L’effetto principale del pegno consiste nell’attribuire al creditore pignoratizio una prelazione rispetto agli altri eventuali creditori; è inoltre indispensabile che il pegno sia reso oppinibile ai terzi.a questo fine è necessario: a. Che il contratto costitutivo del pegno risulti da atto scritto; b. Che la relativa scrittura abbia data certa; c. Che nella scrittura risultino specificamente indicati sia il credito garantito ed il suo ammontare, sia il bene costituito in pegno. Infine per la costituzione del pegno occorre lo spossessamento del debitore nel senso che la cosa oggetto del pegno deve essere consegnata al creditore, o ad un terzo di comune fiducia. Solo ricorrendo queste condizioni il creditore acquista lo ius praelationis. Per ii pegno di un credito occorrono, ai fini della prelazione, l’atto scritto e la notifica al debitore della costituzione del pegno, ovvero l’accettazione da parte di quest’ultimo con un atto di data certa. Gli effetti prodotti dalla costituzione del pegno possono così riassumersi: a. Il creditore, se la cosa data in pegno non è affidata alla custodia di un terzo, ha il diritto di trattenerla e l’obbligo di custodirla; se perde il possesso, può esercitare l’azione di spoglio ed anche l’azione petitoria di rivendicazione, se questa spetta al costituente; b. Il pegno non può attribuire poteri che vanno al di là della funzione di garanzia: perciò il creditore non può usare o disporre della cosa; il creditore può far i suoi frutti della cosa e la deve restituire quando il debito è stato interamente pagato; c. Il creditore può chiedere che il bene sia venduto ai pubblici incanti, previa intimazione del debitore, e può anche domandare al giudice che la cosa gli venga assegnata in pagamento secondo la stima del bene stesso È in questa fase che si realizza il può importante degli effetti dell’istituto: il diritto di soddisfarsi con prelazione rispetto agli altri creditori sul prezzo ricavato dall’espropriazione. L’ipoteca è un diritto reale di garanzia, che attribuisce al creditore il potere di espropriare il bene sul quale l’ipoteca è costituita (c.d. ius distrahendi) e di essere soddisfatto con preferenza sul ricavato dell’espropriazione. L’ipoteca attribuisce al titolare di essa il diritto di sequela e presenta i seguenti caratteri: a. Specialità, in quanto non può cadere se non su beni determinati; b. Indivisibilità, in quanto l’ipoteca grava per intero sopra tutti i beni vincolati, sopra ciascuno di essi e sopra ogni loro parte. Se il fondo sul quale è concessa ipoteca viene diviso, può essere espropriata parte di esso, sempre per il soddisfacimento dell’intero credito; inoltre l’ipoteca resta a garantire il credito fino a quando non sia totalmente estinto: essa, perciò, continua a sussistere anche se il debitore ha pagato una parte del debito. Carattere precipuo dell’ipoteca è la sua pubblicità: non esistono ipoteche occulte; chiunque deve essere in grado di riconoscere se un bene è ipotecato o meno. La pubblicità dell’ipoteca ha carattere costitutivo: il diritto di ipoteca si costituisce mediante iscrizione nei pubblici registri immobiliari. Questa è essenziale per il sorgere dell’ipoteca: non solo rispetto ai terzi, ma anche tra le parti. Oggetto dell’ipoteca possono essere gli immobili con le loro pertinenze, i mobili registrati e le rendite dello Stato. Possono altresì formare oggetto di ipoteca l’usufrutto su beni immobili, il diritto di superficie, la nuda proprietà, il diritto dell’enfiteuta, ed il diritto del concedente sul fondo enfiteutico. Se si tratta di ipoteca costituita sull’usufrutto, la garanzia si estingue con il cessare dell’usufrutto stesso. Se si tratta di ipoteca costituita sulla nuda proprietà, l’estinzione dell’usufrutto determina, per il principio dell’elasticità del dominio, l’acquisto della proprietà piena favore di chi ha concesso l’ipoteca (consolidazione) e, conseguentemente, l’ipoteca si estende alla proprietà piena. Anche la quota di un bene indiviso può formare oggetto di ipoteca. Poiché la cosa accessoria segue il destino della cosa principale(accessorium sequitur principale), l’ipoteca si estende ai miglioramenti, alle costruzioni ed alle altre accessioni dell’immobile ipotecato. L’ipoteca può essere iscritta in forza: a. Di una norma di legge (c.d. ipoteca legale); b. Di una sentenza (c.d. ipoteca giudiziale); c. Di un atto di volontà del debitore (c.d. ipoteca volontaria) o di un terzo che la costituisce a garanzia del debito altrui. L’ipoteca legale attribuisce a determinati creditori il diritto di ottenere unilateralmente l’iscrizione dell’ipoteca sui beni del debitore medesimo. L’ipoteca legale spetta: 1. All’alienante – sopra gli immobili alienati – a garanzia dell’adempimento degli obblighi derivanti dall’atto di alienazione (c.d. ipoteca dell’alienante); 2. Ai coeredi, ai soci e agli altri condividenti – sopra gli immobili a ciascuno assegnati – a garanzia del pagamento dei conguagli dovuti dall’assegnatario in forza dell’atto di divisione (c.d. ipoteca del condividente). L’ipoteca legale presenta due caratteristiche di rilievo: a. È iscritta d’ufficio dal responsabile del competente Ufficio dell’Agenzia del Territorio nel momento in cui gli viene presentato l’atto di alienazione o di divisione; b. Per meglio garantire l’alienante ed il condividente, l’ipoteca legale – co una notevole deroga al principio, fondamentale in tema di pubblicità, secondo cui prior in tempore potior in iure – prevale sulle trascrizioni o iscrizioni già eseguite contro l’acquirente o il condividente. Di regola il creditore non ha diritto di chiedere unilateralmente l’iscrizione di un’ipoteca a carico di beni del debitore a garanzia del suo credito, quand’anche lo stesso sia già scaduto ed esigibile. Tuttavia il legislatore gli concede un siffatto diritto quando abbia ottenuto una sentenza che condanni il debitore a pagargli una somma di danaro, ovvero al risarcimento di danni da liquidarsi successivamente. In tal caso il creditore, presentando al responsabile del competente Ufficio dell’Agenzia del Territorio copia autentica della sentenza, ha diritto di ottenere l’iscrizione dell’ipoteca (c.d. ipoteca giudiziale) su un qualsiasi bene immobile appartenente al debitore, senza il bisogno che risulti il consenso di quest’ultimo. L’ipoteca volontaria può essere iscritta in forza di un contratto od anche di una semplice dichiarazione unilaterale di volontà del concedente. La convenzione o la dichiarazione unilaterale che attribuiscono il diritto all’iscrizione ipotecaria richiedono la forma scritta ad substantiam. Nell’atto devono essere contenute le indicazioni idonee ad individuare esattamente l’immobile su cui si concede ipoteca. L’ipoteca su cosa altrui ha efficacia obbligatoria: chi l’ha concessa è tenuto a procurare al creditore l’acquisto del diritto di ipoteca: e, cioè, ad acquistare la cosa. L’iscrizione può essere validamente effettuata solo dopo che il bene sia entrato nel patrimonio del costituente. Analogo regime si applica all’ipoteca su cosa futura. L’ipoteca ha efficacia anche nei confronti di chi acquista l’immobile dopo l’iscrizione (res transit cum onere suo). I creditori che abbiano iscritto ipoteca sull’immobile acquistato possono soltanto far espropriare il bene ipotecato, anche dopo il suo trasferimento. Il terzo acquirente è esposto all’espropriazione del bene soltanto per averlo acquistato gravato da ipoteca. L’acquirente del bene può evitare l’espropriazione esercitando una delle seguenti facoltà: a. Pagare i crediti a garanzia dei quali è iscritta l’ipoteca; b. Rilasciare i beni ipotecati; c. Liberare l’immobile dalle ipoteche mediante uno speciale procedimento (c.d. procedimento di purgazione delle ipoteche). Il terzo datore di ipoteca non può avvalersi delle facoltà che la legge concede al terzo acquirente a causa della sua posizione di persona estranea alla costituzione dell’ipoteca. Il terzo datore non può neppure opporre il c.d. beneficium excussionis. Se paga i crediti iscritti o suciscec espropriazione può rivolgersi contro il debitore per farsi rimborsare (c.d. diritto di regresso). Occorre distinguere l’estinzione degli effetti dell’iscrizione ipotecaria – che si verifica dopo venti anni dalla data dell’iscrizione della stessa – dall’estinzione dell’ipoteca. Per effetto della prima vengono meno soltanto le conseguenze della pubblicità ipotecaria, ma l’ipoteca si può nuovamente iscrivere. L’estinzione dell’ipoteca colpisce, invece, lo stesso diritto di ipoteca. L’ipoteca può formare oggetto di rinunzia. Di regola l’ipoteca non è soggetta a prescrizione, peraltro – a tutela del terzo acquirente del bene ipotecato – l’arte 2880 