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Riassunto "Allargare gli orizzonti dell'umano" COMPLETO, Dispense di Teologia

Riassunto COMPLETO del libro "Allargare gli orizzonti dell'umano" (Riccardo Bollati) per l'esame di Teologia III.

Tipologia: Dispense

2022/2023

In vendita dal 24/10/2023

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Scarica Riassunto "Allargare gli orizzonti dell'umano" COMPLETO e più Dispense in PDF di Teologia solo su Docsity! ALLARGARE GLI ORIZZONTI DELL’UMANO Un approccio alla Dottrina Sociale della Chiesa CAPITOLO 1: IL PENSIERO SOCIALE DELLA CHIESA 1. Un pensiero che nasce dalla fede Il pensiero sociale della Chiesa, da cui nasce la dottrina sociale della Chiesa, è un pensiero che sgorga dalla fede all’opera nel suo incontro con la realtà sociale umana. D’altronde nulla come il Cristianesimo è anico del pensiero. Con “pensiero” non intendiamo il ragionamento astratto ma l’intelligenza che sonda la realtà alla ricerca di cose e significati. L’intelligenza è sollecitata dal cristianesimo perchè la fede cristiana crede che 1) la realtà sia sensata e 2) l’origine della realtà sia buona. La fede è un evento che riguarda la ragione umana e fiorisce sull’estremo conoscitivo della ragione. 2. Fonti del pensiero sociale ecclesiale Tre possono considerarsi le principali fonti del pensiero sociale della chiesa: 1) L’azione sociale dei cristiani: la fede dei cristiani è all’opera nei vari ambiti della realtà, precede la riflessione sociale e la provoca a sua volta. 2) La teologia sociale: la riflessione dei teologi è un apporto di riflessione critica e sistematica, svolto a partire dalla fede cristiana, su tutto ciò che riguarda la vita sociale dell’uomo. Il lavoro dei teologi nasce nella chiesa e si pone al suo servizio. 3) Il magistero sociale: il magistero ecclesiale è la terza fonte di riferimento, vale a dire l’insegnamento dei pontefici e dei vescovi in materia sociale. Le formulazioni del magistero anche in materia sociale rappresentano sovente l’ultima istanza di espressione di un insegnamento sociale. 3. Una luce nuova sulla socialità umana Dalla fede proviene una luce nuova sulla socialità umana. La socialità viene qualificata come un carattere inscritto nella natura umana. Oggi si parla di “relazionalità” la quale nasce dai rapporti che gli uomini intrecciano fra loro. Tale relazionalità è costituita di elementi strutturanti (ontologia) e di valori (assiologia). 3.1. Strutture portanti della socialità Nella visione cristiana le strutture della relazionalità sono tre ed in esse si vedono già i tre grandi soggetti della socialità, vale a dire la persona, la famiglia e la comunità: 1) Anima-corpo: ciascuno percepisce di essere contemporaneamente corpo, cioé materia, e qualcosa che lo trascende. 2) Uomo-donna: ogni essere umano lo è secondo una specifica modalità che ha bisogno di essere completata dalla sua correlativa. 3) Persona-comunità: la persona custodisce in sé una sua peculiare individualità e allo stesso tempo nasce e si va costruendo in un insieme di relazioni. La comunità è un insieme stabile di questi rapporti quando hanno un particolare significato e valore per la persona. La persona ha un insopprimibile natura sociale ma viene prima della società ed è luogo in cui la società nasce. La persona è la soggettività sociale originaria. Vi sono due correnti all’origine della società: quella contrattualista e quella naturalista. Le visioni contrattualiste considerano i valori come realtà nascenti da un consenso fra gli uomini, mentre quelle naturaliste li considerano come realtà antecedenti ogni consenso, su cui poi il consenso sociale è chiamato a formularsi. Di norma chi è incline al contrattualismo vedrà più facilmente la libertà come mera autodeterminazione, chi è incline al naturalismo riconosce nell’essenza della libertà l'autodeterminazione ma a fronte di un bene che la precede. Il catechismo della chiesa cattolica parla sia di comunità che di società, ma preferisce quest’ultimo termine. La società è la comunità in cui un individuo nasce e da cui riceve l’impronta culturale che ne determina l’identità. Una società è costituita da un insieme di persone legate in modo organico da un principio di unità che supera ognuna di loro, che dura nel tempo, e di cui ogni uomo, costituito come erede, ne riceve dei talenti che arricchiscono la sua identità e che sono da far fruttificare. 3.2. Origine ultima della socialità umana Sono questi dei rapporti che possono definirsi “unità duale” poiché l’unità che essi costituiscono si ha sempre dentro una relazione bipolare. Non siamo esseri monolitici ma drammatici, cioè relazionali, dove l’unità si ha sempre dentro una duplicità. La natura della persona e sia razionale che relazionale e il suo valore risiede tutto nell’essere creato e essere redento da parte di Dio. La rivelazione cristiana dice che questi rapporti sono l’immagine e il segno eloquente di un’origine ultima della realtà che è unità e molteplicità fin nella sua radice. Per il cristianesimo la socialità è già in Dio e c’è nell’uomo perché c’è prima in Dio. Dio è talmente singolarità e alterità, unità e unimolteplicità, che crea al di fuori di sé una realtà a lui collegata. Dio crea liberamente un mondo all’esterno, per amore e senza esservi costretto, per entrare in comunione con lui la cui essenza razionale sociale è come quella di Dio: l’uomo. La comunione con Dio è più urgente a causa di un disastro avvenuto alle origini, il peccato originale, a seguito del quale l’intero mondo è stato segnato da una ferita, specialmente nei rapporti umani. La socialità umana ha un ruolo particolare nel disegno di Dio: quello di essere luogo in cui, fin dagli inizi, la socialità di Dio si espande fuori di sé e anche il luogo a partire da cui Dio vuole iniziare a sanare quella ferita originaria nell’uomo. Entrando in comunione con Dio la persona scopre la sua identità profonda e vede valorizzate tutte le sue doti. La vera unità tra gli uomini possibile dove la persona dei singoli non viene assorbita dalla totalità della comunità ma vive equilibrata tensione con essa. 3.3. Scopo della socialità Lo scopo della socialità umana è quello di essere nel mondo un riverbero di quella socialità che vive in Dio, il luogo in cui Dio allarga il suo circolo virtuoso fuori di sé e nel mondo in modo che la negatività che viene fruita fin dalle origini cominci ad essere arginata. Questo riverbero viene chiamato analogia, una proporzione in cui la somiglianza fra i due termini del confronto si ha sempre all’interno di una fondamentale sproporzione. Il moltiplicarsi di questi segni o riverberi nel mondo, quando vissuti nella loro verità, é ciò che permette al mondo di essere ciò che Dio vuole e di incamminarsi verso quel destino di bene che Dio da sempre gli ha preparato. Attraverso il bene che Dio offre, l’uomo può divenire occasione di rinnovamento del mondo o di suo ulteriore decadimento. 