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RIASSUNTO 1 GUERRA MONDIALE, Dispense di Storia

Riassunto prima guerra mondiale

Tipologia: Dispense

2022/2023

Caricato il 13/10/2023

nicole-possenti
nicole-possenti 🇮🇹

5 documenti

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Scarica RIASSUNTO 1 GUERRA MONDIALE e più Dispense in PDF di Storia solo su Docsity! LA GRANDE GUERRA 1. Il 1914: ai bordi del precipizio L’attentato a Sarajevo Il 28 giugno 1914 lo studente serbo Gavrilo Princip uccide a Sarajevo, capitale della Bosnia- Erzegovina, l’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo, erede al trono austriaco. Vienna accusa la società indipendentista serba della “Mano nera”, che agiva rivendicando l'indipendenza dei popoli slavi dal dominio imperiale. Uscito rafforzato dalle guerre balcaniche del 1912 1913, il regno di Serbia era divenuto il punto di riferimento per i movimenti irredentisti slavi, che confidavano in un suo sostegno per l'affermazione delle loro istanze indipendiste. La reazione dell'Austria L’Austria manda agli scomodi vicini serbi un ultimatum: vuole che il governo di Belgrado condanni l’accaduto e esige di inviare funzionari austriaci in Serbia. L’ultimatum, visto dalla Serbia come un’ingerenza inaccettabile, viene respinto e il 28 luglio 1914 l’impero austro-ungarico dichiara guerra alla Serbia. La scintilla della prima guerra mondiale scoccò dunque nei Balcani, creato da tempo di una serrata competizione fra l'Austria, che voleva perpetuare il suo impero multinazionale, e la Russia, che voleva un ruolo per il politico in quell’area. Si innesca così il vasto sistema di alleanze in quello che viene definito “effetto domino”. Verso il precipizio La Russia, che non dichiara guerra in realtà, muove le truppe a sostegno della Serbia. La Germania risponde e dichiara guerra alla Russia, il primo di agosto, e alla Francia il 3 agosto, nemica storica e alleata dello zar. Il 4 di agosto le truppe tedesche invadono il Belgio, violandone la neutralità, per procedere direttamente verso Parigi. Questa aggressione spinge la Gran Bretagna, interessata a salvaguardare la sicurezza degli stati che si affacciano sulla Manica, a intervenire a fianco della Francia dichiarando guerra alla Germania. Il 6 agosto anche l’Austria-Ungheria apre formalmente le ostilità verso la Russia e il 23 di agosto il Giappone si unisce all’alleanza antigermanica nell’interesse di scalzare le postazioni tedesche nell’Estremo Oriente. La “communirà di agosto” All'annuncio della guerra, nell'agosto 1914 le capitali d’Europa sono invase da un’ondata di frenesia e esultanza senza distinzioni di classi e partiti. L'appoggio alla guerra del movimento socialista Al momento dell'entrata in guerra della Germania, il parlamento tedesco approva all'una limita i crediti di guerra. Allo stesso modo si comportano i socialdemocratici austriaci, francesi e inglesi, decretando la crisi della Seconda Internazionale. Anche se fino ad allora il movimento socialista aveva considerato le guerre espressione di una politica nazionalistica determinata dagli interessi della borghesia a scapito del proletariato, con lo scoppio della guerra borghesi proletari di una nazione si unirono contro borghesi proletari di altre nazioni: in questo modo si decreta la fine del sodalizio fra le diverse componenti del movimento operaio europeo. In molti paesi nacquero dei governi di “unione nazionale”, nei quali forze politiche prima antagoniste decisero di affrontare insieme la guerra. I volontari come fenomeno di massa Molti sono i volontari che si arruolano nell’esercito spinti dalla propaganda. La guerra come rito di passaggio Agli occhi dei giovani la guerra è un sacrosanto dovere patriottico ma anche un modo di liberarsi dalle vecchie convinzioni e dalla routine e costruire una nuova società. Inoltre la guerra è vista come un rito di passaggio verso l’età adulta, rito di iniziazione verso la virilità. Questo entusiasmo scemerà, poi, con l’esperienza reale del fronte. Operai e contadini, invece, vedono la guerra solo come una dura necessità che sono costretti a subire. Il