c.c. prevede che, nell’ipotesi in cui detto bene sia alienato da colui che ha concesso l’ipoteca o dal terzo datore d’ipoteca, quest’ultima si estingue per prescrizione “col decorso di venti anni dalla data della trascrizione del titolo di acquisto” del terzo. CAPITOLO 24 – I MEZZI DI CONSERVAZIONE DELLA GARANZIA PATRIMONIALE. Il patrimonio del debitore costituisce, per il creditore, una sorta di garanzia generica per il soddisfacimento delle obbligazioni gravanti sul debitore medesimo. Per impedire che il patrimonio del debitore possa subire diminuzioni che incidano sulla garanzia anzidetta, la legge riconosce al creditore taluni rimedi volti ad assicurare la conservazione di tale garanzia: a. L’azione surrogatoria; b. L’azione revocatoria; c. Il sequestro conservativo. Nell’ipotesi in cui il debitore, trascurando di compiere atti necessari per far valere i propri diritti, determini, con tale inerzia, non soltanto un generico pregiudizio a carico del proprio patrimonio, ma renda più rischiosa, ovvero meno agevole o più onerosa la realizzazione coattiva dei diritti dei creditori, la legge consente a ciascuno di questi ultimi di surrogarsi al debitore in attivo per esercitare in suo luogo – sebben pur sempre a suo vantaggio – i diritti e le azioni che gli spettano. Perché il creditore possa agire in surrogatoria non basta l’inerzia del debitore, ma occorre altresì che da questa derivi un pregiudizio per le ragioni dei creditori: pregiudizio consistente nella concreta compromissione delle prospettive di esecuzione sul patrimonio del debitore. Gli effetti dell’atto compiuto in luogo del debitore vanno a vantaggio del patrimonio di quest’ultimo e quindi, di tutti i suoi creditori. Il creditore potrà porre in essere, a favore del debitore, gli atti che avrebbe potuto compiere quest’ultimo senza che si possa opporgli che non è lui il titolare del diritto. Solo i diritti patrimoniali concorrono a formare la garanzia generica del creditore. Legittimato ad agire sotto surrogatoria è il creditore, anche a termine o sotto condizione. Quando il creditore si surroga al debitore nell’esercizio di un’azione giudiziaria contro un terzo, al relativo procedimento deve partecipare anche il debitore sicchè il creditore dovrà evocare in giudizio anche il debitore al quale intende surrogarsi. Non si può impedire al debitore di compiere atti che modifichino la consistenza del suo patrimonio. Peraltro, qualora il debitore dovesse compiere atti che modificano la consistenza del proprio patrimonio, o dal punto di vista quantitativo o dal punto di vista qualitativo, fino a rendere incerta, o quantomeno difficoltosa, la realizzazione coattiva dei diritti del creditore, a quest’ultimo è concesso il rimedio dell’azione revocatoria (o pauliana). Legittimato attivamente a proporre l’azione revocatoria è il creditore, quand’anche il suo credito non sia certo, liquido ed esigibile. Per l’azione revocatoria debbono concorrere i seguenti presupposti: a. Un atto di disposizione, ossia un atto negoziale in forza del quale il debitore modifica la sua situazione patrimoniale; b. Il c.d. eventus damni, ossia un pregiudizio per il creditore consistente nel fatto che il patrimonio del debitore divenga insufficiente a soddisfare tutti i creditori o venga ad essere composto in modo tale da rendere più difficile od incerto l’eventuale soddisfacimento coattivo del credito. Perché si abbia eventus damni è necessario che l’atto di disposizione compiuto dal debitore abbia determinato o aggravato il pericolo di danno consistente in una maggior difficoltà od incertezza nell’esecuzione coattiva del credito stesso; c. Che l’accettazione sia compiuta nella forma richiesta dal proponente: se il proponente richiede che la proposta venga accettata per iscritto, non è sufficiente una dichiarazione verbale a concludere il contratto. Quando le parti comunicano a distanza il contratto è detto inter absentes. Si possono individuare diversi criteri o principi secondo i quali è possibile regolare l’efficacia di una manifestazione di volontà: 1. Principio della dichiarazione (la manifestazione di volontà è efficace non appena espressa); 2. Principio della spedizione (la manifestazione di volontà è efficace non appena trasmessa all’altra parte); 3. Principio della ricezione (la manifestazione di volontà è efficace quando