4. Origine e scopo della Dottrina Sociale della Chiesa Il punto di partenza della Dottrina Sociale della Chiesa (DSC) è la novità che Dio introduce nel mondo attraverso quel corpo di umanità nuova che genera una nuova soggettività e una nuova socialità fra gli uomini. Nella storia questa novità comincia dal cammino di Abramo e attuato nella storia di Israele; assume una forma definitiva con Gesù Cristo e con la storia che da lui nasce, cioè con la chiesa. La teologia parla di cristocentrismo oggettivo: Gesù Cristo risorto è il centro di tutto, sia della creazione che di quel piano di salvezza chiamato redenzione. Il punto di partenza del cristianesimo è l’umanità nuova che entra nel mondo con Gesù Risorto e che esige di esprimersi in una nuova mentalità e socialità. La DSC offre all’uomo principi di riflessione, criteri di giudizio e direttive di azione proprio sulla base di questa novità che viene da Gesù Cristo Risorto. Questa novità viene offerta alle generazioni che sono chiamate ad appropriarsene o meno: questa è la legge della libertà. 7. Pragmatismo etico: sparisce l’oggettività dei valori e qualcosa “vale” solo nella misura in cui mi serve. Ne nasce una sfiducia ultima sulla capacità di fare il bene e di realizzare la giustizia. 8. Riduzione della ragione umana: il primato della ragione strumentale o tecnica nega la dimensione trascendente dell’uomo. 9. Assenza di Dio: è la prima causa di tutte le conseguenze antropologiche viste fino ad ora. La realtà non è più segno di Dio ma è il regno del caso e nel caos. Si passa dalla percezione in cui tutto è donato a quella in cui tutto è dovuto. 10. Trascuratezza e offuscamento dell’Io: l’Io più vero viene soffocato da pensieri e azioni non giudicati da un criterio più grande. Smarrendo il proprio Io l’uomo perde anche il gusto del vivere, perde la libertà e l’energia della sua ragione e inizia a non sopportare più sé stesso. Quale atteggiamento e mentalità tende a plasmare la fede cristiana? 1. Se Dio si afferma nella vita è percepito dall’uomo come un “tu” concreto con cui fare i conti. Ne consegue che viene esaltata anche la percezione del “tu” degli altri che mi circondano. 2. Così acquisiscono consistenza reale e stabilità anche i rapporti fra gli uomini non più sentiti come ostacolo alla libertà. Emergono anche i valori autentici perché i valori acquistano concretezza e fascino soprattutto nei rapporti tra le persone. 3. L’uomo scopre che la sua libertà vera non è fare ciò che gli pare e piace ma aderire ai valori e realizzarli. Egli scopre che da qui nasce una soddisfazione interna e profonda, non immediata ed effimera. 4. Questo esercizio della libertà fa risaltare la percezione del nostro Io come “cuore”, cioè come desiderio di verità, amore, giustizia, bellezza e quindi di felicità. 5. Così le regole e leggi vengono riconosciute come importanti: sono uno strumento nella difesa e promozione di certi valori che hanno lo scopo di garantirle. 6. Ne consegue che la ragione umana riacquista fiducia anche nella sua facoltà di scoprire la verità e il bene oggettivo (capacità meditativa) e di leggere oltre quel segno che è la realtà (capacità analogica). L’uomo riconosce che esiste nella realtà un altro più grande di sé, un grande alleato e non nemico della sua libertà, di cui la realtà stessa è segno. L’uomo, quindi, riconosce di non essere lui la misura adeguata di tutto e che può esistere anche ciò che la sua ragione non verifica immediatamente o scientificamente 7. L’esistenza di valori non negoziabili è la condizione grazie a cui l’uomo si riapre alla fiducia verso l’universalità. Se un valore è autentico è anche tendenzialmente oggettivo e valido per tutti. 8. In tal modo l’uomo scopre che il suo esistere e vivere ha un significato positivo oggettivo. L'uomo impara ad amare umilmente sé stesso gli altri, perché l’amore per l’altro é il riverbero dell’amore per noi stessi. L’altro diventa un possibile alleato che Dio mette accanto per aiutarmi. Da questi caratteri antropologici provengono gusto e sicurezza al vivere: essi rappresentano la documentazione concreta di quella novità umana che Gesù Cristo risorto introduce nel mondo e che la fede in lui apre a ciascuno di noi. CAPITOLO 3: IL LUOGO GENETICO INIZIALE E PERMANENTE DELLA NUOVA CREAZIONE, LA CHIESA 1. Chiesa cattolica e “cattolicità” Il corpo risorto di Cristo prende concretezza esistenziale in un preciso luogo storico, cioè nella Chiesa. La Chiesa viene detta “cattolica” proprio per questa pienezza di vita di cui è portatrice. Quella della chiesa è una doppia cattolicità: una che attiene al dono di Dio in origine e l’altra che attiene ai luoghi umani in cui questo dono si incarna e mette le radici. La doppia cattolicità è centrata su due fuochi: Gesù Cristo Risorto, da qui nasce e a cui appartiene, e il mondo in cui essa è posta e a cui è continuamente inviata. Secondo Ireneo di Lione, la Chiesa rappresenta la riconciliazione di Dio e uomo. I principali mezzi con cui la chiesa documenti diffonde tale cattolicità sono: 1. La testimonianza dei cristiani: la vita dei testimoni è il modo più efficace con cui la novità di vita si offre al mondo come proposta. Questo è il fronte soggettivo dell’opera di Dio, un fronte appoggiato alla libertà degli uomini che accolgono meno quella novità. 2. Mediante i sacramenti: i sacramenti sono la modalità semplice con cui la Chiesa comunica agli uomini il flusso di vita nuova che Dio offre al mondo. Questo è il fronte con cui Dio opera oggettivamente nella storia. 2. La missione della chiesa La missione della Chiesa è fare entrare ogni uomo e ogni ambito del mondo nella pienezza del Cristo Risorto per rinnovarli. Anche da questa prospettiva si può comprendere qual è lo scopo della dottrina sociale della chiesa: aiutare questo dinamismo e movimento con cui Cristo Risorto e del suo Spirito investe una storia e il mondo rinnovandoli. È nella Chiesa che l’uomo, reso nuovo da Cristo, scopre di essere fatto ad immagine di Dio, e scopre di essere anch’egli unico e singolare e contemporaneamente aperto all’abbraccio del mondo. 