piano di Schlieffen Era opinione comune che la guerra sarebbe durata solo qualche settimana. Le operazioni militari in Francia mostrano come queste previsioni siano illusorie. Il piano della Germania è quello di colpire la Francia di sorpresa passando per il Belgio, per poi concentrare le forze a est sul fronte russo. La battaglia della Marna Il generale Helmuth von Moltke si attiene a questa idea di “guerra di movimento”, tuttavia la sua avanzata attraverso il Belgio viene ostacolata da operazioni di sabotaggio da parte delle truppe belga. Queste operazioni rallentano l'esercito tedesco che a settembre si trova a pochi chilometri da Parigi ma molto indebolito. Le forze anglo-francesi, ricevuto l’ordine di resistenza a oltranza, respingono l'offensiva nella battaglia della Marna e respingono il nemico sul fiume Aisne. Il sistema delle trincee Il fronte occidentale si stabilizza chilometri dal mare del Nord fino ai confini della Svizzera. Si passa così ad una guerra di posizione fatta di trincee dove i soldati si proteggono dal fuoco nemico in attesa di battaglie campali. Concepite allestite inizialmente come un rifugio provvisorio, le trincee finirono per diventare la sede permanente dei reparti di prima linea il simbolo stesso della guerra. Nelle trincee i soldati non solo sono esposti al fuoco dei cecchini ma hanno a che fare con le intemperie, la malnutrizione e le pessime condizioni igieniche. Conquistare pochi metri voleva dire perdere migliaia di soldati che cadevano sotto il fuoco delle mitragliatrici. La situazione sul fronte orientale 
 Sul fronte est la Russia avanza nella Prussia orientale minacciando Berlino. I tedeschi escono vittoriosi dalle battaglie di Tannenberg (26-29 agosto) e dei laghi Masuri (9-14 settembre). Tuttavia, i russi sconfiggono l'armata austro-ungarica a Leopoli occupando la Galizia. 2. L’Italia dalla neutralità alla guerra Neutralisti e interventisti L'Italia si proclama neutrale il 2 agosto 1914 appellandosi al carattere difensivo della Triplice Alleanza. L'Italia prende questa decisione per via della dubbia efficacia dell'esercito e della diffidenza nei confronti dell'impero austro-ungarico dato dalla questione delle “terre irredente” e dalla scarsa considerazione che l'Austria nutre per l'Italia. Così a differenza del patriottismo che aveva infiammato l’Europa, in Italia scoppia la polemica tra “interventisti” (a fianco della Triplice Intesa) e “neutralisti”. Le divisioni nello schieramento socialista Tra i sostenitori della neutralità figurano i militanti del Partito socialista: dei partiti aderenti alla Seconda Internazionale, il PSI era stato l'unico a manifestare una ferma opposizione all'ingresso in guerra. Tuttavia all'interno del PSI, Benito Mussolini - direttore del quotidiano del partito l’” Avanti!” - si schiera nel novembre 1914 in favore della guerra quale “levatrice" di una nuova configurazione politica e sociale dell’Italia. L'orientamento neutrale dei cattolici e del Parlamento 
 Anche il vasto schieramento cattolico si orienta a favore del neutralismo così come la maggioranza del Parlamento che è ancora giolittiana e che ritiene l'Italia non attrezzata alla guerra. Gli interventisti democratici e irredentisti A favore di un ingresso nel conflitto si schierano oltre ai nazionalisti, coloro che considerano la guerra contro l’Austria come un modo per recuperare le “terre irredente”. In tal modo si sono espressi i partiti della sinistra democratica e i fuoriusciti dall’Impero austro-ungarico, con in testa Cesare Battisti. A nome di una guerra antitedesca e quindi “democratica”, sono interventisti anche alcuni autorevoli intellettuali come Gaetano Salvemini e Luigi Einaudi. Le tendenze interventiste della destra liberale I liberali di destra, che facevano capo al presidente del consiglio Salandra e a Sydney Sonnino, ritengono che l'entrata in guerra possa ricreare nel paese le condizioni per una svolta di stringere in un ferreo blocco navale gli Imperi centrali, impedendo loro di approvvigionarsi all'estero di prodotti alimentari e di materie prime. La guerra sottomarina