l’altra parte la riceve); 4. Principio della cognizione (la manifestazione della volontà è efficace quando il destinatario ne viene a conoscenza. In materia contrattuale il legislatore richiama il criterio della cognizione in visione del quale la legge stabilisce che un contratto si considera concluso nel momento e nel luogo in cui il proponente ha conoscenza dell’accettazione della proposta comunicatagli dalla controparte. L’art. 1335 c.c. stabilisce una generale presunzione (presunzione di conoscenza) valida per tutti i negozi recettizi, secondo la quale la proposta e l’accettazione, nonché qualsiasi dichiarazione diretta ad una persona determinata si reputa conosciuta da questa non appena giunta all’indirizzo del destinatario: pertanto, per dimostrare che il contratto si è perfezionato, è sufficiente dimostrare che la dichiarazione di accettazione è pervenuta all’indirizzo del proponente, presumendosi che nella stessa data egli ne ha anche avuto conoscenza. Graverà su quest’ultimo l’onere di provare – se intende contestare l’avvenuto perfezionamento del contratto – di essersi trovato nell’impossibilità di avere notizia. I contratti si possono concludere anche senza bisogno di una formale accettazione, dando direttamente esecuzione ad un ordine ricevuto dal proponente: in tal caso l’accordo si considera perfezionato “nel tempo e nel luogo in cui ha avuto inizio l’esecuzione” (art. 1327). La proposta e l’accettazione possono essere ritirate private di effetto mediante un atto uguale e contrario che si chiama revoca. Il primo comma della disposizione stabilisce che “la proposta può essere revocata finchè il contratto non sia concluso”. Il secondo comma dello stesso articolo prevede, i n quanto alla revoca dell’accettazione, che essa non ha effetto se non giunge a conoscenza (e cioè all’indirizzo) del proponente prima che vi giunga l’accettazione. La revoca della proposta è considerata come atto no recettizio. Viceversa, per la revoca dell’accettazione, occorre che pervenga all’indirizzo di quest’ultimo prima che vi sia pervenuta l’accettazione. La proposta perde automaticamente efficacia se, prima che il contratto si sia perfezionato, il proponente muore o diventa incapace nell’intervallo tra la spedizione della dichiarazione di accettazione e l’arrivo di questa al proponente. Il proponente per dare alla controparte uno spatium deliberandi può anche precludersi la facoltà di revoca, dichiarando che la proposta è irrevocabile (proposta ferma). Un particolare tipo di proposta è l’offerta al pubblico, che vale come proposta contrattuale, benchè indirizzata a destinatari indeterminati, e dunque permette che la conclusione del contratto avvenga per effetto della sola dichiarazione di accettazione di colui che sia interessato a perfezionare il contratto oggetto della proposta. L’offerta al pubblico è revocabile come qualsiasi altra proposta contrattuale. Talora un regolamento contrattuale può essere “aperto” all’adesione di altre parti. È il caso di contratti che tendono a realizzare determinate organizzazioni di carattere associativo e che quindi presentano una struttura aperta ed orientata a ricevere l’adesione di altri soggetti. Peraltro, per giungere alla stipulazione di un contratto, spesso è necessario un periodo di trattative. Durante queste trattative le parti sono libere di decidere se concludere o meno il contratto, ma debbono comportarsi secondo buona fede. Si tratta di un preciso dovere giuridico, che sorge in capo alle parti per il solo fatto che abbiano intrapreso un negoziato volto a concludere un contratto. La parte che violi questo dovere incorre in un particoalre tipo di responsabilità (responsabilità precontrattuale o culpa in contrahendo). Le condotte che possono dar luogo a tale ipotesi di responsabilità sono: 1. Abbandono ingiustificato della trattativa. Trasgredisce l’obbligo di comportarsi secondo buona fede la parte che, avendo le trattative raggiunto un punto tale da determinare un ragionevole affidamento circa la conclusione del contratto, le interrompa senza un giustificato motivo; 2. Mancata informazione sulle cause di invalidità del contratto. Un altro aspetto specifico dell’obbligo di comportarsi secondo buona fede durante lo svolgimento delle trattative è costituito dal dovere, che fa carico a ciascuna delle parti, di informare