3. La Chiesa e il “regno di Dio” Nella Chiesa nessuno è solo e nessuno vive solo per sé. La moltiplicazione dei legami rinnovati dallo Spirito Santo sostanziano l’espressione “regno di Dio”. Il regno di Dio è il mondo che inizia a diventare finalmente umano, restituito alla misura della dignità che Dio da sempre ha pensato per l’uomo. Questo regno inizia nel mondo con la venuta di Cristo: in lui tutti i valori umani più veri trovano il loro fondamento, il punto di equilibrio, il centro di gravità e la loro giusta misura. Il regno in ogni tempo, per ogni generazione, è la manifestazione dei frutti, è la fioritura della comunione fra gli uomini, ottenuta mediante la pienezza di grazia e di misericordia. Il regno mette, infatti, radici nel mondo innanzitutto grazie a una trasformazione del cuore umano. Si è inaugurato a livello iniziale della Chiesa e si compirà identificandosi completamente con essa al termine della storia, quando si manifesterà a tutti la ricapitolazione. 3.1. Postilla sul regno: il già e non ancora della giustizia Benché il regno di Dio sia già iniziato nella storia, i suoi frutti e la sua manifestazione non coincideranno mai con la sua realizzazione compiuta e definitiva. La realizzazione definitiva si realizzerà solo alla fine della storia. Fino a quel momento vi saranno solo delle anticipazioni parziali e approssimate, perché segnate da quella condizione di limitatezza e fragilità che da sempre affligge l’uomo. Ciò significa che tali realizzazioni devono essere sempre riformate perché:  Devono adeguarsi al fatto che la realtà è in continuo movimento ed eccede sempre le capacità conoscitive dell’uomo.  Il bene vero per l’uomo non viene solamente dalle forze umane ma da Dio.  La storia ha un significato trascendente per quanto attiene la realizzazione di valori che corrispondono alla dignità umana. 4. Il soggetto e definizione di Dottrina Sociale della Chiesa Il soggetto della dottrina sociale della chiesa è la Chiesa. O meglio, il soggetto adeguato ad elaborare e formulare la dottrina sociale della chiesa è la comunità ecclesiale, cioè quella che vive in comunione gerarchica con il Papa i vescovi come realtà comunionale mossa da un autentico sensus fidei. Si tratta di un soggetto plurale e unitario che vive della feconda dinamica circolarità fra persona e comunità. La DSC si situa all’incrocio della vita e della coscienza cristiana con le situazioni del mondo e si manifesta negli sforzi che i singoli, famiglie, operatori culturali e sociali, politici e uomini di Stato mettono in atto per darle forma e applicazione nella storia (papa Giovanni Paolo II). 5. Definizione di Dottrina Sociale della Chiesa La DSC costituisce un capitolo significativo e strutturale del contributo che la fede cristiana offre al superamento della crisi. Essa si autocomprende e si definisce come elaborazione sistematica e critica della nativa esigenza della fede di rispondere al dono di vita nuova proveniente da Dio con l’adesione della libertà e l’impegno della vita. CAPITOLO 4: I CAPISALDI NOETICI DELLA NUOVA CREAZIONE Il battesimo, cioè l’appartenenza dell’individuo al Corpo di Gesù Cristo Risorto e alla Chiesa, permette la diffusione di una “vita nuova” nel mondo. L’appartenenza a questo nuovo popolo si manifesta attraverso un rinnovamento del proprio modo di pensare e, di conseguenza, del proprio modo di agire. Per questo motivo, San Paolo invita non solo a convertirsi, ma anche a cambiare la propria vita. Infatti, la fede si esprime in una nuova visione del mondo e dell'uomo basata su capisaldi poetici ed etici precisi. Da questa nuova visione deriva una certa impostazione del rapporto che l'uomo ha con sé stesso, con gli altri, con il mondo e con Dio. Questi capisaldi includono:  Una comprensione del mondo come “natura” o creazione. Non esiste nulla che non debba la propria esistenza a Dio creatore.  Una visione dell'uomo come “persona”, creata ad immagine di Dio: l’uomo è un essere corporeo e spirituale.  Una percezione del tempo come “storia” in un senso del tutto particolare: il mondo è teatro della storia del genere umano e reca i segni dei suoi sforzi, delle sue vittorie e delle sue sconfitte. 1. Natura Il termine “natura” deriva dal participio passato del verbo latino nascor, che significa “essere generato”, “aver origine da”. Indicherebbe, quindi, quel livello della realtà che riceve la sua origine, la sua struttura e il suo senso. In greco, “natura” è physis, da phyo, cioè “faccio crescere”, “sono generato”. Anche qui il termine natura indica una dote e un carattere propri presenti fin dalla genesi. Aristotele considerava la natura come la sostanza fondamentale delle cose, una sorta di DNA che dà un senso alle cose. Per Filone Alessandrino, che era contemporaneo di Gesù, la natura è forza vitale, un mezzo con cui Dio agisce e mostra la sua “Sapienza” nel formare l'ordine cosmico. Il termine natura e raramente citato nella Bibbia. Nella versione greca della Bibbia ebraica viene utilizzato il termine physis che si riferisce a dote, carattere, proprietà e qualità. La prospettiva ebraica è più storicizzata rispetto a quella greca e fa riferimento all'azione creatrice di Dio: “Dio parla e le cose prendono esistenza”. Nel secondo racconto biblico della genesi, dio crea la realtà e ne plasma le forme. In questo caso, la natura è una sorta di impronta che la parola creatrice di Dio ha lasciato sulla realtà, differenziandola e distinguendola tra esseri e cose. La Sapienza, nel Vangelo di Giovanni, prende le sembianze del logos (parola) di Dio, colui grazie al quale il mondo ed ogni cosa viene fatta. Nelle lettere di Paolo questa “Sapienza” viene chiamata mysterion, che significa il progetto primigenio che Dio ha preparato fin dall'eternità. La natura qui è la realtà che Dio ha creato e organizzato secondo un disegno cosmico e che è stata rivelata agli uomini da Gesù Cristo. In sintesi, per natura si intende: 1. La realtà come un piano fissato dal Creatore che ha un inizio ed una fine, una sua razionalità e che dona ad ogni cosa un’esistenza, un posto e un significato nel mondo. 2. L'essenza delle cose, un codice genetico che il Creatore assegna a ogni essere, conferendogli un'identità e uno scopo. Papa Benedetto XVI ha richiamato la centralità della regola d'oro già esplicitata anche da Gesù Cristo: “fate agli altri ciò che volete facciano a voi, non fate ciò che non volete che essi vi facciano”. 1. Questa regola è anzitutto un invito a uscire da sé stessi per relazionarsi e immedesimarsi con gli altri, al fine di fare del bene per il gusto del bene. La regola d’oro apre l’uomo alla dimensione della gratuità. 2. All'origine della gratuità e dell’amore, c'è il gesto di amore, perdono e fedeltà di Dio nei nostri confronti, nonostante i nostri tradimenti. Il dono d'amore di Dio rappresenta un debito originario e incancellabile per l'uomo; perciò, Dio ci invita a fare altrettanto con il nostro prossimo. 