 Al blocco navale imposto dai britannici, la Germania replica con una misura di pattugliamento sostenuta dalla flotta sottomarina. Con l’aggravarsi degli effetti del blocco navale inglese, la Germania porta avanti una guerra sottomarina che diviene “totale” (senza distinzioni né di sorta né di nazionalità) grazie agli U-boot, nonostante avesse promesso al presidente americano Wilson di avvisare in caso di attacco di qualsiasi nave. Questa manovra si rivela però un boomerang: spingerà, infatti, gli Stati Uniti a rompere gli indugi e a entrare in guerra. 4. Una guerra di massa Le mitragliatrici automatiche Durante la guerra si diffonde la mitragliatrice automatica: di facile utilizzo e assai diffusa quest'arma è in grado di sparare fino a cinquecento colpi al minuto diventando fondamentale nella guerra di posizione a difesa delle trincee. La guerra chimica La tecnologia mise a disposizione degli eserciti anche potenti armi chimiche sperimentate per la prima volta a Ypres il 22 aprile 1915 dai tedeschi contro i francesi, da cui il nome iprite. I gas però rimanevano di difficile impiego: un forte vento poteva disperderli o addirittura riso spingerli verso le linee degli attaccanti. Di fronte a questo pericolo entra nell’equipaggiamento ordinario del fante la maschera antigas che diviene uno degli emblemi della disumana guerra moderna. Aeroplani e carri armati Oltre ai sottomarini, fanno la comparsa anche i carri armati, autocarri rivestiti di placche d'acciaio, armati di mitragliatrice e muniti di cingoli che consentivano di spostarsi su ogni tipo di terreno. Essi furono impiegati solo nell'ultima fase della guerra, e in particolare risultarono decisivi nel determinare l'esito della battaglia di Amiens. Vennero introdotti anche gli aeroplani, usati però solo in compiti di ricognizione. La radicalizzazione della violenza La guerra viene contrassegnata anche da un tasso estremo di violenza. Le prime convenzioni sul trattamento e lo scambio dei prigionieri vengono disattese e la Prima Guerra Mondiale investe anche la popolazione civile. Le violenze perpetuate dall’esercito tedesco in Belgio furono l’esordio di una catena sempre più fitta di aggressioni contro i civili residenti nelle zone battute dagli eserciti avversari. La propaganda e il fronte interno Con il rapido dileguarsi dell'entusiasmo iniziale di fronte alla tragica realtà della guerra, anche la compattezza del fronte interno nei paesi belligeranti cominciò a deteriorarsi. Alla propaganda viene attribuito il compito di coinvolgere tutti i settori della popolazione nello sforzo bellico e di compattare il fronte interno attraverso l’uso della censura e di tecniche pubblicitarie come manifesti murali e cartoline a tema patriottico. Di fronte al forte impatto di questo genere di propaganda militarista, ben poco effetto ebbero le manifestazioni pacifiste di quei gruppi socialisti che avevano continuato a opporsi alla guerra. La conferenza di Zimmerwald e quella convocata a Kienthal nell'aprile 1916 caddero nel vuoto. L'interventismo pubblico La necessità di risorse comporta la burocratizzazione e la militarizzazione delle più importanti attività economiche al fine di garantire l’approvvigionamento di materie prime per la produzione bellica e per i trasporti, di viveri per gli eserciti e le popolazioni e per assicurare il reclutamento di manodopera per le industrie e i servizi. Il razionamento dei viveri e le difficoltà alimentari Anche il rifornimento e la distribuzione di viveri per i civili e i militari vengono sottoposti alla vigilanza statale sia mediante misure di raccolta centralizzata (ammasso) e quindi di distribuzione controllata (razionamento), sia attraverso il calmiere dei prezzi dei generi di prima necessità. Di fronte alle crescenti difficoltà e al prolungarsi della guerra, il sistema divenne sempre meno efficace; si creò così il cosiddetto “mercato nero”, cioè la vendita clandestina, a prezzi maggiorati, dei beni sottratti al razionamento. La produzione industriale I settori che si sviluppano di più durante la guerra grazie al sostegno statale sono quello dell'industria mineraria, della metallurgia