l’altra dell’esistenza di eventuali cause d’invalidità del contratto; 3. Influenza illecita sulla determinazione negoziale della controparte. Se un soggetto induce un altro a stipulare un contratto traendolo in inganno (dolo contrattuale), ovvero minacciandolo, o approfitti di un errore in cui sia incorsa l’altra parte per trarne vantaggio, il contratto è annullabile per un vizio della volontà; 4. Induzione della controparte alla stipulazione di un contratto pregiudizievole. Ciò avviene nel caso in cui una parte abbia sì tratto in inganno l’altra, ma quell’inganno non sia stato tale da determinare la volontà di questi di contrarre, bensì soltanto da indurla ad accettare condizioni diverse da quelle che avrebbe sottoscritto se non fosse stata ingannata (dolo incidente 1440): in tal caso il contratto non può essere annullato, ma il contraente responsabile dell’inganno deve risarcire all’altro il danno per averlo indotto a concludere un contratto per lui non conveniente. La culpa in contrahendo trova fondamento nella violazione del generale principio del neminem laedere. È opportuno richiamare l’attenzione sulla tipologia dei danni risarcibili nel caso di culpa in contrahendo. Essa è diversa dai danni dovuti nell’ipotesi di inadempimento di un contratto. Nel caso di inadempimento, viene leso l’interesse positivo all’esecuzione della prestazione dovuta in forza del contratto, e quindi il risarcimento si commisura al danno subito dal contraente per non aver ricevuto la prestazione che gli era dovuta. Se non vengono osservati i doveri che la legge impone durante le trattative, si viene a ledere un interesse della parte tutelato esclusivamente se il contratto fosse stato concluso, perché solo in tal caso la parte avrebbe acquistato un diritto alla prestazione. Il risarcimento dovuto in caso di culpa in contrahendo, di responsabilità precontrattuale, deve essere determinato in relazione alle spese e alle perdite che siano strettamente dipendenti dalle trattative. Chi sia stato vittima della scorrettezza precontrattuale dell’altra parte ha diritto anche di essere ristorato dell’eventuale mancato guadagno. (Danno da lucro cessante?). CAPITOLO 27 – I VIZI DELLA VOLONTA’ Se colui dal quale proviene la manifestazione di volontà si trova in una situazione di incapacità di agire, o se il processo decisionale che ha portato alla maturazione del consenso contrattuale ha subito interferenze e perturbamenti, tali situazioni e vicende andranno ad incidere sulla rilevanza giuridica dell’atto che ne è scaturito, determinando l’invalidità di quell’atto. Il contratto stipulato da un soggetto incapace di agire o da un soggetto la cui volontà risulti viziata è annullabile; si tratta di un rimedio che consente a colui il cui consenso sia stato viziato di impugnare il contratto, con un’appropriata azione giudiziaria; l’intento individuale assume perciò rilievo sociale e giuridico, in quanto sia esteriorizzato, ossia dichiarato. ERRORE L’errore consiste in una falsa conoscenza della realtà. Ad esso è equiparata l’ignoranza. L’errore ostativo è l’errore che cade sulla dichiarazione (volevo scrivere cento e ho scritto mille per distrazione: lapsus calami) o sulla trasmissione della dichiarazione, quando cioè la dichiarazione, correttamente espressa dalla parte interessata, è stata inesattamente trasmessa dalla persona (nuncius) o dall’ufficio che en era stato incaricato. L’errore ostativo dunque presuppone che la volontà del dichiarante sis sia correttamente formata, attraverso un processo decisionale non viziato, e sia stata poi espressa o trasmessa, per un errore, appunto, in un modo che non rispecchia l’effettiva volontà della parte; strutturalmente diverso è l’errore-vizio della volontà, che si verifica quando il soggetto ha malamente accertato e valutato le circostanze e i presupposti di fatto del negozio, cosicchè la volontà espressa nella dichiarazione negoziale risulta viziata dall’errore in cui è caduto il dichiarante. Sia l’errore ostativo che l’errore-vizio determinano l’annullabilità del contratto (1433). Il contratto viziato da errore di una delle parti è annullabile ma a condizione che l’errore sia : a. Essenziale b. Riconoscibile dall’altro contraente. Il primo requisito attiene alla consistenza oggettiva dell’errore nel quale è incorso il congtraente. Con il secondo