2.5. I diritti e i doveri umani L'uomo è titolare originario di diritti e doveri. Essi sono i mezzi che gli consentono concretamente di esprimere la sua natura profonda e di realizzarla liberamente nella sua vita. Non possono essere concessi o ritirati da nessuna autorità poiché universali e inviolabili.  Diritto alla vita, diritto a vivere in una famiglia unita in un ambiente morale, diritto a maturare la propria intelligenza e la propria libertà, diritto a partecipare al lavoro per valorizzare i beni della terra e a ricavare da esso il sostentamento proprio e dei propri cari, diritto a fondare liberamente una famiglia.  La sintesi di questi diritti è la libertà religiosa intesa come diritto a vivere nella verità della propria fede in conformità alla trascendente dignità della propria persona.  Nella convivenza umana ogni diritto naturale di una persona comporta un rispettivo dovere in tutte le altre persone, cioè il dovere di riconoscere e rispettare quel diritto.  evitare tutto ciò che è contro la vita stessa, tutto ciò che viola l'integrità della persona umana, tutto ciò che offende la dignità umana.  Poiché la persona è sempre inserita in una comunità, i diritti naturali delle persone fondano quello dei popoli e delle Nazioni.  diritto all'autodeterminazione di ciascun popolo e della libera cooperazione in vista del superiore bene comune dell'umanità, diritto all'esistenza, diritto alla propria lingua e cultura, diritto a modellare la propria vita secondo le tradizioni, diritto a costruire il proprio futuro provvedendo alle generazioni più giovani un'appropriata educazione. La chiesa, consapevole che la sua missione religiosa include la difesa e la promozione dei diritti fondamentali dell'uomo, si impegna ad annunciare i diritti fondamentali dell’uomo e a denunciare le violazioni di tali diritti. 3. Storia La nuova comprensione dell'uomo e del mondo implica anche una particolare percezione del tempo. La consapevolezza di una “storia” sorge quando si riconosce che i fatti e gli eventi vissuti sono particolarmente significativi per la vita propria o del mondo. Lo sguardo cristiano vede il tempo che scorre come una storia drammatica in cui è chiamato a compiersi il destino di ciascun uomo e del mondo intero. Tale visione del tempo e della storia inizia a sorgere all'interno del popolo ebraico e si compie con l'avvento del cristianesimo. Dunque, anche la nozione di “Storia”, insieme a quella di “Creazione” e “Persona”, può ritenersi come originale eredità culturale giudeo- cristiana. 3.1. Una “storia” L'esistenza di un significato unisce le tre dimensioni fondamentali del tempo, il passato, il presente ed il futuro e dona ad esse una traiettoria sensata riconoscibile dalla ragione. Vi sono dei fatti precisi che, alla luce della fede, donano un significato al tempo del mondo e lo rendono storia:  L’inizio del mondo stesso attraverso la Creazione di Dio: Dio crea per amore il mondo, l’uomo e la storia per allargare fuori di sé il bene e l’amore. Il peccato originale ha inficiato il mondo intero e la storia ma la libertà dell'uomo è lo strumento attraverso cui il mondo potrà essere salvato.  L'incarnazione del figlio unigenito di Dio, Gesù Cristo: egli eleva ciò che Dio inizia mediante la Creazione e pone fine al male nella storia perché con lui viene bruciato il male con la fiamma dell'amore e anche dal peccato viene tratto del bene. La sua venuta diventa occasione di salvezza per ogni uomo.  La nascita della Chiesa: segno della misericordia con cui Dio guida la storia del mondo e di ogni uomo verso il fine ultimo. Alla fine della storia, Dio stesso giudicherà tutti gli uomini e quanto essi hanno camminato verso il loro destino e contribuito ad incamminarvi il mondo. 3.2. Una storia drammatica Nella visione cristiana, il tempo è una storia che viene qualificata come drammatica. Nella leggenda del grande inquisitore, presente all'interno del romanzo “I fratelli Karamazov” di Dostoevskij, Gesù riappare ai tempi dell'inquisizione spagnola nella Siviglia del 1500. Mentre il popolo lo riconosce e ne è affascinato, il cardinale noto come il "Grande Inquisitore" si oppone a lui e ordina alle guardie di imprigionarlo. La popolazione, intimidita dal potere, rimane passiva senza reagire. Il cardinale accusa Gesù di aver fallito nel suo tentativo di promuovere la libertà, sostenendo che gli esseri umani non possono essere veramente liberi a causa della loro intrinseca debolezza, cattiveria, incapacità e ribellione. La colpa attribuita a Gesù è quella di non aver sfruttato il controllo sulla libertà umana, ma di averla ampliata, consentendo alle persone di scegliere di seguirlo e di essere conquistate dalla sua fede in modo volontario. Le pagine concepite dalla creatività di Dostoevskij rivelano una profonda verità: Gesù Cristo ci ha resi liberi affinché potessimo rimanere tali. Dio cerca incessantemente un dialogo con il cuore umano, mentre il cuore umano, a prescindere dalla sua consapevolezza, è costantemente in cerca di Dio. Questa è la ragione per cui la storia è un dramma, rappresentando una tensione costante tra l'azione divina verso l'umanità e la risposta umana a Dio. Questo confronto può culminare in un incontro o in uno scontro, poiché rappresenta l'intreccio di libertà fra il tempo di Dio (eternità) e il tempo dell’uomo (storia). 3.3. Una storia drammatica “per il destino dell'uomo e del mondo” Nella prospettiva cristiana, l'idea di "destino" assume un significato duplice. Da un lato, si riferisce al piano di Dio per l'umanità e il mondo, mentre dall'altro si collega agli esiti che emergono dall'interazione di questo piano con la volontà individuale di ogni persona. Infatti, l'essere umano è chiamato a svolgere un ruolo attivo nella realizzazione del proprio destino e nell'evoluzione del mondo, e il futuro non è rigidamente predefinito da Dio. Il nostro destino eterno si costruisce in base a ciò che abbiamo fatto e contribuito, e quindi, alla luce della fede, ogni evento, circostanza e situazione assume importanza, poiché ognuno di essi rappresenta un'opportunità per avvicinarsi al compimento del proprio destino e per contribuire al progresso del mondo in quella direzione. 