e della siderurgia, della chimica e i comparti automobilistico e aeronautico. La fabbrica militarizzata e “femminilizzata” Gli stabilimenti vengono sottoposti a una vera e propria militarizzazione, che si traduce nella totale sospensione dei diritti sindacali. In alcuni settori dell'industria europea si cominciarono ad applicare le tecniche di produzione in serie che velocizzarono l'attività nei reparti e favorirono l'impiego di manodopera meno specializzata. Le donne fanno il loro ingresso negli stabilimenti industriali per sopperire alla mancanza di manodopera provocata dal reclutamento militare e ciò significò un passo avanti sulla strada dell’emancipazione femminile. Debito pubblico, inflazione e carovita I paesi belligeranti ricorrono al finanziamento massiccio in deficit dei loro bilanci, sospendendo le politiche di rigore finanziario e del Gold Standard. La sospensione della convertibilità aurea permette agli istituti bancari di ricorrere all’emissioni di cartamoneta anche senza la necessaria copertura, il che innesca un’inflazione fuori controllo. I prezzi dei beni di consumo salgono vertiginosamente, mentre le retribuzioni dei lavoratori perdono sensibilmente in potere d'acquisto. 5. Le svolte del 1917 La fine della Russia degli zar Dopo 3 anni di guerra la Russia è stremata, le armate tedesche stanno penetrando sempre più a fondo nel suo territorio e mancano cibo, munizioni e assistenza medica. I militari ma anche gli operai che lavorano a ritmi sempre più serrati nelle fabbriche non ne possono più e una manifestazione contro il carovita, iniziata a Pietrogrado l’8 marzo, si trasforma rapidamente in uno sciopero generale di protesta contro l’autocrazia zarista. È l'inizio di un sommovimento vasto e radicale, che porta alla formazione di un governo liberale provvisorio, all’abdicazione dello zar Nicola II e infine, nella notte tra il 6 e il 7 novembre, a un’insurrezione rivoluzionaria. L'uscita dalla guerra della Russia La caduta del regime degli zar e la nascita della “repubblica dei soviet” ebbe come conseguenza l’uscita della Russia dalla guerra. La Russia, come sostenuto da Lenin, deve firmare il trattato di Brest-Litovsk (3 marzo 1918). Si trattava di un armistizio con gli Imperi centrali, che comportava una “pace senza annessioni e senza indennità” e una gravissima amputazione territoriale per l'ex impero russo. La Russia venne privata, infatti, di Estonia, Lettonia e Lituania e dovette riconoscere l’indipendenza della repubblica ucraina. Le agitazioni popolari in Europa Anche in altri paesi belligeranti nel corso del 1917 si diffusero tra i militari e la popolazione civile vari moti di protesta e di ribellione. La rivolta di Torino In Italia il 22 agosto 1917 a Torino una manifestazione spontanea per reclamare la distribuzione del pane si trasforma in una sommossa. Il governo aveva, infatti, calmierato i prezzi dei generi alimentari in ritardo, contribuendo al dilagare dell'inflazione. Ma le autorità restavano impotenti di fronte al malcontento della popolazione civile e dei soldati. Lo stesso papa Benedetto XV lanció un appello in favore della pace, chiedendo a tutti i governanti europei di fermare l’“inutile strage” che stava insanguinando l’Europa. La disfatta di Caporetto Nel frattempo l'esercito italiano conduce con successo due offensive sull'Altopiano di Asiago e sul Carso. Tuttavia, durante la notte tra il 23 e il 24 ottobre 1917, il fronte italiano dell'Alto Isonzo (nei pressi di Caporetto) viene sottoposto a un pesantissimo attacco da parte dell'artiglieria austriaca e tedesca. All'alba fu la volta della fanteria a passare all’offensiva; ma i soldati austro-tedeschi, al posto di assaltare in massa tutto il fronte delle trincee italiane, si dividono in piccoli gruppi con il compito di spezzare in punti diversi la prima linea nemica e per infiltrarsi in profondità lungo le vallate e prendendo alle spalle gli avversari. Per l'esercito italiano è una catastrofe: disarticolati da quest’attacco, privi di chiare indicazioni da parte dei comandi militari, interi battaglioni e reggimenti si sfaldano. Sono 300.000 i prigionieri