il legislatore accorda tutela all’errante soltanto quando ciò non contrasti con la necessità di proteggere la buona fede. L’azione di annullamento non può essere proposta se l’altra parte, prima che alla parte in errore possa derivarne pregiudizio, offra di eseguire il contratto in modo conforme a quanto l’altro contraente riteneva §(erroneamente) di aver pattuito. Il requisito dell’essenzialità esprime un indice di obiettiva rilevanza dell’errore: un contratto non può essere impugnato solo perché una delle parti sia incorsa in errore, ma soltanto quando l’errore assuma un apprezzabile rilievo rispetto all’obiettivo assetto degli interessi realizzato dal contratto. L’essenzialità si distingue dal carattere determinante dell’errore, che attiene all’influenza che l’errore ha avuto sulla decisione della parte di concludere il contratto. L’errore è essenziale quando cade: 1. Sulla natura del negozio (1429 error in negotio); 2. Sull’oggetto del negozio (1429 error in corpore)con effetto aliud pro alio; 3. Su una qualità della cosa che costituisce oggetto del negozio (error in substantia) purchè in questo caso, secondo il comune apprezzamento o in relazione alle circostanze, la qualità debba ritenersi determinante del consenso. Non è reputato essenziale l’errore sul valore del bene alienato e quindi sulla convenienza dell’affare; 4. Sulla persona (error in persona) e, cioè, sull’identità o sulle qualità dell’altro contraente. Anche qui si richiede uno specifico requisito: deve trattarsi di negozio nel quale l’identità o la qualità della persona abbiano rilevanza tale da risultare “determinanti il consenso”. Ciò si verificherà sempre o quasi sempre nella donazione, nella vendita a rate e nelle prestazioni d’opera professionali o artistiche. I negozi nei quali ha importanza la persona del contraente si sogliono qualificare come negozi dominati dall’intuitus personae; 5. Può, infine, assumere rilevanza anche l’error in quantitate, ossia sulla quantità della prestazione, sempre che essa non si riduca ad un errore di calcolo; 6. Anche l’errore di diritto perchè sia rilevante deve avere carattere essenziale, ciò che ha luogo quando esso ha rappresentato la ragione unica o principale del negozio. L’errore è di diritto quando concerne la stessa vigenza o l’interpretazione di una norma giuridica. Non ha invece carattere di essenzialità l’errore cge cade sui motivi che inducono il soggetto a concludere il negozio. Perché l’errore, ancorchè essenziale, produca l’annullabilità del negozio, è necessario un ulteriore requisito: che esso sia riconoscibile dall’altro contraente. L’errore si considera riconoscibile quando la controparte, usando la normale diligenza, avrebbe potuto accorgersene. L’indagine circa la riconoscibilità dell’errore va fatta caso per caso: è una quaestio facti. Nel caso di errore bilaterale o comune la giurisprudenza ritiene che sia sufficiente l’essenzialità dell’errore per l’annullabilità del negozio. DOLO Un negozio è annullabile ove sia stato posto in essere in conseguenza di raggiri perpetrati ai danni del suo autore. Il dolo come vizio del consenso (o dolo-inganno) è disciplinato dal codice negli art. 1439 e 1440. Per l’annullabilità dell’atto devono concorrere: a. Il raggiro o artificio, ossia un’azione idonea a trarre in inganno la vittima; b. L’errore del raggirato. Il negozio è annullabile solo se il dolo è stato determinante, se l’inganno ha avuto successo; c. La provenienza dell’inganno dalla controparte: se sono vittima di raggiri di terzi, che nulla hanno a che fare con l’altro contraente, l’atto non è impugnabile, a meno che quest’ultimo ne fosse a conoscenza e ne abbia tratto vantaggio. Per la menzogna, e cioè nel caso di semplice dichiarazione inveritiera, non accompagnata da veri e propri artifici o raggiri, si ritiene che il negozio non sia annullabile qualora il dichiarante, usando la normale diligenza, avrebbe potuto rendersi conto di quale fosse la verità. Dal dolo determinante (o causa dans) si distingue il dolo incidente (incidens) che si limita ad incidere sulle condizioni contrattuali. Ricorre questa figura allorquando la vittima dell’inganno non si è determinata a stipulare il contratto per effetto del raggiro subito, dal momento che avrebbe voluto il negozio anche se non
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