3.4. Postilla sulla storicità della salvezza C'è solo un evento il cui impatto e la cui rilevanza possono estendersi dall'epoca in cui è accaduto fino a qualsiasi altro momento storico: la presenza salvifica di Gesù Cristo Risorto. Egli è considerato il "Signore della storia" poiché può attraversare il corso della storia in qualsiasi direzione, passato e futuro, rendendosi presente in ogni individuo. Attraverso l'eucarestia, la persona di Gesù stesso, e il suo sacrificio pasquale che dona la salvezza, diventano contemporanei a noi. La Chiesa definisce l'eucarestia come "memoriale" (zikkaron, dall’ebraico) di salvezza, poiché richiama ad un passato che si fa attuale nel momento presente e, allo stesso tempo, proietta la speranza verso il futuro. Nella celebrazione dell'eucaristia, i cristiani commemorano l'evento della Pasqua di Gesù. La parola "ephapax" ("una volta sola") utilizzata nel Nuovo Testamento sottolinea l'unicità del gesto di Gesù Cristo che, pur avvenuto in un preciso punto nel tempo, ha effetti salvifici che si estendono a tutti gli altri momenti. La storia della salvezza può essere descritta come la "storia del Fatto cristiano", ossia la narrazione della presenza e dell'opera redentrice di Gesù Cristo Risorto e del suo Spirito nella Storia del mondo. Un altro termine fondamentale che spiega come questa realtà sia stata tramandata attraverso le generazioni è "tradizione". Nel vocabolario della fede, questa parola rappresenta il tesoro inestimabile della salvezza che passa dalla Chiesa agli apostoli e viene trasmesso di generazione in generazione attraverso il Vangelo. CAPITOLO 5: NATURA COMUNIONALE DELLA PERSONA: SUA INDOLE RAZIONALE E RELAZIONALE 1. L’indole razionale della persona 1.1. Ratio e Intellectus Tommaso d'Aquino distingue due facoltà proprie dell'intelligenza. L’intellectus è la capacità intuitiva dell'intelligenza, la capacità di leggere dentro le cose per risalire al loro significato. È una facoltà della ragione immediata e verticale. La ratio è la sua capacità discorsiva e critica, lo spiegare in modo analitico la realtà attraverso logica e argomentazioni. È una facoltà orizzontale e mediata. Intellectus e ratio sono gli strumenti di cui si serve la nostra intelligenza per sondare la realtà. 1.2. “Le Coeur di pascal”: “Esprit de géometrie et esprit de finesse” Pascal afferma nei suoi pensieri che vi sono due spiriti presenti nell'uomo: un esprit de géométrie e un esprit de finesse. Il “cuore” corrisponde all'esprit de finesse e la “ragione” corrisponde all'esprit de géométrie. Pascal utilizza il significato biblico della parola cuore, che si identifica con l'intellectus di Tommaso d'Aquino, perché questo “cuore” ha una dignità razionale, perché conosce, ed è un metodo di conoscenza dell'intelligenza. La ragione intuitiva, il “cuore”, è amica di Dio e della fede. Per Pascal allora è evidente che la fede ha una dignità razionale, benché la conoscenza di Dio ecceda da quella offerta dalla filosofia e dalla scienza. 1.3. Primato della ragione o della realtà? In modo simile, due studiosi vissuti durante il Rinascimento italiano, condividono la medesima concezione precedentemente menzionata:  Secondo Tommaso Campanella, ciò che è nascosto in Dio si manifesta attraverso i segni presenti nelle cose. I segni più significativi sono rappresentati dal cielo, le stelle e i principali sistemi presenti nel mondo. Campanella, con la sua intelligenza, percepisce che la natura e il mondo sono il risultato della Sapienza di Dio. Attraverso l'intelletto umano, il mondo acquisisce consapevolezza di sé stesso e del suo Creatore, riconoscendo quindi l'opera della Creazione di Dio. Nella visione di Campanella, prevale l'intellectus di Tommaso d'Aquino e l'esprit de finesse di Pascal, ossia la ragione intuitiva, deduttiva e analogica.  Anche per Galileo, il mondo e la natura rappresentano un vasto libro in cui è possibile leggere l'opera divina. Tuttavia, ciò che richiama l'attenzione di Galileo sono i numeri e le forme geometriche. Nella sua veste di scienziato, si concentra principalmente sulle corrispondenze tra le cose e le cause prossime. In Galileo, prevale una ragione discorsiva, quella che Pascal definiva come esprit de géométrie, ossia una ragione analitica, logica e argomentativa. Sia il pensiero di Galileo che quello di Campanella ci aiutano a riconoscere il primato della realtà sul pensiero umano, sulla Ragione. Quando la realtà viene trascurata, la Ragione tende a considerare come reale soltanto ciò che è suscettibile di calcolo e misurazione. A questo proposito, possiamo fare riferimento al rapporto tra i due grandi "libri" che Dio ha dato all'umanità per La vera libertà si sperimenta quando facciamo esperienza di bellezza e di verità. Per la tradizione cristiana, la libertà è descritta come “la capacità di scegliere il bene, o il mezzo migliore in vista del bene, e ultimamente come la capacità di aderire, di entrare in rapporto con ciò che dà piena soddisfazione, cioè col bene autentico che soddisfa i desideri profondi del cuore”. Il catechismo della Chiesa cattolica definisce la libertà come il “potere di crescere nella verità e nella bontà”. Due aspetti emergono qui:  Il legame costitutivo della libertà con Verità e Bene  La prospettiva di una continua crescita e maturazione di quel Bene e Verità che provocano la libertà. Entrambi costituiscono un appello a cui la libertà è chiamata a rispondere. Verità e Bene sono desideri inestirpabili che ci guidano verso il nostro destino, e la vera felicità sta nel soddisfare costantemente i desideri più profondi del cuore. I grandi teologi medievali, dicevano che lo scopo della vita umana è il raggiungimento della beatitudine, cioè della felicità. Per questo motivo il paradiso era allora così ambito: esso era visto come un luogo dove vengono saziati totalmente e definitivamente i desideri senza fine che abbiamo dentro, ed era anche il luogo della felicità Intera. Tutti i grandi geni dell'umanità hanno capito l'importanza che il Destino ha nella vita dell'uomo e che esso è qualcosa che c'entra profondamente col nostro cuore e con la nostra libertà: perciò il primo dovere dell'uomo e cercare la felicità autentica. 2.3. Libertà come evento quotidiano La libertà è uno strumento efficace solo quando viene applicato appieno, in ogni momento, giorno per giorno. La libertà non attinge dalla memoria del passato o dalle prospettive future, ma si nutre del presente. Qui si manifesta un legame tra la realtà, che può essere sperimentata appieno solo nel momento presente, e la libertà stessa, che può essere sperimentata solo nel presente. 2.4. Struttura della libertà La libertà si compone di intelligenza e volontà. L'intelligenza è come un faro che illumina la realtà, alla ricerca di qualcosa da afferrare. La volontà è una mano con cui aderiamo e ci attacchiamo alle cose e alle persone, ci fa protendere verso ciò che ci interessa. Nella tradizione cristiana, la libertà è la sintesi di intelligenza e volontà. Questi due elementi sono interconnessi, e anche se possono essere separati (ad esempio, capire che qualcosa è buono ma scegliere di non perseguirlo), non possono essere completamente divisi. La volontà è stimolata dall'intelligenza, e la volontà a sua volta continua a provocare l'intelligenza, indipendentemente dal fatto che la provocazione venga seguita o meno. La volontà è ciò che innesca l'intelligenza, poiché la volontà è spinta dalla curiosità, che non sempre sa cosa cerca, e l'intelligenza permette di illuminare la realtà circostante. 