italiani, il Friuli e metà del Veneto cadono in mano dell'esercito austriaco, rafforzato da numerosi contingenti tedeschi. Il nome “Caporetto” prese la maiuscola e diventó sinonimo di disfatta totale perchè quella battaglia si risolse con la sconfitta più bruciante mai patita dal nostro esercito. La tragedia di Caporetto fu il risultato di diverse concause, fra cui emergono la demotivazione delle truppe e l’incapacità di organizzazione e di reazione delle gerarchie militari. Tuttavia, Caporetto costituì lo snodo centrale della partecipazione italiana al conflitto mondiale. Ci volle quella disfatta, e di conseguenza la spinta che impresse per la riconquista del territorio nazionale, affinché la classe dirigente trovasse la forza e la capacità di avviare un processo di riorganizzazione militare e di consolidamento del fronte interno, che si sarebbe rivelato decisivo per la vittoria finale. La responsabilità della sconfitta Prima di essere rimosso dal comando supremo, il generale Cadorna accusa i soldati di essersi arresi senza combattere e addossa ai socialisti la responsabilità morale del “tradimento”.In realtà, la causa della disfatta è il ritardo con cui gli alti gradi dell'esercito si rendono conto della portata dell’attacco nemico rendendo la ritirata una rotta caotica. La nuova linea del comandante Armando Diaz Il nuovo comandante dell'esercito Armando Diaz sostituisce la “disciplina della coercizione” con la “disciplina della persuasione” basata su una maggiore considerazione per le esigenze delle truppe. Inoltre, Diaz abbandona anche la tattica offensiva poiché era convinto che la guerra sarebbe durata ancora a lungo. Un notevole potenziale bellico 
 Dopo Caporetto l'industria accelerò molto i ritmi della produzione e sfornò nuovi armamenti grazie al coordinamento dell'attività delle principali imprese nell'ambito del Comitato centrale di mobilitazione industriale. L'esercito fu così rifornito in poco tempo con quantità crescenti di potenziale bellico. L'intervento in guerra degli Stati Uniti Nel corso del 1917, la ripresa della guerra sottomarina tedesca ebbe una conseguenza decisiva per le sorti del conflitto. Fino ad allora gli Stati Uniti si erano mantenuti neutrali. Tuttavia, le simpatie del presidente democratico Wilson andavano all'Intesa e, in particolare, alla Gran Bretagna. A seguito degli attacchi sottomarini tedeschi, il 2 aprile 1917 il presidente americano Wilson proclama guerra alla Germania, in difesa dei valori liberali e democratici. Tuttavia, gli USA avevano già partecipato virtualmente al conflitto vendendo armi alla Francia e all'Inghilterra e fornendo ingenti prestiti per lo sforzo bellico ai vari paesi dell’Intesa. 6. L’epilogo del conflitto L'ultima offensiva tedesca Il 1917 si chiudeva all'insegna dell'iniziativa degli Imperi centrali: la Russia era fuori dal conflitto, mentre l'offensiva austro-tedesca contro l'Italia aveva avuto esito addirittura superiore alle aspettative. I generali Paul von Hindenburg e Erich Ludendorff potevano elaborare nuovi piani offensivi grazie all'applicazione di nuove tattiche di fanteria e artiglieria. La Germania, nonostante gli alleati (Austria, Turchia, Bulgaria) fossero ormai alle corde, sferra tra il 21 marzo il 15 luglio 1918 cinque grandi offensive, minacciando nuovamente Parigi. L’Intesa, sotto la guida del generale francese Ferdinand Foch, riesce a respingere tutti gli attacchi dei tedeschi e, nel corso dell'ultimo di questi attacchi, passa al contrattacco: con l'appoggio di 300 carri armati respingono le truppe germaniche oltre le posizioni di partenza. ungarico e ottomano avevano cessato di esistere. Sulle rovine dei vecchi imperi venne applicato il principio wilsoniano dell'autodeterminazione dei popoli. Ciò diede luogo alla costituzione di vari stati indipendenti e i nuovi confini vennero definiti tramite quattro diversi trattati, che presero il nome dalle diverse località in cui furono sottoscritti: il trattato di Saint-Germain con l'Austria, di Neuilly con la Bulgaria, del Trianon con l'Ungheria e di Sèvres con la Turchia. L'Austria, l'Ungheria, la Turchia e la