2.5. Abituarsi: un cinismo che distrugge la libertà Nella vita non c'è cosa più sbagliata che abituarsi alle cose grandi di cui è fatta, perché:  La realtà è in continuo movimento.  I fatti della vita sono così densi che non potremo mai conoscerli totalmente.  La libertà dell'uomo, se si abitua, finisce per non distinguere più il vero bene dal male. Questo ci fa capire che la libertà è lo strumento potente con cui la nostra anima, il nostro Io, può respirare secondo tutta la sua ampiezza. Quindi, non dobbiamo mai permettere alla nostra libertà, che è la sintesi di intelligenza e volontà, di smettere di cercare la profondità e di perdere la sua iniziale inquietudine. 2.5. Fede come risorsa per la libertà Il pensiero cattolico si pone nel mondo come una grande risorsa per l'uomo: non solo come una riserva di codici etici e norme sociali, ma come una fonte di innovazione e fecondità per la libertà umana. La fede e la Chiesa insegnano che Dio ha dotato l'essere umano di intelligenza e volontà in modo che possano cercarlo, conoscerlo e amarlo liberamente. 2.6. Dio è nemico della libertà? Oggi, molte persone vedono la fede cristiana come un ostacolo alla libertà. Questo perché da alcuni secoli c'è la convinzione che la libertà significhi autodeterminazione assoluta, ovvero la piena capacità di scegliere ciò che ci piace. Anche la presenza di Dio è vista come un ostacolo e un'interferenza nella libertà. Dio, come "l'Altro" per eccellenza, è considerato il massimo negatore della libertà. 2.7. Un suggerimento dall'esperienza L'esperienza vissuta mostra che la libertà è percepita non tanto come assenza di vincoli (dove l'autorità e Dio rappresentano l'apice di tali vincoli), ma come la presenza di legami veri che soddisfano profondamente il cuore. Cosa ci indicano sia la fede che l'esperienza riguardo la libertà? 1. La libertà coincide con un rapporto, cioè con un legame, che da vera soddisfazione al nostro cuore. La libertà è sperimentata pienamente solo quando condivisa. Non possiamo pensare alla nostra libertà senza considerare il condizionamento della libertà altrui, poiché siamo parte di un contesto che ci precede. Questo condizionamento spinge la libertà a realizzarsi come libertà condivisa, nelle comunioni delle libertà. 2. La libertà coincide con l'esperienza di una profonda soddisfazione di un desiderio. L'uomo non è dotato solo di bisogni finiti, ma anche di desideri senza fine. Questi desideri senza fine ci dicono che, seppur gli uomini siano chiusi fra cose finite, essi sono destinati all'infinito e non sono pienamente soddisfatti finché non lo raggiungono. Se Dio viene sperimentato come colui che rappresenta quell’infinito a cui tutti gli uomini tendono, allora non potrà mai essere per definizione nemico della libertà, bensì sua condizione e suo alleato. CAPITOLO 6: LA LIBERTÀ DELL’UOMO IN AZIONE, ALCUNE ARTICOLAZIONI ETICOSOCIALI 1. Un’applicazione eminente della libertà: il lavoro Il lavoro umano è uno degli ambiti in cui più la libertà si esprime e più è chiamata documentare gli orizzonti e gli scopi ad essa sottesi. Poiché la libertà si realizza in modo sano e autentico solo all'interno di un equilibrato rapporto fra persone e comunità, può essere considerato lavoro ogni attività dell'uomo che contribuisca davvero al bene suo e a quello della comunità in cui egli vive. 1.1. Lavoro e cultura Il lavoro è ogni attività dell’uomo che contribuisca davvero al bene suo e della comunità in cui egli vive. Dio crea l’uomo a sua immagine somiglianza e un tratto peculiarmente distintivo di tale affinità consiste nella ragione e nella libertà dell’uomo. Il lavoro rappresenta per eccellenza l’occasione in cui la libertà dell’uomo viene valorizzata da Dio e chiamato a collaborare con lui. A motivo della sua dimensione corporale, l’uomo ha bisogno anche delle risorse del mondo materiale per la sua realizzazione personale e sociale. Il compito peculiare della libertà è di fare in modo che le conquiste scientifiche e tecniche non siano sottomesse a dei progetti che le priverebbero delle loro finalità umane e le rivolgerebbero contro l’uomo stesso. È con il cristianesimo che il lavoro inizia ad acquistare una dignità a partire dal mondo antico: con Gesù Cristo, il Dio fatto uomo, Dio stesso passa attraverso l’esperienza del lavoro (i trent’anni di Nazareth) e del sacrificio (la croce) introducendo una luce positiva: la resurrezione. È di San Benedetto da Norcia la prima sintesi di questo sguardo: il suo ora et labora ne è espressione significativa. Il lavoro è il modo con cui trasformando la realtà l’uomo perfeziona sé stesso e diviene più uomo poiché il lavoro nella prospettiva cristiana, prima ancora che avere una valenza sociale, ha un insostituibile valore culturale. La cultura è quel fenomeno per eccellenza con cui l’uomo “coltiva i beni e valori della natura” per raggiungere un “livello di vita veramente pienamente umano”. Il lavoro è il primo elemento culturale nella vita dell’uomo poiché esso è il mezzo per eccellenza con cui la libertà incide sulla realtà nel tentativo di trasformarla in meglio. Per tali motivi ogni uomo ha diritto al lavoro e la dottrina sociale della chiesa sancisce la priorità del lavoro sul capitale, cioè il dovere degli imprenditori di considerare il bene dei lavoratori prima dell’aumento dei loro profitti. 1.2. Il lavoro e la fede Nella visione cristiana vi è un diritto-dovere di lavorare perché la sua mancanza facilmente porta con sé un rapporto non equilibrato con la realtà. Questo perché il lavoro è il modo normale con cui l’uomo viene posto in relazione con la realtà ed è oggettivamente educato ad affrontarla. Se non si affronta o se la si affronta male sempre ne deriva un regresso per l’umanità che è in noi. La positività originaria del lavoro si dischiude definitivamente all’uomo proprio attraverso Gesù Cristo: è la Pasqua che illumina di nuovo significato e con nuove possibilità tutta l’esistenza umana. Unendo all’offerta del proprio lavoro quotidiano l’offerta operistica che Cristo fa di sé al padre, l’uomo può sperimentare la forza sanante dello spirito che viene da Dio, scoprire un significato nuovo alla sua fatica e sondarne una nuova fecondità. L’offerta a Dio del proprio lavoro, vissuta nella fede, consente all’uomo di sperimentare, dal di dentro della sua condizione, la positività trasfigurante della vita nuova nello spirito. Per questo motivo nella prospettiva cristiana si può affermare che lavorare è pregare. 1.3. Il lavoro e il “riposo” cristiano Tra le cose che più desidera l'uomo contemporaneo vi è il “tempo libero”, un bisogno di evasione dal quotidiano per trovare riposo e ristoro altrove. Poiché l’uomo è unità indissolubile di corpo e spirito non c'è vero riposo che non comprenda entrambe queste dimensioni. Possiamo asserire che vi è una profonda corrispondenza fra il bisogno di riposo-ristoro-rigenerazione e l'esperienza di un autentico incontro e abbraccio di due libertà (di due persone). Nell'esperienza dell'abbraccio, i cuori comunicano e in qualche modo rispondono positivamente a una reciproca esigenza proveniente dall'interiorità. Il cuore è il vero focus del riposo perché è il luogo da cui l'uomo deve partire per cercare la soddisfazione di un bisogno profondo (amore, verità, bellezza, giustizia). La Bibbia parla del riposo sabbatico, cioè di un tempo in cui l'uomo può riposarsi perché di fronte a Dio, cioè di fronte a qualcuno con cui può sentirsi amato. Il riposo autentico è, dunque, lì dove il nostro cuore può trovare amore autentico e definitivo, e perciò anche il nostro corpo può abbandonarsi, perché sicuro di non ricevere danno. Appare evidente che, alla luce della fede cristiana, il vero riposo, che l'uomo inizia a sperimentare già nella vita terrena attraverso varie forme e modi di esperienza dell'abbraccio, potrà esserci soltanto davanti a dio nella vita eterna. 5. La libertà autentica ha fondamento di una socialità degna dell'uomo L'uomo è pienamente sé stesso solo se vive delle relazioni umane. Ciò significa che non si può essere liberi da soli e senza verità. Questa è una certezza che si pone a fondamento della visione cristiana della socialità. 2.1. La libertà religiosa La libertà religiosa è la libertà considerata in tutta la sua ampiezza di responsabilità di fronte a un bene e a una verità che la precedono, la fondano e ne costituiscono un ineludibile richiamo. La dottrina sociale della chiesa considera la libertà, e la libertà religiosa in particolare, come segno eminente della dignità della vocazione trascendente della persona e come il “diritto a vivere nella verità della propria fede di conformità alla trascendente dignità della propria persona”. Si tratta di sociale consone alla dignità e verità dell'uomo (giustizia veritativa). 4) la responsabilizzazione di tutti nei confronti di tutti (giustizia solidale). 3.2.1. Alcune forme di ingiustizia Tra le forme di ingiustizia, troviamo il reato che consiste in una violazione dell’ordinamento giuridico a cui consegue una sanzione. Ciò che invece viene considerato come “peccato” risiede in una mancanza contro la religione, la verità, la retta coscienza. Mentre i reati riguardano violazioni relative ad altri uomini, i peccati hanno una prospettiva sia orizzontale che verticale, poiché sono atti ingiusti sia nei confronti del prossimo che di Dio. Per la DSC tutti i comportamenti che costituiscono una violazione della giustizia vengono considerati anche come peccati. Alcuni peccati contro la giustizia vengono particolarmente segnalati dalla DSC:  Prendere e tenere giustamente i beni del prossimo: commettere frodi, pagare i salari ingiusti, alzare i prezzi, speculare sull’ignoranza o sul bisogno altrui.  La corruzione: lavori eseguiti male, frode fiscale, contraffazione di assegni e fatture, sperpero, arrecare volontariamente danni alle proprietà pubbliche e private.  Peccati sociali: sono peccati talmente inveterati e radicati nei rapporti umani da acquisire una vera e propria strutturazione sociale. Costituiscono, per il loro oggetto stesso, un’aggressione diretta al prossimo, violano la giustizia nei rapporti tra persona a persona, tra la persona e la comunità, e sono diretti contro i diritti e doveri della persona umana, nonché contro il bene comune. Ad esempio: la brama esclusiva del profitto e dall’altra la sete del potere col proposito di imporre agli altri la propria volontà.  Priorità data gli interessi del capitale su quelli del lavoro: i datori di lavoro hanno il dovere di considerare il bene dei lavoratori prima dell’aumento dei propri profitti.  Leggi che sono oggettivamente ingiuste: rappresentano una situazione di contrasto fra la doverosità del rispetto dell’ordine giuridico e quello della propria coscienza informata al bene. Il rifiuto di partecipare ad un ingiustizia costituisce un dovere morale e un diritto umano basilare. Ad esempio: l’obiezione di coscienza deve essere salvaguardata da sanzioni penali perché agire in modo conforme alla propria coscienza è un diritto fondamentale dell’uomo. 3.2.2. Corollario su giustizia, fede e politica L’attività politica è l’arte del compromesso nobile, mirante ad individuare, definire giuridicamente e realizzare la giustizia nell’ampio ambito della res pubblica. La giustizia è quindi lo scopo e la misura intrinseca di ogni politica. La realizzazione della giustizia è un problema che riguarda la ragione pratica. Essa è sempre esposta al rischio di un accecamento etico, un rischio derivante dal prevalere dell’interesse e del potere; perciò, per poter operare correttamente deve essere sempre purificata. La fede che propone la Chiesa cattolica ha la pretesa, a livello politico, di proporsi anzitutto come forza purificante per la ragione. Nonostante la Chiesa-istituzione non possa e non debba mettersi al posto dello Stato nella realizzazione di una società giusta, non può e non deve neanche restare ai margini della lotta per la giustizia. il compito immediato di operare per un giusto ordine della società è proprio dei fedeli laici che devono concepire e vivere la politica come forma di carità sociale. 3.2.3. I valori “non negoziabili” I valori non negoziabili sono valori pre-positivi e meta-giuridici, i quali appartengono di diritto alla natura dell’uomo e precedono ogni riconoscimento, sociale o giuridico, che possa essere effettuato. La fede cattolica li definisce come valori non negoziabili perché sono principi morali che non ammettono deroghe, eccezioni o compromesso alcuno. Essi sono: 1. La vita dal suo concepimento fino al termine naturale. 2. La tutela e promozione della famiglia fondata sul matrimonio monogamico tra persone di sesso diverso. 3. La tutela di educazione dei genitori per i propri figli. 4. La tutela sociale del minore. 5. La libertà di coscienza e di religione. 6. La centralità della persona del bene comune. 7. La pace. Sono valori da difendere, da promuovere ed assumersi come irrinunciabile riferimento per la morale e per le leggi civili. A ciascuno di tali valori corrisponde un diritto che su quel valore si fonda. Sono diritti della persona nativi e indisponibili e vengono prima della legge. Essi sono frutto di un comune senso della giustizia, basato primariamente sulla solidarietà fra i membri della società e perciò validi per tutti i tempi e per tutti i popoli. 