Bulgaria furono severamente penalizzate. La configurazione dell'Europa centro-orientale Con il Trattato di Saint-Germain viene formata la nuova repubblica d’Austria, che si trova a occupare un territorio che corrispondeva a circa un ottavo del precedente. Inoltre, per impedire qualsiasi spinta a un’eventuale unificazione con la Germania, l'Austria viene posta sotto il controllo del Consiglio della Società delle Nazioni; mentre il Trentino, l’Alto Adige, Trieste e l'Istria vengono annessi all'Italia. Anche l’Ungheria, indipendente dal novembre 1918, subisce ingenti perdite territoriali: la Boemia e la Slovacchia costituiscono il nuovo Stato della Cecoslovacchia; la Transilvania viene annessa alla Romania, mentre le popolazioni slave del Sud si uniscono alla Serbia e al Montenegro dando vita al Regno dei serbi, dei croati e degli sloveni (che dal 1929 prese il nome di Iugoslavia). La Galizia viene annessa alla Polonia, mentre la Bulgaria cede la Tracia alla Grecia (con la conseguente perdita dello sbocco sul mare Egeo). Il trattato di pace con la Turchia Il trattato di Sèvres sancì la conclusione del processo di disgregazione dell'impero ottomano: l'impero arabo di un tempo venne trasformato in uno Stato nazionale di circa 8 milioni di abitanti, chiamato Turchia, limitato alla penisola anatolica ad eccezione della regione di Smirne, assegnata alla Grecia. Il “cordone sanitario” intorno alla Russia L’impero zarista aveva cessato di esistere nel 1917 con la Rivoluzione d'Ottobre e con la successiva pace di Brest-Litovsk firmata con la Germania. Il nuovo governo bolscevico deve accettare la perdita dell’Ucraina, della Polonia, della Finlandia, dell’Estonia, della Lettonia e della Lituania. La conferenza di Parigi annullò le clausole di quel trattato: la Polonia, la Finlandia e le province baltiche si trasformarono in repubbliche indipendenti e solo l'Ucraina, nel 1920, sarebbe tornata sotto il controllo russo. Grazie alla presenza di questi nuovi stati, le potenze occidentali avevano circondato la Russia bolscevica con l'obiettivo di evitare il pericolo che il “virus” del comunismo si propagasse nel resto dell’Europa. La creazione della Società delle Nazioni Con il Trattato di Versailles entra in vigore anche il patto costitutivo della Società delle Nazioni, firmato fra le potenze vincitrici già il 28 aprile 1919. La Società delle Nazioni, con sede a Ginevra, si componeva di un'Assemblea, alla quale partecipavano su un piano di parità tutti i paesi aderenti, e di un Consiglio di nove membri, di cui cinque permanenti (Gran Bretagna, Francia, Stati Uniti, Italia e Giappone) e quattro eletti dall’Assemblea. Su qualsiasi questione, il consiglio avrebbe dovuto deliberare all'unanimità. La Società delle Nazioni aveva come compito fondamentale quello di garantire l'indipendenza e la sovranità di tutti gli stati membri e, in caso di contrasti internazionali, di ricorrere all’arbitrato e alla mediazione: se uno dei paesi dichiara guerra prima dello scadere dei tre mesi dal tentativo di arbitrato, viene messo al bando dalla Società delle Nazioni e gli vengono applicate adeguate sanzioni economiche. La mancanza di una forza militare e il fatto che ogni decisione debba essere assunta all’unanimità, si riveleranno negli anni successivi dei limiti molto gravi. Il sistema dei “mandati” La Società delle Nazioni introduceva anche una nuova istituzione, i “mandati”, ovvero una forma di “tutela temporanea” affidata alle singole potenze con l'obiettivo di “avviare all’indipendenza" i territori ex-ottomani. Fu attraverso i “mandati” che Francia e Gran Bretagna poterono avverare le loro ambizioni egemoniche in Medio Oriente: la Francia impose il proprio ruolo di potenza sulla Siria e sul Libano, mentre la Gran Bretagna sulla Palestina, sulla Trans-giordania e sull’Iraq. Un'istituzione fragile La Società delle Nazioni si trovò subito gravemente indebolita dalla mancata adesione degli Stati Uniti. Gli USA decisero di non aderire perché il nuovo indirizzo politico, dei repubblicani, era improntato all’isolazionismo.
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