3.3. Il bene comune (e raggruppamento capitoli 3.3.1,3.3.2, 3.3.3, 3.3.4) Per la sua natura unitaria del bene, inteso in senso obiettivo, il bene dei singoli, se autentico, possiede infatti una profonda e reale relazione con il bene di tutti: il bene comune. Il bene comune, infatti, può essere inteso come la dimensione sociale comunitaria del bene morale. Esso esprime la fondamentale interrelazione fra gli uomini e aiuta a riconoscere i limiti e la falsità di ogni individualismo e solipsismo. Come l’agire morale del singolo, anche l’agire sociale esige la virtù della prudenza, cioè il discernere in ogni circostanza il nostro vero bene e lo scegliere i mezzi adeguati per compierlo. La costituzione Gaudium et spes definisce il bene comune come “L’insieme di quelle condizioni della vita sociale che permettono ai gruppi, come ai singoli membri, di raggiungere la propria perfezione più pienamente e più speditamente”. La DSC ci consente di tenere insieme due dimensioni del bene comune: quella strumentale, inerente alle condizioni del bene, e quella sostantiva, relativa il compimento del bene nella vita umana personale e comunitaria. Il bene comune essendo di tutti e di ciascuno, è e rimane indivisibile, e soltanto insieme è possibile raggiungerlo. Esso impiega tutti i soggetti sociali, ma la DSC individua nella comunità politica il suo primo responsabile ed attore perché è l’opera politica per eccellenza. Sono fondamentalmente tre gli ambiti di realizzazione del bene comune: 1. La promozione della persona umana integrale rispetto dei suoi diritti: fra i diritti fondamentali della persona il bene comune rileva innanzitutto quelli che garantiscono le condizioni di esercizio delle libertà naturali. 2. Il benessere sociale e lo sviluppo: vi è autentico benessere sociale quando la vita comune pone realmente al centro dei suoi interessi la realizzazione della persona e la piena soddisfazione dei suoi diritti fondamentali. Lo sviluppo consiste nella sintesi di tutti i doveri sociali poiché scopo ultimo della società è proprio lo sviluppo della persona integrale. L’effettività dello sviluppo presuppone tre condizioni: l’uguaglianza di diritto e di fatto di tutti i cittadini, valorizzazione e armonizzazione dei vari interessi che emergono dal tessuto sociale, la prospettiva di durata è una crescita che non si ferma al breve periodo. 3. La pace: consiste in un ordine che si fonda sulla verità, ed è costruito secondo giustizia, vivificato e integrato dalla carità e posto in atto nella libertà. Ne deriva un obbligo per tutti i cittadini e governanti di adoperarsi per evitare o risolvere i gravi conflitti sociali o internazionali. La pace implica anche la tutela dell’integrità della persona e delle comunità. Il fondamentale principio di uguaglianza comporta che i beni debbano essere accessibili in modo equo a tutti. La DSC afferma la funzionalità dei beni al bene della persona e quindi la loro necessaria destinazione universale. Dal principio della destinazione universale dei beni segue anche il principio dell’uso universale dei beni, che fonda un diritto naturale primario originario che inerisce a ogni singola persona ed è prioritario rispetto a qualunque intervento umano. Per la DSC, un mondo e un’economia equi e solidali sono anche qualificati da una opzione preferenziale per i poveri. 3.3.5. La proprietà “privata” La Chiesa ha sempre difeso il diritto di proprietà come prolungamento della sua libertà e garanzia della sua autonomia. Lo considera un “diritto naturale” ma secondario poiché subordinato al diritto all’uso universale dei beni. Il diritto di proprietà è dunque legittimo e va tutelato, ma va esercitato in funzione del bene comune, vale a dire rispettando la sua essenziale funzione sociale. La necessaria “funzione sociale” dei beni è un principio che deriva dalla concezione cristiana della libertà, che è tensione al bene; perciò, finalizza ogni azione al bene proprio e comune. Perciò proprietà e possesso privati non sono mai un fine, bensì solo dei mezzi e hanno quindi dei limiti, tra cui la destinazione universale dei beni. 3.4. La sussidiarietà La sussidiarietà è un principio cardine della DSC secondo il quale tutte le società di ordine superiore devono porsi in atteggiamento di aiuto rispetto alle minori. Tale principio mira a promuovere la responsabilità della persona, è un atto di fede nelle ricchezze di cui è portatrice ciascuna persona e comunità umana e protegge dagli abusi delle istanze superiori. In questo senso contrastano con la sussidiarietà: l’assistenzialismo, la centralizzazione e la burocraticizzazione. Mentre concordano con essa il favore accordato il primato della persona, all’iniziativa privata, ai corpi intermedi, al decentramento amministrativo ecc... Dalla sua applicazione nasce anche un modello di Stato sussidiario, il contrario di uno Stato totalitario. Infatti, è proprio questo ambiente che favorisce di norma la soggettività creativa del cittadino. 3.4.1. La partecipazione A ciascun cittadino inerisce il diritto-dovere di contribuire alla vita culturale, sociale economica e politica della comunità cui appartiene. Tale principio trova singolare consonanza con il principio di “democrazia” (governo del popolo), un principio fondato sulla partecipazione dei cittadini. La DSC accoglie come legittimo, sotto il profilo morale, un sistema democratico quando esso è sano: cioè laddove esso riconosce a fondamento del suo stesso esistere e della sua convivenza, dei valori morali oggettivi e indisponibili, cioè dei valori umani morali essenziali e nativi che scaturiscono dalla vita stessa dell’essere umano. Quando una democrazia è sana, grazie alla collaborazione di tutti cittadini alla res pubblica, consente un migliore governo della realtà sociale. Fondamentale é, infatti, l’esigenza di un controllo da parte di tutti i cittadini nei confronti delle istituzioni e dell’autorità, le quali rimangono legittime solo se esercitano le loro funzioni in vista del bene comune con mezzi moralmente leciti e secondo giustizia in modo conforme alla ragione. Uno Stato ed una società che non fossero retti secondo giustizia del bene sarebbero solo luoghi di dominio del più forte sul più debole. Alla fonte della DSC vi è un servizio alla forza della verità sull’uomo e fra gli uomini. Perché niente è amico della giustizia e della pace fra gli uomini come la ricerca e l’esperienza genuina della verità.
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